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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Dio è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1053Analitici , di cui in selezione 34 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da (Mito e civiltà moderna) Vittorio Lanternari, Frammenti religiosi e profezie di libertà fra i popoli coloniali in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]ettanti moti di rinnovamento religioso premonitori, cioè i culti profetici di liberazione.
Essi son venuti fiorendo nell'Africa Negra, dal Sud Africa alla Rhodesia, al Tanganika all'Africa Equatoriale e Occidentale, all'Angola, al Congo all'Uganda al Kenya, ecc. Ma altri numerosissimi sono venuti sviluppandosi e via via diffondendosi, dove piú presto dove più tardi, in Melanesia, Polinesia, Indonesia e nell'America indigena settentrionale e meridionale. Di pari passa con l'urto tra cultura egemonica e culture aborigene: soprattutto via via che le conseguenze dell'urto si son fatte pressanti e sconvolgenti — specialmente a seguito delle due guerre mondiali — i movimenti profetici dei popoli indigeni si sono imposti all'attenzione delle amministrazioni coloniali e delle chiese occidentali, oltreché della cultura moderna. Essi rappresentano il prodotto spontaneo dell'urto culturale tra aborigeni e bianchi: estranei pertanto a qualsiasi propaganda o gioco politico di grandi potenze moderne. Del resto la stessa natura religiosa dei movimenti[...]

[...]ui sono animati i proseliti, la funzione profana delle religioni cosiddette « primitive » e in definitiva di ogni religione popolare: funzione volta alla risoluzione di concrete crisi esistenziali determinate dalla dinamica storica: funzione che consiste nell'instaurazione di forme adeguate di riscatto miticorituale.
56 VITTORIO LANTERNARI
Uno degli epicentri dei movimenti profetici africani é la regione compresa fra l'una e l'altra riva del Medio e Basso Congo (Congo Francese e Belga), con irradiazioni nell'Africa Equatoriale Francese e nell'intero Congo Belga.
In qual modo e con quasi specialissimi effetti ivi s'incontrino il Cristianesimo e la religione locale già s'intravvede sintomaticamente da un'antica notizia. Un Cappuccino il quale agli inizi del sec. 18° operò fra i Bakongo per riordinare le missioni del Regno indigeno del Congo, incontrò una strana profetessa, Donna Beatrice. Costei si vantava di aver ricevuto visioni e sogni vaticinatori, nonché un'esperienza di morte e rinascita, in base a cui era convinta di reincarnare [...]

[...]sono reinterpretati in funzione clamorosamente pagana, perdendo ogni valenza caratteristicamente cristiana. L'esempio è eloquente a mostrare su quale linea si svolga, anche nei successivi sviluppi, l'incontro tra due mondi culturali così eterogenei: da un lato le forme religiose indigene legate alle esigenze vitali più immediate — fecondità, fertilità, buon successo alla caccia —, dall'altro il Cristianesimo, nato dalla crisi di civiltà urbane medioorientali ed occidentali, improntato ad esigenze di tutt'altro ordine e inadeguato, almeno nelle forme genuine europee, ai bisogni religiosi locali.
(2) J. Juvelier, Relation sur le Congo du Père Laurent de Lucques (17001717). Bruxelles 1953.
(3) R. Wannijn, Objets anciens en metal du Bas Congo, « Zaire », V, 1952, 39194.
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA FRA I POPOLI COLONIALI 57
Uno dei tratti religiosi peculiari delle culture congolesi, come si vede, è il feticismo, o impiego cultuale e socialmente utile di oggetti opportunamente confezionati e pertanto « caricati » di valore tau[...]

[...]e al Cristianesimo, ma in modo tale da trasformarne totalmente valore e significato.
Educato a Nkamba, roccaforte del Protestantesimo da una missione Battista britannica, Simon Kimbangu ebbe intensi rapporti con la cultura europea, oltreché per le Missioni, per aver prestato servizio presso una famiglia europea nella città di Kinshasa. Nel 1921, attraverso ripetuti sogni e visioni, ricevette in forma definitiva la sua vocazione a farsi servo di Dio e a predicare la nuova fede al suo popolo. La « chiamata » proveniva direttamente dall'Essere supremo di antica tradizione Bakongo, identificato ormai con il Dio giudaicocristiano: gli ingiungeva di tornare in patria come profeta. Compiendo miracolose guarigioni e resurrezioni, si guadagnò in breve uno stuolo di proseliti. Ripetendo evidentemente l'atteggiamento mosaico, predicava la lotta iconoclasta contro i feticci, l'osservanza della monogamia, la fede nel Dio unico. Un pullulare di nuovi profeti segui alla sua azione proselitistica. Posseduti da « spiriti », essi entravano in convulsioni, compivano danze, canti, acrobazie (8). I passi biblici prescelti da Kimbangu contenevano un chiaro significato polemico nel confronto dei bianchi. Quando l'amministratore di Thysville si recò da lui in visita, egli stava svolgendo una predica, e leggeva la storia di David e Golia. Invitato a colloquio dal funzionario, continuò imperterrito la sua allocuzione voltandogli le spalle (9). Per i Congolesi egli divenne ben presto il profeta del « Dio dei Negri », in an[...]

[...]oni, compivano danze, canti, acrobazie (8). I passi biblici prescelti da Kimbangu contenevano un chiaro significato polemico nel confronto dei bianchi. Quando l'amministratore di Thysville si recò da lui in visita, egli stava svolgendo una predica, e leggeva la storia di David e Golia. Invitato a colloquio dal funzionario, continuò imperterrito la sua allocuzione voltandogli le spalle (9). Per i Congolesi egli divenne ben presto il profeta del « Dio dei Negri », in antitesi al « Dio dei missionari cristiani ». Il suo messaggio profetico annunciava imminente la liberazione dai bianchi — anche dai missionari —, il rinnovamento delle condizioni di vita, il ritorno dei morti, l'età dell'oro. Nel contempo egli diffondeva la conoscenza della Bibbia, accettava il battesimo, la confessione, un rituale fondato su canti religiosi desunti dalla Bibbia. Ma il culto dei
(8) Andersson, 4960.
(9) Andersson. 62.
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTÀ FRA I POPOLI COLONIALI 61
morti restava come elemento tradizionale nel nuovo culto kimbangista. La sua azione, sincretistica nel con[...]

[...]genere, che costituisce un rinnovamento — non una semplice continuazione — della tradizione: p. es. l'iconoclastia antifeticista, che pur ha indubitabili legami con l'antistregonismo delle società segrete, é un elemento di rottura con la piú antica tradizione magica (12). D'altra parte il Cristianesimo portato dai missionari in esso viene esplicitamente reinterpretato in funzione emancipazionista, e pertanto fondamentalmente trasformato. Così ii Dio unico giudaicocristiano s'innesta sulla tradizionale figura di Essere supremo, la Bibbia é riconosciuta come fonte unica di autorità religiosa, ma viene tuttavia interpretata in funzione delle esigenze aborigene di libertà (la lotta di David e Golia diventa un'allegoria mitica della lotta religiosa di liberazione dei Negri contro i Bianchi); infine lo stesso profeta si configura come reinterpretazione vivente di Mosè e di Cristo, del quale ultimo ripete la persecuzione, la passione, la latta spirituale per una nuova religione. In realtà i germi di emancipazione religiosa così seminati dal pro[...]

[...]mitatore dei grandi fondatori religiosi, fondatore e martire egli stesso,
(10) E.alandier 1955, 42831; Andersson, 63.
(11) Andersson, 637.
(12) Si noti tuttavia che lo stregonismo e il feticismo sono fenomeni ben differenti, il primo (magia nera) avendo valore antisociale, il secondo invece essendosi volto contro il primo, a difesa della società.
62 VITTORIO LANTERNARI
alla pari di Cristo e di Mosè, di una religione direttamente rivelata da Dio per i Negri.
In tal senso il Kimbangismo, come ogni movimento profetico, ha una sua netta ambivalenza, perché se da un lato é il prodotto di reazione polemica alla politica di forzata assimilazione religiosa connaturata alla propaganda missionaria, dall'altro lato rappresenta il veicolo all'accettazione di notevoli elementi cristiani da parte nativa. Senonché anche tale accettazione é condizionata ad una decisa esigenza di autonomia ed emancipazione religiosa. Non per nulla il Kimbangismo, già nella sua forma originaria, enuncia il bisogno di una chiesa « nativa ». Il principio verrà ben pre[...]

[...]segno della croce. Desunto formalmente dal Cristianesimo, il segno viene accompagnato da una formula che compromette in radice — rispetto alle chiese occidentali — il Cristianesimo di questi « cristiani sui generis ». « Nel nome del Padre, di Simon Kimbangu, di André Matstia », essi dicono (19) : e con questa « trinità » assolutamente « nativista » (20) ed eretica (21), mentre dimostrano di aver fatto propria la concezione paleotestamentaria del DioPadre in quanto affine alla originaria concezione pagana dell'Essere supremo, sostituiscono, o meglio identificano chiaramente Gesù con i due profeti aborigeni. Il bisogno di libertà culturale e religiosa che sta al fondamento dei loro culti profetici trova la sua espressione concreta in un legame di continuità con la tradizione passata. Infatti il « Dio » oggetto di culto non é che Nzambi Pungu, cioè l'Essere supremo della tradizione avita. Inoltre nel rito di accensione dei ceri si conserva, pur attraverso trasformazioni, l'impronta e il significato di antichi riti pagani (22).
« Cristo é un Dio francese », dicono i Negri: e pertanto a lui contrappongono il binomio KimbanguMatsúa. Insomma il Cristianesimo é implicitamente tenuto corresponsabile della politica colonialista gavernativa. Perciò esso nell'opinione nativa si configura come « la religione degli Europei, [la quale] vale a conservare le ricchezze fra le mani di questi, e a nascondere un segreto che nessuno vuol rivelare agli indigeni » (23).
Onde ancor meglio mostrare su quale linea continui a elaborarsi a tuttoggi il sincretismo negrocristiano, descriveremo sommariamente l'altare della chiesa negra di culto gunzistaamicali[...]

[...]to culturale dell'ultima guerra mondiale, la fatidica V di Winston Churchill e degli alleati, riplasmata in funzione antibianchi come simbolico annuncio della fine della dominazione colonialista (24).
Come in effetti il GunzismoAmicalismo sia una religione di rivolta e di guerra lo dice con identica coerenza una serie di profezie, fra le quali una suona cosí: « La guerra é prossima — essa dice —... Siamo venuti ad annunciare la buona novella di Dio al mondo. Chi fa parte della nostra chiesa non dovrà rivolger parola a chi é legato al governo o alle missioni, o a coloro dei Negri che ancora affondano nelle tenebre. Il tempo del rosso sangue é venuto... Coloro che risusciteranno entreranno nella gloria del regno trionfante... ». Ed ancora, con linguaggio allegorico e biblico: « I Bianchi ignorano che troveranno morte e perdizione nel paese altrui. Il bufalo e l'elefante sono possenti..., essi sono come Golia..., ma non sanno costruire la via del ritorno. Imminente é la morte del bufalo e dell'elefante. La liberazione sarà definitiva » (25[...]

[...]i dei morti risorgenti dalle tombe (28). Così gli elementi tradizionali s'intrecciano con i nuovi elementi cristiani in un complesso religioso che serba intero lo spirito di emancipazione antibianchi già proprio del Kimbangismo. « Il Regno verrà — annuncia una profezia kakista reinterpretando a suo modo l'idea cristiana del "Regno" — quando Matsúa e Kimbangu torneranno tra i Negri, apportatori di potenza e dominio : sarà il `regno africano' ». « Dio di Abramo, Dio di Giacobbe, Dio di Simon Kimbangu e di André Matsúa — così suona la preghiera di Mavonda Ntangu —: quando scenderà la benedizione e la libertà su di noi? Orsù tralascia di ascoltare le preghiere dei bianchi, già a lungo ascoltati da te. Basta con le benedizioni ricevute da loro! ora volgiti a noi. Amen » (29).
(26) Balandier 1955, 43135, 44763; Andersson, 13850. Si noti che sopra l'altare kekista è effigiato un gallo, simbolo di PietroPierre Mpadi, accanto alla fotografia di Matsúa (Balandier 1955. 458).
(27) Andersson, 140 sgg., 151 sgg., 16275.
(28) Andersson, 174.
(29) Andersson, 193.
FERMENTI RELIGI[...]

[...]iastici, estranea ad ogni forma di proselitismo, si configuro ben presto all'occhio dei nativi come la controparte, sorprendentemente attraente, delle missioni cristiane. Quanto queste, per i sistemi coercitivi, l'intransigenza dei metodi, il rigorismo dottrinale riuscivano invise a gran parte della popolazione, altrettanto risultava affascinante e gradita l'organizzazione della Salvezza. I nativi ben s'avvedevano che, pur riconoscendo lo stesso Dio dei missionari, i militanti dell'Esercito della Salvezza fornivano il modello di una morale religiosa infinitamente più accessibile e vicina alle loro esigenze, sostituendo p. es. al duro compito della confessione un semplice atto di contrizione. Per di più l'uniforme di tipo militare, le cerimonie che l'organizzazione indiceva tra canti battaglieri quasi di vittoria, al ritmo di tamburi e di altri strumenti di banda, fra bandiere spiegate, esercitavano sopra i nativi una suggestione di nuovo genere, per certa affinità con le loro feste pagane, e per lo spirito battagliero da cui si sentivano[...]

[...]ire in tal modo salute, salvezza, benessere sotto ogni riguardo. Insomma la congregazione possedeva, secondo loro, un potere magico atto a « salvarli ». È significativo che l'Esercito della Salvezza — cui lo stesso Simon Mpadi s'ispirò nel prescrivere l'uniforme kaki ai ministri del culto da lui fondato — incontrasse resistenza e rivalità nelle missioni cristiane operanti nel Congo, ed ivi coalizzate nella loro opera proselitistica (30).
L'episodio dimostra quanta profondamente il messianismo, con la sua speranza di liberazione dai mali e dalle oppressioni d'ogni ordine e provenienza, fosse penetrato nella coscienza collettiva: o meglio esso attesta con quanta efficacia il messianismo esprimesse da un canto il bisogno di salvezza, dall'altro la situazione di rischio da cui gli indigeni sentivano presa la loro vacillante esistenza, a causa dell'intransigente, minacciosa egemonia culturale, politica, religiosa dei bianchi.
Che la salvezza, suprema meta di ogni messianismo, potesse raggiungersi attraverso l'unica via dell'unione solidale [...]

[...]salvezza, suprema meta di ogni messianismo, potesse raggiungersi attraverso l'unica via dell'unione solidale degli indigeni d'Africa, veniva facendosi una delle idee dominanti dei vari movimenti profetici, in qualunque regione del continente sorgessero. Zaccaria Bonzo, altro profeta congolese, penetrava nell'Angola col motto « l'Africa agli Africani! ». Simon Toko nel 1949 fondava un nuovo movimento, la « Stella rossa », basato sul principio che Dio sta con i più, e perciò in Africa Egli é a fianco degli Africani. Secondo la profezia di Toko, Dio invierà un suo figliomessia incarnato in un Negro, a redenzione dei Negri (31). Così dal sincretismo negrocristiano va sviluppandosi una coscienza religiosa panafricanista — già implicita del resto nel Kimbangismo, Gunzismo e Kakismo —, fondata su una omogeneità di esperienze di fronte ai bianchi e su una crescente consapevolezza etnicoculturale determinata dallo stesso confronto con la cultura straniera egemonica.
Mentre nell'Africa equatoriale e nel Congo, fra alterne esplosioni e repressioni, in un ininterrotto processo di proliferazioni sotterranee
(3G) Andersson, 12635.
(31) Tastevin [...]

[...]e repressioni, in un ininterrotto processo di proliferazioni sotterranee
(3G) Andersson, 12635.
(31) Tastevin 1956.
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA FRA I POPOLI COLONIALI 69
e di efflorescenze visibili il messianesimo indigeno s'incrementava irradiandosi a regioni vicine e lontane, venivano diffondendosi a mano a mano culti profetici anche da altre regioni africane. Nel 1925 Tomo Nyirenda, nativo del Nyassa, proclamantesi «Figlio di Dio » o Muana Lesa — con il quale nome é meglio noto —, introduceva nel Katanga, zona mineraria fra le più soggette a drastico urto sociale tra indigeni
e bianchi, il movimento Kitawala o Kitower, attivo già in Rhodesia e nel Nyassa ove ispirò a varie riprese moti sedizioni violentemente repressi. Il movimento Kitawala proviene per processo separatistico indigeno dalla congregazione americana della Watch Tower (Kitawala
o Kitower é deformazione dell'originario termine inglese), o Associazione dei Testimoni di Geova, fondata nel 1874 da Charles Taze Russell, e perciò nota anche con il name di « [...]

[...]roviene per processo separatistico indigeno dalla congregazione americana della Watch Tower (Kitawala
o Kitower é deformazione dell'originario termine inglese), o Associazione dei Testimoni di Geova, fondata nel 1874 da Charles Taze Russell, e perciò nota anche con il name di « Russellismo ». Il movimento Watch Tower s'accentra nell'attesa millenaristica di un'era di paradiso che seguirà, in età non lantana, allorquando la decisiva battaglia di Dio contro Satana esploderà ad Armageddon. I miscredenti saranno debellati, sulla terra regnerà la giustizia. Negatori della Trinità, della divinità di Cristo, dell'immortalità dell'anima, degli eterni castighi ultraterreni; per di più antimilitaristi ed antinazionalisti ad oltranza, i Testimoni di Geova condannano sia lo Stato sia ogni forma di organizzazione ecclesiastica come emanazione di Satana. Essi dunque avevano i migliori requisiti perché la loro ideologia apparisse ai Negri africani, tra i quali arrivassero, la controparte più positiva ed entusiasticamente accettabile della cultura reli[...]

[...]eologia egualitaria panafricanista, ispirata alla speranza messianica dell'avvento di un'età paradisiaca sulla terra nel nome di Gesù Cristo (34). Nell'ultimo dopoguerra uno dei suoi profeti ed agitatori del Congo Belga (Prov. Orientale), Bushiri, si proclemò « Sostituto di Gesù » (Mulurnozi usa Yesu).
Un particolare fenomeno dell'immediato dopoguerra venne a improntare il movimento Kitawala: l'attesa degli Americani come fatidici messaggeri di Dio. Facilitata dalla parentela americana dello stesso movimento, l'idea di tale attesa trovò incentivo nell'esperienza di aiuti inviati dall'America nel corso dell'ultima guerra. Inoltre in quell'epoca veniva fondato, ad opera del Negro americano Marcus Garvey, un movimento panafricanista, anzi pannegro (l'Universal Negro Improvement Association), d'intonazione sociale e politica ma tuttavia non scevro di una
(33) Andersson, 249; Kenyatta, 27781.
(34) Biebuyck 1957; Paulus 1956.
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTÀ FRA I POPOLI COLONIALI 71
notevole carica religiosa, volto all'unificazio[...]

[...]ica attesa degli Americani visti come mitici liberatori (35). Bene si scorge da ciò come il drammatico bisogno di rinnovare religione e cultura assuma, nei movimenti nativisti, forme mitiche e millenaristiche spesso caotiche e puerili, nelle quali vanno a conglomerarsi le più elementari esperienze vissute.
Il movimento Kitawala resta a tuttoggi una fra le più estese organizzazioni religiose nativiste dell'Africa Negra (36). « Noi siamo figli di Dio e perciò non siamo tenuti a riconoscere le leggi degli uomini » : cosí suona un annuncio dei fedeli Kitawala, dato in occasione d'una rivolta nell'Uganda nel 1942. E continua: « I tempi sono mutati: non obbediremo più alle leggi temporali, perché prestare obbedienza agli uomini significa obbedire a Satana » (37).
Annuncio di un'età che porrà fine per i Negri alle alienazioni, annuncio della fine del mondo con rovesciamento imminente dell'ordine attuale, invincibilità nella rivolta, lotta contra la stregoneria: sono questi i temi comuni non solamente alle varie organizzazioni locali dei Kitaw[...]

[...]ioni fermamente legate ai bisogni culturali più immediati: di religioni che esprimono e insieme intendono superare una grave crisi esistenziale la quale minaccia l'integrità storica dei rispettivi gruppi. Dalla Bibbia i vari movimenti hanno assunto via via quel linguaggio e quei contenuti millenaristici e messianici che meglio si prestano ad avvalorare la loro ansia religiosa di libertà e di salvezza, trasfigurando il biblico spirituale Regno di Dio in un mito di concreto benessere, di sicurezza, di reintegrazione sociale, politica e culturale.
Come si é visto, la storia dei movimenti profetici africani, attraverso un laborioso e vario processo, parte dalle prime, non adeguatamente organizzate reinterpretaziorii di tratti cristiani in funzione pagana; attraversa fasi apostoliche nelle quali interi gruppi esaltati dall'ansia religiosa di rinnovamento seguono altrettanti profetiguida, qua e là mossi ad azioni concrete politicamente e militarmente impegnate; culmina infine nella fioritura di infinite chiese native cristiane, neppur esse sc[...]

[...]ose quali il crescente desiderio di facili guadagni, la corruzione morale con incremento dei furti e della prostituzione, la detribalizzazione, ecc.: malanni che, data la loro natura particolarmente misteriosa e incontrollabile, pressa la maggior parte delle culture arretrate seconda una ideologia tradizionale sono fatti rientrare nell'ambito dei malefici operati clandestinamente dagli stregoni: malanni ai quali vanno opposte comunque, unico rimedio efficace, medicine tradizionali dotate di particolare potenza magica. Così in Africa con l'incremento dei mali indotti in varia guisa dai bianchi s'intesifica la lotta contra la stregone ria dapprima mediante feticci, infine ad opera di profeti taumaturghi che coinvolgono nel loro bersaglio lo stesso feticismo. Insieme con la lotta anzibianchi la lotta antistregonista si colloca in una situazione coloniale così caratterizzata (48).
Non stupirà ora se in tutt'altro ambiente culturale, fra gli Indiani delle praterie nordamericane, quando la supremazia dei bianchi portò alla segregazione dei gr[...]

[...]uole
(48) Field 1948, 17579.
76 VITTORIO LANTERNARI
essere una religione destinata esclusivamente agli Indiani, esplicitamente contrapposta al Cristianesimo dei bianchi, del quale tuttavia assorbe confusamente certi elementi teologici e mitologici. Basti dire che il Peiote personificato s'identifica a volte con Gesù, a volte con lo Spirito Santo, e comunque é emanazione del Grande Spirito di pagana tradizione, identificato a sua volta con il Dio giudaicocristiano. Organizzato attualmente in due « chiese », una dell'Oklahoma (Native American Church) l'altra degli Stati del nord (Nat. Amer. Church of U. S.), il Peiotismo si fonda su un complesso di miti e riti accentrati intorno al peiote, un cactus d'origine messicana (Lophophora williamsii) il cui potere terapeutico e allucinatorio viene impiegato dai proseliti in un pasto sacramentale, fonte di visioni ritenute sacrali.
Il Peiotismo é la « nuova religione degli Indiani ». « Voi Indiani — dice il profeta Hensley — finora combatteste l'un l'altro. Con la nuova religione ciò deve fini[...]

[...]enimento di un'autonomia culturalereligiosa e i culti di liberazione sboccano via via in una religione panindianista di emancipazione pacifica, i Negri d'Africa hanno serbato compattezza e unità tali da dar vita, dopo la prima fase profetica, a formazioni ecclesiastiche panafricaniste, tuttora energicamente e intensamente protese alla liberazione dai bianchi.
(51) Mooney 1896, 771 sgg., 827, 903 sgg.
78 VITTORIO LANTERNARI
Anche l'America Meridionale è stata ed è tuttora teatro di manifestazioni messianiche indigene, ripullulanti di tempo in tempo fin dal
l'età dei primi contatti coi bianchi, fra le popolazioni e le classi sociali
più misere e oppresse. Fra gli Indios del Brasile nel territorio nordoccidentale di Rio Icano sullo scorcio del sec. XIX si presentava un
messia proclamantesi « Cristo secondo ». Una grande agitazione s'impadronì delle masse che lo seguirono. Il messia guariva le malattie. Egli ammoniva i proseliti a cessare ogni lavora nei campi, perché era alle porte l'età del benessere nella quale la terra avrebbe prodotto spontaneamente frutti abbondanti. Fini col venire arrestato (52).
Vari movimenti popolari messianici sboccavano d'altra parte in aperta rivolta contra i bianchi occupanti. Così i Chiriguano, tribù guer
riera di Guarani a[...]

[...]oro contrade alla ricerca di una presunta « Terra senza mali », sita al di là dell'Oceano. Essi si dedicavano alle danze sacre, cessando da ogni lavoro. Il mancato successo della affannosa peregrinazione trova fra essi una sintomatica giustificazione: l'impiego di abiti e cibi europei avrebbe frustrato il tentativo intrapreso. Così si esprimeva il loro bisogno di redenzione dalla oppressione dei bianchi (54).
In Argentina è significativo l'episodio del profeta Solares, il quale verso il 1870 nella provincia di Buenos Aires, quando una siccità prolungata aveva indotto carestia e fame, comincia a compiere miracoli di guarigione, tanto da apparire alle masse angosciate come Salvatore. Solares proclamava ormai giunto il momento nel quale gli indigeni si sarebbero liberati dai colonizzatori europei e dalle autorità amministrative : subito dopo, la terra s'aprirebbe e una meravigliosa città apparirebbe ai loro occhi incantati. Promettendo di rendere immuni i fedeli
(52) Metraux 1957, 111.
(53) Metraux 1957, ibid.
(54) Pereira de Queiroz 19[...]

[...] messianiche (56).
I culti profetici polinesiani sono invece del secolo scorso: essi hanno accompagnato la vana lotta di liberazione combattuta nelle varie isole dagli indigeni contro i dominatori Inglesi o Francesi. Spicca su tutti gli altri il grande movimento Hauhau che trascinò i Maori della Nuova Zelanda alla guerra antimissionaria ed antibritannica dal 1865 al 1870. Il profeta fondatore, TeUa, proclamò che i Maori erano il nuovo popolo di Dio, la Nuova Zelanda, la nuova Canaan, Geova il Dio dei Maori. Egli stesso si presentava come novello Mosè, e annunciava l'imminente espulsione dei Pakeha o Inglesi. Sarebbe stata quella la fine e il rinnovamento del mondo. Sarebbero risorti i morti per dare inizio a un'epoca nuova per i Maori. Sterminata la setta Hauhau dalla supremazia militare britannica, repressa la rivolta, più tardi si sviluppava un nuovo culto profetico, la religione Ringatu, tuttora vigente con la sua « chiesa » sincretista e nativista, atta a realizzare un riequilibrio
(55) Metraux 1957, 112.
(56) Lanternari 1956; Worsley 1957. Vedi bibliografia più ampia in appendi[...]

[...]sperienze tra i ricordi di una storia lontana. Tuttavia non del tutto quella storia é scaduta dal suo antico valore, né conflitti culturali e religiosi hanno mancato e mancano, fino ai tempi recenti, di ripresentare in veste più o meno rimodernata reviviscenze messianiche e profetiche: basti pensare appunto al Russellismó, al movimento dei Mormoni e di Saint Simon o — per non tornare indietro al Gioachimismo e ai movimenti ereticali del nostro MedioEvo (62) —
al Lazzarettismo nonché ai più vari movimenti di rinnovamento religioso e sociale i quali costellano il mondo culturale d'ogni paese moder
no. Essi esprimono, allo stesso titolo che presso le società primitive, una condizione di crisi di cui rappresentano ad un tempo il prodotto e il riscatto religioso.
Tuttavia conviene discriminare — per entro la varia fenomenologia dei movimenti profetici — due forme storicamente eterogenee, che contrassegnano la vasta fioritura di manifestazioni di tal sorta su terreno etnologico così come presso civiltà progredite. Mentre una grande parte
([...]

[...]esigenze religiose della società nel suo insieme.
D'altra parte il suddetto conflitto tra momenta popolare e momento ufficiale della religione — inteso quest'ultimo nella forma di sacerdotalismo teocratico — presiede alle origini stesse del Cristianesimo, e non solamente d'esso ma dei vari movimenti profetici cananei, dall'Essenismo alla Setta di Qumran. Infine il medesimo conflitto impronta l'intero svolgimento storico del Cristianesimo, dal Medio Evo alla Riforma, ai movimenti messianici dei tempi recenti e d'oggi stesso. Dunque in questi vari, ricorrenti movimenti profetici convergono e si polarizzano, contro l'azione ecclesiastica imposta « dall'alto », le esigenze religiose
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA FRA I POPOLI COLONIALI 85
popolari, radicate in modo stringente, immediato, spontaneo alle forme di esistenza collettiva (66 bis)
Una tra le moderne manifestazioni di tale conflitto religioso é ap punto il Russellismo. I1 suo incontro con i culti profetici a livello etnologico, l'intima intesa stabilitasi spontaneament[...]

[...]VITTORIO LANTERNARI
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[...]



da (Mito e civiltà moderna) Ernesto De Martino, Mito, scienze religiose e civiltà moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...] in evidente ritardo per quel che concerne la presa di coscienza di una problematica del genere: il lettore potrà agevolmente sincerarsene solo che scorra i dati bibliografici contenuti nel presente fascicolo, poiché raramente gli accadrà di leggere il rinvio a opere italiane o a traduzioni in italiano di opere straniere. Tuttavia, soprattutto in questi ultimi tempi, anche in Italia si manifesta un crescente interesse degli2

PREFAZIONE

studiosi e del pubblico per i problemi relativi al mito, al simbolo, all’arcaico : del che fanno fede, in particolare, alcune collane che hanno assolto una importante funzione culturale in questo senso, e prima di tutte in ordine di tempo la collana di Studi religiosi etnologici e psicologici dell’editore Einaudi. In questo quadro deve essere considerato il presente fascicolo dedicato a « Mito e civiltà moderna », nel quale figurano unicamente contributi italiani. Naturalmente il tentativo presenta qualche menda e qualche lacuna, anche tenendo conto delle forze culturali che erano disponibili: più g[...]

[...]ano nel movimento, o ne appaiono comunque influenzate, anche tradizioni culturali che, per la loro provenienza e per le loro origini variamente laicizzanti, razionalistiche, idealistiche, materialistiche e positiviste, sembravano più refrattarie ad una problematica del genere. Così, p. es., nel quadro della scuola di Marburgo, tradizionalmente interessata alla ricerca delle condizioni logicotrascendentali della scienza, Ernesto Cassirer dallo studio del simbolo matematico nella scienza passa alla analisi della struttura e della funzione del simbolismo mitico (1); il movimento psicoanalitico che procedeva da presupposti materialistici e positivistici si volge, soprattutto per opera della secessione junghiana, ad una rivalutazione della vita religiosa e del mito; la tradizione epistemologica francese, che già col Bergson accentua le radici esistenziali della funzione fabulatrice (2), palesa con Gastone Bachelard una netta flessione verso il mondo dei « simboli » (3).

Una analoga vicenda è possibile riscontrare nella tradizione sociologi[...]

[...]oanalitico, e che racchiudeva notevoli possibilità ermeneutiche per una interpretazione del sacro e del mito che tenesse conto delle motivazioni inconsce, senza tuttavia incorrere nella riduzione della religione a sublimazione della sessualità. Nelle nevrosi traumatiche, su cui la gran copia di casi offerti dalla prima guerra mondiale aveva reso possibile il moltiplicarsi delle osservazioni cliniche, il malato tende a ripetere nella crisi l’episodio traumatizzante, cioè a riviverlo suo malgrado. In modo analogo l’episodio traumatico tende a ripetersi ossessivamente nel corso della vita onirica. D’altra parte la terapia psicoanalitica aveva messo in evidenza la tendenza del nevrotico a rivivere, nel corso del trattamento, gli episodi traumatizzanti del passato e a trasferirli nel presente, in una situazione in cui il medico analista sta al centro : di qui la necessità terapeutica di risolvere il transfert, riconducendo gli eventi rivissuti e ripetuti come attuali a ricordi di episodi appartenenti al passato. Ora Freud osservava che manifestazioni del genere, determinate dalla tendenza a ripetere un passato sgra[...]

[...]e si è detto — la crisi dello storicismo tedesco, nel 1920 il fondatore della psicanalisi introduceva la coazione a ripetere e l’istinto di morte nella vita psichica individuale, accanto e oltre al « principio del piacere », che aveva sino allora dominato nella sua concezione teorica. Ma per quel che si attiene più strettamente al nostro argomento ritroviamo nella monografia freudiana l’accenno ad un caso che è di più diretto interesse per lo studioso della vita religiosa e del mito. Un bambino di diciotto mesi cui era stato dato un rocchetto, aveva con esso animato un giuoco che consisteva nel lanciare il rocchetto in modo da nasconderlo alla vista, per poi riprenderlo tirando il filo, e accompagnando con espressioni di disappunto lo scomparire del rocchetto e con espressioni di gioia il suo riapparire: tali espressioni erano le stesse di quelle impiegate dal bambino nella situazione reale quando la madre si assentava o tornava. Qui si ha dunque la ripetizione della situazione traumatica, cioè l’assentarsi della madre a cui seguiva l’an[...]

[...]itorno della madre cadevano fuori di ogni possibilità di controllo, nel giuoco invece la madre era fatta allontanare e tornare secondo una vicenda che il bambino governava mediante il filo del rocchetto. Aveva luogo così una forma di ripetizione di tipo diverso dalla ripetizione coatta e irrisolvente nelle nevrosi traumatiche, poiché nel giuoco del rocchetto si ha una ripetizione attiva che mira alla riappropriazione e alla risoluzione dell’episodio traumatizzante. La coazione a ripetere e l’istinto di morte, quali erano stati definiti nella monografia del Freud, sollevarono nelPambito del movimento psicoanalitico una vivace polemica (13): qui però basterà mettere in evidenza come il ritorno del passato acquistava due significati nettamente diversi a se
(13) Per questa polemica si vedano i rinvii bibliografici contenuti in O. Fenichel, Trattato di Psicoanalisi, trad. it. di C. Gastaldi, Roma 1951, pp. 57, 138, 608 sgg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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conda che si trattasse di ripetizione coatta e cifrata nel sintomo m[...]

[...]iticorituale della vita religiosa. Già nel 1926 il Malinowski, riassumendo i risultati delle sue osservazioni sulla mitologia vivente degli indigeni tobriandesi, sottolineò il fatto che il mito in azione, cioè nella concretezza della esperienza religiosa, significa rivivere, sotto forma di racconto, una realtà dei tempi primordiali (15). Anche un altro etnologo, il Preuss, che era venuto formulando le sue considerazioni sul mito attraverso lo studio della mitologia vivente dei Cora amerindiani, pervenne a conclusioni analoghe (16). Uno studioso del mondo classico, Karl Kerényi, nella Introduzione alla essenza della mitologia — pubblicata in collaborazione con

lo Jung — così ha raffigurato la « vita per citazioni » delPuomo antico :

Prima di agire l’uomo antico avrebbe fatto sempre un passo indietro, alla maniera del torero che si prepara al colpo mortaile. Egli avrebbe cercato nel passato un modello in cui immergersi come in una campana di palombaro, per affrontare così, protetto e in pari tempo trasfigurato, il problema del presente. La sua vita ritrovava in questo modo la propria espressione ed il proprio senso (17).

Ma[...]

[...] vita per citazioni » delPuomo antico :

Prima di agire l’uomo antico avrebbe fatto sempre un passo indietro, alla maniera del torero che si prepara al colpo mortaile. Egli avrebbe cercato nel passato un modello in cui immergersi come in una campana di palombaro, per affrontare così, protetto e in pari tempo trasfigurato, il problema del presente. La sua vita ritrovava in questo modo la propria espressione ed il proprio senso (17).

Ma lo studioso che più a lungo e con maggiore dovizia di dati storicoreligiosi si è soffermato su questo «passo indietro» del nesso miticorituale è stato senza dubbio Mircea Eliade. Ciò che l’autore chiama « la ontologia arcaica » consisterebbe nella risoluzione del divenire storico nella ripetizione degli archetipi mitici, di eventi primordiali prodottisi una volta per sempre in ilio tempore. Questa ontologia arcaica, dominata dal terrore della storia, investe lo stesso ordine rituale, nel senso che il rito resta definito non soltanto dalla riattualizzazione, dalla iterazione e dal ritorno degli eventi d[...]

[...]i, e quindi come strumenti vitali per lo sviluppo della personalità. Nella prospettiva dell’junghismo il significato e la efficacia dei simboli non consistevano più nel loro volgersi indietro, verso una fase anteriore, o nel loro volgersi avanti, verso un ulteriore sviluppo, ma scaturivano dalla dinamica dei due momenti, dal loro cruv póXXeiv, dal loro carattere di « totalità » del dinamismo psichico, onde essi mediante la ripetizione di uno stadio inferiore tendevano già ad uno sviluppo più alto, e per inaugurare questo sviluppo più alto si avvalevano dello stadio inferiore (31). Ora già per queste ragioni è evidente il rapporto col simbolismo miticorituale della vita religiosa, poiché nei miti e nelle cerimonie, e in genere nella religione considerata nel suo dinamismo e nella sua concretezza, si compie continuamente questa vicenda di ripetizione e ripresa, di catabasi e di anabasi, di fondazione e di apertura, di origine e di prospettiva (32). Purtroppo a complicare, e in parte a oscurare, questo tema ermeneutico per le scienze religiose innegabilmente fecondo, è intervenuta la teoria junghiana degli archetipi. Nella sua pratica terapeutica lo Jung f[...]

[...]que, in questa prospettiva, una storia arcaica sepolta di cui, non come lo stesso Jung riconosce (33), non sappiamo proprio nulla. Ma in Jung si è fatta più recentemente valere anche un’altra prospettiva. Gli archetipi sono, sì, semplicemente «impronte» che la scienza psicologica deve limitarsi a ipotizzare rinunziando al problema della origine, tuttavia la fede e la teologia potrebbero ricondurre l’impronta a Colui che lascia l’impronta, cioè a Dio.

« Se come psicologo dico che Dio è un archetipo, mi riferisco con questa affermazione a un « tipo » dell’anima, che notoriamente deriva da typos, impronta. Già la parola « archetipo » presuppone un qualcuno che imprime l’impronta. La psicologia come scienza dell’anima deve limitarsi al suo proprio oggetto... Se essa dovesse anche soltanto come causa ipotetica postulare un Dio, avrebbe implicitamente avanzato l’esistenza di una possibile dimostrazione di Dio, oltrepassando così la sua competenza in modo assolutamente inammissibile. La scienza può essere soltanto scienza: non ci sono dimostrazioni scientifiche della fede» (34).

(33) Ùber die Energeti\ der Seele, 1919, p. 189.

(34) In Psychologie und Alchemìe, 1944, p. 27 sg. (2) C. G. Jung, Aion, 1951, p. 107.24

ERNESTO DE MARTINO

In altra sua opera Jung si chiede, se il « se stesso » sia un simbolo di Cristo o se Cristo sia un simbolo del « se stesso » e (35) dichiara di aver optato per questa seconda soluzione, ma si affretta ad aggiungere che tale opzione non ha un valore ontologic[...]

[...]oltanto metodologico, concedendo che altri con eguale diritto potrebbe scegliere la prima soluzione: e P. Zacharias, accogliendo prontamente la concessione, ha valutato appunto quali sarebbero le conseguenze teologiche quando si assuma il « se stesso » come simbolo di Cristo (36). D’altra parte in una conversazione personale col suo esegeta cattolico R. Hostie, Jung ha finito col definire a questo modo la sua posizione religiosa : « È chiaro che Dio esiste, ma perché mi si chiede sempre di provare la sua esistenza con dimostrazioni tratte dalla psicologia? » (37). Del resto lo Jung aveva desiderato a lungo di poter collaborare con teologi preparati in psicologia, i quali « benevolmente e con comprensione lo avessero aiutato a correggere e ad integrare la sua insufficiente terminologia teologica», e non mancò di compiacersi quando un domenicano, P. White, gli consentì di realizzare la collaborazione « da lunghi anni attesa » (38). Questa « intesa » che si va progressivamente stabilendo fra junghismo e mondo cattolico è giustificata dal fa[...]

[...]al 1913 fu collaboratore di Freud condividendone sostanzialmente la valutazione negativa della religione, fu indotto successivamente a modificare profondamente il proprio punto di vista. Dalla religione ricondotta in parte ad una sublimazione della sessualità infantile e in parte ad una sorta di nevrosi collettiva, Jung si aprì gradualmente al riconoscimento del valore storicoculturale della vita religiosa, pur continuando a considerarla come stadio superabile della evoluzione individuale o collettiva verso la autonomia morale: successivamente la religione gli si configurò non più come una fase preparatoria, ma come il coronamento e il vertice del destino culturale dell'uomo. Ora ciò che lo aiutò a compiere questo ultimo passo fu proprio l’opera di R. Otto, che — come abbiamo visto — inaugura idealmente l’epoca culturale che stiamo analizzando. Jung

(35) Aion, p. 107.

(36) P. Zacharias, Die Bedeutung der Psychologie C. G. Jungs jiir die christliche Theologie, in Zeitschrift fùr Religionund Geistesgeschichte, V, 1953, pp. 13 sgg.
[...]

[...]o essere agevolmente tradotti nel linguaggio della psicologia analitica come segno del rapporto con realtà psichiche non dipendenti dalla coscienza, svolgentisi nell’oscurità dell’inconscio: di un rapporto, cioè, che si identifica in ultima istanza con ciò che la psicologia analitica aveva definito come rapporto con gli archetipi e come processo di individuazione (39). Se poi queste realtà psichiche fossero il riflesso della realtà ontologica di Dio, la psicologia come scienza non era in condizione di decidere, e doveva lasciare il passo alla fede e alla teologia. Una posizione del genere non era più incompatibile con la teologia, ed in sostanza manifestava un sostanziale accordo con le note tesi cattoliche circa i « limiti di competenza » della ricerca scientifica in generale (40).

Attraverso il suo condizionamento inconscio, sottolineato con tanto

(39) Si veda, per questa parte dell’influenza di R. Otto, sulla interpretazione junghiana della religione, Jung, Psychologie and Religion, New Haven, 1938 (Psychologie und Religion, Zii[...]

[...] la concezione troppo rigidamente maschile della Trinità ' lascia in qualche modo nell’ombra. Non a caso, secondo Jung, la proclamazione del Dogma è avvenuta solo nel 1950, poiché mai come oggi si avverte, nell’attuale congiuntura storica, il pericolo di un impulso distruttivo cui il mondo è esposto (la bomba atomica!), e quindi mai come oggi i tempi sono maturi per una adeguata valorizzazione dell’archetipo femminile della figura della Madre di Dio. Sull’archetipo femminile si veda ora la grassa fatica di E. Neumann, Die Grosse Mutter. Der Archetyp des grossen Weiblichen, Ziirich 1956. Dello Jung è da leggere anche il commentario psicologico al libro tebetano dei morti in M. Y. EvansWentz, The Tebetan Boo\ of thè Dead, London 1957, pp. XXXVLXIV. Fra gli scritti junghiani ancora inediti vi è anche un commentaro agli esercizi spirituali di S. Ignazio. Il lettore italiano che voglia formarsi un’idea dei rapporti fra junghismo26

ERNESTO DE MARTINO

vigore dalla psicoanalisi, il simbolo mitico affondava dunque le sue radici nel profond[...]

[...]prese rilievo la persua
e scienze religiose può avvalersi delle poche traduzioni comprese nella collana etnologica della casa editrice Boringhieri e della collana Psiche e Coscienza della casa editrice Astrolabio, nonché della recente traduzione del volume di J. Campbell, The Hero with a thousand faces pubblicata nel 1958 dalla casa editrice Feltrinelli.

(41) R. Caillois, L’homme et le sacre, 19502, p. 39 sg.

(42) JungKerényi, Prolegomeni dio studio scientifico della mitologia, trad. ital. Torino 1948, p. 33 sg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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sione che il mito, nella concretezza della vita religiosa, affonda le sue radici nel rito e nel culto, e che fuori di questo rapporto il mito non è più tale, ma diventa arte, dramma, letteratura, filosofia, scienza, cioè — in generale — opera umana avviata alla consapevolezza della sua umanità e mondanità (43). Ma il vero e proprio atto di nascita di questo indirizzo è segnato da due symposia editi da S. Hooke, nei quali un gruppo di studiosi sottoponevano ad analisi il rapporto [...]

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sione che il mito, nella concretezza della vita religiosa, affonda le sue radici nel rito e nel culto, e che fuori di questo rapporto il mito non è più tale, ma diventa arte, dramma, letteratura, filosofia, scienza, cioè — in generale — opera umana avviata alla consapevolezza della sua umanità e mondanità (43). Ma il vero e proprio atto di nascita di questo indirizzo è segnato da due symposia editi da S. Hooke, nei quali un gruppo di studiosi sottoponevano ad analisi il rapporto fra mito e rito nel vicino Oriente. Poteva sembrare una disputa fra dotti tendente a rivalutare nella religione di Israele, e in genere nelle civiltà delPoriente vicino, il rituale ed il culto, e a rintracciare i modelli miticorituali che operavano in questa vasta area religiosa, soprattutto in rapporto al tema della « regalità divina»: in realtà — come ha recentemente osservato il Brandon — se si pensa che la maggior parte degli studiosi che promossero questo indirizzo erano vivamente interessati alle sorti della religione cristiana ed erano mossi da in[...]

[...] il rapporto fra mito e rito nel vicino Oriente. Poteva sembrare una disputa fra dotti tendente a rivalutare nella religione di Israele, e in genere nelle civiltà delPoriente vicino, il rituale ed il culto, e a rintracciare i modelli miticorituali che operavano in questa vasta area religiosa, soprattutto in rapporto al tema della « regalità divina»: in realtà — come ha recentemente osservato il Brandon — se si pensa che la maggior parte degli studiosi che promossero questo indirizzo erano vivamente interessati alle sorti della religione cristiana ed erano mossi da interessi teologici, e che questa apologia del momento rituale coincideva con il rinnovato interesse — in Inghilterra e nel continente — per l’eredità liturgica delle Chiese Cristiane e con le controversie relative alla revisione del Boo\ of Common Prayer (44), si comprende come anche per questa via si facevano valere nel campo degli studi inquietudini religiose e spunti polemici verso la concezione tradizionale della religione e del mito. In polemica col Frazer, che ancora in [...]

[...]ssi esistenziali, e al tempo stesso rimprovera le interpretazioni psicoanalitiche della prima maniera (Abraham, Rank, Reik, lo stesso Freud) di non aver dato rilievo alla funzione sociale dei simboli miticorituali. Secondo l’autore, il rapporto fra mito e rito è quello di una dinamica interrelazione, e né la teoria dell’origine del mito dal rito, né quella opposta della origine del rito dal mito possono considerarsi pertinenti. In concreto lo studio di determinate società pone in rilievo uno stesso rito e può comportare più orizzonti mitici di autenticazione e di esplicazione, e che i rituali si modificano, acquistano nuovi significati e si trasformano profondamente nella loro struttura in rap
(46) Myth and RituaL 1933, p. 2 c 4.

(47) Un’altra critica mossa all’indirizzo è l’applicazione meccanica dei modelli miticorituali a civiltà religiose diverse, col risultato di non scorgere o di sottovalutare le differenze di struttura, di funzione e soprattutto di significato che i modelli in questione assumono in ciascun concreto contesto cu[...]

[...] come l’Egitto, la Persia, Israele, cominciarono ad aprirsi alla coscienza della storia nella forma rudimentalissima di coscienza cronologica delle geneaologie e delle successioni di regni. Il Lommel osservava inoltre che questa nuova sensibilità del tempo germinata nell’Oriente vicino ricevette nella tradizione giudaicocristiana un incremento così decisivo da rendere familiare per noi l’idea che sia databile anche l’evento della incarnazione di Dio (53). Il riconoscimento del particolare carattere del rapporto fra tempo e Cristianesimo giunse a maturazione soprattutto durante gli anni che seguono immediatamente la fine della seconda guerra mondiale. Nel quadro di tale riconoscimento occupa senza dubbio un posto preminente l’opera di Oscar Culmann, Christus und die Zeit (54). Il Culmann pone il contrasto nel modo più netto: mentre per il mondo greco il simbolo del tempo è il circolo, per la religione iranica, per il giudaismo biblico e soprattutto per il cristianesimo il simbolo del tempo è invece la linea retta, con una origine e un ter[...]

[...]’immagine spaziale dell’al di qua e dell’al di là, il Nuovo Testamento conosce un ordine escatologico articolato nei momenti temporali dell’oggi, deliberi e del domani. E infine mentre nel mondo greco era impossibile l’idea di un’azione divina che si rivela progressivamente nel tempo, e che manifesta in tal modo il suo disegno, il Cristianesimo trasforma il terreno accadere in storia santa (55), scandita nei momenti della creazione, del patto di Dio col suo popolo speciale, deli’incarnazione e della seconda definitiva parusia. La coscienza di questa contrapposi
(52) G. Hòlscher, Die Ursprtinge der jiidischen Eschatologie, 1925, p. 6.

(53) H. Hommel, Dit alte Arien, 1935, p. 34. Cfr. M. Buber, Kònigtum Gottes, 1932, p. 121: «In Babilonia il calendario liturgico poteva compiere il suo eterno ciclo sull’empirico divenire, mantenendosi indifferente al divenire stesso; in Israele invece era la storia a circoscrivere in esso, di propria mano, i segni portentosi di ciò che accade una sola volta, deirirripetibile ».

(54) O. Culmann, Chris[...]

[...]anie, manifestazioni del sacro, attraverso le quali si manifestano certi aspetti della realtà divina, la sua potenza attraverso la tempesta, la sua stabilità attraverso il movimento degli astri, la fecondità attraverso la pioggia ed il sole. Le interpretazioni naturalistiche che riducono il contenuto dei simboli ad una semplice sublimazione della stessa vita biologica sono erronee: ciò che i simboli ci fanno conoscere è realmente qualche cosa di Dio (58).

Il secondo tema ricorrente nel movimento di rivalutazione esistenziale della religione è la funzione permanente del mito. L’orizzonte metastorico del numinoso, il tutt’altro ambivalente, si articola nella effettiva vita religiosa secondo figure ed eventi inaugurali, e in azioni rituali tendenti a riassorbire la proliferazione storica del divenire nella rivissuta ripetizione delle origini fondatrici e autenticatrici; ne risultano modelli miticorituali di destorificazione, che instaurano un regime di «esistenza protetta» dalle traversie dello storico accadere. Sotto la spinta dei risul[...]

[...]nata civiltà. Il comportamento rituale è ripetizione non soltanto nel senso che itera uno stesso mito, ma anche nel senso che uno stesso rito, nella sua mimica, nelle sue parole e nelle sue manipolazioni di oggetti sacri, tende a riprodurre con la maggiore fedeltà possibile una vicenda rituale di fondazione, inaugurata per la prima volta in ilio tempore. Ora già soltanto questo suo carattere internamente iterativo, cicli
(58 bis) Cfr. il mio studio Angoscia territmiale e reintegrazione culturale nel mito Achilpa delle origini, che può leggersi in appendice alla 2a ed. del Mondo Magico, Torino 1958.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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co, prevedibile nel decorso come l’orbita di un pianeta, instaura negli operatori e nei partecipanti un abbassamento della coscienza di veglia, e una condizione favorevole al rapporto con l’inconscio. Questo aspetto di attiva destorificazione della presenza individuale si fa valere nel rito a tal punto che spesso le tecniche riduttive della coscienza stanno per sé, senza avere necessariamente[...]

[...]vo più o meno grande, ma è pur sempre la guarigione che li individua culturalmente, e con la guarigione la loro giudicabilità secondo le « opere », secondo ciò che hanno realmente fatto e che può essere dallo storico espresso e definito. Questo rapporto affiora talora alla coscienza degli stessi mistici, soprattutto cristiani, come p. es. in S. Teresa:

(In S. Paolo) si ammirano gli effetti della vera contemplazione e delle visioni che sono da Dio, non dairimmaginazione o dal demonio. Forse che egli si nascose per non occuparsi che in godere le delizie di queste grazie? Ma lo sapete anche voi: non ebbe riposo di giorno e neppure dovette averne di notte, perché in essa si guadagnava da vivere... Questo è il fine dell’orazione, figliuole mie: a questo tende il matrimonio spirituale: a produrre opere ed opere, essendo questo, come ho detto, il vero segno per conoscere se si tratta di favori e di grazie divine... Ma per questo è necessario, ripeto, che cerchiate di non far consistere il vostro fondamento soltanto nel recitare e nel contemp[...]

[...]ell’orazione, figliuole mie: a questo tende il matrimonio spirituale: a produrre opere ed opere, essendo questo, come ho detto, il vero segno per conoscere se si tratta di favori e di grazie divine... Ma per questo è necessario, ripeto, che cerchiate di non far consistere il vostro fondamento soltanto nel recitare e nel contemplare, perché se non procurate di acquistare la virtù e non ne fate l’esercizio, rimarrete sempre delle nane. E piaccia a Dio che vi limitiate soltanto a non crescere, poiché su questa via, come sapete anche voi, chi non va innanzi torna indietro. Tengo per impossibile, infatti, che l’amore, quando vi sia, si contenti di rimanere sempre nello stesso stato... (59).

(59) Castello, V Mans., Cap. IV.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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E altrove:

Benché vi siano moltissimi indizi per conoscere se amiamo Dio, tuttavia non possiamo mai esserne sicuri, mentre lo possiamo quanto all’amore del prossimo... Quando vedo delle anime tutte intente a rendersi conto deliberazione che fanno e così concentrate quando sono in essa da far pensare che non abbiano ardire di fare il più piccolo movimento né di divergere il pensiero per paura di perdere quel po’ di gusto e di devozione che sentono, mi persuado che non conoscono il cammino dellunione. Pensano che consista tutto nel fare così. No, sorelle mie. Il Signore vuole opere. Vuole, per esempio, che non ti curi di perdere quella devozione per consolare un’amm[...]

[...] e di devozione che sentono, mi persuado che non conoscono il cammino dellunione. Pensano che consista tutto nel fare così. No, sorelle mie. Il Signore vuole opere. Vuole, per esempio, che non ti curi di perdere quella devozione per consolare un’ammalata a cui vedi di poter esser di sollievo, facendo tua la sua sofferenza, digiunando tu, se occorre, per dare da mangiare a lei: e ciò non tanto per lei, quanto perché sai che questa è la volontà di Dio (60).

Così per entro la destorificazione religiosa (« e ciò non tanto per lei, quanto perché sai che questa è la volontà di Dio ») appare alla coscienza non soltanto la necessità dell’opera mondana, ma la produttività mondana è assunta come vero segno dei favori celesti.

Questi passi di S. Teresa pongono il problema dei valori che il simbolo miticorituale cristiano ha mediato alla civiltà occidentale. La recente letteratura sui rapporti fra Cristianesimo e storia, Cristianesimo e tempo, Cristianesimo e mito ha messo in evidenza che il simbolo miticorituale cristiano ha assolto la fondamentale funzione culturale di mediare per l’occidente il senso della storia. Non si tratta, si badi, della semplice protezione e rei[...]

[...]integrazione dell’umano operare compromesso dalla crisi esistenziale, poiché tutte le religioni, anche le più rozze, operano tale protezione e reintegrazione mediante la destorificazione miticorituale. Effettivamente il Cristianesimc, a differenza delle altre religioni dell’ecumene, fa apparire la coscienza del tempo e della storia nel cuore stesso del suo simbolo miticorituale, e attraverso i temi della « storia santa », del sacrificio dell’UomoDio come evento storico al centro del divenire, e di un processo escatologico che si attua nel tempo, non soltanto dischiude di fatto la storia umana, ma alza il velo sulla storicità della condizione umana e fonda de jure nella prospettiva della fede, il senso dc\Y opera, la coscienza della tensione fra « situazione » e « valore ». Se la civiltà occidentale si è guadagnata nel corso della sua storia una egemonia fondata sulla potenza del mondano operare, se un umanesimo fiducioso ed entusiasta è venuto sempre più intensificando

(60) Castello, V Mans., Cap. III.42

ERNESTO DE MARTINO

la s[...]

[...]ocio* logia e di antropologia all’Oberlin College:

L’aumento degli appartamenti alle Chiese, il fatto,che molti 'libri religiosi sono diventati bestseller, i numerosi articoli religiosi in periodici di massa, la popolarità di films a soggetto religioso, la riaffermazione frequente

— da parte dei nostri leaders politici — della nostra eredità religiosa, l’aumento fra gli studenti di atteggiamenti favorevoli verso la Chiesa e la esistenza di Dio (Public Opinion New Service, 20 marzo 1955), ed altri fatti del genere provano la forza del movimento di « ritorno alla religione »... L!American Institute of Public Opinion riferisce che il 97% degli Americani si identificano con uno dei maggiori gruppi religiosi, e l’80% degli Americani adulti dicono di credere nella Bibbia e nella parola rivelata di Dio. Può es
(62) Del Bultmann è da vedere la conferenza programma Neues Testament und Mythologie (apparsa dapprima in « Beitràge zue Evangelischen Theologie », 1941, e poi in « Kerygma und Mythos I», Amburgo 1951). Il lettore italiano può informarsi dello stato della quistione e della vastissima bibliografia attingendo da A. Vógte, Rivelazione Milo, in «Problemi e orientamenti di Teologia Dogmatica », Milano 1957, I, pp. 827 sgg.; R. Marlé, Bultmann e Vinterpretazione del nuovo testamento, trad. it., Brescia 1958; G. Miegge, L’evangelo e il mito nel pensiero di Rudolf Bultmann, Milano 1956; F. B[...]

[...]ezza. La grande confusione e ansietà e sofferenza della nostra epoca incoraggia tale orientamento': e la « bomba atomica » — questa terrificante prova del potere autodistruttivo dell’uomo — induce anche il più insensibile alla riflessione e allo sbigottimento. Tuttavia, malgrado ciò, occorre avare cautela nelTinterpretare la situazione presente come caratterizzata dal « ritorno alla religione ». La Bibbia può essere proclamata parola rivelata da Dio, ma il 53% di coloro che così proclamano non saprebbe indicare neanche il primo dei quattro libri del Nuovo Testamento... Il ritorno alla religione può essere compreso solo notando la simultanea secolarizzazione della Chiesa. Ciò che « torna » è una istituzione che pone poche domande relative alla fede... Vi è una tendenza a ritenere che la religione è un bene perché è utile per altri maggiori valori, rovesciando così il rapporto mezzofine secondo il quale la religione è considerata il valore supremo. Ciò è in rapporto col fatto che i principali valori della società americana si esprimono in [...]



da Andrea Binazzi, Raffaele Pettazzoni in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]olica e contro l’affermarsi nella vita sociale e politica di un modo di concepire la religione che non lasciava spazi per la storia, ma tutto tendeva a risolvere in termini di autorità. Ernesto De Martino, sul « Mondo » del 14 marzo 1953, dedicò al libro un lungo articolo dove le forti riserve metodologiche e teoriche lasciavano immediatamente il campo all’apprezzamento dell’opera come « documento significativo dello sforzo compiuto da questo studioso per legare le ricerche storicoreligiose alla problematica del mondo moderno » 1. Secondo il De Martino, dagli scritti raccolti nel volume traspare la preoccupazione « che si stiano preparando giorni duri per le sorti dell’idea laica in Italia, e che quindi anche i frutti della sua [del Pettazzoni] fatica di storico delle religioni rischino di andar dispersi, o quanto meno la loro maturazione ritardata ».

Altri, come Piero Calamandrei, da una diversa angolatura, ma per linee convergenti, nel compiacersi di aver trovato nel libro del Pettazzoni la Resistenza collocata tra i momenti della s[...]

[...]re pubblicamente la vicenda delPvm Congresso internazionale di storia delle religioni che la presidenza del Consiglio non giudicava opportuno si svolgesse a Roma. In quella lettera il Pettazzoni, con la consueta misura e con grande spirito di tolleranza, faceva appello alle ragioni della scienza e della cultura, ma anche a quelle del buon senso secondo le quali era ingiustificato, e perfino esagerato, pensare che un congresso intemazionale di studiosi avrebbe potuto mettere in discussione i rapporti tra Stato e Chiesa stabiliti dal Concordato e chiedeva pubblicamente, riprendendo una richiesta di Benedetto Croce, che gli oppositori esponessero le loro ragioni, se ne avevano di valide3. In quelli e negli anni successivi, fino alla morte, il Pettazzoni, oltre a proporre con sempre maggiore insistenza, anche se non senza oscillazioni, una visione storica delle religioni, partecipò attivamente alla battaglia civile per la libertà religiosa: nel 1957 fu relatore al sesto convegno degli Amici del Mondo su Stato e Chiesa, nel 1958 parlò a Roma,[...]

[...] una lunga recensione pubblicata su « Belfagor » del settembre 1953, dove tracciava un profilo del Pettazzoni che riprenderà poi, più ampiamente, nel necrologio apparso nel 1960 sulla « Nuova Rivista Storica »: « Nel secondo saggio della presente raccolta, il Pettazzoni ci offre una novità molto interessante, che metteremmo volentieri, per importanza intrinseca e per il momento che segna nello svolgimento intellettuale di questo nostro grande studioso, accanto alla introduzione alla nuova edizione... di La religione nella Grecia antica. Si tratta di una serie di capitoletti intitolata Momenti della storia religiosa d'Italia »6. L’analisi del Cantimori, rapida, ma ricca di sfumature, tende soprattutto a valorizzare, al contrario di quella di De Martino, la quantità di stimoli e di suggestioni che scaturisce dalle pagine di questi capitoli, mette in guardia dal considerarle, lasciandosi magari trarre in inganno dalla semplicità espositiva, schematiche e superficiali. Coglie infine un carattere essenziale del Pettazzoni quando osserva che «[...]

[...]’ultimo, sempre nel 1925, aveva raccomandato a Ernesto Codignola una collezione di «Testi e documenti di tutte le religioni più importanti» progettata dal Pettazzoni. « Ti raccomando », scriveva Gentile, « questo progetto di una collezioncina di Testi religiosi del Pettazzoni. Io credo che Vallecchi dovrebbe accogliere questa proposta perché la materia, come sai, presenta oggi un interesse larghissimo tra le persone colte non meno che tra gli studiosi; e poi il Pettazzoni dà tutte le garanzie di serietà e di coscienza » n. Vallecchi non pubblicò la collana, che uscì poi, alcuni anni dopo, presso Zanichelli di Bologna.

Ma questo interessamento e questa buona disposizione del Gentile non devono trarre in inganno. Non risulta infatti che il filosofo siciliano abbia mai modificato il giudizio che della storia delle religioni e del Pettazzoni aveva formulato in due recensioni pubblicate sulla « Critica » del 1922, una dedicata a Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. I: L’essere celeste nelle credenze [...]

[...]ranzie di serietà e di coscienza » n. Vallecchi non pubblicò la collana, che uscì poi, alcuni anni dopo, presso Zanichelli di Bologna.

Ma questo interessamento e questa buona disposizione del Gentile non devono trarre in inganno. Non risulta infatti che il filosofo siciliano abbia mai modificato il giudizio che della storia delle religioni e del Pettazzoni aveva formulato in due recensioni pubblicate sulla « Critica » del 1922, una dedicata a Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. I: L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi del Pettazzoni e l’altra alla traduzione italiana della Storia delle religioni del Foot Moore. Opera « insigne » quest’ultima « che con poderoso sforzo abbraccia tutte le religioni storiche dei popoli civili, e ne traccia con discreta larghezza e copia di particolari la storia... », ma storia « da erudito... da critico... da spirito indifferente a quell’umanità, che crede di poter studiare soltanto perché se n’è tratto fuori per mettersela innanzi e poterla guardare[...]

[...]une ed eterna più che storica, ideale più che reale o contingente, onde si ha propriamente il diritto di congiungere insieme e riconnettere, per quanto è possibile, tutte le religioni in una sola storia » 12. Segue di poco a

9 Cfr. G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna 1980, p. 55.

10 Fu una di quelle cattedre, ricorda il Cantimori, istituite « allo scopo di procurare una possibilità di lavoro scientifico a uno studioso che si dedichi ad un tipo di ricerca e di indagine fino a quel momento non preveduto nell’ordinamento generale delle Università » (Conversando di storia, Bari 1967, p. 193).

11 Centro Codignola di Firenze. Carte Ernesto Codignola. Lettere di Giovanni Gentile a Ernesto Codignola. Lettera del 20.V.1925. Ringrazio Franca Gazzarri Santagostino, segretaria del Centro, per avermi segnalato questa lettera.

12 G. Gentile, La storia delle religioni, ora in La religione, Firenze 1965, appendice, pp. 453454.180

ANDREA BINAZZI

questa la recensione al libro sull 'Essere celeste. Il lavoro d[...]

[...] svolgimento » che gli permetteva di porre alla base del suo lavoro « il principio che ogni singolo fatto storicoreligioso è una formazione, e come tale lo sbocco — e quindi l’indice di uno svolgimento anteriore e insieme il punto di partenza di un ulteriore sviluppo, e un fatto storico sarà per noi sufficientemente spiegato solo quando sia debitamente inserito nella sua propria linea di sviluppo » 14. Ugo Casalegno, al quale si deve l’unico studio sistematico sul Pettazzoni finora pubblicato 15, vede in questo testo e nelle opere di questo periodo la « svolta storicista » del Pettazzoni, anche se poi si affretta a segnalare i limiti di una etichettatura di questo genere: ne rimane fuori, se non altro, proprio quell’autonomia della religione che giustifica l’intento di farne una storia a sé, senza ridurla a storia di qualcos’altro, intento che

il Croce non avrebbe mai considerato legittimo. Il filosofo napoletano, che molti anni prima aveva avuto apprezzamenti decisamente positivi per il giovane storico delle religioni quando quest’u[...]

[...]sto genere: ne rimane fuori, se non altro, proprio quell’autonomia della religione che giustifica l’intento di farne una storia a sé, senza ridurla a storia di qualcos’altro, intento che

il Croce non avrebbe mai considerato legittimo. Il filosofo napoletano, che molti anni prima aveva avuto apprezzamenti decisamente positivi per il giovane storico delle religioni quando quest’ultimo gli aveva mandato un

13 G. Gentile, ree. a R. Pettazzoni, Dio ecc., in « La Critica », xx (1922), p. 298.

14 Svolgimento e carattere della storia delle religioni, Bari 1924, p. 23.

15 U. Casalegno, Dio, esseri supremi, monoteismo nell’itinerario scientifico di Raffaele Pettazzoni, Torino [1979].RAFFAELE PETTAZZONI

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articolo sul mito 16, reagì duramente alla Lezione inaugurale, affermando categoricamente che gli studi storicoreligiosi non nascevano in Italia « per alcun bisogno né speculativo né morale, ma unicamente per bisogno di erudizione » 17. Il giudizio era aspro e definitivo e riecheggiò spesso, successivamente, nelle posizioni dei crociani a proposito della storia delle religioni e del suo fondatore in Italia.

Particolarmente severa, per esempio di una severità sorpren[...]

[...] lavoro suo e della sua scuola romana. Ne troviamo una testimonianza puntuale nelle lettere indirizzate a Ernesto Codignola in qualità di direttore della « Civiltà moderna ». AlPinizio del 1930, gli spedi un estratto delle voci da lui redatte per la seconda edizione della Religion in Geschichte und Gegenwart, insieme a una lettera dove gli proponeva che i suoi scritti fossero recensiti sulla rivista:

... Io sto battagliando da tempo contro studiosi stranieri intorno al concetto di monoteismo e al suo sviluppo nella storia delle religioni. Recentemente ho avuto modo di far conoscere largamente le mie idee in proposito, avendo avuto Pincarico di scrivere Particolo « Monoteismo » e « Monolatria » per la più diffusa enciclopedia tedesca di scienze religiose, di cui ora si pubblica la seconda edizione. Che all’estero certi problemi trovino maggiore interesse che da noi è noto. Ma che proprio debbano restare inosservati in Italia non è giusto. Per ciò le mando Pestratto contenente il mio articolo con la speranza che « La Civiltà Moderna » p[...]

[...]ttazzoni, e a ragione, la più nota fuori d’Italia. Nel 1934, in un post scriptum, chiede al Codignola: « Quando uscirà la recensione di Salvatorelli sulla mia Confessione dei peccati nella "Civiltà moderna”? »22. Pettazzoni aveva ormai cinquantanni, da circa dieci era ordinario di storia delle religioni; nel 1925 aveva fondato « Studi e materiali di storia delle religioni », la rivista sua e della sua scuola romana. Sorprende, perciò, che uno studioso come lui, autore di una vasta produzione scientifica, sentisse il bisogno, non soltanto di sollecitare una recensione a una rivista cosa di per se stessa non particolarmente degna di nota ma di farlo lamentandosi dell’indifferenza che circondava i problemi storicoreligiosi in Italia. Il Codignola inviò gli scritti sul monoteismo e poi, Panno successivo, la traduzione

20 L'onniscienza di Dio, Torino 1955, p. x.

21 Centro Codignola di Firenze. Carte Ernesto Codignola. Lettere di Raffaele Pettazzoni a Ernesto Codignola. Lettera del 26.ii.1930.

22 Ivi. Lettera del 29.iu.1934. Il Salvatorelli aveva recensito nel 1933 YAllwissende (cfr. «Civiltà moderna», v (1933), pp. 196198).RAFFAELE PETTAZZONI

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tedesca del saggio sulla religione nazionale del Giappone ad Antonio Banfi che ne scrisse due recensioni attraverso le quali propose una lettura meno scontata di quelle alle quali si è fatto riferimento prima, da un lato sottolineando « il carattere ben rilevato dal Pettazzon[...]

[...]le originalità di una viva esperienza prettamente religiosa »23 e dall’altro cogliendo felicemente l’originalità del metodo seguito dal Pettazzoni nel ricostruire un aspetto fondamentale della vita religiosa del popolo giapponese.

Lo scritto del Pettazzoni, ricco di dottrina, limpido nel disegno delle linee fondamentali del processo storico, luminoso ed insieme equilibratissimo e prudente nell’uso del metodo di comparazione è un modello di studio della vita religiosa di un popolo il cui processo è riconosciuto nel suo rapporto allo sviluppo generale della cultura e le cui forme, lungi dall’essere definite secondo astratte e indeterminate categorie della religiosità, sono colte nella loro concreta e complessa interiore contaminazione di motivi24.

Resta comunque la netta sensazione che il Pettazzoni proceda per conto proprio, in stretta relazione con le grandi fonti della conoscenza dei fatti religiosi, con gli autori classici, con gli storici delle religioni, gli etnologi e gli antropologi stranieri25. Gli interlocutori del suo dial[...]

[...]le è quello di ricostruire le religioni, o alcuni aspetti di esse, tenendole dentro la civiltà di cui non sono altro che una forma. Nella prefazione alla prima edizione della Religione nella Grecia antica, si era limitato a segnalare che il suo interesse andava a quei particolari momenti di crisi che avrebbero potuto dare luogo a « un rinnovamento originale della religione », com’era stato quello caratterizzato dal manifestarsi della religiosità dionisiaca26. Trent’anni dopo, nell’introduzione all’edizione del 1953 della stessa opera, il Pettazzoni precisa invece che una delle idee generali che gli si sono venute chiarendo nel tempo è che la religione è « una forma della civiltà, e storicamente non s’intende se non nel quadro di quella particolare civiltà di cui fa parte, e in organica connessione con le altre sue forme, quali la poesia, l’arte, il mito, la filosofia, la struttura economica, sociale e politica: concezione ovvia, che fu già variamente applicata allo studio della civiltà europea e, più recentemente, allo studio delle civil[...]

[...] opera, il Pettazzoni precisa invece che una delle idee generali che gli si sono venute chiarendo nel tempo è che la religione è « una forma della civiltà, e storicamente non s’intende se non nel quadro di quella particolare civiltà di cui fa parte, e in organica connessione con le altre sue forme, quali la poesia, l’arte, il mito, la filosofia, la struttura economica, sociale e politica: concezione ovvia, che fu già variamente applicata allo studio della civiltà europea e, più recentemente, allo studio delle civiltà primitive » (pp. 910). Certo, si tratta di una enunciazione generalissima, ovvia dice l’autore, insoddisfacente anche, potremmo aggiungere noi, perché quell’« organica connessione » indica un orizzonte generale entro cui muoversi, non davvero un modello esplicativo. Ma va tenuto presente da dove si parte, va tenuto conto delle teorie con le quali il Pettazzoni ha dovuto porsi in relazione e anche di un movimento interno che sembra avere caratterizzato sempre il suo pensiero. Evoluzionismo, comparativismo tipologico, teoria del monoteismo originario non consideravano la connessio[...]

[...] concorrenti allo stesso fine. Il quale è dunque in primo luogo quello di cacciare, di espellere, di separare, di interporre una distanza, di alzare una barriera; e, quando il mezzo prescelto è la lapidazione, può avvenire che il lapidato resti ucciso; ma non è questo lo scopo originario del lapidare... (ivi, pp. 2223).

Non è importante qui discutere sulla validità o meno della conclusione

28 La «grave mora» (Dante, Purg., 3, 127 sgg.): studio su alcune forme e sopravvivenze della sacralità primitiva, in « Studi e materiali di storia delle religioni », I (1925), p. 8.186

ANDREA BINAZZI

tratta, ma limitarsi a segnalare il tipo di analisi che l’ha resa possibile. Nella prefazione al primo volume della Confessione dei peccati ritorna su alcune questioni generali: « La ricerca, condotta nel senso della storia delle religioni, tende a disegnare lo svolgimento della pratica confessionale in necessaria connessione con lo svolgimento dell’idea religiosa di peccato. Anzi che distribuita in uno schema tipologico, la materia è lasciata[...]

[...]e il peccato sarebbe connotato esclusivamente in senso etico.

29 La confessione dei peccati, voi. i, Bologna 192936, p. ix.RAFFAELE PETTAZZONI

187

Quando scrive, nel 1945, il breve saggio su Monoteismo e « Urmonotheismus » dove riassume con precisione e con chiarezza in quali termini fosse venuta modificandosi Poriginaria impostazione del problema e individua il punto di svolta nelPimportanza crescente che venne assumendo per lui lo studio degli attributi divini (« ... lo studio degli attributi doveva condurmi più lontano »), il Pettazzoni sembra scavare dentro le connessioni della religione con le altre forme della civiltà e con la società riallacciandosi anche al suo primo lavoro sulla religione greca con quella efficace e precorritrice analisi del mito dionisiaco che vi era contenuta. Viene da pensare alle ricchissime descrizioni della Confessione, all’insistenza sulla specificità delle sue diverse forme quando si legge, in Monoteismo e « Urmonotheismus » : « venni persuadendomi sempre più che la identità e l’unicità di natura degli esseri supremi era da abbandonare ... e che non tutti gli attributi appartenevano necessariamente a ciascun essere supremo, ma quale all’uno e quale all’altro secondo la sua natura. Né questa natura, con i suoi propri attributi è casuale e fortuita, ma condizionata essa stessa dall’ambiente culturale in cui ciascun [...]

[...]ta natura, con i suoi propri attributi è casuale e fortuita, ma condizionata essa stessa dall’ambiente culturale in cui ciascun essere supremo si è formato »30. L’etnologia31, parente stretta della storia delle religioni, dovrà assumersi il compito di « verificare e determinare » gli ambienti e le culture da cui si originano gli attributi.

L’opera dove questo punto di vista trova la sua espressione più esauriente è senz’altro L’onniscienza di Dio che vide la luce nel 1955 nella Collana di studi religiosi, etnologici e psicologici dell’editore Einaudi, forse uno di quei « tre titoli in cinque anni » a cui accenna sbrigativamente Pavese nel 1949 in una lettera a Ernesto De Martino, il « padre putativo » della collana (« Con Pettazzoni, saprai che ci siamo intesi. Tre titoli in cinque anni »32). In questo testo l’autore è come se facesse i conti con il suo lavoro precedente e anche con le principali posizioni del secolo nel campo della storia delle religioni, in particolare con quella corrente del

30 Monoteismo e « Urmonotheismus », i[...]

[...]sembra insopprimibile, nel campo dell’indagine antropologica ed etnologica, questa tentazione del mettere a confronto le culture e le religioni e le società in modo tanto più appassionato quanto più esse sono lontane tra loro, quasi per un bisogno di sintesi, o forse di possedere una chiave di lettura unica.

La « mitologia comparata » sorta a seguito della rivoluzione copernicana prodotta dall’applicazione, nel 1800, della linguistica allo studio della mitologia, approdava alla conclusione che tutti i popoli della famiglia indoeuropea possiedono un dio del cielo che assume la forma greca, quella indiana, ecc. Di fronte ad essa si eleva l’altrettanto suggestivo universalismo della comparazione estesa a tutti i popoli, indipendentemente dalla famiglia linguistica alla quale appartengono. « Fra queste due posizioni antitetiche, cioè fra il particolarismo della “mitologia comparata”, applicata soltanto a ciò che è linguisticamente comparabile e l’universalismo indiscriminato della comparazione antropologica, estesa a tutto ciò che è formalmente ed esteriormente comparabile, c’è posto per una terza via che, badando alle differenze non meno che a[...]

[...]er una terza via che, badando alle differenze non meno che alle somiglianze, eserciti la comparazione su tutto e soltanto ciò che è comparabile storicamente, perché appartiene a civiltà omogenee »33. Il Pettazzoni esprime in questi termini quella che chiama « rivalutazione storicistica del comparativismo » e precisa più analiticamente, tornando al motivo degli attributi: « L’attributo dell’onniscienza è una nota costante che accompagna l’idea di Dio nel suo svolgimento: non l’idea astratta di Dio in un teorico svolgimento uniforme (secondo lo schema evoluzionistico dei tre gradi, animismo, politeismo, monoteismo), bensì una particolare idea di dio, culturalmente condizionata nella sua formazione e storicamente differenziata nel suo sviluppo » (ivi, p. 635). E più avanti, sempre più nettamente: « L’idea primitiva dell’Essere supremo non è un assoluto a priori. Essa sorge nel pensiero umano dalle condizioni stesse dell’esistenza umana, e poiché le condizioni variano nelle diverse fasi e forme della civiltà primitiva, varia anche in seno a queste la forma dell’Essere supremo » (ivi, pp. 648649).

Aveva dunque ragione il Pettazzoni ad affermare che lo studio degli attributi divini lo aveva portato lontano e aveva ben visto, moltissimi an[...]

[...]ifferenziata nel suo sviluppo » (ivi, p. 635). E più avanti, sempre più nettamente: « L’idea primitiva dell’Essere supremo non è un assoluto a priori. Essa sorge nel pensiero umano dalle condizioni stesse dell’esistenza umana, e poiché le condizioni variano nelle diverse fasi e forme della civiltà primitiva, varia anche in seno a queste la forma dell’Essere supremo » (ivi, pp. 648649).

Aveva dunque ragione il Pettazzoni ad affermare che lo studio degli attributi divini lo aveva portato lontano e aveva ben visto, moltissimi anni prima, il Banfi quando gli aveva riconosciuto il merito di aver colto le forme della vita religiosa di un popolo « nella loro concreta e complessa interiore contaminazione di motivi » guardandosi da definirle « secondo

33 Vonniscienza di Dio, cit., pp. 632633.RAFFAELE PETTAZZONI

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astratte e indeterminate categorie della religiosità » M. Perché il problema, alla fine, si riduce a questo, di vedere se e come è possibile mantenere contemporaneamente l’esigenza di ricostruire la genesi storicoculturale dei diversi aspetti della vita religiosa di un popolo o dei diversi attributi del divino e quella della comparazione tra le religioni e le culture. Il Pettazzoni lo risolve sottolineando il fatto che la religione è una forma della civiltà e che perciò la comparabilità non è fra le religioni, come se ci fosse una universale re[...]

[...]mparata soltanto la forma greca dell’essere supremo celeste comune a molti popoli nomadi ed allevatori » (p. 15). Ma in questa introduzione il discorso va oltre, e il quadro d’insieme dell’interpretazione delle divinità greche viene riplasmato, anche se il Pettazzoni sembra preoccupato di presentarlo come uno sviluppo di temi già presenti nell’edizione del 1921. Qui aveva «accennato» (ivi, p. 17) alla connessione delle divinità rivali, Demetra e Dioniso, con la vita materiale e spirituale dei contadini. Ora aggiunge, in termini nuovi: « Nella colleganza delle due divinità si riflette un determinato complesso di condizioni economiche e di rapporti sociali... Se è vero che la religione è una forma della civiltà, organicamente solidale con le altre forme, è ovvio che ci sia un rapporto anche tra la vita religiosa e la vita sociale, anche tra le religioni e la struttura economica della società » (ivi, pp. 1617).

34 A. Banfi, ree. cit., p. 806.190

ANDREA BINAZZI

Si tratta di riflessioni e di considerazioni chiaramente riconducibili [...]

[...] l'ideologia tedesca, opera di certo non identificabile attraverso quei termini, c’è il rifiuto, sul piano generale, di una spiegazione dell’origine della religione e dell’origine delle classi sociali a partire dall’economia intesa come « valore fondamentale » e il desiderio di riprendere immediatamente a dimostrare che l’origine di tutte le forme di differenziazione tra gli uomini e tra le classi è storicoculturale. Tornando infatti a Demetra e Dioniso, Pettazzoni precisa che in realtà sono dei che appartengono a una religione « diversa dall’olimpica, ricca di esperienze e spiriti suoi propri, intimamente connessa con la vita agricola e con le vicende della vegetazione, legata ad una particolare condizione economico sociale e radicata [sottolineatura nostra] nella tradizione culturale di un substrato etnico che sopravvive in una classe inferiore mentre la classe superiore è erede di tutt’altra tradizione religiosa, portata da un diverso fattore etnico, culturale e sociale » (ivi, p. 21).

D’altra parte, sia la riproposizione di opere[...]

[...]altra parte, sia la riproposizione di opere concepite in tempi lontani, sia il completamento e perfezionamento di linee di ricerca avviate decenni prima, sia il concepimento di nuove prospettive di indagine, sono la testimonianza che, pur nel permanere di una linea fondamentale di continuità, il pensiero del Pettazzoni fu sempre caratterizzato da un notevole movimento. Un esempio molto chiaro è rintracciabile nella struttura dell’O/zniscienza di Dio dove è sensibilmente modificato il progetto concepito negli anni Venti. Si passa dallo studio del monoteismo (la sua « formazione » e il suo « sviluppo ») al progressivo concentrarsi dell’attenzione sugli attributi divini e soprattutto su quello dell’onniscienza con uno spostamento che, se non impedisce di considerare questo lavoro come il « coronamento » della ricerca prima pianificata, tuttavia la concentra « definitivamente... su l’attributo dell’onniscienza divina come complesso ideologico e come esperienza religiosa ».

Come riprova della fecondità di questa direzione assunta dalla ricerca,RAFFAELE PETTAZZONI

191

ma anche per spiegare una diffidenza molto accentuata vers[...]

[...]tico del modo di procedere del Pettazzoni. Le fonti letterarie, artistiche, iconografiche vengono utilizzate con grande equilibrio e armonia, per il contributo che ognuna può dare per l’interpretazione di questa famosa divinità. C’è tutta una tradizione secondo la quale, com’è noto, Giano sarebbe il nume della ianua e il suo bifrontismo non sarebbe che un riflesso delle due facce della porta. Da qui discenderebbe anche il carattere di Giano come Dio dell’inizio, del cominciamento: nei miti spesso Giano è primo re del Lazio, fondatore di templi, coniatore di monete, ecc. Il Pettazzoni vuol invece dimostrare che questi attributi non sono quelli originari di Giano e che, come farà vedere anche meglio qualche anno dopo occupandosi in modo specifico della iconografia di questa divinità, l’averglieli attribuiti è il risultato di un’operazione del tutto ideologica, sovrapposta al concreto, storico svolgersi del culto di questo dio. Era infatti molto diffusa una teoria generale riguardo alla religione romana « secondo la quale le divinità romane[...]

[...]: nei miti spesso Giano è primo re del Lazio, fondatore di templi, coniatore di monete, ecc. Il Pettazzoni vuol invece dimostrare che questi attributi non sono quelli originari di Giano e che, come farà vedere anche meglio qualche anno dopo occupandosi in modo specifico della iconografia di questa divinità, l’averglieli attribuiti è il risultato di un’operazione del tutto ideologica, sovrapposta al concreto, storico svolgersi del culto di questo dio. Era infatti molto diffusa una teoria generale riguardo alla religione romana « secondo la quale le divinità romane sarebbero state originariamente sentite come vaghe manifestazioni di una numinosità diffusa nella natura o concentrata su certi determinati oggetti materiali, e solo in processo di tempo, al contatto e per influenza della religione greca e dell’arte greca, quei primitivi numi avrebbero cominciato ad assumere contorni precisi, secondo i tipi iconografici delle divinità greche assimilate »35. Giano come Terminus, Fons e Vesta, insomma.

Il Pettazzoni non vuol discutere questa te[...]

[...] quanto riguarda il cominciamento, gli autori classici gli attribuiscono una posizione di costante precedenza nella liturgia, e che nel calendario « era sacra a Giano la prima festa dell’anno ». Com’è possibile, allora, ammettere che tutte queste « norme e consuetudini » possano essere « entrate nella tradizione religiosa, nel diritto sacro, nella prassi liturgica, semplicemente in virtù di un dato ideologico, cioè della concezione di Giano come dio di ogni cominciamento, ricavata ecc. ecc. »? È necessaria senz’altro qualche correzione. Intanto la « priorità temporale di Giano, difficilmente riconducibile ad un complesso spaziale puntualizzato nel ianus

35 Per l}iconografia di Giano, in « Studi Etruschi», xxiv (195556), p. 89.192

ANDREA BINAZZI

o nella ianua, ci appare in una luce nuova se riferita a Giano come Dio del tempo ». In alcune monete poi del m secolo a.C. la testa di Giano è sostituita da una ruota a raggi (simbolo solare), mentre sull’altra faccia compaiono simboli astrali, « per lo più la mezzaluna accompagnata da una stella, cioè dal pianeta Venere come stella della sera »36. Se poi a tutto questo si aggiunge che presso altre religioni gli esseri solari sono bicefali o tricefali e come tali vedenti davanti e di dietro, cioè da ogni parte, allora si capisce, secondo il Pettazzoni, come il bifrontismo e l’inizialità « risultano radicati nella originaria natura solare del dio, anziché dipende[...]

[...]sull’altra faccia compaiono simboli astrali, « per lo più la mezzaluna accompagnata da una stella, cioè dal pianeta Venere come stella della sera »36. Se poi a tutto questo si aggiunge che presso altre religioni gli esseri solari sono bicefali o tricefali e come tali vedenti davanti e di dietro, cioè da ogni parte, allora si capisce, secondo il Pettazzoni, come il bifrontismo e l’inizialità « risultano radicati nella originaria natura solare del dio, anziché dipendenti dal suo svolgimento secondario in dio della ianua » (ivi, p. 256).

Ma tutta YOnniscienza riporta anche in primo piano la questione del comparativismo e della scienza delle religioni. Il modo stesso in cui, con il consueto tono dimesso, il Pettazzoni riassume, nella prefazione al volume, il metodo del lavoro, mantiene aperto il problema e, con esso, la tensione (che è anche oscillazione) tra i momenti nei quali la religione è storia della religione e quelli dove essa si presenta come oggetto di possibile indagine scientifica. Come era accaduto per La confessione dei peccati, anche questo lavoro « è condotto... sui due piani dis[...]

[...]vera, è che la fenomenologia riconosce bensì il valore strumentale della storia, ma idealmente tende a trascendere la storia erigendosi a scienza religiosa a sé, distinta dalla storia. Ciò che manca alla fenomenologia religiosa, ciò che essa esplicitamente ripudia, è l’idea di svolgimento »37. In antitesi a questa fuorviante interpretazione fenomenologica si collocherebbe quella storicistica che assume come centrale l’idea

36 L’onniscienza di Dio, cit., p. 250.

37 II metodo comparativo, ora in Religione e società, cit., p. 107.RAFFAELE PETTAZZONI

193

di svolgimento, ma che approda a « una storiografia senza adeguata sensibilità religiosa ». Il Pettazzoni non ritiene che le due posizioni si escludano a vicenda, ma che possano rivelare la loro complementarità entro « una comparazione che, superando il momento descrittivo e classificatorio, valga a stimolare il pensiero alla scoperta di nuovi rapporti e all’approfondimento della coscienza storica ».

Se la consistenza teorica di questa conclusione non è del tutto soddisfacent[...]

[...]avoro di Mario Gandini, II contributo di Raffaele Pettazzoni agli studi storicoreligiosi: appunti per una bibliografia, in Raffaele Pettazzoni e gli studi storicoreligiosi in Italia, scritti di E. De Martino, A. Donini, M. Gandini, Bologna 1969, pp. 145. Del Gandini vedi anche II punto sugli studi pettazzoniani, in idoc internazionale [mensile di documenti e studi in una prospettiva internazionale], xiv (1983), pp. 5458. A questo appassionato studioso del Pettazzoni va il mio ringraziamento per il molto materiale che mi ha generosamente fornito e che ha agevolato il mio lavoro.

Per la bibliografia, ci si deve riferire anche a quella che completa il libro di Ugo Casalegno citato nel testo.

La religione primitiva in Sardegna, Piacenza 1912; La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell'Iran, Bologna 1920; La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Bologna 1921 (n ed., Torino 1953); Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. i: L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, [...]

[...]i va il mio ringraziamento per il molto materiale che mi ha generosamente fornito e che ha agevolato il mio lavoro.

Per la bibliografia, ci si deve riferire anche a quella che completa il libro di Ugo Casalegno citato nel testo.

La religione primitiva in Sardegna, Piacenza 1912; La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell'Iran, Bologna 1920; La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Bologna 1921 (n ed., Torino 1953); Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, voi. i: L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, Roma 1922; I misteri: saggi di una teoria storicoreligiosa, Bologna 1924; Svolgimento e carattere della storia delle religioni, Bari 1924; La confessione dei peccati, Bologna 192936; Religione e politica religiosa nel Giappone moderno, Roma 1934; Saggi di storia delle religioni e di mitologia, Roma 1946; Divinità del paganesimo degli antichi popoli europei. Le scritture sacre, Roma 194546; hliti e leggende, Torino 19481963; Nozioni di mitologia, a cura di E. Cerull[...]

[...] Roma 1946; Divinità del paganesimo degli antichi popoli europei. Le scritture sacre, Roma 194546; hliti e leggende, Torino 19481963; Nozioni di mitologia, a cura di E. Cerulli e A. Becattini, Roma 194849; Mitologia e monoteismo, a cura di studenti universitari, Roma 195051; Italia religiosa, Bari 1952; Le religioni misteriche nel mondo antico, a cura dell’assistente, Roma 195253; Essays on thè History of Religions, Leiden 1954; L’onniscienza dì Dio, Torino 1955; L’essere supremo nelle religioni primitive (L’onniscienza di Dio), Torino 1957; Letture religiose, Firenze 1959; Religione e società, a cura di M. Gandini, prefazione di V. Lanternari, Bologna 1966.



da Vittorio Lanternari, Religione, società, politica nell'Africa Nera avanti e dopo l'indipendenza in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...] sarebbe vera ironia se l'ultimo atto di una distruzione preparata con tanta cura sebbene inconsciamente dalle potenze coloniali, dovesse venire dagli Africani stessi, per non saper valutare essi la loro immensurabile eredità u (2).
Poiché l'Africa Nera è terreno di uno dei fenomeni più interessanti e attuali dell'antropologia sociale e religiosa — precisamente il fenomeno dei movimenti socialreligiosi —, ed essa offre ampio materiale per lo studio di alcuni problemi fra i più attuali della storia e sociologia religiosa, presentiamo per sommi capi alcuni di questi principali problemi, cioè : 1) i rapporti tra movimenti religiosi e sviluppo socioculturale; 2) il rapporto fra religioni nuove e movimenti politicosociali; 3) i rapporti fra politica e re
nei paesi di recente indipendenza.
La prima parte del nostro discorso riguarda sincretismi
e messianismi. Essa appare a suo modo più agevole e matura, perché la letteratura esistente è cosi vasta, sia per settori etnografici particolari sia per la parte comparativa, che ci sembra giunto i[...]

[...]non necessariamente si trova in tutti i culti la persona del salvatore divino» (4).
Dunque i due termini non coprono l'intera realtà dei nuovi movimenti religiosi africani. Esistono in realtà tanti sincretismi differenti fra loro, quante sono le nuove religioni, anzi le fasi di sviluppo di ciascun movimento religioso. Quanto ai messianismi, ne esiste un tale numero ed una varietà così grande, ché noi stessi ne abbiamo fatto, altrove (5), uno studio più preciso, e autori come Shepperson, Baeta ecc, distinguono i messianismi « personali » da quelli « impersonali » (6).
(3) BASTIDE 1959, 440.
(4) PAULME, Cah. Et. Afr. 1962, 6.
(5) LANTERNARI, McSSiariiSM.
(6) SHEPPERSON, 1962, 47.
RELIGIONE, SOCIETÀ, POLITICA ECC. 147
Piuttosto ci chiediamo: quali altri movimenti religiosi nuovi, non sincretisti e non messianici, si sono prodotti nell'Africa Nera ? In quale rapporto stanno essi con quelli sincretisti? Ne ricordiamo alcuni a mó d'esempio. Dopo 'il 1900 fra gli Ascianti del Ghana si diffuse una serie di grandi movimenti, dei quali ci d[...]

[...]etismo precisamente a formale », benché nel contesto di un millenarismo assai complesso (24).
Proprio due secoli dopo nasce fra i Bakongo il Kimbangismo. Il sincretismo kimbangista, di tutt'altra natura, rompe la tradizione religiosa e dà avvio ad un processo di rinnovamento generale. L'antifeticismo proclamato da Kimbangu, l'uso e la conoscenza della Bibbia, la liturgia fondata su canti biblici, il battesimo, la confessione, l'idea di un unico Dio, la 'latta contro la poligamia sono tratti rivoluzionari. Ma accanto ad essi altri tratti .provengono dalla tradizione, la quale anzi é rivivificata. Casi rivive il culto dei morti, con l'attesa d'un prossimo loro ritorno come apportatori della nuova età di benessere e di libertà; rivive il culto di guarigione di cui il profeta stesso, con i suoi poteri taumaturgici, é il supremo esponente. Rivive nel Kimbangismo l'Essere supremo tradizionale, che però s'identifica con il Dio giudaicocristiano. Tornano con nuova intensità i riti di possessione con danze, canti, manifestazioni acrobatiche. Que[...]

[...]mia sono tratti rivoluzionari. Ma accanto ad essi altri tratti .provengono dalla tradizione, la quale anzi é rivivificata. Casi rivive il culto dei morti, con l'attesa d'un prossimo loro ritorno come apportatori della nuova età di benessere e di libertà; rivive il culto di guarigione di cui il profeta stesso, con i suoi poteri taumaturgici, é il supremo esponente. Rivive nel Kimbangismo l'Essere supremo tradizionale, che però s'identifica con il Dio giudaicocristiano. Tornano con nuova intensità i riti di possessione con danze, canti, manifestazioni acrobatiche. Questa sintesi di tradizione e d'innovazione, il Kimbangismo, ha un tono
(24) JADIN 1961.
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 155
decisamente emancipazionista. Lo mostrava i1 profeta scegliendo dalla Bibbia i passi che più si prestavano a reintepretazioni antioccidentali; tipico l'episodio di David e Golia divenuto allegoria della lotta dei negri coi bianchi. Lo indicava anche con l'annuncio dell'imminente liberazione (pacifica secondo il profeta) dai bianchi.
L'emancipazionismo del movimento Kimbangista doveva poi trovare ulteriore alimento nelle persecuzioni, nella prigionia del fondatore. Il profeta, mitizzato, divenne un messia e si attese che egli tornasse e instaurasse il millennio o età daPoro. La morte di Matsua, altro «eroe» Kimbangista, avrebbe alimentato tali aspettazioni messianiche.
Fin qui la fase emancipazionista d'un movimento che ha un seguito ben diverso e p[...]

[...]ME, Cah. Et. Afr., 1962.
RELIGIONE, SOCIETÀ, POLITICA ECC. 157
teriore osservazione: per apprezzare di qual forma concreta di sincretismo volta per volta si tratti (se « formale » « emancipazionista », « autonomista » o altro ancora) non basta considerare e «dosare» soltanto gli elementi del rito e dell'ideologia religiosa. Bisogna considerare tutti gli aspetti della religione, non esclusa p. es. la mitologia. Denise Paulme, in un perspicuo studio sulla religione Deima della Costa d'Avorio, ha mostrato che può coesistere una sostanziale cristianizzazione dell'etica tribale (con richiamo al principio di fraternità universale) e del culto (eliminazione del feticismo, dei sacrifici, di feste orgiastiche ecc.) in sieme con un rinnovamento della mitologia e della concezione del mondo tradizionale. Basti dire che, nella religione Deima, Gesù è ritenuto figlio di Dio e contemporaneamente é reinterpretato come una specie di trickster o eroebuffone, autore di quell'« errore» primordiale che diede origine alla morte e alle malattie, insomma quasi d'un «peccato originale ». In ciò si può forse vedere una reinterpretazione della «situazione coloniale ». Georges Balandier ha sottolineato il significato ideologico e politico della mitologia sincretista (26).
Siamo in grado ora di trarre una conclusione. Vi sono autori, come il Guariglia, che seguono un metodo tipologico astratto, cioè uniscono e dividono comparativamente fra loro :i movimenti religiosi prendend[...]

[...]ti! ». E così viene affermato uno dei tratti caratteristici del movimento: il preteso ritorno all'innocenza originaria, con riunioni notturne e promiscue. Invece il grande movimento rhodesiano coevo della profetessa Lenshina (1954), antistregonista e antifeticista, di guarigione, antimissionario, deve molte sue caratteristiche alla formazione presbiteriana della fondatrice, alla sua esperienza personale di «morte» e resurrezione, alla visione di Dio da lei ricevuta (29). Inoltre i movimenti e i profeti possono influenzarsi fra loro: per es. ciò é avvenuto per le (( sette spirituali » del Ghana e della Nigeria (30).
Altre volte noi conosciamo movimenti religiosi che si pre
sentano come effervescenze solitarie: questo può anche dipendere da insufficienza di notizie, se mancano studi storici dettagliati e
locali circa i precedenti e gli eventuali sviluppi. Ignoreremmo
gli importanti precedenti delle attuali chiese separatiste del Nyassa se non avessimo lo studio fondamentale di Shepperson;
ignoravamo i precedenti delle attuali chiese s[...]

[...]arsi fra loro: per es. ciò é avvenuto per le (( sette spirituali » del Ghana e della Nigeria (30).
Altre volte noi conosciamo movimenti religiosi che si pre
sentano come effervescenze solitarie: questo può anche dipendere da insufficienza di notizie, se mancano studi storici dettagliati e
locali circa i precedenti e gli eventuali sviluppi. Ignoreremmo
gli importanti precedenti delle attuali chiese separatiste del Nyassa se non avessimo lo studio fondamentale di Shepperson;
ignoravamo i precedenti delle attuali chiese separatiste del Kenya prima che Welbourn non ce ne avesse reso nota in dettaglio la storia.
Come s'è detto e meglio si vedrà oltre, vi sono movimenti sincreti'sti e millenaristi largamente influenzati dal cristianesimo, che seguono un processo di «ripaganizzazione »: essi ritornano a
(29) CHÉRY 1959; ROTBERG 1961; OUR 1962; Rim, 1959; TAYLORLEHMANN 1961, 248270.
(30) BAETA 1961, 130.
160 VITTORIO LANTERNARI
forme tradizionali, spesso riducendo fortemente il loro contenuto cristiano. Questa recrudescenza di forme re[...]

[...]età. D'altra parte le stesse chiese in questa fase di «sincretismo» particolarmente avanzato, divengono centri promotori di ulteriore sviluppo economico, tecnico, sanitario, educativo (35). La comparazione d'altronde indica ca me si formino prevalentemente culti neotradizionali o si ripaganizzino culti già sincretisti e nativisti fra le popolazioni in cui si ha ristagno della situazione economicopoliticosociale (p. esempio Melanesia, America meridionale). Al contrario dove é in atto un rinnovamento economicosocialepoliticoculturale, specie in ambiente urbano, (Africa meridionale e occidentale, Congo exbelga, Kenya, Uganda ecc.) aumentano di vigore le chiese separatiste e autonomiste, con un indirizzo sempre più integrista.
Messianismi.
Fin qui del sincretismo africano. Anche per il messianismo si dovrebbe ripetere un discorso parallelo, che accenno solo di
(34) SUNDILER 1961, 302.
(35) SUND%LER 1961, 307310.
162 VITTORIO LANTERNARI
scorcio. Esistono, come visto, nuovi movimenti religiosi «amessianici ». Fra quelli messianici poi si danno le forme di messianismo più varie. In quelle «classiche» (del filone cristianoislamico) si attende il ritorno del fondato[...]

[...]aspetto e l'ansia di una salvezza messianica (40). Fra i negri del Brasile durante il periodo schiavista era diffuso il messianismo del «ri
(36) SHEPPERSON 1962, 146.
(37) Sectes nouvelles en Angola, 1961.
(38) LANTRRNARI, Messianism.
(39) SEEPPERSON 1962, 147.
(40) SIMPSON 1962.
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC, 163
torno all'Africa ». Esso si fondeva con l'attesa di un mondo escatologico dopo morte. Perciò frequenti erano i casi di suicidio fra i negri. Il suicidio era per essi un mezzo per ritornare in Africa, attraverso il ricongiungimento della propria anima col mondo dei morti, che é dall'altra parte dell'Oceano. L'attesa del «ritorno)) si proietta, in questo caso, nell'aldilà (41).
Di fronte a tanti messianismi differenti, un problema fondamentale per noi é di verificare possibilmente se questo o quel tipo di messianismo corrisponda ad un terreno storicoculturale suo proprio differente dagli altri, e quale sia questo terreno. Per esempio in altra sede mi é parso d'identificare l'origine storicoculturale di quel tema messianico che si fonda sull'at[...]

[...]alle conseguenze di questo atteggiamento, il fanatismo filooccidentale fu l'inizio di una crisi fra le piú gravi e compromettenti. Infatti da allora fra i giovani crollò la morale tradizionale, mentre nessun elemento dell'etica cristiana sostituiva in realtà i valori respinti. La corruzione dei costumi, l'incremento dello scetticismo e della delinquenza completano il quadro di questa crisi. In particolare, l'idea introdotta dai missionari di un «Dio che perdona» ha mal sostituito l'idea tradizionale di un Essere supremo castigatore dei trasgressori. Infatti, convinti di crearsi l'impunità per ogni sorta di azioni immorali e di vincere qualsiasi potenza avversa, molti individui si mettono indosso una croce ed altri pregano o sacrificano allo Spirito Santo, certi tosi di ottenere il perdono.
Come si vede, l'introduzione di un'idea o dogma sia pure elevato come quello della grazia divina, originariamente estraneo alla cultura ricevente, dà luogo a reinterpretazioni del tutto eterodosse e ingenue; inoltre essa può essere controproducente al[...]

[...]ome quello della grazia divina, originariamente estraneo alla cultura ricevente, dà luogo a reinterpretazioni del tutto eterodosse e ingenue; inoltre essa può essere controproducente al punto da ingenerare o incrementare il collasso etico,sociale. In questo caso la società, per le condizioni generali dell'ambiente e della cultura, non è evidentemente matura a ricevere quell'idea o quel dogma senza falsarlo e senza farne perfino strumento di suicidio sociale (57).
Dunque la cieca ripulsa della cultura tradizionale e la incondizionata imitazione, puramente esteriore, di una cultura superiore, è una reazione possibile e reale delle culture negre africane al contatto europeo: ma è una reazione distruttiva ed effimera, perché in essa non v'é creazione « endogena » di nuovi valori. Oggi gli Anang aderiscono con uno spirito autonomo al cristianesimo dei missionari ed hanno le loro chiese autonomiste,
(57) Altri casi di disintegrazione socioculturale conseguente all'imitazione indiscriminata della cultura occidentale da parte di società o grup[...]

[...] da parte di società o gruppi indigeni sono stati da me raccolti nella comunicazione presentata al VII Congresso Internazionale di Scienze antropologiche ed etnologiche, Mosca, Ago. 1964, col titolo: Crise et désintégration culturelle dans le processus d'acculturation.
170 VITTORIO LANTERNARI
principale la Christ Army Church. Essa é fondata sul culto di guarigione dei malati, sull'antistregonismo, sull'attesa millenarista del trionfo finale di Dio su Satana (Ata Abassi degradato), con liberazione dalla paura e dalla magia.
Si é visto fin qui qual'é il posto che i sincretismi occupano fra le risposte che le culture negre dell'Africa danno alla civiltà occidentale. In conclusione, gli asincretismi hanno un ruolo culturale conservatore ed effimero; i movimenti d'imitazione occidentale con disprezzo verso la tradizione un ruolo falsamente progressivo, ed anzi distruttivo. Solamente dai sincretismi prende avvio un reale rinnovamento della cultura in tutti i suoi aspetti: rinnovamento che assume anche aspetti insurrezionali.
I sincretismi [...]

[...]i. E' giusto chiedersi, a questo punto, quali siano i caratteri propri dei nuovi movimenti religiosi dell'Africa Nera, in relazione ai movimenti di livello etnologico in genere.
Attenendomi ai risultati del mio lavoro (61) nonché della abbondante letteratura apparsa in questi ultimi anni, ecco le principali tendenze. In primo luogo, un complesso religioso tradizionale o precristiano, che comprende: la figura d'un Essere supremo identificato col dio giudiacocristiano; il tema del ritorno dei morti e il culto funerario, reinterpretati nel contesto di un rinnovamento escatologico e cosmico definitivo; il principio di guarigione magica; le pratiche taumaturgiche e di pos sessione che improntano sia l'azione dei profeti sia i servizi religiosi; inoltre vari elementi mitici particolari: il tutto riportato a fondamento d'una reinterpretazione più o meno «paganizzata » del cristianesimo. In secondo luogo, un complesso antistregonista e antifeticista che da un lato rompe la precedente tradizione, d'altro lato é legato ai culti neotradizionali pa[...]

[...]tti gli uomini maturi, mentre solamente i giovani aderivano al cattolicesimo. Perciò si produceva una preoccu pante frattura tra padri e figli. Rispondendo al missionario cristiano, un indigeno si esprimeva casi : «'Noi abbiamo ascoltato le tue prediche ed ora siamo persuasi che occorre avere una religione. Non si può morire senza religione. La via del cattolicesimo sarebbe la migliore, ma bisogna essere giovani per intraprenderla. Noi andremo a Dio per la via dell'Islam o (65). E' questo un modo particolare con il quale si esprime l'autonomismo indigeno — più forte presso gli anziani, detentori della tradizione — di fronte alla chiesa occidentale. La facilità d'adesione dei negri all'islamismo risponde a tnotivi ben noti, che riguardano la natura stessa dell'islamismo (66). Ma essa può a volte avere anche il valore di protesta autonomista. Tutti conoscono, dopo i lavori di K. Schlosser e Herskovits, i numerosi movimenti profetici e separatisti islamici dei negri africani (67).
Il panorama delle reazioni religiose dei negri alle grandi [...]

[...] suoi inizi si pre
senta come un movimento profetico e millenarista profondamente
legato alle speranze d'un miglioramento immediato delle condizioni della popolazione. «Dopo tutto — scrive il Koebben — il
cristianesimo cominciò come movimento profetico» (70). E Norman Cohn aggiunge: «Per numerosi suoi primi seguaci, il cristianesimo era un movimento millenarista. Qualunque fosse il significato che Gesù poteva dare quando parlava di ' Regno di Dio', certo molti cristiani nei primi quattro secoli, compresi certi padri della Chiesa come Papia, Irene°, Lattanzi°, aspettavano una profusione di beni per cui la terra senza coltivarla avrebbe prodotto vino e grano e latte in una misura mai prima udita, e in cui gli infedeli sarebbero caduti in schiavitù dei fedeli» (71). D'altra parte a un osservatore attento appare che le grandi religioni moderne sorsero precisamente come movimenti prof etici di rinnovamento. In particolare il cristianesimo si fonda, alle origini, sulla protesta contro due principali istituzioni ufficiali, lo statismo romano[...]

[...] al censimento, di pagare le imposte, di accedere agli ospedali. Il governo congolese si é visto costretto a prendere contro i « ribelli » le stesse misure (arresti, carcere) che già il governo coloniale francese prendeva contro i matsuisti (76).
E' una forma di resistenza socialculturale contro il processo di occidentalizzazione promosso dai dirigenti indigeni, a loro volta «occidentalizzati ».
La resistenza diventa rivolta violenta nell'episodio di cui é stata protagonista la setta Lumpa di Alice Lenshina, in questi ultimi mesi, nella Rhodesia settentrionale. Identica é l'ispirazione settaria e religiosa del movimento. Della setta Lumpa, André Retif nel 1959 affermava (77) ch'era in netto regresso, dopo una vita di 5 anni. Ma nel 1961 R. Rotberg v'intravvedeva una seria minaccia per i governi locali e per l'amministrazione centrale. Egli la definiva una potente centrale d'attrazione dei nativi contro il proselitismo missionario, ed una forte organizzazione religiosa.
Alice Lenshina Mulenga, della tribù Bemba, moglie d'un funzionario[...]

[...]1961 R. Rotberg v'intravvedeva una seria minaccia per i governi locali e per l'amministrazione centrale. Egli la definiva una potente centrale d'attrazione dei nativi contro il proselitismo missionario, ed una forte organizzazione religiosa.
Alice Lenshina Mulenga, della tribù Bemba, moglie d'un funzionario della missione presbiteriana, abbandonò la missione nel 1953 allorché, in seguito a una malattia, cadde in transe e ricevette la visione di Dio e degli angeli. Ella annunciò di essere morta e rinata. Iniziò poco dopo, come emissaria e interprete di Dio, la predicazione della nuova religione, e cominciò a «bat
(76) BASTIDE 1961, 8.
(77) RETIF 1959, 191. Il nome Lumpa può significare « che va lontano n, « l'eccellente a che salva * (TAYLORLEHMANN 1961, 253).
178 VITTORIO LANTERNARI
tezzare» le folle che venivano a lei dai territori vicini e lontani, in sacro pellegrinaggio, facendo del villaggio di Kasomo (distretto di Chinsali) la (( nuova Sion », il centro della setta. Fondò, con il marito Petro, una forte organizzazione, formata di discepoli, di diaconi, e di un clero devoto. Il movimento si estese fino al Tanganyka e al Nyasaland. Ell[...]

[...]ni, e di un clero devoto. Il movimento si estese fino al Tanganyka e al Nyasaland. Ella predicava il rinnovamento della religione tradizionale, l'abolizione degli amuleti, dei feticci
e degli oggetti magici; la loro sostituzione mediante il battesimo
e la confessione; il divieto morale di commettere adulterio, di rubare, di mentire, di odiare. Nelle prediche Si riferiva a episodi
e brani di una Bibbia che le era stata direttamente rivelata da Dio in visione, e che si distingue dalla Bibbia dei bianchi, la quale per la religione di Alice non ha valore. Derivano da influsso occidentale, oltre le pratiche del battesimo e della confessione, il titolo di « cristiana » dato alla setta, l'abolizione della poligamia, la lotta contra il fumo e l'alcool, l'abolizione di danze primitive nei riti nuziali, l'appello alla preghiera. Tali precetti sono raccolti come (( leggi » ufficiali, prescritte da Alice ai fedeli «cristiani ». Il rituale dá larga importanza al canto corale di inni creati da Alice su forme tradizionali: essi sono cantati durante [...]

[...]trema e organizzata, di fronte a una società che sta già sulla via di
uno degli spiriti (ngulu) più potenti della religione tradizionale Bemba. I due nomi raccolgono i simboli della vecchia e della nuova religione (TAYLORLEHMANN, 1961, 267). Secondo dicerie di missionari, che TaylorLehmann ritengono denigratrici (RÉTIF 1959, 190; OGER 1962, 130), Alice compirebbe anche pratiche divinatorie suonando un flauto e interpretando dal suono la voce di Dio (TAYLORLEHMANN 1961, 251).
(79) RETIE 1959; CHÉRY 1959; ROTBERG 1961; OGER 1962; TAYLORLEHMANN 1961, 24868.
(80) Il Resto del Carlino, 4 Ago. 1964; II Messaggero, 13 Ago. 1964; s Le Missioni Cattoliche » 89 1964, 35455.
(81) La Rhodesia sett. sancirà la sua indipendenza nell'ottobre 1964.
(82) S. TouEt 1961, 117119. Si noti che la chiesa Lumpa é riconosciuta dal governo (OGEE 1962, 131).
180 VITTORIO LANTERNARI
trasformare le sue strutture. Ma lo spirito conservatore di questo e di altri movimenti del genere trova un terreno favorevole nella situazione di «vuoto» sociale e culturale cre[...]

[...], individualizzata e mitizzata; la loro funzione é di presiedere le (( feste» o danze nel corso delle quali alcuni partecipanti entrano in stato di possessione, e vengono « cavalcati » spiritualmente da un Hauka che in seguito si rivela col suo name.
Lo stesso Rauch ha ricordato, ai colloqui di Bouaké, che nella
(83) Rouca 1960, 7477; ID., 1958.
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 181
nuova religione del profeta Atcho, nella Costa d'Avorio meridionale, il Presidente della repubblica locale, Houphouet Boigny, appare nel mito di fondazione del movimento profetico, come uno dei tre personaggi prescelti da Dio per la salvezza del popolo: lui é stato scelto per la cura delle cose politiche, il primo ministro per le cose amministrative, il profeta per la guarigione dei malati.
La tensione socialreligiosa che si va manifestando fra la «brousse » e la città, fra tradizione e europeizzazione, si esprime dunque in due tendenze distinte e contrapposte. Da un lato si ha un processo di «ruralizzazione» (cioè d'integrazione su un piano puramente mitologico e religioso) della civiltà urbana con i suoi esponenti più lontani e « distaccati ». D'altra parte, molti personaggi e gruppi politici dirigenti tendono [...]

[...]a, venuto ad apostrofare la popolazione (85).
Sono questi alcuni elementi di un tema — quello dei rapporti fra politica e religione — che andrebbe analizzato a sé (86).
Alle manifestazioni religiose suddette improntate a significati di protesta socialepolitica abbastanza evidenti di per sé, si debbono aggiungere, nel quadro della situazione post coloniale, le molteplici manifestazioni di autentico neotradizionalismo religioso.
Nel Camerun meridionale padre René Bureau ha fatto una analisi della situazione religiosa, allarmante d'al punto di vista teologico e missionario, per lo sfrenato rigurgito di religiosità tradizionale che s'accompagna con il rifiuto o il declino del cristianesimo precedentemente accettato dalla popolazione locale. Dopo una prima fase d'incontro infruttuoso col cristianesimo missionario fra il 1890 e la I Guerra Mondiale, la popolazione sudcamerunese cominciò dopo la I Guerra Mondiale ad essere attratta ad esso non tanto — come osserva il Bureau — per effetto di proselitismo religioso, quanto per accedere all'ist[...]

[...]tenza» sono dimenticati; la società é stata espropriata di quanto valeva ad assicurare il buon funzionamento degli antichi sistemi sociali e culturali, mentre... non s'é affatto scoperto il segreto dei bianchi» .
Delusione, dunque, da un lato, vuoto culturale dall'altro. «Alcune persone si rendono canto che la forza dei bianchi é nel denaro — continua il Bureau —, e un cristiano ci ha confessato: ' Con i bianchi il denaro é diventato :il nostro dio'. Così, la crisi che segue si traduce in un brutale risveglio, nel quale le realtà che precedettero il sonno tornano bruscamente alla coscienza. Si va alla ricerca delle radici dell'antica cultura, si vuol restaurare l'ordine d'un tempo. Il senso di espropriazione sbocca in una riacquisizione talora aggressiva e febbrile ».
Ecco dunque esplodere fra i giovani, e contro gli anziani cristianizzati, il movimento di (( ritorno alla tradizione », di « ritorno alle origini ». Le pratiche antiche, i riti, i culti, i valori tradizionali sono ripresi disordinatamente, e intanto ((Si evitano i missio[...]

[...]blem, HornWien 1959.
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JADIN L., Le Congo et l[...]



da Carlo Falconi, La crisi della Parrocchia in Italia in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]di « costituire in ogni parrocchia, sotto la direzione del parroco e col nome di Comitato Parrocchiale, un gruppo di almeno cinque fedeli, ecc. ecc. » (1). « Cosi — commentava nel '97 il Crispolti (2) — la futura rete dell'organizzazione si designava, senza stretto legame ancora, nel suo alfa e nel suo omega, con una istituzione al centro e una all'estrema periferia ». In seguito la tela organizza tiva si integrò con la costituzione dei Comitati diocesani e regionali, ricalcando in pieno la stessa organizzazione capillare della Chiesa. Dodici anni dopo ben 3982 comitati parrocchiali puntualizzavano la superficie dell'Italia' (del nord e del centro soprattutto) a testimoniare la vigorosa vitalità della giovane iniziativa. E nonostante l'accusa di parrochismo gettata da alcuni autonomisti, l'A.C.I, non si staccò più dal sistema delle cellule ecclesiastiche: anzi oggi più che mai (lo si vedrà più avanti) é dalla cura
(1) G. DE ROSA, L'Azione Cattolica. Storia politica dal 1894 al 1904, Bari, Laterza, 1953, pp. 98,135, 155.
(2) « I Congres[...]

[...]pegni di mutua assistenza? Una religione è un vincolo associa tivo, o non e. Il Cristianesimo in specie si è sempre manifestato con tendenze piccolocomunitarie, favorenti un intenso rapporto sociale tra i membri, rapporto fondato sulla reciproca conoscenza c attuato come una collaborazione concreta anche al di fuori del campo strettamente religioso.
LA PARROCCHIA NELLA STORIA
Durante i primi secoli fino al IVV — esso non conobbe che comunità (diocesi o parrocchie, come allora le si chiamava promiscuamente) urbane. Ogni città evangelizzata, ogni municipio romano cioè, radunava i suoi fedeli attorno al vescovo e al collegio dei sacerdoti, diaconi ecc. in un'unica circoscrizione ecclesiastica. Eccetto che per Roma e per Alessandria d'Egitto, bisogna attendere il sec. X e XI per vedere costituirsi le prime parrocchie nelle città (oltre a quella s'intende, della cattedrale). Dal IV sec. in poi, invece, (panda, dopo la vittoria politica con Costantino, il Cristianesimo incominciò a diffondersi anche nelle campagne (divenute e rimaste per pi[...]

[...]cittadina. Creazione spontanea o meno e centro propulsore della stessa vita civica o no, la parrocchia ebbe il merito, anche nei secoli più ferrigni, d'aprire scuole gratuite, di raccogliere vecchi e ammalati, di organizzare la carità (come nelle matricole, che erano vere e proprie corporazioni di poveri), ecc.
Più tardi, al tempo della diffusione degli Ordini mendicanti,
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 47
l'Italia conobbe un curioso episodio di parrocchismo. Per reagire all'invadenza dei nuovi venuti, il clero secolare si armò d'una « costituzione parrocchiale» per cui ogni fedele non solo era obbligato a ricevere nella propria parrocchia il battesimo, la comunione pasquale, il matrimonio e la sepoltura, ma doveva anche assistervi alla messa festiva e richiedervi la confessione annuale a Pasqua. Bonifacio VIII e il Concilio di Vienna, sotto Clemente V, spezza rono la rigidità della u costituzione », ma anche per la parrocchia fu soprattutto il concilio di Trento che pose definitivamente termine alle contese tra clero secolare e r[...]

[...]fallibilità e della supremazia papale sul concilio, l'ultimo colpo alle resistenze gallicane, e concluso ormai il pontificato rinascimentale, politicamente e culturalmente magnifico ma apostolicamente povero, di Leone XIII, urgeva, sul principio del '900, un lavoro più modesto e capillare per assicurare alla Chiesa la fedeltà delle masse credenti e la saldezza della loro coesione. Pio X, il papaparroco, si mise subito all'opera sia nella propria diocesi che nell'intera cristianità, promuovendo la rinascita delle parrocchie dapprima con la riforma del canto gregoriano (motu proprio 1903), per riportare la liturgia a contatto del popolo (solo dal 1909 si cominciò a parlare di « movimento liturgico », specie per merito del card. Mercier e dei monaci della badia di MontCésar di Lovanio), poi con l'ammissione dei bambini alla comunione e la propaganda della comunione frequente tra gli adulti. Nel 1905 la canonizzazione dell'umile Curato d'Ars da parte dell'exparroco di Riese fu considerata come un simbolo della nuova direzione di riforma inte[...]

[...]sua elezione, il Curato d'Ars (che più tardi, in occasione del giubileo della sua ordinazione sacerdotale, avrebbe costituito patrono di tutti i parroci) egli sembrò voler raccogliere dal predecessore Pio X la bandiera di combattimento. E quello ch'egli fece, anche solo in Italia, per lo sviluppo e la dotazione delle parrocchie, dimostra la concretezza dei suoi propositi. Sin dai primi anni del suo pontificato, infatti, egli organizzò per il meridione la costituzione di case parrocchiali che risolvessero una volta per sempre la piaga del u prete
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 49
in famiglia» che affliggeva quelle regioni. Poi nel 1930 fondò l'Opera per la Preservazione della Fede e la provvista di nuove Chiese in Roma che nei soli sei primi anni di vita creò 33 nuove parrocchie con chiese proprie e oltre 60 opere ausiliarie stabili (scuole di catechismo, asili d'infanzia, case del giovane, ecc.), senza contare le cappelle sussidiarie sparse nella periferia e nell'Agro Romano. L'impostazione decisamente parrocchiale dell'A.C. é ino[...]

[...]case del giovane, ecc.), senza contare le cappelle sussidiarie sparse nella periferia e nell'Agro Romano. L'impostazione decisamente parrocchiale dell'A.C. é inoltre da rivendicarsi a lui, che dell'A.C. ufficiale fu del resto il riconosciuto fondatore. Negli ultimi anni del suo pontificato il senso della Parrocchia suscitò un autentico fermento di iniziative: libri, con gressi, ecc. Nel 1936 tutte le associazioni dell'A.C.I. fecero oggetto di studio il problema della parrocchialitá.
Nel primo dopoguerra il primato d'intelligenza e di riforma della parrocchia passò dall'Italia alla Francia, ma chi direbbe che esso é sopito sbaglierebbe. Gli echi dei curiosi esperimenti francesi furono quanto mai vivaci anche di qua dell'Alpi e provocarono, nel '48, il ritorno del problema allo studio di tutte le branchie dell'A.C. Basta del resto scorrere le riviste (4) d'ispirazione cattolica dell'ultimo quinquennio per convincersi della sua continua presenza. Dal '51 poi, a renderlo piú attuale, son venuti di rink calzo alcuni notevoli discorsi di Pio XII.
PROFILO DELLA PARROCCHIA MODERNA
Sarebbe dunque un grave errore non curarsi dell'importanza che la Chiesa dá all'istituto parrocchiale nell'attuale fase di riassesto e di conquista che la caratterizza. Chi conosca anche solo superficialmente la parrocchia del 1953 e la confronti con quella di 50 anni or sono non può del resto meravi[...]

[...] in discreto orgasmo la domenica e nelle
(4) ofr. ad es. i due numeri unici de L'Assistente Ecclesiastico, 1948, VI; e di Vita Sociale (con le relazioni della « Settimana della Parrocchia », tenuta a Firenze dal 4 al 10 nov. 1951 per iniziativa del locale Centro Cattolico di Studi Sociali), genn. apr. 1952.
7V CARLO FALCONI
rade solennità dell'anno. Una parrocchia larga d'ozi al suo clero, lasciato libero di consacrarsi alla serenità dello studio o al piacevole scambio di visite tra benpensanti dell'alto ceto; e non certo affati cato dalla preparazione del sermone o della dottrina domenicale. Le cure d'archivio si sbrigavano, allora, in poco tempo, e le pochissime associazioni o confraternite richiedevano tutt'al più un'adunanza mensile. Il gregge, in quegli anni, cercava ancora il pa store e questi non aveva motivo di muoversi dal suo comodo e ben protetto ricovero.
Oggi il quadro é radicalmente mutato e quasi irriconoscibile persino nelle cure più addormentate o retrograde. La sola attività liturgicosacramentale assorbe parecchie o[...]

[...]i lavoro, e lo stesso primo incontro eucaristico, che ha tanto peso nella educazione del fanciullo, avviene per molti, anziché alla mensa parrocchiale, in collegi e luoghi di educazione talvolta solo di circostanza; oggi si esige non di rado che il rito matrimoniale, da cui s'inizia una nuova famiglia, venga celebrato lontano dalla famiglia parrocchiale, in cappelle private o in santuari di devozione personale; e pure le esequie e il cristiano addio alla salma avvengono molto spesso nella chiesa dell'ospedale. Tutto ciò si risolve evidentemente a pregiudizio della vita ,parrocchiale» (6).
Lo stesso mons. Urbani, assistente generale dell'A.C.I., lanciando i Convegni del Clero per l'estate del 1948 sull'argomento <c la Comunità parrocchiale» si muoveva la domanda:'— E finita la parrocchia ? —, ma poi rispondeva (7) con le parole del card. Schuster: « Le varie istituzioni, distinte dalla parrocchia, valgono soprattutto a trattenere nella religione e nelle pratiche del culto quelle persone che altrimenti non andrebbero nella parrocchia. Rap[...]

[...]assistente generale dell'A.C.I., lanciando i Convegni del Clero per l'estate del 1948 sull'argomento <c la Comunità parrocchiale» si muoveva la domanda:'— E finita la parrocchia ? —, ma poi rispondeva (7) con le parole del card. Schuster: « Le varie istituzioni, distinte dalla parrocchia, valgono soprattutto a trattenere nella religione e nelle pratiche del culto quelle persone che altrimenti non andrebbero nella parrocchia. Rappresentano un rimedio ad un male veramente esistente. Ecco quindi perché la Chiesa le loda, le favorisce, le promuove, come per gli infermi si aprono le buone case di salute. Resta però fermo che in linea normale, come la vita dell'individuo si svolge nella famiglia, così quella del cristiano si sviluppa soprattutto nella rispettiva Parrocchia » (8).
(6) « Crisi della Parrocchia moderna », in L'Ass. Eccl. 1948, VI.
(7) « La Comunità Parrocchiale », ivi, 1948, IV.
(8) Dalla Pastorale per la Quaresima del 1948 sulla « missione della P. ».
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La crisi della parrocchia tuttavia[...]

[...]ionante. E, si sa, la ra
(9) La Spezia, Pola e Taranto, porti militari; Savona, Bari, Brindisi e Fiume, porti commerciali; Sesto San Giovanni, Legnano, Lecco e Varese, centri industriali; Merano, stazione climatica; e Torre Del Greco, limitrofa d'una grande città.
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 55
rità delle chiese (ossia delle parrocchie) è direttamente proporzionale al numero dei fedeli che vi sono aggregati. Nei casi migliori,
il rimedio segue sempre il male, non lo previene; più spesso poi la mancanza di mezzi convince a soluzioni provvisorie o a compromessi che, invece di ritardare, finiscono per precipitare la crisi anzidetta.
Per esemplificare, il caso di Roma non è il meno significativo. Nel 1823 — è inutile spingersi troppo indietro nel tempo, nel
sec. XIV ad es., quando Roma aveva non meno di 261 parrocchie, che nel sec.. XVI erano ancora 132 —, nel 1823 la città toccava appena i 138.000 abitanti ed essi erano distribuiti in 81 parrocchie, con la media di 1680 anime per parrocchia. Una media anche troppo confortevole[...]

[...]ccava il 2530% degli obbligati (donne comprese). Dello stesso anno é un'inchiesta condotta dall'A.C. a Milano: nella capitale lombarda la frequenza alla messa festiva sarebbe variata, nelle varie parrocchie, con percentuali dal 14 al 36% (i giovani dal 6 all'8%, gli uomini dal 3 al 4%); il precetto pasquale avrebbe invece il 38% della popolazione mentre la dottrina domenicale solo l'1%.
Il prospetto più esauriente sulla pratica d'un capoluogo medio di provincia é stato dato da don Aldo Leoni (13) a proposito di Mantova che, nel 1948, l'anno base delle sue statistiche, contava 56.262 ab. suddivisi in undici parrocchie. In quell'anno, su 60 nati (sic), 9 non furono battezzati (o almeno non risultarono battezzati nel febbraio '49), 5 matrimoni su 383 e 4 funerali su 699 furono celebrati col solo rito civile. Alla messa festiva soddisfaceva normalmente più d'un terzo della popolazione (35%): delle donne il 47%, degli uomini il 24% (cioè neppure un quarto). Tra costoro i giovani erano il 31%, gli adulti il 17%. Il precetto pasquale era osser[...]

[...]n la solita prevalenza delle donne sugli uomini. Le funzioni vespertine domenicali invece raccoglievano soltanto il 6% della popolazione (« per lo più l'assemblea é costituita da donne [e da donne attempate] »). La stessa percentuale valeva per gli iscritti all'A.C., con netta prevalenza degli elementi giovani sugli adulti.
(12) «La Sociologia religiosa in Italia », in Scuola Cattolica, 1952, IIIII.
(13) Sociologia e Geografia religiosa di una Diocesi, Roma, Pont, Univ. Gregoriana, 1951.
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 59
Queste poche statistiche, anche se scarse, non mancano d'essere eloquenti. Ma é forse migliore la situazione nelle campagne? Un tempo era senz'altro così. Nel 1874 eran solo zelo e preveggenza che ispiravano al segretario generale del I Congresso Cattolico Italiano, Alfonso Rulliani, il proposito di proteggere le zone rurali dall'aggressione dei «rivoluzionari governativi» e che gli dettavano questa pagina pittoresca ed enfatica:
Nella genesi della città noi troviamo il rimorso dell'uomo peccatore che trema all[...]

[...]o zelo e preveggenza che ispiravano al segretario generale del I Congresso Cattolico Italiano, Alfonso Rulliani, il proposito di proteggere le zone rurali dall'aggressione dei «rivoluzionari governativi» e che gli dettavano questa pagina pittoresca ed enfatica:
Nella genesi della città noi troviamo il rimorso dell'uomo peccatore che trema allo stormire delle fronde, impallidisce allo spettacolo della creazione, e crede di potersi dimenticare di Dio vindice rinchiudendosi in un cerchio di manufatti, che non portino si direttamente il sigillo della mano creatrice, che il colpevole vede armata di folgori e di flagelli. L'uomo nello stato di colpa doveva necessariamente edificare delle città, e non per nulla il primo omicida, il primo fra gli uomini maledetti da Dio, Caino, riscontrasi nel libro della Genesi come il primo che costruisce una città. L'uomo innocente invece era stato collocato da. Dio in un giardino, tra i fiori e le piante: ed ecco come si spiega l'attrattiva che conserva pel giusto, per colui che ha la coscienza tranquilla, il silenzio della campagna, e il bisogno invece che trova il delinquente di nascondersi, di intanarsi, di circoscrivere e limitare l'orizzonte. La società moderna che dell'igiene e della morale ha fatto ormai una cosa sola, si direbbe che era sotto l'impressione di idee somiglianti e che intravvedeva l'attitudine misteriosa a conciliare sentimenti di ordine e di moralità che possiede il verde ammanto della natura, quando ideava i suoi boulevards pian[...]

[...]ati di alberi, le sue piazzegiardino, i suoi squares: meschino tentativo di empirici che riesce solo a condannare i superbi testimoni della creazione divina a vivere tisici in un'atmosfera eterogenea, in cui sospeso vi ha di tutto, dalla cipria della cortigiana al vapor d'acqua della bestemmia e ai frustoli d'immonde gazzette... Quando si vede questa gente (le popolazioni delle campagne) che rispetta anche il prete, che osserva i comandamenti di Dio, che pone anche una croce a tutela della propria fortuna, che resiste insomma in qualche guisa alla propaganda delle idee sovversive della mente e del cuore, fa duopo cavarsi il cappello e pensare che molto probabilmente si avrà bisogno delle rozze lane per rinsanguare di un umore più cristiano questa fracida società!... Ma se nelle popolazioni campagnole ci sembra con fondamento ravvisare un elemento di ordine, di cui a un dato momenta pub sentirsi provvidenzialmente vantaggiata la società, é naturale che quanti siano desiderosi e deliberati anzi a prestare il nostro umile concorso sotto il [...]

[...]ran le medesime mezzo secolo fa, quando era di moda esaltare ditirambicamente le campagne come le riserve delle energie più sane della religione. Il crollo del mondo religioso rurale va quindi attribuito in definitiva agli agenti cosiddetti esterni, la cui azione però ha penetrato anche intimamente la coscienza e lo spirito del contadino. Nel tempio della sua religiosità, cioè, prima che le pareti ne cadessero in frantumi, si erano sostituiti al dio tradizionale, numerosi e tenaci idoli; quelli stessi che poi regnarono sulla sua intera vita scristianizzata. Così l'aumentato benessere materiale seguito al mutamento dell'economia di bisogni in quella di scambi, ne accrebbe il materialismo; i contatti col cosiddetto mondo del progresso attraverso una più diffusa cultura, il giornale, il cinema, la radio, ne naturalizzarono le credenze (Dio, Provvidenza) ispirandogli un concetto quasi magico del potere della scienza e della tecnica; l'emigrazione o l'invasione della città, distruggendo il suo primitivismo, ne solleticarono e sferzarono il desiderio di piaceri, di comodità, di lusso. Infine i miti. politici,
62 CARLO FALCONI
con la lotta di classe, sopraggiunti (da noi) buoni ultimi, ebbero facile giuoco agitando i noti slogans sull'alleanza tra clero e capita listi, sulla religione come sfruttamento, sul paradiso in terra come antitesi del paradiso in cielo.
Naturalmente non ovunque la scristianizzazione delle zone rurali ha [...]

[...]arono e sferzarono il desiderio di piaceri, di comodità, di lusso. Infine i miti. politici,
62 CARLO FALCONI
con la lotta di classe, sopraggiunti (da noi) buoni ultimi, ebbero facile giuoco agitando i noti slogans sull'alleanza tra clero e capita listi, sulla religione come sfruttamento, sul paradiso in terra come antitesi del paradiso in cielo.
Naturalmente non ovunque la scristianizzazione delle zone rurali ha raggiunto eguale intensità. Studiosi del problema come il Boulard (16) hanno distinto in proposito tre tipi fondamentali di parrocchie:
a) le parrocchie di cristianità, in cui regna ancora lo spirito cristiano e dove la maggioranza é tuttora praticante;
b) le parrocchie indifferenti ma di tradizione cristiana, in cui iI cristianesimo vive alla giornata a seconda della prevalenza dei buoni o no;
c) e le parrocchie di missione dove il distacco tra clero e popolo è ormai totale.
Anche per le parrocchie rurali tradurre in cifre il processo di scristianizzazione che va pervadendole é impossibile per la mancanza di statistiche g[...]

[...]tora praticante;
b) le parrocchie indifferenti ma di tradizione cristiana, in cui iI cristianesimo vive alla giornata a seconda della prevalenza dei buoni o no;
c) e le parrocchie di missione dove il distacco tra clero e popolo è ormai totale.
Anche per le parrocchie rurali tradurre in cifre il processo di scristianizzazione che va pervadendole é impossibile per la mancanza di statistiche già deplorata a proposito di quelle urbane. Il solo studio scientifico a cui é possibile rifarsi é, anche qui, quello purtroppo assai circoscritto del Leoni, che concerne, come s'è visto, una diocesi eminentemente agricola. La diocesi di Mantova per() ha il vantaggio di essere limitrofa di tre regioni — la Lombardia, il Veneto e l'Emilia — notoriamente assai diverse per il loro carattere religioso, e può assurgere quindi a un valore di testimonianza assai singolare. Il Leoni ha riassunto complessivamente la situazione religiosa del mantovano in questi termini: a Abbiamo potuto stabilire che nel sec. XVI tutti gli abitanti delle campagne e della città, fatte rarissime eccezioni, erano osservanti, sicché non si scorgono differenze né tra le classi sociali, né tra i sessi, né tra una generazione e l'altra. Nel secolo scor[...]

[...]ecchie altre zone di indifferenza religiosa, persino nelle campagne. Il qua
(16) in Problèmes missionnaires de la France rurale, Paris, 1945, ridotto in it. Nelle parrocchie di campagna a cura. di G. Barra, Brescia, 1948. — Un'altra divisione é stata proposta da N. Bussi (« Il problema rurale » ne L'Ass. Eccl., 1947, V), ma solo ap parentemente diversa.
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dro odierno é pure diverso dai precedenti: la diocesi non presenta ormai quasi affatto zone di unanime osservanza, ma solo zone di forte o tutt'al più fortissima osservanza, miste a tante altre di in differenza, anche nelle campagne, e ovunque profonde differenze fra i sessi, i gruppi di eta, le classi sociali. Insomma, l'osservanza, un tempo normale, é divenuta il fatto d'una parte della popolazione» (17).
Le statistiche specifiche attestano tra l'altro come nel 1948 su 4922 nati, 30, pari al 6% [sic!], non erano stati battezzati; come su 2506 matrimoni; 15 (0,6%) lo erano stati col solo rito civile; e altrettanto 22 funerali su 2738 compi[...]

[...] della tradizione si fa più sentire, che si deve cercare l'attestato della vivezza della fede tra la tradizionalissima gente dei campi. L'osservanza del precetto festivo e pasquale é assai più sintomatica. E qui le cifre sono molto meno entusiasmanti. Se il precetto pasquale infatti vede ancora il 60% dei contadini assolverlo, quello festivo ne recluta soltanto il 37% (una percentuale non troppo lontana dalle medie cittadine). Che poi sui totali diocesani il precetto festivo sia soddisfatto da 1/3 di adulti, da 2/5 di giovani, da 1/2 di bambini commenta il Leoni — non è senza significato. (( Si tratta evidentemente di una progressiva diminuzione di praticanti, probabilmente coincidente con la crescita dell'individuo e da essa causata. Scarti tanto sensibili non sono certo confortevoli né di buon auspicio » (18). E a proposito del comportamento dei giovani di fronte al precetto pasquale: «anche nel campo della gioventù, vi é una vivace tendenza all'abbassamento della pratica religiosa» (19). Il distacco dalla vita religiosa è anche visib[...]

[...]nfortevoli né di buon auspicio » (18). E a proposito del comportamento dei giovani di fronte al precetto pasquale: «anche nel campo della gioventù, vi é una vivace tendenza all'abbassamento della pratica religiosa» (19). Il distacco dalla vita religiosa è anche visibile nella limitatissima parte
(17) op. cit., p. 5.
(18) op. cit., p. 65.
(19) op. cit., p. 76.
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cipazione alle funzioni vespertine domenicali: il 6,2% come media diocesana — di poco inferiore a quello delle comunioni domenicali (quindi neppure i devoti vi partecipano al completo) —; e nella forte diminuzione delle vocazioni ecclesiastiche: dal 1945 al 1948 1' 1,7% su mille nati maschi di fronte al 4% del quinquennio 19401944 e al 3,8% del quinquennio 193539.
Ma più che queste singole statistiche (che il lettore può vedere sottilmente analizzate dall'a. nel suo ottimo studio) interessano nell'opera citata, i riconoscimenti relativi ai rapporti tra la religiosità delle zone rurali da una parte e la popolazione delle rispettive parrocchie, le zone pedologiche, il movimento demografico, la solidità dell'istituto familiare, lo sviluppo della cultura, la politica e la lotta sociale dall'altra (i rapporti fra sesso e religiosità e età e religiosità sono ovvi e non vi indugeremo). Circa i fenomeni relativi alla distribuzione della popolazione si apprende tra l'altro che « dove c'è minor dispersione c'è una pratica religiosa più intensa e dove c'è maggior dispersione c'è[...]

[...]ca più debole» (20) e che «ove minore é la densità, ivi abbiamo notato minor pratica religiosa» (21): infatti il Basso Mantovano — cioè la zona che presenta soltanto parrocchie notevolmente popolose, è il meno praticante (22). Ma anche la coincidenza tra le zone religiose e quelle pedologiche non é meno sorprendente: « Composizione, configurazione, giacitura altimetrica e grado di permeabilità del terreno ci spingono a riconoscere nel territorio diocesano una zona morenica e ghiaiosa, bibula, di alta pianura, corrispondente in gran parte a quella da noi chiamata, sotto l'aspetto religioso, Alto Mantovano, di intensa pratica cristiana, e due zone di bassa pianura, impermeabili, tagliate dal Po, l'una siliceocalcareocretosa, l'altra alluvionale argillosa, corrispondenti in gran parte rispettivamente al Medio M., di media pratica religiosa, e al Basso M., di scarsa pratica religiosa. Tale coincidenza sarà meramente causale o non indicherà un'influenza della diversa natura del suolo sulle varietà delle attitudini religiose? Propendiamo per la risposta affermativa, giacché a diverse strutture del
(20) op. cit., p. 138.
(21) op. cit., p. 139.
(22) op. cit., cfr. i dettagli specifici a pp. 52, 79, 91 e 137.
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suolo corrispondono di fatto diversi generi di economia, diversi tenori di vita, che certamente incidono sulla struttura sociale e quindi anche sul fatto[...]

[...]ralità coniugale e individuale ». Anche (( le famiglie patriarcali non esistono [ormai] più ». Già nel 1936 le famiglie con 7 e più membri (compresi parenti ed estranei) erano appena un quinto, ma anche la loro compattezza interna non é certo più assoluta se si pensa ai fortissimi scarti fra uomini e donne e tra gruppi d'età nella pratica religiosa. Quanto ai concubinati notori, essi toccherebbero la media di 8 su mille famiglie, 6 nell'Alto e Medio M., più credenti, 12 nel Basso, più irreligioso.
Tra le più imprevedute ammissioni del nostro autore va però riconosciuta quella sui rapporti tra cultura e religiosità. Ammesso che oggi il 97% dei fanciulli frequenta regolarmente la scuola obbligatoria e che l'analfabetismo residuo é più diffuso nelle donne che negli uomini (12% delle prime e 8% dei secondi nel 1931), egli dice testualmente: (( Confrontando lo stato dell'istruzione con i dati della pratica religiosa della fine del secolo scorso e del momento attuale, si rileva il parallelismo tra analfabetismo e intensa pratica religiosa da [...]

[...] a proposito della pratica religiosa nel mantovano secondo le varie classi sociali. Ci limiteremo a quelli relativi all'osservanza del precetto festivo e pasquale ricordando ch'egli suddivide le categorie sociali in sei gruppi: 1) proprietari terrieri, 2) affittuali diretti e mezzadri, 3) salariad e braccianti, 4) industriali e artigiani, 5) operai e 6) impiegati statali, ecc. Per il primo precetto l'osservanza raggiunge rispettivamente la media diocesana del 57, 54, 28, 37, 34 e 56%; per iI secondo quella del 66, 55, 35, 43, 35, 66. E cioè: la categoria dei proprietari terrieri si afferma su tutte le altre, seguita immediatamente dagli impiegati, dopo i quali si classificano gli affittuali e mezzadri. Notevolmente distanziati sono gli appartenenti alla quarta categoria (industriali e artigiani), la prevalenza dei quali supera tuttavia quella degli operai, mentre i braccianti e salariati
(24) op. cit., p. 149.
(25) op. cit., p. 150.
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segnano la cifra minima. « In una terra ad economia prevalente [...]

[...]ella degli operai: ma forse é più giusto dire che si sono prudentemente equilibrate).
Per tornare alla solita fonte del Leoni — la più precisa e analitica — non abbiamo ancora osservato un particolare che costituisce come il leitmotiv dei suoi commenti statistici; e cioè il fatto che il Basso Mantovano, confinante con la «rossa Emilia» é, per co
(26) op. cit., p. 167.
(27) op. cit., p. 168.
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stante coincidenza, la zona della diocesi in cui — in evidente nettissimo contrasto con le altre — l'indifferenza religiosa segna le punte più spinte, senza accennare a una sosta nel suo metodico affermarsi. Inutile dire che dei bambini non battezzati nel 1948, 29 su 30 appartenevano a questa regione; dei matrimoni civili, 14 su 15; dei funerali civili 17 su 22. Quanta al precetto festivo, mentre gli osservanti nell'Alto e Medio M. erano rispettivamente il 47 e il 36%, nel Basso M, risultavano il 26 (i maschi adulti rispettivamente il 34, il 17 e il 10%; le femmine adulte, il 55, il 41 e il 32%). Ma sarebbe monotono continuare. Più interessante invece é constatare il moto accelerato dell'allontanamento del B. M. dalla pratica religiosa pur nel generale riflusso a cui sottostanno anche le altre due partizioni del territorio. L'osservanza del precetto pasquale nel 1885 e nel 1948 segnava queste percentuali (% della popolazione complessiva) nell'A. M. e B. Mantovano: 82,3 75 e 77% nel 1885; 69, 61 e 51 nel 1948, con uno[...]

[...] della dispersione e della densità della popolazione) che spieghi il perché del regresso religioso del B. M. non può essere individuato che nel contagio politicosociale comunicatogli dalle terre emiliane con cui confina. Anche dal punto di vista politico, infatti, il Mantovano si distingue «in tre zone politiche assai ben delineate, corrispondenti in gran parte alle nostre zone religiose. Si veda [nell'annessa cartina] quanto la parte alta della Diocesi differisce dalla parte bassa. Lassù tutto indica chiaramente come il Fronte [Popa lare] non abbia raggiunto il 50% dei voti nella maggior parte dei comuni; nell'oltrePo invece, sezione occidentale, addirittura la situazione é capovolta, mostrando che li il Fronte raggiunse almeno i '2/3 e spesso i 3/4 dei suffragi, mentre nella zona sudorientale é chiaro che il Fronte raggiunse e per lo più superò 1/2 dei voti. Tra l'una e l'altra zona opposte tra loro, si stende il M. M., che raccoglie elementi dell'una e dell'altra, senza confondersi con nessuna delle due. Se proprio si vuol trovargli u[...]

[...]tica religiosa. Il parallelismo é troppo lampante, le coincidenze troppo numerose e precise perché si possano spiegare senza ricorrere all'interdipendenza dei fenomeni e in modo particolare all'influsso esercitato dalle condizioni politi che che al pari di quelle religiose, subiscono le influenze dell'ambiente esterno... » (29).
Ha scritto il De Rosa a proposito della crisi economica della campagna italiana negli ultimi decenni dell'800: «Nel Medio Evo l'anello di congiunzione tra le due parti, tra il dominio del signore ed il lavoro del contadino, era costituito dall'autorità religiosa, dal vescovo che svolgeva una funzione mediatrice tra i due e proteggeva il contadino dagli arbitrii del signore. Si trattava di una mediazione corporativa tra due classi economiche che vivevano unificate in una stessa concezione teocratica e religiosa della vita. La divisione del lavoro e la separazione dei due poteri, civile e religioso, introdotti dalla «rivoluzione », hanno tolto all'autorità religiosa questa funzione, senza pers riuscire a sostituir[...]

[...]he Ros. PERENNA, Innovazioni o rinnovamento della Parrocchia?, Como, 1950.
(35) Autori, il Godin, il Loew, il Boulard, ecc.
(36) La Parrocchia e la vita cristiana, Torino, 1936.
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ci (37), e il Chiesa (38), per citarne qualcuno. E Tito Casini, il o poeta parrocchiano `» come lo ha definito Giuliotti, ha scritto sulla Parrocchia un fluido libretto (39). Ma hanno certo giovato molto di più le campagne di studio promosse sull'argomento dall' A. C. in tutte le sue associazioni (40).
Il senso della parrocchia, rialimentato così nel clero e nel laicato credente, ha dato una certo eco al problema e favorito una discreta rinascita della vita parrocchiale. Esso tuttavia non poteva costituire che un'atmosfera propizia all'azione riformatrice: la vera e propria riforma avrebbe invece dovuto estrinsecarsi attraverso l'eliminazione puntuale e metodica delle singole cause della crisi.
Che cosa sia stato fatto a proposito della disfunzione territoriale di molte : parrocchie s'è in parte accennato riferendo, ad[...]

[...]potrebbe facilmente sviluppare coi dati relativi alla moltiplicazione delle parrocchie realizzata nei vari centri urbani da Milano a Napoli, da Genova a Bari. Ma che il problema dell'elefantiasi delle parrocchie cittadine, specie periferiche, sia tutt'altro che risolto lo attestano i recentissimi discorsi di Pio XII. Il problema é spesso complicato dalla scarsezza numerica del clero disponibile e il Papa é giunto persino ad approvare, per la sua Diocesi, il sistema cosiddetto di patronato, secondo il quale alcune diocesi più favorite per numero di sacerdoti possono (( adottare l'una o l'altra parrocchia di Roma in guisa di provvederla del numero di sacerdoti di cui ha bisogno ». Estendendo il metodo, qualcuno (41) ha addirittura auspicato la possibilità di vere e proprie emigrazioni interne (tra diocesi e diocesi) di giovani sacerdoti o di seminaristi,
(37) L'Uomo di tutti, Pisa, 1940.
(38) Parrocchia e parrocchiani, Alba, 1936.
{39) ed. Fiorentina, Firenze, 1937.
(40) sulla base di manuali come Luci sul cammino (per le dirigenti di gruppo), Roma, 1935; ecc.
(41) A. LISANDRINI o. f. m., ne L'Assistente Eccl., 1952, II, pp. 325 segg.
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oltre all'utilizzazione delle prestazioni dei religiosi o dei sacerdoti non in cura d'anime.
Ma le parrocchie cittadine, anche opportunamente ridotte di superficie e di popolazione, rivelano sempre delle zone morte o inerti (secondo omissioni u[...]

[...]ibuzione del Clero che sia proporzionata alle necessità delle anime, mi si permetta di far notare che, dato il progresso e lo sviluppo delle comunicazioni stradali e dei mezzi di locomozione, non sembra piú necessario che — salvo casi particolari — piccole località di cento o duecento abitanti abbiano un proprio sacerdote, mentre vi sono regioni con un sacerdote ogni ventimila e anche trentamila cattolici, sparsi su un territorio esteso come una diocesi ». Qualche vescovo, in verità, non aveva aspettato la circolare romana per attuare il ritiro dei sacerdoti da località che non giustificavano minimamente la loro presenza e qualchedun'altro aveva persino osato la costituzione di autentici corpi di parroci o cappellani volanti (con motorizzazione autonoma o spostamenti dal centro diocesano con mezzi normali): ma, si sa, i precursori son sempre rari.
L'utilizzazione del clero insegnante o curiale nelle attività pastorali dei giorni festivi ha invece favorito qualche progresso nella preparazione dei seminaristi alla loro futura vita d'apostolato. Ma
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 73
il problema di una formazione del genere é sempre particolarmente difficile durante il quadriennio dei regolari studi teologici. L'ideale sarebbe di trattenere in seminario, ancora un anno dopo l'ordinazione, i neosacerdoti per un vero e proprio addestramento apostolico. La scarsità del [...]

[...]ne dei seminaristi alla loro futura vita d'apostolato. Ma
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 73
il problema di una formazione del genere é sempre particolarmente difficile durante il quadriennio dei regolari studi teologici. L'ideale sarebbe di trattenere in seminario, ancora un anno dopo l'ordinazione, i neosacerdoti per un vero e proprio addestramento apostolico. La scarsità del clero rende per() praticamente impossibile persino alle grandi diocesi l'attuazione di questa piano. Qualche seminario la domenica congeda i suoi alunni per la pratica del catechismo e dell'assistenza ai giovani nelle parrocchie cittadine o suburbane: ma la cosa non riesce priva d'inconvenienti.
La vita collegiale del clero (nelle parrocchie cittadine, s'intende) è un altro problema tattico di molta importanza. Solo in tal modo, infatti, esso potrebbe realizzare quel lavoro organico e disciplinato che può veramente incidere sulla popolazione d'una parrocchia. Ma anche questa prospettiva é tutt'altro che facilmente raggiungibile. Per ora la collegialità si r[...]

[...]mente si mostrano atti a prenderla dov'è.
«Naturalmente la parrocchia rimane e chi vorrebbe metterlo in dubbio? il punto di partenza, il punto d'arrivo ed il più desiderata punto di riferimento; ma, poiché non basta più, occorre integrarla. Ecco la parrocchia del marciapiede.
«Gli operai in parte notevolissima non entrano più in chiesa? Che si fa? Si vanno a prendere in fabbrica. Gli studenti in iscuola, ecc. ecc.
« Occorrono dei ministri di Dio che rompano ogni rapporta colla propria comodità, ritornino alla forte e saggia audacia dei tempi apostolici e vadano incontro agli uomini che si perdono. In Italia è provvidenzialmente sorto l'Onarmo; ci sono gli Insegnanti di religione che possono diventare più uniti...
«....Tutti costar() per() devono mirare sempre a riversare alle parrocchie il frutto del loro lavoro. Ed anche questo "riversare" va accuratamente organizzata.
«Ecco la parrocchia nuova. Che gioia quando potremo abolire la parrocchia del marciapiede ed attendere la gente che verrà, perché avrà un'altra volta imparato a ven[...]

[...]a è diverso: di adattamento e insieme di integrazione. Se è vero, come in gran parte è vero, che per il contadino italiano la religione è tradizione, ritualismo, superstizione e interesse (sia pur d'ordine spirituale), ha ragione il Bussi (44) di ritenere urgente una rievangelizzazione radicale fatta in uno stile concreto, adatto alla mentalità degli uomini dei campi, e con metodo essenzialista. (« Si potrebbero fissar tre articoli fondamentali: Dio é padre; Cristo è fratello; la Chiesa è una famiglia))!; una rievangelizzazione inoltre accompagnata ad una rivalorizzazione della liturgia fondamentale e integrata da una bonifica umanistica del rurale mediante scuole professionali, che ne aprano l'intelligenza, gli insegnino le condizioni igieniche del lavoro, gli parlino del problema della casa, ecc.
(43) « La Parrocchia del marciapiede », ivi, 1948, VI.
(44) «Umanesimo rurale », ivi, 1947, VIIVIII.
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 77
Un programma, come si vede, ma anche quasi soltanto un programma. Tuttavia le avanguardie dell'A.C.[...]

[...]ttavia è veramente notevole, se si pensa alla difficoltà di mettersi al passo da soli o quasi con le istanze acuite dei tempi. Si può anzi dire che l'appello lanciato dal Pontefice con una circolare del 121'46 all'Episcopato italiano per mezzo della Segreteria di Stato (« Desidera il Sommo Pontefice ripetere oggi al Clero italiano l'esortazione, già rivolta da alcuni suoi Predecessori, di ritenere come un dovere d'apostolato il dedicarsi allo studio e all'azione sociale, e insieme di prestare aiuto e assistenza al laicato cattolico che lavora rettamente nelle associazioni professionali ») ha raccolto, come pochi altri, una pronta e generosa, se pur interessata, risposta.
78 CARLO FALCONI
Dal '45 ad oggi, infatti, la maggior parte delle parrocchie ha dato vita al Segretariato del Popolo per i servizi sociali dei lavora
tori, alle Sezioni della Pontificia Commissione d'Assistenza, ai Segretariati della Carita, ai Circoli della G.I.O.C. (Gioventù Operaia Cristiana), a quelli dei Lavoratori delle A.C.L.I. — per tacere delle Casse Rurali, [...]

[...]sione del laicato (d' A. C., in genere) anche femminile a quello che per secoli fu un mandato gelosamente esercitato dai soli vescovi. La propaganda religiosa é divenuta così sempre più voluminosa e farraginosa, ma in diretta proporzione, ed era fatale, anche sempre più scadente: e non potrà che peggiorare se si considera che il laicato non può andar oltre una certa improvvisazione, mentre al clero manca sempre di più il tempo necessario allo studio.
***
Per uno sguardo d'insieme, quanto si é detto può bastare, se pure non è persino esuberante. Tanto più che il lettore sarà ormai soprattutto ansioso che si passi alle conclusioni. Ma su di esse non ci attarderemo, perché non sembri che si voglia imporre una valutazione soggettiva quando il vaglio obiettivo dei dati mette chiun que in grado di far benissimo da sé. Poiché tuttavia non ci par lecito sbrigarci col solito (( messo t'ho manzi », diremo che un raffronto tra il panorama della crisi e quell'o della restaurazione della parrocchia in Italia ci sembra che si chiuda in netto vantagg[...]

[...]aria, nella maggior parte dei casi, introflessa e chiusa, rivelando solo nel campo sociale una notevole facoltà di ripresa; la vita religiosa propriamente detta, infine, è proprio quella che accusa i deficit più gravi. Con questo non si vuol minimamente disconoscere gli sforzi compiuti dall'alto e dal basso clero per una riforma .adeguata dell'istituto parrocchiale. Le buone volontà non sono davvero mancate, ma i risultati sono stati piuttosto mediocri sia per lo sproporzionato aumento dei nuovi bisogni e per le reMore frapposte dai vecchi metodi e mezzi, sia, e soprattutto, per gli infausti compromessi con la politica.
Se la parrocchia infatti ha perduto terreno sul settore religioso, s'è avvantaggiata enormemente, in questi ultimi anni, su quello politico, a beneficio, s'intende, delle mire egemoniche della Chiesa. E che questa sua progressiva profanizzazione sia un bene, nessun vero credente vorrà certo sostenerlo. Si è detto della prevalenza eccessiva che nell'attuale dopoguerra hanno assunto nella parrocchia italiana gli attributi [...]

[...]a questi interrogativi, tanto la realtà gli apparirà d'un'evidenza violenta.
Ebbene, quali conseguenze matureranno da questo stato di cose ? Naturalmente, non è facile prevederle. Troppi imprevisti possono sovvertire i calcoli più prudenti. Ma una cosa si può tranquillamente asserire: e cioè che la strada della politicizzazione porterà la Chiesa a delle amare esperienze. Oggi essa sta tentando con tutte le sue forze di slaicizzare l'Italia, rimedioevizzandola in una nuova teocrazia solo apparentemente più rispettosa del progresso e aperta al riconoscimento dei valori terrestri. Dopo l'antitesi ottocentesca, stile «piononista », insomma, la sintesi novecentesca, stile «piododicista ». Ma non si concilia, sopraffacendo. Leone XIII osò assai meno, e lasciò in eredità il modernismo, il murrismo e il combismo. La reazione all'attuale progressiva egemonia clericale potrà esser forse dilazionata, ma avverrà fatalmente. E se sorprenderà la parrocchia religiosamente inaridita, quella sarà, per il Cattolicesimo italiano, l'ora più critica.
CARLO[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]ome critico letterario. Ora la relazione, rielaborata e molto ampliata, è divenuta un saggio d'insieme su Marchesi: un saggio denso ed essenziale, che per la prima volta ci dà un'immagine complessiva e convincente di una personalità cosí tormentata, cosí ricca di fascino e di aspetti sconcertanti.
Precedenti autori di libri e articoli su Marchesi hanno creduto di metterne in piú viva luce il valore negando le contraddizioni dell'uomo e dello studioso. La Penna ci presenta un Marchesi fortemente contraddittorio, quale fu in effetti: socialista (e poi comunista) con una sincera esigenza di giustizia e di elevazione culturale per i diseredati e gli oppressi, eppure legato a una concezione aristocratica della vita e a un senso dell'arte come creazione assolutamente individuale; angosciato dal dubbio esistenziale, dal « mistero », da un bisogno di fede religiosa sempre insoddisfatto e sempre perdurante, eppure non toccato da alcun dubbio di fronte alle atrocità staliniane, nemmeno quando esse, troppo tardi e troppo poco, furono sconfessate d[...]

[...] PENNA, Concetto Marchesi: la critica letteraria come scoperta dell'uomo; con un saggio su Tommaso Fiore, Firenze, La Nuova Italia (« Biblioteca di cultura », 152), 1980, pp. 138.
632 SEBASTIANO TIMPANARO
zature per giustificare tutto: guardiamo Marchesi come egli guardò Seneca, cercando di capire, non di condannare o giustificare tutte le sue debolezze. Chiunque discute di queste cose, dovrebbe prima leggersi il suo saggio su Seneca.
Ogni studio critico, ma piú che mai uno studio su una personalità di questa natura, esige da parte dell'autore la compresenza di due doti e di due atteggiamenti: da un lato quel distacco che impedisce di cadere nell'agiografia (e di agiografia, a proposito di. Marchesi, se ne è fatta troppa, da parte cattolica e da parte comunista, anche se, per esempio, l'amore di un Ezio Franceschini per la memoria del maestro è cosí caldo . e puro da rendere degne di rispetto certe evidenti forzature); dall'altro una convinzione che, al di là di aspetti caduchi, il personaggio preso in esame ci abbia lasciato insegnamenti importanti, abbia arricchito l[...]

[...] rispetto certe evidenti forzature); dall'altro una convinzione che, al di là di aspetti caduchi, il personaggio preso in esame ci abbia lasciato insegnamenti importanti, abbia arricchito la nostra cultura e la nostra umanità.
A prima vista, chi conosca Antonio La Penna considererà forse piú ovvio e comprensibile il distacco nei riguardi di Marchesi che la capacità di adesione e di valutazione positiva. Gran parte dell'opera di La Penna come studioso della poesia, della cultura, della società antica nasce da una sintesi (sintesi creativa e originale, non eclettismo né giustapposizione) tra la filologia di Wilamowitz, Leo, Norden, Pasquali, mirante a riimmergere l'opera letteraria nell'ambiente e nella tradizione culturale da cui trasse impulso e alimento, di intendere storicamente, non come pure « illuminazioni » prive di antecedenti, anche i valori stilistici, formali della poesia, e l'esigenza marxista di collegare i fatti letterarioculturali e ideologici con la struttura economicosociale e con le istituzioni e le vicende politiche (u[...]

[...]collegare i fatti letterarioculturali e ideologici con la struttura economicosociale e con le istituzioni e le vicende politiche (un marxismo, quello del La Penna, tendente a ridurre al minimo l'eredità hegeliana, ad accentuare l'istanza empirica, senza tuttavia cadere in un empirismo disgregato e agnosticizzante). La Penna stesso ha piú di una volta, fin da anni lontani, battuto l'accento su questa caratteristica della propria personalità di studioso (cfr. ad es. « Belfagor » y, 1950, p. 587 ss.; Testimonianze per un centenario: contributi a una storia della cultura italiana 18731973, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 125127).
Per questo aspetto, si può ben dire che La Penna si trova in una posizione del tutto antitetica a quella di Marchesi. In Marchesi storico del mondo latino c'è una passione politica che dà spesso origine a giudizi acuti, ma non c'è alcuna seria presa di contatto col marxismo (cfr. La Penna, p. 13). Ancor maggiore è l'estraneità a quell'indirizzo filologico « wilamowitziano » a cui abbiamo accennato poc'anzi. In Marchesi[...]

[...]biografia del poeta, non nella lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
IL « MARCITESI » DI ANTONIO LA PENNA 633
fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perché critica un metodo di scomposizione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filologia positivistica (anche il positivismo aveva avuto, nelle scienze naturali e umane piú ancora che nella filosofia, i suoi uomini d'ingegno e di genio) e che, comunque, era stato già superato proprio dalla migliore filologia tedesca (se con qualche seria ricaduta in un discuti[...]

[...]notevole importanza, tra fonti, per cosí dire, meramente « contenutistiche » e analogie di espressione formale, le sole, queste seconde, che dimostrerebbero un effettivo rapporto di dipendenza (SM, in, p. 1234 s.; tale distinzione era stata enunciata anche in scritti precedenti, cfr. per es. SM, III, p. 1113: « sono solo le affinità formali gl'indizi imponenti delle derivazioni »). Ma è uno spunto che rimane inutilizzato o male utilizzato: lo studio del 1908 sulle fonti del Tieste di Seneca (SM, II, p. 493 ss.) prende in esame, sí, analogie di espressione, ma giustamente il La Penna (p. 23) lo giudica « poco piú che un elenco arido »; migliore è qualche altra ricerca (La Penna, p. 23 s.); ma Marchesi, critico pur non privo di senso stilistico, era piú capace di caratterizzare globalmente lo stile di uno scrittore che di analizzarlo puntualmente (egli cita quasi sempre passi tradotti, non testi in latino; e quanto anche la piú bella traduzione sia inadeguata a sostituire l'interpretazione non fu mai del tutto chiaro a lui, mentre fu chiar[...]

[...]e passi tradotti, non testi in latino; e quanto anche la piú bella traduzione sia inadeguata a sostituire l'interpretazione non fu mai del tutto chiaro a lui, mentre fu chiaro, fin da Filologia e storia, a Giorgio Pasquali)1; e quindi era poco sensibile a quel rapporto di zêlos, di « citazioneemulazione », che piú tardi Pasquali teorizzerà con la massima limpidezza nel saggio Arte allusiva del 1942, ma che aveva già attratto l'attenzione e lo studio di filologi tedeschi dell'ultimo Ottocento e del primo Novecento, e di Pasquali stesso nell'Orazio lirico. Pasquali fu sempre ostentatamente ignorato da Marchesi, e tra i due studiosi ci fu sempre reciproca
I G. PASQUALI, Filologia e storia (1920), nuova ed. a cura di A. Ronconi, Firenze 1964, capp. vvi. Ma già Moriz Haupt aveva sentenziato con ragione, benché con una certa paradossalità: « Das Ubersetzen ist der Tod des Verständnisses » (in Ch. BELGER, M. Haupt als akademischer Lehrer, Berlin 1879, p. 248). Anche nei commenti scolastici a classici latini — pur pregevoli per molti aspetti: cfr. LA PENNA, p. 82 — una manchevolezza, secondo me, è costituita dal fatto che Marchesi si limita per lo piú a tradurre singole parole o brevi frasi, mentre è molto avaro di altre d[...]

[...]a dal fatto che Marchesi si limita per lo piú a tradurre singole parole o brevi frasi, mentre è molto avaro di altre delucidazioni (questo suo modo di commentare è da lui stesso dichiarato e difeso nella prefazione ad APULEIO, Della Magia, Città di Castello 1914; maggiore consapevolezza dell'ufficio di prima approssimazione a cui la traduzione deve limitarsi è nella prefazione al Bellum Catilinae di Sallustio, Messina 1939, p. v.). Su Marchesi mediocre traduttore in versi, ottimo in prosa (e ben presto egli predilesse la prosa, discostandosi dalla linea RomagnoliBignone), cfr. LA PENNA, p. 37 s. e, piú ampiamente, E. PIANEZZOLA nel vol. collettivo La traduzione dei classici a Padova, Padova, Antenore, 1976, p. 23 ss. Fra le poche traduzioni in versi riuscite, giustamente il Pianezzola (pp. 3638) cita e riporta la monodia di Tieste nell'omonima tragedia di Seneca e una parte del coro delle Troades sulla morte come annullamento.
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incomprensione, credo anche antipatia personale. Forse l'unica allusione a Pasquali ([...]

[...]o di cultura, di raffinato senso ritmico, esprimentesi in una lingua piena di espressività e di forza vitale, ma non « volgare ». Si confronti l'accenno a Plauto nella recensione già citata al Leo (SM, in, p.. 1108) con ciò che nella Storia della letteratura latina (i`, p. 75) si dice di Plauto poeta « ellenistico », non « ignorante di genio », ma « grande poeta » e perciò « uomo di grande cultura: perché l'arte si alimenta di conoscenza e di studio: altrimenti è improvvisazione artistica di breve durata »; si vedano ancora, nella Storia (vol. cit., pp. 7375), i paragrafi sulla lingua plautina (che « non è quella del volgo, com'è mala consuetudine ripetere ») e sulla metrica; e si riconoscerà ben chiaro l'influsso del Leo. A proposito dell'origine dei cantica c'è perfino un accenno alle due teorie del Leo e di Eduard Fraenkel (derivazione dalla lirica ellenistica o dai cantica tragici?): dalla lettura del Leo Marchesi era passato, sia pure nei limiti di una rapida e non approfondita informazione, alla conoscenza di lavori plautini della [...]

[...]di impostazione metodologica (a cui si aggiungono diversità non meno notevoli di idee politiche e di Weltanschauung), La Penna è portato a simpatizzare con certi aspetti assai significativi della critica letteraria di Marchesi. Ma bisogna tener conto del fatto che la sintesi di filologia tedesca e di marxismo (o, come da qualche tempo egli preferisce dire, di « empiriomaterialismo ») non esaurisce il compito che La Penna si prefigge in quanto studioso del mondo antico (e non di esso soltanto). Egli ritiene che dovere del critico sia anche esprimere giudizi di valore sull'opera d'arte, contribuire a far partecipi gli altri di quella felicità (la felicità, secondo lui, più profonda e intensa concessa all'uomo) che è data appunto dall'arte, pur con la certezza che il giudizio estetico, come tutti i giudizi di valore, è soggettivo e che ufficio del critico non può essere, quando si arriva alla valutazione, quello di « convincere », ma solo quello di « persuadere ». Che la ricostruzione storica (passibile di trattazione « scientifica », almen[...]

[...]ché errato o insufficiente (di giudizio errato non si può parlare se il giudizio è sempre soggettivo e, come tale, inconfutabile), ma solo per la propria « mi
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nore bravura » a difenderlo contro il critico. Ma non è questa la sede per cercar di sviluppare questa mia opinione. Qui si deve rimanere aderenti al tema La PennaMarchesi. E si deve constatare che il vivo amore di La Penna per la poesia, unito al ben giusto fastidio per recenti indirizzi di studio della letteratura che non sono né « scientifici » né « assiologici », ma hanno soltanto delle velleità scientistiche che si riducono a ostentazioni terminologiche dietro le quali non c'è alcuna vera conquista concettuale, ha fortemente contribuito a fargli scorgere i pregi di un criticoartista come Marchesi (diciamo anche di un criticoretore, senza tuttavia dare all'epiteto un significato soltanto svalutativo e senza affatto pretendere di racchiudere in questa definizione una personalità eticamente e psicologicamente cosí complessa). Qualche citazione ci farà meglio capire il fascino che, mal[...]

[...]a autentico, perché dovremmo rifiutare i nuovi doni delle Muse? (p. 40).
Egli [...] rimane come uno dei maggiori criticiartisti che abbia avuto il Novecento italiano [...1. Per quante differenze ci dividano, nella concezione storica e nel metodo, dalla critica della prima metà del secolo, ricordo Marchesi, Valgimigli, Perrotta come uomini che sapevano ricevere i doni delle Muse con mani delicate; né a quel tempo né prima né dopo sono mancati studiosi delle lettere che fanno pensare ai porci rufolanti tra le perle. Onoriamo questo amico delle Muse con misura e con rispetto della verità; può darsi che, una volta tanto, lo verità sia piú ricca e affascinante dei miti e delle mistificazioni (p. 96: è la chiusa del saggio).
L'esortazione alla « misura » e al « rispetto della verità » non si riferisce soltanto, credo, alla mancanza di interesse storicoculturale e al misticismo estetico a cui abbiamo già accennato. Si riferisce anche, suppongo (e ciò, forse, andava piú messo in rilievo) alla sicurezza assoluta di giudizio che Marchesi ha semp[...]

[...]o l'« ideale », per una cultura dell'Italia unita borgheseavanzata con forti cautele « antiutopistiche ». Se nell'immediato dopoguerra si esagerò in « desanctisismo di sinistra », fu perché non si videro i limiti (d'indirizzo politico e, connessi con questi, anche di gusto estetico) di una prospettiva storica e critica che tagliava fuori Cattaneo, Pisacane, la prima scapigliatura, e fondamentalmente non capiva nemmeno Leopardi. Tuttavia nello Studio sul Leopardi, l'ultima opera rimasta incompiuta, c'è un'esigenza di ricerca filologicostorica e addirittura di preparazione bibliografica, di metodo
« tedesco ». Che cosa di tutto ciò ereditò Marchesi? Direi nulla, anche a volersi limitare al « gusto », che In Marchesi è sempre collegato con uno psicologismo, con una predilezione per le « anime tormentate » a cui De Sanctis (anche per
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ragioni di diversa epoca, di diverso clima socialeculturale) fu estraneo. Io temo che a questo ravvicinamento De SanctisMarchesi abbia contribuito una nozione di « critica romantica »[...]

[...]anche per
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ragioni di diversa epoca, di diverso clima socialeculturale) fu estraneo. Io temo che a questo ravvicinamento De SanctisMarchesi abbia contribuito una nozione di « critica romantica » assunta in un senso un po' troppo generico. Ciò che in seguito diremo su Marchesi « tardopositivista » contribuirà forse a distaccarlo ulteriormente dal De Sanctis. Ma anche rimanendo nella cerchia degli eventuali predecessori medioottocenteschi, direi che, pur con la giusta avvertenza di La Penna (p. 37: in Marchesi l'incontro con lo scrittore in quanto uomo « avviene sempre attraverso l'opera: non c'è traccia di curiosità biografiche più o meno futili, alla maniera di SainteBeuve »), l'affinità con SainteBeuve sia piú forte,
o meno debole, di quella con De Sanctis.
3. « Umanità perenne », arte, bisogno religioso. — Abbiamo già accennato che La Penna considera, giustamente, come un limite di Marchesi la concezione della poesia come espressione esclusiva dell'esperienza umana immediata del poeta, al di fuori di condizi[...]

[...]ng di Marchesi e della sua opera di critico. All'esame di questo punto centrale egli dedica in particolare il cap. iv, « Homo » e « civis », che è forse il piú penetrante di tutto il volumetto.
In tutti i suoi scritti Marchesi ha profuso dichiarazioni di sfiducia nel potere, che la filosofia e la scienza si arrogano, di dare all'uomo la verità
e la felicità. Nessun filosofo « ci ha mai sorretto, aiutato, confortato »; nessuno ci ha dato il rimedio per « evitare l'insonnia, la miseria, la follia »
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA PENNA 639
(SM, ii, p. 669 s., in uno scritto del 1910: il passo, non breve, è tutto da leggere, e con ragione il La Penna, p. 35 s., ne sottolinea la centralità per capire Marchesi). Al pari della filosofia, la scienza « non potrà mai svelare l'arcano della vita » (Il poema di Lucrezio, Torino, « Quaderni ACI », [1950], p. 16). L'opera di Tacito « non teme fallimento: perché le idee cadono, solo il dubbio rimane » (Tacito, Messina 1924, p. 252; un po' diverso nell'espressione, ma non nel contenuto, in Tacitoz, 1[...]

[...]ante visioni, tutte vere e tutte false; c'è una sola « forza unificatrice: è quella dell'arte: sola infrangibile verità ». Lo storicoartista dischiuderebbe il segreto di una personalità del passato anche attraverso la narrazione di episodi in tutto o in parte inventati; di fronte a un racconto liviano di particolare efficacia rappresentativa, Marchesi esclama: « A chi mai — se non a un infelice pedante — può venire in mente di chiedere se l'episodio sia nei suoi particolari abbastanza documentato? ». Si potrebbe obiettare che Marchesi stesso talvolta non crede ai suoi prediletti storiciartisti: rivaluta Catilina contro Sallustio, Tiberio contro Tacito (cfr. La Penna, pp. 9 s., 68 s., che giustamente mette in rilievo il notevole valore di queste rivalutazioni). Qui la passione politica « di sinistra » nel primo caso, una consonanza autobiografica con la tristezza di Tiberio nel secondo, hanno portato Marchesi a dissentire; ma a dissentire, se ben si guarda, mettendosi egli stesso in gara, come storicoartista e storicopsicologo, con Sallus[...]

[...]rchesi è profondamente convinto — ha « caratteri permanenti ». Il dolore, l'angoscia, il senso del mistero e della morte, anche l'amore e il sorriso (ma un sorriso al cui fondo c'è la tristezza, e un amore che è autentico solo quando è fugace) hanno accompagnato l'uomo fin dall'inizio e sempre lo accompagneranno.
Questa visione dell'uomo suscita in Marchesi, ancora una volta, spinte e inquietudini opposte. Da un lato, un incessante « bisogno di Dio » assillò Marchesi per tutta la vita, gli fece ricercare l'amicizia di religiosi, lo spinse piú volte a cercare pace e solitudine in monasteri, pur non facendolo mai deflettere dall'ostilità piú fiera per il cattolicesimo politico, per la Chiesa ufficiale alleata degli oppressori e degli sfruttatori. Di ciò hanno scritto ampiamente, con sostanziale veridicità, due studiosi cattolici, Pietro Ferrarino (Religiosità di Marchesi, ora in appendice a SM, III, p. 1331 ss.) ed Ezio Franceschini (C. Marchesi, Padova, Antenore, 1978, pp. 121 ss., 129 ss.). Ma il Ferrarino, piú sobrio e obiettivo pur nella sua chiara professione di cattolicesimo, si è fermato a tempo, non ha voluto dimostrare l'indimostrabile sugli ultimi istanti di vita di Marchesi; il Franceschini, non per quel meschino spirito di speculazione che ha indotto tanti clericali a inventare conversioni all'ultima ora, ma per una sofferta esigenza di sapere « salvato » il maestro e amico da lui amato con ta[...]

[...]acito', p. 186). Piú in là di questo punto, per quel che si può sapere, Marchesi non si spinse mai; certo, chi, pur conscio ed esperto dell'infelicità umana, intenda mantener fermo il coraggio della verità di un Leopardi (un poeta e pensatore che Marchesi cita qualche volta, ma con cui non dové consentire mai pienamente), troverà che Marchesi si era spinto già troppo oltre.
D'altra parte (e su questo si è forse sorvolato troppo) il « bisogno di Dio » era in Marchesi contrastato da una persuasione, a tratti riaffiorante, che proprio il dubbio e l'angoscia fossero il prezzo necessario della nobiltà umana, della poesia, di quella senechiana meditazione (ben diversa dall'orgogliosa sicurezza filosofica e scientifica) senza le quali la vita si sarebbe immeschinita, si sarebbe abbassata al vegetare di quel « volgo » verso cui, come abbiamo visto e ancora vedremo, il socialista e comunista Marchesi non riuscí mai a superare un aristocratico disprezzo. Nella conferenza su Lucrezio, dopo aver detto le parole già da noi riportate, che la scienza [...]

[...]'arte non ha: ed è poeta destinato a morire ». Catullo e in genere i poetae novi sono amati (fin dal giovanile volumetto su Elvio Cinna, cfr. La Penna, pp. 56) in quanto disgregatori di valori tradizionali. Lucrezio è grande per la sua prospettiva cosmica e il suo senso doloroso della vita, per la sua implicita (e anche esplicita) svalutazione della partecipazione alla vita pubblica con le sue ambizioni e le sue meschinità 3. I poeti augustei, mediocri quando si fanno esaltatori della romanità e del principato, sono grandi quando evadono da queste strettoie: nel saggio su Virgilio del 1930, in polemica con la retorica del bimillenario virgiliano, Marchesi dice: « In un'opera di poesia che voglia essere di celebrazione storica e nazionale ciò
3 Il LA PENNA (p. 75 s.) cita, dalla prima edizione della Storia, un paragone LucrezioVirgilio a favore di Virgilio. E replica: « No: sia per `vastità poetica' sia per intensità lirica Lucrezio non ha confronti nella letteratura latina: i poeti confrontabili bisogna cercarli fra i Greci o fra i mode[...]

[...]sincantato di una società caotica, precocemente invecchiato e desideroso di pace nella sua città natale; e su tutto ciò ci ha dato, a piú riprese, pagine fra le sue piú felici. Ma non ci ha detto una parola su quanto di pettegolo, di futile, di moralisticamente frusto c'è nei troppi epigrammi di Marziale (di difendere Marziale dall'accusa tradizionale di immoralità Marchesi ha tutte le ragioni; ma anche l'irrisione dell'oscenità è una forma fastidiosa di moralismo; il giudizio di Paratore su Marziale sarà troppo duro, ma ha la sua parte di verità). E d'altra parte non ci ha detto nulla neanche su quell'aspetto di vitalità sorgiva, « al di qua del bene e del male », che è un carattere di alcuni tra i piú vivi epigrammi, messo piú tardi in evidenza dal La Penna (« Maia » vut, 1955, p. 137). Anche al Seneca (il libro a cui probabilmente Marchesi teneva di piú, come dimostra la dedica alla memoria della persona da lui piú amata, sua madre) nuoce talvolta un eccesso di autobiografismo che è, insieme, un eccesso di psicologismo, di quella pred[...]

[...] quella predilezione per le « anime tormentate » a cui già s'è accennato. L'ammirazione per Seneca passa ogni limite: da molti passi sembra chiaro che Marchesi lo consideri l'autore piú grande di tutta l'antichità, se non di tutta l'umanità. Nella
5 In un saggio giovanile su un volgarizzamento medievale della Pharsalia (SM, i, p. 247, segnalato brevemente dal LA PENNA, p. 21) Marchesi sembra aver intuito, attraverso il Fortleben di Lucano nel Medioevo, i due principali motivi ispiratori — strettamente legati l'uno all'altro — di questo poeta: l'esasperato e disperato libertarismo e la negazione della provvidenza divina. Ma nella Storia questa intuizione ha scarso sviluppo; e il capitolo su Lucano è oscillante e scialbo.
IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA 645
prima edizione (Messina, Principato, 1920) tale è l'identificazione del critico col suo autore, che la parte sulle opere viene ad essere costituita in misura preponderante da lunghissimi brani tradotti, quasiché non vi fosse pressoché nulla da aggiungere a ciò che Seneca disse (q[...]

[...]: « Lingua morta, dunque, la lingua latina: ma in questa lingua parla al mondo una delle piú grandi letterature: e certamente la piú universale » 6.
6 Accanto all'argomento, piú tipicamente marchesiano, dell'« universalità », compare in questi scritti anche la tesi classicistaumanistica, secondo la quale l'arte classica è l'unica che può essere gustata solo nella lingua originale e non in traduzioni, laddove in Shakespeare o in Tolstoj « la grandiosità e la ricchezza della scena e l'immensa forza suggestiva della rivelazione umana s'impongono su ogni vizio di forma » (Umanesimo e comunismo, p. 397). Ma, a parte quell'accenno stranamente sprezzante a « ogni vizio di forma » in autori grandissimi, è facile obiettare che la maggiore o minore traducibilità delle opere artistiche si misura caso per caso, e anche a seconda del genere letterario, non già con una contrapposizione globale antichimoderni. Sarebbe arduo sostenere che, traducendo in lingua diversa dall'originale Shelley o Leopardi o Verlaine,
648 SEBASTIANO TIMPANARO
Ma come si e[...]

[...]re brani latini tradotti!
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uomo di Stato fu il fondatore dell'impero romano quale organismo politico universale »7. In confronto a Cesare, Augusto, osserva il La Penna (p. 76),
« non riscuote un'ammirazione neppure lontanamente paragonabile ». Ciò mi sembra vero soltanto in parte. Certo Marchesi non ha attribuito ad Augusto la genialità di Cesare, né lo poteva; ma non ha nemmeno accentuato, come altri studiosi, il contrasto fra la mediocrità dell'uno e la grandezza dell'altro. Anche ad Augusto è tributata una viva lode per quel punto che piú importa a Marchesi: « Con uguale risolutezza procede la politica unitaria provinciale che tende ad associare l'Italia alle provincie
e a costituire il grande impero romano al posto di quello Stato cittadino che vedeva nelle provincie un semplice campo di sfruttamento » (Storia, i', p. 356). E in un discorso su Augusto tenuto nel 1938 (l'anno del bimillenario augusteo; edito nella collana di « Opuscoli Accademici » dell'Università di Padova, ripubblicato poi nel Cane di terracotta) il gi[...]

[...]re dello « Stato cittadino », e in quanto tale preparava il terreno alla poesia puramente umana.
La difesa che Marchesi fa di Tiberio, la sua sia pur cauta rivalutazione di Domiziano (nel profilo di Marziale) si collocano su un altro piano: non come imperatori « forti » essi sono apprezzati da Marchesi, ma come uomini tristi, soli, incompresi (bene il La Penna, p. 68). Ma nell'introduzione al cap. vi della Storia (II', p. 323 s.: « Da Adriano a Diocleziano ») ritorna ancora una volta il nesso tra impero come assolutismo e impero come cosmopoli: « Il potere imperiale, ormai prossimo anche nella forma all'assolutismo monarchico, si faceva sempre piú personalmente sollecito della prosperità e del benessere di tutti i paesi soggetti, e i vinti dimenticavano la loro indipendenza di fronte ai benefici della pace e degli onori e senti
I1 giudizio su Cesare, tuttavia (caso raro in Marchesi, che fu di solito molto costante nei suoi amori e odi per artisti e personaggi politici), oscillò fortemente da uno scritto e da un'occasione all'altra. Nel[...]

[...]iverso concepito materialisticamente ed evoluzionisticamente postulava il famoso « Inconoscibile » e non negava la religione, e che Emil Du BoysReymond, fautore di un meccanicismo addirittura laplaciano, riconosceva poi l'esistenza dei « sette enigmi del mondo », di fronte ai quali la scienza doveva dire non soltanto ignoramus, ma ignorabimus.
In un settore del tardo positivismo (un settore rappresentato, almeno in Italia, piú da letterati e studiosi di discipline umanistiche che da scien
SEBASTIANO TIMPANARO
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ziati della natura) questa concezione dualistica, che in quanto tale, come si è visto, compare già nel primo positivismo, assume una carica di « sgomento cosmico » e di ansia per il destino effimero dell'uomo. Due poeti e studiosi pur molto diversi l'uno dall'altro, Pascoli e Graf, esprimono spesso questo bisogno religioso all'interno di una cultura che è ancora nettamente positivistica; lo stesso si può dire di un autore a cui il Marchesi fu molto vicino nei suoi anni giovanili, Mario Rapisardi (cfr. La Penna, p. 7 s.; si pensi specialmente al Giobbe di Rapisardi; e si tengano presenti le affinità che risultano dal carteggio GrafRapisardi pubblicato da Carmelina Naselli in « Archivio storico per la Sicilia orientale », LVIII, 1962, fasc. 13, LIx, 1963, fasc. 13). Nessuno di essi pensò mai alla possibilità di porre l[...]

[...]rappresenta una rivincita dell'antropocentrismo e una tendenza alla dissoluzione della materia come limite alla libertà e al « potere » dell'uomo. In Croce e in Gentile, la natura è ridotta a mero oggetto di conoscenza (o di conoscenzaazione) umana; tutto ciò che nell'uomo vi è di debole e di effimero è attribuito all'« io empirico », pura astrazione, mentre l'Io assoluto riassume tutti i caratteri della divinità; in Bergson (come nei suoi piú mediocri precursori francesi) permane, anzi da ultimo si accentuerà, la trascendenza, ma la natura è smaterializzata, investita di vitalismo, cessa quindi di ergersi di fronte all'uomo come forza ostile. Rispetto a questo spartiacque, Marchesi rimase « al di qua ». La filosofia antipositivistica del Novecento era trionfalistica: negava la scienza ottocentesca, ma negava anche il « mistero », e disprezzava il positivismo come un'epoca di decadenza filosofica. Marchesi, se non si sentiva appagato dalla scienza, ancor piú era irritato dal trionfalismo della filosofia: dall'aspra invettiva contenuta in[...]

[...]eraria aliena da ogni filologia va messa in rapporto, a mio avviso, con una pratica di lavoro frequente in molti filologi classici o, ancor piú, italianisti o romanisti della « scuola storica », che alternavano a un'erudizione troppo arida una saggistica fin troppo divulgativa, con tendenza allo psicologismo e al « bello scrivere », spesso anche alla retorica. Naturalmente si sottraggono a tale caratterizzazione capolavori come il Virgilio nel Medio Evo del Comparetti; ma non vi si sottrae del tutto il Carducci (a
9 Specialmente negli ultimi anni, e in scritti di argomento estraneo alla letteratura latina, l'accenno ai « tre presenti » compare piú volte, anche senza che Agostino sia nominato: cfr. Umanesimo e comunismo, pp. 30, 45, 182, 342; ma in una forma estremamente generica, per significare l'intero corso della storia umana, oppure ciò che è sempre attuale. Si ha l'impressione che Marchesi si fosse innamorato della formula in quanto tale (nel terzo dei passi ora citati la usa addirittura in senso ironico) piú che del suo significat[...]

[...] certe caratteristiche e certe contraddizioni di Marchesi ne usciranno, penso, meglio chiarite. E per quel ché riguarda gli italianisti e i medievalisti di fine Ottocento, non si dimentichi che nella produzione giovanile di Marchesi la filologia medievale e umanistica prevalgono, come quantità e anche come valore, sulla filologia classica, seguendo l'esempio di Remigio Sabbadini, anche lui, malgrado le cure date al testo di Virgilio, migliore studioso dell'umanesimo che della letteratura latina antica. Di questa produzione giovanile di Marchesi tratta in modo eccellente il La Penna nel cap. ir del suo saggio, e io non ho nulla da aggiungere; qualcosa, piú oltre, dirò del Marchesi filologo classico.
Con ciò non intendo certo sostenere che Marchesi abbia trascorso la maggior parte della sua vita intellettuale chiuso dentro una corazza tardopositivistica, insensibile ad ogni influsso del neoidealismo e dell'irrazionalismo novecentesco. La condanna del filologismo (quale appare specialmente nella prolusione del 1923, per poi attenuarsi), la[...]

[...] chi non condivida il punto di vista idealistico del Treves).
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pur convintissimo di essere dalla parte del vero, si sentisse troppo poco ferrato filosoficamente per discussioni di questo genere. Ma i suoi amici piú cari, anche quando la generazione propriamente positivistica (alla quale aveva appartenuto il suo maestro Sabbadini) volse al tramonto, egli li ebbe fra uomini accomunati a lui dal « bisogno di Dio », o tra cattolici di spirito aperto, o anche tra idealisti, ma idealisti eterodossi. Fra i primi, oltre il Bertacchi che già abbiamo ricordato, va particolarmente segnalato Eugenio Donadoni, un critico che presenta con Marchesi forti affinità per l'attenzione rivolta, ancor piú esclusivamente che in Marchesi, all'« umanità », al mondo moralepsicologico dell'artista: quanto Marchesi si sentisse affettivamente e intellettualmente vicino a Donadoni (fino a smarrire, bisogna confessarlo, ogni ragionevole senso del limite nell'esaltarne il valore) è testimoniato da un appunto pubblicato da France[...]

[...] rivolta anarchica e il solidarismo cristianomassonico, privo di ogni rigorosa base marxista. Che di questo tipo sia stato il socialismo iniziale di Marchesi, si comprende bene dalla lucida sintesi che nel cap. i del suo libro il La Penna ricava dai documenti a nostra disposizione (io ho soltanto dei dubbi su un presunto legame tra il socialismo di Marchesi e l'esaltazione, che in lui riaffiorò poi sempre, del libero amore e il suo senso di fastidio per l'amore coniugale: il libero amore come lo concepisce Marchesi è troppo collegato al disprezzo per la donna, vagheggiata solo come oggetto di fugace piacere, come etèra: una Anna Kuliscioff, una Anna Maria Mozzoni non sarebbero piaciute affatto a Marchesi) .
Con l'umanitarismo e con un pessimismo di fondo coesisteva, in molti di codesti intellettuali, una convinzione nella « fatalità » dell'avvento al potere del proletariato. Questa convinzione era, com'è noto, tipica del marxismo della Seconda Internazionale (e del resto non era stata affatto estranea, seppure in forma meno schematica, [...]

[...] sul meno faticoso ma piú « meritevole » lavoro intellettuale!), Marchesi afferma il proprio diritto ai « sorrisi amari » e a « reclamare sempre [ ... ] il divorzio spirituale dalle moltitudini ». E per le « moltitudini », per la « plebe », per la « folla » (parole con cui Marchesi designa, indifferentemente, ora le classi subalterne dei tempi di Orazio, ora il proletariato del secolo xx) lo scrittore ha insieme un disprezzo « spirituale » e un odiotimore fisico. Parla (riportando, con forzature, espressioni oraziane, e condividendole, e andando al di là di Orazio) di « schifo della folla », di « puzzo di gregge e di becco » che da essa emana; afferma che « dov'è un popolo, là è una turba di ladri, di avventurieri, di ruffiani » (p. 546). Afferma sarcasticamente (ibid.) che « nessun liber uomo del popolo » si è mai battuto per la tutela dei « diritti individuali » (quando, poi, Stalin fece quel che fece dei « diritti individuali », Marchesi plaudi).
Passata la fase violenta della rivoluzione, sarà la « moltitudine » capace di creare una[...]

[...] migliore » la moltitudine è pazzia; e ciò vale per la società in assoluto, « tutta quella che fu e sarà sempre » (p. 555). Il finale dell'articolo accenna vagamente ad una maggiore giustizia sociale (molto vagamente, perché la nozione stessa di giustizia sociale svanisce se si ritiene che il proletariato sia una marmaglia inguaribilmente inferiore), ma si sofferma sul terribile prezzo che ciò costerà: perdita dell'« amore », vuoto « al posto di Dio che irraggiava di beatitudine le anime delle sue creature e dell'imperadore che movea oste per la sua gente » (curioso, sul finire di questo articolo oraziano, questo rimpianto « medievale »). Che avremo al posto di tutto ciò? « I nuovi
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canti del lavoro? Oh forse, no. » L'unica speranza è che « noi » (noi intellettuali umanisti) riusciamo a far rivivere, « con i canti della Georgica immortale, il sorriso e lo scherno della sapienza oraziana » (p. 561). Si noti il dilemma: o una poesia populistica e retorica, o la reviviscenza della grande poesia antica[...]

[...]ia nuova che si innalzi un po' al di sopra dell'Inno dei lavoratori è esclusa a priori da Marchesi.
Il 1908 cade in un periodo in cui gran parte dell'intelligencija italiana, che si era accostata al socialismo durante la reazione di Crispi e di Pelloux e ancora nei primissimi anni del nostro secolo, ridiventa « borghese »: c'è chi si spinge al nazionalismo e prepara già un clima prefascista; ma il distacco dal socialismo fu compiuto anche da studiosi seri e onesti come Salvemini, Ciccotti e molti altri. Non è azzardato, credo, supporre che Marchesi, pur rimanendo iscritto al Partito socialista, abbia fortemente risentito dell'atmosfera antisocialista di quegli 'anni.
Quell'articolo del 1908 dette luogo (lo ricorda, anche se fugacemente, Piero Treves, art. cit., pp. 141,146) a una replica di Alessandro D'Ancona, Malinconica visione dell'avvenire (« Giornale d'Italia », 26 luglio 1908 = Ricordi storici del Risorgimento italiano, Firenze [1914], p. 541 s.). Il conservatore, ma non reazionario D'Ancona ebbe buon gioco nell'osservare che, i[...]

[...]ondo futuro (socialista o no), si dimostrava piú progressista di Marchesi: « Quanto a noi, adoriamo con razionale ossequio e il buon Virgilio e lo scettico Orazio [ ... ] ; ma non possiamo credere che essi rappresentino, oltreché il passato, anche l'avvenire della civiltà; crediamo, anzi, che anch'esso il mondo avvenire troverà il suo appropriato verbo poetico ». Marchesi si era messo in un bell'impiccio; e nella sua risposta (Senza amore, senza Dio, senza arte?, « Giornale d'Italia », 30 luglio 1908) cercò, bisogna dirlo, di cambiare le carte in tavola. Da un lato affermò di aver voluto, quanto ad Orazio, « fare soltanto opera di divulgazione », sfatando la diceria di Orazio poeta cortigiano; dall'altro dichiarò: « Sono socialista, tutto d'un pezzo, e sul serio », e finse di essersi battuto soltanto contro certi fraintendimenti della dottrina socialista. Dei propri insulti alla « moltitudine » non fece parola (mentre essi occupavano gran parte dell'articolo oraziano); e dopo aver deplorato in quel primo articolo, come si è visto, la pro[...]

[...]o opera di divulgazione », sfatando la diceria di Orazio poeta cortigiano; dall'altro dichiarò: « Sono socialista, tutto d'un pezzo, e sul serio », e finse di essersi battuto soltanto contro certi fraintendimenti della dottrina socialista. Dei propri insulti alla « moltitudine » non fece parola (mentre essi occupavano gran parte dell'articolo oraziano); e dopo aver deplorato in quel primo articolo, come si è visto, la prossima fine della fede in Dio, adesso dichiarò che Dio « sta troppo in alto », e introdusse perfino nel suo discorso, lui nemico della scienza, una nota scientistica e laicistica: « Oggi molti uomini di studio volgono l'occhio lassú, in alto, in cielo, solo per indagare e conoscere le leggi della enorme vita planetaria, non già per offrire all'uomo affaticato il premio dell'oltretomba... ». Nella controreplica con cui la polemica si chiuse (« Giornale d'Italia », 1 agosto 1908 = Ricordi storici cit., p. 552 ss.) il D'Ancona ebbe, ancora una volta, facile vittoria, senza nemmeno incalzare troppo il Marchesi. E quanto alla questione di Dio, ribatté: « E sia: ma il mistero della vita, della vita umana ed universale, rimarrà sempre impenetrabile, per quanto si centuplichi il patrimonio del sapere ». Era un'asserzione tipicamente marchesiana, che il Marchesi si vedeva ritorcere contro! Ma certo sarebbe interessante (benché non
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facile) studiare il Marchesi socialista dagli inizi del nostro secolo fino alla fondazione del Partito comunista; è questo il periodo del Marchesi politico su cui meno sappiamo.
8. Il critico testuale. — Un ultimo punto sul quale, sempre seguendo e postillando il libro di La Penna[...]

[...]Marchesi come filologo classico, e più precisamente come critico testuale. Il La Penna (cap. III) valuta, in complesso, severamente le edizioni critiche o semicritiche (chiamo cosi i commenti scolastici muniti di piú o meno sporadici contributi criticotestuali: un genere ibrido, ma nel quale dettero alcune buone prove il Terzaghi, il Galante ed altri) dell'Orator di Cicerone, del Tieste di Seneca, del De magia di Apuleio, dell'Ars amatoria di Ovidio; .considera con maggiore benevolenza alcune ricerche su codici di autori antichi (molte di piú, e piú fruttuose, il Marchesi ne compi su codici di autori medievali e umanistici) e in particolare mette in risalto il valore degli studi sugli scolii a Persio (SM, II, pp. 907983); sottolinea che un progresso criticotestuale assai notevole fu compiuto dal Marchesi con l'edizione di Arnobio (Torino 1934, 19532). Tuttavia anche riguardo a quest'ultima il La Penna ammonisce che « va lodata con misura », e vi ravvisa il difetto di tutta la critica testuale marchesiana, l'indirizzo troppo conservativo,[...]

[...]1902 (dovuta principalmente al Richter, per la prematura morte del Peiper) si accorsero che i codici A, accanto a numerosissime banalizzazioni e alterazioni arbitrarie (altre, del resto, ne aveva anche E, benché in molto minor misura), presentavano lezioni sicuramente giuste e non congetturali; e cercarono di districare la genealogia dei codici A. Ma questa operazione doveva riuscire soltanto assai piú tardi (e pur sempre imperfettamente: gli studiosi piú recenti, certo molto meritevoli, ostentano tuttavia troppa baldanza); e le lezioni di A accolte dal Richter erano ancora, di gran lunga, troppo poche, e troppe le congetture, non piú felici di quelle del Leo. Perché apparisse chiaro quanto di buono si poteva ancora ricavare da A (anche senza affrontare il problema dei rapporti genealogici all'interno di questa famiglia) e di quante congetture inutili andasse sbarazzato il testo delle tragedie di Seneca, dovevano venire, dal 1926 in poi, gli studi di Gunnar Carlsson, che rimangono fondamentali, sebbene in alcuni casi il Carlsson si sia s[...]

[...]mo che in molti passi (vv. 26 nec, 47 fratris, 93 sacra, 110 stetit, 111 qui, 114 latus, 141 tulerat, 255 modum, 302 preces. movebunt, 326 patri cliens, 740 ac, 833 et ignes, 890 implebo patrem, 994 abdidit, 1008 te nosque, 1084 haec) la lezione prescelta dal Marchesi è oggi accolta (cfr. anche i « fartasse recte » del Giardina a 180 e 322). In alcuni casi si tratta di scelte a favore di A, nelle quali il Marchesi precorse il Carlsson o altri studiosi, in uno di scelta a favore di E (v. 26: qui il Leo e il Richter avevano preferito ne di A, e ciò dimostra che Marchesi non aveva pregiudizi uniláterali contro l'Etrusco), in molti altri di conservazione della lezione di tutti i mss. Il La Penna, mentre enumera (p. 27) alcuni passi in cui il Marchesi ha sicuramente o probabilmente torto, non fa cenno (tranne che per il v. 302) dei casi, tutto sommato piú numerosi, in cui ha ragione contro Lea e Richter (talvolta la lezione giusta era stata già prescelta da vecchi filologi; ma è pur sempre un merito del Marchesi l'averla rivalutata contro le [...]

[...]E sia piú consono allo stile di Seneca; eppure il confronto addotto da Marchesi con l'ordine delle parole nel modello virgiliano non è privo di finezza, e la lezione che egli preferisce non è tramandata dal solo Riccardiano, ma dall'intera classe A.
Questa mia difesa dell'edizione del Tieste va considerata, intendiamoci, come una difesa ben delimitata: i grossi difetti a cui già abbiamo accennato restano, e l'edizione rimane il lavoro di uno studioso non privo di qualità anche in critica testuale, ma immaturo.
Diverso è il caso dell'edizione di Arnobio. Su essa il La Penna si sofferma ampiamente, mostrandosi ottimo conoscitore del testo arnobiano e aggiungendo alle osservazioni sull'edizione di Marchesi propri contributi originali (pp. 29 s., 101103; altri contributi originali il La Penna pubblicherà prossimamente). Egli nota con ragione che,nell'Arnobio « la tendenza conservatrice », che aveva pesato negativamente sulle vecchie edizioni curate da Marchesi, « non è affatto generale e molto raramente è acritica »; aggiunge che « l'edito[...]

[...] Di questo tipo era stato il conservatorismo di Marchesi nelle edizioni anteriori a quella di Arnobio (il che non esclude, come si è visto, che in parecchi casi, a proposito del Tieste di Seneca, egli avesse ragione): sia pure con minore virulenza di un Romagnoli, aveva anch'egli accolto la connotazione patriottica del proprio indirizzo criticotestuale: nell'introduzione al Tieste il Leo e il Richter sono chiamati, in contesti polemici, « gli studiosi tedeschi », « gli editori tedeschi » (pp. 29, 38), e di « pernicioso influsso germanico », di « metodiche aberrazioni della cultura germanica » a cui gli italiani devono opporre « una cultura latina [ ... ] fondata sul "buon senso" ch'è sapientia » si parla con insistenza — riferendosi anche alla critica testuale — in Filologia
e filologismo (SM, in, pp. 1237, 1241; cfr. La Penna, p. 54). Ben diverso, anche se ebbe i suoi occasionali eccessi, era il conservatorismo criticotestuale della scuola svedese. Esso partiva dallo studio dei testi latini tardi, dai fatti lessicali e sintattici che d[...]

[...]manico », di « metodiche aberrazioni della cultura germanica » a cui gli italiani devono opporre « una cultura latina [ ... ] fondata sul "buon senso" ch'è sapientia » si parla con insistenza — riferendosi anche alla critica testuale — in Filologia
e filologismo (SM, in, pp. 1237, 1241; cfr. La Penna, p. 54). Ben diverso, anche se ebbe i suoi occasionali eccessi, era il conservatorismo criticotestuale della scuola svedese. Esso partiva dallo studio dei testi latini tardi, dai fatti lessicali e sintattici che da un lato anticipavano molti sviluppi delle lingue romanze, dall'altro si riconnettevano al latino arcaico, in parte per consapevole arcaismo, in parte maggiore per riemersione di una ininterrotta corrente di lingua popolare rimasta celata sotto la lingua letteraria degli scrittori dell'età classica. Non si trattava, quindi, da parte del Löfstedt e della sua scuola, di « venerazione » della tradizione manoscritta, ma di lotta contro le congetture normalizzatrici, classicistiche, ciceronianizzanti: lotta che in parte (e senza dubbio[...]

[...]ati, di nuovo, nella Germania del Novecento. Ora, l'edizione di Arnobio non è soltanto una continuazione piú cauta
e bibliograficamente piú aggiornata del vecchio conservatorismo « all'italiana » del Marchesi giovane: è una svolta e un'adesione a questo nuovo conservatorismo, particolarmente necessario per un autore come Arnobio, cosí pieno non solo di volgarismi e arcaismi, ma di espressioni personali, di hapax, quasi tutti disconosciuti dal mediocrissimo editore anteriore al
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA PENNA 667
Marchesi, August Reifferscheid. Per la prima volta nella sua vita Marchesi si mise a studiare un testo parola per parola, facendo i conti con la linguistica e la filologia fiorite fuori d'Italia, abbandonando (non nella concezione generale dei rapporti tra filologia e critica letteraria, ma nella tecnica filologica sí) il provincialismo. E non si limitò a far tesoro dei contributi altrui: notò egli per primo molte particolarità, inconcinnità sintattiche, stranezze individuali del latino di Arnobio (ricordo un solo esempio f[...]

[...]bba anche all'influsso degli allievi dell'università di Padova, di uno soprattutto, il solo vero allievo che Marchesi abbia avuto, Ezio Franceschini, che è poi diventato un insigne medievalista. Franceschini ha sempre parlato di Marchesi come di un maestro « irraggiungibile », che, nonostante la grande umanità e la sostanziale modestia, poco o nulla poteva imparare dai suoi scolari. Tuttavia nel suo Marchesi il Franceschini ci ha narrato un episodio significativo (p. xit s.). Nel 1926, sul finire di una lezione sulla tradizione medievale dell'Etica Nicomachea (di cui si era occupato a lungo da giovane), Marchesi accenna a un testo, il
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Liber philosophorum moralium antiquorum, che era sempre rimasto per lui un enigma quanto all'autore, alle fonti, alla lezione di molti passi. Vuole qualcuno dei suoi scolari prenderlo come argomento di tesi di laurea? Si fa avanti Franceschini, sí fa affidare da Marchesi quel lavoro, si ripresenta a Marchesi, dopo aver lavorato da solo, un anno dopo e gli espone i risultati: quel [...]

[...] e gli espone i risultati: quel testo è la versione latina di un'opera araba composta nel 1053; ne esistono anche versioni in altre lingue, ed esistono molti altri codici della versione latina, ignoti a Marchesi. « Mi ascoltò silenzioso, con segni evidenti di stupore e d'interesse. Poi mí chiese: "Ma come ha fatto, scusi, a giungere a questi risultati?". Risposi: "Chiedendomi semplicemente se della questione non si fossero mai interessati gli studiosi tedeschi". Ero partito infatti da quella domanda, avevo fatto ricerche in quella direzione ed ora gli potevo presentare una lunga lista di autori a lui ignoti e le loro conclusioni. ».
Un fatto di questo genere (e non è detto che sia stato l'unico) dovette far riflettere Marchesi, probabilmente piú di quanto appaia dal séguito del racconto di Franceschini, che si preoccupa di ridare subito al maestro, nel colloquio, la funzione di guida, la preminenza. Certo Marchesi aveva già, in altri campi, letto e consultato e recensito molte opere di studiosi tedeschi; ma, come dimostrano proprio le t[...]

[...]li potevo presentare una lunga lista di autori a lui ignoti e le loro conclusioni. ».
Un fatto di questo genere (e non è detto che sia stato l'unico) dovette far riflettere Marchesi, probabilmente piú di quanto appaia dal séguito del racconto di Franceschini, che si preoccupa di ridare subito al maestro, nel colloquio, la funzione di guida, la preminenza. Certo Marchesi aveva già, in altri campi, letto e consultato e recensito molte opere di studiosi tedeschi; ma, come dimostrano proprio le tante recensioni ora ristampate in SM, quasi sempre con frettolosità e (si ricordino le espressioni già da noi riportate) con la convinzione, piú o meno esplicita, che la forza d'intuizione latina avesse poco di importante da imparare dalla pedanteria teutonica. Sul finire degli anni Venti accadde evidentemente in lui un ripensamento, senza il quale non sarebbe immaginabile l'edizione di Arnobio. Il Franceschini, filologo di prim'ordine ma non disposto a esprimere sul suo Marchesi alcuna riserva e quindi nemmeno a compiere alcuna periodizzazione, ric[...]

[...]a di Marchesi ma considera eccellenti anche le edizioni critiche anteriori (op. cit., pp. 267, 308309); tuttavia testimonianze dello stesso Franceschini come: « Ricordo le lunghe discussioni sulla scelta di una variante, le ragioni valide per l'una o per l'altra parola, le ricerche lessicali e stilistiche, e ancora i dubbi e le incertezze, prima della decisione » (p. 94 s.); o: « Quante volte lo incontrai dopo una notte passata insonne per lo studio di una variante! » (p. 130, e ancora p. 167) non possono riferirsi che all'Arnobio (per « varianti » il Franceschini intenderà, insieme alla lezione tramandata, le varie proposte congetturali, ché il codice di Arnobio, come si sa, è uno solo) o forse a esercitazioni di seminario su testi medievali: non certo, per ovvie ragioni cronologiche, alle edizioni degli anni 190418, quando Marchesi non aveva ancora quel gusto per la filologia « puntuale » che gli venne piú tardi. Io suppongo, diversamente da Franceschini (op. cit., p. 157), che sia stata questa svolta a non fargli ripubblicare in alcun[...]

[...]non è perché non lo consideri degno del precedente, ma soltanto perché lo spazio ormai manca e perché in questo caso non avrei da esprimere osservazioni o aggiunte, ma soltanto consensi. Dirò solo che questo scritto, pur nella sua concisione, dà piú di quanto il titolo prometta: il La Penna non parla soltanto del saggio di Fiore su Virgilio, ma anche di quelli su SainteBeuve e su Tommaso Moro, e delle dispense di un suo corso universitario su Ovidio. Su Virgilio e su SainteBeuve le pagine del La Penna sono preziose anche per l'interpretazione diretta di questi autoli, non soltanto per comprendere e valutare il giudizio che ne dette Tommaso Fiore (del quale, d'altronde, il La Penna traccia di scorcio una caratterizzazione viva e convincente, di crociano forse troppo ortodosso, ma ricco anche di fermenti moralistici e antigiustificazionistici che fuoriescono dal crocianesimo). Convinto come sono da tempo che il concetto di « intellettuale organico », già non immune da forti pericoli in Gramsci stesso, è divenuto fuorviante da quando lo si [...]



da Quinto Martini, Memorie in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]noi », e giù a bastonarlo.
128 QUINTO MARTINI
« Povero vecchio » disse la mamma chinando la testa e infilandosi le dita fra le dita. Io chiesi al mendicante:
« Chi era quel vecchio? ».
«Nessuno lo sa, doveva essere un uomo di là dai monti. Qualcuno dice di averlo visto passare altre volte, sempre nei giorni che c'è i1 mercato in città ».
Dopo aver mangiato si alzò, prese il suo bastone avviandosi verso la porta disse le parole di sempre:
« Dio sia con vai. Dio ve ne renda merito in questa e nell'altra vita ».
Quando non si senti più il suo passo strascicante, Remo disse:
« Io non darei mai nulla a questa gente. Sono dei vagabondi che non hanno voglia di lavorare. Se volessero mangiare dovrebbero venire con me ne' campi con la zappa e la vanga. Di giorno vanno in giro a chiedere il pane, si fermano sempre a parlare con le donne, fanno complimenti ai ragazzi. Dicono sempre, nmilï come frati `Dio sia con voi' e intanto guardano dov'è il pollaio, la stalla, lo stalluccio del maiale... E la notte vengono a rubare. Questi mendicanti fanno tutti parte di bande di ladri ».
E la mamma:
« Ricordati figlio che è sempre bene dare da mangiare a chi ha fame se si fa del bene non ci troveremo mai pentiti ».
« Si, a quelli che lavorano. A chi non lavora, pure essendo sano, nulla... » .
Io non potevo pensare come lui che gli uomini fossero tutti dei farabutti. Lui non si fidava di nessuno, sbrigava tutto da sé. Ricordo che una volta ordinò un paio di scarpe al calzolaio del paese. Era d'inverno[...]

[...]he gli uomini fossero tutti dei farabutti. Lui non si fidava di nessuno, sbrigava tutto da sé. Ricordo che una volta ordinò un paio di scarpe al calzolaio del paese. Era d'inverno, lui stava sempre vicino al bischetto perché non ci mettesse del cartone nella suola. Quando portò le scarpe a casa diceva da uomo sicuro del fatto suo:
« Qui non c'è cartone. L'ho visto io quando lo Zoppo me le fa ceva! » e battendo la suola insieme: «Tutto cuoio, perdio! ».
Finito di mangiare, il babbo mi preparò il sacco e partii.
Com'era bello camminare lungo il fiume, fra i campi e per la strada del bosco. Ero pieno di forza, non vedevo l'ora di farmi vedere da Aldo per dirgli: « Vedi, t'ho portato da mangiare e da vestire », e
MEMORIE 129
raccontargli tutto quello che era accaduto la mattina, quello che aveva
saputo fare la mamma, che era stata uccisa una vecchietta mentre racco
glieva nell'orto le foglie di cavolo per i conigli...
Non faceva molto caldo, ma prima di arrivare alla fonte mi sentii
la gola asciutta, appena giunto bevvi a lungo, e r[...]

[...]iabbracciarvi per quello che ;vete fatto ».
« Resterà ancora molto lassù? ».
« Non mi ha detto nulla ».
« Nulla? ».
« Mi ha detto solo che non conviene restare molto tempo sempre nello stesso posto; può esser pericoloso ».
« È vero, questo. Qualcuno potrebbe vedere e poi fare la spia ».
« Ha detto di stare tranquilli. Quando cambierà 'albergo', ci manderà un biglietto per Diego, lo scalpellino. Di lui ci si può fidare, è uno dei loro ».
« Dio sia lodato... » disse volgendo gli occhi verso l'immagine del Sacro Cuore che stava inchiodata sulla porta. Era una stampa tutta annerita dal fumo della cucina, e così nera dava l'impressione di un cristo molto duro. La mamma si avvicinò alla madia, aprì il cassetto, prese il coltello grosso, poi un pane intero, partì un bel cantuccio, ci mise sopra dell'olio, sale e pepe, allungò il braccio dicendo:
« Tieni, prendilo, è ben condito, avrai fame dopo tutta questa camminata che hai fatto ».
« Davvero, ora che mi fai vedere il pane con l'olio mi sento fame e anche sete ».
« Prendi il fiasco, [...]

[...]che conosci te? ».
Lui fece una bella risata e mi disse:
Quando avrai diciotto anni ti porterò in città e te la farò vedere. Va bene? ».
« Nono dire a nessuno quello che ti ho chiesto » risposi.
MEMORIE 137
Quei giorni erano interminabili, in casa mia si viveva con l'animo sospeso e il cuore che ci diventava tutti i giorni più vizzo. La nostra casa dal crepuscolo al mattino era sempre circondata dai carabinieri. Una settimana durò quell'assedio notturno. Erano delle notti bellissime e la luna era piena. Durante la notte, a luce spenta, mi alzavo per vedere attraverso lo spiraglio delle imposte socchiuse, i carabinieri passeggiare nell'orto vicino al fico grande.
Mio fratello cambiò alloggio. Un giovane che io non conoscevo veniva spesso da noi, e fu lui a portarci la notizia che Aldo aveva lasciato la capanna per andarsene altrove. Egli ci disse:
«Non era più il caso di starsene li. C'era qualcuno che passava. troppo spesso dal bosco. Lui vedeva ma non era visto ».
Mia madre faceva la stessa vita di prima. Al mattino scendeva giù[...]

[...] Aldo aveva lasciato la capanna per andarsene altrove. Egli ci disse:
«Non era più il caso di starsene li. C'era qualcuno che passava. troppo spesso dal bosco. Lui vedeva ma non era visto ».
Mia madre faceva la stessa vita di prima. Al mattino scendeva giù in paese per la spesa facendo prima una visitina in chiesa. Non aveva molta simpatia per il prete, e diceva sempre:
« Io non guardo all'uomo, ma vado a pregare in chiesa perché é la casa di Dio. Se il prete non è come si deve, lui dovrà rispondere un giorno davanti al giudice al quale io stessa risponderò delle mie colpe ».
Una mattina scesi con lei in paese. Di fronte alla casa del Brulli, sopra il marciapiede stavano tre donne. Al nostro passaggio la padrona di casa con la sua voce acida, disse piano alle altre due:
« Vedete com'è triste la Marta, non fa più quell'aria fiera di sempre... ».
Non capii le altre parole; guardai la faccia della mamma che non cambiò espressione e non potei capire se aveva udito o no quelle parole dette con tono sommesso e compiaciuto. Da quel giorno[...]

[...]sei troppg giovane e vivi con la testa nelle nuvole. Quando uno l'hanno messo dentro, chi va a levarlo? ».
I1 babbo interruppe dicendo:
« Ci sarà una giustizia; se uno é innocente, perché punirlo? ».
« È la politica che c'é di mezzo e chi comanda ha sempre ragione; quello che tiene il mestolo in mano, razzola come vuole ».
La mamma sedendosi:
« $ vero, gli uomini non sono sempre giusti con gli uomini. La vera giustizia é quella divina. Solo Dio é giusto e grande di misericordia. Gli uomini non sanno perdonare, Dio sa perdonare ».
« Si, sono tutte belle cose disse Remo — ed é bello avere la
vostra fede. Ma la vostra fede, mamma, non darà mai la libertà ad Aldo. Questo é un mondo di farabutti e bisogna tenere sempre gli occhi ben aperti per vedere chi si ha vicino ».
Il padre guardando il figlio dai capelli ricciuti, disse con un tona di rimprovero:
«Tu esageri sempre, per te tutti ladri e farabutti. Non ti fidi neppure di tua madre né di tuo padre. Io credo che nel mondo ci siano sempre delle persone come si deve ».
« Si, sarà vero quello che tu dici ma io non mi fido, conosco un
i ~9 144 QUINTO M[...]

[...]pre gli occhi ben aperti per vedere chi si ha vicino ».
Il padre guardando il figlio dai capelli ricciuti, disse con un tona di rimprovero:
«Tu esageri sempre, per te tutti ladri e farabutti. Non ti fidi neppure di tua madre né di tuo padre. Io credo che nel mondo ci siano sempre delle persone come si deve ».
« Si, sarà vero quello che tu dici ma io non mi fido, conosco un
i ~9 144 QUINTO MARTINI
proverbio che dice: "Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io". Io cerco di guardarmi da tutti e due ».
Andrea che aveva assistito alla nostra conversazione sempre in silenzio, disse:
« Se io fossi nei piedi di Aldo, al mio ritorno saprei corne fare. Vorrei ritornare in prigione, ma dopo essermi vendicato verso qualcuno che so io».
«Ricordati Andrea "chi di spada ferisce, di spada perisce", questa una frase di Gesù, il figlio di Dio ».
«Si, ma intanto tutti quelli che hanno adoprato la spada, ora sono liberi e tranquilli ».
«Non si può dire. Nella vita di un uomo possono succedere tante cose. Chi fa del male non avrà che del male ».
« Io sono del parere, spada o non spada, quello che perde non é più libero. I fascisti hanno vinto ed ora fanno tutto quello che a loro pare e piace. Possono venire qui, prenderci e bastonarci come ciuchi tutti quanti e nessuno gli farà mai nulla ».
Mia madre prese un'espressione dolorosa e non rispose. Ci fu un momento di silenzio. Andrea stesso ruppe questo silenzio piuttosto penoso dic[...]

[...]stesse cose, ci farai una pazzia ».
«Fai la treccia e rigoverna i piatti, tu. Cosa vuoi sapere di poesia, non é roba per i tuoi denti bacati ».
« Si, va bene; ma potresti cambiare musica qualche volta. Canti ancora le stesse storie di quando venivi a fare all'amore a casa mia ».
« Quando le cose sono belle si possono cantare anche tutta la vita. Saranno sempre belle! ».
« Convinciti che stai invecchiando e che non sei più giovanetto ».
« Perdio! ti dico fin da questo momento che se muoio prima io voglio che tu stessa mi metta nella cassa, sul mio petto « L'Orlando Furioso », e che anche nell'altra vita io possa cantare. Le donne, i cavalier, l'arme; gli amori, le cortesie... ».
n.w
MEMORIE 147
« Non scherzare con la morte, e con l'altra vita ».
« No, no, non scherzo: alla mia morte voglio nella bara l'Orlando Furioso. Lo lascerò scritto nel mio testamento ».
E avvicinandosi a me:
«Non faccio bene, Libero? ».
« Si, fai bene, zio ».
Mi prese per un braccio e mi portò con sé verso il bosco. Strada facendo mi diceva:
«Se io non[...]

[...]agliando il pane e senza scomporsi:
« Raba da vecchi, faccia pure quello che vuole, basta che non me le porti in casa. Se lo trovo con qualche donna in queste stanze, bastono lui e lei ».
Lo zio stava travasando i fagioli da una bigoncia all'altra. La donna che prima era stata oggetto dello scherzo disse:
« Attenzione Marco, vostra moglie ha delle brutte idee ».
« Già, ho sentito, starò con l'occhio alla penna per non farmi pescare. Se no, addio schiena... ».
La zia, porgendo l'involto del pane:
« Se fossi stato un uomo, avrei saputo anch'io come fare. Ci sono tante donne che basta vedano un paio di pantaloni diversi da quelli del loro uomo, si alzano subito la sottana ».
Lo zio, sempre occupato dal suo lavoro, voltandosi verso le persone, sorridendo, disse:
« Se fossi stato una donna avrei tenuto la mia casa aperta a tutti quelli che mi fossero piaciuti ».
Malgrado questi discorsi fatti un po' sul serio e un po' per scherzo, non li ho mai visti litigare, ma trattarsi sempre con molta affettuosità. Più tardi ho capito che anche [...]

[...]NTO MARTINI
«Aldo come sta? ».
«Sta bene. Anche lui é ingrassato ».
« Quando ritornerà? ».
«Speriamo presto ».
« Mi ha scritto che tornerà a Natale ».
«Speriamo ».
«Lunedì, quando sono stata a trovarlo, mi ha detto che vuoi ve
derti,».
Passando di fronte alla chiesa la mamma salutò il parroco che stava
leggendo il breviario seduto sotto la loggetta. Anche lui sapeva di mii,
fratello e ne parlarono un po'.
«Bisogna aver fede e pregare Dio. Egli é pieno di misericordia
per tutti ».
Prima di salutare il prete la mamma gli chiese a che ora la mattina
c'era la messa. Quando fummo un po' distante mi disse:
« Sai, quello é Don Masino. Conosce molto bene Aldo. E tu, sei
mai stato a messa?
Io non risposi. Lei, con una voce molto dolce, prosegui:
«Non posso costringerti ad andare in chiesa se non lo fai con fede.
Un giorno, sono certa, tu sentirai questo bisogno ».
Giunti dagli zii fu gran festa. Un pollo venne ammazzato e fatto
fritto per il desinare. Si parlò molto di Aldo. Fu allora che mio zio
disse che Orlando e Ruggero[...]



da Giovanni Frediani, Poesia dialettale ieri, oggi [relazione conferenza 1951 ca a Domodossola] in Relazione dattiloscritta probabile 1951

Brano: [...]te la possibilità allo stesso Porta di difendersi validamente. Fu così:
L'11 Febbraio 1816 il piacentino Pietro Giordani, scrisse un articolo contro la poesia dialettale apparso sul periodico "La Biblioteca Italiana" in cui tra l'altro diceva:
"I dialetti mi paiono rassomiglianti alla moneta di rame, la quale è pur necessaria al minuto popolo e alle minute contrattazioni. A comunicare coi prossimi le idee più basse e triviali basta a ciascuno l'idioma natìo."
Il Porta, con la sua satira mordace rispose al giordano con "Dudess sonitt a l' abaa Giavan". Abaa, perché il Giordani era stato frate. Giavan (Sciocco) e qui il Porta non era stato giusto.
Ed ecco uno dei sonetti... Uno dei tredici sonetti che il Porta scrisse per rispondere al Pietro Giordani nel 1816:

Conzeess per vera el mè car sur Giavan,
che lù el parla con pasta de zecchin,
e che a l'incontra nun goff de Milan
parlem con pasta sgregia de quattrin,

ch'el me traga on poo in spezz sto bell sovran,
disendem chi, tra lù e nun meneghin,
sarav pù scior con ona dobla in man,
nun t[...]

[...]sare Pascarella, del quale il Carducci ebbe a dire "Non mai poesia di dialetto italiano era salita a quest'altezza" e il Trilussa alias Carlo Alberto Salustri, forse il poeta dialettale italiano più noto.
Da "LA SCOPERTA DE L'AMERICA"SONETTO IX
Chè mèttetelo in testa, che er pretaccio
è stato sempre lui, sempre lo stesso.
Er prete? E' stato sempre quell'omaccio
nemico de la patria e der progresso

E in quelli tempi lì, si un poveraccio
se fosse, Dio ne scampi, compromesso,
lo schiaffaveno sotto catenaccio,
e quer ch'era successo era successo.

E si poi j'inventavi un' invenzione,
te daveno per forza la tortura
ner tribunale de l' Inquisizione.
E 'na vorta lì dentro, sarv' ognuno,
la potevi tenè più che sicura
de fa' la fine de Giordano Bruno.
Pascarella

L' EDITTO
Dicheno che una vorta
un prete nun entrò ner Paradiso
perché trovò
'st' avviso su la porta:
"D' ordine de Dio Padre onnipotente
è permesso l' ingresso solamente
a quelli preti ch' hsnno messo in pratica
la castità, la carità, l'amore
che predicò Gesù nostro Signore.
Se quarchiduno ha fatto all'incontrario
sarà mannato subbito a l' inferno.
Firmato: Er Padre Eterno.
San Pietro, segretario.
Povero me! Sò fritto!
Disse er prete fra se Fra tanti mali ciamancava l' affare de st'editto!
Chi diavolo sarà che je l' ha scritto?
Naturalmente, l'anticlericali...
Trilussa

Da "LA CAMPANA DE LA CHIESA"
...................................
Nun dipenne da te che nun sei bona,
ma dipenne dall'anima cristiana
che nun[...]

[...] lampena? Fa mente locale
e te dice: Sapé', la terra gira.
Ce ripensa e te scopre er cannocchiale.
Pascarella
Scene di malavita Nei poeti dialettali ricorrono spesso pittoresche descrizioni della malavita, duelli rusticani, scorci di una realtà senza falsi moralismi né compiacimenti.
Sentite questo sonetto del Belli
CHI CERCA TROVA
Se l'è verzuta lui; dunque su' danno.
Io me n'annavo in giù p' er fatto mio,
quand'ecco che l' incontro e je fo: "Addio"
Lui passa e m' arrispenne cojonanno.

Dice: "Evviva er cornuto;" e er zor Orlanno
(N'è tistimonio tutto Borgo Pio)
Strilla: "Ah carogna, impara chi so' io";
e torna indietro poi come un tiranno.

Come io lo vedde còr cortello in arto,
co' la spuma a la bocca e l'occhi rossi
Cùrreme addosso pe' venì a l'assarto,

M'impostai còr un zércio e nun me mossi.
Je feci fa tre passi e ar quarto
lo pres'in fronte e je scrocchòrno l'ossi.
G. G. Belli

E quest'altro del Di Giacomo
L' ACCISO
Si ve cunviene nu dichiaramento,
tant' onore pe mme.L'onore è mio...
Ccà stesso? Pe dimane appuntamento
a mezzanott[...]

[...]indietro poi come un tiranno.

Come io lo vedde còr cortello in arto,
co' la spuma a la bocca e l'occhi rossi
Cùrreme addosso pe' venì a l'assarto,

M'impostai còr un zércio e nun me mossi.
Je feci fa tre passi e ar quarto
lo pres'in fronte e je scrocchòrno l'ossi.
G. G. Belli

E quest'altro del Di Giacomo
L' ACCISO
Si ve cunviene nu dichiaramento,
tant' onore pe mme.L'onore è mio...
Ccà stesso? Pe dimane appuntamento
a mezzanotte. Resta fatto Addio.
Quattro parole. E, doppo mezzanotte,
'a sera appriesso, Carmine De Riso
pe mmano 'e Ciro Assante e cu tre botte,
nterra, int' 'o vico, rummanette acciso.

Pe mbriaco 'o pigliaino albante iuorno:
lle s'accustaie na femmena vicino,
e se mettette affà: Te mette scuorno?!
Puorco! A primma matina vive vino!...

Vino? Era sanco. Lle parette vino,
nterra, na macchia 'e sanco friddo e muollo...
Sciù! nnanz' 'a cchiesia 'e Santo Severino!
E lle menaie nu cato d'acqua ncuollo...

E sempre del Di Giacomo quanto reale questa prostituta tracciata con potenza artistica, priva di quella retorica che hanno [...]

[...]
E mo, comme a na mappata,
sta llà nterra. E dorme stracqua.

E in questa corona di sonetti del Pascarella, in cui il poeta mostra un delitto da vari punti di vista
Da "ER FATTACCIO"
All'Osteria dell'Orto c' è stata una lite che ha provocato un morto accoltellato. Il Pascarella ci fa vedere questa tragedia da differenti punti di vista:
Alcuni amici che erano andati in quell'osteria per fare un banchetto:
Figurete un po' noi! Co' quella scena,
addio vignata! E li pollastri ar forno
c'è toccato a strozzasseli pe' cena.
L'oste:
Ma tutti qui! Sarà 'na jettatura,
che t' ho da dì ? Ma c'è tanta campagna...
E annateve a scannà' fòr de le mura
e no, percristo, qui dove se magna.
La gente che vede dietro al trasporto funebre una donna che si dispera:
Ecchela là, vicino a la colonna;
La vedi? Chi sarà? Sarà l'amante.
E' la madre Dio mio! Povera donna!
Il vetturino che ha trasportato il morto all'ospedale:
Io, che c' entra? Sfiatavo li cavalli
pe' fa' presto. Ma intanto? 'sti cuscini
me ce vonno du' scudi pe' rifalli.
Qui, come in tutti i poeti dialettali serpeggia la potente e inesausta vena umoristica popolare.



Potenza umoristica e satirica Qualche volta, è vero, l'umorismo è di bassa lega, e scade nello scurrile, nel sottinteso volgare, come il Fucini, il Trilussa e lo stesso Terototela. Ma queste eccezioni non riescono a diminuire di molto il valore complessivo delle loro opere, e la potenza satirica ed umoristica [...]

[...]erché tutti li frati èbbeno un voto!
G. G. Belli

LA CUCINA DER PAPA
co la cosa ch'er coco m'è compare
m'ha vorsuto fa vede stamattina,
la cucina santissima. Cucina?
Che cucina! Hai da dì porto de mare.

Pile, marmitte, padelle, callare,
cosciotti de vitella e de vaccina,
polli, ova; latte, pesce, erbe, porcina,
caccia, e gni sorte de vivanne rare.

Dico: "Pròsite a lei, sor Padre Santo".
Dice: "Eppoi nun hai visto la dispenza,
che de grazzia de Dio ce n' è antrettanto".

Dico: "Eh, scusate, povero fijolo!
Ma cià a pranzo co lui quarch' eminenza?"
"Noo dice er papa magna sempre solo".
G.G.Belli

Da "DISGRAZII DE GIUANNIN BONGEE"
.......................................................
............................ett vô el marì
de quella famm che sta dessora lì?
Mi, muso duro tant e quant a lû,
respondi: ovì, ge suì muà, perché?
Perché, 'l repìa, voter famm, monsù,
l' è trè giolì, sacre Dioeu, e me plé.
O giolì o no, ghe dighi, l'è la famm
de muà de mi: coss'hal mo de contamm?
C. Porta

Da "ER VOTO UNIVERSALE"
......................................
O cos' è questo voto? "Ene un diritto
come 'r quale lo 'iamano le schiere
che 'un s' ammattisce perch' è bell' e scritto".

O a cosa serve? "Questo 'un s'ha a sapere:
so che se fo a su' modo e se sto zitto
ci ho già sei che mi pagano da bere.
R. Fucini

Da "LA 'ORTE D'ASSISE"
.........................................
No: vo' prutestare
che 'r delitto nun è premeditato,
perché avanti lo feci anco avvisare.
R. Fucini

Da "ER VAIO[...]

[...]RINDISI DE RE BAJOCCO"
...............................................
Se avanza la sciampagna
bevi ar popolo... Capisco
che tu bevi e lui nun magna,
ma schiaffallo in un banchetto
je fa sempre un certo effetto.
Trilussa

Da "ZI PRETE"
Siccome sto de casa co' mi' zio,
ch'adesso è monsignore, je fo vede'
che l'ubbidisco in tutto quer che chiede
pe' diverse raggioni che so io.
Nun biastimà! me dice: e ce poi crede
che nun me scappa più manco un perdìo.
Dice: ce vò più fede, caro mio...
E m' è cresciuta subbito la fede.
Ciavevo quarche amico framassone;
dice:Nun vojo... E io da bon cristiano
ce parlo d'anniscosto ner portone.
..............................
Trilussa

Da "ER LEONE ARICONOSCENTE"
..................................................
Mantenne la promessa
più mejo d'un cristiano;
ritornò dar tenente e disse: Amico,
la promozzione è certa, e te lo dico
perché me sô magnato er capitano.
Trilussa

Da "ER BUFFONE"
.......................................
Lassamo annà: Nun è pe' cattiveria.
Ma l'omo solo è bono a fà er buffone
Nojantri [...]

[...]............................................
Ahô ! Nun me fa' tanto er socialista,
je disse er cane intanto nun m'incanti
nun m'hai da dì che canti cor pretesto
de svejà chi fatica e chi lavora;
piuttosto dì così: Canto abbonora
perché la sera vado a letto presto!
Trilussa

L'ORTOLANO E ER DIAVOLO
C'era 'na vorta un povero ortolano
che, se j' annava un pelo a l'incontrario,
dava de piccio a tutto er calennario,
metteva in ballo er Paradiso sano;
Dio guardi! Cominciava a biastimà:
Corpo de...! Sangue de... Mannaggia la...

Un giorno, mentre stava a tajà un cavolo
e che pe' sbajo tajò invece un broccolo,
come faceva sempre, attaccò un moccolo:
però 'sta vorta, scappò fora er diavolo
che l'agguantò da dove l'impiegati
cianno li pantaloni più lograti.

Ner sentisse per aria, straportato,
l'ortolano diceva l'orazzione,
pregava le medesime persone
che poco prima aveva biastimato:
Dio! Cristo santo! Vergine Maria!...
M' aricomanno a voi! Madonna mia!...

Er diavolo, a 'sti nomi, è naturale
che aprì la mano e lo lassò de botto:
l'ortolano cascò come un fagotto,
sopra un pajone, senza fasse male.
L'ho avuta bona! disse ner cascà
Corpo de...! Sangue de...! Mannaggia la...!
Trilussa

"A GATTA D' 'O PALAZZO"
Trase p' 'a porta
pe' 'nu fenestiello,
pe' 'na fenesta, si t' 'a scuorde aperta...
quanno meno t'aspiette.
Pe' copp' 'e titte,
da 'na loggia a n' ata,
se ruciuléa pe' dint' 'a cemmenèra.
E manco te n' adduone
quann' è trasuta:
pe' copp' 'o curnicione
ploffete! Int' 'o barco[...]

[...]e lire.
Tuorne 'a matina:
'a mille lire 'a truove, che te crire?
'Nzevata
ma sta llà!
Eduardo De Filippo

Psicologia Alle poesie di questo tipo, ricche di filosofia spicciola si possono aggiungere moltissime altre poesie, favolette moderne che con simpatica spregiudicatezza e acume psicologico ci forniscono spesso degli esempi di autentica poesia. Vi leggo questa del Fucini
"IL DRAMMA DI IERSERA"
Se ci siam divertite? Da impazzare!
Una cosa, mio Dio... c'è l'urtim' atto,
quando lui trova lei... creda, un affare!
Su, su, mi dica... o in che consiste ir fatto?

A un bel circa è così: Lui va per mare,
ma invece finge e torna tutt' a' n tratto,
e scopre che quell' artro, a quanto pare...
lei l' avesse già dato 'r su' ritratto.

Allora lui che fa? Va dar su' zio,
senza 'appello... Immagini 'he scena!
E dice: O morto lui, o morto io!

Lei che risà ugni 'osa, dalla pena,
viene con un vestito come 'r mio,
ma che bellezza...nero! E s' avvelena.
Fucini

Ricordi Questa del vicentino Ferdinando Palmieri, poeta e giornalista vivente,(1B) magnet.002/[...]

[...]i argomenti. Anzi molto spesso essi sono di una levatura artistica pari a quella dei più grandi poeti in lingua italiana. A suffragio di quanto ho detto sentite queste 5 poesie:
dell'abruzzese Eugenio CIRESE, vivente (4B);
di Salvatore DI GIACOMO:

"NU PIANEFFORTE 'E NOTTE"
Nu pianefforte 'e notte
sona. luntanamente
e 'a musica se sente
pe ll'aria suspirà.
E' ll'una: dorme 'o vico
ncopp' a sta nonna nonna
'e nu mutivo antico
'e tanto tiempo fa.

Dio, quanta stelle 'ncielo!
Che luna! E c' aria doce!
Quanto na bella voce
vurrìa sentì cantà!

Ma sulitario e lento
more 'o mutivo antico;
se fa cchiù cupo 'o vico
dint' a ll' oscurità.

L' anema mia surtanto
rummane a 'sta fenesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantannose, a penzà.

del friulano Pier Paolo PASOLINI (5B);
del pittore genovese Edoardo FIRPO (6B)

e termino con questi versi delicati della poetessa friulana Aurora Novella CANTARUTTI vivente.
"TIMP FINIT"
A' si dìsfin
pa li' jéchi stonfàdi'
i autunai,
e a' odòra dulintôr
di timp finît.
'A bruìs
tun ricés dal pinséir
la vòus di gno pari[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Orgosolo antica [e appunti di Ernesto De Martino sul pianto rituale sardo] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]più singolare di tutto il costume è, però, un rotolo di seta rigida, tessuta a grana grossa, di colore giallo scuro — una specie di papiro di antichi Egiziani — che si pone sul capo e si avvolge intorno al volto, sì che — come da una remota profondità — ne spuntano solo gli occhi, e il naso (1).

Malgrado l’insieme dei pezzi, così vario ed eterogeneo, la manifesta provenienza da così antiche civiltà, quel costume ha pure una

(1) Il prezzo medio dei singoli pezzi del costume è il seguente: sa vranella su sa ’ittu sa veste sa antalena sa ’ammisa su zippone sas palas su liunzu sa caretta su sacchittiddu s’aneddu issu lumene

sos butones

sa ’orona

sas iscarpas nieddas » » zelinas

gonna L. 2.000

primo grembiule » 10.000

secondo grembiule » 10.000

terzo grembiule » 15.000

la camicia » 2.000

primo giubbetto » 10.000

secondo giubbetto » 6.000

la benda » 15.000

zucchetto » 1.500

sottoveste » 1.500 Panello del nome (con iniziali)

gr. 50 d’oro » 15.000

i bottoni d’oro gr. 50 » 75.000

fermaglio d’o[...]

[...] ufficiali. Quelli del 1951 sono ancora in elaborazione.INCHIESTA SU ORGOSOLO

9

Gli istituti pubblici sono il Municipio, la Posta, 1 scuola con 5 classi elementari, 1 — incredibile — ambulatorio (l’acqua bollita per le iniezioni i clienti devono portarsela da casa); 1 chiesa e 12 cappelle, 1 cimitero.

Dei carabinieri e della polizia si dirà dopo.

In paese vi sono: 1 camion, 1 trattore, 5 motociclette, 10 biciclette; qualcuno ha la radio; cinema nessuno.

Se il paese sembra, a prima vista, un miserrimo paese — come tanti di Sardegna — esso è invece potenzialmente ricco, uno dei più ricchi di Sardegna.

Il territorio comunale è di 22.695 ha. di terreni — il secondo, per estensione, dopo Villagrande Strisaili, e Urzulei, di tutta la Sardegna. È importante qui rilevare in rapporto alla popolazione, ed è un indice impressionante, forse il più basso d’Italia, che la densità è di 13,5 ab. per km2.

La sua superficie territoriale, che raggiunge 40 km. circa di estensione nei punti più distanti, è tenuta quasi tutta a pascolo e[...]

[...]E che se ne fa ? Ha fatto il pastore alle pecore, ora il pastore alle galline. Il letto, in vita sua, non lo conosce nemmeno adesso che è vecchio. Dorme a terra. Ha paura di guardare lo specchio. Il pettine lo ha conosciuto 10 anni fa. Conosce la fico d’india: questa sì. Il treno? E che treno? L’automobile? Lo ha visto sulla strada 3 volte. L’aeroplano? Lo ha visto passare qui sopra, 1 volta. Non sa il binocolo. Il cinema ? E che cinema ? ! La radio? Non la ha sentita. Il giornale? Lo ha visto. Non sa leggere. Non sa l’italiano. Che capisce? A modo suo. Non sa niente neppure di religione. Solo di galline. Il fucile? Quello lo sa! Non sa sparare, ci ha paura. Ma quello gli piace! Sa la leppa, il coltello. L’ha in tasca, taglia la fico d’india, per la gallina: a mangiare. E mangia anche lui. I ricordi? Non si ricorda niente. Ricorda le pecore. E ora sa le galline. Sentite che sta a parlare con le galline ? Sempre solo. Ma è sano, di mente. Sanissimo!! ».

Il suo liguaggio, intercalato a parole umane — incredibile a dirsi — aveva suoni di[...]

[...]l’isola; e nella epoca terziaria, nel periodo cretaceo — 100 milioni di anni fa — una grande sollevazione aveva portato in alto tutti i depositi del fondo marino — le dolomiti (più pesanti), i calcari (più leggeri) — che, costituendo una montagna, un altopiano, si erano fermati, appena ripiegati. Passando dallo stato incandescente dell’uscita a quello successivo del raffreddamento, tutta questa montagna si era spaccata in enormi crepacci, in grandiose fratture. Erano 10014

Branco cagnetta

milioni di anni che il Supramonte stava là, arcano, immobile: la Sfinge di Sardegna.

Sopra il tetto dell’altopiano si può accedere solo per due impressionanti scalinate naturali di rocce e di boschi. Scivolose pareti, di tanto in tanto interponendosi, vi costringono spesso all’ascensione. Sulle due punte che chiudono le scalinate — « sa pruna », alta 1416 m., « Lollòine », alta 1351 m. — grandi massi naturali, modificati probabilmente dalla mano dell’uomo, vi minacciano, per tutto il tempo, a forma di feritoie, di fortilizi.

Quasi alla fine[...]

[...]e, nella parte superiore, compare quasi al centro.

Ma solo inoltrandosi, scendendo nel pianoro, il Supramonte comincia a rivelare il suo mondo strano e tenebroso, il suo segreto.

Tutta la superficie della roccia — come un immenso pavimento di pietra — compare formato di piccole scanalature, di lunghi solchi, di sottilissimi crepacci, di scarsa profondità o enormi (a volte 100200 m.) non tali, in verità, che impediscano di camminare, ma insidiose, paurose trappole, che i pastori sogliono coprire con rami messi a traverso, con tronchi, perché le pecore e le capre non vi spariscano.

Tutto il paesaggio, invece, non ha segni di grossi solchi: alvei di torrenti, letti di fiumi, valli; ed è privo di ogni corso d’acqua superficiale. Solo in fondo, alla fine del Supramonte compare una enorme frattura tra due pareti altissime di un bianco quasi accecante: « Gorropu ».

Di tanto in tanto, in tutto il territorio, si aprono voragini circolari, imbutiformi, di piccola profondità, o tali che le pietre lanciate dai pastori non rispondono più [...]

[...]nto in tanto si levano aquile reali e volteggiano nel cielo in diritto volo, riconoscibili nelle regioni delle nuvole; in cerca, con grandi giri di esplorazioni, di un animale vivo su cui avventarsi per sfondare il cranio, succhiare il cervello.

Dalle macchie, dalle rupi si levano anche avvoltoi con volo lento, a grandi giri, in cerca di carogne, di carne marcia su cui affondare gli artigli, il becco; e solo il sibilo del vento ed il loro stridio di uccelli feroci — simile quasi a un fischio soprumano —interrompe, lacera il silenzio profondissimo.

Sulla terra, man mano che si avanza, piccoli ragni bianchi, a torme, ricoprono le rocce. In tutti i boschi, di inverno dormono i ghiri — cibo prelibato dei pastori — d’estate si arrampicano sulle piante, silenti. È il Supramonte, nelle foreste, anche la tana dei mufloni e dei cinghiali. Dei mufloni, i misteriosi ovini rossi dalle grandi corna, dal pelo corto e quasi senza coda, progenitori della18

FRANCO CAGNETTA

pecora; e dei piccoli cinghiali neri, poi bianchi, fortissimi, zannut[...]

[...]qui uguale identica da millenni, depositari dell’antico segreto della trasformazione della specie.

Qui tutto è estraneo, tetragono, insensibile ad ogni mondo di uomo.

Un Eden spaventevole!

Questo è il Supramonte, il più isolato territorio di Sardegna, il cuore dell’Orgolese, tutto avvolto nel mondo minerale, vegetale, animale; misterioso, oscuro come il territorio di un altro pianeta.

In esso vive il pastore di Orgosolo, il pastore medio, il pastore giovane: il pastore del 1954.

Quando inoltrandomi nel bosco avevo cercato — e quasi con disperazione — i primi segni, il primo volto di un uomo, mi ero trovato di fronte a indizi di una estrema, incredibile primitività.

Di tanto in tanto si trovavano piccole conche naturali, dovute all’erosione, coperte da una pietra : erano il solo segno umano, dei pastori che così conservano l’acqua delle pioggie dalla 'evaporazione solare, « sos presetos ». Bisogna sdraiarsi per terra, succhiare come le bestie.

Di tanto in tanto, nel bosco, vi erano mucchi di pietre rudimentali, per in[...]

[...]essita «sa mazzadura)) (la castrazione) che si fa, dopo legata la bestia, rompendo lo scroto con una mazza arroventata, o tagliandolo con un colpo di coltello.

L’« irgannare » (= la macellazione) avviene anche con una tecnica cruentemente primitiva. Legata la pecora o l’agnello bisoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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gna cc ispoiolare », colpire cioè con un colpo nella gola recidendo la carotide, sì che ne sgorghi una fontanella di sangue (il « fodiolu » latino). Molte volte accade, nelle annate « de fatigu » (— cattive) che bisogna uccidere tutti gli agnelli, perché poppando e facendo deperire le madri, non le uccidano. Si passa ad « incurare », a squartare cioè la pelle della pancia lungo una linea verticale sì che, affondando la mano, la pelle si possa asportare. Un altro modo di asportare la pelle è « a su buffare », cioè facendo un foro in una gamba dell’animale e soffiando così forte che tutta la pelle si sollevi.

Lavoro del pastore è anche quello di far da rudimentale veterinario. Ed al vero veterinario quasi mai si ricorre. Pra[...]

[...]e ogni quindicina, anche mensilmente ».

E il prezzo, chiuso, lo fa sempre l’industriale. Mai il pastore.

Unico « vantaggio » nella vendita che fa il pastore è una caparra che anticipano i caseifici (che se ne va tutta, o quasi tutta, per il pagamento dell’affitto dei pascoli), in cambio di un certo numero di litri di latte preventivato che, se non è raggiunto per le cattive stagioni, il poco rendimento delle pecore ecc., e non è colmato (e Dio sa come) in denaro, comporta il sequestro parziale o totale del gregge, della casa, dei mobili ecc., da parte dei caseifici.

Insomma, secondo l’abituale considerazione orgolese: un contratto « capestro ».

Stanno male i pastori di Orgosolo, in tutte le loro categorie:

« Su mere » è proprietario di greggi e, quasi mai, proprietario di pascolo. Sottosta, generalmente, alla sorte del pastore: schiavo del proprietario di terra, schiavo delPindustriale del latte.

È consuetudine in Orgosolo che « su mere » affidi ^ del proprio gregge a « su cumpanzinu » che vi aggiunge y$ e tiene in cura[...]

[...]a i primi pastori delle steppe dell’Asia centrale, diffusasi per millenni tra quasi tutti i popoli Indoeuropei e Semiticamiti; si può ritrovare oggi, con forme quasi lineari, solo nelle zone montuose più isolate e ad economia unilateralmente pastorizia della Russia (Ciukci, Tungusi, Samojedi, Tartari, Mongoli, Calmucchi, Ostiachi, Kirghisi), della Turchia, della penisola balcanica (Slavi zadruga, Albanesi) e, parzialmente, della Spagna.

Lo studio della organizzazione particolare che ha la famiglia in Orgosolo (e così, seppure con forme più contaminate, in quasi tutti i paesi della Barbagia), costituisce la chiave di volta per una larga comprensione di quasi tutta la locale società. Questa, infatti, si può dire che, per quella propria organizzazione, sia arrestata, o quasi, soltanto alla famiglia: le forme sociali più sviluppate e superiori, che costituiscono invece la nostra società, lo Stato, sono quasi estranee o, solo adesso, iniziano ad intaccarla.

In tutte le terre in cui il suolo si sfrutta in modo primitivo,30

FRANCO CAG[...]

[...]e del 6070 per cento, ma, tenuto conto di questo « ritorno all’analfabetismo » è del 9095 per cento, cioè quasi generale. La famiglia all’educazione pubblica, di cui diffida, preferisce una sua propria educazione famigliare: questa consiste solo nella educazione pratica alle greggi, al lavoro pastorale. Il bambino povero orgolese già1 vestito da adulto con i pantaloni lunghi ed i gambali, con il viso chiuso sempre in un sentimento di timore, di odio contro tutti, è il vero volto del pastore orgolese. A 78 anni, per mangiare, egli è costretto a lasciare la famiglia, a partire lontano. Gran parte del lavoro di sorveglianza delle bestie, marce interminabili, notti passate tra temporali, volpi, ladri, e sempre dormendo a terra, con la brina o con la neve, lo fanno adulto anzi tempo. Se ima pecora gli si perde, si azzoppa, o gli è rubata, è privato a lungo di ogni cosa che gli occorra, non mandato a casa, picchiato con le mani, con la cinghia, col bastone. Bisogna che impari a non distrarsi mai, a non farsi ingannare, a sapersi rivalere. Vada[...]

[...] rifarsi, per rivalersi. Deve essere un padrone, e non un servo. L’educazione di questa società pastorale, della « grande famiglia », ne fa un individuo isolato, quasi zoologico, che negli altri non vede che un possibile pericolo, un nemico. Egli non impara36

FRANCO CAGNETTA

altro modo che di sopraffare o di essere sopraffatto, di dominare o di essere dominato. È il più antico, il più vivo segreto di tutta la nostra terra, dell’Italia meridionale in particolare, sì che l’uomo moderno, coperto di secoli di civiltà, non nasconde, al fondo, che

il pastore di terre povere rimasto in quella vita primitiva, nelle origini di millenni. Il carattere, la fiducia in sé, la straordinaria forza di saper rimanere solo; come l’istinto di solidarietà famigliare; la generosità per l’altro, la « fratellanza » sono però, altrettanto, il prodotto di questa antica vita, di questa educazione, che ha il suo centro di diffusione nella «grande famiglia». Un uso precedente, ora scomparso, che si può ritrovare tra i pastori Ebrei della Bibbia (Deuteronom[...]

[...]oprietari) detta anche di « sos meres » o « sos prinzipales » (i padroni, i principali) e quella di « sos poveros » (i poveri) detta anche di « sos terraccos » (i servi).

La esistenza di uguale divisione sin dal tardo impero romano si può comprovare, in tutta la Sardegna, dai contemporanei documenti e, in particolare dalla « Carta de Logu » di Eleonora Giudichessa di Arborea (un codice legislativo che è il più importante documento di storia medioevale sarda). Allo stato attuale la divisione, che può essere altrettanto antica in Orgosolo, è quasi completa: il paese compare come spaccato in queste due grandi classi pastorali.

I rapporti, tra queste due classi (che non vanno affatto intese in senso moderno, ma solo antico) sono rapporti speciali di una unitaria società famigliare e patriarcale, di una « tribù ».

Esiste uno stato di pace e di colloquio tra le due classi; e, contemporaneamente, esiste tra di loro uno stato di guerra e di lotta.

«Sos proprietarios» o «sos meres» o «prinzipales» ostentano nei riguardi di « sos pover[...]

[...]ere la differenza sostanziale che intercorre tra di loro, se manifesta intelligenza, energia, spirito di indipendenza, il padrone o superiore scopre di colpo, allora, il suo disprezzo, comincia a sospettarlo come un nemico, come il futuro ladro delle sue greggi, delle sue terre, dei suoi averi; e apre le ostilità apertamente con l’oppressione, con la denunzia a torto o a ragione per ogni minimo fallo, con l’angheria, con rappresaglie, con l’omicidio.

La formazione di questa classe di « sos proprietarios » o « sos meres» o «sos prinzipales» è avvenuta ed avviene in OrgosoloINCHIESTA SU ORGOSOLO

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(come in tutta la Sardegna) in modo assai speciale: con la rapina di pecore altrui, con il furto, con l’appropriazione violenta di terreni comunali e delle terre più povere ed indifese tra le private, con l’usura, con l’abuso del potere, se detiene il Comune, con amicizie tra le autorità.

Non mi è stato possibile ricostruire in Orgosolo (poiché manca ogni dato ufficiale) una tabella che indichi esattamente tutte le proprietà private[...]

[...] più importante del paese, formatasi intorno al 1870, dopo le leggi nazionali di scorporo dei terreni comunali ed ecclesiastici, era quella di Diego Moro, rapinatore, usuraio, ladro di terre comunali e private, valutata all’atto della sua morte, il 1905, in 200.000 lire oro. Fu la causa prima di tutta la grande e sanguinosa « disamistade » (inimicizia) durata dal 1905 al 1927 in paese, che ho avuto modo di ricostruire analiticamente in un mio studio sulla rivista « Società » del settembre 1953 sotto il titolo « La disamistade di Orgosolo ». Da essa discendono oggi le più grandi proprietà di Orgosolo: dei Monni, dei Podda, dei Corraine, dei Moro. Una loro valutazione esatta non mi è stata possibile effettuare (ed è possibile solo, forse, ad enti statali). Ecco, intanto qualche dato approssimativo che posso fornire sulle più importanti:

Fratelli Podda: 800 pecore, 80 buoi, 18 cavalli, 220 capre, 230 h. di pascolo.

Corraine Nicolò : 200 pecore, 40 buoi, 5 cavalli, 104 h. di vigna e oliveto.

Moro Luigi: 450 pecore, 47 buoi, 2 cavall[...]

[...]te, allorché, nel corso della mia inchiesta, per evitare la rivelazione di verità, alcuni di loro hanno osato farmi minacce di morte, se non sgombravo, minacce che hanno avuto il solo effetto di dimostrarli tra i più incivili e i più disprezzabili gruppi sociali di Sardegna.

La classe di « sos poveros » o « sos terraccos » ha, nei riguardi della classe superiore un atteggiamento anche troppo paziente, controllato, seppur astioso e, direi, invidioso.

In fondo a ciò sta la opinione primitiva che, poiché il modo quasi unico di arricchirsi rapidamente in una sola vita è qui la rapina, l’appropriazione, l’usura, occorrono pur per questo qualità da

(4) Lascio il testo sardo scorretto, secondo lo scrittore. Eccone la traduzione:

Per descriverti la gente villana seminatrice di oscurantismo vi è in paese la razza Monniana che col potere dà l’ostracismo.

E sono contro al comuniSmo con la democrazia cristiana e sfruttano e condannano e confinano e rubano ed uccidono e rapinano.INCHIESTA SU OSGOSOIO

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« uomo ». Esiste un termi[...]

[...]vita tristissima e grama che debbono sopportare. Di tanto in tanto, e molto spesso, essi si ricordano di essere sensibili, ostili, ribelli a una ingiustizia immeritata, a una crudele sopraffazione.

La lotta contro il ricco e l’uomo di migliore condizione si svolge, così, in modo aperto o nascosto, con il furto di pecore, con gli sgarrettamenti, con il furto nelle campagne, con la loro devastazione, con il ricatto, con il sequestro, con l’omicidio.

Assai di recente, dall’ultimo dopoguerra, tutta la lotta tra le due classi è andata assumendo in Orgosolo anche un aspetto più moderno, che la mitiga e la nobilita (come vedremo) : una lotta culturale e politica; ma, in generale, si deve ritenere che essa si svolge quasi tutta, ancora, con i metodi primitivi o « barbari » che sono propri della struttura e tradizione locale.

Parrebbe, a questo punto, che l’esistenza di Orgosolo si sviluppi per intero in un « ciclo culturale » di pastori, chiuso in una organizzazione famigliare, la quale nell’interno è divisa in individui isolati, quasi [...]

[...]stituti sociali » veri e propri la « vendetta » e la « bardana ». Se esistesse una statistica degli omicidi, ferimenti, conflitti, ricatti, sequestri di persona, grassazioni, e di reati come furto di pecore, sgarrettamenti, furti di campagna, distruzioni di viti e colture, incendi di boschi ecc., probabilmente Orgosolo (almeno in rapporto a questi due « istituti » che li originano) sarebbe quasi ogni anno in testa ai paesi di Sardegna. Da uno studio dei giornali sardi dal 1901 al 1954 (e con l’approssimazione possibile), ho rilevato che in Orgosolo (e specie nei mesi caldi che coincidono con la presenza della popolazione dei pastori), si verificano un omicidio in media ogni due mesi (6 all’anno) con un minimo mensile di 0 ed un massimo di 8, anche 23 in un giorno, per una percentuale annua di 1 ucciso su 600 abitanti. I reati agrari commessi da orgolesi (e specie nei mesi freddi nelle pianure in cuiINCHIESTA SU ORGOSOLO

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discendono), si verificano con una media di 1 alla settimana (52 all’anno), con un minimo di 0 ed un massimo di 12, ma anche 510 in un giorno e di gravità eccezionale (come distruzioni di interi greggi, campi, boschi) ecc., per una percentuale annua di

1 reato su ogni 80 abitanti. E si deve considerare che questa statis[...]

[...]endetta » e la « bardana » che in tutti gli altri sono quasi scomparsi? Quale è la ragione strutturale, e culturale, della turbolenza continua di Orgosolo?

Il problema è tra i più difficili e complessi che imponga una storia delle montagne di Sardegna ma, al tempo stesso, è tra i più importanti e decisivi per chiarire le basi ultime ed essenziali della storia di queste società.

10 non credo che il problema possa essere mai risolto dallo studioso che lo guardi da un punto di vista statico della «odierna» economia. Poiché la spiegazione si può trovare solo, a mio parere, in una economia (struttura e cultura) che c’è stata e non si vede in Orgosolo se non in numerosi e reperibili elementi che sono sopravvissuti e come incastrati nell’attuale « ciclo culturale » dei pastori

o della « grande famiglia ».

Si tratta di mettere in luce struttura e culture di un « ciclo » precedente: e ciò è desumibile soltanto, oggi, da uno studio della mentalità e del carattere degli orgolesi (le soprastrutture sono le più lente a trasformarsi), dal [...]

[...]tico della «odierna» economia. Poiché la spiegazione si può trovare solo, a mio parere, in una economia (struttura e cultura) che c’è stata e non si vede in Orgosolo se non in numerosi e reperibili elementi che sono sopravvissuti e come incastrati nell’attuale « ciclo culturale » dei pastori

o della « grande famiglia ».

Si tratta di mettere in luce struttura e culture di un « ciclo » precedente: e ciò è desumibile soltanto, oggi, da uno studio della mentalità e del carattere degli orgolesi (le soprastrutture sono le più lente a trasformarsi), dal soccorso di notizie archeologiche e storiche sul paese, e dallo studio di ancor esistenti, fondamentali ma apparentemente secondari istituti locali.

11 pastore di Orgosolo, se lo si osserva attentamente, è certa44

FRANCO CAGNETTA

mente diverso da quello di tutti i vicini paesi. Il pastore di questi o il pastore tradizionale e proprio della « grande famiglia » (quale

lo Huntington, ad esempio, ha individuato nei suoi lineamenti generali) è, in generale, un individuo isolato, gregario, conservatore, falso, pavido, di intelligenza tarda e mansueto. Il pastore orgolese invece, in generale, è un individuo più associativo, più individuale, fondamentalment[...]

[...]uesti caratteri lo fanno assomigliare, certamente, ai popoli di un « ciclo » precedente a quello pastorale (al più antico che si conosca in tutta la storia dell’Europa), il « ciclo culturale » che l’etnologia classica chiama dei « cacciatori e raccoglitori » o delle « orde ».

Molti dati di osservazione storica e sulla mentalità e il carattere posso qui avanzare per convalidare questa tesi, ma, soprattutto, varrà a convincere il lettore uno studio dei due principali e particolari istituti sociali del paese, e cioè la « vendetta » e la razzia.

Si tenga conto, innanzitutto, che Orgosolo, tra tutti i paesi della Barbagia, è ancora oggi il solo che conservi nel proprio territorio foreste quasi vergini, e sterminate, a differenza di tutti i paesi vicini che nel secolo scorso (come in tutta la Sardegna) ne sono stati spogliati da una speculazione privata.

La selvaggina (diminuita fortemente in tutta la Barbagia) è più facile a trovarsi ancor oggi nel territorio di Orgosolo, e specie per razze zoologiche preistoriche, come i mufloni.
[...]

[...]osi residui di abbozzi statuari, tra cui, ben conservati, una testa di cinghiale e due di bue. Su questo ritrovamento (per il quale mi riservo, effettuati gli studi, di dare una comunicazione integrale) mi limito qui ad osservare

IINCHIESTA SU ORGOSOLO

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come possa darci un elemento per congetturare la esistenza in Orgosolo, nel neolitico, di un popolo di cacciatori. L’etimologia stessa del nome del paese, secondo il più autorevole studioso di lingua sarda, Max Leopold Wagner, significa «guado, terreno acquitrinoso » palude (5). Ciò, presumibilmente, fa pensare ad un abitato di cacciatori.

Notizie storiche sugli abitanti di Orgosolo quali cacciàtori sono numerose ma di tradizione soltanto orale. Allo stato attuale non esiste più nel paese un solo individuo che viva della sola caccia, ma sino a 50 anni fa, e specialmente tra i banditi, secondo notizie avute da quasi tutti gli abitanti, esistevano cacciatori abituali, di mestiere.

L’abitante di Orgosolo è conosciuto in tutta la Sardegna come un meraviglioso cacciatore. Abi[...]

[...]er es., è innaturale in un paese di pastori. Uno dei giochi infantili, ed adulti, degli orgolesi, è per es. quello della gratuita lapidazione di un cane, non sino alla ^ morte; ancora peggio, quello del suo completo spellamento sì che poi se ne scappi, ancora per poco, vivo; dopodiché succede, abitualmente, una vera orgia di fischi, di urla micidiali. Questa stessa crudeltà di cacciatori si può riscontrare, con evidenza, nella tortura, nell’omicidio, nello scempio di cadaveri. Da tale crudeltà, approfondita dalla macellazione nella società dei pastori, discende il carattere alquanto sanguinario, l’abitudine frequente al sangue.

Poiché il ciclo culturale dei « cacciatori » si accompagna sempre, o quasi sempre, con una attività specifica di « raccoglitori » vale qui citare un importante ed ancor esistente istituto che ha una forte sopravvivenza in Orgosolo (già diffuso in tutta la Sardegna) che è, esattamente, quello dell’« Ademprivio ».

L’« Ademprivio », il quale è un uso civico locale così diffuso e tenace che dai tempi della legis[...]

[...]etta » in Orgosolo che esso si può far risalire con la massima certezza a tempi primitivi, poiché nelle forme proprie che ha oggi nel paese si possono ritrovare usi e consuetudini di giure che risultano incorporati e codificati nella prima raccolta di leggi sarde, la « Carta de Logu » di Eleonora Giudichessa di Arborea (XIV secolo) — il più antico ed importante documento scritto che ci permette di far luce sulla storia popolare sarda dell’alto medioevo (78).

Ho domandato, innanzitutto, a diecine e diecine di orgolesi quale credono che possa essere la ragione che rende necessario lo esercizio della « vendetta » nel paese. Quasi tutti mi hanno risposto che questa è « sa justissia » (la giustizia) — non la « sola », aggiungeva qualcuno, ma quella « vera » —; e « su conno tu » (la tradizione, il fatto che si è sempre fatto così). Nel corso di queste domande mi è occorso di ritrovare anche alcune altre spiegazioni più specificamente culturali, che si possono inquadrare in un ciclo di mentalità o cultura precedente, propriamente « primitiva[...]

[...]ggiungeva qualcuno, ma quella « vera » —; e « su conno tu » (la tradizione, il fatto che si è sempre fatto così). Nel corso di queste domande mi è occorso di ritrovare anche alcune altre spiegazioni più specificamente culturali, che si possono inquadrare in un ciclo di mentalità o cultura precedente, propriamente « primitiva », perché legata a un mondo magico; e in un ciclo più moderno che generalmente si può dire risalente al mondo ideologico medioevale.

Giovanni Antonio e Francesco Succu, tra i più notorii esecu
(78) La sua edizione critica è: Carta de Logu de Arborea. Testo con prefazioni illustrative, a cura di E. Besta, nella rivista: Studi sassaresi pubblicati per cura di alcuni professori della Università di Sassari. Anno III, sez. I. Tip. G. Dessi, Sassari, 190304, pp. 222.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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tori di « vendette » in Orgosolo e principali superstiti della grande « disamistade », oggi sui 70 anni, hanno avuto a dirmi che un ucciso, se non si sopprime il colpevole deH’assassinio, torna « a gridare e sbraitare » nella[...]

[...]iritto privato e pubblico, come avviene in ogni « diritto » barbarico.

Dedurrò ora da numerosissimi casi concreti di « vendetta » da me studiati nella cronaca di Orgosolo una generalizzazione o tipizzazione, non indicando ogni volta, ovviamente, i lunghi casi particolari, poiché quello che qui interessa è in generale la legge del movimento. Per una idea concreta del movimento di una « vendetta » in Orgosolo rimando il lettore al mio citato studio sulla famosa «vendetta» tra i Cossu e i Corraine durata in Orgosolo dal 1905 al 1927 con innumerevoli fatti di sangue e uccisioni.

Una legislazione generale della « vendetta » non esiste, ovviamente, in codice scritto o in un codice vero e proprio che si tramandi oralmente, tuttavia nel costante ritordo di « vendette » che hanno gli orgolesi è rintracciabile un vero e proprio « corpus » consuetudinario di usi e tradizioni a cui mantengono sempre fede.

Posso indicare qui intanto le leggi generali più costanti e rispettate, che è possibile rintracciare, in modo vario, tra quasi tutte le s[...]

[...]randi gruppi « di sangue » a questa partecipano tutti gli interessati con una « solidarietà attiva » (colpire il responsabile o uno del suo gruppo) ed una « solidarietà passiva » (accettare la responsabilità del colpevole in tutto il gruppo da cui sia uscito).

I moventi della « vendetta » sono in Orgosolo, legati come ovunque ad un danno «economico», in primo luogo quelli primari o «naturali» di versamento di sangue umano vero e proprio (omicidio e ferimento); in secondo luogo quelli secondari o «artificiali» come il versamento di sangue di animali (sgarrettamenti), esteso poi a qualsiasi danno, furto di pecore, furto e danneggiamento di campagne ecc.; o il versamento subordinato di sangue umano (ma assai più raramente) come per lo stupro, esteso poi a ratto, rottura matrimoniale ecc. Un elemento « artificiale » considerato però come offesa al « sangue », ed assai importante in Orgosolo, è ancora la denunzia alla estranea autorità statale, carabinieri, polizia, magistratura ecc.

I perseguibili per « vendetta » sono in Orgosolo il r[...]

[...]e del consesso con il consenso di tutti gli altri.

Indicherò qui, dapprima, quel tipo di sentenza che si chiude sempre con la decisione di uno spargimento di sangue. Per i reati minori viene di solito stabilito che si cominci con mio spargimento di sangue animale, sgozzamento di pecore o sgarrettamento più abitualmente (e cioè taglio dei tendini di una gamba, così che l’animale diventi inservibile). Per i reati più gravi — e sempre per l’omicidio — viene abitualmente comminata sentenza capitale.

L’imputato non viene ammesso al giudizio e, tenuto all’oscuro, non gli si dà la possibilità di difendersi, adducendo prove, testimoni e avvocati rudimentali.

Esiste però in Orgosolo una sorta di « citazione » che consiste in alcuni segni simbolici premonitori, legati in generale a una simbologia di sangue, come lo sgozzamento o lo sgarrettamento di una pecora davanti alla casa od all’ovile di chi ha offeso, la deposizione, quivi, di qualche palla di fucile o altro oggetto mortale, qualche croce di asfodelo, bandiere nere e così via.

A[...]

[...]via.

A termine del giudizio interviene la designazione dell’« esecutore ». L’esecuzione è delegata generalmente tra gli stessi giudicanti all’individuo più colpito o al più importante o capace del consesso. Raramente si ricorre, malgrado si dica il contrario, a un esecutore professionale o a un sicario che è in generale un bandito. L’esecutore non è mai delegato da solo ma con esecutori supplementari i quali, per le ragioni tecniche dell’omicidio, sono necessari, in generale, come guardia del corpo, pali, protettori.

È di straordinario interesse rilevare che l’esecuzione della sentenza viene delegata non ad un solo individuo ma sempre aINCHIESTA SU ORGOSOLO

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più di uno poiché l’antico diritto sardo, abitualmente, non conosce altra forma. L’uso locale dell’esercizio collettivo della giustizia era così invalso ed è ancor oggi così radicato che tutti i governi, da quello spagnolo a quello italiano, lo hanno dovuto elevare in Sardegna a proprio istituto. Nel periodo di dominio spagnolo e piemontese l’istituto locale era l’« in[...]

[...]ma non importante come in passato, ma solo parallelo alla forza pubblica statale, ed è conosciuto sotto il nome di « baracellato » o «compagnia baracellare ». Questa è composta di cittadini incensurati, volontari o estratti a sorte, che hanno il compito di battere periodicamente le campagne con ronde, intervenendo, quando sia necessario, con il diritto al conflitto. La storia del « baracellato » in Sardegna — un istituto diffuso d’altronde nel medioevo in tutta Europa con nomi e forme varie — è molto lunga e complessa, con continua soppressione e restaurazione, poiché quasi sempre si trasforma in vere associazioni a delinquere, ma è pur sempre necessario per sostituire la forza pubblica statale qui impotente ed inadeguata. In Orgosolo in quest’anno non esisteva la «compagnia baracellare» poiché due o tre anni fa si è dovuta sciogliere per delitti da essa compiuti e non si è potuta riattivare per un collettivo rifiuto della popolazione a farne parte.

L’applicazione della sentenza avviene con il momento della « esecuzione ». In generale[...]

[...]ascherato, ripetono in breve le ragioni che lo hanno portato alla morte e, immantinente, lo uccidono.

I modi di assassinio in Orgosolo (e si potrebbe farne un Grand58

FRANCO CAGNETTA

Guignol) sono di ogni tipo, in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni circostanza.

Generalmente si usa oggi il mitra ma, indifferentemente, anche il fucile, poco la rivoltella, la scure, il pugnale, la pietra, le mani per strangolare. Assai diffuso è l’omicidio operato precipitando il giustiziato in un pozzo o in una nurra, sì che al tempo stesso, ne scompaia il cadavere. Sconosciuto, invece, è l’omicidio per avvelenamento.

L’audacia orgolese nell’uccidere sulla pubblica piazza, davanti alla casa sulla strada, davanti alla caserma dei carabinieri ecc. ha una fama in tutta la Sardegna. L’omicidio avviene però sempre in modo tenebroso e non conosco casi di omicidi avvenuti dopo rissa

o colluttazione a viso aperto. La capacità di sparire degli assassini di Orgosolo ha altrettanto, in tutta la Sardegna, larga fama.

Si può dire che al delitto segua sempre P« esemplarità ». Il cadavere viene abbandonato, generalmente, in luogo visibile o trascinato, a volte, davanti alla casa, né si tralascia mai di lasciargli qualche sfregio, mutilazione o scempio visibile. Per quanto si possa sostenere l’influenza in questo delle leggi spagnole, questo uso è in verità assai più antico, se si ritrov[...]

[...]o in circostanze meno gravi, si pratica anche, seppur raramente, l’antico istituto di « su abbonamentu » (o conciliazione). Il colpito si reca dall’offensore e se, tramite « pacificatori » si giunge al riconoscimento della colpa da parte del responsabile, e ad una chiarificazione delle due parti, si conviene un risarcimento che è, oggi, in generale, pecuniario. Il principio del risarcimento pecuniario discende, propriamente, dalla legislazione medioevale sarda, dalla « Carta de Logu ».

Ma esiste anche una specie di « abbonamentu » più antico con spargimento di sangue non umano ma animale nel caso, ad es., di invasione abusiva di pascolo o di seminato da parte di una pecora

o di un gregge. Il danneggiato ha il diritto di fare immediatamente l’esecuzione della bestia, o di più bestie, consegnandone il cadavere,

o i cadaveri, al loro proprietario. È dato ritrovare in questo modo un antico principio di riscatto sacrificale, di « simbolica » vendetta,60

FRANCO CAGNETTA

che nel medioevo, per es. si può ricollegare ai processi c[...]

[...]spargimento di sangue non umano ma animale nel caso, ad es., di invasione abusiva di pascolo o di seminato da parte di una pecora

o di un gregge. Il danneggiato ha il diritto di fare immediatamente l’esecuzione della bestia, o di più bestie, consegnandone il cadavere,

o i cadaveri, al loro proprietario. È dato ritrovare in questo modo un antico principio di riscatto sacrificale, di « simbolica » vendetta,60

FRANCO CAGNETTA

che nel medioevo, per es. si può ricollegare ai processi contro gli animali. L’uso di questo era così vasto e diffuso che la « Carta de Logu » e la legislazione spagnola lo stabiliscono come istituto che prende il nome di « maquizia ».

Ma ancor più che nell’« abbonamento » il principio della conciliazione o della « vendetta simbolica » ha la sua manifestazione più importante in Orgosolo nelle « paghes » (paci) che di tanto in tanto si realizzano.

Ogni volta che si sia verificato un eccesso di delitti (omicidi, ecatombi di bestiame ecc.) rovinoso per le famiglie e le proprietà di ambo i gruppi in cont[...]

[...]li (assassini), e i padri e membri importanti delle parti, al fine di discutere e di cercare un qualche accordo che, generalmente oggi, si svolge su un terreno di interesse, di compensazioni pecuniarie. È questo il caso, per es. delle celebri « paghes » tra i Cossu e i Cornine, dopo 22 anni di lotta accanita e sanguinosa, che riuscirono a conciliarsi ed a por termine alla grande « disamistade ».

La composizione in danaro, propria ancora del medioevo, trova però il suo fondamento e la sua possibilità in una composizione « simbolica » della vendetta. Questo aspetto è da ricondursi invece, e solamente, alla mentalità e alla cultura dei primitivi.

Il modo più tipico di questa conciliazione nel paese è il matrimonio tra un uomo del gruppo dell’ucciso ed una donna del gruppo dell’uccisore. Il versamento di sangue verginale presenta il carattere di riscatto simbolico del sangue versato nel precedente omicidio.

Un altro elemento arcaico di analoga compensazione è il versamento del sangue di pecore e di capre, uccise davanti a tutti nei [...]

[...] il suo fondamento e la sua possibilità in una composizione « simbolica » della vendetta. Questo aspetto è da ricondursi invece, e solamente, alla mentalità e alla cultura dei primitivi.

Il modo più tipico di questa conciliazione nel paese è il matrimonio tra un uomo del gruppo dell’ucciso ed una donna del gruppo dell’uccisore. Il versamento di sangue verginale presenta il carattere di riscatto simbolico del sangue versato nel precedente omicidio.

Un altro elemento arcaico di analoga compensazione è il versamento del sangue di pecore e di capre, uccise davanti a tutti nei banchetti che si tengono sempre in Orgosolo in occasione di « paghes ». Anche qui lo spargimento di sangue animale ha il valore di riscatto simbolico del sangue versato in tutte le precedenti vendette.

L’istituto della «vendetta» è così diffuso nel paese di Orgosolo che si può ritenere, a mio parere, inestinguibile, almeno finoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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a che non saran modificati la struttura più profonda dell’economia del paese ed i più profondi rapporti [...]

[...]iate o più raramente stanziate, disparendo, quasi sempre irraggiungibili, tra le foreste e nelle montagne.

Per il periodo « preistorico » o Nuragico, per il quale non esistono notizie scritte, si può dedurre dai monumenti archeologici, e specialmente dai « bronzetti sardi » ritrovati in Barbagia, che questi popoli dovevano essere organizzati in società di guerrieri, cacciatori e pastori. Per il periodo cartaginese (VIIV sec. a. C.) Pausania e Diodoro ci parlano di predoni che, continuamente turbolenti, ave62

FRANCO CAGNETTA

vano impedito la occupazione del loro territorio. Per il periodo romano (231 a. C. IV sec. d. C.) Zonara, Diodoro, Livio, Floro. Varrone, Cicerone, Tacito, Procopio, Giustiniano e qualche iscrizione epigrafica ci parlano di popolazioni di instancabili predoni, combattuti continuamente ma irriducibili, contro i quali non si era potuto fare altro che limitarli con ima cintura militare nel loro territorio, dando a questo il nome di Barbaria, terra non romana. Non diverse sono le notizie medioevali da papa Gregorio I ai documenti del « Codice diplomatico », e così per l’epoca moderna in raccolte di leggi, documenti di polizia, libri di viaggiatori ecc.

In tutto il mondo sono conosciuti popoli consimili come, per es., nell’antichità i Germani i Celti, i Baleari, i Pannoni, gli Sciti i Parti ecc.; nell’epoca medioevale gli Unni, i Vandali ecc.; nella epoca contemporanea i Berberi, i Beduini, gli Arabi ecc.; ma l’esistenza ancor oggi di popoli predoni nel territorio italiano è una sorpresa per la maggior parte degli italiani.

E, in verità, l’attività dei predoni di Barbagia (limitata oggi soprattutto al paese di Orgosolo) costituisce per le popolazioni confinanti (Fonni, Urzulei Oliena, Villagrande ecc.) e per quelle delle pianure in cui scendono in transumanza (Campidani, Baronia, Ogliastra, Gallura ecc.) uno dei problemi più gravi come è tra i più gravi della economia di Sardegna.

Uno studio att[...]

[...] territorio italiano è una sorpresa per la maggior parte degli italiani.

E, in verità, l’attività dei predoni di Barbagia (limitata oggi soprattutto al paese di Orgosolo) costituisce per le popolazioni confinanti (Fonni, Urzulei Oliena, Villagrande ecc.) e per quelle delle pianure in cui scendono in transumanza (Campidani, Baronia, Ogliastra, Gallura ecc.) uno dei problemi più gravi come è tra i più gravi della economia di Sardegna.

Uno studio attento ed analitico delle forme e dei modi della « bardana » o razzia orgolese può permettere di mettere in evidenza elementi speciali che si devono far risalire non alla struttura economica e sociale del ciclo odierno della « grande famiglia », ma piuttosto a quello del ciclo anteriore dei « cacciatori e raccoglitori ». Al tempo stesso, può porre in rilievo che la serie dei reati connessi non possono catalogarsi tranquillamente tra quelli di « delinquenza comune » : furto, abigeato, grassazione ecc.

La larghezza e l’intensità dell’esercizio della « bardana » devono farla ritenere invece,[...]

[...]da lui condotta sulle condizioni della p. s. in Sardegna per incarico di Crispi, così scriveva: «Non è raro il caso che partecipino a rapine agiati pastori, e spesso ve ne ha di coloro che seguitano i loro affari, resi più prosperi dal bottino ricavato in siffatte

(9) Avv. G. M. LeiSpano, Presidente dell’Associazione Economica Sarda. La questione sarda. Con dati originali e prefazione di Luigi Einaudi. Bocca, Torino, 1922, pp. 112.

(10) Egidio Castiglia, Undici anni nella zona delinquente. Dessi, Sassari, 1899, pp. 8284.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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imprese; e se non se ne vantano non se ne sentono però né rimorso né vergogna, come se si trattasse di agiatezza acquistata (11) ».

Se i « ricchi » sono i promotori della « bardana » per arruolamento, gli arruolati sono, in generale, rintracciabili tra i « poveri ». Scriveva il PaisSerra : « È altrettanto vero che la forza bruta viene arruolata tra i miserabili. Se la volontà iniqua che li dirige non trovasse questo facile strumento di sua nequizie non potrebbe con tanta frequenza [...]

[...]ti contro individui, condotti sulla strada, sono la gassazione del passante isolato, dal pastore al signore in auto con valori e denaro; e, preferito a quello in casa, il sequestro di persona.

Le imprese contro collettività sono (o erano) rivolte contro un comune vicino o contro enti privati o statali.

I reati contro un comune vicino sono (o erano) la lotta per il possesso di territorio di pascolo e il saccheggio di tutte le case.

Dal medioevo le lotte per il possesso di territorio di pascolo è stata, con continuità, una delle forme più gravi e più famose di « bardana ». Le lotte contro il comune di Locoe, ad es., sono vive tuttora nel ricordo dei vecchi orgolesi. L’intero paese, armato, a piedi e a cavallo, scendeva a torme per battersi ogni tanto con quello di Locoe in vere e proprie battaglie. Il territorio, a poco a poco conquistato dagli orgolesi, era militarmente presidiato, e si accendevanoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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continuamente conflitti con diecine e diecine di morti. Dopo tanto sangue, il 1845 Locoe veniva comple[...]

[...]ri, è avvenuto ancora, l’ultima volta, il 1922.

L’assalto alle corriere è, ancor oggi, reato frequente. Negli ultimi anni, dopo la guerra, ciò era divenuto un flagello. Per rendersi conto ancor oggi basta viaggiare sotto la scorta, da FarWest, che fa la polizia. Non solo viaggiano carabinieri armati di mitra nelle corriere e staffette motocicliste armate di mitra che seguono a distanza, ma, lungo le strade, ci sono, da due o tre anni, posti radio che Comunicano il passaggio cronometrico delle corriere: ogni ritardo che venga segnalato è segno di rapina e motociclisti e geeps corrono incontro per soccorso. Ma anche ciò è sventato dai predoni, poiché basta fermare un istante la corriera, svaligiarla durante la corsa e quindi scendere senza provocare alcun ritardo.

L’assalto di macchine che conducono le paghe di operai è statoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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frequente dopo la guerra. L’ultima « strage » di Villagrande ne è un esempio grave.

Le stesse macchine di carabinieri e di p. s. se portano paghe vengono fermate e sono assaltat[...]

[...]guistica, non esiste perciò come unità attiva, che per es. fa la guerra, allarga il territorio ecc.

Ciò che distingue l’« orda » dalla famiglia — ed è il suo carattere specifico, determinante — è che mentre in quest’ultima gli individui si ritengono legati per il « sangue », nella prima gli individui si ritengono legati per « antenati comuni », per i « padri che occuparono il territorio ».

Non possiamo pertanto parlare di « orda » nello stadio culturale presente degli orgolesi né possiamo dire — mancando qualsiasi residuo di quell’elemento ideologico decisivo, determinante — che essi in antico, già « cacciatori e raccoglitori » costituissero anche « orde » vere e proprie. Ce lo fanno pensare però gli attributi secondari, le «forme strutturali» e, specialmente, nell’istituto della « bardana ».

L’orda dei razziatori, degli antichi cacciatori seminomadi, potrebbe essere stata la antica radice sociale oggi sparita e non ricostruibile — di questa popolazione singolarissima tra tutti i vicini

(14) lb. p. 51..INCHIESTA SU ORGOSOLO [...]

[...]appunto fra le sue molteplici valenze anche quella di placare il morto. Un’altra tecnica è quella di non farsi vedere dal morto, di celarsi al suo sguardo, il che si fa sia chiudendogli gli occhi, sia mascherandosi e dissimulan74

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dosi: che è una delle valenze più arcaiche dell’abbigliamento di lutto.

Oltre alle determinazioni del lamento funebre sardo stabilite da Padre Bresciani, altre furono aggiunte dai successivi studiosi come, per es. il Ferrerò, il Wagner, il Fara ecc. Fra queste determinazioni che, del resto, non sono proprie del lamento funebre sardo ma appartengono al lamento funebre in generale, sono da ricordare la insorgenza del lamento in momenti determinati del rituale funebre (veglia funebre, trasporto del morto, cerimonia in chiesa, inumazione) e la sua ripetizione in date ricorrenze (dopo 7, 9, 30 giorni, date in cui si svolgono anche banchetti). L’uso del banchetto funebre è ancora diffuso in alcune regioni come, appunto, la Barbagia.

In base alle informazioni fornitemi da Franco Cagnetta il[...]

[...]congedo. Se hai fratelli o sorelle in città non possa tornare. Se hai sorelle e fratelli non possa tornare in città. Se hai preso penna non possa tornare in Sardegna. Se hai preso ferma non possa tornare in caserma. Se hai preso calamaio non possa tornare al quartiere. Fratello mio Michele, di lusso carta. La ho ora nel campo rotta, questa carta di lusso).

La chiesa in Sardegna ha combattuto il lamento, come ne fanno fede i canoni dei concili diocesani. Negli stessi lamenti si ritrova talora una eco di questa lòtta, poiché in dati casi la resistenza dei preti a seguire il loro ufficio ha dato argomento alla lamentatrice di esprimere il suo disappunto.

A Orgosolo qualche anno fa un corteo funebre aveva luogo, accompagnato dal lamento tradizionale: il parroco volle impedire alle lamentatrici di assolvere il loro compito e, allora, una di esseINCHIESTA SU ORGOSOLO

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conclusali suo lamento con questi quattro versi che sono ancora ricordati :

Si ischiada su dolore pranghiada su Rettore si su dolore ischiada su Rettore pranghi[...]

[...]noscano, diffuso tra tutti

i popoli primitivi e, altrettanto, dell’antichità. Il ballo dell’antica Grecia, per es., non doveva essere dissimile come ci testimonia l’Iliade (cap. XVIII, scudo di Achille). E così era altrettanto il ballo dell’antica Roma se si tiene conto della testimonianza dell’Eneide (VI, 664):

Pars pedibus plaudunt choreas et carmina dicunt...

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Chi ricerchi qualche notizia sulla origine, sulla storia antica, medioevale e moderna di Orgosolo si mette in una impresa quasi disperata. A somiglianza di quasi tutti i piccoli paesi di Sardegna e ancora più — quasi un caso limite — su di Orgosolo non si tramanda quasi nulla per iscritto. Bisogna andare a cercare qualche breve notizia contenuta in opere generali sulla Sardegna, in codici diplomatici, in rapporti di amministrazione e di polizia, in libri di viaggiatori, in opuscoli di folklore, in fogli di archivio — disseminati per ogni dove — sempre nascosta tra una selva di altre notizie, esterna alla vita del paese, riguardante affari generali, formali. In q[...]

[...]ed ha alle spalle un complesso cemeteriale di <j Domus de janas ». Potrebbe, perciò, essere stato un altro luogo di culto.

Per l’epoca romana, alcuni oggetti e monete, oggi dispersi, si sono trovati solo, oltre che nella cit. località di Orulu, nella loc. Galanòli.

(15) Notizie degli scavi di antichità comunicate alla Regia Accademia Nazionale det Lincei, ecc.; 1932, voi. Vili f., pp. 52836.INCHIESTA SU ORGOSOLO 83

V \ ....

Storia medioevale. (Epoca dei Giudicati e spagnola)

Il primo documento scritto in cui si ricordi Orgosolo — ed il solo per tutto il periodo del regno dei Giudici sardi, nell’alto medioevo, è l’atto di pace stipulato tra Eleonora, Giudichessa di Arborea e Don Giovanni, Re di Aragona, il 24 gennaio 1388, pubblicato nel « Codice Diplomatico di Sardegna » di Pasquale Tola. In questo documento, firmato da tutti i Comuni del Giudicato di Arborea, tra i firmatari risultano per la «villa» di Orgosolo tali Mariano Murgia, « Majore » (e cioè capo della polizia); Petto de Cori, Joanne de Ferrari, Petro Merguis, Mariano Pina « jurati » (suoi aiutanti); Petro de Oscheri, Oguitto de Martis, Petto Seche, Arcocho Lafra e Joanne Sio « habitantes » (abitanti), convenuti tutti in Orani il 12 [...]

[...] la «villa» di Orgosolo tali Mariano Murgia, « Majore » (e cioè capo della polizia); Petto de Cori, Joanne de Ferrari, Petro Merguis, Mariano Pina « jurati » (suoi aiutanti); Petro de Oscheri, Oguitto de Martis, Petto Seche, Arcocho Lafra e Joanne Sio « habitantes » (abitanti), convenuti tutti in Orani il 12 gennaio 1388 davanti alla chiesa di San Pietro ed al notaio Arcocho Salari fu Nicolaus per accettare (16).

Le notizie su Orgosolo, nel medioevo, sono formali e concernono la sua dislocazione in una ripartizione amministrativa.

Con la conquista spagnola dell’ex Giudicato di Arborea (1428) e col regime feudale Orgosolo appare dapprima nella Curatoria Dorè.

Dal 1430 fa parte del Marchesato di Orani. « In questo Marchesato pagavasi il diritto fisso di feudo e, dopo questo, vari altri diritti per quello che seminavasi, per branchi che pascolavano e per

i formaggi che si estraevano » (17).

Altra notizia di questo periodo si deduce da una Transazione del 23 settembre 1726 pervenuta dal Municipio di Orgosolo all’Archivio di Ca[...]

[...]i con note illustrative da Gino Barbieri, Vittorio Devilla, Antonio Era, Damiano84

FRANCO CAGNETTA

Dal 1765 Orgosolo fa parte della lncontrada di Nuoro sino al 1849, fine del feudalesimo in Sardegna. « I diritti che si pagavano erano quello del feudo, che era fisso, quindi quello del montone per Orgosolo, una prestazione per i formaggi, il diritto del vino e un canone per gli ademprivi di Locoe » (19).

Soccorso alle notizie di storia medioevale ci viene da documenti ecclesiastici:

Anticamente Orgosolo faceva parte, di nome, della Diocesi di Suelli.

Il primo documento in cui si citi Orgosolo è una lettera scritta da papa Giulio III in data 22 agosto 1551 indirizzata al canonico Nicolaus Crinvellas residente in Suelli con la quale gli si concedeva « la prebenda di Orgosolo » (80 ducati) in quanto suo « famigliare » (20). Come si vede, il papa si ricorda di Orgosolo solo per cavargli denari!

La penetrazione della Chiesa in Orgosolo, ma formale, avviene verso il XVII sec. In questo secolo i capi della Diocesi creano la leggenda di due cristiani, i SS. Anania ed Egidio, orgolesi, che sarebbero stati trucidati dagli idola[...]

[...]cumento in cui si citi Orgosolo è una lettera scritta da papa Giulio III in data 22 agosto 1551 indirizzata al canonico Nicolaus Crinvellas residente in Suelli con la quale gli si concedeva « la prebenda di Orgosolo » (80 ducati) in quanto suo « famigliare » (20). Come si vede, il papa si ricorda di Orgosolo solo per cavargli denari!

La penetrazione della Chiesa in Orgosolo, ma formale, avviene verso il XVII sec. In questo secolo i capi della Diocesi creano la leggenda di due cristiani, i SS. Anania ed Egidio, orgolesi, che sarebbero stati trucidati dagli idolatri loro paesani nell’introdurre la fede di Cristo. La Chiesa edifica la prima cappella in Orgosolo a loro nome il 160032; il 1620 la cappella di S. Antonio da Padova; il 1633 POratorio di S. Croce; il 163435 il piccolo Santuario della B.V. Assunta (21).

Una certa opera di estrazione sacerdotale tra i pastori deve ritenersi avere avuto qualche successo tra i ricchi, se troviamo un prete Matteo Garipa « nato in Orgosolo negli ultimi anni del secolo XVII, morto prima del 1640 » (22) vissuto prima a Baunei e

Filia, Carlo Guido Mor, Aldo P[...]

[...]Orgosolo negli ultimi anni del secolo XVII, morto prima del 1640 » (22) vissuto prima a Baunei e

Filia, Carlo Guido Mor, Aldo Perisi, Francesco Pilo Spada, Ginestra Zanetti. Sotto la direzione di Antonio Era. Con prefazione di Arrigo Solmi. Gallizzi, Sassari, 1938, pp. 502. L’originale era nel Municipio di Orgosolo, ora scomparso.

(19) Op. cit.y voi. XII, pp. 679.

(20) Pubblicazioni della R. Deputazione di storia patria per la Sardegna. Dionigi Scano, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna. Parte seconda: Da Gregorio XII a Clemente XIII. Giulio III. Doc. CDLIX, pp. 30910.

(21) Novena della B. Assunta venerata in Orgosolo. Con spigolature storiche sul paese a cura del Parroco Sac. Don Francesco Lai. Tip. Ortobene, Nuoro, 1953, pp. 1820.

(22) Storia letteraria di Sardegna del cav. D. Giovanni Siotto Pintor, ecc. Tip. Timon, Cagliari, 1844, voi. Ili, pp. 496, nota l.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Triei e poi « nella Corte Romana », autore di una traduzione dall’italiano al sardo di un libro apolog[...]

[...]PP. Ant. Galloniu e Villegas (23), oltre che di « canzoni manoscritte » andate « perdute » (24).

Da quella traduzione si può supporre anche un certo lavorio di adeguamento della Chiesa al dialetto locale, secondo i principi prescritti nel Concilio di Trento per una maggiore penetrazione tra le plebi rustiche.

Il 1799 Orgosolo compare citata nella Bolla del papa Pio VI: « Eam inter ceteras » del 21 luglio, con la quale si istituiva la nuova Diocesi di NuoroGaltelly, di cui il paese faceva parte come Rettoria (25).

Dal padre BrescianiBorsa S.J., nella celebre opera « Dei costumi dell’isola di Sardegna » si ha notizia su Orgosolo che : « I Gesuiti che avevan stanza in Oliena visitarono quel popolo in sullo scorcio del sec. XVII e con la santa parola il mansuefecero; ma, cessati i Padri, tornò all’antica rustichezza. Lasciaron essi tuttavia di sé orma indelebile, poiché, introdotti per opera loro i gelsi e i bachi da seta, in quella grossa terra le donne del villaggio vi tesson drappi » (26).

(23) Legendariu ( de Santas / Virgine[...]

[...]edicti XIV, Clementis XIII, Clementis XIV, Pii VI, Pii VII, Leonis XII, Pii XVIII. Constitutiones, Litteras in forma brevis, Epistolas ad Principes, Viros et alios atque Allocutiones complcctens. Tomus sextus. Pars I. Pii VI continens pontificatum ab anno primo usque ad octavum. Prati. In Typographia aldina. MDCCCXLVII. Doc. CCXIX. Revocatio unionis decretae ab Alexandro VI ecclesiae calaritanae et galtellinensis, cum declaratione, et ampliamone diocesum (Dat. die 21 junii 1779. Anno V). Paragrafi 3 e 6, pp. 59495.

(26) Dei costumi dell'isola di Sardegna comparati cogli antichissimi popoli orientali per Antonio Bresciani d.C.d.G. All’Uffizio della Civiltà Cattolica, Napoli. Voi. II, pp. 113. Il Bresciani, Visitatore della C.d.G. in Sardegna, non fu però ad Orgosolo.86

FRANCO CAGNETTA

Storia moderna. (Epoca piemontese e italiana)

Solo dal principio del secolo scorso cominciano ad aversi su Orgosolo notizie meno estrinseche.

11 primo scrittore su cose del paese è il generale Alberto Fer rero della Marmora che, nel suo Itiné[...]

[...]Uffizio della Civiltà Cattolica, Napoli. Voi. II, pp. 113. Il Bresciani, Visitatore della C.d.G. in Sardegna, non fu però ad Orgosolo.86

FRANCO CAGNETTA

Storia moderna. (Epoca piemontese e italiana)

Solo dal principio del secolo scorso cominciano ad aversi su Orgosolo notizie meno estrinseche.

11 primo scrittore su cose del paese è il generale Alberto Fer rero della Marmora che, nel suo Itinéraire de l’tle de Sardaigne. cita un episodio avvenuto in Orgosolo, in data imprecisata — che può comprendersi tra il 1831 ed il 1844 :

« Sul Monte Novo si trova la cappella di San Giovanni e non lontano, ai suoi piedi, una regione detta Fontana bona, nella quale vi è qualche capanna di pastori quasi tutti banditi del villaggio di Orgosolo : così per raggiungerla bisogna prendere certe precauzioni e, soprattutto, avere guide che conoscano questi uomini. Ciò che

io feci e, malgrado ciò, fui ricevuto da loro con più di dodici fucili puntati sulla mia persona, con ingiunzione di non fare un passo verso tali uomini disposti in atteggia[...]

[...]gio d’Orgozzolo, ove le genti vivon sequestrate dalle circostanti ville, uomini selvatici e crudi, che campan di ratto, e stanno a guardia di sé medesimi, saldi a non volere guarnigione di soldati, o briglia di leggi. Costoro non ebber forse mai mescolanza straniera; né pellegrino, che non sia sacerdote, trova colà cortese accoglienza.

Ora, in fra gli usi paesani, è quello d’ugnersi i dì delle feste; e più la festa è grande e maggiore è il gaudio della cospersione.

Monsignor Varesini, arcivescovo di Sassari, facendo, ha circa tre anni, la visita Apostolica nella diocesi di Nuoro, si condusse ad Orgozzolo in fra i monti di Oliena. E come gli uomini di quel villaggio seppero della venuta di sì gran Prelato, che a memoria non avevan veduto il Vescovo in quella terra, fecero gli apparecchi grandi e, venuto il dì ordinato, molti scesero a’ confini di lor territorio ad incontrarlo. Egli era scortato da otto Cavalleggeri per onore di sua dignità; e, conoscendo il talento di que’ duri uomini, e sapendo che in fra essi erano di molti banditi che avean francato il confine per trovarsi alla festa, impose a’ Cavalleggeri che, come di sua brigata, la venuta loro foss[...]

[...]lo, ogni uomo si mise a ginocchi e, avuta la benedizione, e gridato: Vivai sa Monsénori, d’ottant’uomini ch’erano in tutti, quaranta spararono a gioia gli archibusi e gli altri quaranta non ispararono i loro, sinché non videro i sozi aver già rimesso la carica e alzato il cane in resta, tant’era il sospetto in che gli aveva gittati la vista di Cavalleggeri.

Per su tutto il cammino insino al villaggio eran bande di loro masnade, e facevan tripudio di spari, e le donne s’eran tutte raccolte ad attendere l’Arcivescovo nella Chiesa, e i preti in sulla porta maggiore con la croce in asta.

L’Arcivescovo, fatte sue orazioni all’altare, e voltosi a quella gente, recitò una calda e forte Omelia, dicendo — in fra le altre gran cose — che ivi gli uomini non potevano aver nome di criINCHIESTA SU ORGOSOLO

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stiani, se non cessavano di ladroneggiare il paese, ch’essi così di frequente correano, rapinando il bestiame de’ pastori.

Uc*mini e donne piangeano a grosse lacrime e picchiavansi il petto e gridavano — sé volere essere cristiani[...]

[...]h’essi così di frequente correano, rapinando il bestiame de’ pastori.

Uc*mini e donne piangeano a grosse lacrime e picchiavansi il petto e gridavano — sé volere essere cristiani, e vivere e morire nel seno di Santa Chiesa.

Ma terminato l’Arcivescovo di predicare, si spiccarono dalla turba quattro maggiorenti del popolo, e posti a ginocchi avanti il faldistorio, dissero: — Monsignore, insino ad ora noi non ci credemmo infrangere la legge di Dio, pigliando pecore, vacche, porci e montoni a sovvenimento di nostre necessità. Imperocché essendo la provvidenza del Signore Iddio pietosa a tutte le sue creature, come vorrebbe essa patire che i pastori della Gallura avesser possessione chi di cinquecento, e chi di ottocento e mille pecore, là dove noi abbiamo una greggiola di cento? Onde, se noi per insidia o per valore possiam rapirne alcun centinaio, soccorriamo almeno in parte alla giustizia distributiva.

L’Arcivescovo mostrò loro questa esser logica da Beduini di Arabia, e da corsali di mare, e non da cristiani.

Costoro potrebbero anzi tener cattedra di ComuniSmo in certe università d’Europa...

Ma, per venire al proposito nostro, Monsignore vide a sua gran[...]

[...]dele Antonio di anni 40, imputato di grassazione, arrestato il 12569 su mandato di cattura del Giudice Istruttore di Nuoro).

3) Una « Statistica dei banditi che tuttora scorrazzano nel circondario » senza data (Moro Giovanni di anni 50, imputato di grassazioni, rivolte all’Arma, omicidi, bandito dal 1844; Succu Giuseppe di anni 44, imputato di grassazione e rivolta all’Arma, bandito dal 1853; e Pisanu Francesco di anni 55, imputato di un omicidio consumato, due mancati, due grassazioni e rivolta all’Arma, bandito dal 1838).

La storia di Orgosolo si chiude il secolo scorso con una rivalità di vendetta o « disamistade » tra le famiglie Mesina e Pisanu che oggi è impossibile ricostruire, come ho tentato di fare, per mancanza di exprotagonisti e di tradizioni orali, e si apre, nel nostro

(30) Op. cit., voi. II, pp. 11314.

(31) Inventano del R. Archivio di Stato di Cagliari e notizie delle carte conservate nei più notevoli Archivi Comunali, Vescovili e Capitolari della Sardegna. Pietro Vatdés, Cagliari, 1902, pp. 176.INCHIESTA SU[...]

[...]flitto avvenuto in loc. « sas Fossas », il 29 marzo 1927, nel quale cadde il celebre Onorato Succu.

Altri Verbali sono quello del conflitto avvenuto il 13 maggio 1928 in Orgosolo, nel quale cadde Succu Salvatore; e quello del 21 dicembre 1928 avvenuto in Orgosolo nel quale cadde Succu Santino (Santineddu).

Tra armi e oggetti (moschetti, cartuccere, bandoliere, coltelli, binocoli) si conservano quelli di Onorato e Giovanni Antonio Succu, Egidio Salis, Pietro Liandru, Salvatore Succu, Giuseppe Gangas (32).

* * #

Per dare un quadro vivo, immediato, dell’antica Orgosolo dò qui di seguito due biografie di vecchi viventi: ziu Marrosu Gangas

(32) A completare questi dati generali sulla storia del paese di Orgosolo si può qui, ancora, riportare l’indicazione di tutte le carte geografiche (mi limito a quelle classiche) in cui compare il toponimo: « Orgosolo ».

Eccone l’elenco dalla più antica:

1) Carta della Sardegna di Rocco Cappelline^ (1577). Originale Ms. nella Bibl. Vaticana in Roma cm. 33x73. Rocco Cappellino, ingegnere[...]

[...]4. È riprodotta nel cit. Mon. It. Cart., tav. LIX.

All’opera di Magini si attenne anche la carta di Sardegna de:

5) L}ltalia di Matteo Greuter. Stampa veneta del 1657. Sardegna (foglio 10) cm. 208x114, riprodotta nel cit. Mon. It. Cart.

Pure al Magini si attiene Vincenzo Coronelli nel suo celebre: Ìsolario descrittivo geografico histonco sacro profano antico moderno politico naturale e pratico ecc. Tomo II delVAtlante veneto, opera e studio del P. Maestro Vincenzo Coronelli, Min. Conv. Cosmografo della Serenissima Repubblica di Venezia e Principe dei Geografi. A spese dell’Autore M.DC.LXXXX.VI. Nella carta:

6) Isola e Regno di Sardegna soggetta al Re di Spagna ecc. Alle pp. 102103.

7) Le Royaume de Sardaigne dressé sur Ics cartes manu scripte s levées dans le Payt par les ingégnieurs piemontois a Paris. (A Messieurs de TAcademie Royale des Sciences). Colloca Orgosolo nell’cc Incontrada di Orani » a confine con il « Judicato di Ulliastro ».

8) Nuova Carta dell’isola e Regno di Sardegna. Opera del R. P. Tommaso Napoli del[...]



da Liliana Magrini, Il silenzio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]poste: l'osservava spiando l'istante in cui avrebbe incontrato il suo sguardo.
Un lieve sorriso aleggiava sulle labbra di Antonio; avanzava lentamente, sempre bilanciando il garofano, con quei suoi movimenti un po' goffi d'uomo alto e robusto che la mancanza di moto abbia appesantito. Finalmente Marco, con un sussulto, si senti veduto. Ma le cose andarono altrimenti da come s'era aspettato: gli occhi del padre sembrarono sfuggire quasi con fastidio il suo sguardo.
Con fare impacciato, Antonio mise in tasca il fiore, e curvò le spalle in un suo atteggiamento abituale, che gli dava un'aria di rassegnata e volontaria mitezza. Arrivato a fianco di Marco, gli chiese se dopo colazione avesse aiutato la madre a portare la legna per la cucina, con un tono d'interesse smentito dagli occhi distratti. Gli aveva cinto le spalle col braccio. Marco fece cenno di si, e si svincolò bruscamente, fingendo di voler raccogliere un sasso a lato della strada.
S'avviarono, discosti, Marco qualche passo indietro. Giunti all'angolo della Ioro casa, guardarono[...]

[...]gulto.
Ora Teresa si era messa a parlare, con veloce monotonia appena rallentata dai gesti che stava compiendo per scolare l'insalata, riempire d'acqua la pentola della pasta, ravvivare il fuoco. Parlava di Luigi, che era stanco, povero ragazzo, e non era giusto che al cantiere gli. dessero ancora la paga d'apprendista, e della figlia di quelli di sopra che non si capiva come facesse ad avere tanti vestiti, e di Giacomo Cataldo, che se c'era un Dio certe cose non avrebbero dovuto accadere. Parlava a sbalzi, con una aggressività stanca eppure continuamente ravvivata in un giro di domande e risposte che si rilanciavano da sole. Marco era abituato a lasciar scorrere su di sé quella voce; ma oggi quel suo tono di perenne accusa lo faceva trasalire. Eppure se ne sentiva in qualche modo protetto; gli pareva che essa impedisse a tutti, a Teresa stessa, di accorgersi che nessuno parlava.
...Doveva essere tornato, Michele. Ma, e i vestiti? Se era risalito, era certo andato a cercarli. Dirgli che si era trattato di uno scherzo... Se aveva udito [...]

[...] le piaceva stare in giro. E così, nessuno sapeva mai dove fosse Michele. Rientrava quando voleva, anche a sera, talvolta. Del resto, lo faceva apposta a star fuori, per non trovarsi solo con suo padre. Era per questo, che ora i Cataldo potevano non preoccuparsi del ritardo, sentirsi tranquilli. Eppure, Marco non sapeva sentire del risentimento per Costanza: aveva solo voglia di piangere udendo il suo riso. Ma gli altri, no. Si sentiva gonfio d'odio contro tutti. Contro Nino che aveva paura. Contro gli altri, così distratti, così pigri a rendersi conto.
La cena era stata come tutte le sere. Luigi Stura, il fratello maggiore di Marco, era rientrato come sempre all'ultimo momento. Eri poco tempo che aveva un lavoro fisso: solo un anno prima, faceva qualcosa qua e lá come avventizio, e il resto della giornata Io passava a pedalare su e giù per i colli, perché diceva di voler diventare un corridore. Poi, s'era trovato la ragazza, e lei l'aveva convinto a cercarsi un posto giù ai cantieri: per potersi sposare, diceva. Ma era mutato, da allor[...]

[...]si tormentava il viso: anche lui in disparte, solo. Non sembrava neppure udire, lo sguardo assente. Non gliene importa nulla, si disse Marco. Ripensò con piacere crudele a tutto ciò che Filippo diceva di lui: un vigliacco, cui era bastata una disgrazia per lasciarsi andare; sempre intontito dal vino, era colpa sua
172 LILIANA MAGRINI
se le cose andavano a quel modo, in casa; non era neppure un uomo, quello. Trovava una specie di sollievo nell'odio che destava in lui quel viso inerte. Sui lineamenti da bel ragazzo alterati da un gonfiore flaccido, la pelle esangue, illividita dalla barba non rasa, e i baffetti nerissimi, che un tempo davano più risalto al sorriso sicuro, sottolineavano la piega stanca della bocca. Si serrava nelle spalle, vergognoso e schivo, come qualcuno che fosse lá per caso, e non avesse diritto di prendere parte all'ansia di tutti.
Filippo s'era avvicinato a Costanza, e le batteva leggermente la spalla : « Su, non faccia quel viso. Magari quel moccioso si sta divertendo, e non si ricorda neppure che siamo qui ».
[...]

[...]va, si disse Marco. Lui sapeva perché suo padre parlava. Voleva soltanto che Costanza non piangesse.
Singhiozzando piano, Costanza scuoteva la testa. Anche Teresa e Filippo avevano ripreso a parlare.
Quando Costanza aveva cominciata a piangere, Giacomo s'era na
IL SILENZIO 173
scosto il viso tra le mani. Non s'era più mosso. Ma un grido improvviso di Costanza gli fece alzare gli occhi.
« Non voglio. Non voglio. Basta. Ho avuto la mia parte. Dio sa se l'ho avuta ».
Il viso della donna esprimeva una rivolta veemente. Che fosse bella, Marco l'aveva sempre saputo, ma solo perché l'aveva udito dagli altri. Adesso era diverso. « Com'è bella »! si disse. Si sentiva sollevato, rassicurato dalla violenza di lei. Dunque c'era ancora modo di negare, di difendersi...
« Basta. Basta », ripeté ancora Costanza. Il suo viso s'indurì in una contrazione cattiva. « Per forza, il ragazzo non pensa che a scappare. Non può resistere, in casa. Nessuno ci resiste ». Si voltò verso Giacomo. « Soltanto tua madre », disse, « che é come morta ».
Giacomo ave[...]

[...]e e grevi, intatte. Com'era possibile che nulla vi fosse apparso, dopo: e prima, non un grido? Ma forse invece Michele aveva gridato; forse, sentendosi sfinito, li aveva chiamati. Non avrebbero udito ugualmente, lui e Nino, l'acqua sciabordava negli orecchi, il sangue batteva forte alle tempie. «Pensavamo solo a correre », si disse. «Non un momento, ci è venuta l'idea che Michele avesse bisogno che lo aspettassimo. Di questo, avevamo colpa ». Ma Dio, perché gettarla tutta su loro, la colpa, fare che fossero soli a portarla?
Rivide il viso maligno di Nino nel nuoto, e quelle braccia intrise di fango, che quando s'erano screpolate asciugandosi, parevano coperte d'una pelle malata. « Non volevo che nascondesse tutto così... come... come degli assassini ». Aridi singhiozzi lo scuotevano. Perché, perché lui solo doveva essere legato a quello sguardo di Nino, a quelle braccia viscide di fango, mentre gli altri, tutti, potevano difendersi, accusare?
S'era alzato dal letto, vagava inquieto per la stanza: come sempre, i fondi di caffè nella pen[...]

[...]dalla sorgente scura dei colli s'inarcasse, intrisa di polverii luminescenti, fino a quella voce piena e segreta che ritmicamente saliva oltre il groviglio di case, appena mascherate da lumi. Il mare. Un'oscurità piana e fonda. Al limite, la città allineava i fanali del porto, che non proiettavano al di là luce alcuna.
Il cigolio solitario di un tram gli riportò all'improvviso l'odore caldo dei pomeriggi domenicali nella vettura diretta allo stadio, e l'immagine viva di Michele: col suo viso breve, gli occhi maliziosi. Si sporgevano insieme dal predellino del tram in corsa, attaccati con un braccio alla maniglia e il corpo teso, un po' storditi dal passare veloce del selciato, per essere i primi a saltare giù a terra e arrampicarsi su una palizzata da dove si vedeva la partita. Michele, il suo amico Michele.
176 LILIANA MAGRINI
Soltanto in lui, gli parve finalmente di trovare aiuto: come se anche la sua morte fosse cosa loro, da difendere contro gli altri.
S'era seduto sul costone. Dietro a lui, le facciate di Oregina rivolte verso l[...]

[...]accoramento senza amarezza, e quasi fiero. « Sono solo, e potrei fare anch'io come Michele ».
Molto più in basso, delle forme apparirono muovendosi vagamente, come si svincolassero piano dall'oscurità del suolo : una figura di donna vestita di bianco; e piú scura, una svelta figura d'uomo. Riconobbe il fratello, dopo qualche momento, alla risata un po' brusca; e subito Maria, la sua ragazza: leggera nei movimenti, mentre salivano a fianco il pendio.
Si fermarono abbastanza vicino. Pensò di scappare, ma avrebbe fatto rumore; del resto, cosí fermo contro il colle, i due non potevano vederlo. Luigi si voltò verso la ragazza, nascondendola al suo sguardo. Li udì mormorare, poi all'improvviso sulla schiena scura del fratello, appena profilata contro la notte, vide apparire due braccia pallide, e scorrere inquiete. « Si abbracciano », disse per tranquillizzarsi: ma quasi lo sbigottivano, quelle mani separate e come spaurite. Non sapeva staccarne gli occhi: sembravano cercare a tentoni un appoggio, premevano con le dita divaricate, s'avvinghi[...]

[...]e la cosa non li riguardasse piú. In qualche modo, l'aveva presa su di sé. Con Michele.
Quando Teresa e Antonio entrarono, finse di dormire. Bisbigliavano piano. Attraverso le palpebre appena socchiuse, vedeva la punta dei propri alluci tendere il lenzuolo in una sola rigida linea, fino al petto. Si sentiva stranamente unito e compatto, in quella compostezza e in quel pensiero fermo e tranquillo: posso fare anch'io come Michele.
Gli diede fastidio, quando si coricarono, sentire il calore del corpo di sua madre sotto il lenzuolo.
Dopo qualche tempo, il levarsi della luna gli fece scorgere il viso di Antonio, di una rigidezza senz'abbandono. Pensò che anche lui non dormiva, fingeva soltanto.
Teresa s'alzò un momento sul gomito per vedere, al di lá di Marco, il marito. Si lasciò ricadere con un sospiro. Doveva aver creduto al suo sonno. S'avvicinò a Marco, la sua mano ruvida lo toccò piano sulla fronte. Un movimento involontario per cacciare una ciocca di capelli della madre che gli vellicava il collo lo tradì. «Dormi?» chiese piano Ter[...]

[...]r
IL SILENZIO 185
Marco s'era seduto a lato della casa, sul filo d'ombra che la separava dalla strada assolata. Udiva Costanza senza vederla. Non l'aveva vista neppure passando rasente al muro, sebbene le imposte fossero spalancate.
«E voi perché tacete? » proruppe all'improvviso Costanza, con voce diversa, spezzata e violenta. « Perché tacete, tutti e due? Non avete detto una parola. Che cosa pensate? »
Nessuno rispose.
« Che cosa pensate? Dio, che nessuno parli? »
« Anch'io ho tanto gridato », disse una voce fredda e spenta. Marco comprese che era quella della vecchia, sebbene gli sembrasse di non averla mai udita parlare.
« Sta zitta. Parli come se fossi già sicura! Ma tu, Giacomo, tu l'hai visto prima che uscisse! Non ti ha detto proprio niente? Non ti ha detto dove pensava d'andare... quando sarebbe tornato? ».
Ruppe in singhiozzi; diversi da quelli della sera prima, ammorbiditi di lagrime: erano striduli, ora, esasperati.
« Perché mi guardi in quel modo? Tu sai qualche cosa ».
« Te l'ho detto, non so niente », rispose sta[...]

[...] stancamente Giacomo. « Perché io? Perché io e non tu? Perché non eri là, a chiedergli dove era che andava? Ne avevi abbastanza ,di vedermi, non è vero? Forse, se tu fossi stata qui... Avevi il diritto di stare in giro, no? Perché sei giovane, è questo che pensavi? E io, non lo ero come te? E anche colpa tua ». La sua voce era diventata tagliente. « Tu, si... E anche colpa tua, se è andata così ».
Così?! allora tu lo sai. Lo sai! ». C'era dell'odio, in quella voce, una collera trattenuta che lo fece rabbrividire.
La risposta di Giacomo, stanca e come lontana, si fece attendere.
« L'altra sera... l'altra sera quando è tornato, tu non c'eri... Mi ha detto: vado via e non torno piú. Mi guardava, mi guardava in un modo... Ho paura. Non poteva voler dire questo: ma se penso a come mi guardava... ho paura ».
Non vi fu altra risposta che un gemito, una specie di rantolo. Costanza usci di corsa, e si fermò là, contro il muro, il corpo rattrappito, le mani strette al viso.
Usci anche Giacomo, dopo qualche momento, e si lasciò cadere sullo sc[...]

[...]onfuso. Riandò con la memoria a quel grido : non sapeva più ritrovarlo.
Caterina aveva lo sguardo fisso alla cresta del Righi. Si vedevano ora lassù, nitide, lontanissime, due persone : una delle tante coppie che salivano con la funivia e vagavano per il colle.
La mano d'Antonio gli premeva di nuovo la spalla, guidandolo verso la porta. Lo segui.
Gli parve, mentre scendevano le scale, che il padre cercasse le parole per dirgli qualche cosa. « Dio, Dio, Dio... » si limitò a borbottare tra i denti.
C'era sulla strada un assembramento di gente, appena fuori del quartiere. Guardò, attraverso la finestra aperta, nel pianterreno dei Cataldo : deserto. Capi che qualcuno della questura doveva essere arrivato. « Ora m'interrogheranno », si disse « e sarà finita ».
Nino era tra altri ragazzi che, dietro agli adulti, si serravano per vedere: pallidissimo, ma avevano tutti un'aria così spaurita. L'agente, un uomo dal viso bruno e pigro e dalle palpehre pesanti sugli occhi molto neri, sembrava sorridere mentre parlava : ma forse era solo un'im
IL SILENZI[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Dio, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Storia <---siano <---Diritto <---italiani <---Così <---Pratica <---ideologia <---italiano <---Ciò <---italiana <---Filosofia <---Perché <---cristiana <---Del resto <---Ecco <---Dialettica <---abbiano <---cristiano <---Logica <---Scienze <---Sulla <---socialismo <---Basta <---Francia <---Già <--- <---Meccanica <---Più <---Retorica <---Stato <---cristiani <---fascismo <---fascista <---ideologica <---marxismo <---Bibliografia <---Poetica <---Storiografia <---Voglio <---marxista <---materialismo <---psicologici <---Chiesa <---Estetica <---Fisica <---Psicologia <---Quale <---Teologia <---artigiani <---cristiane <---cristianesimo <---d'Italia <---fascisti <---ideologie <---psicologica <---realismo <---teologia <---umanesimo <---Come <---Cosa <---Dinamica <---Folklore <---Gramsci <---Metafisica <---Sistematica <---artigiano <---cattolicesimo <---comunisti <---determinismo <---dinamismo <---filologico <---ideologico <---lista <---mitologia <---parallelismo <---positivismo <---psicologia 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