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tipologia: Analitici; Id: 1472152


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Carlo Falconi, La crisi della Parrocchia in Italia
Responsabilità
Falconi, Carlo+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA .
L'affermazione clamorosa e, si può ben dire, imprevista delle forze cattoliche nelle competizioni elettorali del '46 e del '48 — affermazione che, per la prima volta nella storia d'Italia, le portò a imporre al paese un governo confessionale — ha sollecitato un fervore di ricerche e di studi di carattere storico-religioso di cui le opere d'un Jemolo e d'un Jacini, d'uno Spadolini e d'un De Rosa rappresentano soltanto l'avanguardia. Tutti questi notevoli contributi vertono però prevalentemente sull'azione politica svolta dalla S. Sede o sull'organizzazione delle forze cattoliche da essa dirette, da un secolo in qua, allo scopo di assicurarsi il predominio sulla cosa pubblica nel paese. Nessun serio contributo invece é venuto sinora a ragguagliare sulla vera efficienza degli istituti e delle organizzazioni ecclesiastiche in Italia o ad affrontare il difficilissimo quesito della concreta religiosità dell'italiano e in ispecie dell'italiano contemporaneo. Ora è anche troppo evidente che su questa religiositá anzitutto e in secondo luogo sulla consistenza di quegli istituti ed organizzazioni si fonda tutto l'edificio del successo politico delle forze cosiddette clericali. Il problema insomma d'una ricerca storica veramente esauriente dovrebb'essere posto piú o meno in questi termini: la fortuna politica attuale della Chiesa in Italia corrisponde effettivamente a un risveglio della religiositá del suo popolo e a una vivificante operosità _dei suoi istituti religiosi ? Se si, é ovvio che le sue fortune politiche poggiano su una base tuttaltro che superficiale e ci si dovrebbe cautelare dal darle per essenzialmente transitorie; nel caso contrario, la loro provvisorietà sarebbe indiscutibile.
Questo saggio non presume affatto, evidentemente, d'offrire una risposta completa al quesito enunciato, bensì mira a dare un contributo, anche se parziale, fortemente indicativo alla sua sa luzione.
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In genere, gli scrittori laici — storici, sociologi o politici che siano — ignorano o trascurano l'importanza dell'istituto parrocchiale per la Chiesa. Preoccupati come sono da problemi prevalentemente profani, s'illudono di pater identificare la Chiesa, costituzionalmente monarchica e autoritaria, nel Pontefice e nella Curia Romana. Ma la testa in nessun essere spiega il corpo: se mai, è più vero il contrario. Troppe volte, del resto, la storia ha registrato il peso decisivo della cc base )) sulle stesse sorti spirituali dell'organismo ecclesiastico. Si può obbiettare che allora (nei secc. IX e XVI soprattutto) le condizioni erano ben diverse dalle attuali. Ma anche la cronaca relativamente recente della formazione delle forze cattoliche nel nostro paese offre spunti più che eloquenti in proposito. L' A.C.I. infatti é nata effettivamente solo dal momenta in cui l'Opera dei Congressi (fondata nel 1874) non tanto decise (1875) di render permanente il proprio Comitato, quanto di « costituire in ogni parrocchia, sotto la direzione del parroco e col nome di Comitato Parrocchiale, un gruppo di almeno cinque fedeli, ecc. ecc. » (1). « Cosi — commentava nel '97 il Crispolti (2) — la futura rete dell'organizzazione si designava, senza stretto legame ancora, nel suo alfa e nel suo omega, con una istituzione al centro e una all'estrema periferia ». In seguito la tela organizza- tiva si integrò con la costituzione dei Comitati diocesani e regionali, ricalcando in pieno la stessa organizzazione capillare della Chiesa. Dodici anni dopo ben 3982 comitati parrocchiali puntualizzavano la superficie dell'Italia' (del nord e del centro soprattutto) a testimoniare la vigorosa vitalità della giovane iniziativa. E nonostante l'accusa di parrochismo gettata da alcuni autonomisti, l'A.C.I, non si staccò più dal sistema delle cellule ecclesiastiche: anzi oggi più che mai (lo si vedrà più avanti) é dalla cura
(1) G. DE ROSA, L'Azione Cattolica. Storia politica dal 1894 al 1904, Bari, Laterza, 1953, pp. 98,135, 155.
(2) « I Congressi e l'organizzazione dei cattolici in Italia », in Nuova Antologia, 16 ott. 1897.
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parrocchiale che muove il suo nuovo movimento di conquista religiosa del paese.
Effettivamente la parrocchia è così essenziale alla Chiesa come la cellula al corpo. La Chiesa potrebbe perdere in un sol istante tutti i suoi ordini religiosi senza subirne un contraccolpo fatale. La dissoluzione dell'istituto parrocchiale — nei suoi elementi costitutivi, s'intende, non solo in qualche modalità accessoria — equivarrebbe, invece, alla sua morte. La Chiesa stessa, del resto, non è forse l'ingrandimento di quella prima comunità parrocchiale inauguratasi nel Cenacolo di Gerusalemme all'indomani della morte di Cristo e riprodottasi in breve un po' ovunque nell'impero romano da parte degli apostoli? Quella stessa comunità cioè caratterizzata da un'autorità monarchica (il vescovo o parroco) responsabile dell'insegnamento religioso-morale, della direzione del culto e delle opere caritative, e da un'associazione di fedeli concordi nello stesso credo, partecipanti agli stessi riti (liturgie) e legati tra loro da impegni di mutua assistenza? Una religione è un vincolo associa- tivo, o non e. Il Cristianesimo in specie si è sempre manifestato con tendenze piccolo-comunitarie, favorenti un intenso rapporto sociale tra i membri, rapporto fondato sulla reciproca conoscenza c attuato come una collaborazione concreta anche al di fuori del campo strettamente religioso.
LA PARROCCHIA NELLA STORIA
Durante i primi secoli -- fino al IV-V — esso non conobbe che comunità (diocesi o parrocchie, come allora le si chiamava promiscuamente) urbane. Ogni città evangelizzata, ogni municipio romano cioè, radunava i- suoi fedeli attorno al vescovo e al collegio dei sacerdoti, diaconi ecc. in un'unica circoscrizione ecclesiastica. Eccetto che per Roma e per Alessandria d'Egitto, bisogna attendere il sec. X e XI per vedere costituirsi le prime parrocchie nelle città (oltre a quella s'intende, della cattedrale). Dal IV sec. in poi, invece, (panda, dopo la vittoria politica con Costantino, il Cristianesimo incominciò a diffondersi anche nelle campagne (divenute e rimaste per più secoli tenace rifugio del paganesimo) nacquero a poco a poco, prima in oriente. — dove fiorirono fra
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l'altro i corepiscopi poi in occidente, anche le parrocchie rurali.
Ma non ebbero, per lo più, una sorte molto felice. A parte quelle fondate dai vescovi o aperte dai monaci — pochissime, in proporzione, le prime; più numerose le seconde —, esse dovettero la loro esistenza ai latifondisti del tardo impero, divenuti o sostituiti poi dai signori feudali. L'esser proprietà di privati significò né più né meno per esse che una nascita in schiavitù. Sotto il feudalesimo,, il signore usava addirittura far consacrare sacerdoti dei propri territori alcuni dei suoi schiavi, che, come tali., seguivano naturalmente la sorte delle terre nei cambi di vassallaggio o proprietà a cui queste andavan soggette. L'obbligo della dotazione economica delle parrocchie, fondato al tempo dei Carolingi, e soprattutto il diritto feudale, che permeò anche i benefici e le altre istituzioni ecclesiastiche, peggiorarono la situazione sia favorendo la decurtazione e gli stralci dei redditi beneficiali a profitto di enti ecclesiastici e persino profani ad esso estranei, sia abbandonando le parrocchie alle prestazioni di sostituti-parroci, usurariamente salariati. Un tal regime devastò soprattutto il sud-Italia, dove, prevalendo il latifondismo, la parrocchia non poté essere creazione spontanea degli abitanti dei pagi e dei vici. AI Nord, invece, dove la piccola proprietà appoderata era sopravvissuta alla caduta dell'impero, le parrocchie seppero conservare i germi della riscossa e costituire iI nucleo dei futuri comuni. Il meno che si può dire è che dal 1000 in poi parrocchia e comune vi divennero spesso come due aspetti della stessa collettività giuridica che univa in un unico fascio le forze della città e del contado nella reazione alle prepotenze dei feudatari. Fu il tempo in cui le adunanze del popolo si tenevano in chiesa, le votazioni si facevan per parrocchia e, al momento del bisogno, il carroccio, ossia il carro destinato alla raccolta delle decime per la parrocchia, divenne un'insegna di battaglia e il nucleo della fanteria cittadina. Creazione spontanea o meno e centro propulsore della stessa vita civica o no, la parrocchia ebbe il merito, anche nei secoli più ferrigni, d'aprire scuole gratuite, di raccogliere vecchi e ammalati, di organizzare la carità (come nelle matricole, che erano vere e proprie corporazioni di poveri), ecc.
Più tardi, al tempo della diffusione degli Ordini mendicanti,
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l'Italia conobbe un curioso episodio di parrocchismo. Per reagire all'invadenza dei nuovi venuti, il clero secolare si armò d'una « costituzione parrocchiale» per cui ogni fedele non solo era obbligato a ricevere nella propria parrocchia il battesimo, la comunione pasquale, il matrimonio e la sepoltura, ma doveva anche assistervi alla messa festiva e richiedervi la confessione annuale a Pasqua. Bonifacio VIII e il Concilio di Vienna, sotto Clemente V, spezza- rono la rigidità della u costituzione », ma anche per la parrocchia fu soprattutto il concilio di Trento che pose definitivamente termine alle contese tra clero secolare e regolare e agli abusi nell'assegnazione dei benefici.
Le controversie tra parroci e «mendicanti» diedero persino origine a una dottrina eretica, difesa soprattutto da Guglielmo di S. Amore (t 1272), secondo la quale i parroci sarebbero stati istituiti da Cristo come i vescovi. La curiosa teoria, nonostante le condanne incontrate, non morì. Risorse nella Francia gallicana e più tardi in Austria, all'epoca del giuseppinismo, per ritornare in Italia, dove fu canonizzata nel Concilio di Pistoia, che non solo asserì l'istituzione divina dei parroci ma precisò che la giurisdizione dei vescovi é limitata esclusivamente ai parroci e non ai loro fedeli.
Dalla fine dell'epoca missionaria della diffusione del Cristiane- simo sino al sec. XIX tuttavia, come ha acutamente rilevato il Noppel (3), il problema della parrocchia rimase eminentemente un problema giuridico. Fu la nuova teologia ecclesiologica, iniziata oltre un secolo fa dal Moelher, a ricondurre la concezione della parrocchia nell'ambito della verità del Corpo Mistico. A questa teologia collaborarono in Italia famosi teologi romani come il Pas-saglia e il Franzelin, seguiti subito dopo in Germania dal loro discepolo M. J. Scheeben. La nuova impostazione soprannaturalmente vitalistica accompagnava quel processo di dissecolarizzazio-ne e di accentramento curialista a cui si stava adattando la Chiesa dopo le scosse subite nei vari paesi europei per contraccolpo della Rivoluzione Francese e delle occupazioni napoleoniche oltre che per l'evoluzione democratico-laicista della politica: e finì così per
(3) La Nuova Parrocchia, tr. it., Torino, 1941.
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influire non solo sulla teologia pastorale del tempo, ma per penetrare anche nei documenti della Chiesa docente e per informare persino lo schema sulla Chiesa preparato per il Concilio Vaticano.
Inferto, nel '70, col dogma dell'infallibilità e della supremazia papale sul concilio, l'ultimo colpo alle resistenze gallicane, e concluso ormai il pontificato rinascimentale, politicamente e culturalmente magnifico ma apostolicamente povero, di Leone XIII, urgeva, sul principio del '900, un lavoro più modesto e capillare per assicurare alla Chiesa la fedeltà delle masse credenti e la saldezza della loro coesione. Pio X, il papa-parroco, si mise subito all'opera sia nella propria diocesi che nell'intera cristianità, promuovendo la rinascita delle parrocchie dapprima con la riforma del canto gregoriano (motu proprio 1903), per riportare la liturgia a contatto del popolo (solo dal 1909 si cominciò a parlare di « movimento liturgico », specie per merito del card. Mercier e dei monaci della badia di Mont-César di Lovanio), poi con l'ammissione dei bambini alla comunione e la propaganda della comunione frequente tra gli adulti. Nel 1905 la canonizzazione dell'umile Curato d'Ars da parte dell'ex-parroco di Riese fu considerata come un simbolo della nuova direzione di riforma interiore impresso dal Sarto alla Chiesa.
E per tutta la prima metà del sec. XX l'azione di governo della S. Sede doveva infatti rimanere decisamente orientata in senso parrocchiale. Le affermazioni pontificie — da Pio X a Pio XII — relative all'importanza della parrocchia nella vita della Chiesa potrebbero costituire un'antologia di non irrilevanti proporzioni, dove, forse, ad avere il primato, sarebbe Pio XI, il papa delle missioni, dell'A.C., della Conciliazione, é vero, ma non meno il Papa della parrocchia. Canonizzando, a neppur due anni dalla sua elezione, il Curato d'Ars (che più tardi, in occasione del giubileo della sua ordinazione sacerdotale, avrebbe costituito patrono di tutti i parroci) egli sembrò voler raccogliere dal predecessore Pio X la bandiera di combattimento. E quello ch'egli fece, anche solo in Italia, per lo sviluppo e la dotazione delle parrocchie, dimostra la concretezza dei suoi propositi. Sin dai primi anni del suo pontificato, infatti, egli organizzò per il meridione la costituzione di case parrocchiali che risolvessero una volta per sempre la piaga del u prete
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in famiglia» che affliggeva quelle regioni. Poi nel 1930 fondò l'Opera per la Preservazione della Fede e la provvista di nuove Chiese in Roma che nei soli sei primi anni di vita creò 33 nuove parrocchie con chiese proprie e oltre 60 opere ausiliarie stabili (scuole di catechismo, asili d'infanzia, case del giovane, ecc.), senza contare le cappelle sussidiarie sparse nella periferia e nell'Agro Romano. L'impostazione decisamente parrocchiale dell'A.C. é inoltre da rivendicarsi a lui, che dell'A.C. ufficiale fu del resto il riconosciuto fondatore. Negli ultimi anni del suo pontificato il senso della Parrocchia suscitò un autentico fermento di iniziative: libri, con- gressi, ecc. Nel 1936 tutte le associazioni dell'A.C.I. fecero oggetto di studio il problema della parrocchialitá.
Nel primo dopoguerra il primato d'intelligenza e di riforma della parrocchia passò dall'Italia alla Francia, ma chi direbbe che esso é sopito sbaglierebbe. Gli echi dei curiosi esperimenti francesi furono quanto mai vivaci anche di qua dell'Alpi e provocarono, nel '48, il ritorno del problema allo studio di tutte le branchie dell'A.C. Basta del resto scorrere le riviste (4) d'ispirazione cattolica dell'ultimo quinquennio per convincersi della sua continua presenza. Dal '51 poi, a renderlo piú attuale, son venuti di rink calzo alcuni notevoli discorsi di Pio XII.
PROFILO DELLA PARROCCHIA MODERNA
Sarebbe dunque un grave errore non curarsi dell'importanza che la Chiesa dá all'istituto parrocchiale nell'attuale fase di riassesto e di conquista che la caratterizza. Chi conosca anche solo superficialmente la parrocchia del 1953 e la confronti con quella di 50 anni or sono non può del resto meravigliarsi di tale condotta. Una parrocchia — quella degli ultimi anni del pontificato leoniano —pacifica, e sonnolenta, fatta sulla misura del ceto borghese d'allora, quasi sempre deserta durante la settimana dal pacifico giansenismo dei fedeli e appena messa in discreto orgasmo la domenica e nelle
(4) ofr. ad es. i due numeri unici de L'Assistente Ecclesiastico, 1948, VI; e di Vita Sociale (con le relazioni della « Settimana della Parrocchia », tenuta a Firenze dal 4 al 10 nov. 1951 per iniziativa del locale Centro Cattolico di Studi Sociali), genn. apr. 1952.
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rade solennità dell'anno. Una parrocchia larga d'ozi al suo clero, lasciato libero di consacrarsi alla serenità dello studio o al piacevole scambio di visite tra benpensanti dell'alto ceto; e non certo affati- cato dalla preparazione del sermone o della dottrina domenicale. Le cure d'archivio si sbrigavano, allora, in poco tempo, e le pochissime associazioni o confraternite richiedevano tutt'al più un'adunanza mensile. Il gregge, in quegli anni, cercava ancora il pa- store e questi non aveva motivo di muoversi dal suo comodo e ben protetto ricovero.
Oggi il quadro é radicalmente mutato e quasi irriconoscibile persino nelle cure più addormentate o retrograde. La sola attività liturgico-sacramentale assorbe parecchie ore nei semplici giorni feriali (con le confessioni e comunioni quotidiane che si sono ovun- que moltiplicate grazie specialmente alle decine di devozioni che le richiedono; con la celebrazione di matrimoni e funerali; e con le funzioni serali); la domenica poi, nelle città specialmente, le messe si spingono sin oltre mezzogiorno e da qualche tempo persino nel pomeriggio. Il sermone domenicale di ieri s'è moltiplicato, la domenica, in spiegazione dei Vangeli ad almeno due o tre messe; al catechismo generale si sono aggiunte le lezioni di religione nelle scuole, le conferenze settimanali per le singole associazioni (e sottogruppi) d'A.C., le prediche dei vari ritiri mensili per le stesse, i fervorini in occasione di tridui, settenari, novenari (ormai a catena); ecc. L'archivio parrocchiale ha aumentato a sua volta le voci affiancandosi gli archivi del beneficio, della Fabbriceria, delle Confraternite, delle Pie Unioni, Associazioni, Comitati, Commissioni parrocchiali; e s'é complicato soprattutto in rapporto agli atti matrimoniali ecc. Ma la differenza più notevole é relativa alle Associazioni e alle Opere che fanno oggi della parrocchia un centro propulsore d'azione che non ha riscontri in nessun altra organizzazione laica similare Oltre all'Azione Cattolica con tutte le sue sezioni e sottosezioni (e basterebbe da sola a riempire la vita d'un parroco e dei suoi coadiutori) ricorderemo i Terz'Ordini (premon-stratese, domenicano, francescano, carmelitano, degli. Eremitani di S. Agostino, dei Minimi, dei Servi di Maria, dei Trinitari), le Confraternite (sodalizi eretti per l'incremento del culto pubblico: ogni
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parrocchia deve avere almeno quelle del SS. Sacramento e della Dottrina Cristiana), le Pie Unioni (Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli, Opere della Propagazione della Fede, Leghe di Perseveranza, Apostolato della Preghiera, Opera della Regalità di N.S.G.C., Buona Stampa, Congregazione delle Figlie di Maria, Amici dell'Università del S. Cuore, ecc. ecc.). E tra le Opere Parrocchiali, cui va ben altro che un'assistenza periodica: l'Asilo Infantile, gli Oratori maschile e femminile (con saloni per il cine e il teatro), le Scuole Serali, la Biblioteca Parrocchiale, il Comitato della Buona Stampa, il Bollettino Parrocchiale (mensile). In questo scarnifica-tissimo elenco non figurano poi le organizzazioni a carattere sociale cui accenneremo più avanti.
Naturalmente, non ogni parrocchia, specie di paese, é provvi- sta di tutto quest'apparto d'opere. Ma, anche ridotto, esso é sempre tale da riempire ad usura la giornata d'un curatore d'anime e dei suoi collaboratori ecclesiastici e laici, e aiuta a comprendere non solo la potenza di cui dispone la Chiesa nei suoi organi periferici qualora un pericolo la spinga a stringere in fascia tutte le sue forze, ma anche il perché del reiterato allarme lanciato in questi ultimi anni da molti vescovi e recentemente dallo stesso Pontefice (5) per salvare la parrocchia dalla crisi insorta a minacciarla proprio nel momento della sua massima espansione ed efficienza. E forse il dramma interno più appassionato che la Chiesa stia oggi vivendo. Val quindi la pena di analizzarlo puntualmente.
LA CRISI NELLE SUE CAUSE E NELLE SUE PROPORZIONI
Non possiamo per?, evidentemente, diffonderci qui sulle insufficienze religiose vere e proprie della parrocchia: sul dramma, cioè, del suo culto e dei suoi riti sempre più incomprensibili e impopolari,
o su . quello dell'evangelizzazione mediante l'istruzione catechistica sempre più abbandonata e la predicazione sempre più ipertrofica,
o sull'altro della preparazione, troppo borghese, dei sacerdoti al ministero parrocchiale. Sono problemi eccessivamente vasti e corn-
, (5) v. i discorsi ai Quaresinialtisti e ai Parfoci di Rama del 1951 e 1952.
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plessi, i quali, se incidono sull'efficienza religiosa della parrocchia, fuorescono però dal vero e proprio problema della sua funzionalità come organismo specifico, e gli debbono quindi essere presupposti.
Altra cosa invece é riconoscere che il diritto canonico attuale tutela inadeguatamente la parrocchia dalle interferenze di altri organismi ecclesiastici svolgenti la loro attività nel suo ambito. Non aveva difficoltà a riconoscerlo lo stesso card. Piazza., patriarca di Venezia, in un articolo del 1948 sulla crisi appunto della parrocchia: «Oggi molte nuove vite non rinascono al fonte battesimale della parrocchia, ma nelle cliniche e nei brefotrofi; oggi la comunione pasquale si può fare dovunque, perfino ad altari improvvisati in locali di lavoro, e lo stesso primo incontro eucaristico, che ha tanto peso nella educazione del fanciullo, avviene per molti, anziché alla mensa parrocchiale, in collegi e luoghi di educazione talvolta solo di circostanza; oggi si esige non di rado che il rito matrimoniale, da cui s'inizia una nuova famiglia, venga celebrato lontano dalla famiglia parrocchiale, in cappelle private o in santuari di devozione personale; e pure le esequie e il cristiano addio alla salma avvengono molto spesso nella chiesa dell'ospedale. Tutto ciò si risolve evidentemente a pregiudizio della vita ,parrocchiale» (6).
Lo stesso mons. Urbani, assistente generale dell'A.C.I., lanciando i Convegni del Clero per l'estate del 1948 sull'argomento <c la Comunità parrocchiale» si muoveva la domanda:'— E finita la parrocchia ? —, ma poi rispondeva (7) con le parole del card. Schuster: « Le varie istituzioni, distinte dalla parrocchia, valgono soprattutto a trattenere nella religione e nelle pratiche del culto quelle persone che altrimenti non andrebbero nella parrocchia. Rappresentano un rimedio ad un male veramente esistente. Ecco quindi perché la Chiesa le loda, le favorisce, le promuove, come per gli infermi si aprono le buone case di salute. Resta però fermo che in linea normale, come la vita dell'individuo si svolge nella famiglia, così quella del cristiano si sviluppa soprattutto nella rispettiva Parrocchia » (8).
(6) « Crisi della Parrocchia moderna », in L'Ass. Eccl. 1948, VI.
(7) « La Comunità Parrocchiale », ivi, 1948, IV.
(8) Dalla Pastorale per la Quaresima del 1948 sulla « missione della P. ».
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La crisi della parrocchia tuttavia non coincide con le deprecate interferenze, ma si allarga ai difetti per eccesso o per difetto delle sue delimitazioni topografiche e giunge sino all'incapacità o alla difficoltà di reazione di fronte alle mutate condizioni sociali e religiose del paese.
***
T1 primo fattore la disfunzione delle divisioni territoriali —
é evidente soprattutto in due fenomeni-limite: la sopravvivenza di trappe « parrocchie onorarie > (o nei centri di città -- fitti soltanto di banche, aziende, uffici, rappresentanze, ecc. e quasi completamente sprovvisti di popolazione stabile — o tra nuclei troppi esigui [di cento-duecento abitanti] dispersi in pianure o appollaiati in qualche remoto grembo di montagne) e la pletora di altre in zone di continuo incremento demografico fino ad abbracciare 3040.000 e più anime; ma si traduce spesso in ancor più numerosi casi di sperequazione tra parrocchie talora limitrofe senza che mai vi si provveda. In tutti i casi, e specialmente nei primi due, la conseguenza — ed é evidente — é la medesima: il giro a vuoto dell'organizzazione parrocchiale che non riesce a far presa sull'ambiente circostante.
Scriveva, ad es., « un parroco di campagna» sull'Assistente Ecclesiastico del maggio '52: «Poiché il S. Padre parla accoratamente del problema delle parrocchie troppo numerose, un problema forse più complesso é quello della parrocchie troppo piccole. Per il semplice fatto che se il primo è un problema di salvezza d'anime, il secondo é un problema di salvezza d'anime e del pastore di queste anime...
«Un sacerdote di 142 anime come il sottoscritto, ha l'ambiente, il campo sufficiente per svolgere la sua attività ?... come può concepire una sezione aspiranti e prejù dove ad averli tutti quelli esistenti nella parrocchia sarebbero 2 aspiranti e 2 prejú?... Come concepire il catechismo per classi quando si hanno 10 figlioli dalla 1a elementare alla 91.? Un bell'oratorio... ma dove rubare i soldi dove non c'è né industria né commercio e dove il materiale di costruzione va portato sulle spalle?... Nella maggior parte di questi pae-
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sini la gente non é stabile: i giovani vanno all'estero per lavoro, le ragazze domestiche in città; il resto della popolazione o vi abita nell'estate e nell'inverno scende al piano o vi abita d'inverno e nell'estate si sparpaglia sulle cime dei monti e degli alloggi... ».
Mutatis mutandis i quesiti si pongono anche per le non poche parrocchie onorarie dei massimi centri cittadini. Ma nelle grandi città questo rimane sempre un problema assolutamente secondario di fronte all'urgenza e alla gravità del fenomeno d'elefantiasi che caratterizza le parrocchie di periferia. Tanto più che l'urbanesimo non é stato arginato neppure dalle tragiche esperienze dell'ultima guerra, anzi ne é uscito accentuato. Già un secolo fa l'Italia era all'avanguadia dei paesi europei coi suoi 10 centri con oltre 100.000 abitanti — al principio dell'800 tali centri erano ancora (sin dal 1500) soltanto sei: Napoli Venezia Milano Palermo Roma e Genova sostituitasi da poco a Messina spopolata dal terremoto del 1783 —; ma il fenomeno si accelerò soprattutto nel nostro secolo (12 centri con oltre 100.000 ab. nel 1900; 22 nel 1936). Ed è con-statabile in modo non meno perspicuo nell'incremento di popolazione dei centri superiori ai 20.000 ab. 54 nel 1865, nel 1931 eran ben 142; ma mentre nel 1861 abbracciavano appena 1'11% dell'intera popolazione, nel 1931 ne comprendevano circa un quarto. 15 di questi centri (9), inoltre, videro nel settantennio aumentare 4 volte e più la loro popolazione: La Spezia ben 15 volte, Sesto S. Giovanni 13.
E facile immaginare le conseguenze di questi ininterrotti spostamenti di popolazione dalla campagna ai centri industriali o marittimi sull'organizzazione parrocchiale delle città. Una trascrizione esteriore del fenomeno la nota a prima vista anche il visitatore più superficiale: persino là dove si é provveduto a vendere e smantellar le chiese e le cappelle secondarie del centro, la differenza tra il numero degli edifici di culto situati entro la vecchia cerchia e quelli esterni é di una sproporzione impressionante. E, si sa, la ra-
(9) La Spezia, Pola e Taranto, porti militari; Savona, Bari, Brindisi e Fiume, porti commerciali; Sesto San Giovanni, Legnano, Lecco e Varese, centri industriali; Merano, stazione climatica; e Torre Del Greco, limitrofa d'una grande città.
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rità delle chiese (ossia delle parrocchie) è direttamente proporzionale al numero dei fedeli che vi sono aggregati. Nei casi migliori,
il rimedio segue sempre il male, non lo previene; più spesso poi la mancanza di mezzi convince a soluzioni provvisorie o a compromessi che, invece di ritardare, finiscono per precipitare la crisi anzidetta.
Per esemplificare, il caso di Roma non è il meno significativo. Nel 1823 — è inutile spingersi troppo indietro nel tempo, nel
sec. XIV ad es., quando Roma aveva non meno di 261 parrocchie, che nel sec.. XVI erano ancora 132 —, nel 1823 la città toccava appena i 138.000 abitanti ed essi erano distribuiti in 81 parrocchie, con la media di 1680 anime per parrocchia. Una media anche troppo confortevole all'apparenza, ma che, in realtà, nascondeva delle sperequazioni molto sensibili. Infatti, 10 parrocchie *avevano meno di 500 anime,, 19 non arrivavano a mille, 43 oscillavano tra le mille e le tremila: le punte massime erano toccate da S. Maria del Popolo con 4338, San Lorenzo in Damaso con 4768, S. Francesco di Paola con 7536 e San Lorenzo in Lucina con 10800. Leone XII perciò venne nella determinazione, che attuò nel 1824, di ridistribuire la città in 44 sole parrocchie, elevando bensì la media d'anime a 3147 per parrocchia, ma senza piú sperequazioni e assicurando da 3 a 5 sacerdoti per ciascuna. In queste condizioni la cura d'anime tornava ad essere ideale. La situazione rimase press'a poco stazionaria per mezzo secolo. Con l'occupazione italiana del '70 e l'elevazione della città a capitale d'Italia, la crisi di crescenza scoppiò, come é noto, tragicamente. Per quel che ci riguarda, basterà dire che, sul principio del novecento, quando la popolazione toccava già il mezzo milione d'abitanti, si davano parrocchie (salite nel frattempo a 58) con 40.000 anime, come S. Maria Maggiore, e con 30.000 come S. Giovanni in Laterano, SS. Vincenzo e Aurelio, ecc. (10). Pio X corse ai ripari con opportuni smembramenti. Ma toccò a Pio XI, subito dopo la prima guerra mondiale, ten-
(10) Abbiamo ricavato queste notizie dal volume La cura d'anime nelle grandi città di H. Swoboda (prof. di teol. past. all'Univ. di Vienna), tr. it. Roma, 1912: la prima pubblicazione in tutta la letteratura internazionale che affrontò ex-professo il problema, e di cui fu notevolissima l'eco nel mondo cattolico.
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tare mezzi radicali contro una situazione che nel frattempo si era veramente incancrenita. Alle prime piuttosto disorganiche provvidenze fece seguire, come si é detto, nel 1930, la fondazione dell'Opera per la Preservazione della Fede e la provvista di nuove chiese in Roma, che realizzò enormi progressi. Senonché, dopo la seconda guerra mondiale, la popolazione sali a circa 2 milioni di abitanti amministrati spiritualmente da 133 parrocchie; con la di- stribuzione media di 15.000 per parrocchia.
***
Il fenomeno dell'urbanesimo tuttavia — e nessuno lo ignora —é ben più grave per le conseguenze morali che non per il difficile assetto topografico-logistico (se così ci si può esprimere) che impor ne. Esso si accompagna infatti con una serie di manifestazioni che si traducono in altrettanti ostacoli all'influenza dell'organismo parrocchiale cittadino. Si pensi alla continua fluttuazione (nell'interno, dall'interno all'esterno e viceversa) della popolazione; all'eterogeneità di provenienza degli immigrati; al loro lento e difficile amal-gamento col nuovo ambiente e con le nuove tradizioni religiose; alla dispersione e al livellamento di vecchi e nuovi cittadini nel gran mare dell'anonimato; alla promiscuità in cui i meno provveduti vivono, talora provvisoriamente, talora definitivamente; ecc. I sociologi denunciano tra le varie caratteristiche demografiche delle popolazioni urbane l'eccedenza delle donne sugli uomini e lo scarso accrescimento naturale: due fenomeni che sono ad un tempo causa ed effetto di immoralità.
La situazione, ad ogni buon conto, avrebbe assunto un'assai minore gravità se il fenomeno dell'urbanesimo non fosse stato contemporaneo (da noi come nelle altre nazioni europee) al periodo classico del laicismo che ha secolarizzato negli ultimi cento anni la civiltà del nostro continente. Il trionfo della tecnica e del libero pensiero, anzi, ha celebrato i suoi fasti proprio nelle città che in qualche modo sono assurte a simbolo del nuovo umanesimo. L'eteronomia religiosa é stata gravemente ferita nelle élites dalle rivendicazioni del libero pensiero e della morale autonoma; mentre l'in-
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dustrialismo, con la diffusione di agi e di strumenti di piacere prima insospettati, ha materializzato soprattutto le masse distogliendole dalle severe meditazioni sull'al di là e sui destini dell'anima che caratterizzano le popolazioni rigidamente cristiane. Il primo treno del regno di Napoli (Napoli - Caserta) nel 1830 sostava ancora davanti alle cappelle ed evitava le gallerie per non offrir occasione di peccato ai viaggiatori. Ma ben presto la civiltà della macchina preferì sciogliersi da tutti gli scrupoli sino a proporsi come l'antitesi più completa possibile dello spirito del cristianesimo. Ma son motivi troppo risaputi perché occorra rievocarli qui per esteso, né urge davvero ricordare che tutto questo processo fu ancor più agevolato dalla situazione storica determinatasi dalla cri- si politico-religiosa che aspreggiò per tutto il suo corso dal 1861 al 1929 il nostro Risorgimento.
A che punto sia giunta la scristianizzazione della popolazione cittadina dei nostri centri non si può purtroppo dire con precisione. Anche prescindendo dal fatto che il sentimento religioso, essendo del tutto intimo, non può cadere sotto controllo e non può quindi dedursi con certezza assoluta dalla pratica esteriore, mancano del tutto le statistiche di quest'ultima per il secolo scorso e sono scarsissime per il nostro. Il primo tentativo, e quanto mai limitato, di statistica religiosa fatta in Italia risale al 1915 ed é relativo ad •una parrocchia romana: quella di San Saba che allora contava soltanto 1453 abitanti suddivisi in 287 famiglie, per lo più giovani, per il 40% di impiegati o professionisti, per il resto in maggioranza d'operai qualificati. Secondo G. B. Rossi, il parroco autore della statistica (11), il 30% delle famiglie eran praticanti, il 48% indifferenti, il 20,5% dichiaratamente antireligiose (acattoliche solo 4): e a queste ultime risaliva il tono anticlericale del quartiere.
Poi bisogna attendere il 1935 e il 1940 per leggere in due libretti apostolici, pubblicati anonimi dal gesuita milanese p. Corti (Ut vitam habeant, Vivere in Cristo) delle statistiche di cui non si può molto avvallare l'obiettività: secondo tali statistiche, nelle par-
(11) «Ciò che possono dire i dati statistici di una parrocchia », in Vita e Pensiero del 25 nov. 1915, pp. 289-300.
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rocchie cittadine 1'80% dei giovani e degli uomini si sarebbe astenuto dalla messa domenicale con punte del 90 e persino del 97% nell'astensione del precetto pasquale.
Attualmente i sondaggi statistici son diventati anche da noi abbastanza di moda; ma i metodi con cui vengono effettuati sono,
per lo piú, tutt'altro che scientifici. Secondo i dati attinti da p.
Droulers s.j. e da A. Rimoldi (12), a Roma la pratica pasquale nel 1950 era del 10% da parte degli uomini e dei giovani, mentre la
messa festiva toccava il 25-30% degli obbligati (donne comprese). Dello stesso anno é un'inchiesta condotta dall'A.C. a Milano: nella capitale lombarda la frequenza alla messa festiva sarebbe variata, nelle varie parrocchie, con percentuali dal 14 al 36% (i giovani dal 6 all'8%, gli uomini dal 3 al 4%); il precetto pasquale avrebbe invece il 38% della popolazione mentre la dottrina domenicale solo l'1%.
Il prospetto più esauriente sulla pratica d'un capoluogo medio di provincia é stato dato da don Aldo Leoni (13) a proposito di Mantova che, nel 1948, l'anno base delle sue statistiche, contava 56.262 ab. suddivisi in undici parrocchie. In quell'anno, su 60 nati (sic), 9 non furono battezzati (o almeno non risultarono battezzati nel febbraio '49), 5 matrimoni su 383 e 4 funerali su 699 furono celebrati col solo rito civile. Alla messa festiva soddisfaceva normalmente più d'un terzo della popolazione (35%): delle donne il 47%, degli uomini il 24% (cioè neppure un quarto). Tra costoro i giovani erano il 31%, gli adulti il 17%. Il precetto pasquale era osservato dal 57% della popolazione obbligata, con la solita prevalenza delle donne sugli uomini. Le funzioni vespertine domenicali invece raccoglievano soltanto il 6% della popolazione (« per lo più l'assemblea é costituita da donne [e da donne attempate] »). La stessa percentuale valeva per gli iscritti all'A.C., con netta prevalenza degli elementi giovani sugli adulti.
(12) «La Sociologia religiosa in Italia », in Scuola Cattolica, 1952, II-III.
(13) Sociologia e Geografia religiosa di una Diocesi, Roma, Pont, Univ. Gregoriana, 1951.
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Queste poche statistiche, anche se scarse, non mancano d'essere eloquenti. Ma é forse migliore la situazione nelle campagne? Un tempo era senz'altro così. Nel 1874 eran solo zelo e preveggenza che ispiravano al segretario generale del I Congresso Cattolico Italiano, Alfonso Rulliani, il proposito di proteggere le zone rurali dall'aggressione dei «rivoluzionari governativi» e che gli dettavano questa pagina pittoresca ed enfatica:
Nella genesi della città noi troviamo il rimorso dell'uomo peccatore che trema allo stormire delle fronde, impallidisce allo spettacolo della creazione, e crede di potersi dimenticare di Dio vindice rinchiudendosi in un cerchio di manufatti, che non portino si direttamente il sigillo della mano creatrice, che il colpevole vede armata di folgori e di flagelli. L'uomo nello stato di colpa doveva necessariamente edificare delle città, e non per nulla il primo omicida, il primo fra gli uomini maledetti da Dio, Caino, riscontrasi nel libro della Genesi come il primo che costruisce una città. L'uomo innocente invece era stato collocato da. Dio in un giardino, tra i fiori e le piante: ed ecco come si spiega l'attrattiva che conserva pel giusto, per colui che ha la coscienza tranquilla, il silenzio • della campagna, e il bisogno invece che trova il delinquente di nascondersi, di intanarsi, di circoscrivere e limitare l'orizzonte. La società moderna che dell'igiene e della morale ha fatto ormai una cosa sola, si direbbe che era sotto l'impressione di idee somiglianti e che intravvedeva l'attitudine misteriosa a conciliare sentimenti di ordine e di moralità che possiede il verde ammanto della natura, quando ideava i suoi boulevards piantati di alberi, le sue piazze-giardino, i suoi squares: meschino tentativo di empirici che riesce solo a condannare i superbi testimoni della creazione divina a vivere tisici in un'atmosfera eterogenea, in cui sospeso vi ha di tutto, dalla cipria della cortigiana al vapor d'acqua della bestemmia e ai frustoli d'immonde gazzette... Quando si vede questa gente (le popolazioni delle campagne) che rispetta anche il prete, che osserva i comandamenti di Dio, che pone anche una croce a tutela della propria fortuna, che resiste insomma in qualche guisa alla propaganda delle idee sovversive della mente e del cuore, fa duopo cavarsi il cappello e pensare che molto probabilmente si avrà bisogno delle rozze lane per rinsanguare di un umore più cristiano questa fracida società!... Ma se nelle popolazioni campagnole ci sembra con fondamento ravvisare un elemento di ordine, di cui a un dato momenta pub sentirsi provvidenzialmente vantaggiata la società, é naturale che quanti siano desiderosi e deliberati anzi a prestare il nostro umile concorso sotto il vessillo di. Gesù Cristo alla restaurazione del suo regno sulla terra, incomba il debito di non trascurare una risorsa, la quale si presenta con caratteri fondamentali... Preservare le
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popolazioni agricole dal contagio pestilenziale delle idee rivoluzionarie, irreligiose e socialiste che emanano dalla società, e mantenerle affezionate alla vecchia fede, alle vecchie abitudini, alla loro tradizionale vita di agricoltori: ecco dove pub il laicato coadiuvare poderosamente l'opera della Chiesa, lo zelo apostolico del clero» (14).
Ancora dodici anni dopo, in una sua pastorale (15), mons. Bono-melli definiva la classe rurale italiana « la più vigorosa e morale, l'elemento più forte e sicuro della tranquillità pubblica e il contrappeso più efficace delle idee sovvertitrici dei grossi centri. Dispersi in mezzo alle campagne, legati alla propria famiglia e fermi agli insegnamenti che ricevono nella loro parrocchia, centro della loro vita profondamente informata a religione, i contadini si sono serbati fin qui quasi immuni dal contagio scettico, irreligioso e antisociale... »; e tali idee lasciava che si ripubblicassero senza aggiornamenti restrittivi nel 1910. Anche prima della guerra del '15, però, i germi della crisi attuale incominciarono a fermentare nel contadino italiano e se ne videro i primi frutti a conflitto concluso. Poi il fascismo sembrò averli completamente disseccati; invece non contribuì che a incubarli sinché la seconda guerra mondiale non li condusse all'incredibile esplosione di cui tutti siamo oggi, in molte plaghe, gli spettatori.
A darne atto basterebbe l'allarme dato dalle autorità ecclesiastiche. Non é esagerazione dire che dalla XXI Settimana Sociale dei cattolici italiani del 1947 al I Congresso Mondiale sui problemi della vita rurale (1951), al Corso di aggiornamento sui problemi della vita rurale per sacerdoti promosso dall' A. C. nel 1952, é stato un incalzare continuo di appelli per la salvezza della parrocchia nelle zone rurali, che non accenna affatto a diminuire. G. Martinetti scriveva ad es. recentemente (gennaio 1952 e sgg.) sull'autorevole Per-fice Munus:
«L'acqua continua a scendere e ora è la volta dei contadini.
«Le campagne si stanno letteralmente scristianizzando. Ecco perché
ho detto: Attenti ai contadini!
(14) citato dal DE ROSA, op. cit., pp. 87-88.
(15) Questioni sociali del giorno, Roma, 1910.
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«In Umbria, in Toscana, nelle -Marche, in Piemonte, in Romagna e nell'Abruzzo la strage è in piena azione. Vengono a ruota la Lombardia, l'Abruzzo [sic!], la Calabria, e la Sicilia. Ultima verrà la Sardegna. Più resistente il Veneto.
«I parroci che assistono al diradarsi delle masse nelle chiese si illudono pensando che quello debba essere un fenomeno transitorio dovuto al dopoguerra, ai giornali anticlericali, alla politica, ecc.
«No, purtroppo no, è un fenomeno che sarà duraturo e che aumenterà man mano che la tradizione crollerà sotto i colpi della vita moderna... ».
Naturalmente si é anche cercato di enucleare le cause di questo mutamento. In genere si suol distinguerle in esterne ed interne. Le prime coincidenti, da una parte, con l'evoluzione economica, sociale e politica dei rurali; dall'altra, con la deficienza numerica del clero e con quella qualitativa della sua azione; le seconde radicate nelle caratteristiche stesse della religiosità del contadino, definita come superficiale (perché incolta e ignorante), superstiziosa (e quindi egoista e materialista) e perseverante solo perché appoggiata a un complesso sentimentalmente ancor solido di tradizioni secolari.
Queste ultime, non c'é dubbio, se vere, sarebbero le più preoccupanti. Ma, in ogni caso, esse eran le medesime mezzo secolo fa, quando era di moda esaltare ditirambicamente le campagne come le riserve delle energie più sane della religione. Il crollo del mondo religioso rurale va quindi attribuito in definitiva agli agenti cosiddetti esterni, la cui azione però ha penetrato anche intimamente la coscienza e lo spirito del contadino. Nel tempio della sua religiosità, cioè, prima che le pareti ne cadessero in frantumi, si erano sostituiti al dio tradizionale, numerosi e tenaci idoli; quelli stessi che poi regnarono sulla sua intera vita scristianizzata. Così l'aumentato benessere materiale seguito al mutamento dell'economia di bisogni in quella di scambi, ne accrebbe il materialismo; i contatti col cosiddetto mondo del progresso attraverso una più diffusa cultura, il giornale, il cinema, la radio, ne naturalizzarono le credenze (Dio, Provvidenza) ispirandogli un concetto quasi magico del potere della scienza e della tecnica; l'emigrazione o l'invasione della città, distruggendo il suo primitivismo, ne solleticarono e sferzarono il desiderio di piaceri, di comodità, di lusso. Infine i miti. politici,
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con la lotta di classe, sopraggiunti (da noi) buoni ultimi, ebbero facile giuoco agitando i noti slogans sull'alleanza tra clero e capita- listi, sulla religione come sfruttamento, sul paradiso in terra come antitesi del paradiso in cielo.
Naturalmente non ovunque la scristianizzazione delle zone rurali ha raggiunto eguale intensità. Studiosi del problema come il Boulard (16) hanno distinto in proposito tre tipi fondamentali di parrocchie:
a) le parrocchie di cristianità, in cui regna ancora lo spirito cristiano e dove la maggioranza é tuttora praticante;
b) le parrocchie indifferenti ma di tradizione cristiana, in cui iI cristianesimo vive alla giornata a seconda della prevalenza dei buoni o no;
c) e le parrocchie di missione dove il distacco tra clero e popolo è ormai totale.
Anche per le parrocchie rurali tradurre in cifre il processo di scristianizzazione che va pervadendole é impossibile per la mancanza di statistiche già deplorata a proposito di quelle urbane. Il solo studio scientifico a cui é possibile rifarsi é, anche qui, quello purtroppo assai circoscritto del Leoni, che concerne, come s'è visto, una diocesi eminentemente agricola. La diocesi di Mantova per() ha il vantaggio di essere limitrofa di tre regioni — la Lombardia, il Veneto e l'Emilia — notoriamente assai diverse per il loro carattere religioso, e può assurgere quindi a un valore di testimonianza assai singolare. Il Leoni ha riassunto complessivamente la situazione religiosa del mantovano in questi termini: a Abbiamo potuto stabilire che nel sec. XVI tutti gli abitanti delle campagne e della città, fatte rarissime eccezioni, erano osservanti, sicché non si scorgono differenze né tra le classi sociali, né tra i sessi, né tra una generazione e l'altra. Nel secolo scorso il quadro era già molto diverso, presentando, tra le malte zone di ancor viva osservanza, parecchie altre zone di indifferenza religiosa, persino nelle campagne. Il qua-
(16) in Problèmes missionnaires de la France rurale, Paris, 1945, ridotto in it. Nelle parrocchie di campagna a cura. di G. Barra, Brescia, 1948. — Un'altra divisione é stata proposta da N. Bussi (« Il problema rurale » ne L'Ass. Eccl., 1947, V), ma solo ap parentemente diversa.
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dro odierno é pure diverso dai precedenti: la diocesi non presenta ormai quasi affatto zone di unanime osservanza, ma solo zone di forte o tutt'al più fortissima osservanza, miste a tante altre di in- differenza, anche nelle campagne, e ovunque profonde differenze fra i sessi, i gruppi di eta, le classi sociali. Insomma, l'osservanza, un tempo normale, é divenuta il fatto d'una parte della popolazione» (17).
Le statistiche specifiche attestano tra l'altro come nel 1948 su 4922 nati, 30, pari al 6% [sic!], non erano stati battezzati; come su 2506 matrimoni; 15 (0,6%) lo erano stati col solo rito civile; e altrettanto 22 funerali su 2738 compiuti col rito religioso. Percentuali in sé e per sé più che ottime se, paragonate a quelle degli anni precedenti, non rivelassero un crescendo costante, anche se modesto (nel 1940 le unioni civili furono soltanto 9 — 0,36% —, i funerali civili 10 — 0,3% — saliti nel 1946 a 17). Ma non è in queste cerimonie solenni e impegnative, dove il peso della tradizione si fa più sentire, che si deve cercare l'attestato della vivezza della fede tra la tradizionalissima gente dei campi. L'osservanza del precetto festivo e pasquale é assai più sintomatica. E qui le cifre sono molto meno entusiasmanti. Se il precetto pasquale infatti vede ancora il 60% dei contadini assolverlo, quello festivo ne recluta soltanto il 37% (una percentuale non troppo lontana dalle medie cittadine). Che poi sui totali diocesani il precetto festivo sia soddisfatto da 1/3 di adulti, da 2/5 di giovani, da 1/2 di bambini - commenta il Leoni — non è senza significato. (( Si tratta evidentemente di una progressiva diminuzione di praticanti, probabilmente coincidente con la crescita dell'individuo e da essa causata. Scarti tanto sensibili non sono certo confortevoli né di buon auspicio » (18). E a proposito del comportamento dei giovani di fronte al precetto pasquale: «anche nel campo della gioventù, vi é una vivace tendenza all'abbassamento della pratica religiosa» (19). Il distacco dalla vita religiosa è anche visibile nella limitatissima parte-
(17) op. cit., p. 5.
(18) op. cit., p. 65.
(19) op. cit., p. 76.
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cipazione alle funzioni vespertine domenicali: il 6,2% come media diocesana — di poco inferiore a quello delle comunioni domenicali (quindi neppure i devoti vi partecipano al completo) —; e nella forte diminuzione delle vocazioni ecclesiastiche: dal 1945 al 1948 1' 1,7% su mille nati maschi di fronte al 4% del quinquennio 19401944 e al 3,8% del quinquennio 1935-39.
Ma più che queste singole statistiche (che il lettore può vedere sottilmente analizzate dall'a. nel suo ottimo studio) interessano nell'opera citata, i riconoscimenti relativi ai rapporti tra la religiosità delle zone rurali da una parte e la popolazione delle rispettive parrocchie, le zone pedologiche, il movimento demografico, la solidità dell'istituto familiare, lo sviluppo della cultura, la politica e la lotta sociale dall'altra (i rapporti fra sesso e religiosità e età e religiosità sono ovvi e non vi indugeremo). Circa i fenomeni relativi alla distribuzione della popolazione si apprende tra l'altro che « dove c'è minor dispersione c'è una pratica religiosa più intensa e dove c'è maggior dispersione c'è una pratica più debole» (20) e che «ove minore é la densità, ivi abbiamo notato minor pratica religiosa» (21): infatti il Basso Mantovano — cioè la zona che presenta soltanto parrocchie notevolmente popolose, è il meno praticante (22). Ma anche la coincidenza tra le zone religiose e quelle pedologiche non é meno sorprendente: « Composizione, configurazione, giacitura altimetrica e grado di permeabilità del terreno ci spingono a riconoscere nel territorio diocesano una zona morenica e ghiaiosa, bi-bula, di alta pianura, corrispondente in gran parte a quella da noi chiamata, sotto l'aspetto religioso, Alto Mantovano, di intensa pratica cristiana, e due zone di bassa pianura, impermeabili, tagliate dal Po, l'una siliceo-calcareo-cretosa, l'altra alluvionale argillosa, corrispondenti in gran parte rispettivamente al Medio M., di media pratica religiosa, e al Basso M., di scarsa pratica religiosa. Tale coincidenza sarà meramente causale o non indicherà un'influenza della diversa natura del suolo sulle varietà delle attitudini religiose? Propendiamo per la risposta affermativa, giacché a diverse strutture del
(20) op. cit., p. 138.
(21) op. cit., p. 139.
(22) op. cit., cfr. i dettagli specifici a pp. 52, 79, 91 e 137.
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suolo corrispondono di fatto diversi generi di economia, diversi tenori di vita, che certamente incidono sulla struttura sociale e quindi anche sul fatto religioso» (23).
Il declinante movimento demografico e la crisi dell'istituto familiare sono — sempre secondo il Leoni — conseguenze del diminuito senso religioso. La diminuzione di fecondità nel mantovano è un dato incontestabile (nel quinquennio 1925-1929: 9565 nati vivi, pari al 24%; nel quinquennio 1930-34: 8607, pari al 21,6%; nel quinquennio 1935-39: 8074, pari al 19,9%); e altrettanto quella delle nascite illegittime, dovuta al maltusianesimo e alle pratiche abortive: ((la contrazione dell'indice delle nascite illegittime forse più della denatalità ci sospinge verso la stessa conclusione, che l'allontanamento della pratica religiosa incide negativamente sulla moralità coniugale e individuale ». Anche (( le famiglie patriarcali non esistono [ormai] più ». Già nel 1936 le famiglie con 7 e più membri (compresi parenti ed estranei) erano appena un quinto, ma anche la loro compattezza interna non é certo più assoluta se si pensa ai fortissimi scarti fra uomini e donne e tra gruppi d'età nella pratica religiosa. Quanto ai concubinati notori, essi toccherebbero la media di 8 su mille famiglie, 6 nell'Alto e Medio M., più credenti, 12 nel Basso, più irreligioso.
Tra le più imprevedute ammissioni del nostro autore va- però riconosciuta quella sui rapporti tra cultura e religiosità. Ammesso che oggi il 97% dei fanciulli frequenta regolarmente la scuola obbligatoria e che l'analfabetismo residuo é più diffuso nelle donne che negli uomini (12% delle prime e 8% dei secondi nel 1931), egli dice testualmente: (( Confrontando lo stato dell'istruzione con i dati della pratica religiosa della fine del secolo scorso e del momento attuale, si rileva il parallelismo tra analfabetismo e intensa pratica religiosa da una parte, istruzione e scarsa pratica religiosa dall'altra, suffragato dalla considerazione che gli uomini, tra i quali si contano ormai pochissimi indifferenti, sono meno praticanti delle donne, tra le quali l'analfabetismo è un pa' più diffuso. E questa concordanza é di natura assai simile a quelle precedentemente
(23) op. cit., p. 127.
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considerate, che si riducono in sostanza a questa formula: finché il progresso e le forme della civiltà moderna non invasero le campagne, vi fu grande pratica religiosa; col suo avvento e col suo sviluppo andò gradualmente scemando la pratica, religiosa » (24). Naturalmente ciò non significa per il sacerdote Leoni che la religione possa prosperare solo tra l'ignoranza e l'oscurantismo, beni che -a il progresso civile in questi ultimi tempi ha compiuto passi da gigante e tutta la vita sociale si é trasformata sotto la sua energica spinta, anche la vita delle popolazioni rurali. Un mondo nuovo s'é venuto formando, ma alla sua formazione il Cattolicesimo, in quanto forza vitale e plasmatrice della società, é rimasto pressoché estraneo» (25): che non é poco.
***
Ma forse le osservazioni piú ghiotte si riferiscono ai rapporti tra la situazione sociale e politica da una parte e la religiosità delle popolazioni rurali dall'altra. Ed entriamo così nel terza aspetto della crisi della parrocchia: quello provocato dall'evoluzione sociale.
Non possiamo qui esporre tutti i dati raccolti dal Leoni a proposito della pratica religiosa nel mantovano secondo le varie classi sociali. Ci limiteremo a quelli relativi all'osservanza del precetto festivo e pasquale ricordando ch'egli suddivide le categorie sociali in sei gruppi: 1) proprietari terrieri, 2) affittuali diretti e mezzadri, 3) salariad e braccianti, 4) industriali e artigiani, 5) operai e 6) impiegati statali, ecc. Per il primo precetto l'osservanza raggiunge rispettivamente la media diocesana del 57, 54, 28, 37, 34 e 56%; per iI secondo quella del 66, 55, 35, 43, 35, 66. E cioè: la categoria dei proprietari terrieri si afferma su tutte le altre, seguita immediatamente dagli impiegati, dopo i quali si classificano gli affit-tuali e mezzadri. Notevolmente distanziati sono gli appartenenti alla quarta categoria (industriali e artigiani), la prevalenza dei quali supera tuttavia quella degli operai, mentre i braccianti e salariati
(24) op. cit., p. 149.
(25) op. cit., p. 150.
LA CRISI DELLA PARROCCHIA IN ITALIA 67
segnano la cifra minima. « In una terra ad economia prevalente-
mente agricola commenta il nostro a. — ove gli addetti all'agri-
coltura rappresentano i 2/3 della popolazione attiva, il fatto che 1/2 di essi (braccianti e salariati) siano assai poco praticanti, mentre gli appartenenti ad altre condizioni sociali (proprietari e fittavoli) sono del doppio più osservanti, non pue) lasciar dubbi sull'incidenza del fattore `condizione sociale' sul fenomeno religioso. Si sa infatti che nessuna professione, in genere, è più favorevole alla pratica religiosa di quella del lavoratore fissato sullo terra... » (26) e più oltre: «oggi nel Mantovano la piccola e media proprietà mostrano uno stretto legame con la pratica religiosa, mentre alla mancanza di proprietà va spesso congiunta l'indifferenza religiosa. E assai probabilmente questo stato di cose deve mettersi in relazione con la propaganda collettivistica, che trova terreno ostile tra i proprietari, ma molto adatto fra i proletari >> (27).
(Crediamo d'effetto accostare a queste statistiche d'una provin- cia rurale i risultati d'un'inchiesta condotta per incarico del C.I.F. col metodo Gallup nel Gallaratese nel febbraio del '51. Il Gallara-
tese — come il lettore sa é una zona industriale del Varesotto
che conta oltre 70.000 ab., 20.500 dei quali sono lavoratori tessili. Seconda i dati acquisiti, l'assistenza alla messa festiva vedrebbe il 63% della popolazione (46,9% uomini, 79,2% donne) e l'osservanza della Pasqua il 77% (uomini 68%, donne 85%). L'aborto trova consenzienti il 35,8% degli intervistati, le case di tolleranza il 54,8% (più il 28% di indecisi), i rapporti extramatrimoniali il 28,3% (indecisi il 9,8%), il divorzio il 4,7% incondizionatamente, il 27% in certi casi. Vien da chiedersi se sia scalata la religiosità dei rurali o se invece sia risalita quella degli operai: ma forse é più giusto dire che si sono prudentemente equilibrate).
Per tornare alla solita fonte del Leoni — la più precisa e analitica — non abbiamo ancora osservato un particolare che costituisce come il leit-motiv dei suoi commenti statistici; e cioè il fatto che il Basso Mantovano, confinante con la «rossa Emilia» é, per co-
(26) op. cit., p. 167.
(27) op. cit., p. 168.
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stante coincidenza, la zona della diocesi in cui — in evidente nettissimo contrasto con le altre — l'indifferenza religiosa segna le punte più spinte, senza accennare a una sosta nel suo metodico affermarsi. Inutile dire che dei bambini non battezzati nel 1948, 29 su 30 appartenevano a questa regione; dei matrimoni civili, 14 su 15; dei funerali civili 17 su 22. Quanta al precetto festivo, mentre gli osservanti nell'Alto e Medio M. erano rispettivamente il 47 e il 36%, nel Basso M, risultavano il 26 (i maschi adulti rispettivamente il 34, il 17 e il 10%; le femmine adulte, il 55, il 41 e il 32%). Ma sarebbe monotono continuare. Più interessante invece é constatare il moto accelerato dell'allontanamento del B. M. dalla pratica religiosa pur nel generale riflusso a cui sottostanno anche le altre due partizioni del territorio. L'osservanza del precetto pasquale nel 1885 e nel 1948 segnava queste percentuali (% della popolazione complessiva) nell'A. M. e B. Mantovano: 82,3 75 e 77% nel 1885; 69, 61 e 51 nel 1948, con uno scarto rispettivamente di 13,3 14 e 26. Poiché le condizioni sociali tra le tre regioni e specialmente tra la prima e la terza allo stato attuale non sono sostanzialmente dissimili, un motivo plausibile (oltre quello accennato della dispersione e della densità della popolazione) che spieghi il perché del regresso religioso del B. M. non può essere individuato che nel contagio politico-sociale comunicatogli dalle terre emiliane con cui confina. Anche dal punto di vista politico, infatti, il Mantovano si distingue «in tre zone politiche assai ben delineate, corrispondenti in gran parte alle nostre zone religiose. Si veda [nell'annessa cartina] quanto la parte alta della Diocesi differisce dalla parte bassa. Lassù tutto indica chiaramente come il Fronte [Popa lare] non abbia raggiunto il 50% dei voti nella maggior parte dei comuni; nell'oltre-Po invece, sezione occidentale, addirittura la situazione é capovolta, mostrando che li il Fronte raggiunse almeno i '2/3 e spesso i 3/4 dei suffragi, mentre nella zona sud-orientale é chiaro che il Fronte raggiunse e per lo più superò 1/2 dei voti. Tra l'una e l'altra zona opposte tra loro, si stende il M. M., che raccoglie elementi dell'una e dell'altra, senza confondersi con nessuna delle due. Se proprio si vuol trovargli una rassomiglianza, diremo che la sua situazione politica s'avvicina a quella della sezione orien-
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tale dell'oltre-Po M.» (28). «Ancora una volta ci troviamo quindi di fronte a solidarietà umane, i partiti politici, che, come le condizioni e le classi sociali, denunciano profondi contrasti, quasi perfettamente corrispondenti per la misura, il modo e la localizzazione ai contrasti riscontrati nella pratica religiosa. Il parallelismo é troppo lampante, le coincidenze troppo numerose e precise perché si possano spiegare senza ricorrere all'interdipendenza dei fenomeni e in modo particolare all'influsso esercitato dalle condizioni politi- che che al pari di quelle religiose, subiscono le influenze dell'ambiente esterno... » (29).
Ha scritto il De Rosa a proposito della crisi economica della campagna italiana negli ultimi decenni dell'800: «Nel Medio Evo l'anello di congiunzione tra le due parti, tra il dominio del signore ed il lavoro del contadino, era costituito dall'autorità religiosa, dal vescovo che svolgeva una funzione mediatrice tra i due e proteggeva il contadino dagli arbitrii del signore. Si trattava di una mediazione corporativa tra due classi economiche che vivevano unificate in una stessa concezione teocratica e religiosa della vita. La divisione del lavoro e la separazione dei due poteri, civile e religioso, introdotti dalla «rivoluzione », hanno tolto all'autorità religiosa questa funzione, senza pers riuscire a sostituirvi un altro più organico rapporto» (30). Più tardi le rivendicazioni sociali degli stati proletari promosse dal socialismo anticlericale scavarono ancor più quell'abisso che, artificialmente colmato durante il fascismo, é tornato a riaprirsi in questo dopoguerra con una inesorabilità preoccupante per la Chiesa. Combattuto come alleato delle classi conservatrici, il clero assiste oggi non più soltanto all'esodo delle masse popolari ma addirittura alla loro riorganizzazione in antichiesa, e quasi ogni parrocchia — fatto nuovissimo nella storia del nostro
paese si trova oggi opposta, nel suo stesso territorio, un'antipar-
rocchia laica, quasi sempre piú fanatica nella sua fede, più ferrea nella sua disciplina, più audace e fattiva nella sua azione. Sino a
(28) op. cit., p. 178.
(29) op. cit., p. 180.
(30) op. cit., p. 89.
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pochi anni fa, gli indifferenti e i dissidenti della campagna restavano ai margini della vita parrocchiale: non ne uscivano quasi mai completamente e soprattutto non si organizzavano mai contro di essa. Oggi per la prima volta in Italia, il parroco è divenuto pastore d'una sola porzione del suo gregge, da (( uomo di tutti » è stato ridotto a «uomo di parte ».
LE CONTROMISURE
Naturalmente la Chiesa non s'è accontentata di gettare l'allarme a proposito della crisi della parrocchia, ma ha tentato e tenta di fermarla e di vincerla. In Italia, però, questo non è avvenuto con esperimenti tosi vistosi, come ad es. in Francia (dove, d'altra parte, la situazione era assai più grave), bensì con una più ligia conformità alle tradizioni, modernizzando cautamente i metodi sia dell'organizzazione che dell'azione. Invano perciò si cercherebbero da noi o delle originali teologie della parrocchia o dei coraggiosi manuali di pastorale per i parroci. Quanto alle prime, l'unico abbozzo (dovuto al domenicano Spiazzi) è un riecheggiamento d'una tesi di laurea di Adam Josefcyk (31); per i secondi non brillan certo di originalità i lavori anteguerra di un Portaluppi (32) o di uno Stocchiero (33) (quest'ultimo, per altri lati, notevole) o quelli più recenti del Faggioli (34) e d'altri. L'iniziativa editoriale più interessante in materia è forse quella, assai modesta, affrontata dalla Morcelliana con la collana di saggi pastorali diretta da Giovanni Barra e consistente esclusivamente in traduzioni dal francese (35).
Da noi s'è anche cercato, specie dal '36, di diffondere nella coscienza dei cattolici un più vivo senso della parrocchia. A tale scopo hanno scritto manualetti abbastanza agili il Cavagna (36), il Feli-
(31) cfr. R. SPIAZZt o. p., « Spunti per una teologia della Parrocchia », in Scuola Cattolica, 1952, I, pp. 26-42, dove è riassunti la tesi del J. dal titolo A modern parish as modelled in the life of the Cenarle, edita a Friburgo (Svizzera) nel 1951.
(32) Noi Parroci, Milano, 1941.
(33) Pratica Pastorale, Vicenza, 1942, e ed.i successive.
(34) Il buon Pastore, Torino, 1944, — Si veda anche Ros. PERENNA, Innovazioni o rinnovamento della Parrocchia?, Como, 1950.
(35) Autori, il Godin, il Loew, il Boulard, ecc.
(36) La Parrocchia e la vita cristiana, Torino, 1936.
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ci (37), e il Chiesa (38), per citarne qualcuno. E Tito Casini, il o poeta parrocchiano `» come lo ha definito Giuliotti, ha scritto sulla Parrocchia un fluido libretto (39). Ma hanno certo giovato molto di più le campagne di studio promosse sull'argomento dall' A. C. in tutte le sue associazioni (40).
Il senso della parrocchia, rialimentato così nel clero e nel laicato credente, ha dato una certo eco al problema e favorito una discreta rinascita della vita parrocchiale. Esso tuttavia non poteva costituire che un'atmosfera propizia all'azione riformatrice: la vera e propria riforma avrebbe invece dovuto estrinsecarsi attraverso l'eliminazione puntuale e metodica delle singole cause della crisi.
Che cosa sia stato fatto a proposito della disfunzione territoriale di molte : parrocchie s'è in parte accennato riferendo, ad es. sull'operosità della Pontificia Opera per la preservazione della fede in Roma. E si potrebbe facilmente sviluppare coi dati relativi alla moltiplicazione delle parrocchie realizzata nei vari centri urbani da Milano a Napoli, da Genova a Bari. Ma che il problema dell'ele-fantiasi delle parrocchie cittadine, specie periferiche, sia tutt'altro che risolto lo attestano i recentissimi discorsi di Pio XII. Il problema é spesso complicato dalla scarsezza numerica del clero disponibile e il Papa é giunto persino ad approvare, per la sua Diocesi, il sistema cosiddetto di patronato, secondo il quale alcune diocesi più favorite per numero di sacerdoti possono (( adottare l'una o l'altra parrocchia di Roma in guisa di provvederla del numero di sacerdoti di cui ha bisogno ». Estendendo il metodo, qualcuno (41) ha addirittura auspicato la possibilità di vere e proprie emigrazioni interne (tra diocesi e diocesi) di giovani sacerdoti o di seminaristi,
(37) L'Uomo di tutti, Pisa, 1940.
(38) Parrocchia e parrocchiani, Alba, 1936.
{39) ed. Fiorentina, Firenze, 1937.
(40) sulla base di manuali come Luci sul cammino (per le dirigenti di gruppo), Roma, 1935; ecc.
(41) A. LISANDRINI o. f. m., ne L'Assistente Eccl., 1952, II, pp. 325 segg.
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oltre all'utilizzazione delle prestazioni dei religiosi o dei sacerdoti non in cura d'anime.
Ma le parrocchie cittadine, anche opportunamente ridotte di superficie e di popolazione, rivelano sempre delle zone morte o inerti (secondo omissioni ufficiose esse morderebbero efficacemen- te su poco piú d'un decimo della sua popolazione). Per vivificarle Pio XII ha approvato la formazione, già esperimentata qua e là per spontanee iniziative di privati, di cellule cristiane, fungenti da ritrovi spirituali aperti, nelle famiglie ospitanti, alle più libere discussioni religiose, ma dirette da sacerdoti; e l'utilizzazione di «posti provvisori» (come le cappelle interne degli istituti religiosi) per la moltiplicazione dei luoghi di culto. Quest'ultima era una realizzazione discussa da anni, ma che attende ancor oggi la sua messa in atto. Meta ultima: quasi ogni via, fuor che nelle immediate vicinanze della chiesa parrocchiale, dovrebbe avere una sua cappella. Ma non manca chi, come il già citato Spiazzi, propane addirittura l'apertura d'un locale per il culto in ogni palazzo...
Quanto alle parrocchie lillipuziane, una recente (1952) circolare del Prefetto della S. Congregazione del Concilio diretta ai Vescovi italiani si esprimeva cosí: «In ordine a una migliore distribuzione del Clero che sia proporzionata alle necessità delle anime, mi si permetta di far notare che, dato il progresso e lo sviluppo delle comunicazioni stradali e dei mezzi di locomozione, non sembra piú necessario che — salvo casi particolari — piccole località di cento o duecento abitanti abbiano un proprio sacerdote, mentre vi sono regioni con un sacerdote ogni ventimila e anche trentamila cattolici, sparsi su un territorio esteso come una diocesi ». Qualche vescovo, in verità, non aveva aspettato la circolare romana per attuare il ritiro dei sacerdoti da località che non giustificavano minimamente la loro presenza e qualchedun'altro aveva persino osato la costituzione di autentici corpi di parroci o cappellani volanti (con motorizzazione autonoma o spostamenti dal centro diocesano con mezzi normali): ma, si sa, i precursori son sempre rari.
L'utilizzazione del clero insegnante o curiale nelle attività pastorali dei giorni festivi ha invece favorito qualche progresso nella preparazione dei seminaristi alla loro futura vita d'apostolato. Ma
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il problema di una formazione del genere é sempre particolarmente difficile durante il quadriennio dei regolari studi teologici. L'ideale sarebbe di trattenere in seminario, ancora un anno dopo l'ordinazione, i neosacerdoti per un vero e proprio addestramento apostolico. La scarsità del clero rende per() praticamente impossibile persino alle grandi diocesi l'attuazione di questa piano. Qualche seminario la domenica congeda i suoi alunni per la pratica del catechismo e dell'assistenza ai giovani nelle parrocchie cittadine o suburbane: ma la cosa non riesce priva d'inconvenienti.
La vita collegiale del clero (nelle parrocchie cittadine, s'intende) è un altro problema tattico di molta importanza. Solo in tal modo, infatti, esso potrebbe realizzare quel lavoro organico e disciplinato che può veramente incidere sulla popolazione d'una parrocchia. Ma anche questa prospettiva é tutt'altro che facilmente raggiungibile. Per ora la collegialità si realizza soprattutto nella forma più larga di convivenza nella stessa canonica (in distinti appartamenti).
***
Alla crisi di laicizzazione ambientale la parrocchia, sia citta- dina che rurale, può opporre soprattutto la vivacità delle sue varie e molteplici .attività apostoliche. (Non esclusivamente, certo, perché le opere e attività profane — come le scuole, i cinematografi, i campi sportivi, ecc. — vanno oltre il puro e semplice lavoro apostolico). S'è già detto del cambiamento notevole tra la parrocchia di 50 anni fa e quella attuale: notevole nei quadri e nell'impostazione del lavoro. Ma anche negli effetti raggiunti ? In proporzione, certo, no. Non di rado, anzi, i quadri d'una parrocchia finiscono per essere l'attestazione della sua impotenza anziché della sua vita-Ha. Sta al senso pratico e alla giusta intuizione del parroco dotare adeguatamente la propria comunità parrocchiale degli organismi più essenziali e opportuni. Il volere ad ogni costa e subito — come spesso accade — l'impianto di tutti, significa né più "né mena che il ristagnamento della vita parrocchiale. Meglio, evidentemente, po- che attività operanti che il loro cc completo » inerte. Troppe parrocchie poi mancano ancora d'uno schedario statistico e la maggior
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parte non si cura di tenerlo aggiornato. Molte iniziative, anche ottime, solo per questo fatto son poi condannate al fallimento. Per un piano d'azione veramente efficace lo schedario statistico é indispensabile.
Oggi si va diffondendo discretamente l'idea della «parrocchia comunità». Che é, del resto, il concetto di parrocchia quale risulta dall'analisi storica della sua configurazione primitiva e dei suoi sviluppi posteriori. La storia poi insegna che la parrocchia é stata efficiente solo quando ha saputo mantenersi una comunità aperta e vitale, una comunità (com'è caro oggi definirla in Francia) missionaria. Perché l'equivoco dell'equazione `parrocchia-comunità' è facilissimo se non si specifica immediatamente la caratteristica fondamentale della comunità parrocchiale: e cioè la sua permanente apertura e tensione all'esterno, sino ad abbracciare tutti i credenti del territorio. Le parrocchie-comunità nel senso d'ovile e di rifugio non sono infrequenti in Italia: ma la loro sorte è appunto quella dell'inerzia. Le vere parrocchie dinamiche e conquistatrici sono invece una minoranza assoluta.
Una rinascita in senso missionario della parrocchia è stata promossa comunque negli ultimi decenni dall'A.C. Dove e finché, s'intende, non è stata anch'essa domata dalla burocrazia e ridotta alla stregua delle altre superflue e sonnolente associazioni o confraternite. Lo scopo originario dell'A.C. era (e sarebbe), infatti, di ottenere per mezzo dei laici la ripenetrazione nelle masse dei principi cristiani e la liberazione del sacerdote dall'isolamento. Di fatto però l'A.C. anche per la sua degradazione da gruppi d'élites a organismo di massa (due milioni e mezzo d'iscritti alla fine del '51), si è esaurita da tempo soprattutto nell'attività di, autoforma-zione dei proprio membri anziché in vera e propria attività di conquista all'esterno. Ma la sua maggior modernità e vivacità la salvaguardano ancora dal finire come le altre associazioni. Se essa comunque ha dato e in parte ancor dà alla parrocchia, dalla parrocchia ha pur ricevuto. E non solo la solidità della sua organizza- zione capillare, quanto e soprattutto il terreno sperimentale delle sue attuazioni. In questa luce mi sembrano particolarmente significativi alcuni criteri di cc Orientamento nell'Apostolato Parrocchia-
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le» fissati dagli Assistenti centrali degli Uomini Cattolici nel 1948 (42), per l'attuazione di questo preciso programma: «l'Associazione sia lo specchio, la fotografia della Parrocchia e ne rifletta, per quanto possibile, la fisionomia. Ci() vale particolarmente in ordine all'età dei soci, alla loro cultura, alla loro posizione sociale, alla loro ubicazione nella parrocchia ». Quanta all'età, essi lamentano che «nel numero complessivo dei soci si nota una prevalenza -- in proporzione. — degli elementi anziani. Anzi, in una impressionante statistica, compilata alcuni anni or sono, si é constatata
quasi una frattura nell'A.C. — dei giovani e degli uomini fra
i 25 e i 35 anni ». Perché poi, chiedono, « gli uomini colti devono essere assenti mentre nel campo dell'apostolato c'è posto per tutti? ». Circa le condizioni sociali, la deplorazione riguarda l'uniformità impressionante e pericolosa che caratterizza le associazioni, da cui « alcune categorie sono normalmente assenti ». E per l'ubicazione: «anche geograficamente l'Associazione Uomini riproduca la parrocchia, che cioè i diversi settori, in cui esso é divisa — frazioni, cascine, vie, gruppi di case — vi sian rappresentati », «...per aver poi possibilmente in ogni palazzo uno o anche più uomini di A.C. ».
L'A.C. é sostanzialmente un'attività parrocchiale. Nell'ambito territoriale della parrocchia vivono invece, specie nella città, enti ecclesiastici e apostolici che ne esorbitano per la loro autonomia giuridica e spesso, anzi, come si é visto, esercitano un'attività che, se non si può dire in vero e proprio contrasto con quella, parrocchiale, si risolve per() in una distrazione di energie e di forze di per sé appartenenti alla parrocchia. Naturalmente non mancano anche oggi gli intransigenti che vorrebbero tagliare i viveri a questi cc sleali concorrenti ». E agli epigoni dell'antico parrocchismo non fan certo difetto le ragioni per giustificare tanto rigore programmatico. Ma la situazione attuale non consente alla Chiesa il lusso di sacrificare parte delle proprie forze per il solo reato di troppo autonomismo. Del resto le interferenze sono spesso assai meno dannose di come le si dipinge e, al punto in cui stanno le cose, o me-
(42) y. L'Ass. Eccl., 1948, I, pp. 9-11.
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glio le parrocchie, non è sempre il maggior male che alcuni rivoli sian condotti a confluire altrove. Queste parole del card. Siri sono d'un assai intelligente realismo:
«...la gente la si prende dov'è, coi mezzi che realmente si mostrano atti a prenderla dov'è.
«Naturalmente la parrocchia rimane e chi vorrebbe metterlo in dubbio? -- il punto di partenza, il punto d'arrivo ed il più desiderata punto di riferimento; ma, poiché non basta più, occorre integrarla. Ecco la parrocchia del marciapiede.
«Gli operai in parte notevolissima non entrano più in chiesa? Che si fa? Si vanno a prendere in fabbrica. Gli studenti in iscuola, ecc. ecc.
« Occorrono dei ministri di Dio che rompano ogni rapporta colla propria comodità, ritornino alla forte e saggia audacia dei tempi apostolici e vadano incontro agli uomini che si perdono. In Italia è provvidenzialmente sorto l'Onarmo; ci sono gli Insegnanti di religione che possono diventare più uniti...
«....Tutti costar() per() devono mirare sempre a riversare alle parrocchie il frutto del loro lavoro. Ed anche questo "riversare" va accuratamente organizzata.
«Ecco la parrocchia nuova. Che gioia quando potremo abolire la parrocchia del marciapiede ed attendere la gente che verrà, perché avrà un'altra volta imparato a venire!» (43).
Nelle campagne il problema è diverso: di adattamento e insieme di integrazione. Se è vero, come in gran parte è vero, che per il contadino italiano la religione è tradizione, ritualismo, superstizione e interesse (sia pur d'ordine spirituale), ha ragione il Bussi (44) di ritenere urgente una rievangelizzazione radicale fatta in uno stile concreto, adatto alla mentalità degli uomini dei campi, e con metodo essenzialista. (« Si potrebbero fissar tre articoli fondamentali: Dio é padre; Cristo è fratello; la Chiesa è una famiglia))!; una rievangelizzazione inoltre accompagnata ad una riva-lorizzazione della liturgia fondamentale e integrata da una bonifica umanistica del rurale mediante scuole professionali, che ne aprano l'intelligenza, gli insegnino le condizioni igieniche del lavoro, gli parlino del problema della casa, ecc.
(43) « La Parrocchia del marciapiede », ivi, 1948, VI.
(44) «Umanesimo rurale », ivi, 1947, VII-VIII.
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Un programma, come si vede, ma anche quasi soltanto un programma. Tuttavia le avanguardie dell'A.C. si sono spinte anche nel mondo rurale. Nel solo settore femminile son state fondate dall'Unione Donne le Associazioni rurali nel cui seno lavorano le a Rurali Militanti» (le attiviste dell'apostolato capillare). Si sono poi organizzate squadre di volontarie del «catechismo» (che visitano periodicamente le frazioni, i casolari dispersi, ecc.). Ma i risultati migliori sono stati ottenuti, sul piano religioso, con le Missioni campestri e, su quello sociale-culturale, con i Corsi Agricoli e di Economia domestica rurale, con evidente beneficio delle rispettive parrocchie.
Il punto più debole della parrocchia italiana si é comunque rivelato, a guerra finita, nella sua inefficienza sociale. Più in là del pane di S. Antonio o del ricovero dei vecchi — cioè più in là dell'elemosina saltuaria e della carità organizzata — non s'andava. Prima del fascismo (e sin dall'ultimo quarto dell'Ottocento) non era così. Il regime fascista però evocò a sé tutte le opere d'assistenza sociale e anche le parrocchie dovettero smobilitare. Nei seminari, i futuri sacerdoti crebbero così, durante l'intero ventennio, nell'ignoranza più assoluta della sociologia. La caduta del fascismo e l'esasperazione della questione sociale all'indomani della sconfitta trovaron perciò la maggior parte dei parroci impreparati alle nuove necessità. Il lavoro fatto in pochi anni tuttavia è veramente notevole, se si pensa alla difficoltà di mettersi al passo da soli o quasi con le istanze acuite dei tempi. Si può anzi dire che l'appello lanciato dal Pontefice con una circolare del 12-1-'46 all'Episcopato italiano per mezzo della Segreteria di Stato (« Desidera il Sommo Pontefice ripetere oggi al Clero italiano l'esortazione, già rivolta da alcuni suoi Predecessori, di ritenere come un dovere d'apostolato il dedicarsi allo studio e all'azione sociale, e insieme di prestare aiuto e assistenza al laicato cattolico che lavora rettamente nelle associazioni professionali ») ha raccolto, come pochi altri, una pronta e generosa, se pur interessata, risposta.
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Dal '45 ad oggi, infatti, la maggior parte delle parrocchie ha dato vita al Segretariato del Popolo per i servizi sociali dei lavora-
tori, alle Sezioni della Pontificia Commissione d'Assistenza, ai Segretariati della Carita, ai Circoli della G.I.O.C. (Gioventù Operaia Cristiana), a quelli dei Lavoratori delle A.C.L.I. — per tacere delle Casse Rurali, Cooperative, Mutue, di cui, però, per disposizioni del Diritto Canonico, i sacerdoti non possono assumersi le responsabilità direttive. Oltre a queste opere strettamente parrocchiali, non é raro il caso di parrocchie ospitanti l'ONARMO, i nuclei aziendali delle ACLI, ecc. (45).
Non sappiamo quale consistenza abbia assunto il F.A.C. (Fraterno Aiuto Cristiano) propagandato, dal '50, un po' per tutta Italia dal suo ideatore, don Paolo Arnaboldi. Esso é stato definito (46) ((lo strumento per fare della Parrocchia una famiglia, una comunità d'amore, una comunità missionaria per restituire alla Chiesa la parrocchia diventata cellula viva e operante del Corpo Mistico )). E lo stesso presentatore continuava: «Non si tratta di fare un'opera o delle opere a puro titolo di santificazione personale che aiutino il povero nella stretta misura nella quale le possibilità di un individuo lo consentano; si tratta di esigere una collaborazione organica e solidale di tutti, a cominciare da quelli che non possono far niente, i malati, i sofferenti... alle anime oranti nei conventi di clausura... per finire alla collaborazione di tutto il popolo della parrocchia nella sua qualificazione professionale e di lavoro e casi esigere che l'industriale dia il modo di risolvere il problema dei disoccupati, l'ingegnere e il costruttore quello di dare una casa, l'artigianato quello di dare il lavoro, il commerciante di fornire la merce a prezzo di costo o giù di 11, il professionista di risolvere gli imbrogli della vita civile, e tutto questo non in una maniera frammentaria e saltuaria, ma organica, continua e fraterna. Che siano tutti a dare del loro tempo e del loro denaro perché la famiglia della parrocchia possa sentirsi veramente tale: che sia un'azione
(45) v. in proposito L. CivARn1, « La Parrocchia e l'azione sociale », ne L'Ass. Eccl., 1948, VI.
(46) C. ZUCCARO, in Vita Sociale, 1951, I.
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totale di tutti i suoi membri, che impegni per prima cosa ad eliminare la miseria nera dei fratelli. Il F.A.C. (insomma) non é una raccolta di soldi, non è un'altra opera o una delle tante opere, ma é la mobilitazione di tutta la parrocchia per la battaglia della rieducazione pratica ed organizzata della massa del papalo cristiano al precetto di Gesù ».
Un programma indubbiamente integralista e massimalista di grande interesse, ma che, al banco di prova della realtà, ci pare debba sollevare delle difficoltà quasi insormontabili. Una metodica esperimentazione, tuttavia, potrebbe tentare di renderlo mena utopistico e più accessibile. E farlo divenire, con l' A. C. nel campo dell'apostolato puro, il secondo motore fondamentale dell'istituzione parrocchiale.
***
Abbiamo appena accennato sopra, decisi a non trattarne, tra
• le cause della crisi della parrocchia, l'aridità dell'azione religiosa vera e propria che vi si attua: e specialmente l'aridità del culto liturgico che ne é al cuore. Ma non possiamo rinunciare a questo punto di dirne qualcosa, al ricordo soprattutto degli esperimenti francesi che, proprio sul riaccostamento del popolo alla preghiera liturgica, fanno leva per una più vitale riforma della comunità parrocchiale. Naturalmente non si tratta di aumentare il decoro e il fasto delle funzioni: le statistiche fatte in Francia hanno dimostrato che esse non tediano meno di quelle manomesse l'uomo moderno, e specialmente l'operaio. Ma di rendere comprensibili e graditi i riti così da renderne ragionevole e giustificata la partecipazione. Il movimento liturgico in Italia non é stato così organico, originale e fecondo come oltralpe; ma, specialmente per mezzo dell' cc Opera della Regalità », promanata dal Gemelli e dall'Università Cattolica, ha attinto una risonanza che non va sottovalutata. Il Messale quotidiano e più ancora quello festivo sono anche da noi abbastan- za diffusi (sebbene tra i soli ceti devoti); ma la liturgia parrocchiale non va oltre, quasi dappertutto, la messa dialogata. E vero che le remore più gravi alla pietà liturgica sono poste proprio dal conservatorismo idolatra della Curia, ma troppo poco si tenta dai
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sacerdoti di a iniziare» i fedeli ai misteri liturgici (47). Molto più facile è solleticarne il sentimentalismo con pratiche extraliturgiche e specialmente con le devozioni mariane. Ed infatti é quello che i parroci italiani si son limitati, per lo più, a fare. Citare i fasti nefasti raccolti dall'invenzione delle Madonne Pellegrine tra il '46 e e il '48 non é davvero necessario.
Innovazioni numerose — più numerose anzi che in ogni altro campo — sono state accolte dal nostro clero nella predicazione, o meglio nelle forme esterne (sempre più pubblicitarie) della predi, cazione. Le più sensazionali riguardano la specializzazione per categorie, il ripiegamento progressivo dalle prediche alle conferenze, e l'ammissione del laicato (d' A. C., in genere) anche femminile a quello che per secoli fu un mandato gelosamente esercitato dai soli vescovi. La propaganda religiosa é divenuta così sempre più voluminosa e farraginosa, ma in diretta proporzione, ed era fatale, anche sempre più scadente: e non potrà che peggiorare se si considera che il laicato non può andar oltre una certa improvvisazione, mentre al clero manca sempre di più il tempo necessario allo studio.
***
Per uno sguardo d'insieme, quanto si é detto può bastare, se pure non è persino esuberante. Tanto più che il lettore sarà ormai soprattutto ansioso che si passi alle conclusioni. Ma su di esse non ci attarderemo, perché non sembri che si voglia imporre una valutazione soggettiva quando il vaglio obiettivo dei dati mette chiun- que in grado di far benissimo da sé. Poiché tuttavia non ci par lecito sbrigarci col solito (( messo t'ho manzi », diremo che un raffronto tra il panorama della crisi e quell'o della restaurazione della parrocchia in Italia ci sembra che si chiuda in netto vantaggio della prima. La redistribuzione territoriale e logistica delle parrocchie é, infatti, da noi, un'intrappresa ancor troppo morosa; la loro vita
(47) cfr. F. TONOLo, Parrocchia e Liturgia, Roma, 1949; e, come es. di qualche realizzazione pratica, G. BEVILACQUA, «La Vigilia Pasquale in un centro periferico», ale L'Ast. Eccl., 1952, III, pp. 174 segg.
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comunitaria, nella maggior parte dei casi, introflessa e chiusa, rivelando solo nel campo sociale una notevole facoltà di ripresa; la vita religiosa propriamente detta, infine, è proprio quella che accusa i deficit più gravi. Con questo non si vuol minimamente disconoscere gli sforzi compiuti dall'alto e dal basso clero per una riforma .adeguata dell'istituto parrocchiale. Le buone volontà non sono davvero mancate, ma i risultati sono stati piuttosto mediocri sia per lo sproporzionato aumento dei nuovi bisogni e per le re-More frapposte dai vecchi metodi e mezzi, sia, e soprattutto, per gli infausti compromessi con la politica.
Se la parrocchia infatti ha perduto terreno sul settore religioso, s'è avvantaggiata enormemente, in questi ultimi anni, su quello politico, a beneficio, s'intende, delle mire egemoniche della Chiesa. E che questa sua progressiva profanizzazione sia un bene, nessun vero credente vorrà certo sostenerlo. Si è detto della prevalenza eccessiva che nell'attuale dopoguerra hanno assunto nella parrocchia italiana gli attributi e le attività sociali. Ma troppo si sarebbe tentati d'aggiungere qui sulla sua politicizzazione. In fondo, se oggi è nata l'antiparrocchia, la responsabilità di questo contraltare va rivendicata al fatto che la parrocchia è quasi ovunque diventata la sede d'un partito e quasi ovunque la chiesa stessa ed il pulpito — peggio ancora, il confessionale — si son trasformati in luoghi di propaganda del partito clericale. Non per altro il parroco da «uomo di tutti» è divenuto «uomo di parte ». Ma non era forse naturale dopo ch'egli si è «partitizzato» e che la stessa parrocchia, divenuta sempre più intransigente, mette ai suoi aggregati l'aut-aut d'una fede politica oltre che religiosa? Che cos'è, del resto, il fine ultimo della sua preponderante attività sociale? E come si spiega la costante intensificazione di manifestazioni religiose alla vigilia delle competizioni elettorali? La stessa A. C. è davvero ancora un movimento missionario (di puro apostolato) o non piuttosto — specie dopo l'ultimo « cambio di guardia » — il cavallo di Troia delle rivendicazioni politiche della Chiesa ? Lo storico di domani non avrà certo molti scrupoli, come il cronista d'oggi che voglia ad ogni costo corazzarsi d'obiettività per tema d'esser giudicato partigiano, nel
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rispondere a questi interrogativi, tanto la realtà gli apparirà d'un'e-videnza violenta.
Ebbene, quali conseguenze matureranno da questo stato di cose ? Naturalmente, non è facile prevederle. Troppi imprevisti possono sovvertire i calcoli più prudenti. Ma una cosa si può tranquillamente asserire: e cioè che la strada della politicizzazione porterà la Chiesa a delle amare esperienze. Oggi essa sta tentando con tutte le sue forze di slaicizzare l'Italia, rimedioevizzandola in una nuova teocrazia solo apparentemente più rispettosa del progresso e aperta al riconoscimento dei valori terrestri. Dopo l'antitesi ottocentesca, stile «piononista », insomma, la sintesi novecentesca, stile «piodo-dicista ». Ma non si concilia, sopraffacendo. Leone XIII osò assai meno, e lasciò in eredità il modernismo, il murrismo e il combi-smo. La reazione all'attuale progressiva egemonia clericale potrà esser forse dilazionata, ma avverrà fatalmente. E se sorprenderà la parrocchia religiosamente inaridita, quella sarà, per il Cattolicesimo italiano, l'ora più critica.
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1953 Mese: 7 Giorno: 1
Numero 3
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3


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