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tipologia: Analitici; Id: 1471809


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Quinto Martini, Memorie
Responsabilità
Martini, Quinto+++
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
MEMORIE
Erano i primi tumulti di quella che poi prese il nome di «Rivoluzione fascista ». Ero ragazzetto, ma tutto quello che vidi mi é rimasto inchiodato nella mente e mai lo dimenticherò.
Fu una notte del mese di aprile, che mio fratello lasciò la casa, dopo aver nascosto sotto gli embrici del tetto della stalla i numeri del- 1'« Avanti! ».
Dal paese vicino erano scesi giù degli uomini con i loro camions, la forza pubblica e i soldati dell'esercito davano loro man forte con le loro mitragliatrici. Quella stessa notte entrarono in molte case, presero gli uomini che erano stati segnalati come comunisti da alcuni individui del paese, e a suon di bastonate furono caricati come bestie sopra al camion e portati alla caserma dei carabinieri. Lassù c'erano i cosidetti « domatori » che rinforzavano la dose. So di "un povero uomo che, in seguito a queste bastonate, pochi giorni dopo ci rimise la pelle.
Ma il fatto piú pietoso e più inumano fu l'uccisione di un povero vecchio. Alcuni fascisti bussarono alla porta della sua casa sparando dei colpi di fucile per intimorire e chiedendo di suo figlio. Il vecchio rispose facendosi vicino alla finestra chiusa che suo figlio non c'era, e che era solo in casa. Il figlio, saputo cosa stava succedendo, s'era guardato bene dal rientrare. Quelli della strada insistevano perché si mostrasse alla finestra con la promessa che nessuno gli avrebbe tolto un capello. Il vecchio credé alla parola: acri, si affacciò, e una scarica infernale gli crivellò la testa e il petto. Cadde riverso vicino al suo letto, in una pozza di sangue e subito mori. Appena si fece giorno, delle donne che abitavano di fronte a lui misero una scala alla finestra aperta, salirono in camera, pensarono a sistemare il cadavere e a fargli il funerale. C'era il terrore nell'aria in quei paesi: ad accompagnare il poveretto al cimitero andarono poche donne, qualche vecchio, dei ragazzi e il suo piccolo cane.
Quella stessa notte un'altra squadra andò a cercare di mio fratello.

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Era gente imbestialita; non trovando Aldo, volevano ucciderci tutti. Restarono pochi minuti, perché uno di loro che era rimasto fuori cominciò a gridare:
« Venite giù subito! Correte! ».
La casa si vuotò in un attimo. Si senti correre intorno alla casa e sparare all'impazzata. Nessuno di noi ebbe il coraggio di guardare da una finestra.
La mamma disse al babbo:
« Non credo che Aldo sia stato tanto scapato da farsi vedere in- torno a casa ».
Andrea rispose: « Non sarà per Aldo. Avranno visto qualcuno ne' campi. Ci sono altri uomini in queste case vicine, e quando hanno sentito il camion avranno cercato di nascondersi ».
Quella notte nessuno di noi dormi. Tutti non si vedeva l'ora che venisse il giorno. Al mattino verso le dieci, dopo aver dato alle fiamme, distrutto o caricato sul camion tutto quanto si trovava nel circolo socialista, salirono su fino alla nostra casa. Era un miscuglio di uomini eccitati, che sparavano come forsennati al solo volare d'una mosca. Nessun uomo quella mattina, dopo l'accaduto, si trovava in paese o nelle case dei' contadini. Ognuno aveva pensato a rimpiattarsi nel modo più sicuro. _ Aiutai il babbo a nascondersi nel fienile. Gli altri due fratelli tagliarono la corda andando in fondo al podere. Io e mia madre restammo a casa ad attendere gli uomini armati e imbestialiti.
Mentre si facevano avanti verso l'aia davanti a casa, preso dalla curiosità uscii fuori, mangiando una fetta di pane con olio e sale.
Un uomo in divisa mi venne vicino, mi puntò la rivoltella al petto e, con voce talmente bestiale che ancora ricordo, mi disse:
« Ragazzo, o tu dici dove si trovano i comunisti o t'ammazzo ».
Non risposi, corsi in casa da mia madre, essi mi seguirono. Entrarono nella stanza capitanati da un marchese del paese vicino. Questo marchese poi è diventato ministro. Io stavo accanto alla mamma. Si fece vicino un uomo giovane in divisa, era grasso, dalla faccia butterata, capelli rossastri, puntò la rivoltella al petto della mamma gridando:
« Ditemi .dov'è vostro figlio, quello che fa il muratore! ».
« Mio figlio non è in casa, se non ci credete cercate pure ».
124 QUINTO MARTINI
«Dite dov'è nascosto, dov'è scappato! ».
Io ammirai mia madre per la sua calma e coraggio: mi sentii fiero di lei e da quel giorno il mio affetto è stato sempre più forte. Il maresciallo, rosso in viso e guardando i suoi uomini, gridò:
« Avanti, perquisite tutta la casa, guardate dappertutto, nelle stalle, nel fienile e fuori nei pagliai ».
Quando disse « nel fienile » mi sentii girare la testa. Credevo di svenirmi, istintivamente mi misi a sedere sul primo gradino della scala e non capii più nulla. Quando mi alzai vidi la mamma che stava a parlare col marchese.
Egli aveva un bastone con un grosso pomo di metallo lucido; lo teneva su in alto di fronte a lei come una terribile minaccia gridando:
« Se non ci direte dov'è vostro figlio, sarà tutto distrutto ». Fece iI gesto di picchiare sopra i vetri della credenza. La mamma si mise di fronte e gridò:
« Lasciate stare la roba, è mia e mi costa quattrini. Cercate pure mio figlio, ma non rompete la roba, lasciate stare i piatti e i bicchieri ».
II bastone restò fermo in alto un istante e poi fu abbassato con indecisa lentezza. Il nobile uomo, toccandosi il cinturone che aveva affibbiato sopra alla giacchetta borghese, . e al quale teneva appesa la rivoltella, aggrottando le sopracciglia e facendo lo sguardo truce, disse:
« Va bene per la roba, per questi quattro piatti » e portando il suo muso vicino al volto della mamma « vostro figlio la pagherà cara ».
Mia madre con la sua calma di sempre ma con voce più decisa di prima, rispose:
« Mio figlio non ha nulla da pagare. Mio figlio non ha fatto nulla di male e non capisco il perché di tutto quello che sta succedendo ».
« Non capite, vero? Capirete, capirete... ».
« Mio figlio non ha fatto nulla di male, ecco cosa capisco io ».
« Vostro figlio è un delinquente, . è un comunista! ».
« No, mio figlio non è un delinquente, mio figlio non ha fatto del male a nessuno, di questo ne sono certa. Una madre certe cose le sente, specialmente una madre che ama i propri figli ». Le ultime parole le disse con più lentezza come per sottolineare la frase. Un uomo scese le scale accompagnato dai suoi fidi, carabinieri e borghesi. Il Marchese, facendoglisi incontro, disse:

MEMORIE 125

«Ebbene, nulla? ».
« Nulla. Abbiamo frugato in tutti i buchi ».
«Andiamo, non c'é tempo da perdere ». E rivolto alla mamma: « Ci rivedremo presto ».
Mi feci sulla porta; la mamma mi venne vicino e passandomi la mano sul viso, mi disse:
« Stai calmo, se ne andranno ».
Si riunirono tutti nell'aia, e agli ordini del marchese partirono. Dopo un po' corsi a rimettere la scala al fienile, come un gatto salii
a togliere il fieno che avevo messo sopra al babbo quando s'era disteso
vicino ad un finestrone con la testa accanto ad un foro dei mattoni. «Cosa hanno fatto?» mi disse appena l'ebbi scoperto.
« Nulla, babbo, se ne sono andati ».
Stringendomi a sé mi disse:
Sai, io vedevo delle persone aggirarsi tra le viti nella vigna del Gacidella. Avevano il fucile e alcuni la rivoltella in mano. Ho riconosciuto il figlio di Olinto che sta su al Comune ». E togliendosi il fieno di dentro il colletto della camicia, sputò e aggiunse:
« Brutta carogna, figlio d'un cane! » e portandosi vicino al fine-strone scoperto che dl a mezzogiorno disse:
« Vedi, Aldo dovrebbe essere lassù, su quel monte, nella capanna del pastore, e se qualcuno non farà la spia non lo troveranno subito. Dopo mezzogiorno tu devi prendere un sacco, ci metteremo dentro della roba da vestirsi e da mangiare: un salame e del formaggio ». Guardò bene e tornò ad indicarmi il monte. « Tu dovrai andare lassù, in un'ora di cammino ci arriverai. Ma prima di partire bisogna esser sicuri che non ci sia nessuno in giro da queste parti che abbia l'aria sospetta. Senti: dovrai passare il fiume di sopra al mulino, passare attraverso i campi, salire fino ai quattro cipressi, poi scendere giù nel bosco dei pini, fino alla fontana. Ricordi quando siamo stati a trovare lä zia e ci siamo fermati a bere? ».
« Si, si, ricordo babbo, lo so, lo so, dov'è la fontana » risposi orgoglioso di questa missione segreta.
« Ebbene, quando sarai alla fontana prenderai la strada che entra fra i castagni e andrai diritto a quel leccio grande dove siamo stati quest'inverno a cercare le ghiande per il maiale. Prendi il viottolo che c'é
-r,


126 QUINTO MARTINI
vicino a quel masso e tutto diritto arriverai alla capanna. Ricordati di non domandare a nessuno là strada per salire sù in vetta al monte. Se qualcuno ti chiedesse dove vai, tu scherzando rispondi che vai a cercar cenci ».
Scendemmo dal fienile. La mamma stava rimettendo a posto la casa. Era stato buttato tutto sopra il letto e in mezzo alle stanze. Nel granaio avevano anche rovesciato i sacchi del frumento. Presi un foglio, tracciai con un lapis la strada che dovevo fare e me lo nascosi in dosso sorretto dalla cinghia dei pantaloni. Poi aiutammo la mamma a rav-versare le stanze. Nessuno di noi si indugiò a parlare molto a lungo di quello che era successo. Verso mezzogiorno anche i due fratelli che erano andati in fondo al podere ritornarono.
Remo mi disse:
« Si sentivano fischiare sopra alle nostre teste le pallottole. Erano a quelle case vicino a Macario. Sparavano come serpenti ».
Andrea aveva la faccia pallida e l'espressione assente; disse: « Hanno rotto nulla mamma? ».
«No, ma hanno messo tutto a soqquadro ».
«E nella casa dello zio ci sono stati? ».
« Si, sono saliti nelle camere, hanno dato un'occhiata alla scappa e fuggi e sono scesi ».
« C'erano i nostri cugini in casa? ».
« No, c'erano solo le donne ».
Venne l'ora di mangiare. A tavola fu parlato delle cose de' campi e della stalla. Il babbo diceva:
« Ci vorrebbe del sole, é già piovuto abbastanza. Se non viene il sole, il raccolto non sarà buono. `Maggio ortolano, molta paglia e poco grano'. Quest'acqua fa venir bello lo strame ma per seccarlo ci vuole il sole, sole, sole ».
Bevve un bicchiere di vino e rivolto a me, visto che l'ascoltavo con aria pensierosa:
«Non credo che andrà male; ce la siamo sempre cavata bene. Anche quando sono state di quelle annate da contarsi sulle dita della mano é andata meglio di quello che si credeva. Non bisogna mai disperare. E poi noi contadini in questi casi si vede sempre brutto ».
La mamma portava la roba in tavola, si sedeva un momento per
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mangiare a battisuola e poi scappava di nuovo in cucina ai fornelli.
Alcuni colpi di bastone alla porta ci fecero sussultare, ci guardammo tutti negli occhi per un attimo, poi andai ad aprire col cuore galoppante. C'era un povero che chiedeva l'elemosina, era il solito mendicante che passava due volte la settimana. Lo feci passare in casa, si mise a sedere, vicino alla tavola, la mamma gli portò un piatto con la minestra, babbo gli parti una fetta di pane e Andrea gli porse un bicchiere pieno di vino. Mia madre gli disse:
« Da dove venite, Geppo? ».
« Stamane non ho girato molto. Con tutto quello che é successo e che c'è nell'aria preferisco andare a bussare alle case dei contadini per la campagna; nei paesi c'é un'aria poco respirabile ».
«Ma cosa volete aver paura, Geppo, siete vecchio e non avete mai fatto né male né bene a nessuno e così siete sempre a posto, voi ». Rispose Remo con aria ironica:
ei Si, é vero quello che dici. Stamani lassù alle case del Baranti ho visto picchiare un vecchio a sangue. L'hanno bastonato come fosse una ciuca carogna. Poi l'hanno lasciato li a lamentarsi fra il sangue e la terra. Sembra che sia morto. Così ho sentito dire ma non c'é da credere a tutto quello che si dice; sentono dire: `il tale l'hanno cazzottato'; un altro lo racconta e dice: `poveretto, sta male'. Un altro ancora dirà: `Sai, Tizio é morto' ». E scuotendo la testa prese le ultime cucchiaiate di minestra alzando con la sinistra il piatto da un lato.
« Cosa aveva fatto quel vecchio? » gli chiese il babbo.
« Nulla ».
«Come nulla? E per nulla...».
« Una donna mi ha detto: c'era un giovane nei campi che scappava tra le viti, passando vicino al vecchio, un gruppetto di uomini si sono avvicinati e tutti insieme gli hanno chiesto:
«Chi era quello che scappava? Dov'è andato? ».
« Io non ho visto nulla ».
«Dov'è andato? ».
« Non so nulla io ».
Uno del gruppo alzando un bastone ha gridato:
« Vecchio maligno, ti faremo parlar noi », e giù a bastonarlo.
128 QUINTO MARTINI
« Povero vecchio » disse la mamma chinando la testa e infilandosi le dita fra le dita. Io chiesi al mendicante:
« Chi era quel vecchio? ».
«Nessuno lo sa, doveva essere un uomo di là dai monti. Qualcuno dice di averlo visto passare altre volte, sempre nei giorni che c'è i1 mercato in città ».
Dopo aver mangiato si alzò, prese il suo bastone avviandosi verso la porta disse le parole di sempre:
« Dio sia con vai. Dio ve ne renda merito in questa e nell'altra vita ».
Quando non si senti più il suo passo strascicante, Remo disse:
« Io non darei mai nulla a questa gente. Sono dei vagabondi che non hanno voglia di lavorare. Se volessero mangiare dovrebbero venire con me ne' campi con la zappa e la vanga. Di giorno vanno in giro a chiedere il pane, si fermano sempre a parlare con le donne, fanno complimenti ai ragazzi. Dicono sempre, nmilï come frati `Dio sia con voi' e intanto guardano dov'è il pollaio, la stalla, lo stalluccio del maiale... E la notte vengono a rubare. Questi mendicanti fanno tutti parte di bande di ladri ».
E la mamma:
« Ricordati figlio che è sempre bene dare da mangiare a chi ha fame se si fa del bene non ci troveremo mai pentiti ».
« Si, a quelli che lavorano. A chi non lavora, pure essendo sano, nulla... » .
Io non potevo pensare come lui che gli uomini fossero tutti dei farabutti. Lui non si fidava di nessuno, sbrigava tutto da sé. Ricordo che una volta ordinò un paio di scarpe al calzolaio del paese. Era d'inverno, lui stava sempre vicino al bischetto perché non ci mettesse del cartone nella suola. Quando portò le scarpe a casa diceva da uomo sicuro del fatto suo:
« Qui non c'è cartone. L'ho visto io quando lo Zoppo me le fa- ceva! » e battendo la suola insieme: «Tutto cuoio, perdio! ».
Finito di mangiare, il babbo mi preparò il sacco e partii.
Com'era bello camminare lungo il fiume, fra i campi e per la strada del bosco. Ero pieno di forza, non vedevo l'ora di farmi vedere da Aldo per dirgli: « Vedi, t'ho portato da mangiare e da vestire », e
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raccontargli tutto quello che era accaduto la mattina, quello che aveva
saputo fare la mamma, che era stata uccisa una vecchietta mentre racco-
glieva nell'orto le foglie di cavolo per i conigli...
Non faceva molto caldo, ma prima di arrivare alla fonte mi sentii
la gola asciutta, appena giunto bevvi a lungo, e ripresi a camminare
lesto lesto per la strada del bosco.
Prima di arrivare al leccio incontrai mio fratello. Sono tanto sor-
preso di trovarlo per la strada che non sono capace di far parola. Lui
invece, mi abbraccia e dice:
«Bravo Libero, sei veramente un uomo» e prendendo il sacco:
« Cosa c'è qui dentro? » Mi guardai attorno e dissi:
«Entriamo nel bosco...» Lui sorrise, mi prese per mano, ci inerpi-
cammo in mezzo al castagneto e ai quercioli. Quando fummo abba-
stanza dentro e lontano dalla strada, gli dissi piano piano:
«Sai, Aldo, nel sacco c'è da mangiare e vestire. E babbo che mi
manda ».
Sciolse il sacco e mentre lui frugava con le mani, io dissi ancora:
« Se tu resterai quassù, verrò spesso a portarti pane, carne e da
vestire... ».
Mi prese con le mani alla vita e alzandomi come se fossi stato una
piuma mi disse:
«Bravo Libero» e subito mi mise a sedere vicino al gambo di
un castagno. Anche lui si sedette vicino a me, e stringendomi fra le
braccia e guardandomi negli occhi, mi domande):
«Saprai serbare il segreto? ».
« Non dirò nulla nemmeno all'aria! ».
« Allora, sempre acqua in bocca? ».
« Si, sempre acqua in bocca... ».
«Neppure al prete, se andrai a confessarti? ».
« Io non vado a confessarmi, tu lo sai ».
« Lo so. Ma ho detto così per dirti che nessuno deve saperlo ».
« Stai tranquillo. Mi farei ammazzare, ma non direi nulla ».
« Bene così. Sei un vero uomo. Ora raccontami cos'è successo giù
in paese stamani. Ho visto del fumo; penso avranno incendiato cir-
colo dei lavoratori ». Il suo sguardo si fece triste, cercando qualcosa
giù nella pianura.
130 QUINTO MARTINI
Raccontai tutto, quello che avevo visto coi miei occhi, e udito con i miei orecchi. Finito il racconto mi mise sulle sue ginocchia, mi strinse forte, sentii male ma non gridai, e ridendo mi disse:
« Bravo, sono fiero di te... » e me lo disse con quel suo modo scherzoso che aveva anche quando parlava di cose serie.
« Mi vuoi a dormire con te questa notte? Posso farti anche la guardia, ad un ragazzo nessuno spara ». Lo pregai molto, gli dissi che sarei restato con lui la notte e alle prime luci dell'alba sarei ritornato a casa. Ma lui mi guardò scuro e disse:
«Devi andare subito a casa: sarebbe pericoloso se ti vedessero tornare quassù. E poi... andrò via presto di qui. Non bisogna restare molto in un posto, verrebbero a saperlo e allora... ».
« Allora fammi restare con te fino a buio ».
«Non é possibile; pensa cosa si metterebbe in testa la mamma se non ti vedesse tornare appena si fa scuro, e poi guarda lassù ». E con l'indice m'indicò delle grosse nuvole color piombo che salivano dietro alla collina di fronte. Io guardai, spostando una frasca che mi stava davanti e dissi:
« Quelle non sono nuvole che portino la pioggia ».
«Quelle sono proprio nuvole che portano la pioggia, lo vedo al colore, e se non fai presto a partire ti bagnerai come un pesce... e ti prenderai un malanno ».
Ci alzammo: mi abbracciò, lo abbracciai anch'io. Poi mi disse:
« Di' al babbo che vi farò sapere io quando tu dovrai tornare quassù ».
«Si».
Mentre mi accompagnava alla strada, mi ripeté:
« Intesi allora, acqua in bocca ».
« Si, sempre acqua in bocca, >. E senza voltarmi indietro mi incamminai per la strada che avevo fatto poco prima. Non ero felice come all'andata, mi sentivo triste soprattutto perché non mi era stato possibile vedere la capanna. Arrivai nell'aia che il sole doveva ancora tramontare dietro il Monte Albano. Le poche nuvole erano sparite .e il cielo era tornato tutto pulito. Davanti alla porta di casa la mamma ed altre donne stavano chi facendo la treccia, chi cucendo cappelli di pa-
MEMORIE 131
glia. Mia madre vedendomi arrivare si alzò e passò in cucina, io la seguii; entrato che fui chiuse la porta e disse:
« Com'è andata? L'hai trovato? ».
« Sì, l'ho incontrato nel bosco mentre salivo per la strada tra i castagni ».
« Cosa ti ha detto? Ti ha chiesto cos'era successo stamani ? ».
« Si, si, gli ho raccontato tutto. Tutto quello che ho vista ed ho sentito. Mi ha detto che siete stata veramente ammirevole. Non vede l'ora di riabbracciarvi per quello che ;vete fatto ».
« Resterà ancora molto lassù? ».
« Non mi ha detto nulla ».
« Nulla? ».
« Mi ha detto solo che non conviene restare molto tempo sempre nello stesso posto; può esser pericoloso ».
« È vero, questo. Qualcuno potrebbe vedere e poi fare la spia ».
« Ha detto di stare tranquilli. Quando cambierà 'albergo', ci manderà un biglietto per Diego, lo scalpellino. Di lui ci si può fidare, è uno dei loro ».
« Dio sia lodato... » disse volgendo gli occhi verso l'immagine del Sacro Cuore che stava inchiodata sulla porta. Era una stampa tutta annerita dal fumo della cucina, e così nera dava l'impressione di un cristo molto duro. La mamma si avvicinò alla madia, aprì il cassetto, prese il coltello grosso, poi un pane intero, partì un bel cantuccio, ci mise sopra dell'olio, sale e pepe, allungò il braccio dicendo:
« Tieni, prendilo, è ben condito, avrai fame dopo tutta questa camminata che hai fatto ».
« Davvero, ora che mi fai vedere il pane con l'olio mi sento fame e anche sete ».
« Prendi il fiasco, li sopra all'acquaio », si voltò indicandomelo con la mano tutta aperta.
Dopo aver bevuto un bicchiere di vino annacquato mi misi a sedere fra la madia e la tavola a mangiare. La mamma tornò dalle altre donne. Io dopo mangiato andai nei campi a cercare i miei fratelli e il babbo.
Nel mezzo della notte eravamo tutti a letto e fummo svegliati da
132 QUINTO MARTINI
piú colpi battuti con furia e violenza sulla porta e gridare: «Aprite.
Presto, aprite! È la forza pubblica ».
Andrea disse alzandosi sul letto:
« Ci siamo. Sono i carabinieri. Aldo non c'è e se la prenderanno
con noi ».
La mamma si mise il vestito e mentre scendeva le scale disse:
«Vado io ad aprire: state a letto voi ».
«Già, disse Beppe, è bene farsi trovare a letto, se no... ».
Sentii i carabinieri che salivano la scala a due gradini alla volta
ed uno gridare:
« Sorbetti, con i tuoi uomini, fate la guardia a tutte le finestre e
se vedete aprire, sparate! ».
Entrati in camera ci ordinarono subito di alzarci e, infilando la
baionetta nei materassi, gridarono:
«Dov'è il muratore, il comunista, esca fuori o vi ammazziamo
tutti ». Uno di essi, prendendomi per un braccio, mi disse:
«Dimmi, bel ragazzo, dov'è nascosto tuo fratello? ».
« Non lo so, non so nulla io ».
« E chi è che lo sa? ».
« Nessuno lo sa ».
«Dimmi la verità; dov'è tuo fratello? ».
« Non lo so dov'è ».
«Dimmi dov'è tuo fratello, se no ti porto via con me, pensaci
bene ».
« Non lo so anche se ci penso ».
Allora il carabiniere, visto che non c'era nulla da sapere, mi lasciò
il braccio spingendomi sulla sponda del letto, mi guardò male e grignò
come un cane. Mi colpirono i suoi denti bianchi sotto i baffetti neri.
Gli altri erano nelle altre stanze, nel granaio, muovevano tutto quello
che potevano facendo grande rumore. Si sentirono delle bestemmie,
mamma, che stava sulla porta del pianerottolo si fece il segno della
croce, un borghese la vide e le sputò in faccia dicendo:
Prendi, per te e la tua croce...! ».
Lei si fece di nuovo il segno della croce, l'uomo la guardò senza
sputare, le passò davanti e scese la scala.
MEMORIE 133
Altri carabinieri interrogarono i miei fratelli e il babbo. Io pensavo ad Aldo. Mentre scendevano tutti insieme le scale, sentii uno che disse:
« Qui per venire a capo di qualche cosa bisognerebbe arrestar tutti, portarli in caserma e bastonarli a sangue; stetti con le orecchie tese e il cuore sospeso finché non sentii mia madre chiudere la porta e risalire le scale. Sentii mio padre parlare con gli altri figli e il passo pesante e sordo dei carabinieri che si allontanavano nell'aia. Poi un fischio, ancora un fischio più lontano dalla parte del cimitero. Il cane seguitò ad abbaiare ancora un po'. Parlammo dell'accaduto, poi tornò il silenzio fuori e nella nostra casa. Più tardi sentivo uno dei miei fratelli russare e la mamma nell'altra camera che pregava a bassa voce. Mi misi in ascolto: udivo i grossi chicchi di legno della corona fregarsi tra loro, e mi vidi davanti agli occhi le sue lunghe dita che si passavano da una mano all'altra le « ave Maria ».
Non riuscivo a prender sonno. Sentivo batter l'ore come mai avevo sentito. L'orologio della torre del campano mi sembrava sulla mia casa e in certi momenti credevo di sentire anche il tic tac dei secondi.
Dopo qualche ora udii dei tuoni, il vento che soffiava dentro il camino e poi uno scroscio di pioggia che batteva sul tetto con violenza. La mamma che si era addormentata da poco si svegliò. Io scesi il letto piano piano, andai dal babbo. Anche lui s'era svegliato. Quando mi sentì avvicinare al suo capezzale, accese la luce e mi disse:
« Cosa fai? Che c'è? ».
« Nulla, nulla babbo ».
« Ma... come nulla? ».
Si alzò seduto sul letto e allungando un braccio mi prese per il collo tirandomi a sé e disse:
« Hai paura della pioggia? ».
« No. Non ho paura. Ma... ».
« Ma cosa? ».
« Vorrei sapere `se nella capanna ove c'é Aldo ci pioverà ».
Stai tranquillo, é coperta con tegole ed embrici, i muri son fatti di sassi e calcina come una casa. Non é una capanna come quella di Cecchino, fatta con paglia e pali ».
« È vero quello che mi dici? ».
« Certo che é vero ».
134 QUINTO MARTINI
«Non dici così perché io stia tranquillo? ».
« No, no, è vero quello che ti dico, vai a dormire e stai tranquillo ».
Tornai a letto, la pioggia seguitava a cadere a catinelle, il vento anche soffiava sempre forte. Il cane si lamentava. Sentii battere le quattro, poi mi addormentai. La mattina, andando a scuola, passai dalla discesa dove c'è il frantoio. Voltai a sinistra per andare in paese pas- sando di fronte al Circolo Socialista. Mobilio bruciacchiato era ancora nel mezzo della strada; le porte e le finestre non esistevano piú. Entrai dentro con altri ragazzi. Tutto era fracassato per terra. Nella stanza del bar fiaschi frantumati, bottiglie rotte, il pavimento bagnato. C'era odor di vino e liquori, un odore forte che dava alla testa. Sù, nella stanza della segreteria, piena di fogli e sedie spezzate, al muro non c'era più attaccato né il ritratto di Lenin né quello di Marx: nella toppa del muro, più colorita e che aveva preso la forma delle fotografie, c'era stato disegnato con un pezzetto di carbone un teschio ed un pugnale. Un mio compagno mi disse:
Non mi piacciono quei disegni ».
Prendendo della carta per terra ne fece una specie di palla, e facendosi vicino a me disse sottovoce:
« Libero, tu che sei più forte, fammi montare sulle tue spalle, voglio cancellare la morte ».
Non feci parola, mi chinai tenendo le mani sopra i ginocchi, lui mi monto sulla schiena, poi a cavalluccio sulle spalle, io mi alzai tenendo la testa bassa.
Sentivo la carta strofinare sul muro e della polvere cader giù.
« Ecco, questa é fatta; portami ora dall'altra parete, voglio cancellare anche quella morte là ».
Fece lo stesso lavoro con più sveltezza, poi lo sentii scivolare giù per la schiena, e appena messi i piedi a terra mi disse:
« Andiamo a scuola ».
Gli altri compagni erano già scesi nella strada. Noi guardammo le due morti cancellate ma ancora visibili, in quelle macchie grigio sporco. C'era sopra come un velo che a me dava la sensazione più angosciosa, Scendemmo le scale. Il mio amico mi disse:
« Non lo dire a nessuno, se vengono a saperlo i fascisti, arrestano il mio babbo ».
«Stai tranquillo, nessuno saprà nulla ». Ci unimmo agli altri ragazzi e corremmo a scuola.
In classe tutti raccontavano qualcosa di quello che avevan visto. Io ascoltavo sempre in silenzio e durante tutta la mattina non feci nessun accenno a quanto era accaduto alla mia famiglia e cosa avevo . visto. Un ragazzo raccontò com'era avvenuto l'arresto di suo padre.
« Si, Signora Maestra, sono venuti di notte a prenderlo, erano molti e tutti con armi e bastoni. L'hanno picchiato in presenza mia e della mamma. Quando la mamma vide il sangue venir fuori dalla testa del babbo svenne e cadde sul divano. Il babbo gridava: «Non mi picchiate così in presenza della moglie e del ragazzo, portatemi via... ». Uno di loro gli rispose: «Stai zitto, figlio d'un cane! E bene che tua moglie e tuo figlio vedano ». Poi lo caricarono sul camion insieme a molti altri. Stamani presto li hanno portati tutti alle carceri della città ».
Altri ragazzi raccontarono fatti più o meno bestiali. La maggior parte delle persone del paese era stata colpita dalla furia della « rivoluzione ». Si incontravano facce contratte in un mutismo pieno d'angoscia. Non tutti erano tristi. Quando uno piange c'è sempre chi ride perché lui piange! diceva un vecchietto che si vantava di non aver mai pianto.
All'uscita della scuola mi fermai davanti alla grande croce al bivio delle due strade. C'era un capannello di persone che parlavano. Erano uomini e donne di età matura, parlavano a voce bassa delle cose accadute. La maggior parte detestava senza riserva malgrado che nell'aria ci fosse ancora puzzo di botte. Ma c'era una donna grossa e ben pasciuta, moglie di un commerciante, si tingeva sempre le labbra di un rosso viola facendosele più grosse e dandosi molta cipria alle gote e scuro agli occhi. Mi ricordo che tutti la chiamavano la « grassa metresse ». Agitava la mano sinistra con l'indice teso e diceva:
« Hanno fatto bene a prenderli, dovrebbero tenerli in prigione per tutta la vita. E tutta gente pericolosa. Volevano dare i poderi ai contadini e prendere la roba ai signori. Non dovrebbero lasciarli uscire più di-prigione... ». Una donna magra, la nonna di Duilio, le disse: « Eppure tu sei cristiana, vai sempre in chiesa. Se tu credi nella chiesa, perché ti rallegri per il male che vien fatto agli altri.? ».
«Che c'entra la chiesa in queste faccende? Lascia stare da parte
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la religione. E poi c'era. Arturo, quello che ammazza i gatti per farci la pastasciutta. L'ho sentito dire `Nella chiesa ci faremo il teatro, Pam-bulatorio per i malati...!' e poi io non posso vederli quelli che ammazzano le bestie ».
«E di tuo marito che va sempre a caccia che ne pensi? ». « Mio marito non ammazza i gatti.. ».
«Quando ha ammazzato senza ragione il cane di Palle non ti sei commossa? ». Un vecchietto dall'aria ironica disse: «Che cuore di miele ha la Giulia! Chi l'avrebbe mai pensato che si commovesse dei poveri gatti!... ». Poi rivolgendosi alla donna grassa, grido: «Tu difendi il podere e i quattrini che hai alla banca. Quando sarai nella cassa da morto anche il podere sari messo dentro e sepolto insieme a te. Allora sarai contenta, nessuno te lo prenderà ».
Un giovanotto che s'era fermato da poco a sentire restando con un piede a terra e seduto sopra il sellino della bicicletta da corsa, le spiattellò sul muso:
« Sei un budello di vacca pregna » e scappò via pedalando rizzandosi sui pedali. E lei di rimando:
«Figlio di troia, hanno bastonato tuo fratello e han fatto bene. Lo lasciassero marcire in prigione... ».
Ebbi la forza di stare a sentire senza dire qualche parolaccia. Quando tornai a casa presi il vocabolario della zia e cercai la parola « metres-se » non c'era scritta e pensai che doveva essere una parola molto brutta. Piú tardi me ne feci spiegare il significato dal figlio del cappellaio che andava a studiare in città. Mi disse che era una parola francese e che si chiamano così le padrone dei casini dove ci sono le donne che pagando si danno a tutti gli uomini. «E sono grasse?» domandai.
« Quella che conosco io é grassa ».
« E si tingono le labbra? ».
« Si, si tingono. Ma perché mi fai queste domande? »
« Sai la Giulia la chiamano la `metresse'; trovi che assomiglia a quella che conosci te? ».
Lui fece una bella risata e mi disse:
Quando avrai diciotto anni ti porterò in città e te la farò vedere. Va bene? ».
« Nono dire a nessuno quello che ti ho chiesto » risposi.
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Quei giorni erano interminabili, in casa mia si viveva con l'animo sospeso e il cuore che ci diventava tutti i giorni più vizzo. La nostra casa dal crepuscolo al mattino era sempre circondata dai carabinieri. Una settimana durò quell'assedio notturno. Erano delle notti bellissime e la luna era piena. Durante la notte, a luce spenta, mi alzavo per vedere attraverso lo spiraglio delle imposte socchiuse, i carabinieri passeggiare nell'orto vicino al fico grande.
Mio fratello cambiò alloggio. Un giovane che io non conoscevo veniva spesso da noi, e fu lui a portarci la notizia che Aldo aveva lasciato la capanna per andarsene altrove. Egli ci disse:
«Non era più il caso di starsene li. C'era qualcuno che passava. troppo spesso dal bosco. Lui vedeva ma non era visto ».
Mia madre faceva la stessa vita di prima. Al mattino scendeva giù in paese per la spesa facendo prima una visitina in chiesa. Non aveva molta simpatia per il prete, e diceva sempre:
« Io non guardo all'uomo, ma vado a pregare in chiesa perché é la casa di Dio. Se il prete non è come si deve, lui dovrà rispondere un giorno davanti al giudice al quale io stessa risponderò delle mie colpe ».
Una mattina scesi con lei in paese. Di fronte alla casa del Brulli, sopra il marciapiede stavano tre donne. Al nostro passaggio la padrona di casa con la sua voce acida, disse piano alle altre due:
« Vedete com'è triste la Marta, non fa più quell'aria fiera di sempre... ».
Non capii le altre parole; guardai la faccia della mamma che non cambiò espressione e non potei capire se aveva udito o no quelle parole dette con tono sommesso e compiaciuto. Da quel giorno non ho più salutato quella donna. Non posso perdonare a chi fa minima cosa sgradevole a mia madre.
I carabinieri cessarono di vigilare la mia casa. Io non sapevo dove fosse Aldo, e quando lo chiedevo mi si rispondeva:
«Non si sa dove sia andato•a vivere. Nessuno lo sa ».
Era vero? Oppure non mi credevano capace di tenere un segreto? Non potevo pensare a questa sfiducia da parte loro verso di me, e credevo a quanto mi si diceva. Ma mi sentivo umiliato e preso da un forte desiderio di essere uomo. Una mattina invece di andare a scuola, arrivato al ponte, nascosi la cartella nel più folto della macchia e, in parte
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di corsa, in parte a passo svelto, arrivai fino alla capanna, tant'era forte il desiderio di vedere mio fratello. Pensavo che ancora fosse lassù... Arrivai col cuore in gola. La porta era aperta. Questa capanna era proprio come me l'aveva descritta il mio babbo, fatta come una vera casa. Entrai dentro, ma non c'era nessun segno da far pensare che qualcuno ci abitasse. Dunque; era partito? Mi misi seduto sulla panca di legno e piansi molto. Quando uscii dalla capanna il sole era molto alto. Giù dal fondo del bosco salivano lo sbattere delle ruote e il suono dei bubboli. Questo segno di vita in tanto silenzio mi rianimò. Mi lavai la faccia a una fontanella che versava acqua fra due massi, guardai la porta della piccola casa con tristezza e ridiscesi il bosco.
Passai a prendere la cartella dove l'avevo nascosta, ritornando a casa un po' più tardi del solito. Mangiai a mala voglia e con fatica. Non facevo che guardare le facce di tutti per indovinare il loro segreto. Ero disperato, non riuscivo a saper nulla e non mi sentivo il coraggio di chiedere ancora. Quando qualcuno parlava in un'altra stanza, cercavo di origliare alla porta. Ero inquieto ed anche a scuola non riuscivo a combinar nulla. La maestra scrisse un biglietto alla mamma che diceva:
« Vostro figlio é distratto, non ha voglia di studiare, se va avanti così, boccerà ».
La mamma mi porse il biglietto dicendo:
« Leggilo tutte le sere. Cerca di studiare; presto ci saranno gli esami e sarebbe vergognoso bocciare proprio quest'anno. Proprio ora che Aldo é fuggiasco. Se bocci darai un grande dolore a tuo fratello... ».
Promisi che da quel giorno mi sarei messo a studiare con grande volontà, e così feci. Sapevo quali sacrifici faceva per potermi mandare a scuola. Quando c'era la luna, cuciva i cappelli di paglia al suo chiarore per non consumare la luce. Cuciva sempre, tutte le sere fino a tarda notte. Con tutto questo, qualche volta rubavo dei soldi che lei metteva in un piatto nella credenza. Spesso diceva: «Mi mancano quaranta centesimi, mi mancano quattro soldi; forse li avrò spesi e non me ne ricordo; ho tante cose a cui pensare! ». Credevo facendo così di darle la sensazione di un sacrificio meno grande. Con i soldi rubati mi compravo l'occorrente per la scuola o qualche matita colorata per disegnare. Avevo una scrittura molto grande, consumavo il doppio dei
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quaderni degli altri compagni, e dover star troppo spesso a chiedere soldi alla mamma non ne avevo il coraggio, e allora rubavo. La maestra spesso mi diceva: «Scrivi più piccolo, per te ci vorrebbe una cartoleria; manderai i tuoi genitori in miseria ».
Una sera mentre stavamo cenando con la porta mezz'aperta entrò mio fratello e con la calma abituale disse: « Buona sera » e si mise a sedere vicino alla mamma. Andrea usci fuori a far la guardia. Aldo non ci fece nessuna domanda e noi nessun accenno alla cosa. Fu parlato un po' di tutto quello che riguardava la casa e il podere e che gli ultimi giorni di sole erano una manna per la campagna. La mamma non toglieva gli occhi di dosso a suo figlio. Ogni occhiata era una domanda, io guardavo Aldo per indovinarne la risposta. Guardandoci tutti, con un'occhiata piena di sottintesi, disse:
« Questa notte resterò a dormire qui. Non credo ci sarà pericolo, già molte notti che non vengono, e sarebbe scarogna se proprio questa notte mi beccassero ». Voltandosi verso me, disse:
« Libero, tu vieni con me ». Si alzò, spostò la sedia, io lo imitai nel gesto.
Lui sali le scale, e io lo seguii fino nella stanza del granaio. Poi mi disse:
« Vedi, bisogna levare questi sacchi, e fare una buca nel pavimento. Bisogna levare delle mattonelle senza romperle ». Prese un martello e fece una buca della grandezza di quattro mezzane e disse:
« Se stanotte verranno i carabinieri io mi calerò in cantina, poi apro la botola del pozzo del vecchio frantoio e dalla fogna vado a finire nei campi n.
Col martello levò i mattoni senza romperli e mi disse ancora:
« Tu e Andrea rimettete bene a posto le mezzane e sopra i sacchi, "io, vedrai che me la caverò bene ». Poi mi sorrise dicendo:
«Allora in gamba; siamo intesi? ».
« Si, in gamba; ci siamo intesi ».
Finito il lavoro, mi buttò il suo braccio sulle spalle e disse:
Ora a letto. Dormirai con me. Però non parlare e non domandarmi nulla ».
« Si, dormirò, non parlerò ».
Dopo pochi minuti che fummo a letto, lo sentii russare. Dormiva
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i
come un masso. Io mi addormentai molto più tardi. Stavo sempre con le orecchie ritte come una lepre. Avevo paura che venissero i carabinieri. La mattina quando mi svegliai Aldo non c'era piú. Un fremito agghiacciante mi corse per tutto il corpo. Chiamai la mamma e le dissi:
« Dov'è Aldo? Sono venuti a prenderlo i carabinieri?»
«È partito, s'é alzato prima del sole, appena s'é fatto chiaro ».
« Dov'é andato? ».
«A lavorare. Alle otto doveva essere sul lavoro ».
« Ma dove lavora? ».
« Non lo so preciso. Credo verso Montemurlo ».
« Dov'è Montemurlo? ».
Prendendo il lenzuolo e la coperta che tenevo fino alle spalle, e buttandola sopra il ferro a pie' del letto disse:
« Su, su alzati, e non fare altre domande ».
Mi alzai, e andai a sedermi sul muro dell'aia, il cane mi venne vicino, gli passavo la mano sulla schiena, lui rizzava la coda e la muoveva in segno di amicizia. Era l'unica cosa che in quella mattina mi desse piacere e non mi facesse sentire tanto solo.
Era di giugno. Nelle nostre camere basse e coperte col solo tetto, entrava presto il caldo. Anche durante le prime ore della ,natte c'era caldo. La mamma stava come sempre a pregare alla finestra. Non c'era la luna; il cielo mi ricordava quegli scenari che mettono di sfondo ai presepi. Il cane fece l'abbaio del lupo: quando i cani abbaiano così c'è chi crede portino disgrazia. lo non ho mai sentito nulla di più straziante, nessun lamento umano é più spaventoso di questo ululato. E una cosa che intristisce l'animo e risecchisce il cuore in un attimo. C'è da supporre che sia veramente l'annuncio di una forte sciagura. Mia madre si voltò verso di me e disse:
«Domani ci sari una brutta notizia ». Si appoggiò con i gomiti sul davanzale della finestra e aggiunse:
« Il cane continua a far l'abbaio del lupo ».
« Ma perché credete che porti disgrazia? Non bisogna credere a tutto quello che si dice ».
«Si, é. vero, Libero, non bisogna credere a tutto quello che si dice;
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ricordi quando mia sorella, tua zia Elvira, s'impiccò al trave della sua camera? quella mattina il cane abbaiò nello stesso modo ».
Ci fu un breve silenzio. Io stavo in piedi, seguivo i lumi delle automobili e delle biciclette che correvano fra il nero degli alberi. Sospirò, e si ripeté lentamente:
«SI, il cane abbaiò nello stesso modo; proprio come stasera ».
Drago seguitava a lacerare l'aria e la mia anima col suo lungo lamento. A me, quella notte così calma non fece che aumentare la mia ansia per quello che mamma prevedeva.
Un mio fratello dall'altra camera gridò:
«Libero! Vai a farlo tacere. Non si pue' dormire così ».
E mia madre:
« Vai giù, portagli un po' di pane con l'olio. Però non lo picchiare ». Si scostò, socchiuse la finestra e accese la luce.
Scesi gib. in cucina, andai alla madia, partii una fetta di pane e ci misi sopra dell'olio. Arrivato sotto il portico, a un passo dalla colonna dov'era legato a catena, urtai in una vanga cadendogli vicino. Drago mi si fece appresso leccandomi la faccia. Mi alzai scostando con un gomito la bestia. Non mi ero fatto nulla di male. Così al buio gli diedi il pane e restai ad accarezzarlo un po'. Mentre mangiava mandava un flebile lamento, simile a quello di poco prima. Non ebbi il coraggio di sgridarlo. Prima di lasciarlo gli ordinai di andare nella sua cuccia e dormire. Avvicinai il mio viso al suo muso e mi leccò ancora. Tornai in camera e andai a letto. Non fece più l'abbaio del lupo, ma io non riuscivo a dormire. Pensavo a mia zia, al trave della camera, vedevo il suo corpo appeso e una fune che ciondolava.
Era vestita di nero, le mani aveva scarne e la faccia bianca. Mi passavo continuamente la mano sugli occhi, ma quella macabra visione non spariva. Il corpo di mia zia, era li, che ciondolava dalla trave nel mezzo della camera, in fondo al mio letto.
Se è vero — pensavo — che Drago quella stessa mattina fece l'abbaio del lupo, non potrebbe essere stato un caso? e quel lamento così terribile causato da dei dolori? un mal di pancia? Non volevo essere superstizioso, ma non riuscivo a togliermi da dosso quel malessere che proviamo quando si teme una sciagura. Divenivo sempre piú inquieto, tutto cercavo di analizzare come mai avevo fatto, e temevo da un mi-
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nuto all'altro che il cane tornasse a fare udire il suo ululato. La mattina, quando mi alzai, vidi la mamma più pallida del solito. Mi avvicinai a lei mentre stava scaldando il caffè e le dissi:
«Avete dormito, mamma? ».
Lei senza scomporsi, rispose:
« Non sono stata capace di chiudere occhio. Ho pregato tutta la notte. Ora sento un nodo alla gola e come se avessi delle spine nel cuore ».
Io, per rassicurarla, le dissi:
«Il cane, pere), non ha fatto più l'abbaio del lupo. Forse aveva fame ».
Entrò in cucina mio padre dicendo:
« Vado nei campi. Sarò a lavorare nella piaggia, se viene qualcuno a cercarmi portalo là, Libero ».
Mia madre mi mise la tazza del caffè sulla tavola e disse:
«Io vado a sciacquare dei panni al pozzo, tu resta qui in casa finché non sarò tornata. Se verrà qualcuno dammi una voce dalla finestra ».
Il pomeriggio tornando dai campi con su le spalle un covone di vecce, trovate fra il grano, vidi appoggiata al muro, vicino alla porta della cantina, una bicicletta tutta coperta di polvere a me sconosciuta. Allora pensai: « Qualcuno è venuto a portare una brutta notizia ».
Andai nella stalla, posai l'erba e passai in casa. Un giovane tutto bianco di polvere era seduto vicino alla tavola al posto dove sedeva sempre mio padre. La mamma sedeva dall'altra parte e i miei fratelli stavano in piedi. Il giovane aveva nella mano destra il bicchiere di vino, nell'altra il fazzoletto e continuava a passarselo sulla fronte, sulla testa e dietro al collo.
Mia madre aveva gli occhi pieni di lacrime e i miei fratelli mi guardavano senza far parola. L'uomo seduto mi salute) con un:
«Oh? come va ragazzo? ». Io non risposi, e lui si mise a parlare del suo lavoro di muratore. Pensai all'abbaio del lupo e mi dissi: «Si, quando il cane abbaia in quel modo, accade una disgrazia a qualche componente della famiglia che tiene la bestia ».
A cena mia madre raccontò com'era accaduto l'arresto. Aldo fu preso la sera del giorno prima, verso le dieci, mentre tornava per andare a dormire in casa di quell'operaio che poche ore prima era venuto
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a portare la notizia. Il giovane muratore aveva detto che al suo paese c'erano molte spie e aveva consigliato a mio fratello di cambiare aria. Ci rassicurava che non era stato picchiato e che fu portato quella sera stessa alle prigioni della città vicina. Un po' di calma stava ritornando, e nei paesi non accadevano piú cose bestiali come nei primi tempi, al sorgere del fascismo.
«Quando si accorgeranno che non ha fatto nulla di male lo rilasceranno in libertà » diceva mia madre mentre ad ognuno di noi versava la minestra col rimaiolo bianco e bleu nei nostri piatti. Remo, sempre diffidente e taciturno, disse:
« Si, va bene, non ha fatto nulla di male. Ma la cosa migliore era quella di non farsi prendere. Quando uno é in prigione...».
« Ma in prigione ci tengono chi ha commesso qualcosa contro la legge, e non si può rovinare la vita di un uomo giovane come Aldo per nulla ».
Mentre parlavo tutti mi guardavano. Remo rispose:
« Tu sei troppg giovane e vivi con la testa nelle nuvole. Quando uno l'hanno messo dentro, chi va a levarlo? ».
I1 babbo interruppe dicendo:
« Ci sarà una giustizia; se uno é innocente, perché punirlo? ».
« È la politica che c'é di mezzo e chi comanda ha sempre ragione; quello che tiene il mestolo in mano, razzola come vuole ».
La mamma sedendosi:
« $ vero, gli uomini non sono sempre giusti con gli uomini. La vera giustizia é quella divina. Solo Dio é giusto e grande di misericordia. Gli uomini non sanno perdonare, Dio sa perdonare ».
« Si, sono tutte belle cose disse Remo — ed é bello avere la
vostra fede. Ma la vostra fede, mamma, non darà mai la libertà ad Aldo. Questo é un mondo di farabutti e bisogna tenere sempre gli occhi ben aperti per vedere chi si ha vicino ».
Il padre guardando il figlio dai capelli ricciuti, disse con un tona di rimprovero:
«Tu esageri sempre, per te tutti ladri e farabutti. Non ti fidi neppure di tua madre né di tuo padre. Io credo che nel mondo ci siano sempre delle persone come si deve ».
« Si, sarà vero quello che tu dici ma io non mi fido, conosco un
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proverbio che dice: "Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io". Io cerco di guardarmi da tutti e due ».
Andrea che aveva assistito alla nostra conversazione sempre in silenzio, disse:
« Se io fossi nei piedi di Aldo, al mio ritorno saprei corne fare. Vorrei ritornare in prigione, ma dopo essermi vendicato verso qualcuno che so io».
«Ricordati Andrea "chi di spada ferisce, di spada perisce", questa una frase di Gesù, il figlio di Dio ».
«Si, ma intanto tutti quelli che hanno adoprato la spada, ora sono liberi e tranquilli ».
«Non si può dire. Nella vita di un uomo possono succedere tante cose. Chi fa del male non avrà che del male ».
« Io sono del parere, spada o non spada, quello che perde non é più libero. I fascisti hanno vinto ed ora fanno tutto quello che a loro pare e piace. Possono venire qui, prenderci e bastonarci come ciuchi tutti quanti e nessuno gli farà mai nulla ».
Mia madre prese un'espressione dolorosa e non rispose. Ci fu un momento di silenzio. Andrea stesso ruppe questo silenzio piuttosto penoso dicendo:
« Babbo, domattina devo cominciare a segare l'orzo nella piaggia a confine con Cencio? ».
« Si, si può cominciare a segare. Dopo che avrò finito nella stalla verrò anch'io. Prendi due falci e porta del vino ».
La mamma, molto triste, sparecchiava. Le cadde un piatto e si ruppe, nessuno fece parola.
Passarono alcuni giorni prima di avere notizie di Aldo. Ci scrisse una lettera. La censura del carcere aveva cancellato alcune righe con delle larghe strisce d'inchiostro nero. Queste righe nere davano un senso funebre ai fogli di carta. Non scriveva gran che; chiedeva che gli si mandasse un paio di volte alla settimana della roba da mangiare per aggiungerla a quella che passava il carcere, e della biancheria pulita, cjhe lui avrebbe rimandata quella sporca. Scriveva di farci coraggio e che presto tutto sarebbe finito. Queste notizie rianimarono un po' tutti. Ma quelle righe nere nascondevano delle parole che avremmo
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voluto sapere cosa dicevano. Si cercò di leggerla contro luce ma non fu possibile capire una sillaba. Remo, prendendomi la lettera, disse: «Brutti maiali, non vogliono neppure che uno scriva quello che gli pare...! ».
Più tardi un'altra lettera ci informava che si poteva andare a trovarlo. I primi ad andare al parlatorio furono il babbo e la mamma. Trovarono che stava bene ed era molto tranquillo e di buon umore com'era stato sempre. La nostra vita divenne meno grigia. Il fatto di recarsi tutte le settimane a fargli visita era come si sentisse ancora far parte materialmente della nostra famiglia. Quando mamma preparava, la sera, il cibo e la biancheria da mandargli la toccavo leggermente. Una volta volevo fare un nodo ad un fazzoletto; la mamma mi disse:
« Nan lo fare, potrebbero crederlo un segnale speciale ed Aldo verrebbe punito ».
Io non comprendevo cosa ci potesse essere di tanto brutto e misterioso in un nodo di un fazzoletto. Più tardi ho capito che anche con un fazzoletto annodato si possono dire malte cose e soprattutto a un carcerato.
Finita la battitura fui mandato a passare qualche mese dallo zio in un paese del comune di Vinci. Andai con un mio cugino che . si recava a prender le fastella di scope in un bosco vicino alla sua casa. Fui accolto con gran festa dai miei zii come se fossi stato un loro figlio che da molto tempo non vedevano. Aiutavo lo zio nelle sue faccende e mi piaceva star con lui. Mi declamava interi canti dell'Orlando Furioso. Ad uno dei suoi figli aveva messo nome Orlando, ad un altro Ruggero e alla figlia Bradamante. Strano uomo questo mio zio. Aveva una bottega dove si vendeva il necessario per le poche case del paese. Dal pane ai fiammiferi c'era un po' di tutto. In una stanza vicino al forno si giuocava a carte e si beveva in allegra compagnia fino al tocco dopo mezzanotte. Erano sempre gli stessi. C'erano dei vecchi e giovani, ma quando giocavano notavo che si trattavano tutti alla pari. Non c'era sera che mio zio non cantasse qualche passo dei suoi poeti preferiti.
Non conosceva altro che quei poeti e bevendo diceva:
«Questi si che sono grandi! Alla salute, ragazzi, dei grandi poeti! ». E poi mettendo il bicchiere sopra il tavolino faceva dei commenti
vol
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alquanto insinuanti su certi passi amorosi. E ripetendoli lentamente ac-
compagnava la voce con gesti della mano e sbirciate degli occhi. In
certi casi cantava delle strofe prese in canti diversi:
«Come di lei s'accorse Orlando stolto,
per ritenerla si levò di botto;
cosí gli piacque il delicato volto
così ne venne immantinente ghiotto
d'averla amata...»
eppoi :
«Questa condizion contiene il bando:
Chi la figlia d'Amon per moglie vuole, star con lei debba a paragon del Brando
dall'apparire al tramonto del sole:
e fino a questo termine durando
e non sia vinto senz'altre parole
la donna da lui vinta esser s'intenda:
né si possa negar ch'essa lo prenda ».
Alcuni dei suoi clienti avevano imparato qualche verso e spesso gli chiedevano di cantare i passi più grassocci. Questo avveniva quando in bottega non c'era sua moglie. Una sera un uomo molto giovane si fece cantare una strofa delle più piccanti per poi ripeterla alla giovane sposa. Quando lo zio poteva cantare liberamente in compagnia di uomini era preso da una specie di insolita frenesia. Un giorno dopo pranzo sentii la zia gridare:
« Canti sempre le stesse cose, ci farai una pazzia ».
«Fai la treccia e rigoverna i piatti, tu. Cosa vuoi sapere di poesia, non é roba per i tuoi denti bacati ».
« Si, va bene; ma potresti cambiare musica qualche volta. Canti ancora le stesse storie di quando venivi a fare all'amore a casa mia ».
« Quando le cose sono belle si possono cantare anche tutta la vita. Saranno sempre belle! ».
« Convinciti che stai invecchiando e che non sei più giovanetto ».
« Perdio! ti dico fin da questo momento che se muoio prima io voglio che tu stessa mi metta nella cassa, sul mio petto « L'Orlando Furioso », e che anche nell'altra vita io possa cantare. Le donne, i cavalier, l'arme; gli amori, le cortesie... ».
n.w
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« Non scherzare con la morte, e con l'altra vita ».
« No, no, non scherzo: alla mia morte voglio nella bara l'Orlando Furioso. Lo lascerò scritto nel mio testamento ».
E avvicinandosi a me:
«Non faccio bene, Libero? ».
« Si, fai bene, zio ».
Mi prese per un braccio e mi portò con sé verso il bosco. Strada facendo mi diceva:
«Se io non canto mi viene la malinconia, anche tu devi imparare a cantare! Anche la storia di Ulisse é bella, anche la Gerusalemme Liberata, anche la Divina Commedia » é bella, Paolo e Francesca, il canto del Conte Ugolino... Ma il più bello é l'Orlando Furioso ». E battendomi la mano sulla spalla, come se fossi stato un suo coetaneo: «Anche tu devi imparare a memoria tutto l'Orlando Furioso. Questo é il libro più bello del mondo. L'Ariosto é stato il più grande poeta di tutti i tempi e mai più nascerà un- poeta come lui ».
« Hai, ragione, zio, l'Ariosto é il più grande poeta ».
Lui, preso dall'entusiasmo mi abbracciò, si scostò qualche passo e cominciò a cantare:
« Or se mi mostra la mia carta il vero, Non é lontano a discoprirsi il porto Odo di squille...»
Seguitando a cantare, con una mano mi prese per i capelli e mi portò sotto un albero dove ci mettemmo a sedere. Io guardavo la pianura mentre lo ascoltavo. Il sole stava per tramontare, quando alzandosi e con un largo gesto verso il sole, cantò gli ultimi versi:
«Bestemmiando fuggi l'alma sdegnosa Che fu si altera al mondo e si orgogliosa».
« Andiamo Libero, questa sera c'è da fare il pane. Strada facendo facciamo dell'erba, così é una scusa... Se no tu senti tua zia... ».
Nessun ricordo della mia vita é cos? bello. Devo a lui la conoscenza della poesia e dei maggiori poeti. E fu anche in quella permanenza che mi appassionai ancora più al disegno e alla pittura. Feci molti acquarelli di paesaggi e boscaioli. Mio zio mi diceva spesso con molta serietà:
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«Tu diverrai un pittore, come il nostro Leonardo da Vinci ». E indicandomi delle case sotto il bosco, mi diceva:
« Vedi, Leonardo da Vinci é nato laggiù, ad Anchiano, dove stava la zia che si impiccò, vicino a Faltognano. C'è laggiù un prete che ha fatto il busto del nostro Leonardo con barba e capelli lunghi ». E cosí dicendo faceva il gesto con la mano di toccarsi la barba e ravviarsi i capelli.
Vicino a mio zio ero riuscito a distrarmi un po' soprattutto durante la giornata che era sempre varia per i clienti che venivano e i passanti che si fermavano a bere e a mangiare. La notte però, cadevo spesso in una tristezza amarissima. Al mattino andavo per il bosco e stavo subito meglio. Spesso per qualcuno mi mandavano da casa mia notizie di Aldo. Ma la gioia più grande per me fu quando ricevei una cartolina postale. Non so quante volte la rilessi. La leggevo di giorno e di notte, come si legge una delle prime lettere d'amore. Mi diceva che a Natale sarebbe tornato. Io credevo a quello che scriveva e contavo i giorni e mi ripetevo quand'ero solo:
« A Natale ritornerà.., presto ritornerà... ».
Un pomeriggio afoso degli ultimi giorni d'agosto, stavamo seduti sotto il noce dell'orto di fronte alla porta della bottega. Davanti a noi la strada bianca che scendeva giù a Vinci piena di riverbero si nascondeva a tratti, fra il verde e gli ulivi argentati della campagna. Lo zio fumava la pipa e coi suoi occhi chiari guardava lontano.
Io osservavo le sue gote che si risecchivano quando tirava il fumo e tornavano normali quando lo lasciava venir fuori dalla bocca. Si voltò a guardare il monte dietro le nostre spalle, guardò giù nella pianura, socchiuse gli occhi, si tolse la pipa di bocca e cominciò a cantare:
«Era a quel tempo ivi una selva antica D'ombrose piante spessa e di virgulti, Che, come laberinto, entro s'intrica Di stretti calli e sol da bestie culti. Speran d'averla i due Pagan sl amica Ch'abbi a tenerli entro a' suoi rami occulti. Ma chi del canto mio piglia diletto, Un'altra volta ad ascoltarmi aspetto ».
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E battendomi una mano su `una spalla e con un sorriso da vecchio satiro, disse:
«Porco diavolo, come sarebbe bello con questo caldo vedere correre cavalieri nel bosco con le loro donne a cavallo... ».
Spesso diceva, quando c'era gente in bottega, e sua moglie non poteva udire:
« Come mi sarebbe piaciuto vivere ai tempi dell'Orlando Furioso, 'avere un bel cavallo e...».
Così parlava quando aveva un po' bevuto. Era un uomo verso la sessantina ma di una fibra come un querciolo. Spesso diceva: « Io non ho- mai visto un medico e mai mi sono purgato, e con l'acqua mi son sempre lavato mani, piedi e coglioni. Se mi si proibisse di cantare, fumare e bere vino sarei un uomo finito. Morirei in tre giorni: io sono nato per cantare ».
Era fiero della sua salute e quando vedeva qualcuno pallido e con poca vita negli occhi gli diceva:
« Ragazzo mio, tu semini i frasconi. Se seguiti così presto ti porteranno al camposanto ».
Questi rispondevano sorridendo:
« Tu sei sempre allegro, e hai sempre voglia di scherzare... ».
« Non bisogna mai farsi cattivo sangue, chi se la piglia more prima di vent'anni, studia l'Ariosto se vuoi sentirti tranquillo ».
Tutti gli volevano bene e stavano volentieri in sua compagnia a parlare di quello che si diceva nel mondo. Un giorno dal modo come guardò una donna giovane che venne a bottega ebbi la sensazione che gli piacessero le avventure. Questa mia impressione mi fu confermata un pomeriggio nell'ora che la zia si buttava sul letto per dormire. Passeggiavo lungo il viottolo che sale dalla strada su nel bosco. Faceva caldo, le cicale cantavano e nessun altro rumore era percettibile. Camminavo lento guardando ora il monte ora la pianura. Arrivato vicino ai castagni sentii sfrascare e il suono di una leggera voce di donna che diceva:
« Non fare così... ».
Mi voltai dalla parte della voce e fra le felci e scope vidi mio zio chinato, sotto di lui un vestito rosa e gambe nude di donna. Era la prima volta che vedevo un uomo e una donna insieme. Mi chinai,
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piano piano, con le mani mi scostai le scope davanti agli occhi, per osservare la scena. La faccia della donna restava dietro il gambo del castagno, vedevo le sue mani che si tenevano alle scope con una certa forza. Lo zio stava sopra al suo corpo e le gambe nude della donna che si muovevano in un modo molto strano. A un certo punto non volli più vedere, mi misi seduto e aspettai. Sentivo il respiro dello zio farsi più affannoso e la donna che miagolava come un piccolo gatto. Poi sentii i loro corpi alzarsi e lei dire:
«Speriamo che nessuno ci abbia visti. Credo sia meglio vedersi dove sempre. Qui é un po' pericoloso ».
Io mi alzai, vidi la donna voltata verso di me che stava aggiustandosi le mutande. Lo zio mi voltava la schiena e vidi che cercava di affibbiarsi la cinghia dei pantaloni. La donna, finito di vestirsi, alza la testa e fu davvero una sorpresa riconoscendo la serva del prete. Una donna ancora giovane e molto in carne. La serva sali su per il bosco e lo zio scese nella strada sotto la vigna cantando:
«Che dolce più, e che più giocondo stato
Saria di quel d'un amoroso core?
Che vive più felice e più beato
Che ritrovarsi in servitù d'Amore?
Se non fusse l'uom sempre stimulato
Da quel sospetto rio, da quel timore,
Da quel martir, da quelta frenesia,
Da quella rabbia detta gelosia».
Sorrisi di questa sua avventura in pieno meriggio. Mentre scendevo per tornare a casa ripensavo alla scena e mi sentivo turbato. Non ne ho mai parlato a nessuno e con lo zio cercavo sempre che nei nostri discorsi fosse evitato di fare il nome della serva del prete. La sera lo zio canta, come mai aveva cantata, rosso in volto e con gli occhi che saettavano bagliori di fuoco; io lo guardavo e rivedevo la scena del bosco. Credo che se anche la zia fosse venuta a saperlo gli avrebbe perdonato. Giulia non era più giovane e da anni ormai vivevano soli. Orlando s'era sposato con una maestra ed era andato a stare nella Lucchesia. Ruggero viveva con la famiglia nel Casentino, entrambi facevano il muratore. Bradamante, una bella ragazza con occhi e capelli neri, era andata a marito ad un maresciallo di cavalleria a Firenze.
MEMORIE 151
Ricardo di aver visto una volta suo marito in divisa e con la spada e sentii subito una forte antipatia. La zia considerava suo marito un po' come un ragazzo che ha delle manie e col quale non bisogna esser troppo severi. Una mattina fece uno scherzo un po' azzardato ad una donna li in bottega alla presenza di altre persone. Un vecchietto disse a Giulia che stava a banco a servire i clienti:
«Avete visto, eh, cosa fa Marco? ».
E lei, tagliando il pane e senza scomporsi:
« Raba da vecchi, faccia pure quello che vuole, basta che non me le porti in casa. Se lo trovo con qualche donna in queste stanze, bastono lui e lei ».
Lo zio stava travasando i fagioli da una bigoncia all'altra. La donna che prima era stata oggetto dello scherzo disse:
« Attenzione Marco, vostra moglie ha delle brutte idee ».
« Già, ho sentito, starò con l'occhio alla penna per non farmi pescare. Se no, addio schiena... ».
La zia, porgendo l'involto del pane:
« Se fossi stato un uomo, avrei saputo anch'io come fare. Ci sono tante donne che basta vedano un paio di pantaloni diversi da quelli del loro uomo, si alzano subito la sottana ».
Lo zio, sempre occupato dal suo lavoro, voltandosi verso le persone, sorridendo, disse:
« Se fossi stato una donna avrei tenuto la mia casa aperta a tutti quelli che mi fossero piaciuti ».
Malgrado questi discorsi fatti un po' sul serio e un po' per scherzo, non li ho mai visti litigare, ma trattarsi sempre con molta affettuosità. Più tardi ho capito che anche alla zia piaceva sentirlo cantare. Un giorno mentre si stava in cucina e lo zio nell'orto che cantava, mi disse:
«Senti come canta. Non ha mica una cattiva voce. Sai, quando veniva da me a fare all'amore sentivo sempre la sua voce, andavo alla finestra e lo vedevo scendere giù dalla viottola in cima ai campi. Una ragazza che era un po' innamorata di lui mi diceva spesso:
« Come canta bene il tuo fidanzato...! ».
« Anch'io trovo che canta bene e mi piace stare a sentirlo ».
« Si, canta bene ancora, tu avresti dovuto sentirlo, quand'era gio-
152 QUINTO MARTINI

vane, che voce! Il prete lo chiamava sempre a cantare in chiesa per le grandi feste e... ».
Pensai di nuovo alla serva e chiesi:
« C'è sempre lo stesso prete d'allora in questa chiesa? ».
« Sempre lo stesso. Non è molto vecchio, è qualche anno più giovane di mio marito ».
Volevo chiederle anche della serva, ma non ebbi coraggio. Una donna entrò in casa e chiamò:
« Giulia, venite in bottega ».
La zia si asciugò le mani al suo grembiale grigio e uscendo mi disse:
«Stai attento al gatto che non mangi la carne ».
Guardai fuori dalla finestra; le cime del monte erano piene di sole, la vetta dei cipressi era rossastra e la pianura già in ombra. Un vecchio passò di sotto alla finestra con un fascio di legna sulle spalle. Lo zio che non cantava piú, gli disse:
«Come va, Arduino? ».
« Va da vecchi, caro Marco ».
« Macché da vecchi, finché non siamo nella fossa va sempre bene ». « Gli anni pesano più delle fastella, vedrai anche tu quando avrai la mia età ».
Sentivo la voce del vecchio che si allontanava e lo zio gridare:
« In gamba, Arduino. Uno di questi giorni verrò a trovarti. Prepara un fiasco di quello vecchio. Io ti porterò le spuntature per la pipa e canterò per te ».
Non sentii più la voce dell'uomo che portava il fastello. Lo zio riprese a cantare mentre zappettava. In quell'ora non c'era lavoro in bottega e lui passava il tempo a fare altre cose intorno a casa. La zia tornò in'\cucina a preparare la cena, io uscii fuori e mi misi sotto il noce a guardare il sole che lentamente lasciava il monte nell'ombra, una malinconia pungente mi morse l'animo, scappai in camera a rileggere la cartolina di Aldo. Mi affacciai alla finestra che guarda la chiesa, guardai le prime stelle e mi parve di udire lontano un cane che faceva l'abbaio del lupo.
Le stelle crescevano, e se lo zio non mi avesse chiamato giù per cenare sarei rimasto li a osservare il cielo che si popolava di piccole
MEMORIE 153
macchie luminose e a rivivere ciò che avevo provato in quella sera mentre mamma pregava alla finestra. Certe volte si sente anche il bisogno di rivivere anche le cose più tristi della nostra vita e ci si abbandona senza poter reagire.
Un giorno, prima di mezzogiorno, me ne stavo seduto nel bosco vicino alla chiesa, ero tutto preso dal canto del Conte Ugolino. Uno sfrusclo dietro di me mi fece voltare di scatto e fui sorpreso nel vedere il mio cane che si faceva largo dimenandosi fra le frasche e festante mi veniva incontro. Mi saltò addosso e non cessava di dimostrarmi col suo mugolio e scodinzolando, la gioia di rivedermi. Pensai che qualcuno della mia famiglia sarebbe stato per la strada del bosco. Mi alzai, e lassù in alto, vidi mia madre che scendeva giù piano piano. Aveva una pezzuola in testa per pararsi il sole e sotto il braccio destro un grosso fagotto bianco. Le andai incontro, il cane avanti camminava serpeggiando la strada sassosa, e spesso si voltava indietro movendo la coda coperta di pelo.
Ero felice, appena fu possibile vederci ci facemmo dei cenni alzando una mano, quando le fui più vicino, mi disse:
« Com'é che mi sei venuto incontro? ».
« Stavo seduto in fondo al bosco, vicino alla chiesa, quando mi son visto arrivare Drago, allora ho pensato che ci fosse qualcuno di voi ». Porgendomi al mio cenno il fagotto, mi disse:
«Non mi é stato possibile farlo tornare indietro; quando lo sgridavo si buttava ai miei piedi come per implorare che lo lasciassi venire. E cosi mi ha fatto compagnia».
« Hai fatto bene a portarlo ».
« Ho pensato anch'io lungo il cammino che ti avrebbe fatto piacere rivederlo ».
« Sono contento che ci sia anche Drago ». Mi chinai e lo strinsi fra le mie braccia.
« Andiamo, Libero, fa molto caldo e io sono stanca ».
Drago si mise in mezzo a .noi camminando lento lento per seguire il nostro passo.
« La zia e lo zio come stanno? » mi chiese.
Si asciugò il sudore dalla fronte, mi guardò e disse ancora:
« Tu mi sembri un po' ingrassato. Ti ha fatto bene cambiare aria ».
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«Aldo come sta? ».
«Sta bene. Anche lui é ingrassato ».
« Quando ritornerà? ».
«Speriamo presto ».
« Mi ha scritto che tornerà a Natale ».
«Speriamo ».
«Lunedì, quando sono stata a trovarlo, mi ha detto che vuoi ve-
derti,».
Passando di fronte alla chiesa la mamma salutò il parroco che stava
leggendo il breviario seduto sotto la loggetta. Anche lui sapeva di mii,
fratello e ne parlarono un po'.
«Bisogna aver fede e pregare Dio. Egli é pieno di misericordia
per tutti ».
Prima di salutare il prete la mamma gli chiese a che ora la mattina
c'era la messa. Quando fummo un po' distante mi disse:
« Sai, quello é Don Masino. Conosce molto bene Aldo. E tu, sei
mai stato a messa?
Io non risposi. Lei, con una voce molto dolce, prosegui:
«Non posso costringerti ad andare in chiesa se non lo fai con fede.
Un giorno, sono certa, tu sentirai questo bisogno ».
Giunti dagli zii fu gran festa. Un pollo venne ammazzato e fatto
fritto per il desinare. Si parlò molto di Aldo. Fu allora che mio zio
disse che Orlando e Ruggero erano stati bastonati ma che poi non
avevano avuto più noie. Ero contento di ritrovarmi con mia madre in
una casa che non fosse la nostra. Quando le fu chiesto dalla zia quanto
tempo sarebbe rimasta, rispose:
Non molto, tre o quattro giorni al massimo ».
«Libero lo lasci ancora da noi? ».
«Non é possibile ».
« Anch'io — dissi -- partirò quando partirà la mamma ».
Lo zio soprattutto era dispiacente per questa mia decisione e ri-
spose :
«Resta ancora, così potrai imparare a memoria qualche canto del-
l'Orlando Furioso. Ti dirò io quali sono i piú belli e come si fa a can-
tare di poesia », e poi riprese:
« Ormai hai finito la scuola e in città non andrai a studiare. Ci
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vogliono troppi quattrini. I figli dei ricchi vanno in città a studiare. Com'è ingiusto questo mondo. Resta da me... Canteremo insieme. Quest'inverno, vicino al fuoco, t'insegnerò a cantare, resta da me, Libero ».
Mia madre lo guardò e disse:
«Non invitare la lepre a correre ».
Anche la zia pregò la mamma di farmi restare.
«Sai, Marta, comincio a considerarlo un mio figliolo, e tu ora me lo porti via».
« Grazie, Giulia, ma non può rimanere. Deve lavorare nei campi e Andrea dovrà cercarsi un lavoro in città ».
«Cosa vuoi che faccia in .città? ».
« Ci sono altri che vanno in città a lavorare: vanno nelle fabbriche e alla ferrovia come sterratori. Prima c'era Aldo che guadagnava, ma ora? ».
Lo zio disse a sua sorella:
« Cosa pensi di fargli fare a Libero? ».
«Non lo sappiamo ancora, bisogna vedere come andrà a finire l'affare di Aldo ».
« Cara sorella, quello che deve fare tuo figlio, mio nipote, é segnato dal destino. Lui sarà pittore, un artista. Capisci? Un artista; un grande artista ».
E rivoltosi a me:
« Com'è bello fare il pittore, dipingere un uomo a cavallo lungo una strada in mezzo ai boschi, con in sella una donna e le vesti al vento!...» e fece il gesto con la mano per disegnare il vestito della donna. Mia madre e la zia lo guardavano compiaciute.
«Prima che tu parta voglio che tu mi dipinga un quadro: la scena di Sacripante che si porta via Angelica ».
«Non so se sarò capace ».
« Ti dirò io come devi fare. Ti canterò piano piano il canto mentre tu disegni ».
Dipinsi il quadro secondo i suoi consigli. Mi fece copiare il suo cavallo, un bosco pieno di lecci e una strada serpeggiante fra i gambi degli alberi. Egli fu molto contento; lo mostrò a tutti e ordinò vetro
156 QUINTO MARTINI -
e cornice. Venne il giorno della partenza, e prima di lasciarmi volle cantare:
«Ma come i cigni che cantando lieti
Rendono salve le medaglie al tempio
Così gli uomini degni da' poeti
La zia venne ad accompagnarci fino alla chiesa, ci salutammo di fronte alla canonica e poi ci incamminammo su per la salita. C'era ancora più d'un'ora di sole. Il cane correva avanti, poi si metteva seduto nel mezzo della strada ad aspettarci. Io e mia madre carichi di fagotti (lo zio ci aveva dato un po' di tutto quanto aveva in bottega) si camminava in silenzio. Arrivati in cima, dove la strada che percorre la cresta del monte taglia la nostra che lo attraversa facendo una grande croce, ci mettemmo seduti sopra dei grandi massi. Mia madre accarezzava Drago dandogli con l'altra mano del pane. Io guardavo giù nella valle, cercando di seguire il corso del fiume. Osservavo il sole che si avvicinava. ai monti lontani, più si avvicinava e più diventava grande.
Chiesi a mia madre il perché' e mi rispose:
« Forse perché é più vicino . a noi ».
«Non ho mai pensato di chiederlo allo zio. Credo che lui me l'avrebbe detto ».
«Già, lo zio sa molte cose, verb? ».
« Ho imparato tante cose stando con lui ».
« Si sta bene quassù a quest'ora, fa fresco... ».
Dalla strada che viene dalla torre scendeva giù il vecchio guardia-
boschi. Portava il fucile in spalla e camminava curvo. L'avevo visto altre volte, quando venivo quassù a prender le fastella con mio cugino. Abitava su nella torre fin dalla nascita. Mamma lo conosceva fin da bambina, da quando veniva nel bosco a far legna, a cercar funghi e castagne. Si alzò e gli andò incontro, dicendo:
« Come va Egisto? Era un bel pezzo che non ci si vedeva... ».
«Oh! guarda chi si vede! La Marta. Come va, come va, Marta? E quello là é tuo figlio? L'ho visto più d'una volta quassù con suo cugino Corinto a prender le fastella col barroccio ». E avvicinandosi a me: «Per) ti sei fatto un uomo ».
Io sorrisi e mi sentii fiero di non sembrare più un ragazzino.
« Dimmi, come sta il tuo babbo? Siamo vecchi amici io e Gre-
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Borio » e guardando mia madre — «Vero che siamo vecchi amici
con tuo marito? ».
«Lo so, lo so, Egisto. Mio marito vi ricorda spesso e dice sempre: `Egisto è una quercia, non morirà mai' ».
«E Cecchino come va? E sempre malato? ».
« Si, é sempre malato » disse mia madre prendendo un'espressione piuttosto dolorosa. «Non c'è nessuna speranza di guarire, quella è una malattia che non perdona ».
Togliendosi il fucile dalla spalla e il vecchio cappello con la penna di fagiano, disse:
Che mondaccio! Sono malacci quelli. Un anno fa è morto un mio vecchio amico di quel male. Sono vecchio anch'io: un giorno o l'altro mi metterò a letto e non mi alzerò piú. Son vecchio, son vecchio e la sera sento le gambe che mi fanno diego ».
La mamma sorridendolo e toccandolo su una spalla: « Ma che vecchio; voi camperete quanto Noé, e sarete sempre arzillo come siete ora ». Egisto la guardò, sorrise in maniera incredula e domandò:
«E quel matto di tuo fratello canta sempre? ».
Io scattai e risposi:
« Si, si, canta sempre e guai a chi non l'approva. Sarebbe capace di togliergli il saluto per tutta la vita ». E rimettendosi il fucile in' spalla:
« Lo conosco bene, tuo zio. E' un brav'uomo. E' tanto tempo che non lo vedo. Quest'autunno scenderò a fargli una visita e a bere un buon bicchiere di vino.
« Tutte le domeniche, per mia nipote che va alla messa, mi manda da fumare per tutta la settimana. Lui dice che il fumo e il vino allontanano le malattie, e la poesia rende la vita felice ».
Infilandosi il cappello e lisciandosi la piuma con due dita disse ironicamente :
« Beh, io mi accontenterò di viver sano perché non so di poesia ».
Il vecchio cominciava a star li con le spine ne' piedi, mia madre se ne accorse e ci salutammo. Dopo esserci un po' allontanati, il guar-diaboschi gridò:
« Marta, Marta, ma come va Aldo? C'è nulla di nuovo? » e venendoci incontro:
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« Mi sembrava di aver qualcosa da domandarti, e... ».
Mia madre lo mise al corrente di tutto, e riprendemmo il cammino per ridiscendere 'il monte. Drago ci precedeva a breve distanza, ormai conosceva la strada. Si scendeva all'ombra dei castagni e dei pini. Nell'aria c'era quell'odore che mandano le piante dei boschi di sera nei giorni del solleone. Gli uccelli si chiamavano da un albero all'altro; davanti ai nostri occhi la pianura si faceva sempre più grigia, si vedevano ancora le strade bianche di polvere e lungo i fiumi l'azzurrognolo delle canne. In certi punti del bosco si faceva più scuro ed era in quei momenti che la mamma diceva:
«Libero, bisogna allungare il passo, vedi sta facendosi già buio ».
Allungammo il passo; il cane andava sempre avanti: spesso si fermava per aspettarci e giunti vicino si rimetteva a camminare come prima. Arrivati in Sambusceta, ci fermammo a bere alla fonte. Anche Drago bevve nella fossetta piena d'acqua. Ormai la strada peggiore era fatta, fra breve si sarebbe lasciato il bosco per prendere quella fiancheggiata da ulivi. Laggiù dietro l'Appennino si faceva l'aria rossastra e poi un disco di fuoco si alzava piano piano diminuendo di grandezza. Mia madre guardò e fermandosi disse:
a La mia mamma diceva che assomigliava a una polenta di gran-turCO D.
Non risposi: mi sentivo stanco e triste. Lungo il cammino si incon• trovano persone che ci salutavano, io chiedevo alla mamma:
«Chi sono queste persone che ci salutano? ».
« Non lo so, non li conosco».
«E perché allora ci salutano? ».
«Quassù, quando incontrano qualcuno sconosciuto che ha l'aria di andare lontano lo salutano. È come un buon augurio per il suo viaggio »..
Arrivati vicino al paese abbandonammo la strada bianca di polvere sulla quale la luna proiettava l'ombra delle cose e degli alberi, per pren-derec la viottola fra i. campi che passa davanti al cancello del cimitero.. Arrivati dietro alla piccola fornace la mamma disse:
«Non passiamo davanti al cimitero. Di notte fa sempre un certo effetto ».
Si fece il segno della croce e si incamminò per il viottolo che ci portava dietro la nostra casa. Drago era arrivato prima: di noi e le.
MEMORIE 159
trovammo sotto la tavola a rosicchiare degli ossi. Tutti mi fecero grande festa; erano contenti di rivedermi e io mi sentivo felice di essere di nuovo fra loro. A tavola mi furon fatte molte domande alle quali quasi sempre rispondeva la mamma.
Ero stanco e non vedevo l'ora di andarmene a dormire. Babbo se ne acccorse e disse:
« Vai a letto, Libero, sei stracco, si vede dalla tua faccia », e prosegui: «Domani, domani ci racconterai come hai passato il tuo tempo dallo zio ».
Mi alzai, diedi la buonanotte a tutti, salii le scale a fatica e entrai in camera. Mi infilai sotto le lenzuola, mi coprii la testa, chiusi gli occhi e subito mi trovai davanti allo zio che cantava e con questa visione mi addormentai.
QUINTO MARTINI
 
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1953 Mese: 3 Giorno: 1
Numero 1
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1


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