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tipologia: Analitici; Id: 1543290


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Documento di Convegno
Titolo Giovanni Frediani, Poesia dialettale ieri, oggi [relazione conferenza 1951 ca a Domodossola]
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
CINQUE POETI DIALETTALI
La maggior ragione per cui leggo questo saggio anziché farlo a memoria è la assoluta necessità, per meglio seguire i vari autori nelle loro caratteristiche, di citarne frequentemente dei passi. Fatta questa premessa voglio brevemente spiegare perché ho detto "Cinque poeti dialettali". Avrei dovuto dire "Tre poeti dialettali" o ancora meglio "Due poeti dialettali" Cioè che se per poesia si deve intendere non virtuosismo versaiolo, non solo eleganza di forma, ma più ancora serio contenuto artistico, io avrei dovuto parlarvi soltanto di Salvatore Di Giacomo, e di Cesare Pascarella, ed al massimo avrei potuto aggiungervi Renato Fucini. Ho voluto, invece, a questi tre massimi aggiungerne ancora due, cioè Carlo Porta perché in Lombardia, e per riflesso in questa parte del Piemonte, è l'autore in versi dialettali più conosciuto, e Trilussa perché degli autori in altri dialetti è il maggiormente conosciuto oggi perché più vicino a noi nel tempo.
Prima di cominciare a parlarvi di questi autori, vi prego di scusarmi se i versi in dialetto romano e napoletano, ed in special modo quelli in dialetto milanese peccano nella pronunzia che darò io.
Ciò dipende dall'essere io toscano, e per questa ragione forse i versi del Fucini saranno pronunziati nella maniera giusta.
Dunque i cinque autori di versi dialettali di cui parlerò sono:
Salvatore Di Giacomo napoletano
Cesare Pascarella romano
Trilussa ancora romano
Renato Fucini pisano
e Carlo Porta milanese
Moltissimi sono stati nel tempo gli scrittori di versi nei vari dialetti italiani.
In dialetto napoletano oltre al Di Giacomo, hanno un discreto valore Libero Bovio, Ferdinando Russo, Alfonso Fiordalisi, Rocco Pagliara, Mario Giobbe, Giuseppe Pessina, il De Tommaso, lo Starace, il Cimmino, ed altri.
In dialetto romano il Trilussa e il Pascarella furono preceduti ,per non parlare che del maggiore, da Gioacchino Belli.
In dialetto milanese oltre il Porta scrissero versi in dialetto il Maggi, il Balestrieri, il Tanzi, e perfino il grande Parini, contemporaneamente, il Grossi e dopo, Carlo Bertolazzi.
Anche il dialetto veneziano ebbe due scrittori in versi di un discreto valore: Riccardo Selvatico e Attilio Serfatti. E così ogni dialetto italiano. Molti di questi, se dovessimo guardare al contenuto artistico, dovrebbero avere maggior diritto di essere menzionati, ad esempio del Trilussa, ma ho già spiegato perché ho scelto quei cinque, ed è evidente che sarebbe troppo lungo dovere allargare la visuale ad altri quattro o cinque autori.
La letteratura dialettale, quando ha cominciato a prendere vigore aveva carattere sentimentale, di facile commovibilità, oppure combinava motti, descriveva costumi e scene comiche folkloristici, e spesso per suscitare il riso scendeva a volgarità e scurrilità.
L'imitazione della parlata popolare dava però spesso, buon pretesto a sottrarsi al freno dell'arte, ed allora i versi, i sonetti saranno delle fotografie, sia pure perfette, delle spiritosaggini, sia pure vivaci, ma non arte, non poesia.
A questo gruppo mi pare possiamo assegnarvi Carlo Porta, cioè buona parte della sua opera. Tipico esempio di volgarità è quel sonetto che inizia con
PER SOA DESGRAZIA ON ORB L'EVA AMMALAA
Il Carducci in una lettera al Robecchi parlando del Porta dice "La ruvida e poetente verità del gran meneghino"
Ora, tutti noi conosciamo quanto spesso il grande poeta nazionale, errasse nei suoi giudizi critici. Sbagliò sul Manzoni, sbagliò poi sul Pascarella attribuendogli gran merito per la sua opera, ma non per la vera ragione per cui la sua opera è poesia. E così, penso, puo' avere esagerato il suo giudizio sul Porta. In realtà ruvida e potente verità si trova nell'opera del Porta, ma purtroppo in una piccola parte della sua opera.
Fu la forza dell'ingiustizia, e la debolezza della ragione esistenti al suo tempo in Lombardia, allora dominata dai francesi, a suggerire al Porta la comica e pur dolorosa storia del Giovannin Bougee, l'opera che lo ha reso più celebre, perché più delle altre ha contenuto artistico. La figura del Giovannin rimane ancora oggi viva tra noi ed è a indicare che qui, ed in qualche altro brano, la satira raggiunge una forza particolare, e la comicità di certi episodi non è per nulla artificiale.
ETT VÔ EL MARI
DE QUELLA FAMM CHE STA DESSORA LI?
MI, MUSO DURO TANT E QUANT A LU,
RESPONDI: OVÌ, GE SUÌ MUÀ; PERCHÉ?
PERCHÉ, 'L REPÌA, VOTER FAMM, MONSÙ,
L'È TRÈ GIOLÌ, SACRE DIOEU, E ME PLÈ.
O GIOLÌ, O NO, GHE DIGHI, L'È LA FAMM
DE MUA DE MI: cossa'hal MO DE MUNTAMM?
Quell'intervallo di francese maccaronico e di milanese forma una scenetta gustosa, come gustoso è tutto il resto della poesia che quasi tutti conoscono certamente.
Circa 70 anni dopo il Porta nasce in Toscana Renato Fucini, e circa 90 anni dopo il Porta nasce a Roma, Pascarella ed a Napoli Di Giacomo, dopo altre 100 anni il Trilussa. Nonostante la distanza di questi autori nel tempo e nello spazio un filo comune li unisce tutti. Questo filo è il popolo: il costume popolare, e più ancora, il pensiero popolare Ognuno secondo la propria forza, più o meno naturalmente, più o meno artificialmente ha attinto dal popolo. Ad esempio una cosa comune a questi autori, perché appunto comune a tutti i popoli è la satira del malcostume del clero. A mano a mano che il verso cessa di essere virtuosismo, e comincia ad essere poesia vediamo lo studio più serio, e l'attacco a questo malcostume farsi solo incidentale, nello studio più vasto di tutti i lati della vita. Infatti vediamo il Di Giacomo ed il Pascarella toccare questo tasto, per un 9 [?o 5?] per cento della loro opera, mentre ad esempio il Porta lo toccherà per l'80 % ed il Fucini per il 30%. Certo che il Porta ha scritto alcuni dei suoi versi migliori in questo genere, accompagnando quasi sempre l'argomento con una fine satira alla nobiltà milanese del suo tempo. E forse aveva ragione non tenere disgiunti questi due argomenti. Pieni di brio per la loro immediatezza sono alcuni versi del "Fraa Condutt":
FRAA CONDUTT, COME LOR SAN MEJ DE MI, PER QUELLA GRAN GOLASCIA DEL DINAR...
COME?...EL COGNOSSEN MINGA? OH, QUESTA CHI
LA ME REUSSISS PROPI SINGULAR!
CORPO DE BIO BÏON, POSSIBEL MÒ
CHE SIEN LOR SOLL CHE NOL COGNOSSEN NÒ!
e dopo aver fatto una descrizione fisica e della maniera di vestire di Fraa Condutt gli altri lo riconoscono AH AHN! QUEST L' È FRAA SIST... SICCHE MO HAN VIST?
SE 'L SO MI CHE L' AVEVEN DE COGNOSS!
SISSIGNORI, L' È LU, PROPRI FRAA ST,
FRADEL DE DON BERNARD DEL BORGH DI GOSS,
CHE IN QUANT GHE DAN EL NOMM DE FRAA CONDUTT,
L' È PERCHÈ L' È ON PORCON CHE BOCCA TUTT.
e più avanti LU EL CONTRATTA LA MESSA, I ESEQUI, I OFFIZI
COME I OEUV E O POLLASTER DE PENDIZI
e ne "La nomina del cappellan" una delle migliori poesie del Porta satireggia e i preti e la nobiltà. Graziosa l'espressione L' HA COMENZAA A GIUGÀ A LA MORA EL FIAA per dire che era in fin di vita. E il fatto che in casa della marchesa non vi fosse gran rispetto per i preti, non aveva valore quando si sapeva che c'era una ottima tavola, e questo avrebbe fatto serrare un occhio sul primo difetto non soltanto...A ON GALUPP D' ON CAPPELLAN,
MA A TRII QUART DI TEOLEGH DE MILAN. Fra i concorrenti a cappellano di casa c'era anche un certo Don Rocch GRAN PRIMERISTA FINA DE BAGAI
CHE 'L GIUGA I ESÈQUI ON MES PRIMA DE FAJ il quale se ne va quando sente che una delle cose essenziali per diventare cappellano di famiglia era quella di saper giocare a tarocchi. Il maggiordomo, spiega il contegno che deve tenere il cappellano a tavola della marchesa NO SUGASS EL SUDOR CONT EL MANTIN
IN FIN NISSUNA AFFATT DI PORCARIJ
CHE HIN TANT FAZIL LOR PRET A LASSÀ CÔR
COME SE 'L MOND EL FUSS TUTT SO DE LOR. In "Lettera a on amis" la critica non è a un fatto, ma ad un sentimento. Per spiegare come era grande il male che gli era preso dice SONT RIVAA A FA' COMPASSION
FINNA A UN PRET CHE VIV D' ESEQUI. Anche il toscano Renato Fucini, 70 anni dopo, con una maggiore serenità criticava il clero, e qualche volta satireggia anche dei passi biblici. Nella "Sorpressione de' conventi"MA 'N CHE TEMPI CI SEMO RITROVATI
SCOMMETTO, A ANDÀ DÀ TULCHI, LÀ 'N TULCHIA
A RACCONTÀ CHE S' È SORPRESSO E' FRATI,
DIRREBBANO: " 'UN POL ESSE'. 'GNAMO, VIA! "
SON-PRODEZZE DE' NOSTRI DEPUTATI
e più avanti POVERI FRATI! AVVEZZI A NUN FÀ NIENTE,
CHE SA QUANTI NE STIANTA DAR DOLORE e in " L'anima suffragata" quando viene domandato al prete quanto è il prezzo per far dire una messa " Cinque o Dieci lire?" il prete risponde NON HANNO PREZZO AMICO MIO LE PRECI:
PERÒ, S' IO VI DOVESSI SUGGERIRE
PROFITTEREI DELL'ULTIMA DA DIECI E "Er sacrificio d' Isacco" ABRAMO: -MI 'OMANDA ONNIPOTENTE? -
-SE SOMATTINA 'R TEMPO SI RIFÀ
PIGLIA ISACCO E UNA SCIABOLA TAGLIENTE...-
- HO BELL' E 'NTESO, ME LO FA AMMAZZÀ !
- CI HAI DATO DRENTO! -
- SCUSI... NUN PER NIENTE...
MA CREDA MI RINCRESCE 'N VERITÀ...
LEI VÔR VEDÉ 'R SU SERVO S' È UBBIDIENTE...
O COS' OCCORRE? O TANTO O CHE 'UN LO SA? Invece in "Chi li 'ontenta è bravo" con logica del tutto popolare, parlando di Dio, e del perché egli non ascolta più le preghiere, dice: DI GIÀ, BADA, ANCO LUI VA COMPATITO,
PERCHÉ L' HA DA STRIGÀ CON CERTA GENTE
CH' È UN CASO SE 'UN È MORTO 'NTISIITO.
CHIEDAN L'ACQUA...LA MANDA...'UN SEMO A NIENTE?
APPENA 'R TALE È STATO 'SAUDITO
ER TAL ARTRO 'NI MANDA UN ACCIDENTE. Però come vedremo dopo, il Fucini arriva alla poesia su altri argomenti. Nel Pascarella invece troviamo difficilmente dell'anticlericalismo, anzi dirò meglio della satira al clero, poiché non è anticlericalismo nemmeno la poesia del Porta e del Fucini. Sembra ormai un fatto acquisito il comportamento del clero, perciò inutile ripetizione quello che fa già parte di una esperienza secolare. In tutti i versi del Pascarella trovo soltanto il IX sonetto della collana " La scoperta de l'America" in cui un popolano nel raccontare le resistenze che trovò Cristoforo Colombo in Spagna da la colpa ai preti e dice: CHE MÉTTETELO IN TESTA, CHE ER PRETACCIO
È STATO SEMPRE LUI, SEMPRE LO STESSO.
ER PRETE? È STATO SEMPRE QUELL'OMACCIO
NEMICO DELLA PATRIA E DER PROGRESSO.
E IN QUELLI TEMPI LI, SI UN POVERACCIO
SE FOSSE, DIO NE SCAMPI, COMPROMESSO,
LO SCHIAFFAVENO SOTTO CATENACCIO,
E QUER CH'ERA SUCCESSO ERA SUCCESSO
E SI POI, INVENTAVI UN'INVENZIONE,
TE DAVENO PER FORZA LA TORTURA
NER TRIBUNALE DE L'INQUISIZIONE.
e 'NA VORTA LI DENTRO, SARV'OGNUNO,
LA POTEVI TENÉ PIÙ CHE SICURA
DE FA' LA FINE DE GIORDANO BRUNO. Quel riferimento alla Inquisizione rassomiglia un po' ad un sonetto del Fucini "Er sant'Uffizio":
ECCO: VORRE' SAPE' 'N PO' 'N CHE MANIERA
ER SANT'UFFIZIO LO 'IAMASSEN SANTO.
PERCHÉ A ME, SANTITÀ, FIAMME E GALERA,
SENTI, ÈNNO ROBBE CHE 'UN ISTANNO ACCANTO.
O CHE GENTE ERA 'VELLA? O CHE ROBB'ERA?
PIGLIA' 'R CRISTIANO, E MARTRATTARLO TANTO!
LA 'ONFESSIONE 'UN 'NI PAREVA VERA?
BRACCI LEGATI, AR PARCO, E GIÙ DI STIANTO?
Ma nonostante che il Fucini nei sonetti in vernacolo arrivò a fare spesso dell'arte, della poesia, il Pascarella a me sembra di una più alta levatura artistica. Sebbene il Fucini cada meno spesso del Porta nella volgarità, tuttavia vi cade. Esempio "La tassa in su 'ani" "Ce si è tanti" "La disciplina della Guardia Nazionale" ecc. Il Pascarella invece mai cade nella volgarità. I suoi personaggi sono quasi sempre popolari e se a costoro, egli mette spesso in bocca delle bestemmie come: Sangue dell'altare, Sangue della Madonna, Cristo, Perdio, ecc. ciò è naturalismo, nelle condizioni in cui essi le dicono. Anzi, se non le dicessero, se le loro espressioni non fossero quelle, sarebbe artificiosità, falsità. E passiamo al napoletano Salvatore Di Giacomo. Il Di Giacomo, il più grande poeta dialettale, e forse il maggior poeta italiano del nostro tempo e ancor più del Pascarella studioso serio. Egli volge l'occhio intorno e dipinge dei quadretti pieni di vita. Non rettorica, non solo folklore. Egli da vero poeta sa universalizzare quei momenti di vita. In quasi tutti i suoi quadretti egli ama dipingere il popolo nei diversi stadi di miseria, di malavita, di bontà, sia pure primitiva, istintiva. E mentre i resti del feudalesimo ancora dominano in Napoli, ed il povero, il lavoratore, sono disprezzati, Di Giacomo scende nel sottosuolo, guarda da vicino questo stuolo di servi, di schiavi, di rejetti, e ne mette in luce le doti, lo rivalorizza. Comprende e spesso giustifica il vizio come male inevitabile ad una società così fatta. Difficilmente condanna. Nelle sue poesie non troviamo la morale finale, che spesso troviamo nel Fucini, nel Porta, ed ancora di più nel Trilussa di cui parleremo dopo. Dopo che lui ha così mirabilmente dipinto un quadretto, non c'è bisogno che ci imponga, o ci dica la sua opinione. L'opinione ce la faremo noi. E sarà quella giusta. Sentite come descrive una prostituta.D' 'A LUCANNA, AIERESSERA,
MMIEZ' 'A VIA NNE FUIE CACCIATA:
MMIEZ' 'A VIA SULAGNA E NNERA
TUTT' 'A NOTTE IRMA È RESTATA.
TUTT' 'A NOTTE HA FATTO A CANA:
SOTTO E NCOPPA A CAMMENATO
NA SERATA SANA SANA.
E NIOSCIUNO S' È ACCUSTATO...
IRMA: NOMME FURASTIERO
MA SE CHIAMMA PEPPENELLA;
FUIE NGANNATA 'A NU FURIERO,
E MO... CAMPA... (PUVERELLA!)
PASSA GENTE. e FANNO IVORNO.
-"PSST...SIENTE!... E RIRE... E CHIAMMA...
C'HA DDA FA SI HA PERZO 'O SOVORNO?
C'HA DDA FA? SE MORE 'E FAMMA.
MMERZ' 'E NNOVE S'HA MANGIATA
NA FRESELLA NFOSA ALL'ACQUA.
E MO, COMME A NA MAPPATA,
STA LLÀ NTERRA. E DORME STRACQUA. Che differenza fra questi bellissimi venti versi, in cui la figura della prostituta è perfetta; in cui il Di Giacomo ritrae in immagini tutto ciò che ha pensato di lei (anche il comico del cambiamento del nome di Peppenella con quello di Irma) e la poesia in tre tempi "Una disgraziata" di Renato Fucini, completamente rettorica, tutto artifizio. Che differenza fra: "Son quattr'anni che qui vendo 'r mi' amore": IO CHE MI SENTO BONA, IO CH'ERO NATA
PEL VIVERE 'N FAMIGLIA FRA L'AMORE e l'unico verso del Di Giacomo E MO... CAMPA... (PUVERELLA!). Spesso il Di Giacomo racconta drammi della malavita napoletana, come il Pascarella di quella romana, ma Di Giacomo più del Pascarella sa prenderne tutti gli aspetti umani: sentite ad esempio "L'acciso" SI VE CUNVIENE NU DICHIARAMENTO,
TANT'ONORE PE MME. - L'ONORE è MIO...
CCA' STESSO? - PE DIMANE- APPUNTAMENTO
A MEZANOTTE. - RESTA FATTO - ADDIO.
QUATTO PAROLE. E, DOPPO MEZANOTTE,
'A SERA APRIESSO, CARMINE DE RISO
PE MMANO 'E CIRO ASSANTE E CU TRE BOTTE,
NTERRA, INT' 'O VICO, RUMMANETTE ACCISO-
PE MBRIACO 'O PIGLIAINO ALBANTE IVORNO:
LLE S'ACCUSTAIE NA FEMMENA VICINO,
E SE METTETTE A FFA' : TE MIETTE SCUORNO?!
PUORCO! A PRIMMA MATINA VIVE VINO!...
VINO? ERA SANCO. LLE PARETTE VINO,
NTERRA, NA MACCHIA 'E SANCO FRIDDO E MUOLLO...
-SCIù! NNANZ' 'A CCHIESIA 'E SANTO SEVERINO!
E LLE MENAIE NU CATO D'ACQUA NCUOLLO... Due versi soli sul duello, il resto tutti particolari che fanno, nella loro verità, maggiormente risaltare il fatto. Anche il Pascarella in "Er fattaccio" spende poche parole a raccontare come la lite è finita con un morto accoltellato, ed in una corona di cinque sonetti guarda le cose da vari punti di vista. Quello di alcuni che erano andati a fare un banchetto nell'osteria dell'Orto, dove è successa la lite: FIGURETE UN PO' NOI! CO' QUELA SCENA,
ADDIO VIGNATA! E LI POLLASTRI AR FORNO
C' É TOCCATO A STROZZASSELI PE' CENA. Il punto di vista dell'oste MA TUTTI QUI! SARÀ 'NA JETTATURA,
CHE T'HO DA DI' ? MA C' É TANTA CAPAGNA...
E ANNATEVE A SCANNÀ FÔR DE LE MURA
E NO, PERCRISTO, QUI DOVE SE MAGNA. La gente che vede dietro al trasporto funebre una donna che si dispera ECCHELA LÀ, VICINO A LA COLONNA;
LA VEDI? CHI SARÀ? SARÀ L'AMANTE.
- É LA MADRE - DIO MIO! POVERA DONNA! Il vetturino che ha trasportato il morto all'ospedale IO, CHE C'ENTRA? SFIATAVO LI CAVALLI
PE' FA' PRESTO. MA INTANTO? 'STI CUSCINI
ME CE VONNO DU' SCUDI PE' RIFALLI. Il Di Giacomo sa anche essere sentimentale senza essere rettorico. Sentite ad esempio questa:
NU PIANEFFORTE 'E NOTTE
SONA, LUNTANAMENTE
E 'A MUSICA SE SENTE
PE LL'ARIA SUSPIRÀ.
É LL'UNA: DORME 'O VICO
NCOPP'A STA NONNA NONNA
'E NU MUTIVO ANTICO
'E TANTO TIEMPO FA.
DIO, QUANTA STELLE 'NCIELO!
CHE LUNA ! E C'ARIA DOCE
QUANTO NA BELLA VOCE
VURRIA SENTI CANTÀ!.
MA SULITARIO E LENTO
MORE 'O MUTIVO ANTICO;
SE FA CCHIÙ CUPO 'O VICO
DINT'A LL'OSCURITÀ.
L'ANEMA MIA SURTANTO
RUMMANE A 'STA FENESTA.
ASPETTA ANCORA. E RESTA,
NCANTANNOSE , A PENZÀ.
E che dire della magnifica poesia "Lassammo fà a Dio" la quale cominciando in maniera scanzonata, e passando ad un triste quadro di miseria, finisce con una bellissima scena di amore materno. Comincia:
'A DOMENICA 'E PASCA
D' 'O MILLENOVECIENTO, 'O PADRETERNO
(CA S'É SUSUTO SEMPE INT 'E PRIMM'ORE)
DI BUONISSIMO UMORE SE SCETAIE MMEZZ' É SETTE,
FECE CHIAMMÀ SAN PIETRO E LLE DICETTE
- PIÉ, SIENE, STAMMATINA
É 'NA BELLA JURNATA
E LL'ARIA É FRESCA E FINA
VURRIA FA' 'NA SCAPPATA
'N TERRA.- CHE TE NE PARE?
-MAH!- DICETTE SAN PIETRO
(SANTO NAPULITANO E, MPARAVISO,
CAPO GUARDAPORTONE)
MAH... LEI SIETE IL PADRONE!
VULITE VEDE 'A TERRA? E FATE PURE...
PERÓ VEDETE... FRANCAMENTE, 'A TERRA
É NU POCO AFFITTIVA.
V'AVESSE DISGISTÀ? -MA CHE! CHE DICI!
SU, VESTITI! SCENDIAMO!
DOVE CI FERMEREMO? DOVE ANDIAMO?
NAPOLI!... CHE? TIPARE? - EH, SISSIGNORE:
SE DICE: VIDE NAPULE E PO' MUORE! Scendono e vanno a Piazza Dante,dove Dio si meraviglia che si dica che la Terra è infelice, quando seduto ad un bar a sorbire una limonata vede tutto rosa, ma S. Pietro non è così ottimista, e il Padreterno gli domanda cosa ha da borbottare, perché non è d'accordo con lui. E S.Pietro risponde:
E C' AGGIA DI'? GUARDATE.
TENITE MENTE ATTUORNO! CHE BEDITE?
CHE VE PARE? DICITE
MMIEZ' 'A STRATA
STUORTE, STRUPPIE, CECATE
GIUVENE E BICCHIARELLE
GUAGLIUNE SENZA SCARPE
VICCHIARELLE APPUGGIATE A 'E BASTUNCIELLE
SCARTELLATE, MALATE
E CERT'UOCCHIE ARRUSSUTE
CHINE 'E LACRIME -E MANE
SECCHE, APERTE, STENNUTE. Allora Dio si spaventa a sentire da tutte le parti gridare "'A carità" e fa scendere dal cielo un lenzuolo nel quale raccoglie tutti i mendicanti per portarli in paradiso dove è preparato un bel pranzo. Finito il pranzo si alza un cieco a parlare a nome di tutti per ringraziare:
GRAZIE, GRAZIE, SIGNÒ! GRAZIE! VO 'O DICO
A NOMME 'E TUTTE CHISTE SFORTUNATE
CA SE SO' SAZIATE,
E CA P' 'A PRIMMA VOTA
SENZA STENNERE 'A MANO,
MMIEZ 'A LL'ARIA ADDUROSA 'E STU CIARDINO
HANNO PRUVATO 'O BRORO, 'A CARNE, 'O VINO! Dopo, mentre il poeta invoca il Sonno per chiudere gli occhi a questi disgraziati viene invece la Morte per prendere coloro che hanno avuto un'ora di felicità. Ma una donna è rimasta in piedi e fugge verso la terra. Arriva a Napoli e:
NANNINELLA 'A PEZZENTE
GUARDAIE CCA, GUARDAIE LLÀ, S'IRIZZUNTALIE,
E TRUVAIE FINALMENTE
'A VIA D' 'A CASA SOIA.
E DINT' 'O VICO SCURO
SCIULIAVA NCOPP' 'O MURO
NU- RAGGIO 'E LUNA.
E 'A PORTA, MEZ'APERTA E MEZA NCHIUSA,
'E NU VASCIO VUTTAIE CU NA SPALLATA.
TRASETTE 'E FURIA. CURRETE ADDÓ STEVA
NU PICCERILLO DINT' 'A NU SPURTONE.
NINNO! NINNO! STO CCA'. mAMMA É TURNATA!
S'ACALAIE. CHILLO POVERO GUAGLIONE
C'APPENA APPENA TENEVA NU-MESE
SENNUZIAVA CU 'E MANELLE STESE.
NANNINELLA 'A PEZZENTE
L'ARRAVUGLIAIE DINT' A NU CIALLO VIEVVHIO
S' 'O PIGLIAIE MBRACCIA, S' 'O STRIGNETTE MPIETTO
E DINT' 'O CHIARO 'E LUNA
ASCIUTTANOSE LL'UOCCHIE A 'O MANTESINO
LLE DETTE LATTE, E S'ADDURMETTE NZINO. Magnifica questa poesia, come magnifiche moltissime altre del Di Giacomo. Avrete notato in questa ultima poesia come in due punti si noti una specie di campanilismo. La prima volta quando si afferma San Pietro essere SANTO NAPULITANO, e la seconda quando il Padreterno sceglie Napoli per la sua visita alla terra. Il campanilismo è un tratto caratteristico del resto naturale ai poeti dialettali. Un po' meno nel Pascarella, nel quale il campanilismo nazionale acquista maggiore importanza di quello cittadino. Parlando di Garibaldi, quando andò a difendere la Francia dai Prussiani dice:
SE N'AGNEDE, E INCONTRATI LÌ A DIGIONE
LI PRUSSIANI, L'ASSARTA DE MANIERA
CHE LI SBARAIJA DA LA POSIZIONE,
LI SCONFIGGE E JE VINCE 'NA BANDIERA.
E COME L'ERBE VINTA, SE N'AGNEDE
DAR GENERALE IN CAPO PER COMANNO
DE TUTTI LI FRANCESI E JE LA DIEDE.
E ADESSO, MO, DE TUTTO ER TEMPO IN CUI
DURÓ TUTTA LA GUERRA, UNA CE N'HANNO;
UNA CE N'HANNO E JE L'HA DATO LUI. ed il penultimo sonetto della "Scoperta dell'America":
E CHE ÓMINI! SOPRA AR NATURALE,
CHE ER TALENTACCIO SUO SE LO RIGIRA.
PE' 'N 'IPOTISE : VEDE UNO CHE TIRA
SU 'NA LAMPENA? FA MENTE LOCALE
E TE DICE: SAPE', LA TERRA GIRA.
CE RIPENSA E TE SCOPRE ER CANNOCCHIALE. e poi - dice- se vuoi vedere quanti grandi ha avuto l'Italia, vai a vedere tutti i busti che sono al piano:
CHE QUELLI BUSATI, PRIMA D'ESSE' BUSTI,
SO' STATI TUTTI QUANTI ÓMINI VERI Il fucini e il Porta invece hanno un campanilismo tutto cittadino: In ER-GROBO del Fucini, un popolano non sa comprendere come la terra giri
AH! DUNQUE ANCO TE TE N'AVVEDI?
PO' SFIDO! SE GIRASSE, 'UN C'E QUISTIONE,
BISOGNEREBBE AVE' DU' GANCI A' PIEDI.
ORA TE MI DIRRAI: PARLI A PASSIONE.
NO:MI RINCRESCE, 'NVECE, SE LO 'REDI
PERCHÉ 'R SOL GALILEO NACQUE AR PÉLTONE! (UN RIONE DI PISA.
In "Du sterratori in cerca di lavoro" ...MA TU GLIELO DICESTI DI DOC'ERI?
PELCHÉ ALLE VORTE, SA, L'ESSE' PISANI,
CON CELTE GENTE FA BONA 'MPRESSIONE...
In "Dante" un popolano critica la "Divina Commedia" più che altro perché: HO LETTO ANCO LA STORIA D'UGOLINO.
LÌ, POI, SI BUTTA A FA' TROPPO 'R SACCENTE
E A DA' BOTTATE ALL'USO FIORENTINO.
TU SENTISSI CHE ROBBA 'MPELTINENTE!
O CHE 'UN S' É MESSO A DI', QUESTO LECCHINO,
CHE PISA É 'R VITUPERIO DELLE GENTE!
In "La creazione del mondo" il popolano pensa che Dio quando ha creato il mondo abbia pensato prima di tutti a Pisa. VOLA, RIVOLA E VOLA CHE TI VOLO,
PENSAVA UN GIORNO 'R PADRE ONNIPOTENTE:
GUARDA! EPPURE MI SECCO A. STA' QUI SOLO...
GUASI, GUASI É VERGOGNA A 'UN FA' MA' NIENTE.
VO' FARE 'R MONDO! POSÒ 'R FERRAIOLO
PO' PENSÒ UN PO' E 'SCRAMÒ: -PRECISAMENTE!
FAREMO PISA, L'AFFRIA, 'R TIROLO.
PO' UN PO' D'ACQUA, LE STELLE, EPPO' LE GENTE. Anche il Porta fa del campanilismo cittadino, ma non nella maniera del Fucini, ma quasi sempre a dire male dei forestieri. Perciò la maggior parte di questo tifo sono scurrili e triviali. Grazioso invece nella versione dei primi sette canti della Divina Commedia in dialetto Milanese, il primo canto in cui Virgilio spiega a Dante che voleva bruciare l'Eneide perché si era pentito di averla scritta in latino anziché in dialetto meneghino
E CHE HOO SCRITT ON POËMA, MA SUI SCIALL,
SORA ENEJA E 'L FOEGH D'ILLI IN VERS LATIN;
E TE DIROO CHE VOREVA ANCH BRUSALL
PER GHIGNON DE NO AVEL FAA IN MENEGHIN Dove il Porta riesce particolarmente ad arrivare a l'arte, e nella satira alla nobiltà milanese, corrotta, ignorante e presuntuosa. In "La nomina del cappellano " Parla della Lilla, una cagnetta di casa della marchesa. Travasa, e ci viene a mente la "Vergine Cuccia delle grazie alunna dell'altro grande milanese L'EVA LA LILLA ONA CAGNA MALTESA TUTTA PÊL , TUTTA GOSS, E TUTTA LARD,
E IN CA' TRAVASA DOPO LA MARCHESA, L'EVA LA BESTIA
DE MAGGIOR RIGUARD
DE MOEVD CHE GUAJA A DAGH DEL TI. e più avanti, quando Don Telesforo e Don Spiridion vengono cacciati per aver osato ridere davanti alla marchesa essa esclama PERÓ DAR CHE L'ALTISSIM EL CI HA POST
IN QUESTO GRADO, E SIAMO CIÓ CHE SIAMM,
CERTISSIMAMENT L' É DOVER NOST
DI FARCI RISPETTAR COME DOBBIAM :
SARIA MANCAR A NOI, POI AL SIGNOR
PASSARCI SOPRA E SPECIALMENT CON LOR.
e nella poesia "La Preghiera" DONNA FABIA FABRON DE FABRIAN
L'EVA SETTADA AL FOEUGH SABET PASSÀ
COL PADER SIGISMOND EX FRANZESCAN,
CHE INTRATTANT EL GHE USAVA LA BONTAA
(INTRATTANTA S'INTEND, CHE 'L RIS COSEVA)
DE SCOLTÀ STO DISCORS CHE LA FASEVA e il racconto che gli faceva era un affronto che le era stato fatto QUASI FUSS DONNA A LORO EGUAL IN RANGO CITTADINA, MERCIAIA, O SIMIL FANGO. Dopo di che fala preghiera a Dio MIO CARO E BUON GESÚ, CHE PER DECRETO
DELL'INFALLIBIL VOSTRA VOLONTÁ
M'AVETE FATTA NASCERE NEL CETO
DISTINTO NELLA PRIMA NOBILTÁ
e nel seguente sonetto è satireggiata l'ignoranza SISSIGNOR, SUR MARCHES, LU L' É MARCHES
MARCHESAZZ, MARCHESON, MARCHESONON,
E MI SONT CARLO PORTA MILANES,
E BOTT LÌ. SENZA NANCH ON STRASC D' ON DON.
LU SENZA SAVÉ SCRIV, NÉ SAVÉ LEG,
E SENZA, DIREV SQUAS, SAVÉ DESCOR,
EL GOD SALAMELECCH, CAREZZ, CORTEG:
E MI ( DESTINON PORCH! ) COL MÉ STÁ SU
SUI PALPEE NOTT E DÍ, GH' HOO NANCH L' ONOR
D' ESS SALVAA DA ON ASEN COME LU. Il Porta, nonostante che poche volte arriva sulle vette dell'asta, è da considerarsi uno dei maggiori poeti satirici del primo ottocento, tanto più se si pensa che è morto a soli 45 anni, perciò avrebbe dato molto di più se avesse vissuto anche per ancora 10 anni. Scrisse anche un dramma in collaborazione del suo amico (Grossi?) , ma a dire il vero non vale molto. Il Fucini invece, più del Porta ha motivi artistici, analizzando in vari aspetti il popolo. E' vero che qualche volta sciupa dei sonetti con nomi onomatopeici, come in "La prima lezione di velocipede" "Er cane e la sentinella" ecc., spesso fa anche della rettorica, in "Un vero amico" "La mamma molta" "La fratellanza degl'Italiani" "Itaia disgraziata" ecc. Riesce invece a fare graziosi quadretti, in cui i protagonisti, sempre popolani sbagliano il significato delle parole come in "Er gioo der ponte in cui si sbaglia posteri con antenati "MA 'E POSTERI NUN ERAN VIGLIACCONO in "Er gasse" vedere per sentire "TU VEDESSI CHE PUZZO DI BITUME in "Du' giurati 'n seduta in cui si fanno le meraviglie sul fatto che l'imputato sia recidivo, e poi si confessa candidamente A PROPOSITO, SCUSI, LO SA LEI
CHE VÔR DI' REDITIVA?
IO SON SINCERO...
LO VÔR SAPE'... 'UN LO SO. CRISTO M'ACCEI. oppure con una logica tutta popolare si critica, un fatto, una istituzione, la politica, la società, naturalmente mettendo in evidenza ciò che maggiormente colpisse, spesso l'apparenza. In "La Repubblia" COSÔ NON POL' ANDÁ , TE L'ASSÏURO:
CHI LAVORA, LO VEDI? 'UN SI SATOLLA:
E 'R MI' PADRONE, PEZZO DI FIGURO,
SGRANOCCHIA SEMPRE TOLDI E PASTA FROLLA. In "Pare!" uni dice che sarà difficile andare a Roma perché il Papa non si lascia spodestare, un altro risponde che se resistesse ci andrebbe il Gen. Cialdini, e ciò che colpisce di più di lui non è il valore, o la maestria, ma che ha gli sproni, è bello, e svelto: E PO'... BELL'OMO... SVERTO...CO' SU' SPRONI!
SE FA TANTO D'ENTRÁ DRENT' A CONFINI,
'NI SPERPERA, DIO PRETE, ANCH' E' PICCIONI. In "Er camposanto di Pisa" COSA 'MPOLTA STUDIÁ 'N DELLA SAPIENZA?
CERCA D'ARRABATTÁ QUARCHE MIGLIONE,
E POI, SE CREPI: " É MOLTA SU' ECCELLENZA! In "Er presidente delle 'ambere" si assicura che per fare il presidente non occorre essere sapienti, ma avere una bella voce MA LÍ NUN SELVE MIA L'ESSE ' SAPIENTE.
CI VÔ R PRIMA DI TUTTO, UN BÈR VOCIONE
PER URLÁ : "LEI SI QUIETI: TOCCA A QUELLO! " in " 'E farzaioli" il popolano che è andato a vedere i trapezisti, e pensando che uno è venuto giù da quell'altezza ed è morto, commenta CREDI A ME, SE GLI AVESSANO 'MPARATO
A GUADAGNASSI 'R PANE 'OR MAZZÓ LO
DI TANT 'ARTO 'UN SAREBBE MA' 'ASCATO. In "La 'nvenzione" PROPIO BISOGNA DI' CHE PROPIAMENTE
L' OMO MODERNO N' HA 'NVENTATE TANTE
CHE DA 'NVENTÁ 'UN LI RESTA GUASI NIENTE
SARVO CHE L' OMO GRAVIDO E 'R VOLANTE. In "Miseria serena" CHE VITA FO? LA VITA DER SIGNORE!
SARVO LA DIFFERENZA SOLAMENTE
CHE LORO MANGIAN SEMPRE ALLE SU' ORE,
E ALLE MI' ORE IO NUN MANGIO NIENTE In "Er voto universale" il Fucini denunzia spiritosamente coloro che compravano i voti, come in alcune parti d'Italia purtroppo si fa anche oggi - O COS' È QUESTO VOTO? -"ENE UN DIRITTO
COME 'R QUALE LO 'IAMANO LE SCHIERE
CHE 'UN S'AMMATTISCE PERCH' È BELL 'E SCRITTO"
-O A COSA SERVE? - "QUESTO 'UN S' HA A SAPERE:
SO CHE SE FO A SU' MODO E SE STO ZITTO
CI HO GIÁ SEI CHE MI PAGANO DA BERE. In altri sonetti il Fucini imita la divagazione da un argomento all'altro tipica del pettegolezzo popolano specialmente femminile, come "Un povero dottore alla 'onnutazione gratisse" oppure la storiella spiritosa, come
in "La 'orte d' Assisi in cui l'imputato si difende così: NO: VO' PRUTESTARE
CHE 'R DELITTO NUN È PREMEDITATO,
PELCHÉ AVANTI LO FECI ANCO AVVISARE. Oppure in "Er vaiolo" una donnetta commenta in questa maniera le possibilità curative del vaccino DICE: ASSARVA LA VITA... UNA SAETTA!
SCUSI: UN GLIE 'NNESTONNO AR SIGNOR TITO?!
MA QUANDO VIENSE GIÚ DA UN QUARTO PIANO,
LO SA 'N PO' PO'? RIMASE LÍ STECCHITO! O nella seguente Lapalissata de "La morte improvvisa" FATTO STA CHE ANDÓ VIA TANTO D' ABBRIVO,
CHE DU' MINUTI AVANTI DI MORÍ ,
PARE' 'NA BUGGERATA, MA ERA VIVO! Ma fra i numerosissimi suoi scritti sono anche molto frequenti le perle, dei sonetti delicati, e più ancora artistici, qualche volta vera poesia. Esempi: "La morte d' un bimbo", "Miseria", "Una 'amiciola in due", "Ni si guasta 'r core", "Povero 'osino" che ci rammenta un delicato episodio di Pinocchio. "La limusinera" "La morte del conte 'Golino" "Il dramma di iersera" e tanti altri. Voglio riportarne tre dei migliori 'NI SI GUASTA 'R CORE
QUESTA È L'ULTIMA VORTA CHE LO DÌO;
E 'NTENDEMOLA! 'UN VOGLIO PIOVANELLI.
MA 'UN TE N' AVVEDI TE CHE 'R NOSTR 'ERIO
S' AVVEZZA MALE A STRAPAZZÁ L' UCCELLI?
NUN T'ARRABBIÁ , LO SO; MA, SANTO dIO!
COME SI FA? L' HA VISTI A DU' MONELLI,
E HA 'MPRINCIPIATO A DÌ : "LI VOGLIO ANCH'IO!
GLI HO DATO UN CHICCO, E LUI "NO, VOGLIO VELLI!
CHE AVRESTI FATTO TE? - SENTIMI, IRENE,
TE SIEI BONA, MA ANCH'IO NUN SON CATTIVO:
PELCHÉ LO SAI SE A PIPI IO 'NI VO' BENE.
CHE COSA NUN FAREI PER QUELL'AMORE?
MA A DARE A UN BIMBO UN UCCELLINO VIVO,
VAI POSITIVA, 'MI SI GUASTA 'R CORE.
LA LUMINARA
VIAGGI 'N DELL'UROPA 'UN SI 'HO MA' FATTI:
PRIMA PELCHÉ A GUAINI SÈMO BASSI,
E PO' PERCH' E' PISANI 'UN C'ENN' ADATTI
PER ANDÁ PER ER MONDO A STRAPAZZARSI.
MA UN MI' AMÏO DI LUCCA CHE FA ' GATTI...
(LI FA COR GESSO, CREDA, DA SBAGLIASSI)
LUI, VORSI DÌ , CH' È STATO FRA ' MULATTI,
CHE HA VISITATO ANCH' E ' PAESI BASSI,
M'HA DETTO CHE NEPPURE 'N DER PEINO.
LUMINARA DI PISA 'UN SE NE VEDE;
NUN N'HANN 'IDEA LAGGIÚ DER CAMPANINO.
CHI NUN L' HA VISTA, 'REDA 'UN LO PÒR CREDE';
EPPOI, 'NI BASTI DI' CHE AR MI' 'UGINO,
DALLA GRAN CARCA 'NI STROPPIANN' UN PIEDE.
IL DRAMMA DI IERSERA
SE CI SIAM DIVERTITE? DA IMPAZZARE!
UNA COSA, MIO DIO... C' È L' ULTIM' ATTO, QUANDO LUI TROVA LEI... CREDA, UN AFFARE!
SU, SU MI DICA... O IN CHE CONSISTE IL FATTO?
A UN BEL CIRCA È COSÌ : LUI VA PER MARE,
MA INVECE FINGE E TORNA TUTT' A UN TRATTO,
E SCOPRE CHE QUELL' ALTRO, A QUANTO PARE...
LEI GLI AVESSE GIÀ DATO 'L SU' RITRATTO.
ALLORA LUI CHE FA? VA DAL SU' ZIO,
SENZA CAPPELLO... IMMAGINI CHE SCENA!
E DICE: -O MORTO LUI, O MORTO IO!-
LEI CHE RISÀ OGNI COSA, DALLA PENA,
VIENE CON UN VESTITO COME IL MIO, MA CHE BELLEZZA... NERO! E S'AVVELENA. Dove ciò che è rimasto più in presso nella memoria di quella popolana sono le apparenze. Lui senza cappello, l'altro a cui lei l'aveva dato una fotografia, e lei col vestito come il suo (della spettatrice) perciò bello. Il Fucini scrisse anche dei racconti in prosa che forse hanno un contenuto poetico, e artistico ancora maggiore dei sonetti in dialetto, ma questo deroga da quanto voglio dire questa sera. Il romano Cesare Pascarella è nella scala artistica ad un livello ancora superiore al Fucini dei versi dialettali. Il Pascarella con l'aspetto di un bonario filosofo, studia invece profondamente la natura umana ed anche quando sembra che dia l'ultima pennellata ai suoi quadretti, con una trovata spiritosa, ed un risolino ironico, invece spesso non è che una cruda constatazione della realtà. Un popolano racconta come due trapezisti ad un circo sono morti essendosi sotto un filo che li reggeva. Che scena! Ma come presto si dimentica! sembra dire il poeta nell'ultima terzina. LI PORTORNO VIA MORTI, POVERACCI!
SUR SANGUE CE BUTTORNO UN PO' DI RENA,
E POI VENNERO FÔRA LI PAJACCI. In "Er trasporto funebre" mostra come molto spesso con la scusa del sentimento si fa il proprio interesse. C'è un trasporto funebre di un popolano il quale si è eroicamente gettato a fermare un cavallo colla carrozza, perché non facesse vittime, e vi è morto. Naturalmente al trasporto ci sono tutte le autorità, e la banda. Due stanno a vedere MADONNA! QUANTA GENTE! CHE SFILATA!
ANNAMO PURE NOI. -POCO ME VA-
E ANNAMO, CHE SENTIMO 'NA SONATA. In "Er terno" vien mostrato come spesso per il proprio interesse non si pensa a gli altri, e vorremmo anche che il Padeterno facesse il nostro interesse sia pure a svantaggio di quello degli altri. Uno è stato ferito in una rissa, e un altro ci gioca tre numeri. Esce solo l'ambo perché INVECE DE FERITA
M'ESCE 72; MORTO AMMAZZATO.
MA GUARDA TANTE VORTE ER PADRETERNO
COME DA' LA FORTUNA NE LA VITA!
SI L' AMMAZZAVA CE PIJAVO ER TERNO. E così molti altri sonetti. Anche nei drammi della malavita, o nel delitto passionale, come il Di Giacomo, egli sa trovarvi il lato umano. "Er fattaccio" "La serenata" lo dimostrano. Ma dove il Pascarella si eleva alle altezze dell'arte e della poesia e nella collana di 25 sonetti "Villa Gloria" ed ancor più nella collana di 50 sonetti "La scoperta dell'America". Villa Gloria descrive con accento veriterio e commovente l'impresa dei 70 per prendere Roma, e la morte dei fratelli Cairoli. Naturalmente nessuno meglio del Pascarella poteva fare questo racconto, perché egli era stato uno dei 70. Non riporto nessuno dei 25 sonetti perché sarebbe bello leggerli tutti e questo non si puo' fare per mancanza di tempo. Voglio invece riportare qualcuno dei 50 sonetti de "La scoperta dell'America. Nel racconto che un popolano fa ad un altro popolano di come e attraverso quali avventure Cristoforo Colombo sia arrivato alla scoperta, ci sono via via delle divagazioni Che presuppongono nel narratore una opinione esatta od approssimativa su tutto: sulla morale, sulla politica, sulla religione, ecc.
Ed è naturale: Colui che racconta all’osteria ha letto come dichiara la “Storia universale”, perciò si suppone che usi leggere anche i giornali ed altro, perché avrà avuto la possibilità di farsi delle opinioni.
Riporto alcuni brani di vari sonetti.
E SICCOME A QUER TEMPO LI D’ALLORA,
REGNAVA UN RE DE SPAGNA PORTOGHESE,
AGNEDE IN PORTOGALLO, E LÌ JE CHIESE
DE POJE PARLA’ P’UN QUARTO D’ORA.
JE FECE ‘NA PARLATA UN PO’ GENERICA
E POI JE DISSE: - IO AVREBBE L’INTENZIONE,
SI LEI M’AIUTA, DE SCOPRI’ L’AMERICA –
- EH – FECE, ER RE, CHED’ERA UN OMO ESPERTO,
- SI, V’AIUTO… MA, NO PE’ FA ECCEZIONE,
MA ‘ST’AMERICA C’E’? NE SETE CERTO?
Il re fa fare una commissione per studiare la faccenda e Cristoforo Colombo ci va
CI AGNEDE, E SE TROVÒ IN MEZZO A UN RIDUNO
DE GENTE CHE DIO SÀRVETE, FRATELLO!
LO TENEVENO LÌ COME ER ZIMBELLO.
L’INTERROGORNO TUTTI, UNO PER UNO,
E POI FECERO, DICE: - SARV’OGNUNO,
MA QUESTO S’È SVORTATO DE CERVELLO.
LUI PARLAVA? MA MANCO LO SENTIVENO
E PIÙ LUI S’AMMAZZAVA PE’ SCOPRILLA,
E PIÙ QUELL’ANTRI JE LA RICOPRIVENO.
Visto che così non risolveva nulla li venne l’idea di andare dalla regina e
FECE LEI, - LEI CHE VO’? - - TRE NAVICELLI –
- E OGNUNO, PUTACASO, QUANTO GRANNE? –
- EH, FECE LUI, SUR GENERE DE QUELLI
CHE PORTENO ER MARSALA A RIPA GRANNE –
- VA BENE – FECE LEI – VI SIA CONCESSO -
E partono. Ma i giorni passano e l'America non si vede. Tempeste si susseguono e i marinai cominciano a pensare a ritornare MA L'ACQUA È PEGGIO, ASSAI PEGGIO DEI FOCO.
PERCHÉ COR FOCO TU, SI TE CE SFORZI
CO' LE POMPE, CE 'RIVI TU A SMORZALLO:
MA L'ACQUA, DIMME UN PO', CO' CHE LA SMORZI? e ancora PIÙ CAMMINI E PIÙ TROVI L'INFINITO,
PIÙ GIRI, E PIÙ RICASCHI IN ARTO MARE.
SEGUITI A CAMMINÀ MIJARA D'ORA...
DOVE C' È ER CELO TE PARE FINITO,
INVECE ARRIVI LÌ ... COMINCIA ALLORA. Dopo che il narratore ha guardato le cose da ogni punto di vista, dando ragione a Colombo che voleva seguitare il viaggio, ai marinai che volevano ritornare indietro, dopo il compromesso si arriva TERRA... TERRA!... PERCRISTO! E TUTTI QUANTI
RIDEVANO, PIAGNEVENO, ZOMPAVENO...
TERRA... TERRA!... PERCRISTO!... AVANTI... AVANTI!
E LÌ , A LI GRAN PERICOLI PASSATI
CHE CE PENSAVA PIÙ ? S' ABBRACCICAVENO,
SE BACIAVENO... E C' ERENO ARRIVATI! dopo che sono sbarcati cominciano i rapporti con i selvaggi VEDDERO UN FREGNO BUFFO CO LA TESTA
DIPINTA COME FOSSE UN GIOCARELLO,
VESTITO MEZZO IGNUDO, CO ' 'NA CRESTA
TUTTA FORMATA DE PENNE D'UCELLO.
SE FERMORNO. SE FECERO CORAGGIO:
-AH QUELL' OMO! -JE FECERO- CHI SIETE?
-EH- FECE - CHI HO DA ESSE'? SO 'UN SERVAGGIO. e ancora DICE: -SA? NOI VENIMO DA LONTANO,
PER CUI DUNQUE, VORESSIMO SAPERE
SI LEI SIETE O NUN SIETE AMERICANO
CHE DITE? FECE LUI - DE DOVE SÊMO?
SEMO DE QUI, MA COME SO' CHIAMATI
'STI POSTI - FECE - NOI NU LO SAPEMO MA VEDI SI IN CHE MODO PROCEDEVANO!
TEBASTA A DI' CHE LÌ C'ERENO NATI
NE L'AMERICA, E MANCO LO SAPEVENO
E FIGURETE ALLORA TUTTI QUELLI!
NER VÈDELI COSÌ SENZA MALIZIA,
JE COMINCIORNO A DI': FAMO AMICIZIA...
VIVA LA LIBERTÀ ... SEMO FRATELLI... E così seguita prendendo di mira ogni cosa e parlando con il buon senso di un popolano che ha un po' di cultura. Sarebbe utile leggere anche tutti questi 50 sonetti, ma ragioni di tempo me lo vietano. Riprendiamo ancora il grande poeta napoletano Salvatore Di Giacomo del quale dopo le poesie che ho letto voglio ancora leggerne una su un dramma passionale. L'uomo spiega perché ha ucciso l'amata: IO LLE DICEVA:- SIENTEME!
SIENTEME ALMENO!...I' FACCIO
NU TENTATIVO INUTELE:
SÌ NFAMA, 'O SACCIO, 'O SACCIO!... FRONNA A NU RAMO 'E N'ARBERO
'E' VISTO MAIE TREMMÁ ,
SI, TUTTO NZIEME, SBOLLERE
'O VIENTO 'E TERRA 'A FA?
T'HA FATTO MAIE SCETANNETE
NU SUONNO DINT' 'O LIETTO,
CCHIÙ FORTE, CCHIÙ SULLECETO,
SBATTERE 'O CORE MPIETTO?
'E' VISTO MAIE D' 'A CENNERE
'O FFUOCO VIVO ASCÍ ?
E N' OMMO PE NA FEMMENA
'E' VISTO MAIE MURÍ ? NO, ASSU' !... SIENTE... NUN RIDERE...
STATTI A STI PARAGONE:
CHI CCHIÙ DE TE, PO' NTENNERE,
CHI CCHIÙ STA PASSIONE?
AGGIO CHIAGNUTO A LACREME
CUCENTE, ASSUNTULE'!
COMME A NA FRONNA 'E N' ARBERO,
TREMMATO AGGIO PER TTE!...
MA VÒ TETE! MA GUARDAME!
RISPUNNEME! -IO DICEVA
DAMME STA MANO... ACCOSTETE!...
E 'A MANO MME SFUIEVA!
TUTTO NA VOTA:- LASSAME!
-ME DICETTE ESSA. -OBBI'?!
MO SI' SECCANTE!... È INUTELE!...
LASSAME, FEDERÌ !...
E SALUTAIE, VUTANNESE,
QUACCUNO CHE PASSAVA...
E... LL'UOCCHIE... LLE LUCEVANO...
DIO! DIO! COMM' 'O GUARDAVA!...
GIURICE,... CUMPATITEME...
PERDETTE 'E LUME!... -EMBÈ,
-STRELLAIE- TU SI 'NZENZIBBELE?
SI' SCELLERATA?... E TÈH! Con questo meraviglioso quadro di accorata passione, che il poeta rende con una vivezza particolare, dirò per la cronaca che il Di Giacomo oltre ai versi ha scritto anche drammi fra cui particolarmente noto il Mese Mariano per essere stato musicato, e cronache di vita Napoletana. Ma in ogni forma in cui egli scrive, anche nelle ricerche erudite, il Di Giacomo mette tutta la sua personalità di poeta e di artista. Il grande poeta morì nel 1937. Parliamo ora di un altro scrittore in versi: C. A. Salustri noto ovunque col nome di Trilussa. Egli è forse il più conosciuto di tutti i poeti dialettali di cui prima ho parlato. Ne parlo per ultimo e da parte, anzitutto perché è il più vicino a noi nel tempo, poi perché secondo il mio giudizio vale meno degli altri. Mai l'ho veduto raggiungere la poesia nei suoi versi, e non molti (nonostante la copiosa fecondità) sono i sonetti che raggiungono l'arte. Ultimamente si è acquistato una maggiore fama di quella già grande che aveva, per essere passato come scrittore antifascista. La verità è che egli in alcuni sonetti criticava il fascismo anzi più che critica era messa in ridicolo, ma in infiniti altri sonetti ridicoleggiava il socialismo, il comunismo, il liberalismo, la repubblica, la monarchia, la morale, la religione. Insomma si puo' dire l' antitutto, perciò questo alone di gloria puo' venirgli abbattuto. Il fascismo lo sopportava proprio perché non era il solo ad essere preso di mira, e serviva al regime per poter far credere che c'era libertà di stampa. Il Trilussa spesso è scurrile, ma la sua volgarità è non sviluppo normale di una situazione, ma ricerca di un mezzo per destare l'ilarità. Frequentemente nella critica alla morale, il suo è cinismo. Qualche volta come ad esempio in "Lino e Mollica" la delicatezza iniziale si perde nel finale. La maggior parte delle volte i suoi versi sono ricerca di paradossi e di storielle per fare ridere uniti ad una esuberanza versaiola. Ciononostante alcuni sonetti sono belli oltre che nella forma anche nella sostanza. In "Er sorcio de Città e er sorcio de Campagna" MA QUI, SI RUBBI, NUN AVRAI RIMPROVERI:
LE TRAPPOLE SO' FATTE PE' LI MICCHI:
CE VANNO DRENTO-LI SORCETTI POVERI,
MICA CE VANNO LI SORCETTI RICCHI! In "Er leone ariconoscente" rinnova la favola del topo e del leone con il tenente e il leone MANTENNE LA PROMESSA PIÚ MEJO D' UN CRISTIANO;
RITORNÒ DAR TENENTE E DISSE : - AMICO,
LA PROMOZZIONE È CERTA, E TE LO DICO
PERCHÉ ME SÒ MAGNATO ER CAPITANO. In "Er buffone" il re della foresta ha bandito un concorso fra tutte le bestie per un buffone di corte, ma nessuno riesce a farlo ridere finché dice LASSAMO ANNA' : NUN È PE' CATTIVERIA.
MA L' OMO SOLO È BONO A FA' ER-BUFFONE
NOJANTRI NON CI AVEMO VOCAZZIONE,
NOJANTRI SEMO GENTE TROPPO SERIA! In "Er gallo e er cane" mentre il gallo si vanta di cantare perché il proletario si svegli per andare al lavoro AHO'! NUN ME FA' TANTO ER SOCIALISTA,
JE DISSE ER CANE - INTANTO NUN M' INCANTI:
NUN M' HAI DA DI' CHE CANTO COR PRETESTO
DE SVEJAì CHI FATICA E CHI LAVORA:
PIUTTOSTO DI' COSÌ : - CANTO ABBONORA
PERCHÉ LA SERA VADO A LETTO PRESTO!- In "Er coccodrillo" carino, mentre moglie e marito stavano sdraiati in riva al fiume appare un coccodrillo LA MOJE CH' ERA SVERTA,
S'AGGIUSTÒ LI RICCETTI E SCAPPÒ VIA. In "La guerra" il cavallo si rifiuta di portare l'uomo - NO, NUN CE VENGO - DISSE - E ME RIBBELLO
ALL'OMO CHE T' HA MESSO L' ODIO IN CORE
E TE COMANNA DE SCANNA' UN FRATELLO
IN NOME DER SIGNORE!
In "La campana de la Chiesa" la campana domanda come mai al suo rintocco la gente non viene più numerosa come prima. un angioletto risponde NUN DIPENNE DA TE CHE NUN SEI BONA,
MA DIPENNE DALL' ANIMA CRISTIANA
CHE NUN SE FIDA PIÙ DE LA CAMPANA
PERCHÉ CONOSCE QUELLO CHE LA SONA! In "Er brindisi de re Bajocco" il re domanda parere al buffone di come deve fare il brindisi, ed egli glielo dice: bevi a questo, a quello e SE AVANZA LA SCIAMPAGNA
BEVI AR POPOLO... CAPISCO
CHE TU BEVI E LUI NON MAGNA,
MA SCHIAFFALLO IN UN BANCHETTO
JE FA SEMPRE UN CERTO EFFETTO. In "Carità cristiana" un chierichetto per castigare un gatto di qualche porcheria gli rompe un ombrello sulla schiena. Il prete allora disse: CE VÒ UN CORACCIO NERO COME ER TUO
PE' MENAJE IN QUER MODO... POVERELLO!...
-CHE?- FECE ER CHIERICHETTO - ER GATTO È SUO?
ER PRETE DISSE: -NO... MA È MIO L' OMBRELLO!- In "Zi prete" SICCOME STO DE CASA CO' MI ZIO,
CH'ADESSO È MONSIGNORE, JE FO VEDE
CHE L'UBBIDISCO IN TUTTO QUER CHE CHIEDE
PE' DIVERSE RAGGIONI CHE SO IO.
-NUN BIASTIMA!!- ME DICE: E CE POI CREDE
CHE- NUN ME SCAPPA PIÙ MANCO UN PERDÌO.
DICE: -CE VÒ PIÙ FEDE, CARO MIO...-
E M' È CRESCIUTA SUBBITO LA FEDE.
CIAVEVO QUARCHE AMICO FRAMASSONE:
DICE:-NUN VOJO... - E IO DA BON CRISTIANO
CE PARLO D' ANNISCOSTO NER PORTONE L'ORTOLANO E ER DIAVOLO
C'ERA 'NA VORTA UN POVERO ORTOLANO
CHE, SE J' ANNAVA UN PELO ALL' INCONTRARIO,
DAVA DE (FIENO?) A TUTTO ER CALAMARIO,
METTEVA IN BALLO ER PARADISO SANO;
DIO GUARDI! COMINCIAVA A BIASTIMÀ :
-CORPO DE...! SANGUE DE...! MANNAGGIA LA...!
UN GIORNO, MENTRE STAVA A TAJA' UN CAVOLO
E CHE PE' SBAJO TAJÒ INVECE UN BROCCOLO,
COME FACEVA SEMPRE ATTACCÒ UN MOCCOLO:
PERÒ , 'STA VORTA, SCAPPÒ FORA ER DIAVOLO
CHE L' AGGUANTÒ DA DOVE L' IMPIEGATI
CIANNO LI PANTALONI PIÙ LOGORATI.
nER SENTIRSE PER ARIA, STRAPORTATO,
L' ORTOLANO DICEVA L' ORAZZIONE,
PREGAVA LE MEDESIME PERSONE
CHE POCO PRIMA AVEVA BIASTIMATO!
- DIO! CRISTO SANTO! VERGINE MARIA!
M' ARICCOMANNO A VOI! MADONNA MIA!
ER DIAVOLO, A 'STI NOMI, È NATURALE
CHE APRÌ LA MANO E LO LASSÒ DE BOTTO:
L'ORTOLANO CASCÒ , COME UN FAGOTTO,
SOPRA UN (PRAJONE?) SENZA FASSE MALE.
-L' HO AVUTA BONA! - DISSE NER CASCÀ -
CORPO DE...! SANGUE DE..! MANNAGGIA LA...!
L' EDITTO
DICHENO CHE UNA VORTA
UN PRETE NUN ENTRÒ NER PARADISO
PERCHÉ TROVÒ 'ST' AVVISO SU LA PORTA:
"D' ORDINE DE DIO PADRE ONNIPOTENTE
É PERMESSO L' INGRESSO SOLAMENTE
A QUELLI PRETI CH' HANNO MESSO IN PRATICA
LA CASTITÀ, LA CARITÀ , L' AMORE
CHE PREDICÒ GESÙ NOSTRO SIGNORE.
SE QUARCHIDUNO HA FATTO ALL' INCONTRARIO
SARÀ MANNATO SUBBITO A L' INFERNO.
FIRMATO: ER PADRE ETERNO.
SAN PIETRO, SEGRETARIO.
- POVERO ME! SÓ FRITTO!
- DISSE ER PRETE FRA SE - FRA TANTI MALI
CIAMANCAVA L' AFFARE DE 'ST' EDITTO!
CHI DIAVOLO SARÀ CHE JE L' HA SCRITTO?
NATTURALMENTE, L'ANTICRERICALI...
Ed ho finito anche con il Trilussa. Qualche altro avrebbe potuto certamente trattare meglio di me e con più profonda cognizione questo argomento, ma poiché nessuno lo trattava, ho creduto utile farlo io con la speranza che questo mio modesto saggio riesca a fare ciò che mi ero proposto, cioè a spingere altri a conoscere questa parte della letteratura nostra che se non sempre è la migliore dal punto di vista artistico ha contribuito non poco a mettere in luce la bontà, la profonda moralità, il buon senso, il buon umore paesano di questi nostri popoli d'Italia.
 


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in: Inventari generici; Id: 51586+++
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Titolo Relazione dattiloscritta probabile 1951


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