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tipologia: Autorità - ISAAR(CPF) (ex Autorità e personaggi); Id: 83+++


Area dell'identificazione
Categoria del nome persona | sesso maschile
Forme primaria nome
Frediani, Giovanni <1916- 2005>   
   
   
   
   
Altre forme del nome
Giovanni Frediani   
sig. Giovanni Frediani   
rag. Giovanni Frediani   
Frediani rag. Giovanni   
Capo Ufficio Sezione Contabile Frediani rag. Giovanni   


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Breve biografia

[tratto dal resoconto di Elio e Lucio Varriale inviato per la pubblicazione su «Lares» [ad oggi non pubblicato] come atto del Convegno Le Fonti Orali - Archivi, Storie, Passioni, Competenze, Progetti - Poggibonsi 20/21 aprile 2007]

Giovanni Frediani nasce a Livorno il 13 ottobre 1916 da Arturo Frediani e Giuseppina Pedicchio. La famiglia vive col solo stipendio del padre, portalettere, ma lui potrà comunque studiare e prendere il diploma di ragioniere. Durante l’arco degli studi, insieme agli amici Lazzerini e Cohen forma una forte coscienza antifascista. Nel 1936 vince un concorso alle Poste e viene assunto a Domodossola, in provincia di Novara. Lì a ventuno anni si sposa con Elsa Bartoli. Negli anni che seguono sarà trasferito prima a Massa Carrara, poi Genova e nel 1942 a Livorno. Durante la guerra sfolla all’“Isera” di S. Miniato, poi a Peccioli, infine a Varicandoli. Finita la guerra, dopo una breve parentesi livornese, torna a lavorare alle poste di Domodossola, dove intraprende una fervida attività culturale nella “Associazione Culturale Ossolana” di cui è tra i fondatori, organizzando eventi e dibattiti (fra i quali quelli con Giulio Trevisani e Gisella Floreanini), allacciando contatti con noti esponenti della politica e della cultura impegnata a sinistra; per breve tempo è nominato segretario locale del PCI, ed inoltre scrive regolarmente articoli sia sui giornali locali, sia come corrispondente di «Paese Sera» (edizione di Milano). In questo periodo la sua casa è uno dei luoghi di incontro e dibattito più fertili di tutta la Val d’Ossola. Nel 1958 ottiene il tanto atteso trasferimento alle poste di Firenze e vive a Scandicci fino alla sua morte, avvenuta nel dicembre del 2005. A Scandicci prende contatto col PCI locale e viene nominato fra l’altro nell’Amministrazione Comunale di Orazio Barbieri, dove diventa Assessore alla Pubblica Istruzione e Cultura. Organizza numerosi eventi culturali con Arbuez Giuliani della Biblioteca Civica Mario Augusto Martini, con la Casa del Popolo “il Ponte”, con il cinema Manzoni. Dai cineforum ai dibattiti con Cesare Zavattini, con Ernesto Balducci, con Luigi Nono, Guido Aristarco, fino alle mostre di arti figurative di artisti come Silvio Loffredo, Antonio Bueno, e quella del premio Suzzara. Una vita caratterizzata dall’impegno nello sviluppo culturale, nella coscienza della cultura cortese, borghese e nel loro superamento, verso una consapevolezza della cultura popolare, auspicando ad esempio per il dialetto una pari dignità con la lingua italiana, argomento che dal convegno e dagli studi ossolani dagli anni Quaranta in poi non dimenticava mai di affermare. Citando una bellissima poesia di Ignazio Buttitta: «Un populu / mittitilu a catina/ spugghiatilu/ attuppatici a vucca, / è ancora libiru // Livatici u travagghiu / u passaportu / a tavula unni mancia / u letto unni dormi, / è ancora riccu. // Un populu / diventa poviru e servu / quannu ci arrobanu a lingua / adduttata di patri: / è persu pi sempri. // Diventa poviru e servu, / quannu i paroli non figghianu paroli / e si mancianu tra dìiddi.»




Frammenti delle interviste1:

«Quando c’erano i romanzi a puntate, mia mamma era l’unica che sapeva leggere nello stabile, e faceva la lettrice, quando arrivava, – uh, è arrivata la dispensa – e allora tutti poi nel pomeriggio venivano ad ascoltare la puntata del romanzo. […]

Le strade erano nostre, automobili ce ne sarà state, ce n’era… in Borgo Cappuccini io ne conosco una, che era di Von Berger, probabilmente il nome era tedesco, era un medico, e l’unica automobile che c’era era [la sua]… altri, c’erano i barrocci, perciò la strada era nostra. La luce per le strade non c’era, c’era la luce a petrolio, che ogni sera c’era quello addetto che andava a accendere, e la mattina a spengere.»


«Nel trentaquattro, che avevo diciott’anni, feci il concorso. Per fare il concorso, nella posta, come in qualsiasi altro posto statale, dovretti iscrivermi al partito fascista, ai fasci giovanili, perché se no non si poteva. Nei documenti da presentare nella domanda per fare il concorso c’era anche l’iscrizione, se no niente, si doveva esser per forza iscritti. Feci il concorso nel trentaquattro, vinsi il concorso e dal primo gennaio del trentasei mi chiamarono a Novara. Durante il periodo quando presi la licenza di computista commerciale […]

Poi sono andato via, a Domodossola. A Novara un mese, poi mi mandarono a Domodossola. A Domodossola ci ho trovato quella che poi diventò mia moglie.»


«Però io, di idee di sinistra, mi sono consolidate soltanto quando ho avuto l’amicizia di Sergio Lazzerini. Sergio Lazzerini era figliolo di un comunista, macchinista delle ferrovie, che chiamavano, di soprannome era “Caldaia”, e era comunista, ma proprio di famiglia, Io ho avuto la fortuna di bocciare in seconda media, perchè se no non lo trovavo mai Lazzerini. Siccome Lazzerini era del 1917, era un anno più giovane di me. [...] Si diventò amici, ma amici così cari, l’hai letto prima che mi era venuto a trovare a Domodossola. Lui poi aveva seguitato gli studi, era diventato dottore in scienze delle finanze, eccetera eccetera, si era impiegato alla dogana di Genova, aveva vinto il concorso, e a Genova io l’ho ritrovato poi nel trent... dopo. [...] A Genova lui era segretario di redazione, anche, oltre a fare l’ispettore di dogana, era segretario di redazione dell’Unità. E con lui ho imparato tante cose, perchè poi lui m’ha indirizzato anche a leggere tutto Voltaire, non so, tutti.. insomma i francesi, e così son diventato comunista, tant’è vero che poi con lui ho trovato, il primo, verso gli anni sarà stato ’36... ’34, nel 1934 mi sono iscritto, ma non c’era un’iscrizione. E andavo a portare le copie dell’Unità clandestina, che era un foglio così, c’eran tutti i sottoscrittori, fatti ce n’eran pochi [...]»


«Quando scoppiò la guerra, cominciarono i bombardamenti su Livorno, allora noi si prese e come tanti livornesi […] tanti presero e andarono a sfollare. Noi ci s’aveva questi parenti, che erano i parenti della nonna. Il babbo della nonna veniva da San Miniato, veniva da Isola di San Miniato. Poi com’era sfollato lui, il suo fratello Enrico e suo fratello Luigi […] Dove si andò, a San Miniato, c’era uno dei fratelli, Nando, che stava lì. […] ed aveva una terra, insomma. Si stette lì fino a che non si dovette sfollare, perché venivano i tedeschi. Dunque lì c’era il figliolo di Nando, che era Livio. […] Dunque i tedeschi a un certo punto arrivarono e ci presero. Presero anche me, e ci portarono durante la notte al di là dell’Elsa. […] Durante la notte questo cognato di Livio disse, mentre i tedeschi stavano dormendo, disse – ragazzi, io so un posto dove traversare il fiume a piedi, così, a guado –. Allora zitti zitti, trr trr trr, e si traversò il fiume, e poi non ci presero più […]

Sicchè si dovette scappare, andare su a San Miniato. A San Miniato successe che, appena s’arriva, a piedi, il mio zio col maiale al guinzaglio come fosse un cane…perché se no se si lasciava lì i tedeschi se lo mangiavano. Si arriva a San Miniato e viene uno che non so capire chi sia stato, se era un fascista o no insomma, e ci disse andate in chiesa, così siete più sicuri… e io dissi no, io non mi fido della chiesa, preferisco andare nella campagna qui di San Miniato[...]»


1 Il documento da cui sono tratti i brani seguenti appartiene al fondo proprio dell'Istituto (Fondo IdMiS): le inteviste sono state svolte da Elio e Lucio Varriale a Giovanni Frediani tra il 2001 ed il 2005.

Inserito da Elio Varriale x IdMiS il 4/8/2011 4:59:57 PM, modificato il 8/16/2014 2:20:53 PM


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