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tipologia: Analitici; Id: 1472470


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo (Mito e civiltà moderna) Vittorio Lanternari, Frammenti religiosi e profezie di libertà fra i popoli coloniali
Responsabilità
Lanternari, Vittorio+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
FERMENTI RELIGIOSI E PROFEZIE DI LIBERTA
FRA I POPOLI COLONIALI (1)
Fremiti di rivolta scuotono il Congo Belga, il Nyassa, l'Africa Equatoriale Francese. Sono di ieri i moti sediziosi del Kenya e dell'Africa occidentale. Per l'etnologo e per lo storico delle religioni che non abbia veli sugli occhi — come invece può esser indotto ad avere il funzionario coloniale — ciò non é una sorpresa. È l'eco conturbante ma per nulla inatteso di fermenti religiosi — ancor prima che politici i quali hanno maturato e vanno sconvolgendo la cultura dell'Africa Negra da oltre un cinquantennio con vigore crescente. Alla radice di ogni rivolta politica e militare di popoli indigeni stanno effettivamente altrettanti moti di rinnovamento religioso premonitori, cioè i culti profetici di liberazione.
Essi son venuti fiorendo nell'Africa Negra, dal Sud Africa alla Rhodesia, al Tanganika all'Africa Equatoriale e Occidentale, all'Ango-la, al Congo all'Uganda al Kenya, ecc. Ma altri numerosissimi sono venuti sviluppandosi e via via diffondendosi, dove piú presto dove più tardi, in Melanesia, Polinesia, Indonesia e nell'America indigena settentrionale e meridionale. Di pari passa con l'urto tra cultura egemonica e culture aborigene: soprattutto via via che le conseguenze dell'urto si son fatte pressanti e sconvolgenti — specialmente a seguito delle due guerre mondiali — i movimenti profetici dei popoli indigeni si sono imposti all'attenzione delle amministrazioni coloniali e delle chiese occidentali, oltreché della cultura moderna. Essi rappresentano il prodotto spontaneo dell'urto culturale tra aborigeni e bianchi: estranei pertanto a qualsiasi propaganda o gioco politico di grandi potenze moderne. Del resto la stessa natura religiosa dei movimenti di rinnovamento di cui andiamo a parlare denuncia una caratteristica propria delle culture native: le quali sono portate, da una tradizione culturale
(1) II materiale presentato in questo saggio fa parte di un volume di prossima pubblicazione per la Casa Ed. Feltrinelli.
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maturatasi attraverso esperienze di miseria e soggezione d'ogni sarta, a reagire contro l'oppressione, la preoccupazione, la frustrazione, su terreno religioso oltre e prima che su terreno organizzativo-politico. A tal punto ogni loro manifestazione culturale, d'ordine economico e sociale, politico, artistica, filosofico ecc., é tradizionalmente permeata di spirito religioso.
Altrettanti culti profetici hanno preceduto, accompagnato, ispirato le più crude reazioni dell'irredentismo indigeno alle invasioni territoriali dei bianchi. E ogni qualvolta le radicali pretese di espulsione degli Europei dal territorio nativo sono venute meno, definitivamente frustrate come nel caso degli Indiani delle praterie o dei Maori della Nuova Zelanda, allora altri, nuovi culti profetici sono sorti: essi annunciano e promuovono programmi di autonomismo culturale e religioso, reagendo alla politica di segregazione razzista, di assimilazione forzata, di detribalizzazione e deculturazione perseguita dalle amministrazioni coloniali nonché dalle chiese missionarie.
I culti profetici sono formazioni religiose estremamente varie e complesse. Se per un verso in essi si esprime il bisogno di rinnovamento della cultura nativa venuta a contatto con la cultura a moderna » e si instaurano determinati, necessari rapporti con i bianchi (oltre e al di sopra della polemica anticolonialista), da un altro verso essi risultano profondamente legati alla tradizione religiosa indigena e, attraverso questa, alle varie esperienze esistenziali d'ogni cultura. Pertanto l'intero corredo mitico-rituale di ciascuna cultura riaffiora in ogni formazione profetica, sia pure attraverso rielaborazioni, trasformazioni più o meno consapevoli, revisioni e scelte volta per volta determinate dalle stesse esigenze di sopravvivenza e di salvezza in quanta nucleo culturale autonomo.
Da una parte i culti profetici indigeni sono documento sconcertante e inoppugnabile del dinamismo insito nelle culture a livello etnologico : e bastano da soli a far cadere come irrisoria ogni antica illazione circa una pretesa staticità della vita culturale e religiosa di queste civiltà. D'altra parte essi sanciscono, con il loro anelito di libertà, con l'ansia di salvezza terrena da cui sono animati i proseliti, la funzione profana delle religioni cosiddette « primitive » e in definitiva di ogni religione popolare: funzione volta alla risoluzione di concrete crisi esistenziali determinate dalla dinamica storica: funzione che consiste nell'instaurazione di forme adeguate di riscatto mitico-rituale.
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Uno degli epicentri dei movimenti profetici africani é la regione compresa fra l'una e l'altra riva del Medio e Basso Congo (Congo Francese e Belga), con irradiazioni nell'Africa Equatoriale Francese e nell'intero Congo Belga.
In qual modo e con quasi specialissimi effetti ivi s'incontrino il Cristianesimo e la religione locale già s'intravvede sintomaticamente da un'antica notizia. Un Cappuccino il quale agli inizi del sec. 18° operò fra i Bakongo per riordinare le missioni del Regno indigeno del Congo, incontrò una strana profetessa, Donna Beatrice. Costei si vantava di aver ricevuto visioni e sogni vaticinatori, nonché un'esperienza di morte e rinascita, in base a cui era convinta di reincarnare in sé S. Antonio. Ella annunciava imminente il di del Giudizio finale. Fra gli «angeli» da cui si lasciava contornare, uno ne prescelse (sedicente San Giovanni), con cui visse e da cui ebbe un figlio. Ella fondò un movimento « Anta niano », subito seguito da numerosi proseliti, volto alla restaurazione del regno di San Salvador e al ripristino di antichi costumi tradizionali condannati dai Missionari. Il missionario fece mandare al rogo la profetessa, ma gli adepti della setta — che a mire politiche di restaurazione univa evidenti pretese di conservatorismo religioso, antimissionario e anticristiano — sopravvissero a lungo. E un primo esempio del sincretismo pagano-cristiano. In esso si attua un culto paganizzato di S. Antonio, dove il santo cristiano — in base all'iconografia corrente secondo cui egli regge il bambino Gesù — viene interpretato come figura divina preposta alla fecondità-fertilità (2). Del resto il sincretismo Bakongo-cristiano comporta un altro elemento quanto mai sintomatico. Tra i feticci magici impiegati per favorire la caccia, viene impiegato ordinariamente il crocefisso (3). E dunque un sincretismo nel quale gli elementi portati dai missionari sono reinterpretati in funzione clamorosamente pagana, perdendo ogni valenza caratteristicamente cristiana. L'esempio è eloquente a mostrare su quale linea si svolga, anche nei successivi sviluppi, l'incontro tra due mondi culturali così eterogenei: da un lato le forme religiose indigene legate alle esigenze vitali più immediate — fecondità, fertilità, buon successo alla caccia —, dall'altro il Cristianesimo, nato dalla crisi di civiltà urbane medio-orientali ed occidentali, improntato ad esigenze di tutt'altro ordine e inadeguato, almeno nelle forme genuine europee, ai bisogni religiosi locali.
(2) J. Juvelier, Relation sur le Congo du Père Laurent de Lucques (1700-1717). Bruxelles 1953.
(3) R. Wannijn, Objets anciens en metal du Bas Congo, « Zaire », V, 1952, 391-94.
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Uno dei tratti religiosi peculiari delle culture congolesi, come si vede, è il feticismo, o impiego cultuale e socialmente utile di oggetti opportunamente confezionati e pertanto « caricati » di valore taumaturgico. Ora il feticismo è in stretto rapporto con le prime manifestazioni profetiche di questa grande regione (4) : manifestazioni che presentano fin dapprincipio, e che poi continueranno a serbare fino ai giorni recenti, la combinazione — per null'affatto ingiustificata come vedremo — di due essenziali caratteri, cioè un intento dichiaratamente xenofobo ostile ai bianchi, una funzione di protezione dalla magia nera.
È del 1904 il primo grande movimento profetico, ed ha carattere tipicamente feticista e insieme xenofobo. Il fondatore fu Epikilipikili, taumaturgo autore e divulgatore di un nuovo feticcio (bwanga), composto di polveri e parti di animali, dotato di speciali poteri contro ogni forza ostile, e in particolare contro la magia nera. Fu fondata un'organizzazione magica che guadagnò proseliti via via in regioni più vaste e ottenne il consenso dei capi locali. La ricetta tra l'altro doveva immunizzare gli indigeni dai proiettili sparati dai bianchi. In realtà l'organizzazione magica di Epikilipikili è il prototipo e la forma embrionale di quelle numerose società segrete (Mani di Boma, Punga o Muana Okanga fra i minatori del Katanga, Nebili degli Azande, ecc.) che nell'Africa centrale e occidentale dovevano svilupparsi, sul ceppo di precedenti associazioni tribali di mutua difesa contro la magia nera, caricandosi di una precisa funzione antioccidentale. Fatto sta che un anno dopo la costituzione della setta di Epikilipikili, nel 1905, scoppiava una sanguinosa rivolta contro i bianchi nel Kasai (fiume Sankuru) : ed altri moti, pur essi fondati sul medesimo culto feticista, si propagavano nelle regioni del Cuango e della Lukenie (5). I fondatori di questi culti segreti imponevano rigide norme di resistenza passiva contro i colonizzatori europei: boicottaggio delle merci, dei tessuti, del sale, rifiuto di pagare tributi e di prestare servigi ai bianchi.
Così iniziarono, con la qualifica di veri culti religiosi di libertà, i primi moti antieuropei. Se, come avvenne nel 1905 e nei successivi episodi, i fucili dei bianchi avevano la meglio contro le sedizioni e le soffocavano, era facile agli indigeni convincersi che la sconfitta dipendeva da trasgressioni commesse alle, norme cultuali. Infatti le varie associazioni segrete svolgevano riti particolari.
(4) Comhaire, « Africa », 1955, 55.
(5) De Jonghe, pp. 56-7.
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Più tardi, nel sud-ovest della stessa provincia del Kasai, i Bashilele si univano in un'analoga organizzazione fondata sull'uso di una panacea (nkisi) o feticcio, che ingerito dagli iniziati li avrebbe immunizzati da malattie e dai perniciosi effetti degli stregoni (ndoki): era la società Lukusu (—Lukoshi=Nkisi Lukoi). Ma essa doveva ben presto sboccare nel culto del «Serpente parlante » (uomo-serpente), con funzione protettiva contro ogni sorta di mali. Con ciò essa appare come una forma locale di quel grande complesso di culti segreti, e delle relative società di uomini-bestie che rappresentano uno dei lineamenti più notevoli della religione dell'Africa equatoriale: associazioni intese a procurarsi potenza (magica) contra ogni creatura e forza ostile. Ma qui importa sottolineare che nell'ambito dell'associazione del Serpente parlante dei Bashilele si sviluppava un mito nuovo e chiaramente anti-europeo. Dal serpente, seconda il mito, sarebbero nati alcuni profeti o messia i quali avrebbero lottato contra la nazione egemonica e scacciato i bianchi dal paese (6). Così si scorge come le varie formazioni religiose tradizionali africane, del resto già sorte con funzioni di protezione dai mali e dagli stregoni (feticismo, società di uomini-bestie), a seguito dell'aggravarsi dell'urto culturale tra indigeni e bianchi si trasformavano in senso nettamente xenofobo, anti-europeo. In realtà l'esperienza di urto coi bianchi si rendeva sempre piú drastica, e coinvolgeva tutte le forme religiose tradizionali: tanto più quelle volte già a un intento esplicitamente salvifico, di guarigione, di padroneggiamento delle forze maligne.
Secondo la credenza dei Bashilele diffusasi nel 1933 (il Congo
Belga era stato costituito come colonia belga nel 1907: il contatto europeo dava i primi frutti in campo religioso e politico insieme) — l'avventa del messia liberatore sarebbe stato contrassegnato da eventi catastrofici, cioè il ritorna collettivo dei morti, l'eclisse solare; un cane nero avrebbe fatto la sua comparsa tra i villaggi parlando agli uomini. Indi sarebbe apparso un uomo in parte bianco, in parte nero. Gli aborigeni avrebbero potuto assicurarsi un inconcusso potere contra i bianchi bevendo da speciali tazze, cariche di virtù magica. Cominciarono di fatto a indirsi riti segreti, nottetempo, presso le tombe degli antenati; si sospese ogni lavoro di coltivazione, insomma si attese che i morti tornassero, portando seco ogni ricchezza e benessere, inaugurando un'epoca nuova e beata (7).
(6) De Jonghe, pp. 58, 61-3.
(7) De Jonghe, 60.
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E qui posto in tutta chiarezza e con tutte le sue connotazioni più tipiche il mito della fine e rigenerazione del mondo, che intimamente congiunto con il mito di espulsione dei bianchi sta al fondamento di infiniti culti profetici di liberazione. Il mito esprime l'esigenza di un'era di libertà e di benessere, contra l'attuale stato d'oppressione e miseria. Il ritorno dei morti, l'eclisse solare, l'avvento del cane parlante e dell'uomo bianco-nero, la cessazione del lavoro sono altrettante manifestazioni d'un tema mitico — lo sconvolgimento dell'ordine attuale e relativa palingenesi attuati per annuncio di un messia — che costituisce il nucleo di ogni culto profetico. In esso rifluiscono via via le forme religiose tradizionali — mito dei morti che tornano, uso di bevande magiche, ecc. — rielaborate in vista di una funzione nuova, che non appartiene alla tradizione ma è prodotta dall'urto fra la cultura subordinata ed egemonica. La nuova funzione consiste nella liberazione dai bianchi, nell'acquisizione di un più alto livello di vita, il cui desiderio
acuito appunto dal confronto dei sopravvenuti stranieri, apportatori di un'ignota cultura industriale e di straordinari strumenti di supremazia.
E da notarsi che nell'atto stesso in cui nasce (o si rielabora) il mito della fine del mondo, esso si carica di un'attualità e concretezza che gli vien data dal rito corrispondente: infatti l'intera collettività — come s'è visto — entra, per cos' dire, nella fine del mondo, esce ritualmente dalla storia (dall'ordine), in un'atmosfera di esaltazione religiosa che, attraverso la cessazione di ogni consueta attività economica e nell'attesa della rinascita cosmica, a suo modo realizza quel mito.
Se da un canto, dopo la fine della prima guerra mondiale, s'incrementavano nel Congo le società segrete antistregoniste xenofobe specie nell'ambiente detribalizzato dei lavoratori urbani al servizio dei bianchi, nell'ambiente tribale originario nascevano veri e propri movimenti profetici con marcato influsso cristiano.
Dal 1921, con la forte personalità di Simon Kimbangu, emerge, su un terreno culturale ben preparato e fecondo, quella pianta destinata a ingrandirsi e proliferare, che è il movimento Kimbangista o Gunzista (Ngunzi—profeta), sboccato via via, attraverso le sue molteplici rielaborazioni, da un lato nella fondazione di chiese autonome indigene e d'altro lato nelle forme d'irredentismo organizzato e politicamente consapevole di cui perviene l'eco oggi in Europa. La storia di questo movi-
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mento congolese é una fioritura di figure profetiche, da Kimbangu ad André Matsúa, a Simon Mpadi — arrestati ripetutamente o deportati —, a Mavonda Ntangu ed altri ancora, mentre spiccavano in altri territori figure come Muana Lesa, impiccato in Rhodesia nel 1926. In tutti si fa notevolmente sentire un influsso missionario tipicamente protestante, basato sulla Bibbia e in special modo sull'Antico Testamento. Ma si tratta di un Cristianesimo « paganizzato », poiché se parziali elementi biblici sono accettati, essi sono scelti e rielaborati in funzione «indigenista» ed anti-bianchi. La posizione di questi profeti certo é decisamente impegnata di fronte al Cristianesimo, ma in modo tale da trasformarne totalmente valore e significato.
Educato a Nkamba, roccaforte del Protestantesimo da una missione Battista britannica, Simon Kimbangu ebbe intensi rapporti con la cultura europea, oltreché per le Missioni, per aver prestato servizio presso una famiglia europea nella città di Kinshasa. Nel 1921, attraverso ripetuti sogni e visioni, ricevette in forma definitiva la sua vocazione a farsi servo di Dio e a predicare la nuova fede al suo popolo. La « chiamata » proveniva direttamente dall'Essere supremo di antica tradizione Bakongo, identificato ormai con il Dio giudaico-cristiano: gli ingiungeva di tornare in patria come profeta. Compiendo miracolose guarigioni e resurrezioni, si guadagnò in breve uno stuolo di proseliti. Ripetendo evidentemente l'atteggiamento mosaico, predicava la lotta iconoclasta contro i feticci, l'osservanza della monogamia, la fede nel Dio unico. Un pullulare di nuovi profeti segui alla sua azione pro-selitistica. Posseduti da « spiriti », essi entravano in convulsioni, compivano danze, canti, acrobazie (8). I passi biblici prescelti da Kimbangu contenevano un chiaro significato polemico nel confronto dei bianchi. Quando l'amministratore di Thysville si recò da lui in visita, egli stava svolgendo una predica, e leggeva la storia di David e Golia. Invitato a colloquio dal funzionario, continuò imperterrito la sua allocuzione voltandogli le spalle (9). Per i Congolesi egli divenne ben presto il profeta del « Dio dei Negri », in antitesi al « Dio dei missionari cristiani ». Il suo messaggio profetico annunciava imminente la liberazione dai bianchi — anche dai missionari —, il rinnovamento delle condizioni di vita, il ritorno dei morti, l'età dell'oro. Nel contempo egli diffondeva la conoscenza della Bibbia, accettava il battesimo, la confessione, un rituale fondato su canti religiosi desunti dalla Bibbia. Ma il culto dei
(8) Andersson, 49-60.
(9) Andersson. 62.
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morti restava come elemento tradizionale nel nuovo culto kimbangista. La sua azione, sincretistica nel contenuto, ma chiaramente polemica verso i colonizzatori e volta all'emancipazione religiosa dei Negri, favoriva un'atmosfera sempre più ostile ai bianchi, vagheggiava la fondazione di una « chiesa nativa » (10). Ormai perseguito dall'autorità amministrativa, Kimbangu veniva arrestato, fuggiva, ma poco dopo si sottometteva volontariamente all'arresto, anche in ciò esprimendo il suo atteggiamento di « imitatore di Cristo ». Moriva più tardi in carcere a Elisabethville nel 1950 (11).
Al di là della intransigente polemica anti-bianchi, il Kimbangismo rappresenta un momento notevolmente avanzato, e nello stesso tempo dimostra quale sia il preciso, inderogabile limite nel processo di rinnovamento della cultura religiosa aborigena al contatto con la cultura cristiana. In effetti nel Kimbangismo alcuni essenziali elementi della tradizione culturale aborigena — culto di guarigione, tema del ritorno collettivo dei morti, figura di un Essere supremo, ecc. — vengono ri-plasmati entro un complesso di nuovo genere, che costituisce un rinnovamento — non una semplice continuazione — della tradizione: p. es. l'iconoclastia antifeticista, che pur ha indubitabili legami con l'anti-stregonismo delle società segrete, é un elemento di rottura con la piú antica tradizione magica (12). D'altra parte il Cristianesimo portato dai missionari in esso viene esplicitamente reinterpretato in funzione eman-cipazionista, e pertanto fondamentalmente trasformato. Così ii Dio unico giudaico-cristiano s'innesta sulla tradizionale figura di Essere supremo, la Bibbia é riconosciuta come fonte unica di autorità religiosa, ma viene tuttavia interpretata in funzione delle esigenze aborigene di libertà (la lotta di David e Golia diventa un'allegoria mitica della lotta religiosa di liberazione dei Negri contro i Bianchi); infine lo stesso profeta si configura come reinterpretazione vivente di Mosè e di Cristo, del quale ultimo ripete la persecuzione, la passione, la latta spirituale per una nuova religione. In realtà i germi di emancipazione religiosa così seminati dal profeta Kimbangu dovevano ulteriormente svolgersi e fruttificare quando il profeta, mercé la sofferta prigionia, diveniva più che imitatore dei grandi fondatori religiosi, fondatore e martire egli stesso,
(10) E.alandier 1955, 428-31; Andersson, 63.
(11) Andersson, 63-7.
(12) Si noti tuttavia che lo stregonismo e il feticismo sono fenomeni ben differenti, il primo (magia nera) avendo valore antisociale, il secondo invece essendosi volto contro il primo, a difesa della società.
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alla pari di Cristo e di Mosè, di una religione direttamente rivelata da Dio per i Negri.
In tal senso il Kimbangismo, come ogni movimento profetico, ha una sua netta ambivalenza, perché se da un lato é il prodotto di reazione polemica alla politica di forzata assimilazione religiosa connaturata alla propaganda missionaria, dall'altro lato rappresenta il veicolo all'accettazione di notevoli elementi cristiani da parte nativa. Senonché anche tale accettazione é condizionata ad una decisa esigenza di autonomia ed emancipazione religiosa. Non per nulla il Kimbangismo, già nella sua forma originaria, enuncia il bisogno di una chiesa « nativa ». Il principio verrà ben presto attuato dai successori del fondatore, ma già il Clan nazionale Negro è una sorta di chiesa nativa (13). Il principio della « chiesa nativa » denuncia un fenomeno particolarmente importante: che se il contrasto con la cultura orientale é valso a porre i Nativi di fronte alla necessità di un profondo rinnovamento culturale, la « via » di tale rinnovamento vuole e deve essere scelta dagli stessi Nativi, fuori e contro ogni imposizione dei bianchi.
La deportazione di Simon Kimbangu non valse a spegnere il movimento religioso da lui fondato. Gli indigeni continuavano a seguirne
i riti in modo clandestino nelle foreste, mentre nuovi profeti mantenevano viva la fiamma del Kimbangismo o Gunzismo (14), il quale attraverso alterne fasi di reviviscenza e repressione, tra arresti e deportazioni, penetrò profondamente nel Congo fino al 1930, quando sorse un'altra grande personalità, André Matsúa (15).
Nativo del gruppo Balali (tribú Sundi Ladi) presso Brazzaville, di educazione cattolica, partecipò alla prima guerra mondiale, fu in Francia ove frequentò circoli politici come l'« Union des Travallieurs Nègres », la « Ligue de la Defense de la Race Nègre », etc., e divenne ben presto un eminente condottiero politico. Fondò in Francia (1926) il movimento « Amicale Balali» comunemente detto poi «Amicalismo », nell'intento di svegliare le autorità metropolitane verso il problema negro e di promuovere la solidale resistenza anti-bianchi dei Negri africani. II duplice arresto (1930, 1940), la deportazione al Ciad, il lungo periodo di prigionia aggiunsero, alla sua fisionomia di « eroe-guida », la corona del martirio. André Matsúa diveniva per i Congolesi il suc-
(13) Andersson, 70.
(14) Andersson, 69-95.
(15) Andersson, 96-117.
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cessore di Simon Kimbangu; né la sua morte (1942) attenuò gli entusiasmi, bensì valse a diffondere l'attesa di un suo prossimo ritorno come liberatore. Da allora egli divenne un vero messia, fu denominato Gesú-Matsúa (16).
Il fenomeno André Matslía é dei più caratteristici. L'azione ch'egli svolse su piano prevalentemente organizzativo-politico ebbe immediati, decisivi riflessi su piano religioso. André Matsúa e Simon Kimbangu a tuttoggi fra i Congolesi delle colonie francese e belga sono assunti alla qualifica di « Re del Congo », simboli di unità e di un'epoca di libertà ansiosamente attesa. La loro spirituale presenza ispira quella nuova organizzazione religiosa che é la chiesa nativa «indigenista» del Congo, nettamente autonomista, polemica verso i missionari oltreché verso le autorità civili, politiche, amministrative, fondata sulla diretta esperienza religiosa nativa, eppure aperta ad alcune forme cristiane (17). Per Matsúa forse ancor più che per Kimbangu vale quanto il Balan-dier fa giustamente osservare, che il Cristianesimo stesso, con il modello di un Messia sacrificato all'ottusa intransigenza del pubblico potere non meno che all'infamia dei nemici, con l'esempio del Martire trionfante per la fede e per la redenzione dei fedeli, il Cristianesimo stesso ha portato fra i nativi quello spirito rivoluzionario di cui s'era nutrito esso stesso al tempo delle origini, dando una nuova sanzione religiosa alle loro esigenze culturali e politiche: ed ha portato altresì la speranza messianica di un « Regno », di un « millennia », che vuol significare verace redenzione per gli uomini. La quale speranza esso aveva ripreso dalla tradizione messianica del Giudaismo. Furono a lor volta le repressioni coloniali a creare i « martiri », con Kimbangu, Matsúa e gli altri profeti di quella fede novella (18). Così nasceva, o meglio si rinnovava con inopinato fervore (poiché già esso aveva avuto modo di manifestarsi anche prima, come sopra s'è vista) il messianesi-mo indigeno: un messianesimo improntato al modello cristiano dei missionari, ma ritorcentesi contra di essi a causa della politica colonialista delle nazioni egemoniche e delle loro chiese.
In conclusione Matsúa da quel ch'era in vita, e cioè non più che un capo politico, si trasformò — e senza sua deliberata intenzione — in un profeta-messia, modello — accanto a Kimbagu — di una religione di redenzione terrena: egli è divenuto il Cristo Negro.
(16) Balandier 1955, 397-416; Andersson, 117-25.
(17) Balandier 1957, 236-7.
(18) Balandier 1957, 237; Balandier 1955, 434.
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A delineare lo speciale carattere del culto Gunzista-Amicalista proprio delle attuali chiese negre del Congo (emanate dai detti movimenti profetici), basti dire del particolarissimo sincretismo che contraddistingue il segno della croce. Desunto formalmente dal Cristianesimo, il segno viene accompagnato da una formula che compromette in radice — rispetto alle chiese occidentali — il Cristianesimo di questi « cristiani sui generis ». « Nel nome del Padre, di Simon Kimbangu, di André Matstia », essi dicono (19) : e con questa « trinità » assolutamente « na-tivista » (20) ed eretica (21), mentre dimostrano di aver fatto propria la concezione paleo-testamentaria del Dio-Padre in quanto affine alla originaria concezione pagana dell'Essere supremo, sostituiscono, o meglio identificano chiaramente Gesù con i due profeti aborigeni. Il bisogno di libertà culturale e religiosa che sta al fondamento dei loro culti profetici trova la sua espressione concreta in un legame di continuità con la tradizione passata. Infatti il « Dio » oggetto di culto non é che Nzambi Pungu, cioè l'Essere supremo della tradizione avita. Inoltre nel rito di accensione dei ceri si conserva, pur attraverso trasformazioni, l'impronta e il significato di antichi riti pagani (22).
« Cristo é un Dio francese », dicono i Negri: e pertanto a lui contrappongono il binomio Kimbangu-Matsúa. Insomma il Cristianesimo é implicitamente tenuto corresponsabile della politica colonialista gaver-nativa. Perciò esso nell'opinione nativa si configura come « la religione degli Europei, [la quale] vale a conservare le ricchezze fra le mani di questi, e a nascondere un segreto che nessuno vuol rivelare agli indigeni » (23).
Onde ancor meglio mostrare su quale linea continui a elaborarsi a tuttoggi il sincretismo negro-cristiano, descriveremo sommariamente l'altare della chiesa negra di culto gunzista-amicalista. Entro una cappella di paglia tritata e fango, ad imitazione delle cappelle missionarie,
(19) Balandier 1957, 232.
(20) Quanto al concetto di « nativismo », il Linton (1943, 230) così si esprime: « Movimento nativista é ogni consapevole e organizzato tentativo da parte dei. componenti di una data società di revivificare o perpetuare alcuni prescelti aspetti della propria cultura ». Noi correggiamo detto concetto, in quanto che il « nativismo » non va visto unilateralmente in questo aspetto restaurativo e conservativo, ma nel suo congiunto aspetto prospettico che é volto polemicamente contra la cultura Occidentale, e mira a instaurare un culto esclusivo per gli aborigeni, insomma un culto nuovo.
(21) Balandier, 1957, 226.
(22) Balandier 1957, 229; Andersson, 12 sgg. (per Nzambi Pungu). Per il concetto di fallimento delle missioni cfr. Dalandier 1957, 223-6.
(23) Balandier 1957, 219.
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si eleva sopra alcuni gradini l'altare, ricoperto di un manto rosso, sul quale spiccano alcuni oggetti simbolici: la fotografia di André Matsúa, un pugnale di antica fabbricazione, una lampada ad olio accesa, una grande V in legno con nel mezzo una croce di 'arena. Già nel manto rosso si associa, al tradizionale significato di fecondità e prestigio, l'idea di martirio dei Salvatori congolesi e dei loro discepoli. Il pugnale rappresenta la fedeltà giurata agli antenati, mentre la lampada nonché la croce derivano dal rito cristiano. Ma è nella grande V troneggiante su tutto, che più clamorosamente si esprime l'idea di rivolta e, soprattutto, di vittoria. La V altro non é che il portato culturale dell'ultima guerra mondiale, la fatidica V di Winston Churchill e degli alleati, riplasmata in funzione anti-bianchi come simbolico annuncio della fine della dominazione colonialista (24).
Come in effetti il Gunzismo-Amicalismo sia una religione di rivolta e di guerra lo dice con identica coerenza una serie di profezie, fra le quali una suona cosí: « La guerra é prossima — essa dice —... Siamo venuti ad annunciare la buona novella di Dio al mondo. Chi fa parte della nostra chiesa non dovrà rivolger parola a chi é legato al governo o alle missioni, o a coloro dei Negri che ancora affondano nelle tenebre. Il tempo del rosso sangue é venuto... Coloro che risusciteranno entreranno nella gloria del regno trionfante... ». Ed ancora, con linguaggio allegorico e biblico: « I Bianchi ignorano che troveranno morte e perdizione nel paese altrui. Il bufalo e l'elefante sono possenti..., essi sono come Golia..., ma non sanno costruire la via del ritorno. Imminente é la morte del bufalo e dell'elefante. La liberazione sarà definitiva » (25).
Nel 1939 il Gunzismo-Amicalismo faceva un ulteriore passo in avanti ad opera di Simon Pierre Mpadi, nuovo profeta ed apostolo. Nativo della tribù Kongo (Leopoldville, Congo Belga), Mpadi annunciava già, nella scelta deliberata dei suoi due nomi — Simon e Pierre — un duplice programma: da un lato sviluppare il movimento fondato dal primo Simon (Kimbangu), dall'altro costruire, a imitazione di Pietro, la nuova « chiesa » negra. In effetti Simon Mpadi fondava la « Mission des Noirs », poi nota come movimento Kakista, che stabilisce attorno al « capo degli apostoli » una complessa e organizzata gerarchia ecclesiastica, cui si prescrive l'uso di un'uniforme color kaki (onde il name
(24) Balandier 1957, 232-4. Id. 1955, 458.
(25) Balandier, 1957, 234-5.
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del movimento), a indicare pur esso lo spirito battagliero della religione kakista, ed in una l'auspicio di vittoria. Il culto tradizionale degli antenati resta al centro anche del nuovo messianesimo Kakista, caratterizzato altresì da manifestazioni di possessione collettiva, da un culto di guarigione mediante imposizione di mani, da un nuovo impulso anti-stregonistico: ció che lo riallaccia alla tradizione religiosa indigena legata alle più immediate esigenze terrene (26).
L'arresto (1944), la prigionia di Simon Mpadi non impedirono al movimento di propagarsi e assumere ben più ampi sviluppi, nelle città come fra i villaggi. Da allora s'impose la personalità di Kufinu Philippe, noto come Mavonda Ntangu. Pur attraverso reiterate persecuzioni questo profeta, nativo del Congo Belga (Basso Congo) e considerato a tut-toggi « maestro dell'intero paese », cioè del Congo Belga e Francese, prosegue l'insegnamento di Kimbangu, Matsúa e Mpadi. Il culto Gunzi-Kakista di Mavonda Ntangu si svolge — onde sfuggire alle persecuzioni dei bianchi — in un luogo circoscritto ed aperto (Pendele), o sulle tombe degli antenati. Consiste in preghiere, canti, confessione — elementi d'origine cristiana —, nonché in riti di guarigione, di resurrezione di morti; divinazione, eseguiti dal profeta o dai suoi apostoli, i quali entrano in uno stato d'estasi — fra convulsioni epilottoidi —, che si trasmette al pubblico dei proseliti, in un'atmosfera di eccitazione collettiva (27). Ora, i fedeli ritengono che l'ispirazione che li fa entrare in crisi d'estasi provenga dagli spiriti dei morti risorgenti dalle tombe (28). Così gli elementi tradizionali s'intrecciano con i nuovi elementi cristiani in un complesso religioso che serba intero lo spirito di emancipazione anti-bianchi già proprio del Kimbangismo. « Il Regno verrà — annuncia una profezia kakista reinterpretando a suo modo l'idea cristiana del "Regno" — quando Matsúa e Kimbangu torneranno tra i Negri, apportatori di potenza e dominio : sarà il `regno africano' ». « Dio di Abramo, Dio di Giacobbe, Dio di Simon Kimbangu e di André Matsúa — così suona la preghiera di Mavonda Ntangu —: quando scenderà la benedizione e la libertà su di noi? Orsù tralascia di ascoltare le preghiere dei bianchi, già a lungo ascoltati da te. Basta con le benedizioni ricevute da loro! ora volgiti a noi. Amen » (29).
(26) Balandier 1955, 431-35, 447-63; Andersson, 138-50. Si noti che sopra l'altare kekista è effigiato un gallo, simbolo di Pietro-Pierre Mpadi, accanto alla fotografia di Matsúa (Balandier 1955. 458).
(27) Andersson, 140 sgg., 151 sgg., 162-75.
(28) Andersson, 174.
(29) Andersson, 193.
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Così il messaggio profetico di libertà fonde indissolubilmente il momento religioso con il momento politico: perché al livello di queste culture l'esperienza sacrale tanto più insopprimibilmente accompagna le esperienze profane, quanto più queste ultime si rendono, per condizioni obiettive, angosciose e pungenti.
Nell'atmosfera messianica sviluppata nel Congo dal Kimbangismo con le sue varie emanazioni trova la sua giustificazione un particolare fenomeno che vale la pena di ricordare, promosso dall'arrivo, nel 1935, dell'Esercito della Salvezza (Salvation Army). Questa organizzazione laica avente scopi puramente umanitari, scevra da interessi istituzionali ed ecclesiastici, estranea ad ogni forma di proselitismo, si configuro ben presto all'occhio dei nativi come la controparte, sorprendentemente attraente, delle missioni cristiane. Quanto queste, per i sistemi coercitivi, l'intransigenza dei metodi, il rigorismo dottrinale riuscivano invise a gran parte della popolazione, altrettanto risultava affascinante e gradita l'organizzazione della Salvezza. I nativi ben s'avvedevano che, pur riconoscendo lo stesso Dio dei missionari, i militanti dell'Esercito della Salvezza fornivano il modello di una morale religiosa infinitamente più accessibile e vicina alle loro esigenze, sostituendo p. es. al duro compito della confessione un semplice atto di contrizione. Per di più l'uniforme di tipo militare, le cerimonie che l'organizzazione indiceva tra canti battaglieri quasi di vittoria, al ritmo di tamburi e di altri strumenti di banda, fra bandiere spiegate, esercitavano sopra i nativi una suggestione di nuovo genere, per certa affinità con le loro feste pagane, e per lo spirito battagliero da cui si sentivano mossi nella loro nuova religione profetica. Dimodoché facilmente essi poterono essere indotti nell'erronea opinione che si trattasse, quasi, di una organizzazione missionaria europea con costumanze cerimoniali affini relativamente alle loro, e comunque tali da suscitare simpatia. Se a ció si aggiunge l'energica azione che i ministri di quell'Armata venivano conducendo per eliminare la stregoneria, contro cui gli stessi nativi, prima col feticismo poi con gli stessi culti profetici avevano dovuto da tempo difendersi e che costituiva pur sempre una fonte di terrore per loro, ben si comprende come i Congolesi potessero scorgere nell'Esercito della Salvezza un insperato soccorso, anzi l'incarnazione di una misteriosa forza benefica. In breve, si diffuse l'opinione che quei bianchi eccezionalmente condiscendenti e disinteressati nei riguardi dei Negri reincarnassero lo, spirito del loro maggior protettore e Salvatore: Simon Kimbangu. La S simbolica che quelli portavano alle mostrine poteva essere precisamente la lettera del
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grande profeta: Simon. Così, perseguendo una ansiosa speranza di salvezza e di riscatto dalle minacce incombenti sulla loro esistenza — dalla stregoneria all'oppressione missionaria e governativa — gli indigeni in gran numero, disertando financo dalle missioni, accedettero all'Armata della Salvezza. Altri, a costo di difficoltosi pellegrinaggi, raggiungevano quei « missionari » di nuovo genere onde partecipare alle loro cerimonie, nella convinzione di conseguire in tal modo salute, salvezza, benessere sotto ogni riguardo. Insomma la congregazione possedeva, secondo loro, un potere magico atto a « salvarli ». È significativo che l'Esercito della Salvezza — cui lo stesso Simon Mpadi s'ispirò nel prescrivere l'uniforme kaki ai ministri del culto da lui fondato — incontrasse resistenza e rivalità nelle missioni cristiane operanti nel Congo, ed ivi coalizzate nella loro opera proselitistica (30).
L'episodio dimostra quanta profondamente il messianismo, con la sua speranza di liberazione dai mali e dalle oppressioni d'ogni ordine e provenienza, fosse penetrato nella coscienza collettiva: o meglio esso attesta con quanta efficacia il messianismo esprimesse da un canto il bisogno di salvezza, dall'altro la situazione di rischio da cui gli indigeni sentivano presa la loro vacillante esistenza, a causa dell'intransigente, minacciosa egemonia culturale, politica, religiosa dei bianchi.
Che la salvezza, suprema meta di ogni messianismo, potesse raggiungersi attraverso l'unica via dell'unione solidale degli indigeni d'Africa, veniva facendosi una delle idee dominanti dei vari movimenti profetici, in qualunque regione del continente sorgessero. Zaccaria Bonzo, altro profeta congolese, penetrava nell'Angola col motto « l'Africa agli Africani! ». Simon Toko nel 1949 fondava un nuovo movimento, la « Stella rossa », basato sul principio che Dio sta con i più, e perciò in Africa Egli é a fianco degli Africani. Secondo la profezia di Toko, Dio invierà un suo figlio-messia incarnato in un Negro, a redenzione dei Negri (31). Così dal sincretismo negro-cristiano va sviluppandosi una coscienza religiosa panafricanista — già implicita del resto nel Kimban-gismo, Gunzismo e Kakismo —, fondata su una omogeneità di esperienze di fronte ai bianchi e su una crescente consapevolezza etnico-culturale determinata dallo stesso confronto con la cultura straniera egemonica.
Mentre nell'Africa equatoriale e nel Congo, fra alterne esplosioni e repressioni, in un ininterrotto processo di proliferazioni sotterranee
(3G) Andersson, 126-35.
(31) Tastevin 1956.
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e di efflorescenze visibili il messianesimo indigeno s'incrementava irradiandosi a regioni vicine e lontane, venivano diffondendosi a mano a mano culti profetici anche da altre regioni africane. Nel 1925 Tomo Nyirenda, nativo del Nyassa, proclamantesi «Figlio di Dio » o Muana Lesa — con il quale nome é meglio noto —, introduceva nel Katanga, zona mineraria fra le più soggette a drastico urto sociale tra indigeni
e bianchi, il movimento Kitawala o Kitower, attivo già in Rhodesia e nel Nyassa ove ispirò a varie riprese moti sedizioni violentemente repressi. Il movimento Kitawala proviene per processo separatistico indigeno dalla congregazione americana della Watch Tower (Kitawala
o Kitower é deformazione dell'originario termine inglese), o Associazione dei Testimoni di Geova, fondata nel 1874 da Charles Taze Russell, e perciò nota anche con il name di « Russellismo ». Il movimento Watch Tower s'accentra nell'attesa millenaristica di un'era di paradiso che seguirà, in età non lantana, allorquando la decisiva battaglia di Dio contro Satana esploderà ad Armageddon. I miscredenti saranno debellati, sulla terra regnerà la giustizia. Negatori della Trinità, della divinità di Cristo, dell'immortalità dell'anima, degli eterni castighi ultraterreni; per di più antimilitaristi ed antinazionalisti ad oltranza, i Testimoni di Geova condannano sia lo Stato sia ogni forma di organizzazione ecclesiastica come emanazione di Satana. Essi dunque avevano i migliori requisiti perché la loro ideologia apparisse ai Negri africani, tra i quali arrivassero, la controparte più positiva ed entusiasticamente accettabile della cultura religiosa dei bianchi, specialmente se confrontata con il Cristianesimo dei missionari. Infatti del profetismo indigeno che i missionari cristiani avversavano, ora i nativi venivano a scoprire, nel Rus-sellismo, un modello vivente, anzi un emulo in pieno mondo religioso cristiano (32). Il movimento Kitawala, iniziatosi in Africa fin dal principio del secolo, reinterpretava a sua volta la dottrina russellita originaria. Il suo centro di diramazione fu l'Africa del Sud e l'Africa Centrale Britannica. Contro la minaccia di disgregazione culturale e sociale indotta dai bianchi, i predicatori indigeni del movimento Kitawala — nell'Angola, in Rhodesia, nel Kenya, Nyassa, Uganda fino al Congo Belga — accusavano i missionari di mentire e di nascondere deliberatamente o distorcere le verità della Bibbia, ponendo ad es. la monogamia a fondamento della religione cristiana, laddove la Bibbia dava ampia
(32) Schlosser, 235-39; E. BRIEM, Jehovas Vittnen, Stockholm 1944; A. STRÖM, Religion och Gemenskap, Uppsala 1946, 190-203; H. H. STROUP, The Jehovah's Witnesses, New York 1945; W. Watson, 1958, 197 sgg.
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testimonianza di legittimità alla poligamia, uno dei principi fondamentali della struttura sociale africana (33). Cosi gli indigeni trovavano, in un linguaggio culturale e religioso imprestato dai bianchi, un'ulteriore giustificazione al millenarismo emancipazionista fondato dai loro profeti. In realtà l'incontro fra profetismo africano e millenarismo rus-sellita é fra i più sconcertanti fenomeni delle religioni moderne. Infatti entrambi esprimono, pur in mondi culturali diversi, una somigliante esigenza di rinnovamento religioso, entrambi denunciano una grave crisi culturale. Dal loro incontro risultano poste in netta evidenza le cocenti contraddizioni religiose in cui versano gli organismi ecclesiastici delle nazioni moderne. Il Russellismo, e con qualche analogia l'Esercito della Salvezza, nel loro incontro con le religioni africane profetiche, hanno fornito una giustificazione non più solamente « indigenista », ma convalidata dalla viva esperienza religiosa dei bianchi stessi, dell'autenticità e accettabilità delle posizioni religiose native.
Per tornare al movimento religioso Kitawala e al suo divulgatore Muana Lesa, testé nominato, costui ben presto ebbe ad incorrere nelle maglie della persecuzione poliziesca. Accusato dall'autorità belga di uccidere persone battezzate, fu catturato: fuggi in Rhodesia, ma venne arrestato e impiccato. Era il 1926. Il movimento Kitawala anziché sopirsi crebbe e si propagò per esteso nella colonia belga nonché nelle colonie britanniche e francesi, suscitando qua e là a più riprese moti di rivolta xenofobi. Esso preconizzava, fedele al modello americano della Watch Tower, la fine di ogni autorità religiosa e politica attualmente vigente; inoltre diffondeva un'ideologia egualitaria panafricani-sta, ispirata alla speranza messianica dell'avvento di un'età paradisiaca sulla terra nel nome di Gesù Cristo (34). Nell'ultimo dopoguerra uno dei suoi profeti ed agitatori del Congo Belga (Prov. Orientale), Bushiri, si proclemò « Sostituto di Gesù » (Mulurnozi usa Yesu).
Un particolare fenomeno dell'immediato dopoguerra venne a improntare il movimento Kitawala: l'attesa degli Americani come fatidici messaggeri di Dio. Facilitata dalla parentela americana dello stesso movimento, l'idea di tale attesa trovò incentivo nell'esperienza di aiuti inviati dall'America nel corso dell'ultima guerra. Inoltre in quell'epoca veniva fondato, ad opera del Negro americano Marcus Garvey, un movimento panafricanista, anzi pan-negro (l'Universal Negro Improvement Association), d'intonazione sociale e politica ma tuttavia non scevro di una
(33) Andersson, 249; Kenyatta, 277-81.
(34) Biebuyck 1957; Paulus 1956.
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notevole carica religiosa, volto all'unificazione spirituale dei Negri di America e d'Africa. Dalla Liberia al Nilo all'Uganda al Sud-Africa, Marcus Garvey proclamava l'espulsione dei bianchi, l'instaurazione di una religione negra, con un Cristo Negro, con angeli negri. Di tali esperienze doveva risentire dunque anche il movimento Kitawala, il quale per un certo periodo indulse ad una messianica attesa degli Americani visti come mitici liberatori (35). Bene si scorge da ciò come il drammatico bisogno di rinnovare religione e cultura assuma, nei movimenti nativisti, forme mitiche e millenaristiche spesso caotiche e puerili, nelle quali vanno a conglomerarsi le più elementari esperienze vissute.
Il movimento Kitawala resta a tuttoggi una fra le più estese organizzazioni religiose nativiste dell'Africa Negra (36). « Noi siamo figli di Dio e perciò non siamo tenuti a riconoscere le leggi degli uomini » : cosí suona un annuncio dei fedeli Kitawala, dato in occasione d'una rivolta nell'Uganda nel 1942. E continua: « I tempi sono mutati: non obbediremo più alle leggi temporali, perché prestare obbedienza agli uomini significa obbedire a Satana » (37).
Annuncio di un'età che porrà fine per i Negri alle alienazioni, annuncio della fine del mondo con rovesciamento imminente dell'ordine attuale, invincibilità nella rivolta, lotta contra la stregoneria: sono questi i temi comuni non solamente alle varie organizzazioni locali dei Kitawala, ma a tutti i profetismi africani, specialmente diffusi tra genti di lingua Bantu. Così in particolare tra i profetismi del Sud-Africa.
Il Sud-Africa fu, ancor prima dell'Africa equatoriale, uno dei maggiori epicentri del messianesimo Negro. Nel 1892 sorse la chiesa Etio-pista, il più antico modello delle chiese cosiddette «separatiste» (o « indigeniste ») — fra cui le stesse formazioni Kitawala —, fondata dal profeta Mokone. La chiesa « etiopista » (dal name « Etiopia » che secondo il linguaggio biblico (Acta Ap. 8. 27; Psalm. 68. 32) designa l'Africa) persegue un programma di reazione autonomista verso le chiese missionarie, facendo della Bibbia l'unica fonte attendibile di autorità religiosa, evitando polemicamente la terminologia « importata » dai bianchi (così « etiopista » sostituisce « africanista »). Suo dogma essenziale é « l'Africa agli Africani ». Conformemente ai particolarismi
(35) Andersson, 250 sgg.
(36) Comhaire 1955, 58-9.
(37) Dalandier 1955, 420.
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tribali e ai personalismi dei suoi promotori si suddivide in molteplici e vari organismi locali — formanti altrettante chiese negre separatiste —, che ripetono nella loro struttura il carattere aristocratico delle società Bantu originarie sud-africane, con un capo (— re) insieme politico e religioso. Le varie chiese separatiste sono tuttavia legate da una comune ideologia irredentista e profetica, fondata sulla speranza di un rovesciamento dell'ordine e dell'espulsione dei bianchi (38): speranza resasi specialmente pressante da quando la costituzione dell'Unione del Sud-Africa venne a sancire la sistematica politica di discriminazione razziale fra bianchi e negri (39).
Per vari caratteri si differenziano dalle chiese etiopiste le cosiddette chiese « sioniste » sorte accanto a quelle nel Sud-Africa, e aventi in comune con esse il fondamento messianico e millenaristico. Così denominate dal Monte Sion assunto come emblema di liberazione e allusivo alla millenaristica fondazione di una città santa o Nuova Gerusalemme, hanno struttura per nulla aristocratica, e sono fondamentalmente legate ad aspetti essenziali della religione tradizionale, essendo i loro sacerdoti altrettanti profeti ispirati, guaritori, attivi avversari della stregoneria, e il culto « sionista » fondandosi su crisi di possessione collettiva (40).
In forme varie, attraverso le chiese etiopiste, sioniste, Kitawala, Gunzikakiste ecc. (41), l'irredentismo messianico africano — cosi come di tante altre popolazioni arretrate — è cresciuto e si è alimentato sul
(38) Schlosser 1949, 233; Leenhardt 1902, 22-3; Sundkler 1948.
(39) Sundkler 1948; Marquard 1952; E. P. DvoRIN, Racial separation in S. Africa, Chicago 1952; Carter 1955.
(40) Sundkler 1948; Eberhardt 1957; Tracey 1955. Quanto alle crisi di possessione collettiva, esse caratterizzano anche il Kakismo (vedi) e numerosissime altre formazioni profetiche popolari d'ogni continente.
(4I) Le chiese separatiste negre sono ampiamente diffuse nei vari territori africani (Dougall 1956; Balandier 1953, 41-9; Bissainthe 1957). Nel Nyassa risalgono ad oltre un cinquantennio (Shepperson 1954); nella Sierra Leone la « Chiesa del Signore » risale al 1930, e si è diffusa anche in Liberia e Costa d'Oro (Banton 1956); in Liberia e Costa d'Avorio è tuttora d'attualità il movimento del profeta Wade Harris che risale al 1910 (Schlosser 1949, 241-66; Holas 1954; Balandier 1955, 418); nell'Angola il movimento Kiyoka risale al 1872 (Balandier 1955, 418). Tra i Fang del Gabon il movimento Bwiti si è sviluppato dal 1920 (Balandier 1955, 219 sgg.; Balandier 1958). Tra gli Yoruba della Nigeria è viva la setta dei « Cherubim e Seraphim » (Cherubim and Seraphim, 1957). Tra i Kikuyu del Kenya intensi movimenti profetici precedettero e alimentarono il movimento dei Mau Mau (Kenyatta 1954, 281-6), a sua volta carico di valenze religiose (Leakey 1952; Cavicchi 1952), e del resto tuttora sono in vigore chiese di derivazione etiopista e Kitawala (Kenyatta 1954, 277-80; Leakey 1952, 90-1). Nella Rhodesia sett. e merid. fiorisce il movimento Watch Tower (Watson 1958, 197).
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fecondo terreno della disgregazione sociale, della forzata assimilazione e deculturazione, dell'autocentrismo politico e culturale, della segregazione razzista perseguiti dagli organismi amministrativi e religiosi (42). L'itredentismo messianico si é strutturato in altrettante formazioni che ereditano dall'originaria tradizione il carattere di religioni fermamente legate ai bisogni culturali più immediati: di religioni che esprimono e insieme intendono superare una grave crisi esistenziale la quale minaccia l'integrità storica dei rispettivi gruppi. Dalla Bibbia i vari movimenti hanno assunto via via quel linguaggio e quei contenuti millenaristici e messianici che meglio si prestano ad avvalorare la loro ansia religiosa di libertà e di salvezza, trasfigurando il biblico spirituale Regno di Dio in un mito di concreto benessere, di sicurezza, di reintegrazione sociale, politica e culturale.
Come si é visto, la storia dei movimenti profetici africani, attraverso un laborioso e vario processo, parte dalle prime, non adeguatamente organizzate reinterpretaziorii di tratti cristiani in funzione pagana; attraversa fasi apostoliche nelle quali interi gruppi esaltati dall'ansia religiosa di rinnovamento seguono altrettanti profeti-guida, qua e là mossi ad azioni concrete politicamente e militarmente impegnate; culmina infine nella fioritura di infinite chiese native cristiane, neppur esse scevre di significato sociale e politico. Queste ultime rappresentano storicamente l'estremo sviluppo di movimenti nei quali i rapporti fra cultura pagana e cristiana, dapprincipio irrigiditi su posizioni di reciproca intransigenza, pervengono a un loro aggiustamento o equilibrio religioso. Tuttavia va rilevato che la stessa istituzione di « chiese » é lungi dall'esprimere una mera « imitazione » passiva e recettiva delle corrispondenti istituzioni cristiane: anzi nella sua impronta esplicitamente eman-cipazionista risponde alla necessità — attiva e polemica — di contrapporre formazioni altrettanto solide ed efficaci agli organismi missionari, onde salvare la cultura religiosa nativa dai sistematici tentativi di de-culturazione perpetrati da quelli. In tal senso ci sembrano unilaterali e nettamente antistoriche le varie ed eterogenee interpretazioni date via via dai missionari stessi alle chiese native. Infatti queste ultime sin dal loro nascere sono state considerate come « eresie » (43), « sette dissidenti » (44), documento e insieme denuncia della fallita azione missio-
(42) Coleman 1955; Ross 1955; Kuper 1946; Carter 1955.
(43) Eulandier 1957, 226.
(44) Bartolucci 1958.
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nana (45). Ma recentemente si va facendo strada un'interpretazione clamorosamente contrastante e acquiescente, nella quale secondo i principii di un trasformismo religioso già sperimentato del resto anche verso il folklore « pagano » delle nostre plebi rustiche (46), le chiese native rappresenterebbero non più il documento di una fallimentare azione missionaria, bensì all'opposto il positivo effetto della predicazione cristiana: la prova dell'universalità della Chiesa, pur nella varietà, della sua unità nel molteplice (47). Mentre il mutamento delle posizioni ecclesiastiche ben si giustifica in base all'implicito, sempre più necessario riconoscimento di un nucleo irriducibile insito nelle formazioni religiose native, conviene uscire dalle valutazioni unilaterali e « di parte », per riportarsi ad un processo dialettico-storico vista nella sua complessa multivalenza.
In realtà le chiese indigeniste africane sono da intendersi nel loro ambivalente significato, in rapporto alla dialettica dei rapporti fra cultura indigena e bianca. Bisogna partire dall'esperienza diretta che ha posto gli indigeni di fronte alle missioni come di fronte ad altrettante manifestazioni concrete della potenza egemonica — accanto e in pari grado con l'autorità politica, amministrativa, militare — delle nazioni europee. Le chiese native rappresentano il limite estremo insito ad ogni tentativo di « conversione », da parte ecclesiastica, di popolazioni a struttura sociale-economica arretrata, soggette all'egemonia colonialista. D'altro lato le chiese native rappresentano, dopo fasi di acrimonioso contrasto, una fase di riequilibrio tra Cristianesimo e religione nativa: in cui peraltro quest'ultima reinterpreta il complesso cristiano in funzione di proprie esigenze di redenzione culturale e politica. I nuovi valori religiosi man mano portati dal Cristianesimo trovano il loro limite preciso in quella nuova, progredita consapevolezza etnico-culturale che é frutto dell'urto stesso fra le due culture, e che si concreta nella sempre più diffusa ideologia Panafricana.
La dinamica culturale e religiosa delle genti africane procede dunque da un'opposizione polemica volta contro la cultura egemonica. Da tale opposizione si creano i presupposti per una graduale trasformazione della tradizione indigena. Ma il processo di trasformazione, scelta, in-
(45) Dougall 1956; Andersson 1958, 264-8; Parsons 1953; Ross 1955.
(46) Cfr. il mio saggio La politica culturale della Chiesa nelle campagne: la festa di S. Giovanni, Società 1955, 1.
(47) Bissainthe 1957, 134-5. Vedi anche i vari contributi in: Des Prêtres Noirs s'interrogent, Paris 1957.
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cremento è determinato dalle forze interne della tradizione, in opposizione alle varie coercizioni esterne: in risposta e a superamento della grande crisi storica determinata dall'urto.
Si è visto che le più numerose formazioni nativiste africane congiungono alla tendenza xenofoba ostile ai bianchi, la difesa dalla stregoneria o magia nera. Non si creda che le due manifestazioni siano del tutto indipendenti fra loro. L'avvento dei bianchi portava in Africa, e così anche in ogni altro territorio occupato, incremento di malattie sociali ed epidemiche, l'alcoolismo oltre a conseguenze altrettanto disastrose quali il crescente desiderio di facili guadagni, la corruzione morale con incremento dei furti e della prostituzione, la detribalizzazione, ecc.: malanni che, data la loro natura particolarmente misteriosa e incontrollabile, pressa la maggior parte delle culture arretrate seconda una ideologia tradizionale sono fatti rientrare nell'ambito dei malefici operati clandestinamente dagli stregoni: malanni ai quali vanno opposte comunque, unico rimedio efficace, medicine tradizionali dotate di particolare potenza magica. Così in Africa con l'incremento dei mali indotti in varia guisa dai bianchi s'intesifica la lotta contra la stregone- ria dapprima mediante feticci, infine ad opera di profeti taumaturghi che coinvolgono nel loro bersaglio lo stesso feticismo. Insieme con la lotta anzi-bianchi la lotta antistregonista si colloca in una situazione coloniale così caratterizzata (48).
Non stupirà ora se in tutt'altro ambiente culturale, fra gli Indiani delle praterie nord-americane, quando la supremazia dei bianchi portò alla segregazione dei gruppi nativi nelle riserve e ogni sorta di male fisico e morale (tbc, alcoolismo, frustrazione, ecc.) incombette su di essi dal contatto dei bianchi, il culto medicinale del peiote, già ivi esistente con funzione di guarigione individuale, si sviluppò in un culto collettivista di emancipazione e di salvazione, più che di salute. Nacque una complessa religione atta a riscattare gli indigeni dalle frustrazioni subite, a guarirli dall'alcoolismo e dai mali fisici, a realizzare insieme una emancipazione religiosa rispetto alla supremazia culturale dei bianchi: dico il Peiotismo.
Fu fondato dal profeta John Wilson verso il 1890 nelle riserve dell'Oklahoma. Ebbe rapido successo e si divulgò fra la maggior parte delle riserve, ove tuttoggi é in vigore, propagato da una serie di profeti come John Rave, Elk Hair, Albert Hensley, ecc. Il Peiotismo vuole
(48) Field 1948, 175-79.
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essere una religione destinata esclusivamente agli Indiani, esplicitamente contrapposta al Cristianesimo dei bianchi, del quale tuttavia assorbe confusamente certi elementi teologici e mitologici. Basti dire che il Peiote personificato s'identifica a volte con Gesù, a volte con lo Spirito Santo, e comunque é emanazione del Grande Spirito di pagana tradizione, identificato a sua volta con il Dio giudaico-cristiano. Organizzato attualmente in due « chiese », una dell'Oklahoma (Native American Church) l'altra degli Stati del nord (Nat. Amer. Church of U. S.), il Peiotismo si fonda su un complesso di miti e riti accentrati intorno al peiote, un cactus d'origine messicana (Lophophora williamsii) il cui potere terapeutico e allucinatorio viene impiegato dai proseliti in un pasto sacramentale, fonte di visioni ritenute sacrali.
Il Peiotismo é la « nuova religione degli Indiani ». « Voi Indiani — dice il profeta Hensley — finora combatteste l'un l'altro. Con la nuova religione ciò deve finire. Voi vi stringerete le mani e dividerete il cibo fra voi... ». Cosi si esprime in termini espliciti una nuova esigenza panindianista: esigenza di solidarietà religiosa fra tutti gli Indiani contro i tentativi americani di uniformare alla propria la loro cultura mediante un processo di deculturazione e assimilazione forzata. Legato alla tradizione originaria locale, il Peiotismo reinterpreta il Cristianesimo secondo le esigenze autonomiste indigene. Il processo rein-terpretativo é equivalente a quello già visto per i movimenti nativisti africani. « Gesù respinto e ucciso dai bianchi — dice Hensley — si volse a proteggere gli Indiani, vittime anch'esse dei bianchi. Perciò il Peiote é parte del corpo di Cristo (49).
Il Peiotismo, con il suo emancipazionismo pacifico, col suo sincretismo, con la sua « chiesa » e il suo Panindianismo, é la risposta culturale alla crisi generata dalla vita nelle riserve. Con esso, e con altri vari movimenti profetici collaterali, fondati sul sincretismo pagano-cristiano e sulla simbiosi pacifica tra Indiani e bianchi — come la Danza del Sogno dei Menomini, il Grande Messaggio del profeta Handsome Lake fra gli Irochesi, il movimento Shakerista dei gruppi del Nord-Ovest, ecc. — si attua un aggiustamento dei rapporti religiosi e culturali fra Indiani e bianchi, in cui tuttavia il Cristianesimo subisce altrettante tra- sformazioni e reinterpretazioni che ne adattano il contenuto ai bisogni indigeni (50).
(49) Petrullo 1934; La Barre 1938; Slotkin 1956; Barber 1941.
(50) Wallace 1952 (Handsome Lake); Barnett 1957 (Shakerismo); Barrett 1911; Slot-kin 1958 (Dream Dance).
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I movimenti suddetti rappresentano a loro volta la fase estrema di un processo nativista più antica, che risale al primo urto violento tra Indigeni del Nord-America e bianchi. L'epica lotta per l'indipendenza, combattuta dagli Indiani delle praterie contro i bianchi invasori, ebbe la sua ispirazione religiosa. Il grande movimento profetico della Danza degli Spiriti (Ghost Dance) fondato dal profeta Wowoka annoverò tra i suoi promotori il condottiero ribelle Sitting Bull (Toro Seduto). Fu la religione della Danza degli Spiriti a ispirare la grande rivolta dei Sioux nel 1890. Wowoka, nativo del gruppo Paiute, annunciava l'avvento imminente di un'età nuova che avrebbe segnato la liberazione del paese e il ritorno al sistema di vita demolito dall'occupazione straniera. L'espulsione dei bianchi, il ritorno collettivo dei morti, la ricomparsa delle mandrie di. bufali distrutte dai bianchi e già fonte di sicurezza economica per le tribù, il ripristino delle cerimonie, danze, società decadute per opera dei missionari e sconvolte dallo scontro con la cultura moderna, costituivano i temi salienti del messaggio profetico (51). La Danza degli Spiriti, sorta in epoca d'urto combattivo e cruento fra cultura egemonica e subordinata, é volta in senso retrospettivo alla restaurazione di un passato perduto e prospetticamente alla redenzione dei gruppi indigeni. Quando più tardi alla ormai definitiva sconfitta s'aggiunse l'esperienza di segregazione forzata nelle riserve e nuovi, più complessi rapporti vennero a stabilirsi coi bianchi, nuove forme religiose di adattamento si resero necessarie, e sorse il Peiotismo con le altre formazioni del genere.
Pertanto anche nei profetismi nord-americani distingueremo, come per l'Africa, due fasi dialetticamente congiunte, la prima (frutto dell'urto iniziale fra due culture), di natura apostolica e volta quasi unicamente alla lotta di liberazione; la successiva di natura prevalentemente organizzativo-ecclesiastica e riferita ad una fase di accomodamento. Tuttavia, mentre in America, date le condizioni di disgregazione sociale e segregazione in riserve, l'ostilità anti-bianchi si stempera dopo la prima fase profetica in una polemica limitata al mantenimento di un'autonomia culturale-religiosa e i culti di liberazione sboccano via via in una religione panindianista di emancipazione pacifica, i Negri d'Africa hanno serbato compattezza e unità tali da dar vita, dopo la prima fase profetica, a formazioni ecclesiastiche panafricaniste, tuttora energicamente e intensamente protese alla liberazione dai bianchi.
(51) Mooney 1896, 771 sgg., 827, 903 sgg.
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Anche l'America Meridionale è stata ed è tuttora teatro di manifestazioni messianiche indigene, ripullulanti di tempo in tempo fin dal-
l'età dei primi contatti coi bianchi, fra le popolazioni e le classi sociali
più misere e oppresse. Fra gli Indios del Brasile nel territorio nordoccidentale di Rio Icano sullo scorcio del sec. XIX si presentava un
messia proclamantesi « Cristo secondo ». Una grande agitazione s'impadronì delle masse che lo seguirono. Il messia guariva le malattie. Egli ammoniva i proseliti a cessare ogni lavora nei campi, perché era alle porte l'età del benessere nella quale la terra avrebbe prodotto spontaneamente frutti abbondanti. Fini col venire arrestato (52).
Vari movimenti popolari messianici sboccavano d'altra parte in aperta rivolta contra i bianchi occupanti. Così i Chiriguano, tribù guer-
riera di Guarani abitante ai piedi delle Ande e cristianizzata dai Francescani, alcuni decenni or sono si levarono contro gli Spagnoli all'appello di un messia Salvatore. Ma i fucili spagnoli presto misero termine all'avventura (53).
Le tribù Guarani al confine fra Brasile e Paraguay, seguendo una tradizione messianica che per essi risale per lo meno al sec. XVI, negli scorsi decenni hanno dato luogo a ripetute manifestazioni d'irrequietezza — di cui l'ultima registrata risale al 1912 —, abbandonando successivamente, dietro guida di profeti-sciamani ispirati (pagé), le loro contrade alla ricerca di una presunta « Terra senza mali », sita al di là dell'Oceano. Essi si dedicavano alle danze sacre, cessando da ogni lavoro. Il mancato successo della affannosa peregrinazione trova fra essi una sintomatica giustificazione: l'impiego di abiti e cibi europei avrebbe frustrato il tentativo intrapreso. Così si esprimeva il loro bisogno di redenzione dalla oppressione dei bianchi (54).
In Argentina è significativo l'episodio del profeta Solares, il quale verso il 1870 nella provincia di Buenos Aires, quando una siccità prolungata aveva indotto carestia e fame, comincia a compiere miracoli di guarigione, tanto da apparire alle masse angosciate come Salvatore. Solares proclamava ormai giunto il momento nel quale gli indigeni si sarebbero liberati dai colonizzatori europei e dalle autorità amministrative : subito dopo, la terra s'aprirebbe e una meravigliosa città apparirebbe ai loro occhi incantati. Promettendo di rendere immuni i fedeli
(52) Metraux 1957, 111.
(53) Metraux 1957, ibid.
(54) Pereira de Queiroz 1958, 4-5; Metraux 1957, 109; Nimuendayu 1944; Scha-
den 1946.
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dai fucili spagnoli, guidava le masse fanatizzate alla rivolta. La carneficina fu tragicamente conclusa dall'arresto e dal linciaggio di Solares (55).
Si ripete nell'America Latina, con questo e altri molteplici esempi che non stiamo a narrare, l'esplosione di fanatismi messianici prodotti dall'urto fra una cultura egemonica e le culture native. Anch'essi, come altri movimenti già visti dell'Africa e dell'America settentrionale, sono tesi alla liberazione dai bianchi. Anch'essi denunciano una condizione oppressiva e un bisogno di redenzione economica, sociale, religiosa. Perciò sono volti all'ansiosa attesa d'una catastrofe rigeneratrice, foriera di un'età dell'oro.
Il mito dell'età dell'oro imminente, contrassegnata dall'espulsione dei bianchi, dal capovolgimento delle attuali condizioni di soggezione e miseria, sta al fondamento degli innumerevoli culti profetici pullulanti da alcuni decenni fra le popolazioni di coltivatori primitivi delle isole melanesiane. Guidati da altrettanti profeti-messia, gli indigeni hanno via via abbandonato il lavoro, si sono dati, fra grandi feste, ad attendere l'auspicato ritorno collettivo dei morti, l'uscita dei bianchi, l'avvento di ogni ricchezza e di merci europee, portate dai morti. Alcuni eccidi di bianchi hanno punteggiato tali effervescenze messianiche (56).
I culti profetici polinesiani sono invece del secolo scorso: essi hanno accompagnato la vana lotta di liberazione combattuta nelle varie isole dagli indigeni contro i dominatori Inglesi o Francesi. Spicca su tutti gli altri il grande movimento Hau-hau che trascinò i Maori della Nuova Zelanda alla guerra antimissionaria ed antibritannica dal 1865 al 1870. Il profeta fondatore, Te-Ua, proclamò che i Maori erano il nuovo popolo di Dio, la Nuova Zelanda, la nuova Canaan, Geova il Dio dei Maori. Egli stesso si presentava come novello Mosè, e annunciava l'imminente espulsione dei Pakeha o Inglesi. Sarebbe stata quella la fine e il rinnovamento del mondo. Sarebbero risorti i morti per dare inizio a un'epoca nuova per i Maori. Sterminata la setta Hau-hau dalla supremazia militare britannica, repressa la rivolta, più tardi si sviluppava un nuovo culto profetico, la religione Ringatu, tuttora vigente con la sua « chiesa » sincretista e nativista, atta a realizzare un riequilibrio
(55) Metraux 1957, 112.
(56) Lanternari 1956; Worsley 1957. Vedi bibliografia più ampia in appendice.
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religioso di fronte al Cristianesimo, tuttavia perseverando nei valori tradizionali e nativi (57). In Polinesia dunque, come in Africa, America settentrionale nonché in Melanesia (58), la fase apostolica dei movimenti profetici sbocca in una successiva fase organizzativa e di n assestamento religioso, in vista di una spontanea esigenza di emancipazione e nel segno di un non mai sopito nativismo creativo, innovatore.
In nessuno dei casi suddetti i movimenti religiosi di liberazione hanno effettivamente portato alla realizzazione dei loro postulati mil-lenaristici e di redenzione sociale: ciò a causa della intransigente opposizione e della resistenza organizzata ed armata delle potenze colonialiste dominatrici. In un caso estremamente ammonitore ed attuale il « millennio », almeno nel suo senso di liberazione sociale, culturale, politica, si è realmente avverato: il caso é quello dell'Indonesia. Anche in Indonesia, con centro in Giava e irradiazioni nelle altre isole, i moti rivoluzionari antieuropei ebbero il loro crogiolo in una serie molteplice di culti messianici di liberazione, sorti fra le popolazioni indigene rurali, imbastiti su temi mitici e millenaristici comuni alla maggior parte dei culti d'altre regioni fin qui esaminati. Sboccati nell'aperta lotta anti-olandese, essi portavano nel 1949 alla conquista dell'indipendenza (59).
Dal panorama fin qui esposto si scorge che gli intensificad contatti tra bianchi e indigeni dell'ultimo secolo, sollecitati in particolar modo dai due grandi conflitti mondiali, hanno promosso una serie di culti nativisti in plaghe del mondo le più disparate. A ciò hanno contribuito come fattori determinanti da un lato l'intensificato processo di assoggettamento dei popoli indigeni, dall'altro l'acquisita, concomitante esperienza del dislivello economico e culturale, da parte delle popolazioni native, rispetto ai portatori della cultura europea.
Per ciò che riguarda il contrasto, che qui più c'interessa, tra religioni native e Cristianesimo, risulta dall'insieme dei dati suesposti come le società cosiddette « primitive » siano venute assumendo dall'insegnamento missionario, ed in ispecie paleo-testamentario, una molteplicità
(57) Lanternari 1957; Greenwood 1942.
(58) Worsley (1957, 273) pone in evidenza che i più recenti culti profetici in Melanesia non mirano più (come i primi) al puro e semplice allontanamento dei bianchi e dei loro portati culturali, bensì tendono all'acquisizione dei loro beni e del loro potere. Tendono all'indipendenza, ma per divenire (gli indigeni) più simili agli Europei.
(59) Van Wulfften Palthe 1949, 27-34; Wertheim 1956, 311-12.
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di elementi nei quali via via ravvisavano altrettanti modelli, espressi in linguaggio culturale occidentale e cristiano, della propria esperienza di vita. In più casi indipendenti l'uno dall'altro, dai Maori della N. Zelanda ai Kikuyu del Kenya, i nativi perseguitati dai colonialisti europei hanno trovato nelle persecuzioni subite dall'antico popolo ebraico il prototipo biblico che li autorizzava a proclamarsi discendenti delle perdute tribù d'Israele (60). La poligamia di Giacobbe, David e Salomone veniva a giustificare religiosamente la tradizionale loro poligamia incongruamente condannata dai missionari. Lo stesso profetismo emanci-pazionista trovava il più autentico suo modello nel Mosaismo, mentre la passione, l'arresto, la cattura, il sacrificio subito dai singoli profeti-fondatori nativi ha in Gesù il suo precedente più valido. Inoltre i Nativi hanno potuto rintracciare un'ulteriore convalida e autenticazione delle proprie posizioni religiose, attraverso i movimenti messianici occidentali di derivazione giudaico-cristiana pervenuti fra loro, come il Russellismo.
Tale autenticità e validità, se rettamente si guarda, si regge su una notevole corrispondenza di esperienze storiche. Certo i Negri africani, gli indigeni Oceaniani e Americani oggi ripetono esperienze religiose — millenarismo, messianesimo, profetismo, attesa di liberazione e salvezza — che il Cristianesimo subì ai suoi primordi, quando i suoi martiri offrivano il sangue non solamente come passivi testimoni d'una fede individuale, bensì come componenti d'una milizia di Cristo consapevole dell'impulso rivoluzionario e combattivo emanante dal proprio martirio. Né si tratta di coincidenze puramente casuali. Alla radice del Cristianesimo e — prima ancora — del profetismo mosaico e del messianesimo biblico d'età esilica, stanno altrettante condizioni di crisi. Quanto al Cristianesimo, l'acuta tensione fra statalismo e individualismo, la stridente frattura tra sacerdotalismo e bisogni religiosi popolari costituivano, all'interno della società, gli estremi d'un conflitto da cui il messia-nesimo di Gesù doveva trarre il primissimo e necessarissimo germe, onde s'impose come religione di salvezza dei popoli. Ma a sua volta il Cristianesimo si veniva a inserire nella tradizione messianica che aveva il suo fondatore in Mosè e la sua continuazione nei profeti dell'Esilio. Orbene, il Mosaismo era nato come prodotto dell'urto culturale fra una civiltà pastorale — fondata sul culto di un Essere supremo — che va a
(60) Kenyatta, 282; Vaggioli II, 372-3. L'identificazione col popolo perseguitato d'Israele é comune a tutte le formazioni profetiche polinesiane: cfr. Lanternari 1957, 70, 77-8. Sulla indipendenza dei vari culti profetici considerati come fenomeni tipicamente a convergenti », a livelli culturali e in territori i piú disparati, cfr. Lowie, 1957.




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insediarsi fra genti agricole e sedentarie, e la civiltà politeista di cui quelle genti erano portatrici (61). Il Messianesimo esilico era sorto a sua volta a riscatto di una sconvolgente esperienza — l'esilio — che minacciò alla radice l'esistenza del popolo ebraico.
Che dunque si tratti di conflitto interno (Cristianesimo) o determinato da urti fra eterogenee culture (Mosaismo, Profeti dell'Esilio), che il messia impetri una salvezza ultraterrena (quando il conflitto é interno) o una salvezza prevalentemente terrena (se il conflitto proviene dall'esterno), ne risulta comunque che i movimenti profetici e messianici di cui é stata protagonista la civiltà religiosa occidentale al suo nascere costituiscono altrettanti ed autentici precedenti storici dei movimenti profetici « nativisti » dei popoli coloniali, sia per le condizioni di crisi culturale da cui gli uni e gli altri nascono, sia per il valore soteriologico di cui si caricano, in rapporto alle crisi.
I popoli nativi oggi ripercorrono dunque, ad opera dell'urto subito coi bianchi, un itinerario religioso che la cultura occidentale percorse a suo tempo nell'atto della sua fondazione e nei suoi primi stadii. Vero è che la cultura moderna, nella sua veste ufficiale, é venuta accantonando quelle antiche esperienze tra i ricordi di una storia lontana. Tuttavia non del tutto quella storia é scaduta dal suo antico valore, né conflitti culturali e religiosi hanno mancato e mancano, fino ai tempi recenti, di ripresentare in veste più o meno rimodernata reviviscenze messianiche e profetiche: basti pensare appunto al Russellismó, al movimento dei Mormoni e di Saint Simon o — per non tornare indietro al Gioachimismo e ai movimenti ereticali del nostro Medio-Evo (62) —
al Lazzarettismo nonché ai più vari movimenti di rinnovamento religioso e sociale i quali costellano il mondo culturale d'ogni paese moder-
no. Essi esprimono, allo stesso titolo che presso le società primitive, una condizione di crisi di cui rappresentano ad un tempo il prodotto e il riscatto religioso.
Tuttavia conviene discriminare — per entro la varia fenomenologia dei movimenti profetici — due forme storicamente eterogenee, che contrassegnano la vasta fioritura di manifestazioni di tal sorta su terreno etnologico così come presso civiltà progredite. Mentre una grande parte
(61) L'interpretazione del profetismo Mosaico come prodotto d'urto fra una cultura religiosa di carattere essenzialmente pastorale ed una a carattere fondamentalmente agricolo, é già enunciata nella conclusione del mio libro La Grande Festa, d'imminente pubblicazione (ed. Il Saggiatore, Milano).
(62) Cohn 1957.
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di tali manifestazioni hanno radice in conflitti interculturali e pertanto in fattori d'urto di carattere esterno, un'altra parte altrettanto cospicua trova la sua origine in tensioni e conflitti d'ordine interno, provenienti da contraddizioni inerenti alla società stessa nel cui seno esse s'originano (63).
Beninteso, la distinzione tra origine « interna » ed « esterna » vuole avere per noi carattere dialettico-storico, e non statico-morfologico: tanto
i due momenti sono intimamente concatenati fra loro nel processo concreto. Converrà fermarsi brevemente in proposito.
In realtà non v'è movimento profetico d'origine « esterna » in cui non siano compenetrati motivi di crisi d'ordine interno, mentre reciprocamente a nessuna formazione profetica d'origine « interna » mancano decisive ripercussioni all'esterno. Del resto basti pensare che qualunque urto esterno in tanto genera crisi in quanta pone internamente la società nell'alternativa di una scelta tra una via tradizionale ormai superata dai fatti e una nuova via da elaborare dal seno stesso della propria cultura.
Dobbiamo ancor precisare che nelle stesse società « primitive », accanto alle più numerose manifestazioni profetiche nate dall'urto con la cultura occidentale, non mancano crisi e conflitti di carattere interno, rifluiti in altrettante formazioni profetiche, talora determinandole. Esempi di profetismi endogeni presso società « primitive » sono le formazioni profetiche antistregoniste africane di cui s'è fatto cenno, i movimenti messianici brasiliani dei Tupi-Guarani precedenti o appena successivi all'occupazione portoghese del sec. XVI (64), il movimento Koreri della N. Guinea Olandese nelle fasi pre-europee (65), il culto profetico del taro degli Orokaiva nella N. Guinea Britannica (66).
Infine, anche nell'ambito delle formazioni profetiche sorte da urto interculturale di società indigene coi bianchi, spesso — come s'è vista —a una fase di azione immediata e di lotta irredentista (Ghost Dance degli Indiani delle praterie, Hau-hau dei Maori) seguono fasi volte all'elaborazione di religioni salvifiche di tipo contemplativo (Peiotismo), ed organizzativo-ecclesiastico (Peiotismo stesso, chiesa Ringatu dei Maori, chiese native africane).
In conclusione non sono i fenomeni d'urto interculturale coi bian-
(63) Bastide 1956.
(64) Metraux 1948, 97-8; Id. 1927; Pereira de Queiroz 1958, 3-30, 111-20.
(65) Kamma, s. d.
(66) Lanternari 1956, 33-42; Williams 1928, 12 sgg.; Chinnery-Haddon 1917.
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chi le uniche ed esclusive radici dei movimenti profetici indigeni: bensì quelli sono i fattori di gran lunga preponderanti, in rapporto con le sconcertanti conseguenze sociali, culturali, religiose che l'urto uniformemente induce nei gruppi inferiori.
Anche nelle società « primitive » avanti al contatto europeo, e nel nostro mondo occidentale moderno si dà luogo a manifestazioni storiche di profetismo e messianesimo. Entrambe queste ultime forme noi designiamo come « endogene ». Fuori di schematismi di sorta, e con le precisazioni già fatte in ordine al valore dialettico dei termini « interno » ed « esterno », intendiamo qui dire soprattutto che se nei profetismi generati da urto interculturale i fattori precipitanti sono d'origine esterna, negli altri i fattori precipitanti sono d'origine interna.
Moventi d'origine esterna ed interna s'intersecano nella formazione del profetismo giudaico, dal Mosaismo ai profeti dell'Esilio. Infatti all'urto interculturale tra due correnti, la pastorale e l'agricola, s'intreccia l'interno conflitto fra monoteismo e politeismo, fra elementi religiosi « idolatrici » e religione « ufficiale », cioè sacerdotale.
Non per nulla la storia religiosa dell'antico Israele si svolge sul binario continuo del conflitto tra un « ufficiale » monoteismo e l'idolatria o politeismo « popolare » : conflitto che profondamente l'impronta.
Ora, precisamente il contrasto interno fra religione « popolare » e religione « ufficiale », intese come momenti particolari di un unico processo dialettico-storico, si perpetua per entro la storia del Cristianesimo, diretto erede del Giudaismo. Ciò non è senza rapporto con lo sviluppo assunto nel mondo cristiano dalle istituzioni ecclesiastiche (eredi del sacerdotalismo giudaico), e con le contraddizioni che ne scaturiscono, fra esigenze istituzionali da un canto e dall'altro le esigenze religiose della società nel suo insieme.
D'altra parte il suddetto conflitto tra momenta popolare e momento ufficiale della religione — inteso quest'ultimo nella forma di sacerdota-lismo teocratico — presiede alle origini stesse del Cristianesimo, e non solamente d'esso ma dei vari movimenti profetici cananei, dall'Esseni-smo alla Setta di Qumran. Infine il medesimo conflitto impronta l'intero svolgimento storico del Cristianesimo, dal Medio Evo alla Riforma, ai movimenti messianici dei tempi recenti e d'oggi stesso. Dunque in questi vari, ricorrenti movimenti profetici convergono e si polarizzano, contro l'azione ecclesiastica imposta « dall'alto », le esigenze religiose
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popolari, radicate in modo stringente, immediato, spontaneo alle forme di esistenza collettiva (66 bis)
Una tra le moderne manifestazioni di tale conflitto religioso é ap- punto il Russellismo. I1 suo incontro con i culti profetici a livello etnologico, l'intima intesa stabilitasi spontaneamente fra questi e quello rappresentano un documento quanto mai illuminante, quasi uno « specchio » rivelatore del valore contraddittorio insito nella civiltà religiosa a moderna ». Infatti il conflitto tra chiese missionarie e nazioni moderne da un canto, civiltà « primitive » dall'altro vale ad illuminare i limiti non soltanto delle civiltà « primitive », bensì non meno della civiltà cosiddetta « moderna », con le sue peculiari istituzioni di chiesa e stato.
In effetti le formazioni profetiche ricorrenti entro il mondo occidentale moderno, pur nelle loro infinite varianti, hanno una radice comune nello squilibrio fra prepotenti forze istituzionali quali Chiesa, Stato ecc., e le esigenze religiose spontanee ed incorrisposte della società.
I profetismi sorti da conflitti interculturali hanno orientamenti tendenzialmente diversi da quelli di carattere endogeno. I primi tendono a porre la via della salvezza, specie nella prima fase in cui l'urto è più sconvolgente, nell'azione immediata, nella lotta, nella polemica diretta e decisa contro le istituzioni straniere che ostilmente imperversano. Così é delle società « primitive » che si volgono contro gli europei invasori. Così é del Mosaismo, in lotta contro gli Egizi ed i Cananei. Così infine dei profeti dell'Esilio, che condannano apocalitticamente Babilonia.
A sua volta nelle formazioni profetiche a carattere endogeno la via di salvezza é rivolta all'azione religiosa e morale assai più che all'azione politica esterna. Gli esempi del Cristianesimo apostolico e degli altri piú recenti movimenti profetici d'origine cristiana sono eloquenti. Salvarsi significa metodicamente avviarsi ad un'esistenza ultraterrena che sola può attuare la piena liberazione individuale. La salvazione si polarizza nell'escaton o fine del mondo, il cui significato perciò diventa univocamente positivo, mentre si proclama la rinuncia ai valori immediati e immanenti d'utilità terrena : di quei valori che dominano con il loro grande peso nei movimenti nativisti a livello etnologico.
(66 bis) Per il conflitto tra momento « ufficiale » e momento « popolare » della vita religiosa, vedi: Lanternari, 1954.
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Tale carattere trascendentista distingue storicamente il Cristianesimo sia dai profetismi precedenti, sia dalle formazioni nativiste a livello etnologico, entrambi carichi di valori religiosi drammaticamente immanenti e protesi alla salvezza terrena del gruppo umano. Non apparirà inopportuno pertanto cercare comparativamente le ragioni che favorirono tale rivolgimento di valori profetici quale venne operato nel Cristianesimo (e del resto negli altri movimenti cananei).
Determinante sembra, in proposito, il carattere precisamente « endogeno » del movimento profetico cristiano. Prodotto da una cultura urbana altamente gerarchicizzata, il Cristianesimo sorse e si sviluppò, come manifestazione « popolare », dal confronto con forze egemoniche oppressive — il sacerdotalismo giudaico, lo statalismo romano — scaturite dal seno della società di cui esso era parte integrante. Combattere su terreno religioso contro tali insopprimibili forze era possibile in un modo soltanto e ad un'unica condizione, cioè globalmente rovesciando i valori dell'esistenza sociale, additando come positivi unicamente i valori ultraterreni.
Insomma, il programma salvifico del Cristianesimo, contro il sa-cerdotalismo e insieme contro lo statalismo, doveva necessariamente fondarsi su una evasione integrale dalla storia, sulla fondazione di un Regno che doveva attuare il rovesciamento, anzi l'annullamento delle vigenti sovrastrutture sociali.
Sembra significativo che un'analoga, altrettanto radicale evasione dalla storia si adempie, pur in differenti forme, presso religioni profetiche a livello etnologico. Si tratta sempre di. profetismi « di origine endogena » come il Cristianesimo. Le formazioni messianiche Tupi d'epoca precoloniale (Brasile) si fondano su una evasione in massa dai territori d'origine, e su un collettivo ritorno simbolico verso una mitica dimora paradisiaca o « Terra senza mali », sita — conformemente al mito tradizionale —. sulle coste dell'Oceano, o addirittura oltre Oceano. Evidentemente anche in tal caso come nel profetismo cristiano le forze ostili e oppressive onde si pretendeva sfuggire agivano dall'interno della società stessa. Contrapporvisi significava voler fondare una società nuova, in una nuova dimora. Così è del Cristianesimo. Così è anche del movimento dei Mormoni, originariamente voltosi a fondare una nuova sede segregata dalla società ufficiale, esclusiva per i fedeli. Più volte la dimora paradisiaca si attua mercé la fondazione di una « città santa », che per influsso biblico può denominarsi « nuova Gerusalemme ». Quest'ultimo è il caso dei recenti movimenti messianici (sec. XIX) di Ca-
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nudos, Joazeiro e Contestado in Brasile (67). Lazzaretti sul Monte Labro erigeva invece una chiesa: identica era la sua funzione (68).
Dalla nuova sede « santa » in tal modo fondata a volte si scatena la K guerra santa » contro le potenze ostili, ormai resesi in qualche modo esterne in virtù dell'isolamento o allontanamento del gruppo fedele al suo profeta. È il caso dei culti profetici brasiliani testé menzionati, e del movimento Lazzarettista.
In conclusione, a qualunque livello culturale, i movimenti profetici d'origine endogena sono portati dalla loro, stessa natura a realizzare una radicale evasione dalla società e dal mondo, a fondare su un piano di extra-storicità, in contrapposizione alla realtà vigente, una società ed un mondo proprio, mantenendosi estranei ad ogni diretta e battagliera azione modificatrice. A tale azione modificatrice, alla lotta sociale e politica essi sboccano solo quando e perché abbiano assunto una posizione frontale ed esterna rispetto alle forze ostili. In siffatte condizioni ed in tale fase essi fanno propri quelli che sono i caratteri salienti dei movimenti profetici d'origine esterna, tendenzialmente volti a contrapporre, all'invasione della potenza egemonica, l'espulsione di quella e non la propria evasione.
Abbiamo fin qui caratterizzato alcune differenze, storicamente determinate, tra formazioni profetiche di tipo occidentale « moderno » (Cristianesimo apostolico fino al Russellismo, Mormoni, Lazzarettismo, ecc.), e formazioni profetiche a livello etnologico, tra profetismi d'origine esterna ed interna. Al di là delle differenze riconducibili a diverse condizioni storiche e culturali, le varie formazioni profetiche sono congiunte da un indissolubile nesso. Esse rivelano le condizioni di crisi in cui versano da un canto le civiltà coloniali, dall'altro la civiltà moderna occidentale. Quanto ai rapporti fra cultura ufficiale moderna e culture cosiddette primitive, le religioni profetiche rivelano un preciso limite inerente alla prima di esse, dato dall'esclusivismo dogmatico ed auto-centrico dei suoi organismi istituzionali quali chiesa e stato, verso manifestazioni tendenti, come i culti profetici di liberazione e di emancipazione, a rinnovare, trasformare, rompere l'ordine religioso, sociale, culturale e politico ufficialmente costituito.
Dal canto loro i culti profetici nativisti dei popoli a livello etnologico, che si tratti di culti di liberazione propriamente detti, volti decisa-
(67) Pereira de Quieroz 1958, 11-16; Id. 1957 (movimenti del »rasile del sec. XIX); U'dea 1957 (Mormoni); Metraux 1927 (movimenti migratori messianici dei Tupi brasiliani).
(68) Seguy 1958, 74-5.
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mente alla lotta, ovvero di culti di emancipazione volti a instaurare forme religiose nuove ed autonome secondo rapporti di convivenza coi bianchi, mostrano invariabilmente che la storia religiosa dei popoli nativi e arretrati ha le sue ineliminabili esigenze, che nessuna potenza o istituzione egemonica può presumere di conculcare o ignorare. Nello sviluppo religioso di codeste popolazioni non v'è in nessun caso possibilità di supine acquiescenze. Le cosiddette conversioni sono in larga misura — come i missionari più illuminati ammettono di buon grado — più apparenti che reali, e toccano comunque la superficie più che il fondo della vita religiosa. Nessuna propaganda esterna, nessuna imposizione o proibizione proveniente dall'alto hanno il potere di frantumare l'inderogabile libertà della storia. La quale ultima ha in ciò la sua legge suprema: che gli itinerari futuri sui quali essa va a svolgersi non sono mai tronconi aggiunti da fuori agli itinerari del passato, sibbene di questi sono continuazione e germinazione spontanea. Insomma, la tradizione religiosa può trasformarsi, correggersi, superarsi: non pue) mai rinnegare se stessa: poiché annullare se stessa non é carattere della storia.
VITTORIO LANTERNARI
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Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
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