Il segmento testuale socialista è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti. Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 3645Analitici , di cui in selezione 159 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici) |
da (Nove domande sullo stalinismo) Valdo Magnani in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1956 - 5 - 1 - numero 20
Brano: [...]eguente: come é stato possibile che la dottrina e le istituzioni rivoluzionarie si risolvessera in un regime fondato sul « culto della personalità » o, fuori dal linguaggio convenzionale, in un regime dittatoriale che aveva necessità di una serie di atti illegali, in senso formale rispetto alle leggi esistenti e in senso sostanziale rispetto ai principi, anche se la forma corrispondeva alla legge scritta ? La risposta a questa domanda, nel campo socialista, é fondata su una estensione temporale del momenta di eccezionalità della rivoluzione nelle condizioni particolari della Russia del 1917 e dopo, sia in considerazione della situazione interna del paese, sia in considerazione dell'atteggiamento di tutto il resto del mondo verso il primo Stato in cui i capitalisti sono stati espropriati. La necessità di intraprendere la costruzione del socialismo in un solo paese e precisamente in un paese di violentissimi contrasti di classe e quindi esplosivo (ciò che ha permesso la vittoria dei bolscevici nella rivoluzione e nella successiva guerra civile), [...] [...]galità tollerate per aprire la strada ad una sostanziale democrazia. L'affermazione di Nenni che ora sta per chiudersi il periodo del « comunismo di guerra » corrisponde a questa tesi. Essa é certo valida per l'impostazione del problema, ma, mi sembra che l'analisi debba essere ampliata almeno in due direzioni.
Quali sono intanto le caratteristiche della società che si é formata in quelle condizioni ? Non basta dire che si tratta di una società socialista in quanto la proprietà dei mezzi di produzione e
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di scambio é statale o collettiva. La dottrina marxista ci invita ad individuare le tensioni o le contraddizioni tra le forze materiali di produzione in continuo sviluppo e le forme di organizzazione (istituzioni) in cui la società sovietica via via si è fissata, e tensioni e contraddizioni diverse da quelle di una società capitalistica ma tuttavia esistenti. Un esame serio che esca dalla comoda identificazione del contingente con la necessità storica potrà mettere in luce come gli indirizzi politici che hanno os[...] [...] non fatalistici ma tali da contenere l'indicazione di una lotta positiva da condurre, il prevalere di tesi erronee in alcuni settori, ivi compresa la politica estera. (Ad esempio la tesi tipicamente cominformista, che identificava, dopo la seconda guerra mondiale, la vittoria del socialismo nel mondo con l'estensione del potere statale e militare sovietico. Come é noto questa concezione staliniana sta all'origine del conflitto con la Jugoslavia socialista). Nel passaggio dal comunismo di guerra alla NEP, alle forme di centralizzazione burocratica esasperata, alla ricerca, ora intrapresa, di forme decentrate con accentuazione delle autonomie vi è l'indicazione di una problematica nuova, la problematica di una società socialista in quelle particolari condizioni.
In secondo luogo occorre vedere le forme particolari, russe, in cui si è espresso il tentativo di conciliare i principi — tenuti costantemente fermi nell'adorazione dei testi — con la realtà con cui. si aveva a che fare. Il lavoro bizantino di forzare l'interpretazione dei testi per giustificare le contingenti necessità dello sviluppo sovietico ha corrisposto forse alla necessità di non rischiare la perdita
di un ancoraggio indispensabile in una società che chiedeva troppe compressioni e sacrifici in nome di una vita più felice di quella
dei paesi capitali[...] [...] caduta dello stalinismo rompe con la pretesa dell'assenza di una problematica sostanziale del mondo sovietico (il paese degli uomini felici), mette a nudo, sia pure con cautela, i nodi reali di questo mondo in immenso sviluppo, lo ricongiunge, cancellando l'immobilismo dogmatico, con la dottrina marxista vivente che é fame di realtà in sarcastica polemica con tutte le apologie, ristabilisce i contatti dialettici e fecondi con tutto il movimento socialista e democratico mondiale. Il carattere particolare dello sviluppo sovietico viene così affermato e valutato come esperienza drammatica e irripetibile, ma di inestimabile valore nel cammino dell'umanità verso il socialismo.
III. Non è la morte di Stalin la caduta dello stalinismo. Nessuno ha tentato di sostituirsi a Stalin cercando di eliminare i concorrenti per riprendere le tradizioni metodologiche e politiche del dittatore. La scomparsa dell'autocrate é stata il catalizzatore di un movimento di fondo che lentamente montava. I successori se ne sono fatti portatori proclamando appunto non la f[...] [...] «culto di Stalin » ma la fine del « culto della personalità » e determinando quella svolta del cui significato stiamo discutendo. L'analisi delle condizioni nelle quali lo « stalinismo » si è affermato contiene implicitamente anche l'indicazione delle condizioni nuove che han reso possibile la svolta. Le mutate condizioni, proprio perché sono un fatto nuovo non consistono però soltanto nella rimozione delle difficoltà iniziali della rivoluzione socialista. Ci si può forse rendere conto del carattere del periodo che ora si apre accennando al significato e alle difficoltà dell' « antistalinismo» come tendenza operante nell'ambito del movimento operario. Una
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prima opposizione di carattere morale si è manifestata continua mente nel periodo stalinista tra gli stessi comunisti. Sono note le opposizioni alle purghe e ai processi non solo in quanto sopprimevano o riducevano all'impotenza sostenitori di tendenze diverse ma in quanto pretendevano di imporre la falsa accusa di tradimento, di spionaggio ecc. Tuttavia — ecco[...] [...]si tratta, sta ad indicare che se il problema morale per la persona esiste ed esisterà sempre, non sempre le condizioni sono tali da trasformarlo in un problema politico. Forse il dramma delle false autoaccuse nei processi stalinisti ha le sue origini proprio in questa coscienza dell'impassibilità di trasformare la propria testimonianza di verità (moralmente non solo ineccepibile, ma eroica) in un atto politico positivo ai fini della rivoluzione socialista in cui si crede e a cui si è dedicata la vita. Nel conflitto la persona soccombe in un martirio che è il simbolo del travaglio di una società alle doglie del parto.
Dopo la seconda guerra mondiale finisce la fase della costruzione del socialismo in un solo paese. Parecchi stati sono sulla via del socialismo, in una serie di altri la necessità e la possibilità di trasformazioni socialiste si pone immediatamente. I rapporti tra i partiti comunisti fuori dell'URSS e gli altri settori del movimento operaio e democratico — già vivificati dalla politica unitaria dei fronti popolari contro il fasci[...] [...]ti comunisti sono diventati grandi organismi di massa, sotto il profilo della realizzazione di una politica nazionalepopolare cui l'egemo
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nia ideologicopolitica dello Statoguida é sempre più estranea. Per l'URSS più ancora, a mio parere, dell'aumentata produzione e dell'aumentato tenore di vita — che ovviamente hanno la loro importanza — é divenuta decisiva la nuova condizione politica rappresentata dall'avanzata del movimento socialista e popolare nel inondo, dai paesi socialisiti ai territori coloniali già indipendenti o in via di diventarlo, ai movimenti socialisti o progressisti dei paesi più evoluti. La sicurezza, per l'URSS, si profila possibile non più appellandosi allo Statoguida con tutto il suo armamentario (divisione del mondo in due blocchi contrapposti, partiti comunisti che difendono dogmaticamente il mito sovietico e tendono a ripetere il modello staliniano ecc.) ma diventando essa stessa un elemento — assai importante ma un elemento — dello schieramento solidale dei popoli e via via degli Stati, sempre più mod[...] [...]per la pace, la smobilitazione dei blocchi militari e la coesistenza competitiva, nel rispetto dell'indipendenza di ognuno. La svolta politica è in questi tratti che si stanno delineando. L'opposizione allo stalinismo nel quadro del movimento operaio si trasforma in una politica che non divide il movimento comunista nel suo interno ma segna il passaggio ad una fase di più facile permanente collaborazione tra i vari settori del movimento operaio, socialista e democratico di tutto il mondo. Il problema morale a cui si accennava sopra é diventato problema politico, un problema la cui soluzione dialettica é già definita nei suoi contorni. 11 dilemma stalinismoantistalinismo segna l'origine storica della problematica nuova ma perde ogni rilievo proprio con la caduta dello stalinismo. I termini della soluzione stanno invece nella necessaria diversità delle vie percorribili da ogni paese per giungere al socialismo mentre viene mantenuta la solidarietà generale tra i movimenti popolari e democratici di tutto il mondo (problema della pace).
A questa nu[...] [...]a sicurezza e lo sviluppo dell'URSS é la causa della caduta dello stalinismo. L' « antistalinismo » dalle sue tragiche punte estreme iniziali di impotente rivolta morale nell'interno dell'URSS — «gli allori del semplice volere sono foglie secche che mai verdeggiarono» ricorda Hegel — é pervenuto in questo dopoguerra attraverso una lotta politica creativa che si é svolta dentro e fuori dei partiti comunisti e che ha abbracciato tutto il movimento socialista e popolare, a dar vita ad una dialettica di rinnovamento che lascia dietro le sue spalle i vecchi schemi. Sul piano ideologico esso é valso ad impedire che la concezione marxista fosse ridotta ad uno schema fatalistico della storia, davanti alla quale il militante «fedele» doveva porsi come il cattolico davanti alla provvidenza divina. Il credente cerca di risolvere il conflitto tra l'uomo e l'inesorabilità della storia con l'adesione e l'aspettativa espresse dalla preghiera. Ma il materialismo storico é interpretazione del mondo al fine di mutarlo e pone quindi al centro della storia l'attiv[...] [...]à sviluppandosi tra i partiti comunisti e gli altri settori del movimento operaio e democratico. Questo principio condanna infatti ogni forma di intervento negli affari interni di un paese e taglia alla radice le pretese imperialistiche. Esso è anche a mio parere il presupposto necessario per prendere in esame la diversità delle istituzioni nel quadro delle quali si può concretare la marcia verso il socialismo e lo stesso sviluppo di una società socialista (una società dove i capitalisti in linea generale sono stati espropriati).
Per definizione un regime socialista deve essere democratico:
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la fonte del potere deve essere la volontà popolare e l'esercizio del potere deve avvenire con la partecipazione più larga possibile dei cittadini.
Le caratteristiche di sviluppo del regime sovietico dall'affermarsi dello stalinismo alla condanna del culto della personalità hanno messo in luce che ciò non avviene automaticamente con l'espropriazione dei capitalisti, ma costituisce un problema, tanto più difficile in quanto è un problema nuovo che si presenta, nei suoi termini di libertà, democrazia e collettivismo per la prima volta ne[...] [...]più che si applicano istituti definitisi nella società divisa in classi ad una società senza classi, almeno nel senso di classi sociali differenziate da una diversa partecipazione alla proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio. D'altra parte le istituzioni sovietiche se trovano una loro giustificazione nella storia del paese e della rivoluzione non appaiono, per tutto ciò che è successo, tali da aver raggiunto il loro pieno sviluppo socialista. Seguendo le stesse indicazioni del movimento in corso le modificazioni necessarie sembrano essere nella direzione del decentramento, della distinzione tra Partito e Stato nei suoi vari organi e soprattutto nella ricerca della partecipazione diretta dei lavoratori alle decisioni che riguardano i problemi della produzione. Si profila qui una certa autonomia, anche economica, delle collettività produttrici (aziende industriali e colcos) e quindi una nuova fase della pianificazione non più fondata sull'assoluta centralizzazione e burocratizzazione. Si riallacciano al decentramento le possibilità[...] [...] sistema di democrazia diretta che ha le sue basi nelle strutture stesse dell'economia. Lungo questa strada ha proceduto arditamente la rivoluzione jugoslava con i
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consigli di gestione operaia nelle imprese che sono economicamente autonome nel quadro di una pianificazione fissata nelle linee generali. Lo Stato piuttosto che burocraticamente accentratore è regolatore, attraverso il credito e interventi più diretti di un mercato socialista — le imprese sono tutte nazionalizzate — nel quale il decentramento e le autonomie alimentano lo sviluppo di una democrazia diretta che culmina in una Camera dei produttori che affianca il parlamento a suffragio diretto e segreto.
Diverso mi sembra debba essere oggi il discorso per i paesi capitalistici. Dico oggi perché é soltanto ora, in questo secondo dopoguerra, nella nuova situazione internazionale, che si profila la via pacifica per il socialismo. Si pensa cioè che sia meno probabile che i gruppi capitalistici dominanti, da soli o con l'aiuto straniero, siano disposti a scatenare la gu[...] [...] per i paesi capitalistici. Dico oggi perché é soltanto ora, in questo secondo dopoguerra, nella nuova situazione internazionale, che si profila la via pacifica per il socialismo. Si pensa cioè che sia meno probabile che i gruppi capitalistici dominanti, da soli o con l'aiuto straniero, siano disposti a scatenare la guerra civile contro una maggioranza che intacchi a fondo i loro privilegi. In queste condizioni e dopo le esperienze del mondo già socialista non si pone da nessuna parte la prospettiva di un salto ad un tipo di « comunismo di guerra )>. Anche i paesi sovietici del resto dalle situazioni di indiscriminata collettivizzazione sono poi tornati a forme intermedie procedendo a zigzag nella costruzione degli elementi della società socialista. Né va dimenticato che nell'Europa occidentale l'industria é sviluppata, la democrazia ha antiche tradizioni e le classi lavoratrici sono più mature. E possibile quindi che una coalizione di partiti possa guidare per lungo tempo la trasformazione graduale ma sostanziale delle strutture economiche. Essa potrà anche essere nei diversi periodi di varia estensione, in relazione alla varia estensione di una opposizione parlamentare. Quali caratteristiche poi acquisteranno via via i vari partiti e come si definiranno i loro rapporti nel corso della trasformazione strutturale della società é cosa ch[...]
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da Georg Lukacs, Problemi della coesistenza culturale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69
Brano: NUOVI ARGOMENTI
N. 6971 LuglioDicembre 1964
PROBLEMI DELLA COESISTENZA CULTURALE
Qualunque possa essere l'esito immediato degli attuali colloqui per la pace, é certo che nei prossimi decenni la coesistenza pacifica tra il mondo borghese e quello socialista acquisterà importanza sempre crescente, E poiché le discussioni attuali intorno a questo tema mostrano per lo più una notevole confusione sia nella determinazione dei fondamenti sia in quella delle prospettive, ci sembra opportuno esaminare brevemente i problemi teorici più generali che stanno alla base di questo complesso.
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Soprattutto da parte dell'Occidente, si sottolinea di continuo che fino a quando l'Unione Sovietica non avrà rinunziato al suo obbiettivo, cioè il comunismo mondiale, non si potrà mai parlare di vera coesistenza. Sul piano teorico, questo ci sembra un discorso vuoto, m[...] [...]nza della sfera economica non é un motivo operante in assoluto. Anzi — e ancora una volta in ultima analisi — si tratta di vedere quale sistema economico sia in grado di garantire agli uomini una vita più ricca di contenuto e di significato.
In precedenti articoli ho parimenti sottolineato questa limitazione ultima nell'efficacia ideologica dei fatti economici, soprattutto riferendomi alla grande forza spirituale di attrazione della Rivoluzione socialista negli anni venti, in un'epoca nella quale
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dal punto di vista economico non erano stati neppure riparati i danni prodotti dalla guerra. Per il presente, questo problema viene posto in primo piano anche soltanto perché l'ultima fase dello sviluppo capitalistico ha conferito al tempo libero, all'ozio un'importanza mai verificatasi prima in una misura socialmente così ampia. E ciò in due direzioni. Da un lato, il costante aumento quantitativo del tempo libero é insito nella tendenza di sviluppo dell'economia, dall'altro, la sua utilizzazione da parte dell'uomo non avviene con la na[...] [...]li che possano chiarirle come prospettive, egli non ha affrontato i problemi concreti del « regno della libertà », secondo la sua definizione posteriore. Le tendenze generali deformanti, sia teoriche sia pratiche, del marxismoleninismo nel periodo staliniano hanno come conseguenza che agli uomini che soffrono per il vuoto capitalisticamente deformato del loro ozio, alla base divenuta astratta del loro sviluppo umano, non si profila alcun modello socialista, non viene prospettata una via d'uscita socialista. Inoltre — e ancora una volta si tratta di un fatto di somma importanza — non esiste alcun sostituto immanente al capitalismo per la mancanza di una prospettiva socialista come modello e via d'uscita.
Ai nostri fini, é sufficiente aver indicato ,i contorni più generali di questo nodo di problemi. Abbiamo inteso così soffermare l'attenzione sul fatto che, nell'evoluzione prevedibile dell'immediato futuro i problemi della cultura saranno chiamati a svolgere un ruolo qualitativamente piú rilevante che in epoche precedenti, cioè in uno stadio inferiore di sviluppo del capitalismo
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Abbiamo definito la coesistenza culturale una forma della lotta di classe. Naturalmente, in tal modo non si é detto nulla di nuovo. Fin da quando sono esistite le classi, la classe d[...] [...] ideologica del capitalismo e del socialismo Si venga a sottrarre alla coesistenza culturale ogni terreno intellettuale. In realtà, avviene esattamente il contrario: soltanto attraverso questo bilancio critico del presente è possibile spianare la via del futuro, la via verso la coesistenza culturale, che si avrà inevitabilmente. A tal fine, la premessa evidente é la resa dei conti con l'eredità
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staliniana quanto alla concezione socialista del mondo. Ciò, naturalmente, vale soltanto per coloro che sono in grado di comprendere il carattere di concezione generale del mondo proprio del marxismo. Da Max Weber a Wrigth Mills, non sono pochi coloro che — in misura maggiore o minore — l'hanno compreso. E' difficile, invece, stabilire un dialogo su questo argomento con coloro che, come Madariaga, ritengono che la concezione del mondo di Lenin fosse: «O mi dài ragione o ti sparo». Per questo, Madariaga é rimasto sorpresa e urtato perché in un mio precedente l'ho nominato insieme a Enver Hodsha; per questo non ha compreso come il tertium[...] [...]po immutabilmente uniforme alla superficie, la realtà opera però un mutamento significativo, che, in verità, oggi si esprime soltanto in singoli tentativi politici su base pragmatistica, anche se — in sé significa per mutamento importante e di principio per tutto il mondo capitalistico. Per eliminare a priori ogni malinteso, si tratta di un mutamento all'interno del sistema capitalistico; non sto parlando ora delle possibilità di una rivoluzione socialista. Dopo la grande crisi del 1929, Franklin D. Roosevelt aveva compreso che, data la grande labilità di tutto il mondo attuale, data 'l'esistenza di un potente Stato socialista, il ripetersi di simili criSi avrebbe po
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auto recare con sé gravi pericoli anche per gli USA. Di conseguenza, elaborò una politica economica la cui linea fondamentale mirava a evitare le crisi, a creare misure profilattiche per evitare il loro scoppio, etc. Prescindendo dal fatto se questa posizione sia stata assunta con una giusta o falsa coscienza della sua base economica, il suo significato oggettivo risiede nella difesa degli interessi generali del capitalismo nel suo complesso, se necessario anche contro gli interessi di singoli gruppi capitalist[...] [...]e all'infausto appoggio dato, in politica estera, alle tendenze e ai governi più reazionari del Centro e SudAmerica, per rendere evidenti l'universalità di tale problema. Né questo saggio può porsi come obiettivo l'analisi delle possibilità e prospettive di tale sviluppo. Per noi, questo fatto Storico ha soprattutto una importanza ideologica. Infatti, una sua conseguente attuazione richiede un ripensamento ideologico quanto lo richiede nel mondo socialista il superamento dei metodi staliniani. Osserviamo, incidentalmente che la parola «quanta» dovrebbe essere messa tra virgolette, giacché il ripensamento ideologico del mondo borghese ha una struttura, una dinamica etc. differenti da quello marxista. Ma, per limitarci soltanto all'essenziale, quanto più coerentemente questo nuovo orientamento viene attuato sul piano pratico, tanto più viene a trovarsi in aspro contrasto con la generica manipolazione oggi imperante e basata sul neopositivismo. Infatti, essa considera lo stato odierno già, ed erroneamente, come un dominio degli interessi collettiv[...] [...]staliniana mirò a mantenere tutta la sua inteilighenzia — intesa nel senso più ampio — lontana dalla conoscenza di altre concezioni del mondo. Formalmente, un atteggiamento simile é estraneo alla cultura occidentale, tuttavia non si dimentichi che proprio su
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questo terreno é possibile una manipolazione quanto mai raffinata, che spesso è più efficace di una manipolazione brutale. Infatti, mentre nel mondo socialista, dopo la crisi della teoria staliniana, concezioni del mondo fino allora tenute lontane stanno vivendo un periodo di prestigio acritico, la raffinata manipolazione che predomina a Occidente é ampiamente riuscita a diffondere nell'opinione pubblica la credenza che il marxismo sia una dottrina e un metodo totalmente superati, di cui non è affatto il caso di occuparsi seriamente; abbiamo già accennato, peraltro, alle eccezioni costituite dai migliori.
Io credo dunque che le due grandi trasformazioni, provocate dallo sviluppo economico, di cui abbiamo parlato sopra, porteranno a conoscere la con[...] [...]pio, alla seconda metà del secolo scorso, quando il darwinismo nelle sue linee principali appoggiava gli ideologi progressisti, ma contemporaneamente — ad esempio, nel cosiddetto darwinismo sociale — poteva costituire un ausilio per la reazione ideologica, e così via.
Date le circostanze, obbiettivamente non é contraddittorio che noi da un lato partiamo dal fatto che tutta la coesistenza culturale sia una grandelotta tra la concezione del mondo socialista e quella borghese, ma dall'altro, e contemporaneamente, nei singoli dibattiti che costituiscono gli elementi concreti di questa totalità, ammettiamo che la funzione volta per volta attuale di singole dottrine, teorie, metodi etc. sia del tutto diversa, anzi passa operare in senso opposto. Una concezione monoliticounivoca della lotta di classe tra concezioni del mondo di sistemi sociali in concorrenza conduce ad una incomprensione totale della sua essenza. Questo non é meramente il risultato di singole innovazioni scientifiche etc., estremamente complesse, ma scaturisce piuttosto dall'essenza [...] [...]mo guardarci, e con maggiore attenzione che mai, dalle generalizzazioni monolitiche. Ancor oggi esse sono dominanti in .entrambi i sistemi, soprattutto per il fato che si tende a ignorare le lotte interne di tendenza nel campo dell'avversario. Non si poté evitare che ciò avvenisse nell'epoca di Stalin, ed ho già accennato altrove ad alcune conseguenze, ancora oggi operanti. La più importante, e la più pericolosa per lo sviluppo della letteratura socialista, é che non si tiene conto della lotta mai interrotta, anzi sempre più intensa, che si svolge in Occidente tra realismo e antirealismo. In Occidente, tali pregiudizi riguardo al realismo socialista sono del resto dominanti. Si dimentica che il periodo prestaliniano della Rivoluzione, i cui effetti perdurarono nella letteratura fino alla metà degli anni trenta, hanno prodotto non soltanto films ma anche scrittori come Séolokov e Makarenko, opere come gli ultimi drammi di Gorki, ad esempio Klim Samgin. E non si dimentichi che l'opposizione contro i metodi stalinisti, anche se fino a ora é soltanto agli inizi, ha rivelato scrittori come Solzenitsyn o Nekrassov, le cui opere non significano affatto una rottura con il realismo socialista bensì il suo interno rinnovamento adeguato alle esigen[...] [...]e, i cui effetti perdurarono nella letteratura fino alla metà degli anni trenta, hanno prodotto non soltanto films ma anche scrittori come Séolokov e Makarenko, opere come gli ultimi drammi di Gorki, ad esempio Klim Samgin. E non si dimentichi che l'opposizione contro i metodi stalinisti, anche se fino a ora é soltanto agli inizi, ha rivelato scrittori come Solzenitsyn o Nekrassov, le cui opere non significano affatto una rottura con il realismo socialista bensì il suo interno rinnovamento adeguato alle esigenze attuali. Questa é la via per la quale la letteratura socialista potrà riconquistare la sua importanza.
Non trattiamo tutti i problemi che scaturiscono da questa situazione, e dal suo futuro superamento da un osservatorio meramente estetico, ma soltanto come partì di quel complesso che abbiamo cercato in precedenza di intendere come lotta tra concezioni del mondo. Non per questo viene escluso il fattore estetico, al contrario. Esso sostiene un ruolo decisivo, giacché un'influenza generale, profonda e durevole sul piano della concezione del mondo scaturisce assai di rado da opere artisticamente minori. Proprio dove, come qui, si considerano gli effetti del[...]
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da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6
Brano: [...]gio d'insieme su Marchesi: un saggio denso ed essenziale, che per la prima volta ci dà un'immagine complessiva e convincente di una personalità cosí tormentata, cosí ricca di fascino e di aspetti sconcertanti.
Precedenti autori di libri e articoli su Marchesi hanno creduto di metterne in piú viva luce il valore negando le contraddizioni dell'uomo e dello studioso. La Penna ci presenta un Marchesi fortemente contraddittorio, quale fu in effetti: socialista (e poi comunista) con una sincera esigenza di giustizia e di elevazione culturale per i diseredati e gli oppressi, eppure legato a una concezione aristocratica della vita e a un senso dell'arte come creazione assolutamente individuale; angosciato dal dubbio esistenziale, dal « mistero », da un bisogno di fede religiosa sempre insoddisfatto e sempre perdurante, eppure non toccato da alcun dubbio di fronte alle atrocità staliniane, nemmeno quando esse, troppo tardi e troppo poco, furono sconfessate dal comunismo « ufficiale »; ostile all'aridità del « filologismo », eppure, quando si dedicava a[...] [...]arvenza e in un Io assoluto vera realtà. Ma era intimamente convinto che il buon gusto fosse, per ripetere un'espressione che abbiamo visto usata metaforicamente dal La Penna, un « dono delle Muse » largito a spiriti eletti: poeta et criticus nascuntur, non
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fiunt. E di questa aristocratica certezza di possedere il buon gusto si appagava, senza sentire il bisogno di motivarla. Nei momenti in cui si sentiva socialista o comunista (di momenti bisogna parlare, proprio perché il suo comunismo non era né teoricamente fondato, né basato su una militanza costante) vagheggiava un'umanità alla quale, tutta, i doni delle Muse potessero essere elargiti; ma questa era, in fondo, una speranza lontana e tutt'altro che certa; e se qualcuno gli avesse parlato di distinzione tra
« convincere » e « persuadere », il suo antiscientismo e la sua stessa vocazione retorica lo avrebbero indotto a rispondere che il « persuadere » è via alla verità (alla verità umanamente calda, non alla gelida e presuntuosa
« esattezza ») piú s[...] [...]o troppo) il « bisogno di Dio » era in Marchesi contrastato da una persuasione, a tratti riaffiorante, che proprio il dubbio e l'angoscia fossero il prezzo necessario della nobiltà umana, della poesia, di quella senechiana meditazione (ben diversa dall'orgogliosa sicurezza filosofica e scientifica) senza le quali la vita si sarebbe immeschinita, si sarebbe abbassata al vegetare di quel « volgo » verso cui, come abbiamo visto e ancora vedremo, il socialista e comunista Marchesi non riuscí mai a superare un aristocratico disprezzo. Nella conferenza su Lucrezio, dopo aver detto le parole già da noi riportate, che la scienza non potrà mai svelare l'arcano della vita, aggiungeva: « Perché se lo potesse un giorno, sarebbe morta la poesia »: una cosa, dunque, da non auspicare. E nella seconda edizione del Seneca (MessinaMilano 1934', p. 404) dichiarava: « Solo lo smarrimento e il dubbio aprono le porte dell'infinito allo spirito umano che la certezza costringerebbe nell'angustia e nell'inerzia di una immobile contemplazione ». Nell'atto stesso in cui [...] [...] non mancò di una certa dignità di fronte ai destalinizzatori italiani dell'ultima ora (e destalinizzatori solo in superficie), i quali, a cominciare da Togliatti, avevano pronunciato all'indirizzo di Stalin vivo e potente, o appena morto, le piú vergognose piaggerie. Ciò forse andava ricordato a p. 87 del libro del La Penna, pur tenendo fermo che non è attraverso le nostalgie staliniste (o stalinisteumaniste) che si può ricreare una prospettiva socialista. Ma certo il suo prestigio di grande umanista dovette, con ragione, apparire prezioso a Togliatti: di qui quelle parole troppo ditirambiche (in un uomo intelligente e, al tempo stesso, freddo e privo di senso dell'amicizia) per essere sincere.
7. Marchesi socialista nel primo Novecento. — Avendo accennato al Marchesi politico, siamo ancora una volta (l'ultima) ricondotti al clima tardoottocentesco della sua formazione. In quegli intellettuali a cui lo abbiamo accostato (Rapisardi, Graf, Pascoli) il « positivismo bisognoso di religione » si collega con una morale della fraternità, che sfocia in un socialismo umanitario, oscillante tra la rivolta anarchica e il solidarismo cristianomassonico, privo di ogni rigorosa base marxista. Che di questo tipo sia stato il socialismo iniziale di Marchesi, si comprende bene dalla lucida sintesi che nel cap. i del suo l[...] [...] DI ANTONIO LA PENNA 659
(compatibilmente con certi aspetti duraturi della « condizione umana ») piú felice: poteva essere semplicemente qualcosa da accettare in quanto ineluttabile, come un fenomeno della natura, come l'evoluzione biologica a cui molti socialisti di quell'epoca accostavano lo sviluppo storicosociale. Negli anni Novanta, Arturo Graf, aderendo al socialismo, scriveva a Turati: « Io accetto tutta, ne' suoi fondamenti, la dottrina socialista; non per la promessa che arreca di una maggiore felicità avvenire (io credo a una infelicità crescente col crescere della coscienza); ma perché riconosco in essa l'anticipazione teoretica di un fatto assolutamente ineluttabile, voluto dalla legge di evoluzione, e che certo sarà il fatto piú grande e piú mirabile della storia umana » (F. Turati attraverso le lettere di corrispondenti, per cura di A. Schiavi, Bari, Laterza, 1947, p. 116).
Simili adesioni al socialismo, per lo piú, durarono poco. Ai primi del Novecento, Pascoli non era piú socialista da tempo, e Graf cessò di esserlo. Non fu qu[...] [...]rescente col crescere della coscienza); ma perché riconosco in essa l'anticipazione teoretica di un fatto assolutamente ineluttabile, voluto dalla legge di evoluzione, e che certo sarà il fatto piú grande e piú mirabile della storia umana » (F. Turati attraverso le lettere di corrispondenti, per cura di A. Schiavi, Bari, Laterza, 1947, p. 116).
Simili adesioni al socialismo, per lo piú, durarono poco. Ai primi del Novecento, Pascoli non era piú socialista da tempo, e Graf cessò di esserlo. Non fu questa la parabola di Marchesi. Eppure anche in lui, accanto alla componente umanitaria, ebbe un notevole peso quel fatalismo che abbiamo notato or ora nella lettera di Graf a Turati. Ancora nel 1956, un anno prima della morte, rievocando in un discorso la sua adesione al socialismo, la attribuiva da un lato a un profondo senso di giustizia offeso per la miseria dei contadini siciliani, dall'altro (dopo brevi fasi di proudhonismo e di mazzinianesimo) alla lettura del Manifesto: una lettura in cui il momento « fatalistico » e avalutativo acquistava uno[...] [...]o a La Penna, che giustamente parla di « riflessioni sorprendenti sul socialismo » (p. 43); ma se le incoerenze tra aristocraticismo individualista (col correlativo disprezzo del volgo) e aspirazione al socialismo accompagnarono Marchesi per tutta la vita — con qualche attenuazione, ma attenuazione soltanto, negli ultimi anni —, qui mi sembra che si assista a un vero momento di acuta crisi. Marchesi proprio in quell'anno era consigliere comunale socialista (eletto in una lista democratica) a Pisa; e i suoi pochi interventi, per lo piú
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dedicati a problemi amministrativi, ma comunque non deroganti da una linea politica socialista (e uno, anche, pacatamente ma nettamente contrario alla degenerazione del patriottismo in sciovinismo guerrafondaio), sono
stati pubblicati recentemente, purtroppo senza adeguato corredo di notizie sull'attività politica piú generale da lui svolta in quel periodo (C. Marchesi, Interventi al Consiglio comunale di Pisa, Pisa, Amministrazione provinciale, 1978).
_ Eppure, in quell'articolo Marchesi separa nel modo piú crudo l'idea dell'ineluttabilità del socialismo (una ineluttabilità che tuttavia non esclude un periodo ancora non breve, e altrettanto necessario, di dominio dei borghesi, « por[...] [...]arte dell'intelligencija italiana, che si era accostata al socialismo durante la reazione di Crispi e di Pelloux e ancora nei primissimi anni del nostro secolo, ridiventa « borghese »: c'è chi si spinge al nazionalismo e prepara già un clima prefascista; ma il distacco dal socialismo fu compiuto anche da studiosi seri e onesti come Salvemini, Ciccotti e molti altri. Non è azzardato, credo, supporre che Marchesi, pur rimanendo iscritto al Partito socialista, abbia fortemente risentito dell'atmosfera antisocialista di quegli 'anni.
Quell'articolo del 1908 dette luogo (lo ricorda, anche se fugacemente, Piero Treves, art. cit., pp. 141,146) a una replica di Alessandro D'Ancona, Malinconica visione dell'avvenire (« Giornale d'Italia », 26 luglio 1908 = Ricordi storici del Risorgimento italiano, Firenze [1914], p. 541 s.). Il conservatore, ma non reazionario D'Ancona ebbe buon gioco nell'osservare che, invece di prevedere il cataclisma sociale rimanendo fatalisticamente inerti, sarebbe stato meglio « adoprarsi a regolare, ravviare, correggere, temperare quell'impeto cieco che si prevede ». E quanto alla cu[...] [...]ica visione dell'avvenire (« Giornale d'Italia », 26 luglio 1908 = Ricordi storici del Risorgimento italiano, Firenze [1914], p. 541 s.). Il conservatore, ma non reazionario D'Ancona ebbe buon gioco nell'osservare che, invece di prevedere il cataclisma sociale rimanendo fatalisticamente inerti, sarebbe stato meglio « adoprarsi a regolare, ravviare, correggere, temperare quell'impeto cieco che si prevede ». E quanto alla cultura del mondo futuro (socialista o no), si dimostrava piú progressista di Marchesi: « Quanto a noi, adoriamo con razionale ossequio e il buon Virgilio e lo scettico Orazio [ ... ] ; ma non possiamo credere che essi rappresentino, oltreché il passato, anche l'avvenire della civiltà; crediamo, anzi, che anch'esso il mondo avvenire troverà il suo appropriato verbo poetico ». Marchesi si era messo in un bell'impiccio; e nella sua risposta (Senza amore, senza Dio, senza arte?, « Giornale d'Italia », 30 luglio 1908) cercò, bisogna dirlo, di cambiare le carte in tavola. Da un lato affermò di aver voluto, quanto ad Orazio, « fare so[...] [...]o, anzi, che anch'esso il mondo avvenire troverà il suo appropriato verbo poetico ». Marchesi si era messo in un bell'impiccio; e nella sua risposta (Senza amore, senza Dio, senza arte?, « Giornale d'Italia », 30 luglio 1908) cercò, bisogna dirlo, di cambiare le carte in tavola. Da un lato affermò di aver voluto, quanto ad Orazio, « fare soltanto opera di divulgazione », sfatando la diceria di Orazio poeta cortigiano; dall'altro dichiarò: « Sono socialista, tutto d'un pezzo, e sul serio », e finse di essersi battuto soltanto contro certi fraintendimenti della dottrina socialista. Dei propri insulti alla « moltitudine » non fece parola (mentre essi occupavano gran parte dell'articolo oraziano); e dopo aver deplorato in quel primo articolo, come si è visto, la prossima fine della fede in Dio, adesso dichiarò che Dio « sta troppo in alto », e introdusse perfino nel suo discorso, lui nemico della scienza, una nota scientistica e laicistica: « Oggi molti uomini di studio volgono l'occhio lassú, in alto, in cielo, solo per indagare e conoscere le leggi della enorme vita planetaria, non già per offrire all'uomo affaticato il premio dell'oltretomba... ». Nella controreplica [...] [...] una volta, facile vittoria, senza nemmeno incalzare troppo il Marchesi. E quanto alla questione di Dio, ribatté: « E sia: ma il mistero della vita, della vita umana ed universale, rimarrà sempre impenetrabile, per quanto si centuplichi il patrimonio del sapere ». Era un'asserzione tipicamente marchesiana, che il Marchesi si vedeva ritorcere contro! Ma certo sarebbe interessante (benché non
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facile) studiare il Marchesi socialista dagli inizi del nostro secolo fino alla fondazione del Partito comunista; è questo il periodo del Marchesi politico su cui meno sappiamo.
8. Il critico testuale. — Un ultimo punto sul quale, sempre seguendo e postillando il libro di La Penna, vorremmo dire qualcosa è l'attività di Marchesi come filologo classico, e più precisamente come critico testuale. Il La Penna (cap. III) valuta, in complesso, severamente le edizioni critiche o semicritiche (chiamo cosi i commenti scolastici muniti di piú o meno sporadici contributi criticotestuali: un genere ibrido, ma nel quale dettero alcune buone pr[...]
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da Francesco de Martino, Noterelle e schermaglie. Storia di Lelio Basso reprobo. in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4
Brano: NOTERELLE E SCHERMAGLIE
STORIA DI LELIO BASSO REPROBO
La lettura di un libro recente 1, influenzato da idee attuali, che sono di moda nel partito socialista, mi induce ad un riesame il piú possibile obbiettivo di una vicenda che si svolse tra il Congresso di Firenze del 1949 e quello di Bologna del 1951 ed ebbe come epilogo assieme al consolidamento della maggioranza di sinistra l'esclusione di Lelio Basso dal gruppo dirigente del partito. Dico il piú possibile obbiettivo, perché sono convinto che non esistono storici imparziali nei giudizi, ma che è dovere di storici autentici di ricercare i fatti e la loro ricostruzione in modo scrupoloso e fedele evitando lacune, deformazioni e false interpretazioni dei documenti esistenti. La presente nota ha[...] [...]di storici autentici di ricercare i fatti e la loro ricostruzione in modo scrupoloso e fedele evitando lacune, deformazioni e false interpretazioni dei documenti esistenti. La presente nota ha appunto lo scopo di utilizzare per il lettore i documenti relativi a quella vicenda e di fornire una testimonianza personale di fatti, che non sono attestati da altre fonti.
Dopo la sconfitta del Fronte popolare nel 1948 ed il grave insuccesso del partito socialista, che ottenne il piú basso numero di eletti di tutto il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, una coalizione di centro aveva ottenuto la maggioranza nel PSI e tentò di seguire una politica piú autonoma del partito, pur senza negare l'unità con i comunisti e senza contestare il valore della rivoluzione sovietica e della funzione dell'uRs s, ma denunciando il rischio per la sinistra italiana di identificarsi con le esigenze di potenza di questo stato. Contro la linea centrista, che aveva in Riccardo Lombardi l'uomo di punta, la sinistra del partito condusse un'opposizione molto forte [...] [...]etario del partito dopo la scissione socialdemocratica ed aveva nel modo piú lucido e coerente operato per una definizione rivoluzionaria e leninista del partito, non solo quindi rifuggendo da compromessi per evitare la scissione, ma anzi addirittura favorendola. Assieme a Basso vi erano molti giovani, fra i quali si possono ricordare A. Bottai, C. Bensi, G. Avolio, L. Ladaga, G. Bosio, etc. Vi era L. Matteucci, che proveniva dal vecchio partito socialista ed era autorevole esponente del partito nell'alto Lazio ed in Umbria, ed assieme a lui L. Anderlini ed A. Cirese, giovane intellettuale che si dedicava agli studi sulle credenze popolari, vi era Laura Conti, militante coraggiosa e fiera, vi erano economisti come Rienzi e tanti altri. Vi era anche chi scrive 4, che aveva sostenuto assieme ad E. Lussu fin dal Congresso di Cosenza dell'agosto 1944 del Partito d'azione la definizione socialista di esso e poi la fusione con il PSI. L'organo della corrente era il « Quarto Stato », nato nel 1945 con il nome significativo e simbolico, che ricordava quello della rivista di Rosselli e Nenni fondata nel 1926 per la lotta antifascista 5.
Assieme i due gruppi si erano imposti al Congresso di Firenze, in seguito al quale si era formata una direzione ed un esecutivo, del quale facevano parte oltre Basso, anche Bottai e chi scrive. Ma fin dall'inizio e via via piú intensamente si venne sviluppando una frattura tra Morandi e Basso, i cui termini sono poco comprensibili sul piano politico. Essa [...] [...]a criteri errati. Sul piano politico infatti le nostre tesi ed in particolare quelle di Basso accentuavano ancora di piú l'esigenza unitaria, come risulta in modo evidente dai nostri interventi al Congresso di Firenze e dal commento che lo stesso Basso dedicò ad esso, replicando alle critiche che ci erano state rivolte dalla stampa borghese. In tale commento Basso si riferisce sempre al mio inter
3 « Avanti! », 30.6.1948: in sintesi, Il partito socialista italiano nei suoi Congressi, y, 19421955, Milano, ed. del Gallo, 1968, p. 225. Pertini considerava di per sé ottima l'iniziativa del Fronte democratico popolare e criticava l'errore di averne fatto un cartello elettorale. Ma l'idea era valida e Pertini difese appassionatamente l'unità d'azione e si oppose all'adesione dell'Italia al piano Marshall giudicato strumento di asservimento e di crociata anticomunista (vedi anche la lettera di Pertini ai compagni in « Avanti! », 2.7.1948, in cui ribadisce la sua scelta).
4 Non dunque « morandiano di ferro » come scrive AMATO, op. cit., p. 81.
5 Bas[...] [...]ne » è condizione per poter condurre un'opera di chiarificazione ideologica che rinsaldi in modo duraturo i vincoli della base del Partito.
A tale intransigente posizione, che sviluppava in modo coerente i motivi addotti contro il compromesso con la destra socialdemocratica di Saragat al momento
della scissione, faceva riscontro una non meno rigorosa ed intransigente posizione sui principi fondamentali, che avrebbero dovuto ispirare il partito socialista.
Nel replicare alle critiche mosse sulla stampa ed al discorso di De Gasperi all'Adriano di Roma, nel quale lo statista democristiano si era lungamente soffer
mato a citare polemicamente i passi del discorso relativi ai temi unitari: « E stato rimproverato a De Martino di aver negato la possibilità di una politica socialista, a me di aver accettato il concetto della guida dell'Unione Sovietica ». Egli ribadiva tali posizioni e nei confronti di un giudizio dell'« Unità » secondo la quale
6 Dopo il Congresso, « Quarto Stato », 1949, n. 89, pp. 3 ss.
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per la prima volta Basso avrebbe accettato tali concetti, egli ricordava che già al Congresso di Genova aveva affermato il ruolo di primo piano dell'uRs s nella lotta
internazionale della classe operaia contro l'imperialismo. E nell'intervento al Congresso di Firenze egli affermava senza mezzi termini il concetto della guida sov[...] [...]n estrema decisione la funzione dell'uRs s nella lotta internazionale del proletariato.
Se mai la differenza consisteva nel rigore intransigente con il quale Basso si batteva contro la destra e contro l'opportunismo, fino a chiederne l'espulsione dal partito, mentre Nenni e gli altri esponenti della sinistra non si spingevano a tanto. Non era dunque su questo che esistevano rilevanti contrasti. Pesavano invece nella lotta interna del partito socialista le posizioni assunte in precedenza ed in particolare l'avversione di Basso contro la politica di unità nazionale e l'alleanza con forze borghesi, la sua scelta per una linea rivoluzionaria rigidamente classista, le sue tendenze che in qualche momento assomigliavano alle critiche di Trotzskj contro Stalin, il che legittimava in qualche modo l'accusa di trotzskismo che talvolta si sentiva riecheggiare in quel tempo nei confronti di Basso e che anche
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 469
Nenni in qualche misura condivideva. Ma non fu su questo che si sviluppò la polemica interna che condusse all[...] [...]non utile al partito e tentai di ottenere un intervento dei comunisti per evitare il peggio. Raccontai dunque ad Amendola e Paietta quello che stava avvenendo nel PSI ed espressi loro le mie preoccupazioni per la rottura che si profilava. Per onore del vero, essi tentarono di svolgere un'opera di mediazione e di pacificazione, ma ricevettero risposte gelide ed addirittura una sorta di ammonimento a non ingerirsi nelle vicende interne del partito socialista'. A me pareva utile affrontare un dibattito a viso aperto nel Congresso e porre la questione davanti a tutto il partito, ma Basso era preoccupato delle reazioni che questo avrebbe provocato e temeva di poter essere estromesso addirittura dal movimento operaio, mentre la milizia di classe per lui era il senso stesso della vita. Cosí dopo un colloquio privato con Morandi, i cui termini non mi furono resi noti, egli decise di abbandonare la lotta. Al Congresso l'intervento che egli pronunciò s non riprese i temi critici sui quali si era sviluppata la nostra azione né spiegò le ragioni del dissen[...] [...] per comprendere a pieno il clima del tempo, il senso profondo dei contrasti, il carattere degli uomini. I punti salienti consistono nella rivendicazione di una linea di sinistra piú coerente di quella di altri giunti in ritardo a convinzioni leniniste, nella conferma del proposito di battersi per il superamento dei partiti esistenti e la creazione di un solo partito della classe operaia, nell'esigenza di un rafforzamento strutturale del partito socialista per porlo in grado di promuovere tale processo, la critica ad una concezione del partito come subordinato alla guida comunista e quindi forza di
7 Basso ha poi narrato che l'intervento di Amendola e Paietta evitò che egli fosse espulso dal partito per l'accusa di avere avuto rapporti epistolari con Rajk, l'ex segretario del PC ungherese, impiccato nel 1949: « Mondo Operaio », 1979, p. 88. A me non risulta che tale espulsione fosse stata richiesta da alcuno, a meno che Morandi non avesse fatto una minaccia del genere nel colloquio di cui parlo nel testo. $ vero invece che tra le tante dicerie[...] [...]oi esasperati in modo militaresco e burocratico, e si proponeva di allentare questi vincoli e di favorire la ripresa di una piú libera democrazia interna. Fu per questo che avevo tentato già in occasione del Congresso di Milano del 1953, nel quale il tema predominante era quello della lotta contro la legge maggioritaria, di giungere ad un reinserimento di Basso e gli avevo consigliato di valutare in modo piú obbiettivo le esigenze della politica socialista, che in quel tempo si muoveva per una prospettiva di distensione anche all'interno. Basso mi sembrava persuaso di tale esigenza, ma davanti al Congresso pronunciò un discorso di critica tanto aspra ed intransigente contro la linea della distensione da rendere vano il mio sforzo. Contro le critiche di Basso replicò Nenni, il quale respinse gli attacchi che venivano mossi all'uso della parola distensione e soprattutto la critica sugli errori strategici del partito IZ. In tale dibattito riaffiorava l'antica convinzione di Basso intorno ai compiti ed alle funzioni di un partito rivoluzionario del[...] [...]n Basso, al quale Morandi richiese esplicitamente di rientrare nell'attività del partito ed impegnarsi per il prossimo Congresso 13. Non si può escludere che Morandi paventando future mosse di Nenni per allentare il rigore della politica unitaria fosse interessato all'attiva presenza di un uomo, la cui intransigenza era assoluta. Ma qui entriamo nel campo delle congetture.
Iz Conclusioni Congressuali nell'opuscolo Davanti al paese l'alternativa socialista. Testi e Documenti a cura della Direzione del PSI, p. 45 ss. Gran parte dell'intervento di Nenni è dedicato alla polemica con Basso, al quale si rimproverava di correre il rischio di avventure estremiste (p. 52).
13 L. BAsso, Il tessitore di Pralognan, « Il Giorno » 22.8.1976, p. 3: « sul finire del 1954 in una colazione con Morandi e De Martino mi sentii invitare a ritornare nella vita attiva del partito e a prendere di nuovo posizione nel prossimo congresso ». V. anche le dichiarazioni dello stesso Basso in « Mondo Operaio » 1977, n. 7/8, p. 63: « Per parecchi anni (i rapporti) con Morandi[...] [...]a anche pericoloso ed il rigorismo di Morandi bilanciava il possibilismo di Nenni. Preoccupante la sostituzione:
14 Ad esse si riferisce anche Nenni nella replica citata alla nota precedente.
15 Non rispondono però allo stile ed alle convinzioni di Basso le parole che si leggono nel resoconto su l'« Avanti! » dell'8 dicembre 1978, p. 10, della Tavola Rotonda organizzata da « Mondo Operaio »: « si devono a Morandi tutte le disgrazie del partito socialista, che oggi senza quella parentesi sarebbe assai piú forte ». Nel testo di « Mondo Operaio », 1979, p. 87 si legge invece: « Ritengo che senza la gestione di Morandi il PSI avrebbe oggi una forza molto maggiore di quella che ha ». In genere la critica di Basso, come si è visto sopra, era a piú alto livello e non priva di momenti umani profondi, come risulta nell'intervista rilasciata a Mughini in « Mondo Operaio » n. 78, 1977, p. 63: « Di Morandi ho un ricordo ancora piú netto. A Perugia, verso la metà del 1955, un convegno di giovani socialisti, cui lo stesso Morandi mi aveva invitato. A sera [...] [...]lmente non condivido gran parte della linea di Morandi, si deve riconoscere che è una testa forte. Una disunione sarebbe assai piú dannosa al Partito del rigidismo morandiano (op. cit., p. 29).
Al di fuori delle passioni di allora, ma non certo per abbandonarsi ad altre mode, come quelle attuali, si può tentare un giudizio obbiettivo. Con tutti i suoi limiti di rigidismo, come dice Bosío, non di stalinismo, l'opera di Morandi permise al partito socialista di superare la grave crisi nella quale era caduto dopo le scissioni e la sconfitta del Fronte. Esso fu posto in grado di affrontare le lotte politiche e sociali cui era chiamato. Erano lotte dure, nelle quali occorreva coraggio e vigore unitario. Per un partito come quello, che anche Basso voleva e noi con lui, un partito rivoluzionario e classista, una struttura centralizzata era forse necessaria. Noi invece pensavamo che una maggiore democrazia interna lo avrebbe reso piú valido. Basso aspirava ad un partito nuovo, democratico, senza correnti, ma con un libero dibattito interno, capace di g[...]
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da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Tamburrano, Gramsci e l'egemonia del proletariato in Studi gramsciani
Brano: [...]oria (come scrisse Croce) cede ad una rinnovata concezione del marxismo come filosofia dell'azione proletaria, concezione del mondo della nuova classe fondamentale approprian
278 I documenti del convegno
dosi della quale il proletariato acquista la coscienza della sua posizione nella società, della sua funzione nella storia e quindi della necessità della sua azione conseguente per tradurre in atto la sua filosofia cioè per costruire la società socialista.
Il pensiero gramsciano risente sia l'influenza della polemica di Croce contro le filosofie fatalistiche e positivistiche sia, soprattutto, l'influenza della critica leninista al marxismo deterministico della socialdemocrazia europea. Attraverso il leninismo, come dottrina della strategia politica del proletariato, perviene ad una puntualizzazione e ad un rinnovamento del marxismo. La rivalutazione della prassi, della consapevole volontà creatrice delle masse spinge il suo interesse verso lo studio della storia eticopolitica, cioè dell'azione effettiva degli uomini. La tesi marxista che l'um[...] [...]stringerla ad « interrorire le grandi masse, a colpirle ciecamente e a farle rivoltare » (Ordine Nuovo del 19 luglio 1919), apprestando contemporaneamente gli organismi in cui si doveva incarnarne il potere proletario: i Consigli. Gli anni tra la fine della guerra ed il carcere sono gli anni della passione politica, della organizzazione rivoluzionaria dei Consigli, del partito, della stampa. Egli ha la consapevolezza della incapacità del partito socialista ad affrontare la situazione obiettivamente rivoluzionaria; di fronte alla prospettiva della reazione si preoccupa di organizzare gli strumenti di assalto del proletariato; di fronte alla reazione in atto si preoccupa di rafforzare gli strumenti della resistenza. $ in uno scritto di poco anteriore al carcere che appaiono le prime intuizioni originali delle questioni nuove che si porrà in seguito, del rapporto tra proletariato, intellettuali e società nazionale: la pagina su Gobetti nella Quistione meridionale.
La critica del determinismo economico è il punto di partenza per lo studio dell'azi[...] [...]la filosofia della prassi e l'avan
guardia del proletariato è di criticare la concezione del mondo borghese, dal senso comune fino alle piú alte espressioni filosofiche, sviluppando
quanto in essa è di progressivo, diffondendo la nuova concezione in tutti
gli strati della società, tra tutti coloro la cui attività pratica ed i cui interessi obiettivi sono in contrasto con l'organizzazione sociale capitali
stica. La realizzazione dell'egemonia socialista porta alla unificazione cul
turale e morale e quindi politica delle masse, della grande maggioranza del popolo che vive sfruttato direttamente o indirettamente dai rapporti
capitalistici di produzione o di distribuzione. In tal modo si risolve il problema di conquistare attivamente alla causa del socialismo la grande maggioranza degli uomini che nelle società evolute dell'Occidente è ma
1 P., p. 138.
Giuseppe Tamburrano 283
tura per il socialismo perché è obiettivamente interessata alla instaurazione di una società piú giusta. La recente inchiesta dell'Express sulla Nouvelle Vague ha app[...] [...]d una società civile di uomini coscienti ed evoluti. Nelle diverse condizioni del mondo occidentale l'obiettivo del proletariato, dei suoi partiti e dei suoi intellettuali organici con
1 Mach., p. 68.
284 I documenti del convegno
siste non solo nella conquista della « trincea » statale ma nell'impossessamento delle « fortezze e delle casematte», nel penetrare cioè profondamente nella società civile sostituendo all'egemonia borghese l'egemonia socialista. La conquista della egemonia, che Gramsci definisce « democrazia moderna », non sorge dopo la conquista del potere politico: essa deve essere realizzata prima. In una nota del Risorgimento egli scrive: « un gruppo sociale può, anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali pet Ia stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante, ma deve continuare ad essere dirigente » 1.
Se si collega la distinzione tra società civile e società politica, tra dominio ed[...] [...]la pratica intesa come processo storico reale, cioè di creare quel blocco culturalesociale che consiste nel dare alla massa dei lavoratori la coscienza della loro funzione storica, una concezione del mondo conforme alla loro attività umana. È una concezione totalitaria nel senso piú alto della parola, non certo nel senso politico corrente. Infatti già nell'Ordine Nuovo del 29 novembre 1919 scriveva: « il problema concreto e immediato del partito socialista... è il problema della costruzione di un apparecchio statale, che nel suo ambito interno funzioni democraticamente, cioè garantisca a tutte le tendenze anticapitalistiche la libertà e la possibilità di diventare partiti di governo proletario e verso l'esterno sia come una macchina implacabile che stritoli gli organismi del potere politico ed industriale del capitalismo ».
Nei Quaderni dirà parole chiare contro la burocratizzazione del partito, contro lo « spirito di corpo », cioè l'ambizione di una persona o di un gruppo di persone «che puntano sullo spirito di corpo per far trionfare la par[...] [...]to suo, dà l'impressione della piú orribile cacofonia; eppure queste prove sono la condizione perché l'orchestra viva come un solo " strumento " » 2.
Se vogliamo in breve riassumere queste sparse osservazioni che son necessariamente lacunose ed insufficienti poiché l'argomento esigerebbe una piú estesa analisi, possiamo dire che la concezione gramsciana è una concezione realmente democratica e segna un ritorno al marxismo classico. La strategia socialista nel mondo occidentale non può consistere nell'azione rivoluzionaria di una minoranza per rovesciare il potere del gruppo dominante ed avviare con l'esercizio dittatoriale del potere l'organizzazione della vita statale. Questa strategia riguarda i paesi arretrati. Le società occidentali sono altamente industrializzate e le masse dei cittadini non vivono allo stato primordiale ed amorfo. A causa dello sviluppo dei rapporti sociali di produzione e della diffusione della ideologia della classe
1 P., p. 175.
2 Mach., p. 156,
286 I documenti del convegno
dominante, in Occidente la grande maggio[...] [...]rtigiani, i commercianti, i tecnici, il ceto medio impiegatizio ed intellettuale — sono interessati oggettivamente alla costruzione di una nuova società. Gran parte di questa massa è ancora soggetto all'influenza della ideologia borghese grazie all'azione degli strumenti borghesi di direzione culturale e morale — stampa, radio, scuola, chiesa ecc. — cioè professano ancora una concezione del mondo contrastante con i loro interessi reali. L'azione socialista non può essere diretta alla sola conquista del potere politico, perché prima o poi si scontrerebbe non solo con gli interessi dei capitalisti e delle loro appendici parassitarie, ma anche con quelle masse di cittadini interessate al socialismo ma non ancora conquistate ideologicamente all'azione socialista. L'azione socialista deve tendere, aderendo alle condizioni materiali ed intellettuali proprie di ciascun paese, ad unificare politicamente ed ideologicamente tutte le masse interessate al socialismo, cioè ad instaurare la direzione culturale e morale, l'egemonia socialista, creando il nuovo blocco storico socialista. Svuotato lo Stato borghese della sua sostanza civile, ridotto a puro apparato di coercizione politica, ad una forma senza contenuto, la conquista del potere, violenta o pacifica a seconda dell'atteggiamento della classe ancora dominante politicamente, è l'atto conclusivo del processo, la realizzazione della democrazia per eccellenza, l'unificazione organica tra società civile e società politica. La società socialista sorge cosí come società realmente democratica in cui il consenso delle masse è assicurato oltre che dalle verifiche elettorali e dalla partecipazione effettiva dei lavoratori alla vita degli organismi sociali e politici, soprattutto dalla unità ideologica e culturale esistente tra diretti e governanti, dal rapporto organico tra società civile e società politica.
Questi brevi accenni forse permettono di comprendere quanto attuale possa essere lo studio e la discussione critica della concezione dell'egemonia di Antonio Gramsci.
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da Bruno Bongiovanni, Ritratti critici contemporanei. Maximilien Rubel in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3
Brano: [...]ioni. Nel volume ci sono poi i Manoscritti economicofilosofici (1844), il cui originale, come moltissimi altri, si trova ad Amsterdam; ma la cui prima pubblicazione, nella MEGA, risale al 1932, il manoscritto sul Salario (1847), pubblicato per la prima volta da Rjazanov su « Unter dem Banner des Marxismus », una scelta dei Grundrisse (18571858); mai menzionati da Engels, descritti per la prima volta da Rjazanov in una comunicazione all'Accàdemia socialista di Mosca del 20 novembre 1923 e pubblicati a Mosca nel 19391941, ed infine i Materiali per l'« Economia » (18611865), i Materiali per il secondo libro del Capitale (18691879), i Materiali per il terzo libro del Capitale (18641875).
Di qui lo scandalo: Rubel, rifacendosi alle scoperte di Rjazanov, mette in discussione ed in pratica respinge la vulgata degli scritti postumi di Marx cosí come sono stati presentati da Engels, che pubblicò il ii (1885) ed il iii (1894) libro de Il Capitale, e da Kautsky, che pubblicò 'il iv (19051910), altrimenti noto come Teorie sul plusvalore, il cui testo venn[...] [...] etico (tema destinato a diventare un leitmotiv nell'indagine marxologica di Rubel), che resta valido — aggiunge — in un'epoca in cui si assiste alla trasformazione dell'operaio libero in schiavo di Stato e a quella del capitalista privato in burotecnocrate o in monopolista di Stato.
A questo punto, per meglio inquadrare il clima intellettuale al cui in
9 Cfr. Riflessioni sull'utopia e sulla rivoluzione, in ERICH FROMM (a cura di), L'umanesimo socialista, Dedalo, Bari 1971.
10 La prima traduzione francese completa è quella delle Editions Sociales, Paris 1962. In Italia erano già uscite una traduzione di Norberto Bobbio (Einaudi, Torino 1949) ed una di Galvano della Volpe (Rinascita, Roma 1950).
286 BRUNO BONGIOVANNI
terno si situano le origini degli studi di Rubel, ricordiamo che nel numero precedente della « Revue Socialiste » del 1947 era stato pubblicato un testo di Léon Blum, dal titolo Révolution socialiste où révolution directoriale? ", risposta socialista alle tesi di James Burnham, il cui libro The Managerial Revolution — del quale[...] [...]a è quella delle Editions Sociales, Paris 1962. In Italia erano già uscite una traduzione di Norberto Bobbio (Einaudi, Torino 1949) ed una di Galvano della Volpe (Rinascita, Roma 1950).
286 BRUNO BONGIOVANNI
terno si situano le origini degli studi di Rubel, ricordiamo che nel numero precedente della « Revue Socialiste » del 1947 era stato pubblicato un testo di Léon Blum, dal titolo Révolution socialiste où révolution directoriale? ", risposta socialista alle tesi di James Burnham, il cui libro The Managerial Revolution — del quale oggi sappiamo che fu in gran parte un plagio ai danni di un testo allora sconosciuto dell'italiano Bruno Rizzi 12 — nega che il declino del capitalismo debba condurre al socialismo, al posto del quale comparirà, secondo il sociologo americano, un regime totalitarioburocratico la cui classe dominante verrà costituita, come già accade nella Russia sovietica e come si è intravisto nella Germania nazista e nell'America del New Deal, dai managers e dai dirigenti dell'impresa pubblica e privata, destinati ad essere, in l[...] [...]cano, un regime totalitarioburocratico la cui classe dominante verrà costituita, come già accade nella Russia sovietica e come si è intravisto nella Germania nazista e nell'America del New Deal, dai managers e dai dirigenti dell'impresa pubblica e privata, destinati ad essere, in luogo del proletariato, i veri becchini della borghesia e del capitalismo. Léon Blum è un po' spaventato dall'ipotesi terrificante di Burnham, ma reagisce, sul versante socialista democratico, esattamente come agli albori della seconda guerra mondiale Lev Trockij, sul versante leninista rivoluzionario, aveva reagito alle identiche tesi di Bruno Rizzi, opponendo cioè l'ottimismo alla possibilità dell'imminente catastrofe burototalitaria, non respinta sul terreno della teoria 13. Léon Blum scrive infatti che le società directoriales (burototalitarie), che pur potrebbero sorgere in un periodo di transizione, si dirigerebbero verso il socialismo « per l'effetto di una sorta di attrazione democratica »: è persino possibile, secondo Blum, che proprio nell'uRs s, considerata [...] [...] la barbarie totalitaria della managerial revolution. Se invece trionfa l'etica marxiana dell'azione rivoluzionaria che si accompagna al determinismo della traiettoria della catastrofe — il secolo xx è stato ricchissimo in fatto di barbarie, secondo Rubel — prevale la tendenza positiva del dilemma luxemburghiano, costituita dall'autoemancipazione dei lavoratori (Rubel ricorda spesso che Marx derivò questa formula da Flora Tristan) e dallo sbocco socialista.
Altro tema trattato nell'Introduction è il tema del partito. Rubel riproduce alcuni suggestivi ed affascinanti passi del carteggio tra Marx e Freiligrath, dove Marx distingue tra partito formale — quello che di volta in volta s'incarna in istituti visibili e che sorge direttamente dai contrasti della società — ed il partito storico, il «partito invisibile del sapere reale » 20, l'alleanza tra la scienza ed il proletariato: non uno strumento di dominio, ma una comunità di autoliberazione estranea alle effimere querelles del contingente, anticipazioneprefigurazione, teorica ed utopica ad un t[...] [...]nifeste communiste, in « Revue Socialiste », n. 1718, 1948; Fragments d'un journal de voyage de Friedrich Engels, n. 27, 1949; Echange de lettres entre Lassalle et Marx, n. 32, 1949; La Russie dans l'oeuvre de Marx et d'Engels, n. 36, 1950.
22 Cfr. Réflexions sur la société diréctoriale, in « Revue Socialiste », n. 44, 1951.
MAXIMILIEN RUBEL 289
Nell'ottobre dello stesso anno, inoltre, Rubel si sente in dovere d'intervenire in polemica con il socialista Robert Mossé che scrive che la teoria di Marx è totalmente da rigettare sulla base dei risultati della sua applicazione in Russia 23. Rubel afferma che vuole stupire Mossé scompaginando
i dogmi, professati dai sovietici e, con segno negativo, dallo stesso Mossé. Schematicamente sostiene: 1) Non esiste una teoria marxista del valore. Non vi è in Marx che una critica delle teorie classiche del valore. 2) Il dualismo antagonistico delle classi non è una realtá sempre ed ovunque presente, ma esprime semplicemente la tendenza storica delle società capitalistiche. 3) Per Marx la concezione materia[...] [...]oncerne il repertorio e la storia delle edizioni marxiane.
3. La bibliografia tra utopia e scienza. — Non è cosa nuova definire il clima ideologicoculturale degli anni Cinquanta come scisso tra isteria maccartista e cupa oppressione staliniana. Non sono molti i documenti a nostra disposizione che possono testimoniare un'indipendenza reale rispetto ad un clima siffatto, soprattutto per quel che riguarda gli studi marxologici e la ricerca teorica socialista. Ricordiamo l'uscita, in Germania, nel 1954, del primo volume dei Marxismusstudien, in Francia la rivista « Socialisme ou barbarie » (19491965), animata da Castoriadis e da Lefort, e la rivista « Arguments » (19561962), cui collaborò anche Maximilien Rubel 25. I
23 Cfr. Socialisme et marxisme (Brève réponse à Robert Mossé), in « Revue Socialiste », n. 50, 1951.
24 Fr. Engels et le socialisme messianique russe, in « Revue Socialiste », n. 51, 1951; Le sort de l'oeuvre de Marx et d'Engels en U.R.S.S., n. 56, 1952; L'Occident doit à Marx et à . Engels une édition monumentale de leurs oeuvres, [...] [...]dei classici (letti senza ricorrere all'apparato liturgico dell'oscurantismo staliniano), su riforme e rivoluzione, su partito e classe, sui consigli, sul movimento del capitalismo moderno, sulla fisionomia storicosociale delle classi, sulla tecnocrazia e sugli intellettuali: davanti all'idolatria del marxismoleninismo inteso come sistema che incarna un potere che si presenta come verità assoluta e davanti alla risoluta negazione di ogni ipotesi socialista in nome della rabbiosa difesa del « mondo libero », si sentiva nettissimo il bisogno di un ritorno critico al discorso marxiano. Ma in che stato era questo discorso? Che cosa se ne sapeva realmente? Può sembrare un paradosso, eppure proprio negli anni in cui il « marxismo », dottrina obbligatoria di Stato per un'enorme quantità di esseri umani, si afferma come ideologia dominante del ventesimo secolo, su di esso si sa poco, in modo disorganico e disordinato, a dispetto dell'imponente massa di pubblicazioni (« ufficiali » e no), di edizioni (anche « popolari »), di commenti e di interpretazion[...] [...]297
coscienza « esterna » della classe e veicolo unico della dittatura proletaria. Con la rivoluzione russa, per ammissione del suo massimo artefice, vengono dunque adottati, dopo un primo periodo in cui i Soviet avevano espresso la volontà anticapitalistica di vasti strati dei lavoratori, metodi e sistemi che rappresentano la vocazione del capitalismo a darsi una struttura il piú possibile omogenea e concentrata. Secondo Rubel, però, l'aspetto socialista della rivoluzione, la natura proletaria del potere politico, non è altro che un mito: il bolscevismo si è servito del pensiero di Marx per fare accettare alle masse operaie esigue del 1917 ed a quelle ben piú cospicue dei decenni successivi una corsa alla concentrazione del capitale di una rapidità e di una violenza superiori a quelle della rivoluzione industriale nei paesi occidentali. Marx, secondo Rubel, ha concepito, in pagine profetiche, un sistema capitalistico allo stato puro che è stato realizzato dalla società sovietica, la quale ha fatto di necessità virtú ed è riuscita a mettere in[...] [...]ebbe dovuto essere di tipo costituzionaldemocratico: non c'è alcun dubbio, restando fedeli alla lettera dell'ultimo Engels, che l'ipotesi menscevica fosse quella « ortodossa » e la bolscevica quella « revisionista » 47. Il bolscevismo, secondo Rubel, ha svolto il ruolo giacobino di una borghesia impari al suo compito storico, senza liberalismo e senza regime costituzionaldemocratico, definendo, in forza dell'ideologia « marxista », accumulazione socialista quella che era la consueta e brutale accumulazione capitalistica. Gli studi di Marx sulla genesi storica e sulla crescita del capitalismo sono stati trasformati, soprattutto con l'avvento di Stalin, in ricette economiche per l'edificazione del socialismo: è cosí che lo Stato sovietico, capitalismo d'imitazione per quel che riguarda il materiale tecnologico impiegato, ha in breve tempo utilizzato tutti i metodi di accumulazione descritti da Marx. In questo modo l'Urss, attraverso la dittatura di partito, si è avvicinata alla realizzazione di quel capital sans phrases, privo di ostacoli borghes[...] [...]ificativo, « Etudes de marxologie ». Che cosa si propongono programmaticamente? Portare luce sulla genesi del marxismo, offrire documenti e testimonianze, studi ed analisi sull'opera di
48 Cfr. K.M., Il Capitale. Libro III, cit., pp. 460 e Oeuvres. Economie II, cit., pp. 11471150 e 1175 e 1792.
49 Tra questi Rizzi e Burnham, ma anche Shatchman: due personaggi che hanno avuto posizioni del tutto simili sono stati Rudolf Hilferding, sul versante socialista democratico, e Victor Serge, sul versante libertario.
50 Rubel riconosce di non essere l'unico a definire l'uRss uno Stato capitalistico: tra gli altri cita Pannekoek, Rühle, Bordiga, Cliff, Castoriadis. Cfr. Marx critique du marxisme, cit., p. 92.
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Marx e sul marxismo, ed inoltre rassegne storiche, bibliografie, traduzioni di inediti. I venti numeri sono oggi uno strumento di studio indispensabile per chiunque voglia approfondire i problemi della marxologia. Nell'Avantpropos del numero 3 Rubel afferma che la parola marxologie non traduce in modo perfetto la piú elegant[...] [...]o, nel contempo, per fornire al proletariato stesso, senza pretese egemoniche, la conoscenza delle leggi della società e dei mezzi e dei fini del processo di liberazione. Nel movimento reale che tende al comuni
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smo Marx ha ravvisato, secondo Rubel, le norme di un'etica rivoluzionaria, che è insieme coscienza critica dello stato di cose esistente ed anticipazione del comunismo, entrambe armoniosamente collegate con l'utopia socialista. Ecco perché in Marx coesistono la libertà (etica della rivoluzione) e la necessità (determinismo delle forze produttive), l'utopia e la critica: con Marx, il socialismo non ha proceduto dall'utopia alla scienza, come ha preteso Engels e dopo di lui lo scientismo di marca sovietica. Marx non ha mai rinnegato la tensione utopica insita nel movimento reale, pur analizzando con rigore storicocritico e scientifico le norme di funzionamento del processo di produzione. Del resto, se il socialismo è scienza svincolata dalla utopia è piú che normale che esso divenga ricettario di partito, patrimonio [...]
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da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Togliatti, Il leninismo nel pensiero e nell'azione di A. Gramsci in Studi gramsciani
Brano: [...]prendono, nel loro aspetto politico, se non si restituisce loro l'attualità. Che cosa avveniva in Italia e nel mondo mentre G., nel carcere, meditava e scriveva? Si era passati — per usare la sua terminologia — dalla guerra manovrata alla guerra di posizione, dalla crisi drammatica del primo dopoguerra e dal primo vittorioso attacco rivoluzionario, ai tentativi di stabilizzazione dei regimi borghesi da una parte e alla costruzione di una società socialista dall'altra. La grande vittoria della Rivoluzione socialista dell'Ottobre 1917 era uscita dalle contraddizioni oggettive del mondo capitalistico, le quali continuavano a esistere e svilupparsi. Esse agivano però in altro modo, mentre era in atto lo sforzo borghese di restaurazione riformistica e la classe operaia, consolidato il suo potere nello Stato sovietico, tendeva, con un'azione molteplice, ad affermare la propria egemonia in una competizione che già era di portata mondiale. La guerra di posizione, cui si era in questo modo passata, era, secondo G., la fase decisiva della lotta, ma la fase .piú difficile. « La guerra di posizione domanda enormi s[...] [...]le poteva essere quella su cui venne fondato, nel 1921, il partito comunista; non è legato nemmeno a una determinata serie di movimenti strategici e tattici, dettati da una situazione particolare. La sua verità sta nel metodo
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e il metodo è unito inseparabilmente al contenuto, perché è metodo marxista e leninista, cioè guida all'azione rivoluzionaria nelle condizioni in cui si compie il passaggio dal mondo borghese al mondo socialista. Di qui discende il suo legame col leninismo, che è la dottrina rivoluzionaria di questo passaggio.
2. — La ricerca filologica sulla conoscenza che G. ebbe delle opere di Lenin presenta alcune difficoltà. Non è sempre possibile, infatti, stabilire in modo preciso quando egli poté conoscere e studiare determinati scritti di Lenin e quindi quali di essi ebbero maggiore efficacia diretta su di lui nei singoli momenti.
Certo è che persino il nome del grande capo rivoluzionario russo era sconosciuto o quasi, nel movimento operaio, prima della prima guerra mondiale. Incominciò a essere conosciuto[...] [...]ondo alcune questioni decisive per lo sviluppo della rivoluzione. Sono di questo periodo alcuni tra i lavori piú importanti di Lenin relativamente ai problemi della costruzione di una. economia e di una società socialiste. Nel dibattito sulla funzione dei sindacati egli aveva affrontato, in polemica con Trotzki, con Bukharin e con un gruppo di tendenza anarcosindacalista, la questione del rapporta tra la politica e la economia nella edificazione socialista. Aveva sostenuto che la politica non è che « espressione concentrata dell'economia ». È una tesi di importanza decisiva nella concezione leninista dello Stato..
1 Sconosciuto era l'importantissimo Che cosa sono gli amici del popolo?, anche in Russia ripubblicato solo nel 1923.
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Ne deriva, infatti che la classe operaia non può rimanere al potere e quindi non può adempiere al proprio compito nel campo produttivo (sviluppo delle forze di produzione) se non sulla base di una giusta posizione politica cioè sulla base di un giusto rapporto con gli altri gruppi della società. [...] [...]che in Russia ripubblicato solo nel 1923.
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Ne deriva, infatti che la classe operaia non può rimanere al potere e quindi non può adempiere al proprio compito nel campo produttivo (sviluppo delle forze di produzione) se non sulla base di una giusta posizione politica cioè sulla base di un giusto rapporto con gli altri gruppi della società. Di qui traeva origine la differenziazione tra la concezione leninista della costruzione socialista e le proposte che venivano da. Trotzki e che, trascurando il rapporto con le classi non proletarie, mettevano in forse le basi stesse della dittatura del proletariato.
A partire da quegli anni il contrasto tra il partito bolscevico e Trotzki si fece via via sempre piú profondo. Si venne infatti precisando,. a partire dal 192324, il tentativo, che già era in germe nelle precedenti discussioni, di scardinare tutta la formazione ideale e organizzativa del partito, quale era stata storicamente creata nelle lotte contro le correnti non leniniste. È quindi certo che in quel momento Gramsci acquist[...] [...]nda mano, tratti da citazioni di scritti leninisti in riviste e libri vari. L'acquisto di libri di Lenin non gli venne mai consentito dalla direzione carceraria.
3. — Da Gramsci venne immediatamente colto il primo, fondamentale elemento costitutivo del leninismo, che è la dottrina della rivoluzione, formulata da Lenin in modo tale da fare piazza pulita di tutte le pedanterie che i riformisti spacciavano per marxismo. La rivoluzione proletaria e socialista non avrebbe potuto compiersi, secondo costoro, se non in quei paesi e in quel momento in cui la economia
1 Mach., p. 114.
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capitalistica avesse toccato il piú elevato punto del suo sviluppo. Lenin respinge questa proposizione e apre a tutto il marxismo la strada di un nuovo sviluppo creativo affermando che condizione della rottura rivoluzionaria è lo sviluppo e lo scoppio delle contraddizioni del capitalismo giunto alla fase imperialistica. Questa tesi, che trovò la sua dimostrazione nell'Ottobre 1917, era, per i bolscevichi russi, il punto di arrivo di tutta la lotta p[...] [...]ella rottura rivoluzionaria è lo sviluppo e lo scoppio delle contraddizioni del capitalismo giunto alla fase imperialistica. Questa tesi, che trovò la sua dimostrazione nell'Ottobre 1917, era, per i bolscevichi russi, il punto di arrivo di tutta la lotta politica e ideale da essi condotta, dall'inizio del secolo, contro l'autocrazia zarista e contro le diverse varianti dell'opportunismo nel movimento operaio. Per il rimanente movimento operaio e socialista fu una rivelazione, una scoperta di eccezionale portata, le cui conseguenze forse solo oggi possiamo valutare appieno. Si comprende ii grido quasi di liberazione che è nell'articolo scritto da Gramsci il 5 gennaio 1918 e che ha un titolo, senza dubbio errato, ma assai significativo: La rivoluzione contro il « Capitale », e intendeva dire non contro i fondamentali insegnamenti del marxismo che sono la lotta di classe e la necessità morfologica della rivoluzione proletaria, ma contro la degenerazione delle interpretazioni positivistiche del Capitale di Carlo Marx e del marxismo, contro il piatt[...] [...]itale di Carlo Marx e del marxismo, contro il piatto economismo, contro la pedanteria dei riformisti, e contro le gherminelle ideologiche degli avversari.
Ciò che Lenin fece con la sua dottrina della rivoluzione, fu la restaurazione della dialettica rivoluzionaria, contro l'astratto argomentare formalistico dei pedanti, degli sciocchi e degli sviati. Non soltanto egli ne derivò la possibilità della vittoria della rivoluzione e della costruzione socialista in un paese non ancora giunto al piú alto livello dello sviluppo capitalistico; ma dette un solido fondamento alla ricerca e lotta che può e deve essere condotta per inserire nelle contraddizioni del regime borghese la lotta della classe operaia, in modo tale che apra una via rivoluzionaria, una via al socialismo, aderente alle condizioni di ogni paese. Lenin stesso ha parlato delle necessarie variazioni del corso della storia nei singoli paesi, nel quadro di una linea generale di sviluppo della storia mondiale, e ha lasciato prevedere, tra l'altro, quale ricchezza di nuove creazioni rivoluzi[...] [...]cco, ma si distinguono per gradi diversi di reciproca autonomia, cosí come si distinguono momenti diversi della struttura. Indicazioni preziose di Lenin, che dovevano spingere alla ricerca metodologica in questa direzione, non si trovano soltanto nella grande polemica leninista circa la natura dello Stato, ma anche negli scritti ultimi, contemporanei o posteriori al passaggio alla Nuova politica economica, e relativi ai compiti della costruzione socialista, ai problemi, ai contrasti, alle difficoltà che sorgono nel corso di questa costruzione e alle funzioni dello Stato (e della politica) in questo nuovo periodo della storia.
Ci troviamo qui di fronte alla affermazione, che è a1 centro di tutto il pensiero di Gràmsci, della storicità assoluta della realtà sociale e politica, e alla definizione del marxismo, quindi, come storicismo assoluto, in quanto sola dottrina capace di guidare alla comprensione di tutto il movimento della storia e al dominio di questo movimento da parte degli uomini associati. In questo ambito vengono risolti i temi della[...] [...] cittadina o regionale. Anche, del resto, il problema della alleanza tra le avanguardie operaie settentrionali e le grandi masse contadine meridionali, giustamente impostato da Gramsci sin da allora (si veda l'esempio, da lui citato, dell'azione verso i sardi della Brigata Sassari), non ebbe, attraverso l'azione svolta dal gruppo torinese, alcuna soluzione pratica di grande rilievo. Gli orientamenti errati, riformisti o massimalisti, del partito socialista, erano superati nella critica, non da un'azione di successo nazionale. Ma quello era allora il solo partito, cioè la sola organizzazione politica nazionale, che la classe operaia avesse a sua disposizione. Per questo il movimento torinese si concluse con
30 I documenti del convegno
l'affermazione della necessità che venisse creato un nuovo partito d'avanguardia del proletariato: il partito comunista.
La permanente polemica dei Quaderni contro qualsiasi forma di economismo dà il colpo di grazia alle errate interpretazioni o volute contraffazioni del pensiero di Gramsci circa il rapporto tra[...] [...]a della libertà diventa quindi un equivoco, una superstizione. Persino i clericali del resto, oggi, son diventati fautori di questa religione.
Tutta questa argomentazione si collega alle considerazioni sulla natura dell'uomo, considerato come un complesso di relazioni, che si estendono a tutti i campi della vita sociale e col loro intrecciarsi fissano i limiti della libertà umana. I1 dominio del mondo economico, che è il contenuto della società socialista, spezza il piú duro di questi limiti, quello che nega alla maggioranza degli uomini lo sviluppo pieno della loro persona e questo è un primo passa verso il mondo della libertà.
Ma l'avanzata in questa direzione è compito che non si pone e non si risolve se non attraverso un movimento, che parte dalle strutture, e in ciò si inserisce la formulazione e lo sviluppo di una volontà collettiva. La stessa predicazione della religione della libertà, che trasforma gli istituti del dominio borghese in forme assolute della libertà, è caratteristica di un'epoca, in cui nelle classi dirigenti si forma un[...] [...]iversi. È un nuovo capitolo del leninismo che si discute, quello alla cui elaborazione completa sta oggi lavorando il movimento operaio internazionale.
11 dominio politico della classe operaia tende a creare una società non piú divisa in classi, ma « regolata ». Ma che cosa vuol dire una società regolata e come si giunge ad essa? Occorreranno, dice Gramsci, parecchi secoli. Questo vuol dire che la conquista del potere e la creazione dello Stato socialista non portano alla risoluzione di tutte le contraddizioni. Anche al di fuori di quelle che sono legate al carattere parziale delle prime vittorie, altre ne sorgono e devono essere risolte. Uno dei cavalli di battaglia contro la concezione marxista del mondo e della storia era di chiedere come si concilia la nostra visione dialettica della realtà con la nostra lotta per una società regolata. Quale sviluppo dialettico ci potrà dunque essere in siffatta società? Al che Gramsci ci insegna a rispondere che il marxismo non è dottrina di profezie, ma dottrina della realtà. Noi conosciamo le contraddiz[...]
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da [Gli interventi] Valentino Gerratana in Studi gramsciani
Brano: [...]cetto di egemonia. Non lo implica un’alleanza contingente, provvisoria, puramente strumentale, destinata a sciogliersi appena siano raggiunti gli scopi immediati per cui si è formata. Era di questo tipo infatti l’alleanza tra operai e contadini quale era visto da Trotzki nella sua teoria della « rivoluzione perma
38*,586
Gli interventi
nente ». Secondo questa teoria, nel passaggio delk rivoluzione dalla fase democraticoborghese alla fase socialista, l’avanguardia operaia avrebbe dovuto rompere ogni alleanza, ed entrare in conflitto, non soltanto con tutti i gruppi delk borghesia che l’avevano sostenuta nei primi tempi della sua lotta rivoluzionaria, ma anche con le grandi masse contadine, con l’aiuto delle quali era giunta al potere. Abbkmo cosi qui una concezione delle alleanze delk classe operaia che prevede la loro dissoluzione appena vengano in primo piano e si pongano direttamente gli obiettivi delk trasformazione socialista delk società. Ne deriva una concezione della dittatura del proletariato che esclude la possibilità per la cl[...] [...] dovuto rompere ogni alleanza, ed entrare in conflitto, non soltanto con tutti i gruppi delk borghesia che l’avevano sostenuta nei primi tempi della sua lotta rivoluzionaria, ma anche con le grandi masse contadine, con l’aiuto delle quali era giunta al potere. Abbkmo cosi qui una concezione delle alleanze delk classe operaia che prevede la loro dissoluzione appena vengano in primo piano e si pongano direttamente gli obiettivi delk trasformazione socialista delk società. Ne deriva una concezione della dittatura del proletariato che esclude la possibilità per la classe operaia di dirigere ancora i suoi alleati appena sono raggiunti i compiti della rivoluzione democraticoborghese, che esclude quindi l’egemonia della classe operaia in un’alleanza con altri ceti sociali per la costruzione di una società socialista.
Questa impostazione del problema ha grande importanza per le conseguenze che necessariamente se ne ricavano nella strategia delk rivoluzione socialista, anche sul piano internazionale. Ad esempio, dalla sua teoria delk rivoluzione permanente, con la concezione che abbiamo già ricordato dell’inevitabile dissoluzione delle alleanze che hanno permesso alla classe operaia di conquistare il potere, Trotzki traeva la conseguenza dell’impossibilità della costruzione del socialismo in un solo paese e vedeva quindi l’unica salvezza dello Stato sovietico nella possibilità di suscitare la rivoluzione negli altri paesi. « Le contraddizioni — scriveva Trotzki — nella situazione del governo operaio di un paese arretrato, con una maggioranza schiacciante d[...] [...]ito, ma avevamo con noi la maggioranza dei Soviet dei deputati operai e contadini di tutto il paese » \
La polemica è qui rivolta contro i « sinistri » dei partiti comunisti dei paesi occidentali che pretendevano di fare la rivoluzione, con l’assalto audace di minoranze agguerrite, senza preoccuparsi della conquista della maggioranza. Insistendo sulla necessità della conquista della maggioranza come premessa indispensabile di ogni rivoluzione socialista, in Occidente o in Oriente, nei paesi industrialmente più avanzati o in quelli più arretrati, il III Congresso elabora la nuova tattica del fronte unico, come necessaria in quel momento, nei paesi occidentali, per la conquista della maggioranza, e giustamente in questa tattica Gramsci vede un esempio di passaggio dalla guerra manovrata alla guerra di posizione.
È possibile però, mi pare, trovare altri riferimenti, per questo richiamo di Gramsci alte posizioni di Lenin, in documenti anteriori al 1921.
1 L’Internazionale comunista, Roma, 1950, pp. 324 e 327.590
Gli interventi
Già i[...] [...]so del 7 marzo 1918, il rapporto sulla guerra e sulla pace al VII Congresso del Partito, Lenin si rendeva conto di questa necessità di passare dalla guerra di movimento alla guerra di posizione, sia in Russia dove si era fatta la rivoluzione, sia nei paesi europei dove la rivoluzione non era incominciata. « Quanto più è arretrato — diceva allora Lenin — il paese nel quale in virtù degli zigzag della storia, 'ha dovuto incominciare la rivoluzione socialista, tanto più è per esso difficile passare dai vecchi rapporti capitalistici a rapporti socialisti. Ai compiti della distruzione si aggiungono qui nuovi compiti, di una difficoltà inaudita, i compiti di organizzazione ». Questi nuovi compiti, aggiunge Lenin, non potevano essere assolti con un « attacco alla baionetta », cosi come si era riusciti, a fare per i compiti della guerra civile.
«Per tutti coloro — continua Lenin — che avevano meditato sulle condizioni economiche di una rivoluzione socialista in Europa non poteva non 'essere 'evidente che è infinitamente più difficile cominciare la r[...] [...]cchi rapporti capitalistici a rapporti socialisti. Ai compiti della distruzione si aggiungono qui nuovi compiti, di una difficoltà inaudita, i compiti di organizzazione ». Questi nuovi compiti, aggiunge Lenin, non potevano essere assolti con un « attacco alla baionetta », cosi come si era riusciti, a fare per i compiti della guerra civile.
«Per tutti coloro — continua Lenin — che avevano meditato sulle condizioni economiche di una rivoluzione socialista in Europa non poteva non 'essere 'evidente che è infinitamente più difficile cominciare la rivoluzione in Europa e 'infinitamente più facile cominciarla da noi, ma che da noi sarà più difficile continuarla ».
E ancora : « La Rivoluzione non verrà cosi presto come noi speravamo, la storia l’ha dimostrato, e bisogna accettarlo come un dato di fatto, bisogna saper tener conto che la rivoluzione socialista mondiale nei paesi progrediti non può incominciare con la stessa facilità con cui è incominciata in Russia, paese di Nicola e di Rasputin, dove per un’immensa parte della popolazione era indifferente sapere quali popoli abitassero la periferia e che cosa colà avvenisse. In un paese simile era cosa facile incominciare la rivoluzione, facile come sollevare una piuma. Ma cominciare senza preparazione la rivoluzione in un paese dove si è sviluppato il capitalismo, che ha dato una cultura e il senso dell’organizzazione democratica a tutti gli uomini, sino all’ultimo, sarebbe un errore, un’assurdit[...]
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da Asiaticus, Due tesi sull'evoluzione dei paesi ex-coloniali. [sopratitolo: "democrazia nazionale" e "Nuova democrazia"] [sottotitolo: Diverse vie di sviluppo per i popoli del Terzo mondo - Dalla democrazia al socialismo. Le prime esperienze storiche in Mongolia, Cina e Turchia - Il ruolo dirigente del proletariato] in KBD-Periodici: Rinascita 1963 - 1 - 26 - numero 4
Brano: [...], manca di decisione e di continuità. Per l'avvenire dei paesi del Terzo mondo, indipendenza nazionale e democrazia sono connesse da un legame di reciproca necessità, sul quale non si è forse insistito abba
e
Truppe dell'esercito popolare cinese durante la « lunga marcia »
stanza nel passato. Esso è uno dei significati del concetto di democrazia nazionale.
In secondo luogo, la democrazia nazionale, se si distingue nettamente dalla democrazia socialista, non è tuttavia meno diversa dalla democrazia borghese di tipo occidentale. La democrazia nazionale non è fondata sul principio della libera iniziativa, e un importante settore economico statale esiste per esempio oggi in Indonesia, nel Mali, in Guinea, nel Ghana. Essa ignora anche il parlamentarismo borghese e tende piuttosto ad associare al potere forze vitali della nazione come i sindacati e i movimenti giovanili e femminili. Sussiste tuttavia un importante settore privato, e non sono i. partiti comunisti nè il marxismoleninismo che dirigono effettivamente questi paesi; non si tratta dunqu[...] [...]i 81 partiti non hanno d'altronde mai cessato di proclamare che il socialismo costituisce la sola soluzione veramente definitiva ai problemi degli Stati moderni, compresi quelli dell'Asia e dell'Africa. Da questo punto di vista, la democrazia nazionale non ha niente di comune con le posizioni di un Nehru o di Senghor, che cercano di definire per l'Asia e per l'Africa un avvenire radicalmente e definitivamente opposto a quello dei paesi del mondo socialista, per esempio del Vietnam, della Gina, della Mongolia.
L'originalità e la novità del concetto di democrazia nazionale appaiono dunque chiaramente. Ma vale egualmente la pena, ci pare, di precisare il contesto in cui esso è stato elaborato e formulato.
Questo concetto si inserisce innanzitutto, molto nettamente, nella linea generale del XX Congresso del Partito comunista sovietico. Questo congresso si è vigorosamente pronunciato contro gli atteggiamenti settari nei confronti delle borghesie nazionali dei paesi coloniali e dipendenti e nei confronti dei movimenti nazionalisti a direzione non c[...] [...]e del XX Congresso del Partito comunista sovietico. Questo congresso si è vigorosamente pronunciato contro gli atteggiamenti settari nei confronti delle borghesie nazionali dei paesi coloniali e dipendenti e nei confronti dei movimenti nazionalisti a direzione non comunista in questi paesi. La dichiarazione degli 81 insiste molto sul fatto che i partiti comunisti di questi paesi accettano, per un periodo che può essere lungo, un regime che non è socialista, e che essi lottano oggi per l'istaurazione di un regime che sia indipendente e democratico.
Il concetto di democrazia nazionale è anche un contributo alla discussione che si è recentemente aperta nel movimento operaio, sulla questione delle vie della rivoluzione nei paesi del Terzo mondo.
La dichiarazione
degli 81 partiti
Infine, e si tratta anche qui di temi che sono attualmente oggetto di accese controversie in seno al movimento comunista mondiale, il concetto di democrazia non è separabile dalla lotta per la coesistenza pacifica. E' una di quelle « condizioni favorevoli della situazio[...] [...]emocrazia non è separabile dalla lotta per la coesistenza pacifica. E' una di quelle « condizioni favorevoli della situazione storica attuale » di cui parla la dichiarazione degli 81. La possibilità di stabilire per un certo periodo degli Stati a democrazia nazionale, degli Stati basati sull'indipendenza nazionale e sulla democrazia, che si avviano a staccarsi dal sistema mondiale dell'imperialismo senza passare tuttavia direttamente a un regime socialista e a un'economia socialista, questa possibilità esiste soltanto perchè il campo socialista lotta per la coesistenza :pacifica: E' la lotta per la coesistenza pacifica che accorda á questi nuovi Stati un margine di movimento, che, ofite loro la possibilità di non" dipendere più totalmente dài grandi monopoli occidentali per smerciare i propri prodotti o per ottenere crediti e tecnici, la possibilità anche di seguire, per esempio all'ONU, una politica estera relativamente indipendente.
Tutte queste caratteristiche della democrazia nazionale risultano chiaramente dalla dichiarazione degli 81 partiti e dai commenti pubblicati dalla stampa sovietica. Pensiamo in particolare all'articol[...] [...]ocratica del Vietnam dalla sua proclamazione nell'agosto 1945 sino alla guerra con la Francia nell'autunno del 1946.
Tutti questi episodi sono caratterizzati dalla stessa profonda unità della lotta per l'indipendenza nazionale e la democrazia, dalla medesima preoccupazione (anche da parte dei comunisti) di formulare un programma rivoluzionario ere sia molto più avanzato della democrazia borghese di tipo occidentale, pur senza avere un contenuto socialista.
Ma questi episodi, che precedettero l'affermazione delta democrazia nazionale, differivano da questa per un tratto fondamentale: essi si collocavano in un'epoca in cui, nè le forze del campo socialista, nè quelle dei movimenti di liberazione nazionale permettevano d'imporre la coesistenza pacifica. Perciò questi episodi si collocavano tutti in tin contesto di guerre civili e di guerre internazionali.
Ma esiste, a nostro avviso, un pre cedente ancora più importante e interessante, per lo studio delle origini teoriche e pratiche della democrazia nazionale: il concetto di « nuova democrazia » (Xin Minzhou zhouyi) quale è stato formulato nel 1940 da Mao Tsetung in un'opera teorica rimasta giustamente celebre.
Fra la « nuova democrazia » definita nel 1940 da Mao e la « democrazia nazionale » d[...]
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da Giancarlo Bergami, Partito e prospettiva della rivoluzione comunista in Bordiga in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3
Brano: [...]ra si intona, nella forma di un deciso antimilitarismo di classe, all'agitazione antibellicistica del massimalismo di sinistra, piuttosto che identificarsi con la linea leniniana, emersa negli incontri di Zimmerwald e di Kienthal, mirante a trasformare la guerra imperialistica in guerra civile, cioè nella lotta di classe generalizzata: la sola guerra della classe operaia. Si deve convenire che l'elaborazione di Bordiga, anche quando il dirigente socialista napoletano accentua la propria fedeltà all'internazionalismo proletario e prende le distanze dall'inconcludenza di certo massimalismo rumoroso, resta nel complesso « troppo inarticolata per poter essere collocata sullo stesso piano di quella di Lenin »
All'esperienza bolscevica non è invero assimilabile la visione del partito quale interprete dogmatico delle leggi di sviluppo della società capitalistica.
1 A. DE CLEMENTI, Amadeo Bordiga, Torino, Einaudi, 1971, p. 32.
264 GIANCARLO BERGAMI
Analoga astrattezza era tipica del soviet bordighiano, sovrapposto alle masse attraverso i meccanismi[...] [...]i del fascismo nel primo tempo del PCD'I. All'interno di questo discorso si qualifica la ricognizione bordighiana della natura del fascismo, identificato con un espediente di reazione borghese, con un'organizzazione di guardie bianche di cui la borghesia si sarebbe liberata non appena raggiunto l'obiettivo di coinvolgere nella collaborazione di governo i socialdemocratici riluttanti. Secondo il punto di vista comunistico — rifiutato dal partito socialista, che invece persegue con ostinazione « uno stagnamento della situazione entro il ritorno "alla vita normale" che gli lasci continuare la tradizionale opera pacifica a cui è foggiata la sua struttura » —, il fascismo « non è che un altro aspetto della violenza statale borghese contrapposta alla fatale violenza rivoluzionaria del proletariato come ultima ratio difensiva e controffensiva » 5. Il che non vieta poi di scorgere i molteplici con
5 A. BORDIGA, Come matura il « noskismo », « l'Ordine Nuovo », Torino, i, n. 200, 20 luglio 1921, p. 1.
PARTITO E PROSPETTIVA DELLA RIVOLUZIONE COMUNISTA [...] [...]l 1920 il punto culminante della crisi rivoluzionaria del biennio rosso, col volgersi delle classi
medie dalla neutralità, se non in alcuni casi dall'aperta simpatia, verso il movimento operaio all'appoggio palese o occulto al fascismo.
Con le sconfitte operaie del 1920, e col generale riflusso della capacità di lotta e di iniziativa del proletariato al termine dell'occupazione delle
fabbriche, i ceti medi constatarono l'impotenza del partito socialista ad organizzarsi per spingere a fondo l'azione per la conquista del potere e anda
rono ad ingrossare la massa di manovra e di rincalzo di una borghesia in apparenza disorientata e cedevole. Osserva Bordiga nel suo rapporto:
È il momento in cui ha inizio e si scatena l'offensiva capitalistica e borghese. Questa offensiva in buona parte scaturisce e trae alimento dallo sfruttamento dello stato d'animo in cui la classe media era venuta a trovarsi. Grazie alla sua composizione estremamente eterogenea, il fascismo rappresentava la soluzione del problema di mobilitare le classi medie ai fini dell'[...] [...]é egli ammette che ai partiti comunisti, sorti dalla rottura con l'opportunismo riformista e menscevico, spetti di dar vita a vasti schieramenti per fronteggiare l'assalto reazionario. Ogni intesa con altri partiti operai è bandita a livello di fronte unico politico: « Il Partito comunista — sostiene nella prima riunione del Comitato centrale alla fine dei lavori del Congresso di Roma del PCD'I (marzo 1911) — sta alla rivoluzione come il Partito socialista alla controrivoluzione ». Equazione che risponde a una logica a suo modo realistica, poiché Bordiga auspicava il confronto « con chiunque: nelle organizzazioni sindacali », consapevole che il problema vero
7 Rapport de Bordiga sur le fascisme. Débats sur l'offensive du capital, cit., p. 2.
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resta quello di parlare alle masse e che, per risolverlo, non serve l'avvicinamento ai capi socialdemocratici, screditati e privi di volontà di lotta: « Di quali mezzi nuovi potremo servirci dopo avere parlato con i capi? » $.
identificato[...] [...]bordighiana, che non crede all'opportunità di un tale recupero e forse non lo ritiene possibile, si ripresentano nella loro inconciliabilità nel momento in cui Gramsci e Bordiga si interrogano sulla linea da seguire per restituire capacità di azione autonoma alle forze proletarie.
Si riproduce la divaricazione di Gramsci da Bordiga davanti al problema della prospettiva storica della classe operaia in Italia, e alla condanna della « famigliola » socialista italiana, ovvero del blocco delle tendenze socialdemocratiche, riformistiche, sindacalistiche, e pseudorivoluzionarie, apparse in Italia e fuori nel primo ventennio del Novecento. Da posizioni culturali antitetiche a quelle gramsciane Bordiga chiedeva, come ha scritto Giuseppe Berti,
la restaurazione totale dell'ortodossia marxista, considerava la degenerazione
« socialpatriottica » della it Internazionale come il punto culminante di un lungo processo degenerativo, collegava il revisionismo alla penetrazione, in varie forme, della filosofia idealistica « borghese » nel movimento operaio. Vo[...] [...]siero di Marx offre la bussola per orientarsi nella lotta anticapitalistica, al punto che basta accoglierne le indicazioni per guidare il proletariato alla vittoria. Il bolscevismo russo, che non rappresenta alcuna novità dal punto di vista teorico, conferma le previsioni sulla crisi irreversibile del capitalismo e la verità — da Bordiga acquisita fin dalla discussione del 1912 con Angelo Tasca al congresso di Bologna della Federazione giovanile socialista italiana — che il principale dovere dei rivoluzionari è quello di non perdere tempo con le fantasticherie revisionistiche e le divagazioni interessate dei filosofi e giornalisti della borghesia.
Ma bisogna notare del pari la rivendicazione, dichiarata davanti ai protagonisti della rivoluzione d'Ottobre, di uno spazio autonomo per i singoli partiti comunisti all'interno della tradizione e dell'esperienza del bolscevismo, di una non conformistica né addomesticabile loro presenza nell'Internazionale. Al II Congresso del Komintern Bordiga insiste sugli elementi differenzianti della situazione ru[...] [...]care questa preminenza di compiti rivoluzionari può essere fonte di esagerazioni ed equivoci, e notevolissime si sono rivelate a questo riguardo le rampogne di Trotsky alle tendenze contadinistiche che alimentano l'opportunismo nel partito francese. Le conclusioni bordighiane discendono dalle tesi del 1921 sulla questione agraria, in cui i rapporti dialettici oggettivi fra città e campagna, o i temi di uno sviluppo dell'economia agraria in senso socialista, vengono elusi, o quanto meno sottovalutati, mentre dietro le censure e le condanne pronunciate all'indirizzo di quelle che sono definite le tendenze contadinistiche si restringe il nucleo della lezione leniniana.
Non si considera che Lenin non è, o non è soltanto, il rigido puritano delle scissioni, intento ad allontanare i tiepidi, gli inetti, i traditori della causa, inesorabile nel recidere le parti malsane del corpo del partito, colui
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che discrimina tra le forze protagoniste del divenire della rivoluzione o sa solo distr[...] [...]ne di quanti ricercano origini e cause della degenerazione burocratica della autonoma iniziativa delle masse proletarie.
Dopo le condanne settarie caratteristiche del passato stalinista del movimento comunista italiano, ci si va convincendo, sia pure con lentezza e tra contraddizioni politicoideologiche irrisolte, dell'impossibilità di dare una seria valutazione del complesso fenomeno che fu il bordighismo, se non si risalga alla formazione del socialista napoletano e non si riesamini il tipo di azione e di strumenti propagandistici e organizzativi con cui Bordiga diffonde principi di rigore classista e di netta differenziazione rispetto alle demagogiche enunciazioni del socialismo tradeunionista. Si tratta ora di verificare alla luce di questo approccio il significato e i limiti dell'esperienza bordighiana, al confronto con le contemporanee vicende del movimento rivoluzionario comunista internazionale e con l'elaborazione bolscevica leniniana.
GIANCARLO BERGAMI
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