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tipologia: Analitici; Id: 1465097


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Giancarlo Bergami, Partito e prospettiva della rivoluzione comunista in Bordiga
Responsabilità
Bergami, Giancarlo+++
  autore+++    
Area della rappresentazione (voci citate di personaggi,luoghi,fonti,epoche e fatti storici,correnti di pensiero,extra)
Nome da authority file (CPF e personaggi)
Partito Comunista d'Italia+++   Titolo:oggetto+++   
Bordiga, Amadeo+++   Titolo:oggetto+++   
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
PARTITO E PROSPETTIVA
DELLA RIVOLUZIONE COMUNISTA IN BORDIGA
1. Partito e classe nella battaglia di Bordiga per l'unità del proletariato. — La concezione bordighiana del partito politico della classe operaia ha la sua origine teorico-pratica nell'impegno del fondatore del circolo rivoluzionario intitolato a Carlo Marx di ricostituire, negli anni che precedono la prima guerra mondiale, una corrente di sinistra capace di applicare il programma classista al di fuori dei particolarismi municipalistici, e contro il duplice revisionismo riformista e sindacalista. La lotta pressoché esclusiva alla tattica bloccarda e alle « morbose degenerazioni » del socialismo napoletano, che si era lasciato attrarre nello schieramento variopinto delle consorterie laiche, massoniche e democrateggianti, indica nondimeno il titolo di merito e, insieme, il punto debole del marxismo di Bordiga e dei suoi giovani compagni meridionali. Essi non pongono infatti la funzione e la natura del partito in termini tattico-strategici adeguati alla maturità raggiunta dalla maggioranza del proletariato, o alla crisi storica delle forze capitalistiche nazionali e mondiali.
La stessa opposizione bordighiana alla guerra si intona, nella forma di un deciso antimilitarismo di classe, all'agitazione antibellicistica del massimalismo di sinistra, piuttosto che identificarsi con la linea leniniana, emersa negli incontri di Zimmerwald e di Kienthal, mirante a trasformare la guerra imperialistica in guerra civile, cioè nella lotta di classe generalizzata: la sola guerra della classe operaia. Si deve convenire che l'elaborazione di Bordiga, anche quando il dirigente socialista napoletano accentua la propria fedeltà all'internazionalismo proletario e prende le distanze dall'inconcludenza di certo massimalismo rumoroso, resta nel complesso « troppo inarticolata per poter essere collocata sullo stesso piano di quella di Lenin »
All'esperienza bolscevica non è invero assimilabile la visione del partito quale interprete dogmatico delle leggi di sviluppo della società capitalistica.
1 A. DE CLEMENTI, Amadeo Bordiga, Torino, Einaudi, 1971, p. 32.
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Analoga astrattezza era tipica del soviet bordighiano, sovrapposto alle masse attraverso i meccanismi di rappresentanza borghese, con i suoi seggi elettorali suddivisi per territorio (circoscrizioni cittadine e provinciali) e non per unità di lavoro. Non a caso lo scontro tra il PCD'I e l'Esecutivo del Komintern cresce di intensità nel 1921-1923 avendo al centro la questione aggrovigliata del fronte unico (sindacale e/o politico), vale a dire il nodo dei rapporti tra il partito comunista come avanguardia del proletariato rivoluzionario e il movimento operaio nelle sue concrete ramificazioni organizzative
e di classe. Bordiga ripropone nel 1921-1922 le motivazioni dei dissensi sul fronte unico politico esplicitati nel « Soviet » del 4 luglio 1919, ancorché, nella preoccupazione di difendere il nuovo partito dai germi dissolvitori dell'opportunismo e del revisionismo, egli non valuti con esattezza la natura della reazione fascista e il possibile sbocco autoritario o militare di destra della crisi del dopoguerra.
Bordiga riecheggia in modo parziale e restrittivo l'insegnamento leni-niano secondo cui soltanto il partito della classe operaia è in grado di raggruppare, educare, mobilitare l'avanguardia del : proletariato e di tutte le masse lavoratrici, consentendo di resistere alle oscillazioni piccolo-borghesi
e alle tentazioni del corporativismo e dei pregiudizi professionali alle quali singole categorie di lavoratori e operai sono soggette nel regime del lavoro salariato. La rigidità della posizione bordighiana si rivela quando teorizza l'inferiorità delle organizzazioni spontanee, immediate, rispetto al partito politico, che le inquadra e disciplina allo scopo di realizzare la dittatura del proletariato. Il partito in quanto organo e non parte, e prima organo che parte, della classe operaia, si definisce in ragione di princìpi meccanici; il partito, anzi, preesiste alla classe, della quale si reputa l'avanguardia precorritrice. A rigore, per Bordiga, « non si potrebbe nemmeno parlare di classe quando non esista una minoranza di questa classe, tendente ad organizzarsi in partito politico » 2.
Al minoritarismo congenito del PCD'I inteso quale frazione di classe, cui sono ammessi solo i comunisti pronti ad accettare la disciplina accentratrice
e settaria sintetizzata nel principio del centralismo organico (e non democratico), si opponeva la visione terzinternazionalistica dell'organizzazione che privilegiava i problemi della tattica efficace per giungere all'unità di azione
e alla coesione delle forze proletarie. Bordiga rettifica la nota formula del centralismo democratico, poiché la democrazia « non può essere per noi un principio; il centralismo lo è indubbiamente, poiché i caratteri essenziali del-
2 A. BORDIGA, Partito e classe, « Rassegna Comunista », Milano, I, n. 2, 15 aprile 1921, p. 63; dr. anche A. BoRDIGA, Il Partito Comunista, « l'Ordine Nuovo », Torino, I, n. 120, 1° maggio 1921, p. 1.
PARTITO E PROSPETTIVA DELLA RIVOLUZIONE COMUNISTA IN BORDIGA 265
l'organizzazione del partito devono essere l'unità di struttura e di movimento »3. Il rilievo, coerente con un approccio subordinante la tattica a un corpus di verità allergiche alla verifica dei fatti, è la spia di un dissenso di fondo tra la direzione del PCD'I e il Komintern, dissenso che si manifesta a proposito del modo di intendere e applicare la serie di 25 tesi sul fronte unico operaio divulgate nel dicembre del 1921 dall'Esecutivo dell'Internazionale comunista.
Mentre nella direttiva approvata al III Congresso del Komintern per la conquista della maggioranza del proletariato si riflette l'orientamento di rendere assai stretto il collegamento del partito con il movimento di massa nella sua storicità, di cui il partito è la risultante piú avanzata, capace di far camminare la dottrina marxista nella realtà e piegarla alle esigenze della lotta, Bordiga dal canto suo esalta, e per molti versi esaspera, « l'indipendenza del partito da tale movimento generale, di cui il partito stesso era organo e sintesi, poiché la classe operaia era da intendere già tutta espressa dalla teoria immutabile del marxismo rivoluzionario su cui esso si basava »4.
Nel momento in cui Bordiga fa dell'isolamento del PCD'I un valore da perseguire a ogni costo, riemerge l'incompatibilità con l'analisi leniniana e bolscevica delle funzioni del partito (i principi, il programma, la tattica), e delle questioni teoriche e metodologiche legate all'applicazione della dottrina marxista. E il PCD'I delimita la portata dell'appello del Komintern per il fronte unico operaio nell'ambito del fronte unico sindacale (e non politico).
Ciò non impedisce di affermare — come è detto nel Progetto di tesi presentate dal PCD'I al iv Congresso mondiale — che i comunisti propongono un'azione comune delle forze proletarie organizzate, salvo subordinare l'attuazione di questa tattica al compito fondamentale del partito comunista: la diffusione nella massa operaia della coscienza che solo il programma comunista e l'inquadramento diretto dal partito comunista la condurranno alla sua emancipazione. Di qui l'interpretazione strumentale della politica del fronte unico, attraverso la quale deve essere precisata e intensificata la campagna contro influenze e programmi opportunistici o socialriformistici che minacciano l'integrità classista del movimento operaio, fino a radicare ed estendere la convinzione tra le masse che il partito comunista sia il meglio preparato a far prevalere la causa del proletariato.
Bordiga teme soprattutto che le fusioni di sezioni isolate dell'Internazionale con altri organismi politici, ovvero il graduale assorbimento di frazioni
3 A. BORDIGA, Il principio democratico, « Rassegna Comunista », Napoli, II, n. 18, 28 febbraio 1922, p. 888.
4 F. LIvoxsI, Amadeo Bordiga. Il pensiero e l'azione politica 1912-1970, Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. 196-7.
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o gruppi di organizzati su basi tendenziali nel seno dell'organizzazione, come la penetrazione sistematica e il noyautage in altri organismi che abbiano natura e disciplina politica, determinino delle anormalità gravi e dannose. Appare chiara in questo contesto l'avvertenza espressa dal PCD'I:
Nella misura in cui la Internazionale applicherà tali espedienti, si verificheranno manifestazioni di federalismo e rotture disciplinari. Se dovesse arrestarsi
o invertirsi il processo per tendere alla eliminazione di tali anormalità o se queste dovessero elevarsi a sistema, si presenterebbe con estrema gravità il pericolo di una ricaduta nell'opportunismo (La tattica dell'Internazionale Comunista nel progetto di tesi presentate dal P.C.I. al IV Congresso mondiale, « Lo Stato Operaio », Roma, II, n. 6, 6 marzo 1924, p. 6).
Per Bordiga l'aggregazione al partito comunista di altri partiti, o di parti staccate di essi, indebolisce le potenzialità dell'organismo cosí artificiosamente composto, e paralizza l'opera di inquadramento e di radicalizzazione delle masse che in maggioranza seguono i socialdemocratici. La lotta per l'unità proletaria va condotta con la medesima energia con cui si affronta la politica dei riformisti, scontato che per la borghesia il metodo socialdemocratico valga quanto quello fascista. Anzi, l'acutizzarsi della pressione rivoluzionaria indurrà la classe borghese a dispiegare al massimo i due dispositivi ai quali essa si affida per la propria salvezza: « Essa ostenterà la piú audace politica democratica e socialdemocratica mentre sguinzaglierà le squadre della organizzazione militare bianca per seminare il terrore nelle file del proletariato » (A. Bordiga, Il fascismo, « l'Ordine Nuovo », Torino, I, n. 320, 17 novembre 1921, p. 2).
2. L'analisi del fascismo nel primo tempo del PCD'I. - All'interno di questo discorso si qualifica la ricognizione bordighiana della natura del fascismo, identificato con un espediente di reazione borghese, con un'organizzazione di guardie bianche di cui la borghesia si sarebbe liberata non appena raggiunto l'obiettivo di coinvolgere nella collaborazione di governo i socialdemocratici riluttanti. Secondo il punto di vista comunistico — rifiutato dal partito socialista, che invece persegue con ostinazione « uno stagnamento della situazione entro il ritorno "alla vita normale" che gli lasci continuare la tradizionale opera pacifica a cui è foggiata la sua struttura » —, il fascismo « non è che un altro aspetto della violenza statale borghese contrapposta alla fatale violenza rivoluzionaria del proletariato come ultima ratio difensiva e controffensiva » 5. Il che non vieta poi di scorgere i molteplici con-
5 A. BORDIGA, Come matura il « noskismo », « l'Ordine Nuovo », Torino, i, n. 200, 20 luglio 1921, p. 1.
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traddittori legami del fascismo con i ceti medi e col blocco di forze con-
servatrici dominanti in Italia all'indomani della guerra mondiale. Nel suo rapporto sul fascismo al iv Congresso mondiale (12a seduta - Mosca, 16
novembre 1922), Bordiga indica nella seconda metà del 1920 il punto culminante della crisi rivoluzionaria del biennio rosso, col volgersi delle classi
medie dalla neutralità, se non in alcuni casi dall'aperta simpatia, verso il movimento operaio all'appoggio palese o occulto al fascismo.
Con le sconfitte operaie del 1920, e col generale riflusso della capacità di lotta e di iniziativa del proletariato al termine dell'occupazione delle
fabbriche, i ceti medi constatarono l'impotenza del partito socialista ad organizzarsi per spingere a fondo l'azione per la conquista del potere e anda-
rono ad ingrossare la massa di manovra e di rincalzo di una borghesia in apparenza disorientata e cedevole. Osserva Bordiga nel suo rapporto:
È il momento in cui ha inizio e si scatena l'offensiva capitalistica e borghese. Questa offensiva in buona parte scaturisce e trae alimento dallo sfruttamento dello stato d'animo in cui la classe media era venuta a trovarsi. Grazie alla sua composizione estremamente eterogenea, il fascismo rappresentava la soluzione del problema di mobilitare le classi medie ai fini dell'offensiva capitalistica e borghese.
L'esempio italiano è un esempio classico di offensiva del capitale. Questa offensiva costituisce, come ha detto ieri da questa tribuna il compagno Radek, un fenomeno complesso che non bisogna solo valutare dal punto di vista della riduzione dei salari o dell'allungamento dell'orario di lavoro, ma anche sul terreno generale dell'azione politica e militare della borghesia contro la classe operaia 6.
Sono denunciate le responsabilità e gli errori dei socialisti italiani, che
avevano intessuto specie nella Valle padana una vasta rete di interessi sindacali amministrativi e corporativi, sacrificando non solo gli interessi della
piccola e media borghesia legata alla proprietà della terra, ma anche la tendenza dei piccoli affittuari ad acquistare, dopo la guerra, terreno per
divenire possidenti e coltivatori diretti. Le organizzazioni riformiste costrinsero però i piccoli affittuari a restare caudatari del movimento dei salariati
agricoli: in tali circostanze, il movimento fascista ha potuto trovare un notevole appoggio. Il leader comunista è attento a cogliere i caratteri di classe
del fascismo, tutt'altro che fenomeno di semplice aggregazione degli strati politicamente ed economicamente arretrati del paese, poiché esso sorge e si
6 Rapport de Bordiga sur le fascisme. Débats sur l'offensive du capital [compte-rendu sténographique du Ive Congrès mondial de l'I.c. (1922), douzième séance (Moscou, 16 novembre)], « La Correspondance Internationale », Berlin, 2e a., n. 36, 22 décembre 1922, p. 1 [supplement documentaire].
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sviluppa sul terreno delle contraddizioni e della capacità offensiva del sistema capitalistico nazionale nel suo complesso. Il fascismo appare come
il partito unitario, ad organizzazione centralizzata e fortemente disciplinata, della borghesia e delle classi che gravitano nell'orbita di questa. È lo stato democratico-borghese, completato da una organizzazione dei cittadini. Come lo stato di tutti ha benissimo servito alla amministrazione degli interessi dei pochi, cosí vi servirà un partito di massa. E per trarre questo partito dagli effettivi tentennamenti di tutti i vecchi partiti o semipartiti borghesi, i metodi della violenza reazionaria sono senza contrasto combinati alla demagogia democratica. La confluenza col riformismo è chiara. I comunisti respingono il riformismo come un agente della causa borghese nelle file della classe proletaria. Il fascismo pretende di respingerlo come un agente della causa rivoluzionaria nelle istituzioni borghesi (A. Bor-diga, Mosca e Roma, « Il Lavoratore », Trieste, 17 gennaio 1923, p. 1).
Per questo insieme di considerazioni il fascismo non è un movimento egemonizzato dagli agrari, né esso sembra riducibile al ruolo di esponente organico dell'ala retrograda e puramente parassitaria della borghesia. È chiaro, per converso, che non si può definire il fascismo come il movimento indipendente d'una parte sola della borghesia, come l'organizzazione degli interessi agrari in quanto siano contrapposti a quelli capitalistici industriali'. Non si deve del resto trascurare che esso ha formato la propria rete politica e militare nelle grandi città, anche in quelle province in cui restrinse l'azione alle campagne. Ciò premesso, viene del pari ribadito che, sebbene disponga di « un'organizzazione solida e di capi di grande abilità politica », il fascismo non possiede una dottrina e un programma nuovi e originali. Senon-ché, la previsione ottimistica che il fascismo sarà liberale e democratico non aiuta a porre la necessità di una controffensiva proletaria efficace, giacché Bordiga esclude l'opportunità di convergenze atte a bloccare il fascismo, non credendo alla possibilità di un colpo di stato di destra, né di quella che chiama una rivoluzione a rovescio, ossia lo spauracchio troppe volte agitato da demagoghi di ogni colore e appunto perciò poco plausibile.
Egli non intende decampare dai fondamenti dottrinari del comunismo rivoluzionario, né egli ammette che ai partiti comunisti, sorti dalla rottura con l'opportunismo riformista e menscevico, spetti di dar vita a vasti schieramenti per fronteggiare l'assalto reazionario. Ogni intesa con altri partiti operai è bandita a livello di fronte unico politico: « Il Partito comunista — sostiene nella prima riunione del Comitato centrale alla fine dei lavori del Congresso di Roma del PCD'I (marzo 1911) — sta alla rivoluzione come il Partito socialista alla controrivoluzione ». Equazione che risponde a una logica a suo modo realistica, poiché Bordiga auspicava il confronto « con chiunque: nelle organizzazioni sindacali », consapevole che il problema vero
7 Rapport de Bordiga sur le fascisme. Débats sur l'offensive du capital, cit., p. 2.
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resta quello di parlare alle masse e che, per risolverlo, non serve l'avvicinamento ai capi socialdemocratici, screditati e privi di volontà di lotta: « Di quali mezzi nuovi potremo servirci dopo avere parlato con i capi? » $.
identificato quindi il piano strategico su cui si collocano le forze dirigenti borghesi in quanto espressione unitaria del capitalismo italiano, il cui obiettivo determinante è non solo l'impedire a qualunque costo la rivoluzione proletaria, ma altresì « lo schiacciare l'organizzazione operaia divenuta incompatibile colla sopravvivenza del capitalismo alla sua crisi attuale » 9, senza che questo escluda la ripresa di una controffensiva del movimento di classe. Nell'analisi dei margini di manovra concessi al sistema produttivo della borghesia il massimo dirigente del PCD'I si richiama a parametri luxem-burghiani, come risulta dall'annotazione per cui i « mercati vergini si restringono sempre piú e d'altra parte le popolazioni coloniali non si mostrano piú disposte a restare passive sotto le ventose dello sfruttamento imperiale » 10. Tale approccio, che trovava conferme nel crack della Banca di sconto oltre che nel ricorso — cui il regime liberale monarchico era sollecitato in modo sistematico — alla violenza e all'aperta illegalità contro il proletariato, « era data dalla convinzione dell'incapacità del capitalismo di risolvere la crisi organica in cui l'aveva gettato il conflitto mondiale » (A. De Clementi, Amadeo Bordiga, cit., p. 147).
Prende forma allora la previsione che la situazione italiana si sarebbe evoluta secondo il modello sperimentato dalla socialdemocrazia tedesca, ripetendo i socialisti nostrani la parabola riformistica e il collaborazionismo dei colleghi alla guida della repubblica di Weimar dopo lo schiacciamento militare della Germania guglielmina. Ma è pur vero che l'incomprensione della
8 La replica di Bordiga, « l'Ordine Nuovo », Torino, II, n. 87, 28 marzo 1922, p. 3. Per Andrea Viglongo, in Bordiga permane una riserva di fondo verso la tattica e la disciplina dell'Internazionale: « non per politicantismo, ma proprio per la sua particolare forma mentis, per certi suoi apriorismi, per la sua naturale rigidità di uomo tutto d'un pezzo, convinto come un apostolo, inflessibile come un capo militare ». In altri termini, la tattica del fronte unico fu da Bordiga combattuta special- mente perché egli « non poté ammettere mai un'azione comune tra un Partito omogeneo e disciplinato come il Comunista e l'inconcludenza caotica di certo massimalismo » (A. VIGLONGO, Bordiga, « La Rivoluzione Liberale », Torino, iI, n. 33, 30 ottobre 1923, pp. 133-134).
9 [A. BORDIGA], La riscossa proletaria da Verona a Roma, « Rassegna Comunista », Roma, I, n. 13, 15 novembre 1921, p. 599.
80 [A. BoRDIGA], Fallimento e panico nel mondo borghese, « Rassegna Comunista », Roma, r, n. 16, 30 dicembre 1921, p. 746. La conclusione della guerra imperialistica ha scatenato nuovi contrasti tra le potenze capitalistiche mondiali: « Lo schiacciamento militare della Germania lungi dall'eliminare le cause di conflitto ha suscitato le rivalità tra gli altri colossi e ha fatto rialzare la testa all'America e al Giappone che con minori sacrifici hanno attraversata la guerra » (ibidem).
270 GIANCARLO BERGAMI
portata della minaccia fascista e del tragico errore commesso dalle vecchie caste dirigenti liberali nel secondare la conquista del potere da parte delle bande mamertiniche all'assalto della macchina statale, si fonda e risolve nella deficienza di una salda analisi socio-economica, carenza comunque ascrivi• bile al bilancio passivo della elaborazione bordighiana.
3. Bordiga e la tradizione bolscevico-internazionalistica. — Alla luce del contrasto, che via via si acutizza con il Komintern, sulla questione del fronte unico si comprende meglio la funzione assegnata da Bordiga alla dialettica del partito di classe con le masse operaie, dialettica che si porrà in termini di divergenza rispetto al centrismo gramsciano. Il diverso modo, da parte di Bordiga e di Gramsci, di impostare e risolvere il problema dell'eredità ideale e storica del socialismo italiano si riflette sul tipo di collocazione internazionalistica che i due dirigenti comunisti attribuiscono al PCD'I, mentre essi approdavano a scelte tattiche irriducibili. Il proposito gramsciano di un rinnovamento dal basso del movimento operaio mediante la partecipazione delle masse lavoratrici alla direzione degli organi politici e sindacali del socialismo — proposito che non tagliava fuori il recupero ad una alternativa di classe di consistenti settori di militanti e quadri organizzativi massimalisti — e l'intransigenza bordighiana, che non crede all'opportunità di un tale recupero e forse non lo ritiene possibile, si ripresentano nella loro inconciliabilità nel momento in cui Gramsci e Bordiga si interrogano sulla linea da seguire per restituire capacità di azione autonoma alle forze proletarie.
Si riproduce la divaricazione di Gramsci da Bordiga davanti al problema della prospettiva storica della classe operaia in Italia, e alla condanna della « famigliola » socialista italiana, ovvero del blocco delle tendenze socialdemocratiche, riformistiche, sindacalistiche, e pseudorivoluzionarie, apparse in Italia e fuori nel primo ventennio del Novecento. Da posizioni culturali antitetiche a quelle gramsciane Bordiga chiedeva, come ha scritto Giuseppe Berti,
la restaurazione totale dell'ortodossia marxista, considerava la degenerazione
« socialpatriottica » della it Internazionale come il punto culminante di un lungo processo degenerativo, collegava il revisionismo alla penetrazione, in varie forme, della filosofia idealistica « borghese » nel movimento operaio. Voleva ritornare alle fonti. Ma le sue fonti non erano affatto il pensiero idealistico italiano-tedesco
e contro le dottrine volontaristiche, contro le scintillanti formulazioni soreliane
e bergsoniane, egli aveva polemizzato, sin da giovane, nel socialismo napoletano. Le fonti, per Bordiga, erano le sacre pagine del Manifesto, erano il Marx e l'Engels che avevano rotto definitivamente con l'idealismo « borghese », con la democrazia « borghese », con la sinistra democratica anche nelle sue espressioni piú radicali (I primi dieci anni di vita del P.C.I. Documenti inediti dell'Archivio Angelo Tasca, Milano, Feltrinelli, 1967, pp. 21-2).
PARTITO E PROSPETTIVA DELLA RIVOLUZIONE COMUNISTA IN BORDIGA 271
Su questo sfondo spicca la peculiarità della riflessione bordighiana nei riguardi del leninismo e dei problemi che i bolscevichi affrontavano per la conquista rivoluzionaria del potere. La vittoria dei bolscevichi non è per lui un evento in grado di modificare di per sé o integrare l'autentica lezione del marxismo, in cui sono contenuti gli strumenti di analisi della realtà capitalistica e l'orizzonte speculativo invariante per ogni comunista. Il pensiero di Marx offre la bussola per orientarsi nella lotta anticapitalistica, al punto che basta accoglierne le indicazioni per guidare il proletariato alla vittoria. Il bolscevismo russo, che non rappresenta alcuna novità dal punto di vista teorico, conferma le previsioni sulla crisi irreversibile del capitalismo e la verità — da Bordiga acquisita fin dalla discussione del 1912 con Angelo Tasca al congresso di Bologna della Federazione giovanile socialista italiana — che il principale dovere dei rivoluzionari è quello di non perdere tempo con le fantasticherie revisionistiche e le divagazioni interessate dei filosofi e giornalisti della borghesia.
Ma bisogna notare del pari la rivendicazione, dichiarata davanti ai protagonisti della rivoluzione d'Ottobre, di uno spazio autonomo per i singoli partiti comunisti all'interno della tradizione e dell'esperienza del bolscevismo, di una non conformistica né addomesticabile loro presenza nell'Internazionale. Al II Congresso del Komintern Bordiga insiste sugli elementi differenzianti della situazione russa e sulla non trasferibilità di quel modello rivoluzionario ai paesi democratici dell'Europa occidentale e dell'America:
Ma le condizioni storiche nelle quali la rivoluzione russa si è sviluppata non rassomigliano alle condizioni nelle quali la rivoluzione proletaria si svilupperà nei paesi democratici dell'Europa occidentale e dell'America. La situazione russa ricorda piuttosto quella della Germania nel 1848, poiché vi si sono svolte due rivoluzioni, una dopo l'altra, la rivoluzione democratica e la rivoluzione proletaria. L'esperienza tattica della rivoluzione russa non può essere trasportata integralmente negli altri paesi, nei quali la democrazia borghese funziona da lungo tempo e dove la crisi rivoluzionaria non sarà che il passaggio diretto da questo regime politico alla dittatura del proletariato (Sulla questione del Parlamentarismo, « Rassegna Comunista », Roma, i, n. 8, 15 agosto 1921, p. 367).
Può sorprendere la relativa duttilità di queste affermazioni di Bordiga, il cui accordo col bolscevismo si limita tuttavia alla concezione dello stato borghese da rovesciare con la violenza delle masse, e alla necessità della rottura con le correnti socialriformistiche, anche di quelle che si richiamano alle peculiarità del movimento operaio come si è venuto evolvendo nei diversi paesi. Restano in questo contesto valide le ragioni che avevano ispirato la tattica astensionistica, da Lenin giudicata semplicistica e infantile. In appendice a L'« Estremismo », malattia infantile del comunismo (aprile-maggio 1920), Lenin condanna la puerilità della negazione, tipica degli asten-
272 GIANCARLO BERGAMI
sionisti, della partecipazione al parlamento, non senza risparmiare l'allergia di Bordiga e dei « sinistri » italiani a misurarsi con quei compiti particolari che il proletariato deve affrontare in modo costruttivo, se vuole superare i pregiudizi e le influenze intellettuali borghesi, rendendo vana l'inevitabile resistenza degli ambienti piccolo-borghesi, storicamente ostili a una radicale trasformazione della realtà sociale da cui essi traggono giustificazione morale
e pratica. La difesa intransigente dei principi comunisti rivoluzionari si rivela però astratta e inconcludente, se disgiunta da un adeguato interesse per le istituzioni statali e organizzative attraverso cui la borghesia esercita
e perpetua il suo dominio di classe sull'intera società, fino a corrompere e assoggettare a sé larghi settori del movimento operaio.
Ne consegue l'obiezione leniniana a Bordiga e ai compagni della sinistra italiana di non sapere essi risolvere « il difficile problema della lotta contro le influenze democratiche borghesi in seno al movimento operaio, mentre in realtà si fugge soltanto la propria ombra, si chiudono soltanto gli occhi davanti alle difficoltà e si cerca soltanto di disfarsene con le parole ». Obiezione che, tradotta in termini generali, permette di scorgere il ritardo nell'educazione marxista di chi, appagato dall'estremismo, non vuole prendere atto che il comunismo « deve introdurre (e non vi riuscirà senza un lavoro lungo, perseverante, ostinato) quanto vi è di nuovo sul terreno dei principi, ciò che rompe radicalmente con le tradizioni della ii Internazionale (conservando e sviluppando al tempo stesso ciò che la ii Internazionale ha dato di buono) » II. Vale il sospetto che gli astensionisti e gli antiparlamen-taristi, nel loro attaccamento alla ripetizione di pregiudiziali e schemi rivoluzionari, non avvertano che puntare sempre e unicamente sul fine dell'abbattimento della borghesia e della conquista del potere politico da parte del proletariato sposta solo in avanti il problema di fare i conti con le influenze borghesi diffuse nel movimento operaio, poiché le medesime difficoltà della lotta per sradicarle, in seguito si presenteranno aggravate in misura mag- giore.
Ai rilievi leniniani, che centrano il cuore del dissidio con Bordiga, si deve aggiungere la critica del Presidium dell'Internazionale alle tesi sulla tattica redatte da Bordiga e Terracini per il ii Congresso del PCD'I. Lungi dal determinare gli obiettivi transitori in vista dei quali i comunisti conducono
« fin d'ora le masse alla lotta: ora che non si tratta, purtroppo, d'impadronirsi del potere ma di conquistare una minoranza della classe operaia », le tesi di Roma
diminuiscono, banalizzano la necessità della lotta per la conquista della maggioranza della classe operaia, cioè relegano in secondo piano il compito piú impor'
II V. I. LENIN, Opere complete, vol. xxxi, Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 104-5.
PARTITO E PROSPETTIVA DELLA RIVOLUZIONE COMUNISTA IN BORDIGA 273
tante che incombe ad un partito giovane come il Pcd'I. Invece di dire al partito: lotta per ogni singolo operaio, tentativo di conquistarlo, tentativo di conquistare la maggioranza della classe operaia, le tesi forniscono pretesti dottrinali intesi a provare che il problema non è cosí urgente. Vi è in questo un grave pericolo, di cui l'Esecutivo, senza indietreggiare davanti ad alcun mezzo, avvertirà il partito 12.
La natura della divergenza dall'indirizzo dell'Internazionale non potrebbe essere espressa piú nettamente, anche se i ragionamenti sopra riferiti rendono solo in parte l'originalità della posizione bordighiana davanti al bolscevismo. Un episodio rivelatore, per fare il punto sul rapporto con l'opera di Lenin e con il leninismo, è costituito dalla conferenza Lenin nel cammino della rivoluzione, pronunciata da Bordiga per mandato del partito comunista il 24 febbraio 1924 alla Casa del popolo di Roma. Essa segna, per la sua impostazione generale e per taluni giudizi che vi sono contenuti sulla figura e le tesi di Trotsky, un avvicinamento all'Opposizione russa che negli stessi mesi subiva l'attacco della maggioranza capeggiata nel partito bolscevico da Stalin; e in questo spirito la conferenza sarà letta e pubblicata nel 1928, col titolo: Lénine sur le chemin de la révolution, nella rivista diretta da Pierre Naville n. Bordiga vi esalta la polemica leniniana contro le correnti gradualistiche, le falsificazioni del programma rivoluzionario tentate dai partiti opportunisti.
La restaurazione dei fondamenti della dottrina marxista si deve compiere, in Russia e nelle cittadelle avanzate del capitalismo europeo, sui due fronti della critica radicale al « marxismo » borghese dei socialdemocratici e all'economismo, che distoglie il proletariato dai compiti di organizzazione della propria forza per confinarne l'iniziativa nell'ambito del rivendicazionismo settoriale e frammentario, lasciando alla borghesia l'egemonia del movimento che abbatterà l'autocrazia zarista e instaurerà, con le libertà politiche, le condizioni di un democratico scontro fra i partiti. Lenin incarna la negazione di tutto questo: « non è la classe operaia — osserva Bordiga — che servirà per la rivoluzione dei borghesi: ma è la rivoluzione che sarà fatta in Russia dalla classe operaia, e per se stessa »14. In tale prospettiva la guida dell'Ottobre « non rimane il simbolo della accidentalità pratica dell'opportu-
12 Cfr. il Contributo del Presidium del Komintern al progetto di programma del PCD'I (marzo 1922), in A. AGOSTI, La Terza Internazionale. Storia documentaria, prefazione di E. Ragionieri, vol. I. 1919-1923, 2, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 560-1.
13 Cfr. « La Lutte de Classe », Paris, n. 4, 1928, pp. 98-107; e n. 5, pp. 131-139.
14 A. BORDIGA, Lenin nel cammino della rivoluzione, Napoli, Edizioni Prometeo, 1924; ora col titolo: Lenin, presentazione di Alfonso Leonetti, Roma, Partisan, 1970, p. 28 (in appendice l'art. di A. GRAMSCI, « Capo »).
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nismo, ma quello della ferrea unità della forza e della storia della rivoluzione ».
Pur apprezzando il valore della lotta teoretica che verso il 1900 si accende nel Partito operaio socialdemocratico russo — nel corso della quale si riflette il contenuto della campagna contro il revisionismo bernsteiniano internazionale anteriore alla prima guerra mondiale, l'opportunismo social-nazionalista degli anni di guerra, il menscevismo del dopoguerra —, e che culmina nella scissione del 1903, Bordiga prende le distanze dall'insieme dell'esperienza bolscevica intesa quale corpo chiuso di indicazioni tattiche e di insegnamenti validi in assoluto per i partiti aderenti all'Internazionale comunista. Egli rilutta a vedere nel leninismo una dottrina a sé, che consista nell'ideologia rivoluzionaria del proletariato in alleanza coi contadini, in quanto potrebbe prestarsi ad essere adoperata dai controrivoluzionari mascherati da fautori di un ripiegamento storico della portata della rivoluzione russa. E contro il presidente del Komintern, Zinoviev — ma anche contro Gramsci, che riconosce nei contadini una delle forze motrici nell'alleanza organica che dovrà portare alla vittoria la rivoluzione italiana —, reputa che l'intuizione con cui i bolscevichi hanno tenuto testa alla pressione socialrivoluzionaria stia nell'avere essi subordinato la classe contadina a quella operaia: perché solo da quest'ultima, e non per le forze sue proprie, la prima può essere guidata alla liberazione.
Persiste la diffidenza nei confronti dell'arretratezza del contadiname, alleato spesso delle correnti e dei partiti controrivoluzionari e naturalmente assai restio ad accettare il ruolo dirigente che nella rivoluzione ha il grande proletariato urbano: preminenza sancita nella costituzione della repubblica soviettista con l'assegnare peso preponderante alla rappresentanza degli operai rispetto a quella delle masse contadine, e dal fatto che è la prima a dare alla nuova macchina dello stato operaio il suo personale. Dimenticare questa preminenza di compiti rivoluzionari può essere fonte di esagerazioni ed equivoci, e notevolissime si sono rivelate a questo riguardo le rampogne di Trotsky alle tendenze contadinistiche che alimentano l'opportunismo nel partito francese. Le conclusioni bordighiane discendono dalle tesi del 1921 sulla questione agraria, in cui i rapporti dialettici oggettivi fra città e campagna, o i temi di uno sviluppo dell'economia agraria in senso socialista, vengono elusi, o quanto meno sottovalutati, mentre dietro le censure e le condanne pronunciate all'indirizzo di quelle che sono definite le tendenze contadinistiche si restringe il nucleo della lezione leniniana.
Non si considera che Lenin non è, o non è soltanto, il rigido puritano delle scissioni, intento ad allontanare i tiepidi, gli inetti, i traditori della causa, inesorabile nel recidere le parti malsane del corpo del partito, colui
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che discrimina tra le forze protagoniste del divenire della rivoluzione o sa solo distribuire piombo agli avversari, ma che egli è, secondo le notazioni di Alfonso Leonetti, « soprattutto l'unificatore; l'uomo che sa unire non solo gli operai tra loro, che è primordiale, ma unire gli operai con i loro alleati naturali e cioè i contadini e i popoli dei paesi oppressi e infine non disdegna affatto gli intellettuali » (in A. Bordiga, Lenin, cit., p. 9).
Ï limiti nella comprensione del ruolo di Lenin non inficiano il merito bordighiano di denunciare con prontezza e lucidità l'involuzione staliniana e i pericoli della bolscevizzazione zinovievista, intesa quale subordinazione delle sezioni dell'Internazionale alla logica e agli interessi dello stato sovietico, con la conseguente paralisi di qualsiasi alternativa rivoluzionaria al burocratismo. Quella bordighiana si qualificherà sempre meglio come una battaglia per la rigenerazione dell'Internazionale, presentando, a paragone con le incertezze e l'atteggiamento talvolta ambiguo e contraddittorio dello stesso Trotsky, connotati di maggiore coerenza, sia per i contenuti e il terreno di scontro prescelto, sia per la rivendicazione all'indisciplina. Ciò non impediva di realizzare un collegamento con le tesi trotskyste nel giudizio sulla genesi della crisi attuale del Komintern. Bordiga individua nei vizi di fondo inerenti ai metodi di direzione del comunismo mondiale, e nelle incrinature interne al partito russo, i motivi della propria indisponibilità a scorgere nel bolscevismo la via maestra ed esclusiva della rivoluzione proletaria:
La conclusione piú importante che emerge, a nostro parere, dalla efficace analisi cui Trotsky sottopone la preparazione e la effettuazione della lotta di ottobre in Russia, è che la riluttanza della destra non si presenta solo come un errore nella valutazione delle forze e nella scelta del momento dell'azione, ma come una vera incomprensione di principio del processo storico rivoluzionario e come la proposta che questo prenda uno sbocco diverso da quello della dittatura del proletariato per la costruzione del socialismo (La quistione Trotzki, «l'Unità», Milano, u, n. 153, 4 luglio 1925, p. 3; l'articolo era stato scritto il 18 febbraio 1925).
Egli al y Congresso mondiale (giugno 1924) respinge, per il PCD'I e per se stesso, la funzione di « grammofono » o di « marionetta » cui spetti adattarsi ai mutamenti di rotta e alla disciplina arbitraria del Komintern, mentre registra come nel corso del dibattito congressuale non si fosse detto alcunché di autenticamente internazionale. Né il fondatore del PCD'I accetta il metodo, tipico della bolscevizzazione in atto, di linciare moralmente o diminuire gli avversari per illudersi di averne ragione. Nel ribattere alle osservazioni polemiche di N. Bucharin, che accusava la sinistra italiana di fare il gioco della destra e tacciava i « sinistri » italiani di antimarxisti, piccolo-borghesi, pseudomarxisti, pseudoanarchici, e altrettali epiteti, Bordiga ri-
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leva che tale maniera di discutere non è degna d'una Internazionale rivoluzionaria IS
4. La genesi del bordighismo e l'opposizione della sinistra italiana alla bolscevizzazione. — È coniato in questo periodo il termine di bordighismo riguardato quale deviazione di sinistra dalla linea teorica ufficiale e dalle scelte praticate nel Komintern, e come tale destinato a calamitare accuse violente quanto prive di fondamento. Nell'agosto del 1925, quando lo scontro con la sinistra italiana è entrato in una fase acuta, A. Chiarini (alias Cain Haller) pubblica nell'organo del Comitato esecutivo dell'Internazionale una dura requisitoria contro il bordighismo, rilevando come dopo il v Congresso mondiale, malgrado le dichiarazioni sulla disciplina e sul centralismo, Bor-diga si discosti piú marcatamente dalla tattica dell'Internazionale. Per il dirigente comunista italiano, anzi, è l'intera tattica dell'Internazionale a divenire errata; ed egli accentua la propria posizione critica e di rifiuto:
All'interno del partito comunista, egli si rafforza sempre piú nella sua posizione « astensionista » e rifiuta di applicare le direttive dell'Ic. Quando il partito gli affida un mandato di deputato al Parlamento, lo respinge; cosí quando il partito gli rivolge l'invito a collaborare col Comitato centrale, egli parimenti rifiuta, dimenticando quanto aveva affermato al iv Congresso (A. Chiarini, Le « Bordiguisme », « L'Internationale Communiste », Paris, n. 2, août 1925, p. 120).
A. Leonetti dal canto suo denuncia le incongruenze teorico-pratiche e i feticci dell'estrema sinistra italiana, alla quale ricorda il compito assorbente del partito rivoluzionario della classe operaia: intervenire in ogni situazione per spostare i rapporti di forza esistenti in vista del rovesciamento del potere borghese:
Ciò spiega la distinzione leninista di tattica e di strategia, distinzione che non si trova in nessun passo delle tesi della estrema sinistra e per la cui incomprensione l'estrema sinistra è condotta a muovere il rimprovero all'Internazionale di non avere una linea tattica precisa e di subire troppo le suggestioni delle situazioni (I dissensi con l'Internazionale ovvero i feticci dell'estrema sinistra italiana, « l'Unità », Milano, zr, n. 213, 13 settembre 1925, p. 3).
Is Cfr. l'intervento di Bordiga in « La Correspondance Internationale », Vienne, 4e a., n. 53, 5 août 1924, p. 553. Nel medesimo spirito Karl Radek aveva affermato, concludendo il proprio discorso alla sesta seduta (21 giugno 1924) del v Congresso mondiale: « Se, all'interno dell'Internazionale, noi ci limitiamo a osservare unicamente la disciplina ufficiale, diventeremo uno scheletro ufficiale, non una Internazionale vivente » (cfr. « La Correspondance Internationale », Vienne, 4e a., n. 40, 3 juillet 1924, p. 420).
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La polemica vede schierati in prima fila i dirigenti comunisti italiani fino al 1924 vicini a Bordiga. Ercoli approfondisce con acribía il tema delle « basi idealistiche » del bordighismo, giudicato incapace di fare propria la concezione di un vero partito di massa. Bordiga, secondo Togliatti, difetta d'una visione integrale della realtà e si muove al di fuori del campo della dialettica marxista, mentre della concretezza e della molteplicità dei fenomeni egli « non vede che i punti che coincidono per caso con il piano immutabile dello schema astratto che si sforza di imporre alla realtà ». In conclusione, Bordiga « opera fuori del campo della dialettica materialista, che è il fondamento del marxismo; è imprigionato nelle sue concezioni filosofiche idealistiche, e si sperde in speculazioni e ragionamenti astratti completamente estranei allo spirito del marxismo ».".
Bordiga riprende, intanto, le sue argomentazioni nello scontro con Stalin avvenuto al vi Plenum dell'Esecutivo allargato (Mosca, febbraio 1926), in cui senza rispettare la richiesta ufficiale del Comitato centrale del partito russo alle varie sezioni dell'Internazionale (richiesta avanzata in seguito al xiv Congresso del PCR) di non occuparsi della questione russa egli entra in medias res, interrogando: « Dove va la Russia? Quali sono i caratteri e gli sviluppi della sua economia? » l'. Il 22 febbraio 1926 Bordiga ha modo di domandare al « compagno Stalin » se ritenga che nel determinare la politica del partito russo sia necessaria la collaborazione degli altri partiti comunisti; e che « se si voleva non discutere delle questioni russe a questo Allargato, doveva essere l'Allargato stesso a decidere in questo senso ». Stalin invita, nella risposta, a badare alla sostanza delle cose e alla posizione privilegiata che il partito russo ha nell'Internazionale, posizione tale che « non si può pensare sia possibile risolvere con la procedura i problemi che toccano i rapporti fra il Partito russo stesso e la Internazionale e gli altri Partiti »18.
Intervenendo il 25 febbraio 1926 alla 9a seduta dell'Esecutivo allargato, ove si discute delle lotte all'interno del partito russo dominato ora dal bloc-
16 ERCOLI [P. TOGLIATTI], Les bases idéalistes du bordiguisme, « L'Internationale Communiste », Paris, n. 10, avril 1926, p. 321; poi in P. TOGLIATTI, Opere, a cura di E. Ragionieri, II. 1926-1929, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 26 e p. 27.
v Cfr. il verbale della riunione del 21 febbraio 1926 della delegazione italiana al vi Plenum dell'Esecutivo Allargato dell'Internazionale comunista, in APC 1926, 272/6; citaz. in F. ORMEA, Le origini dello Stalinismo nel PCI. Storia della « svolta » comunista degli anni Trenta, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 86.
18 Cfr. il verbale della riunione del 22 febbraio 1926 della delegazione italiana — con gli interventi di Stalin —, in « Annali », VIII, 1966, Istituto Giangiacomo Feltri-nelli di Milano, Milano, Feltrinelli, 1966, pp. 263-70.
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co Stalin-Bucharin, Bordiga è colpito dallo spettacolo di ortodossia forzata, e dall'umiliazione che viene riservata agli oppositori:
Io penso che la caccia al frazionismo continuerà e darà i risultati che già ha dato sin qui. Noi lo vediamo bene nel partito tedesco. Devo dire che questo metodo di umiliazione è un metodo deplorevole, anche quando è applicato a taluni elementi politici che io ho duramente combattuto nel passato. Non riesco a capire come questo sistema di umiliazione possa essere considerato rivoluzionario, tanto piú che gli esempi recenti mostrano come si sia voluto tentarlo contro compagni che non solo avevano dietro di sé un grande passato, ma che restavano preziosi per il futuro della rivoluzione. Ritengo che la maggioranza che offre prova della propria ortodossia è probabilmente formata di antichi oppositori già una volta umiliati. Questa mania di demolirci a vicenda deve cessare, se veramente vogliamo porre la nostra candidatura alla direzione della lotta rivoluzionaria del proletariato (cfr. « La Correspondance Internazionale », Vienne, 6ea., n. 36, 19 mars 1926, p. 343, e in « Annali », viii, cit., p. 517).
Risaltano la correttezza e l'onestà bordighiane nel tentativo di ridare respiro alla dialettica politica necessaria e vitale in un partito comunista rivoluzionario, insieme alla constatata impossibilità di mantenere quel minimo spazio che consenta a ogni opposizione di svolgere un ruolo appena significativo di stimolo e di confronto. Le critiche esplicite mosse alla pratica della bolscevizzazione — zinovievista prima, stalinista poi — e alla leadership del partito russo nel Komintern, nel momento in cui tali sistemi ottenevano le approvazioni pressoché generali dei gruppi dirigenti dei diversi partiti comunisti, meritano a Bordiga l'attenta considerazione di quanti ricercano origini e cause della degenerazione burocratica della autonoma iniziativa delle masse proletarie.
Dopo le condanne settarie caratteristiche del passato stalinista del movimento comunista italiano, ci si va convincendo, sia pure con lentezza e tra contraddizioni politico-ideologiche irrisolte, dell'impossibilità di dare una seria valutazione del complesso fenomeno che fu il bordighismo, se non si risalga alla formazione del socialista napoletano e non si riesamini il tipo di azione e di strumenti propagandistici e organizzativi con cui Bordiga diffonde principi di rigore classista e di netta differenziazione rispetto alle demagogiche enunciazioni del socialismo tradeunionista. Si tratta ora di verificare alla luce di questo approccio il significato e i limiti dell'esperienza bordighiana, al confronto con le contemporanee vicende del movimento rivoluzionario comunista internazionale e con l'elaborazione bolscevica le-niniana.
GIANCARLO BERGAMI
 
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Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 5 Giorno: 31
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Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3


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