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tipologia: Analitici; Id: 1543181


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Documento di Convegno
Titolo [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Togliatti, Il leninismo nel pensiero e nell'azione di A. Gramsci
Responsabilità
Togliatti, Palmiro+++
  • Ercoli ; Correnti, Mario ; ente ; ente
  autore+++    
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
Palmiro Togliatti
IL LENINISMO
NEL PENSIERO E NELL'AZIONE DI A. GRAMSCI
(Appunti)
1. — 11 tema di questa relazione è tale che richiede una trattazione per parecchi aspetti differente da quella degli altri temi del convegno. Studiare i1 rapporto di Gramsci col leninismo significa infatti fare oggetto di indagine non soltanto le posizioni da G. elaborate e sostenute nel dibattito filosofico e di dottrina, ma la sua attività pratica, come uomo politico, fondatore e dirigente del partito di avanguardia della classe operaia italiana. La mia opinione è che questo sia, perd, il solo modo giusto di avvicinarsi all'opera di Gramsci e penetrarne il significato. G. fu un teorico della politica, ma soprattutto fu un politico pratico, cioè un combattente. La sua concezione della politica rifugge sia dalla strumentalità, sia dall'astratto moralismo o dalla elaborazione dottrinale astratta. Fare della politica significa agire per trasformare il mondo. Nella politica è quindi contenuta tutta la filosofia reale di ognuno, nella politica sta la sostanza della storia e, per il singolo che è giunto alla coscienza critica della realtà e del compito che gli spetta nella lotta per trasformarla, sta anche la sostanza della sua vita morale. Nella politica è da ricercarsi la unità della vita di A. G.: il punto di partenza e il punto di arrivo. La ricerca, il lavoro, la lotta, il sacrificio sono momenti di questa unità.
Non vi pub esser dubbio che la politica, in questo modo intesa, collocata al vertice delle attività umane, acquista carattere di scienza. Non è piú momento passionale e non è piú meschina mostra di abilità; è risultato di approfondita ricerca delle condizioni in cui si muovono
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le società umane, i gruppi che le compongono e i singoli. Giunge a comprendere, e quindi a giustificare storicamente, tanto l'avanzata quanto la ritirata o l'arresto, tanto la vittoria quanto la sconfitta. Alla base di questa comprensione vi è una critica di se stessi e degli altri, che è momento di azione ulteriore.
Errato sarebbe ritenere che, cosí intesa, la politica possa chiudersi in un assieme di norme, buone per sempre e per ogni luogo. Mi sembrano quindi da criticare coloro che in questo modo trattano l'opera di Gramsci, e in particolare il contenuto dei Quaderni, sforzandosi di avvicinare artificiosamente una parte all'altra, quasi per ricavarne, se non un Vangelo, per lo meno un manuale del perfetto pensatore e uomo d'azione comunista. È certo che esiste un filo conduttore di questa opera, ma questo non si può trovare e non si trova se non nell'attività reale, che parte dai tempi della giovinezza e via via si sviluppa sino allo avvento del fascismo al potere, sino all'arresto e anche dopo.
Tutta l'opera scritta da Gramsci dovrebbe essere trattata partendo da quest'ultima considerazione, ma è compito che potrà essere assolto soltanto da chi sia tanto approfondito nella conoscenza dei momenti concreti della sua azione da riconoscere il modo come a questi momenti concreti aderisca ogni formulazione e affermazione generale di dottrina, e tanto imparziale da saper resistere alla tentazione di far prevalere false generalizzazioni dottrinarie al nesso evidente che unisce il pensiero ai fatti e movimenti reali.
Alcune tra le parti piú interessanti, ad esempio, delle sparse note raccolte col titolo di Passato e presente sono senz'altro da considerarsi pura elaborazione dei principii di strategia, di tattica e di organizzazione del partito della classe operaia affermati da Gramsci, negli anni dal 1922 in poi, in polemica e lotta contro le tendenze di infantile settarismo estremista che allora erano prevalenti nella direzione di questo partito in Italia. Tali le considerazioni sul rapporto tra spontaneità e direzione consapevole; sul centralismo organico, sul centralismo democratico e sulla disciplina; sul rapporto che passa tra il dirigere, l'organizzare e il comandare; sui rapporti tra la scienza militare e la scienza politica, e cosí via. Non escludo nemmeno che alcune di queste note — che del resto G. non sapeva se :e come avrebbero potuto giungere ai suoi compagni e allievi di un tempo — fossero dettate da preoccupazioni destate in lui da frammentarie notizie giuntegli circa
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l'orientamento e l'attività del partito comunista dopo il suo arresto, dal timore di un ritorno ai vecchi schemi settari. Al lettore attento non sarà sfuggito che, in alcuni luoghi, egli giunge sino a formulare consigli assai precisi circa il modo di organizzare l'azione direttiva del partito, di condurre l'agitazione e la propaganda, e persino circa le diverse sezioni in cui dovrebbe essere diviso un « Bollettino » che si preoccupi, spiegando la politica del partito, di mantenerne la continuità mediante la permanente valutazione critica del passato. Le note di Passato e presente sono del resto quasi tutte direttamente legate a quello che si potrebbe chiamare il commento politico corrente e attuale. Alcune di esse conservano il carattere dell'editoriale di un quotidiano che entri in polemica diretta con le correnti e con gli uomini che in quel momento sono attivi sulla scena nazionale.
Ma anche le altre parti dell'opera carceraria non si comprendono, nel loro aspetto politico, se non si restituisce loro l'attualità. Che cosa avveniva in Italia e nel mondo mentre G., nel carcere, meditava e scriveva? Si era passati — per usare la sua terminologia — dalla guerra manovrata alla guerra di posizione, dalla crisi drammatica del primo dopoguerra e dal primo vittorioso attacco rivoluzionario, ai tentativi di stabilizzazione dei regimi borghesi da una parte e alla costruzione di una società socialista dall'altra. La grande vittoria della Rivoluzione socialista dell'Ottobre 1917 era uscita dalle contraddizioni oggettive del mondo capitalistico, le quali continuavano a esistere e svilupparsi. Esse agivano però in altro modo, mentre era in atto lo sforzo borghese di restaurazione riformistica e la classe operaia, consolidato il suo potere nello Stato sovietico, tendeva, con un'azione molteplice, ad affermare la propria egemonia in una competizione che già era di portata mondiale. La guerra di posizione, cui si era in questo modo passata, era, secondo G., la fase decisiva della lotta, ma la fase .piú difficile. « La guerra di posizione domanda enormi sacrifizi a masse sterminate di popolazione; perciò è necessaria una concentrazione inaudita della egemonia e quindi una forma di governo piú " intervenzionista ", che più apertamente prenda l'offensiva contro gli oppositori e organizzi permanentemente l' " impossibilità" di disgregazione interna » j. A questa de-
P., p. 71.
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finizione generale del momento storico si collegano, se ben si riflette, tutte le analisi particolari, tanto sulla natura del potere in una società nuova, diretta dalla classe operaia, quanto sui diversi modi di conservazione e difesa del potere in una società in decadenza e sfacelo, diretta dalla borghesia capitalistica. La critica dei partiti politici e delle ideologie, e prima di tutto del crocianesimo in quanto forma di alleanza conservatrice a sostegno di un ordinamento reazionario, è parte integrante di queste analisi.
Né mi pare che questo richiamo alla attualità del pensiero politico di G. ne diminuisca il valore scientifico. La politica diventa scienza quando ha le sue fondamenta nella analisi concreta delle relazioni oggettive nei diversi gradi della struttura della società, del nesso tra queste relazioni oggettive e le formazioni ideali e organizzative sovra-strutturali e del movimento reciproco che tra le une e le altre si stabilisce e da cui esce il corso degli avvenimenti storici. Il vero contenuto di queste relazioni e di tutto il movimento non si rivela però che attraverso l'azione, nel contrasto tra le classi, nella lotta dei gruppi egemonici per mantenere la propria dittatura e delle classi rivoluzionarie per conquistare il potere, cioè per giungere a conquistarlo attraverso un sistema di alleanze politiche di cui sono le premesse nella struttura e nella storia di ogni società e per mantenerlo e consolidarlo attraverso la costruzione di una società nuova. La conoscenza scientifica alla quale l'opera di Gramsci ci richiama non è dunque quella di una scienza verso la quale si possa evadere, abbandonando o rinviando o guardando dall'alto in basso i compiti della lotta immediata, ma è integrazione e continuazione di un impegno politico che investe tutta la persona, le sue capacità, la sua libertà, la sua esistenza stessa.
Negli scritti carcerari non vi è dunque soltanto la eco delle lotte degli anni precedenti, o la riflessione distaccata sopra di esse, come a prima vista potrebbe sembrare, ma vi è una continuazione di queste lotte, con l'approfondimento di tutti i loro temi e con uno sviluppo di essi che tende a adeguarsi alle condizioni nuove. In questo modo il pensiero politico di Gramsci dà la prova della sua vitalità e verità. Non è legato a una piattaforma politica determinata, quale poteva essere quella su cui venne fondato, nel 1921, il partito comunista; non è legato nemmeno a una determinata serie di movimenti strategici e tattici, dettati da una situazione particolare. La sua verità sta nel metodo
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e il metodo è unito inseparabilmente al contenuto, perché è metodo marxista e leninista, cioè guida all'azione rivoluzionaria nelle condizioni in cui si compie il passaggio dal mondo borghese al mondo socialista. Di qui discende il suo legame col leninismo, che è la dottrina rivoluzionaria di questo passaggio.
2. — La ricerca filologica sulla conoscenza che G. ebbe delle opere di Lenin presenta alcune difficoltà. Non è sempre possibile, infatti, stabilire in modo preciso quando egli poté conoscere e studiare determinati scritti di Lenin e quindi quali di essi ebbero maggiore efficacia diretta su di lui nei singoli momenti.
Certo è che persino il nome del grande capo rivoluzionario russo era sconosciuto o quasi, nel movimento operaio, prima della prima guerra mondiale. Incominciò a essere conosciuto dopo l'incontro preliminare di Lugano del 1914 e dopo le conferenze internazionali di Zimmerwald (1915) e di Kienthal (1916). Neanche in quel momento, però,
e per un paio di anni dopo, non si ha notizia di scritti di Lenin tradotti o anche solo pervenuti in Italia nella loro integrità. Cominciarono invece a essere conosciuti estratti di suoi scritti nei corso del 1917, soprattutto per il tramite di riviste e giornali in lingua francese e di una rivista americana (il Liberator, diretto da Max Eastman). Da questa venne tratto e pubblicato nel 1919, a cura di Gramsci, un ampio studio su Lenin quale « Statista dell'ordine nuovo ». Il profilo di Lenin quale pensatore e uomo politico, che risulta da questo studio, è però parziale. I momenti piú importanti del pensiero, relativi all'analisi dell'imperialismo e quindi alla definizione del periodo storico e delle sue prospettive, sono trascurati, mentre l'attenzione è concentrata sulle caratteristiche originali del sistema sovietico e sul fondamento che esso ha nella sfera della produzione. Lo scritto infatti non è altro che riproduzione e commento di alcuni lavori di Lenin dedicati, dopo la rivoluzione e nei primi anni del potere sovietico, a sottolineare la decisiva importanza della costruzione economica e dello sviluppo della produzione per il consolidamento del potere dei Soviet. Nella capacità di affrontare e risolvere in modo nuovo, con la iniziativa delle masse, i problemi della economia è vista la superiorità e originalità del regime sovietico. Si ha qui senza dubbio un punto di riferimento di alcuni sviluppi ulteriori del pensiero
e dell'azione di G. nel periodo che si suol dire dell'Ordine Nuovo.
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Solo dal 1918 Lenin cominciò a essere conosciuto, tradotto, pubblicato, letto ampiamente, in Italia. Con prevalenza, però, degli scritti dedicati alla lotta immediata di quegli anni, contro il socialsciovinismo e il centrismo, per la creazione di partiti comunisti in tutti i paesi, per la fondazione e l'organizzazione della Internazionale comunista. Dei grandi lavori teorici, vengono allora conosciuti l'Imperialismo, Stato e rivoluzione, la Ripoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, le relazioni e le tesi per il I e per il II Congresso dell'Internazionale comunista, quindi l'Estremismo, e i discorsi al III Congresso, che ne sono quasi un commento. Meno noti Che fare?, Due tattiche e Un passo avanti e due indietro. Difficilissimi a trovare e quindi quasi sconosciuti Lo sviluppo del capitalismo in Russia e L'empiriocriticismo 1 . Si può ritenere che nel 1922, quando si recò nell'Unione sovietica, Gramsci già fosse a conoscenza di tutti questi scritti. Da essi risultavano le tesi fondamentali del leninismo, circa l'analisi dell'imperialismo e il carattere del periodo storico aperto dal passaggio a questa fase suprema della economia capitalistica, circa la natura dello Stato borghese e della dittatura proletaria, il carattere della Rivoluzione di Ottobre e dello Stato sovietico e circa le fondamentali questioni della strategia e tattica rivoluzionarie del partito della classe operaia.
Nel 1922, quando Gramsci giunse in Unione sovietica e vi risiedette alcuni mesi, si era tenuto da poco piú di un anno il X Congresso del PC russo (b), si era chiusa la discussione sui sindacati e si compiva il passaggio alla Nuova politica economica. Tappa assai importante in cui erano state trattate a fondo alcune questioni decisive per lo sviluppo della rivoluzione. Sono di questo periodo alcuni tra i lavori piú importanti di Lenin relativamente ai problemi della costruzione di una. economia e di una società socialiste. Nel dibattito sulla funzione dei sindacati egli aveva affrontato, in polemica con Trotzki, con Bukharin e con un gruppo di tendenza anarcosindacalista, la questione del rapporta tra la politica e la economia nella edificazione socialista. Aveva sostenuto che la politica non è che « espressione concentrata dell'economia ». È una tesi di importanza decisiva nella concezione leninista dello Stato..
1 Sconosciuto era l'importantissimo Che cosa sono gli amici del popolo?, anche in Russia ripubblicato solo nel 1923.
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Ne deriva, infatti che la classe operaia non può rimanere al potere e quindi non può adempiere al proprio compito nel campo produttivo (sviluppo delle forze di produzione) se non sulla base di una giusta posi--zione politica cioè sulla base di un giusto rapporto con gli altri gruppi della società. Di qui traeva origine la differenziazione tra la concezione leninista della costruzione socialista e le proposte che venivano da. Trotzki e che, trascurando il rapporto con le classi non proletarie, mettevano in forse le basi stesse della dittatura del proletariato.
A partire da quegli anni il contrasto tra il partito bolscevico e Trotzki si fece via via sempre piú profondo. Si venne infatti precisando,. a partire dal 1923-24, il tentativo, che già era in germe nelle precedenti discussioni, di scardinare tutta la formazione ideale e organizzativa del partito, quale era stata storicamente creata nelle lotte contro le correnti non leniniste. È quindi certo che in quel momento Gramsci acquistò una conoscenza piú profonda di queste lotte, facilitata dalla pub--blicazione della prima edizione degli scritti di Lenin, avvenuta in quegli anni, e dalla conoscenza della lingua russa. Nella corrente agitazione politica, subito dopo la rivoluzione, i nomi di Lenin e di Tro-tzki erano stati sempre uniti, ignorandosi la differenza e distanza enorme-che li aveva sempre separati, sia nel pensiero che nell'azione. Piero Gobetti, che aveva cercato di stabilire una distinzione, lo aveva fatto con grande superficialità, prescindendo dall'esame storico dei fatti e sbagliando, quindi, nelle conclusioni. Aveva concluso per presentare Tro--tzki come l'« europeo », mentre l'europeo, tra i due, era invece precisamente Lenin, la cui azione politica assumeva un valore universale, essendo valida per tutto il mondo contemporaneo. A Gramsci la differenza apparve cosí profonda che, per quanto gli fosse possibile occuparsene negli scritti carcerari, egli la inserisce in tutto il sistema del suo pensiero politico. Trotzki diventa « il teorico politico dell'attacco frontale in un periodo in cui esso è solo causa di disfatte » 1; le sue formule politiche mancano di aderenza « alla storia attuale, concreta, vivente », non scaturiscono « da tutti i pori della determinata società che occorreva trasformare »; il suo internazionalismo è una astrazione, che nega i necessari mezzi nazionali.
1 P., p. 71.
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Nel 1926, quando la lotta nel gruppo dirigente sovietico era giunta alla rottura, Gramsci fu bensí preoccupato delle eventuali ripercussioni negative che questa rottura avrebbe potuto avere nel movimento comunista internazionale, ma non manifestò alcun dubbio circa la giustezza della linea politica che la grande maggioranza del partito bolscevico sosteneva contro il piccolo gruppo degli oppositori. Vi è nei Quaderni una nota assai esplicita di adesione alla esposizione dei principii fondamentali del leninismo fatta da Stalin 1, e successivamente, quando la rottura si realizzò in pieno e la lotta di Trotzki contro il partito 'bolscevico si sviluppò su altri terreni, da Gramsci furono espressi contro di lui, nel carcere, i piú fieri giudizi di condanna.
Per quanto riguarda la volgarizzazione delle dottrine del materialismo dialettico dovuta a Bukharin e respinta da G. nelle Note critiche a un «Saggio popolare di sociologia », credo sia da escludere che G. abbia avuto conoscenza tanto delle note vivacemente critiche di Lenin allo scritto bukhariniano sulla Economia del periodo di transizione quanto dei Quaderni filosofici (pubblicati solo nel 1936), molti spunti dei quali sarebbero stati di grande aiuto per lo sviluppo di tutte le sue ricerche filosofiche. Non gli era invece certamente ignota la insistenza con la quale Lenin accusava Bukharin di non conoscere i1 ragionamento dialettico, ma soltanto la logica astratta.
Nel carcere non ci risulta che G. avesse a sua disposizione alcuna opera di Lenin, mentre era riuscito a procurarsi parecchi scritti di Marx e di Engels. I riferimenti alle opere di Lenin che si trovano nei Quaderni sono quindi fatti a memoria, oppure sono di seconda mano, tratti da citazioni di scritti leninisti in riviste e libri vari. L'acquisto di libri di Lenin non gli venne mai consentito dalla direzione carceraria.
3. — Da Gramsci venne immediatamente colto il primo, fondamentale elemento costitutivo del leninismo, che è la dottrina della rivoluzione, formulata da Lenin in modo tale da fare piazza pulita di tutte le pedanterie che i riformisti spacciavano per marxismo. La rivoluzione proletaria e socialista non avrebbe potuto compiersi, secondo costoro, se non in quei paesi e in quel momento in cui la economia
1 Mach., p. 114.
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capitalistica avesse toccato il piú elevato punto del suo sviluppo. Lenin respinge questa proposizione e apre a tutto il marxismo la strada di un nuovo sviluppo creativo affermando che condizione della rottura rivoluzionaria è lo sviluppo e lo scoppio delle contraddizioni del capitalismo giunto alla fase imperialistica. Questa tesi, che trovò la sua dimostrazione nell'Ottobre 1917, era, per i bolscevichi russi, il punto di arrivo di tutta la lotta politica e ideale da essi condotta, dall'inizio del secolo, contro l'autocrazia zarista e contro le diverse varianti dell'opportunismo nel movimento operaio. Per il rimanente movimento operaio e socialista fu una rivelazione, una scoperta di eccezionale portata, le cui conseguenze forse solo oggi possiamo valutare appieno. Si comprende ii grido quasi di liberazione che è nell'articolo scritto da Gramsci il 5 gennaio 1918 e che ha un titolo, senza dubbio errato, ma assai significativo: La rivoluzione contro il « Capitale », e intendeva dire non contro i fondamentali insegnamenti del marxismo che sono la lotta di classe e la necessità morfologica della rivoluzione proletaria, ma contro la degenerazione delle interpretazioni positivistiche del Capitale di Carlo Marx e del marxismo, contro il piatto economismo, contro la pedanteria dei riformisti, e contro le gherminelle ideologiche degli avversari.
Ciò che Lenin fece con la sua dottrina della rivoluzione, fu la restaurazione della dialettica rivoluzionaria, contro l'astratto argomentare formalistico dei pedanti, degli sciocchi e degli sviati. Non soltanto egli ne derivò la possibilità della vittoria della rivoluzione e della costruzione socialista in un paese non ancora giunto al piú alto livello dello sviluppo capitalistico; ma dette un solido fondamento alla ricerca e lotta che può e deve essere condotta per inserire nelle contraddizioni del regime borghese la lotta della classe operaia, in modo tale che apra una via rivoluzionaria, una via al socialismo, aderente alle condizioni di ogni paese. Lenin stesso ha parlato delle necessarie variazioni del corso della storia nei singoli paesi, nel quadro di una linea generale di sviluppo della storia mondiale, e ha lasciato prevedere, tra l'altro, quale ricchezza di nuove creazioni rivoluzionarie si sarebbe avuta quando fossero entrati nel corso della rivoluzione le grandi popolazioni del Continente asiatico. Questa è la scena politica mondiale del giorno d'oggi, in sostanza. Ciò non vuol dire, però, che anche al giorno d'oggi la pedanteria del riformismo e del feticismo economista non continui a manifestarsi. Essa alimenta, anzi, una parte considerevole della pole-
s.
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mica politica e della lotta di tendenze nel movimento operaio. Si può sostenere che ne faccia parte anche la attesa di una « rivoluzione » che dovrebbe uscire puramente dalla estensione dei processi automatici nella produzione industriale, e non dalle modificazioni dei rapporti di forza tra le classi, e che sono relative tanto a fatti organici isolati,. quanto a fatti di organizzazione, di coscienza e anche di congiuntura. Potrebbe essere ricordata, a questo proposito, in Gramsci, la polemica contro « la dottrina per cui lo svolgimento economico e storico viene fatto dipendere immediatamente da mutamenti di un qualche elemento importante della produzione, la scoperta di una nuova materia prima, di un nuovo combustibile, ecc., che portano con sé l'applicazione di nuovi metodi nella costruzione e nell'azionamento delle macchine » j. In questi casi dal materialismo storico si passa all'economismo storico, che non è piú la nostra dottrina.
Fanno parte, quindi, della grande corrente del pensiero politico leninista, da un lato la insistente polemica di Gramsci contro l'econo-mismo e Ì interpretazioni economistiche del marxismo, (essa è permanente in tutti i Quaderni), dall'altro lato la complessa indagine che fa scaturire le prospettive politiche e rivoluzionarie dalla analisi della struttura economica e dei reciproci suoi rapporti con la sovrastruttura ideale, sociale, politica. La guida delle conclusioni leniniste sulla natura dell'imperialismo fa superare a Gramsci il panto morto cui era giunta, all'inizio del secolo, l'indagine politica di Antonio Labriola e alla quale aveva corrisposto, in sostanza, la impossibilità del movimento operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall'estremismo verbale. La concezione leninista della rivoluzione e la successiva, sempre piú profonda, esperienza della strategia e della tattica leniniste lo illumina sempre meglio nella ricerca delle condizioni di sviluppo della rivoluzione in Italia. È questo il punto di partenza, tanto direttamente (negli scritti del 1919-26), quanto per via indiretta e per analogia (ricerche storiche dei Quaderni, nuove interpretazioni dei diversi periodi della storia italiana), di tutte le indicazioni di strategia e tattica politiche che sono la sostanza della azione e del pensiero di Gramsci, e principalmente delle sue conclusioni circa la struttura dell'Italia moderna e
1 Mach., p. 32.
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quindi sul sistema di alleanze politiche che dà al proletariato la possibilità di esercitare la sua funzione dirigente e giungere a conquistare il potere.
Nel campo del metodo, strettamente collegate con tutto il contenuto delle ricerche e delle conclusioni, mi sembra debbano essere qui sottolineate alcune grandi conquiste positive. La struttura economica, prima di tutto, non è mai considerata come quella misteriosa forza nascosta da cui dovrebbe meccanicamente scaturire tutto lo sviluppo delle situazioni. È considerata come una sfera dove agiscono forze naturali, ma agiscono anche forze umane, e sulla quale si esercita pure una efficacia delle sovrastrutture. Già in questa sfera, quindi, ha luogo uno sviluppo storico, che deve essere oggetto di una indagine scientifica la quale non può prescindere dai momenti sovrastrutturali. Analogamente le sovrastrutture politiche e ideali non sono un blocco, ma si distinguono per gradi diversi di reciproca autonomia, cosí come si distinguono momenti diversi della struttura. Indicazioni preziose di Lenin, che dovevano spingere alla ricerca metodologica in questa direzione, non si trovano soltanto nella grande polemica leninista circa la natura dello Stato, ma anche negli scritti ultimi, contemporanei o posteriori al passaggio alla Nuova politica economica, e relativi ai compiti della costruzione socialista, ai problemi, ai contrasti, alle difficoltà che sorgono nel corso di questa costruzione e alle funzioni dello Stato (e della politica) in questo nuovo periodo della storia.
Ci troviamo qui di fronte alla affermazione, che è a1 centro di tutto il pensiero di Gràmsci, della storicità assoluta della realtà sociale e politica, e alla definizione del marxismo, quindi, come storicismo assoluto, in quanto sola dottrina capace di guidare alla comprensione di tutto il movimento della storia e al dominio di questo movimento da parte degli uomini associati. In questo ambito vengono risolti i temi della libertà
e della necessità, viene elaborato un criterio per giudicare quali sono i problemi storicamente concreti, cioè tali che possono essere risolti con un rivolgimento delle strutture sociali e quelli che nell'ambito delle strutture esistenti ancora sono da risolversi, ma la cui soluzione prepara
e rende inevitabile il rivolgimento radicale. La ricerca del limite della iniziativa nella lotta per conoscere e trasformare il mondo assume anch'essa carattere di ricerca obiettiva, scientifica. Sono condannate le evasioni e i sogni, l'astratto proclamare che il mondo va in questa o
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quella direzione. Le prospettive debbono essere stabilite con una ricerca priva di passione. La realtà, il presente, diventa una cosa dura, su cui occorre violentemente attirare l'attenzione, se si vuole trasformarla. L'intelligenza è pessimista. L'ottimismo incomincia dalla volontà.
4. — Parte essenziale di tutta la dottrina leninista della rivoluzione
e del pensiero di Gramsci è, in questo quadro generale, la determinazione della nuova posizione che la classe operaia viene ad assumere, internazionalmente e in ogni paese, nel momento in cui si apre, per la stessa maturità oggettiva della struttura borghese del mondo (capitalismo, imperialismo, colonialismo), la fase del passaggio a una nuova struttura e a un nuovo ordinamento sociale. La classe operaia diventa classe nazionale, perché esistono le condizioni di un nuovo blocco storico, cioè di un nuovo rapporto tra la struttura e le sovrastrutture. Questo nuovo rapporto è reso necessario dallo sviluppo delle forze stesse della produzione e ha quindi inizio un movimento attraverso il quale la nuova classe viene organizzando la propria egemonia e il proprio avvento al potere.
Quale relazione si stabilisce, quindi, tra la situazione internazionale e i rapporti nazionali? Di grande importanza è la nota Internazionalismo
e politica nazionale'. Lo sviluppo è verso l'internazionalismo, ma il punto di partenza è nazionale ed è da questo punto di partenza che occorre prendere le mosse. La prospettiva è internazionale e non può essere che tale, ma « il rapporto " nazionale " è il risultato di una combinazione " originale " unica (in un certo senso) che in questa originalità
e unicità deve essere compresa e concepita se si vuole dominarla e dirigerla ». La classe operaia diventerà quindi classe dirigente solo « se interpreterà esattamente questa combinazione, di cui essa stessa è componente e in quanto tale appunto può dare al movimento un certo indirizzo in certe prospettive ».
Nei giudizi sulla Rivoluzione d'Ottobre e nella valutazione della geniale opera di Lenin come capo della classe operaia russa e del nuovo Stato proletario, Gramsci insisterà sempre, dai primi commenti, ancora per molti aspetti imprecisi e frammentari, sino alle ultime note dei
1 Mach., pp. 114-115.
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Quaderni, su questo momento. La realizzazione del primo Stato proletario, fatta da Lenin, è stato « un grande avvenimento metafisico » . Essa ha tradotto in pratica la filosofia, l'ha ridotta a « storia in atto », che è la sola filosofia 1. Essa ha trasformato le prospettive della storia mondiale. Ma essa è riuscita a fare tutto questo perché è stata il punto di arrivo necessario della storia nazionale del popolo russo; perché « i bolscevichi hanno dato forma statale alle esperienze storiche e sociali del proletariato russo, che sono le esperienze della classe operaia e contadina internazionale » 2. Lo Stato dei Soviet, negazione dialettica dell'ordinamento zarista, « dimostra... di •essere un momento fatale ed irrevocabile del processo fatale della civiltà umana, di essere il primo nucleo di una società nuova » 3.
La funzione nazionale della classe operaia si realizza nella posizione che questa classe occupa nella lotta immediata e nei rapporti con gli altri gruppi sociali, con quelli che apertamente combatte e con quelli dai quali vuole ottenere la collaborazione o la neutralità. Deve essere quindi superato ,il carattere corporativo che la latta di classe del proletariato ha nei primi stadi del suo sviluppo e deve esistere quella che correntemente oggi chiamiamo politica di alleanze. La ristrettezza corporativa è, per Gramsci, caratteristica e limite di tutti quei gruppi sociali che non sono capaci di adempiere una funzione nazionale, come la borghesia comunale nel Medio Evo, o vi riescono a stento, solo sfruttando circostanze esterne, ma senza fare opera di radicale rinnovamento, come le classi dirigenti italiane nel Risorgimento.
Nella pratica, come vennero attuati da Gramsci questi grandi principii direttivi? La politica di alleanze da lui elaborata e proposta, e che fa pernio sulla soluzione della questione meridionale attraverso la unità politica delle masse contadine e popolari meridionali con la classe operaia nella lotta contro il capitalismo e lo Stato borghese, è di diretta derivazione leninista, come tutto il modo di trattare la questione contadina. Non rimane qui traccia alcuna di ristretto strumentalismo corporativo, di puro appoggio reciproco tra due gruppi sociali allo scopo della realizzazione, da parte di ciascuno di essi, di un suo programma di riven-
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• dicazioni. L'alleanza esce dalla struttura di tutta la società italiana e crea le condizioni di un nuovo blocco storico dirigente. La formazione di una volontà collettiva nazionale-popolare è riconosciuta impossibile, « se le grandi masse dei contadini coltivatori non irrompono simultaneamente nella vita politica » 1. Viene cosí a essere corretta quella discordanza e persino mancanza di contemporaneità negli sviluppi del movimento operaio e di quello contadino che è denunciata nelle Tesi preparate da Gramsci per il Congresso di Lione del 1926, e che era la conseguenza di impreparazione politica del partito operaio.
Maggiore interesse, nei dibattiti del giorno d'oggi, sembra invece avere il punto, secondo noi invece meno importante e già chiarito piú di una volta, circa la funzione che alla classe operaia era attribuita nel movimento torinese dei Consigli di fabbrica. Priva di qualsiasi valore, indice soltanto di immediata ignoranza dei fatti, è la denuncia delle posizioni allora difese da Gramsci come posizioni sindacaliste. Dalla polemica di alcuni sindacalisti Gramsci poté derivare la critica della burocrazia sindacale, del suo chiuso corporativismo, del distacco dalla comprensione della sostanza dei problemi politici e prima di tutto del problema del potere. Tutto questo, però, vi è in Lenin assai piú nettamente che in tutta la letteratura sindacalista. Da Gramsci è, in pari tempo, energicamente sempre respinto il dilettantismo politico che predomina in questa letteratura. Il movimento dei Consigli di fabbrica fu, soprattutto al suo inizio, fino allo sciopero dell'aprile 1920 e anche dopo, strumento di lotta aperta contro la burocrazia sindacale riformista, di limitazione dei poteri di questa burocrazia e anche di rinnovamento delle direzioni sindacali. Gramsci insistette perd sempre anche nel sottolineare la differenza qualitativa tra il Consiglio di fabbrica e il Sindacato, e nella pratica la elezione del Consiglio da parte di tutti gli operai, e non solo degli organizzati, doveva rendere a tutti evidente questa differenza. Ma vi fu in Gramsci la tendenza, nel 1919-20, a ritenere che il Consiglio come tale, forma di organizzazione degli operai aderente in modo immediato al processo produttivo, contenesse in sé la soluzione del problema del potere, cioè della conquista di esso e della costruzione di un nuovo Stato? Credo che per sostenere questa tesi si possono allegare soltanto alcune proposizioni di scritti del 1919, ma staccandole
t. Mach., p. 7.
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dal contesto e soprattutto staccandole dalla comprensione della complessiva azione che Gramsci svolgeva in quel momento. Questa azione tendeva, essenzialmente e prima di tutto, ad affermare che la classe operaia, come gruppo sociale omogeneo, era in grado di fornire gli elementi necessari a superare la crisi, il disordine, il caos nei quali allora si dibatteva la società nazionale e quindi, come immediata e necessaria conseguenza, tendeva a dare agli operai di avanguardia la coscienza di questo fatto. Era indispensabile che la situazione venisse superata partendo del processo della produzione. Cosí fece del resto anche la classe borghese, che per prima cosa ristabilí nel campo della produzione, nelle fabbriche, il suo potere assoluto, servendosi a questo scopo del fascismo. Il proletariato doveva affermare il suo potere nella fabbrica, inserire una propria attività organizzata nei processo di sviluppo delle forze produttive, e in questo modo si sarebbe presentato a tutta la società come capace di instaurare il nuovo Stato. La prima forma di intervento nella vita produttiva sarebbe stato il controllo, e attorno al problema del controllo si sarebbe combattuta la battaglia decisiva per la conquista della maggioranza e la conquista del potere.
In che misura mancò, nella impostazione e nello sviluppo di questo movimento, l'elemento piú strettamente politico, che doveva portare all'azione generale diretta dal partito della classe operaia, aI confronto con gli altri partiti, all'urto con i poteri dello Stato? Mancò nella misura in cui tutto il movimento torinese del 1919-20 non riuscí a elevarsi sul piano nazionale, per i difetti che parecchie volte già sono stati indicati e che non credo siano da cercarsi nella impostazione generale, ma nei limiti, nelle ristrettezze della realizzazione su una scala che non fosse soltanto cittadina o regionale. Anche, del resto, il problema della alleanza tra le avanguardie operaie settentrionali e le grandi masse contadine meridionali, giustamente impostato da Gramsci sin da allora (si veda l'esempio, da lui citato, dell'azione verso i sardi della Brigata Sassari), non ebbe, attraverso l'azione svolta dal gruppo torinese, alcuna soluzione pratica di grande rilievo. Gli orientamenti errati, riformisti o massimalisti, del partito socialista, erano superati nella critica, non da un'azione di successo nazionale. Ma quello era allora il solo partito, cioè la sola organizzazione politica nazionale, che la classe operaia avesse a sua disposizione. Per questo il movimento torinese si concluse con
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l'affermazione della necessità che venisse creato un nuovo partito d'avanguardia del proletariato: il partito comunista.
La permanente polemica dei Quaderni contro qualsiasi forma di eco-nomismo dà il colpo di grazia alle errate interpretazioni o volute contraffazioni del pensiero di Gramsci circa il rapporto tra la posizione che la classe operaia ha nel processo della produzione e la sua azione politica. Anche nell'esame dei rapporti strutturali e dei rapporti di produzione, si devono introdurre le necessarie distinzioni. La forza di produzione, la tecnica, il lavoro sono concetti differenti e la differenza sta nella maggiore o minore presenza di elementi che già provengono dalla sovrastruttura. La classe, come tale, si ha ad. un livello .piú elevato, e una politica di classe non si ha se non interviene un elemento consapevole. Valga come esempio lo studio che Gramsci fa del fordismo, che parte dalle modificazioni della tecnica, ma è un tentativo di analisi della struttura sociale degli Stati Uniti d'America, in un momento del suo sviluppo.
5. -- Anche l'ampia, complessa e tormentata indagine sulla funzione degli intellettuali, impostata da Gramsci prima dell'arresto (e ciò risulta non solo dal ricordo di conversazioni con lui, ma dallo stesso scritto sulla Quistione meridionale) e condotta a fondo negli anni del carcere, ha un fondamento leninista, che non mi sembra sia stato sinora rilevato a sufficienza, ma deve esserlo, invece.
Né alludo al fatto che questa indagine fa parte delle analisi generali sulla struttura della società, quanto piuttosto alla dimostrazione storica e allo approfondimento della tesi dell'impegno politico e sociale (di classe) degli intellettuali, che è parte essenziale delle dottrine leniniste. Anche di questo impegno si può dare una interpretazione volgare, di tipo economistico, o persino ridurlo a questione di servizio e di stipendio. Anche questo aspetto esiste, ma è quasi sempre il piú facilmente riconoscibile e richiede uno studio particolare, da cui Gramsci non rifugge, quando è necessario, ma non confonde con le altre parti della sua ricerca. Né è a questo lato della questione che si riferisce la tesi di Lenin, come risulta anche solo dagli scritti da lui dedicati all'esame critico delle correnti intellettuali e letterarie del suo tempo. Il problema degli intellettuali e della loro funzione si pone invece su un piano analogo a quello della formazione delle •ideologie e delle sovrastrutture. L'errare dell'idealismo e della sociologia volgare sta nel considerare le ideologie
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come semplici strumenti di direzione politica, cioè, si potrebbe dire, « per i governati delle mere illusioni, un inganno subito..., per i gaver-nanti un inganno voluto e consapevole » 1. Le ideologie sono, invece, una realtà, parte integrante di tutto lo sviluppo sociale; sono la « vera » filosofia, perché « risulteranno essere quelle " volgarizzazioni " filosofiche che portano le masse all'azione concreta, alla trasformazione della realtà » Ogni ideologia è assieme caduca e storicamente valida. La caducità è espressione d'i un passato, ma è la lotta stessa delle classi lavoratrici che decide ciò che del passato deve essere distrutto. Dal seno, della ideologia, inoltre, sorge sempre una tendenza alla scienza, alla conquista di una verità assoluta, allo stesso modo che nel mondo delle sovrastrutture ideali è sempre presente, in ogni campo, la tendenza allo sviluppo autonomo e alla creazione. Se cosí non fosse, l'umanità non darebbe scienziati, pensatori, artisti, ma solo marionette; non si avrebbe progresso scientifico, non creazione di opere d'arte di valore universale, ecc. La superiorità del marxismo sta nel fatto che, essendo capace di fare questa analisi e queste distinzioni, pub diventare una vera scienza dello sviluppo storico delle società umane in tutti gli aspetti della loro vita.
L'analisi di Gramsci non riduce dunque la funzione degli intellettuali a una strumentalità o a un servizio, la studia nella sua realtà effettiva, facendo dell'impegno degli intellettuali un fatto della storia che l'azione umana tende a trasformare. Il terreno della cultura, sul quale sono attivi i gruppi intelleetuali, è teatro di una lotta continua, tra il vecchio e il nuovo, tra la conservazione e la rivoluzione. Gli intellettuali fanno parte di un blocco storico, sono fattore di unità della struttura e della sovrastruttura. Le crisi rivoluzionarie spezzano questo blocco storico. Anche la cultura, quindi, ha le sue crisi totali e l'avanzata, sulla base di una nuova struttura organica, di una nuova classe dirigente, postula una profonda riforma intellettuale e morale. La filosofia marxista è condizione e premessa di questa riforma. Essa dà agli intellettuali la consapevolezza della loro funzione; li rende fattori coscienti della evoluzione sociale.
6. — Punto di partenza e punto di arrivo di tutto il pensiero leninista è la dottrina del partito e, parallela .ad essa, la dottrina della ditta-
1 M. S., p. 236.
2 M. S., p. 217.
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tura della classe operaia, come condizione per la creazione di una società nuova: senza guida del partito non si giunge al potere e non si organizza il potere nuovo. La stessa necessità risulta da tutto il pensiero e da tutta l'azione di Gramsci. La fondazione e poi la direzione del partito comunista sono gli atti decisivi della sua .attività politica e della sua vita. Ad essi è legato il sacrificio della sua stessa esistenza. Alla dottrina del partito, intellettuale collettivo che dirige la lotta per la conquista del potere, e si serve del potere politico per organizzare una nuova società, mettono capo tutte le sue ricerche storiche, politiche, filosofiche. La grande sua originalità è di avere dato a questa dottrina una forma che la inserisce nella realtà italiana, ne fa im momento dello sviluppo delle dottrine politiche nel nostro paese, la collega ai punti cruciali della nostra storia, e di qui ricava una dimostrazione della sua verità che è di impressionante efficacia.
Questo non può però non essere il punto sul quale tutte le critiche, tutti gli attacchi, tutte le negazioni degli avversari concentrano i loro colpi, non rifuggendo, spesso, dalla volgarità di una agitazione non piú argomentata se non sulla base di contraffazioni evidenti. Ma di questo
non ci occuperemo. storia assai vecchia che alla concezione marxista della storia si può anche aprire uno spiraglio, accettarla come un metodo, una indagine sociologica sulla lotta delle classi, o simili, ma la si respinge quando si presenta o vuole essere riconosciuta come dottrina politica completa, cioè guida della azione rivoluzionaria. Dottrina del partito e della dittatura della classe operaia sono del resto elaborate dal marxismo nel modo logicamente piú aderente alla realtà.
Lenin elabora la dottrina del partito partendo principalmente dalle grandi esperienze della Rivoluzione francese e della storia rivoluzionaria dell'Ottocento, mentre la sua dottrina della dittatura è fondata sull'analisi del contenuto di classe dello Stato e quindi di tutta la ideologia borghese, che attribuisce un valore assoluto alle forme di organizzazione politica date allo Stato della borghesia.
ll nesso è evidente. La classe rivoluzionaria si organizza in partito per poter fare dello Stato uno strumento della propria azione rivoluzionaria e quindi per affermare la propria direzione su tutta la vita sociale. Ma lo Stato che essa crea è, nella storia, una formazione del tutto nuova, perché alla sua base vi è una struttura economica che sopprime lo sfruttamento e l'anarchia della produzione. Quindi in questo Stato il ter-
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mine stesso di democrazia assume un nuovo contenuto, perché vi è superata la contraddizione fondamentale di classe che è nella struttura borghese della società.
Il pensiero di Gramsci si muove, tanto prima dell'arresto quanto nei Quaderni, secondo questa grande linea. È quindi essenziale per lui la distinzione tra id concetto filosofico di libertà e le forme di governo e gli istituti politici concreti del liberalismo e della democrazia. Questo è anzi uno dei capitoli :piú efficaci della sua polemica. La libertà, in quanto iniziativa e attiva creazione umana, non è dote peculiare dei regimi borghesi. La storia è sempre storia della libertà. Il rivolgimento borghese è affermazione di libertà, ma già contiene in sé l'elemento negativo, cioè la cristallizzazione e poi la conservazione di istituti economici e politici in cui si attua il dominio borghese. Confondere il liberalismo, l'ordinamento democratico parlamentare, il sistema della divisione dei poteri, ecc. con la libertà filosofica è confondere la ideologia con la filosofia. La religione crociana della libertà diventa quindi un equivoco, una superstizione. Persino i clericali del resto, oggi, son diventati fautori di questa religione.
Tutta questa argomentazione si collega alle considerazioni sulla natura dell'uomo, considerato come un complesso di relazioni, che si estendono a tutti i campi della vita sociale e col loro intrecciarsi fissano i limiti della libertà umana. I1 dominio del mondo economico, che è il contenuto della società socialista, spezza il piú duro di questi limiti, quello che nega alla maggioranza degli uomini lo sviluppo pieno della loro persona e questo è un primo passa verso il mondo della libertà.
Ma l'avanzata in questa direzione è compito che non si pone e non si risolve se non attraverso un movimento, che parte dalle strutture, e in ciò si inserisce la formulazione e lo sviluppo di una volontà collettiva. La stessa predicazione della religione della libertà, che trasforma gli istituti del dominio borghese in forme assolute della libertà, è caratteristica di un'epoca, in cui nelle classi dirigenti si forma una coscienza critica, che prima non esisteva, della loro funzione storica 1. Ma della stessa epoca, e via via piú accentuata col procedere del tempo, è quella che Gramsci chiama « standardizzazione di grandi masse della popola-
T
1 M. S., p. 195.
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zione », che è poi un risveglio, un progresso delle menti che rende piú rapida la formazione di un movimento storico e di una volontà collettiva 1. Il regime dei partiti diventa una necessità della storia e l'affermarsi della classe operaia è affermarsi e avanzata del partita politico che la esprime.
Già per Hegel, il partito era una trama « privata » dello Stara, e questa concezione prevede lo Stato parlamentare 2. Il marxismo-leninismo non solo estende questa concezione, ma la rinnova. Dalla esperienza sia delle rivoluzioni borghesi, sia dello stesso parlamentarismo, deriva la nozione del partito come strumento del potere e per la conquista di esso. La classe borghese non si serve solo di questo strumento, che per essa è sussidiario, per attuare e mantenere il suo dominio. Questo parte dal mondo della produzione. Neanche la classe operaia, quando il capitalismo è giunto a un certo grado del suo sviluppo, si serve soltanto del partita politico per contrastare il dominio borghese e prepararne la caduta, anche perché si muove nell'ambito degli istituti borghesi. Il partito però diventa per essa lo strumento principale. La consapevolezza della propria funzione storica, trasformatrice del mondo e creatrice di libertà, tocca infatti nella classe operaia il punto piú alto, perché, col possesso della dottrina marxista, essa giunge a conoscere esattamente che cosa vi è, nelle creazioni dei precedenti rivolgimenti storici, di permanente e degno di essere conservato e che cosa invece è caduco, come puro strumento di un dominio di classe.
Vi è per Gramsci una differenza e quale, nello sviluppo di questi concetti, tra il termine di egemonia e quello di dittatura? Una differenza vi è, ma non di sostanza. Si può dire che il primo termine si riferisca in prevalenza ai rapporti che si stabiliscono nella società civile e quindi sia piú ampio del primo. Ma è da tenere presente che per lo stesso Gramsci la differenza tra società civile e società politica è soltanto metodologica, non organica. Ogni Stato è una dittatura, e ogni dittatura presuppone non solo il potere di una classe, ma un sistema di alleanze e di mediazioni, attraverso le quali si giunge al dominio di tutto il corpo sociale e del mondo stesso della cultura, cosí come ogni Stato è anche un organismo educativo della società, negli obiettivi delle classi
1 Mach., pp. 82-83.
2 Mach., p. 128.
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che dominano. La società politica può però assumere una forma di estremo rigore dittatoriale, quando, per i contrasti frastruttura e sovrastruttura, si crea un distacco tra la società civile e la società politica, o si apre, cioè, una delle grandi crisi rivoluzionarie della storia. Allora « si ha una forma estrema di società politica: o per lottare contro il nuovo e conservare il traballante rinsaldandolo coercitivamente, o come espressione del nuovo per spezzare le resistenze che incontra nello svilupparsi, ecc. » j. Questa osservazione, che sembra fatta di sfuggita, è invece tra le piú importanti. Da un lato ad essa si collega il giudizio sul carattere degli Stati borghesi, nella loro evoluzione, progresso e decadenza. Dall'altro lato essa apre la via allo studio delle diverse forme che la stessa dittatura della classe operaia assume nelle sue diverse fasi e può assumere in paesi diversi. È un nuovo capitolo del leninismo che si discute, quello alla cui elaborazione completa sta oggi lavorando il movimento operaio internazionale.
11 dominio politico della classe operaia tende a creare una società non piú divisa in classi, ma « regolata ». Ma che cosa vuol dire una società regolata e come si giunge ad essa? Occorreranno, dice Gramsci, parecchi secoli. Questo vuol dire che la conquista del potere e la creazione dello Stato socialista non portano alla risoluzione di tutte le contraddizioni. Anche al di fuori di quelle che sono legate al carattere parziale delle prime vittorie, altre ne sorgono e devono essere risolte. Uno dei cavalli di battaglia contro la concezione marxista del mondo e della storia era di chiedere come si concilia la nostra visione dialettica della realtà con la nostra lotta per una società regolata. Quale sviluppo dialettico ci potrà dunque essere in siffatta società? Al che Gramsci ci insegna a rispondere che il marxismo non è dottrina di profezie, ma dottrina della realtà. Noi conosciamo le contraddizioni del nostro mondo, che è il mondo diviso in classi e lottiamo per superare queste contraddizioni. Profezie sugli sviluppi delle società future, prive di classi, non spetta a noi farne. Ci spetta invece conoscere e lavorare per risolvere, con metodi nuovi, le contraddizioni che anche in questa prima fase delle società socialiste continuano a esistere. Non poteva essere compito di Gramsci addentrarsi in questo terreno.
i Mach., p. 161.
 
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  • Primo convegno Internazionale di Studi Gramsciani tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958
 
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