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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Come è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 522Analitici , di cui in selezione 21 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Franco Lucentini, La porta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...] ti crederai di avermi fatto l'elemosina, eh? Non ti credere
che ci ho bisogno dei soldi tuoi! Se me lo dicevi prima, che te ne an
davi, io avevo già trovato da affittare lo stanzino, avevo trovato! Ci
posso fare quattromila lire con lo stanzino... ».
Per strada pioveva. Camminavamo rasente al muro. Mia sorella
avanti, con la valigia piccola, io dietro.
« Almeno sei guarita bene? » dissi. « Se ti si complica, mentre stai
chiusa là dentro, come fai? ».
« No, ho fatto l'analisi » disse seguitando a camminare. « Dice che
sono guarita bene ».
Camminava svelta sui tacchi alti, saltando le pozzanghere. Ogni
tanto rallentava davanti a una vetrina.
« Penso se mi sono scordata di comprare niente » disse.
« Possiamo vedere quando stiamo là » dissi. « Caso mai te lo vado
a comprare io ».
« A proposito » dissi, « ti volevo comprare qualche cosa, ma questi
giorni ci ho avuto delle spese... così non ho potuto ».
« Qualche cosa? » disse Adriana. « Che cosa? Un regalo? ».
« Beh, si » dissi. « Ma sai, le spese... ».
« Che spese? » disse[...]

[...] se mi sono scordata di comprare niente » disse.
« Possiamo vedere quando stiamo là » dissi. « Caso mai te lo vado
a comprare io ».
« A proposito » dissi, « ti volevo comprare qualche cosa, ma questi
giorni ci ho avuto delle spese... così non ho potuto ».
« Qualche cosa? » disse Adriana. « Che cosa? Un regalo? ».
« Beh, si » dissi. « Ma sai, le spese... ».
« Che spese? » disse. « Mi pare che é da parecchio che stai senza
soldi ».
« Beh, come ti pare » dissi. « Comunque bene o male tiro avanti,
non ti preoccupare ».
«Franco» disse.
Le caddi quasi addosso, inciampando nella valigia, perché s'era fer
mata all'improvviso.
« Ci prendiamo un caffè? » disse. « Aspettiamo dentro che spiove ».
Entrammo in una latteria vicino al Pantheon. Dentro c'erano un
82 FRANCO LUCENTINI
altro paio di coppie; gli uomini guardarono Adriana, mentre si toglieva l'impermeabile. Era bionda e portava un bel vestito elegante. Ordinai due cappuccini.
« Senti » disse mia sorella, « non ti potrei aiutare? Soldi non ce n'ho, lo sai, ma tutta quella roba[...]

[...]orella, « non ti potrei aiutare? Soldi non ce n'ho, lo sai, ma tutta quella roba che ho messo da parte ne ' potrei vendere un po'. Vuol dire che invece di durare tre anni durerà due, oppure me la faccio bastare lo stesso per tre, insomma si pub vedere. Di? ».
« No » dissi, « te l'ho detto. Io, questo progetto tuo dei tre anni là dentro, non so se sia buono e nemmeno l'ho capito bene; ma se ci hai penato tanto per metterlo su è meglio che lo fai come hai deciso, oppure( cambialo e stacci dieci anni, stacci un anno solo, non ci stare per niente, ma io non ti voglio levare niente. Io poi mi posso sempre arrangiare magnificamente, una che mi mantiene la trovo sempre, senza che devo venirti a levare la roba a te ».
Non avevo pensato che lei avrebbe tirato fuori quell'altro argomento, ma mi accorsi subito, dalla faccia, che stava per farlo.
« Ha spiovuto » dissi in fretta, « vogliamo andare? ».
« Aspetta » disse. « Senti ».
« Sento » dissi scocciato.
Senti » disse. «Quando devi fare il mantenuto di una di quelle vecchie... Dico, quando ti[...]

[...]e parliamo più. Non è meglio? ».
« Va bene » disse.
« Amore mio » disse.
Pioveva ancora, ma più piano. La casa era poco dopo il Pantheon, ci arrivammo in pochi minuti.
« Non c'è portiere » disse mia sorella. « È uno strazio di meno. La porta sta nel secondo cortile ».
Nel secondo cortile c'era quella porta sola, e i muri erano senza finestre. C'erano solo, uno per piano, dei finestrini che dovevano essere quelli dei cessi.
« L'ho affittata come magazzino » disse, cercando le chiavi nella borsetta. « Ho pagato tutto anticipato. Credi che verranno mai a scocciare? ».
« E che ne sanno che ci stai tu dentro? » dissi.
La porta era di legno erto, ferrata. Mia sorella richiuse a chiave e mise il catenaccio. Restammo nel buio sull'orlo della scala.
«Non c'è luce? » dissi.
« No » disse Adriana. « Giú ci ho un lume a petrolio, ma per la scala a che servirebbe? Accendi un fiammifero ».
La scala andava giù dritta per una ventina di scalini, poi voltava a sinistra. Dovemmo accendere una dozzina di fiammiferi prima di arrivare in fondo.
«Ch[...]

[...]i casse. In fondo, dietro un grande tavolo messo di traversa, si vedevano confusamente altri mobili. Il pavimento fino a un certo punto era di terra battuta, poi, dal; tavolo fino alla parete di fondo, di cemento.
« Il cemento ce l'ho fatto mettere io » disse mia sorella accendendo il lume sul tavolo. « Ho fatto dare una pulita ai muri e aggiustare
84 FRANCO LUCENTINI
l'impianto dell'acqua. Non m'é costato molto. Tutto il resto l'ho lasciato
come stava. I mobili li ho comprati usati ».
I mobili erano il tavolo, due sedie, un letto accostato alla parete di
fondo e un armadio a specchio. Al muro c'era qualche mensola, con un
fornello a benzina, delle stoviglie, un ferro da stiro.
«Mica male» dissi.
« Pere)» dissi, « almeno sul letto, invece di una coperta americana
ce ne potevi mettere una damascata. Rossa o azzurra. Tutte le donne
ce l'hanno ».
« Tutte le puttane, vuoi dire » rise mia sorella. « Ma io tanto ci devo
dormire sola ».
Oltre alla coperta del letto, tutta la roba che c'era li dentro era
americana, comprese le latt[...]

[...]carine, col
tacco alto ».
Poi disse: « Credi che di sopra mi diverto? ».
Le presi le pantofole, mi sedetti anche io sul letto.
« Non so » dissi. « Io qualche volta mi diverto abbastanza ».
LA PORTA 85
« Con quelle vecchie? » disse mia sorella.
« No » dissi. « Con le vecchie no. Ma mi piace camminare, andare attorno ».
« Beh » disse, « io credo di essere andata attorno abbastanza. Adesso mi piace stare qui. Un'altra, a forza di scocciarsi come mi scocciavo io, magari si sarebbe ammazzata. Io ho preso questa via di mezzo. Poi forse mi tornerà la voglia di andare attorno. In tre anni mi può bene tornare ».
«In ogni modo» dissi, «puoi sempre uscire prima. A un certo punto, se non ti va più, non ti sforzare ».
Mia sorella rise, poi diventò seria. Poi rise ancora.
« Senti » disse, « se mi ammazzavo, non l'avrei fatto col permanganato. Lo sai come succede. Dopo uno s'affaccia alla finestra, strilla: "Ho preso il permanganato, la varecchina", gli fanno la lavanda gastrica. Mica decoroso. Così, qui é lo stesso. Non é che dopo una settimana, un mese, posso riuscire fuori, tornare tra quelli di sopra: "Rieccomi qua". Qui se ci sto é perché ci devo stare, perché mi tocca starci, perché non potrò uscire. Capisci? ».
« Non tanto » dissi. « Perché non potrai uscire? ».
Cominciò a sfilarsi l'altra calza.
« Perché là in fondo, vedi? » disse indicando il vano della scala, dall'altra parte della cantina. « Là c'é un'altra porta, come quella che[...]

[...]coroso. Così, qui é lo stesso. Non é che dopo una settimana, un mese, posso riuscire fuori, tornare tra quelli di sopra: "Rieccomi qua". Qui se ci sto é perché ci devo stare, perché mi tocca starci, perché non potrò uscire. Capisci? ».
« Non tanto » dissi. « Perché non potrai uscire? ».
Cominciò a sfilarsi l'altra calza.
« Perché là in fondo, vedi? » disse indicando il vano della scala, dall'altra parte della cantina. « Là c'é un'altra porta, come quella che dà sul cortile, e chiude la scala in basso. Si pub chiudere a chiave anche quella. Quando saranno chiuse tutte e due potrò pure urlare, nessuno sentirà ».
Mi alzai e sollevai il lume, guardando verso la scala. Si vedevano i grossi cardini della porta; il battente era ribattuto contro il muro, sul pianerottolo buio. Cominciai a capire.
«La chiave che apre la porta di sopra, apre anche quella? » dissi. « Sì » disse.
« E ce n'é una sola? ».
« Si » disse.
«E chi la terrà? ».
« Tu » disse. «Per tre anni. Non importa che siano tre anni precisi. Mese piú, mese meno. Tre anni circa. [...]

[...] dette un bacio sulla faccia.
«Tu sei sempre acuto» disse ridendo, «capisci tutto. Ma pensi sempre troppo a te, sei un pochetto presuntuoso, e allora qualche volta capisci tutto, ma non capisci il resto ».
« Che vuoi dire? » dissi smontato. Lei rideva, era molto bella, e si vedeva chiaro che in quel momenta se ne fregava di me, ci aveva qualche altra cosa che l'interessava. Non era la prima volta che ci facevo una figura così con una donna.
« Come sei caro! » disse tenendomi abbracciato. « Come , ti voglio bene! ».
« Adesso ti spiego » disse. « Tu hai capito bene, hai capita che non bastava. Non ti sbagli mai, tu! È vero che ci ho la grande passione, la grande speranza. Ma non sei tu. Pianterei ancora tutto, per te, ma quello che aspetto qui dentro non sei tu. Io pure, la commedia me la faccio da sola, non credere che sono tanto cretina. Anzi me la volevo fare tanto da sola che non volevo nemmeno starti a spiegare, perché tu non credessi che ti ci volevo tirare dentro ».
«Vedi come ti sei sbagliato? E perché non mi vuoi bene! » disse baciandomi di nuovo. « È vero pure che non lo s[...]

[...]isse. « Tu hai capito bene, hai capita che non bastava. Non ti sbagli mai, tu! È vero che ci ho la grande passione, la grande speranza. Ma non sei tu. Pianterei ancora tutto, per te, ma quello che aspetto qui dentro non sei tu. Io pure, la commedia me la faccio da sola, non credere che sono tanto cretina. Anzi me la volevo fare tanto da sola che non volevo nemmeno starti a spiegare, perché tu non credessi che ti ci volevo tirare dentro ».
«Vedi come ti sei sbagliato? E perché non mi vuoi bene! » disse baciandomi di nuovo. « È vero pure che non lo sapevi, tu, che qui c'è un'altra porta ».
Avevo i capelli di lei sulla faccia, brillavano alla luce del lume. « Che porta? » dissi di soprassalto.
« Quella lá » disse.
Si staccò da me e girò intorno al tavolo, andò in mezzo alla cantina.
« Questa » disse.
ß8 FRANCO LUCENTINI
A meta del muro di sinistra, da dove stavo io, si vedevano delle macchie scure che prima non avevo visto. Ma non sembrava una porta. Presi il lume e mi volevo avvicinare.
« No » strillò. « Il lume lascialo la ».
Lasc[...]

[...]n avevo visto. Ma non sembrava una porta. Presi il lume e mi volevo avvicinare.
« No » strillò. « Il lume lascialo la ».
Lasciai il lume e mi avvicinai.
« Che cos'è? » dissi.
Dietro quattro tavole, inchiodate al muro di traverso, si vedeva il vano nero di una porta. La voce risuonava forte davanti a quel vuoto. « Che cosa c'è, la dietro? » dissi.
« Non son disse mia sorella. « Quando presi la cantina mi dissero che li sotto non si può usare come magazzino, è troppo umido. Pare che sia uno scantinato, ma non sta nella costruzione; le fondamenta finiscono qui ».
« E dove porta? » dissi. « C'è un'altra uscita, li sotto? ».
« No » disse. « È scavato dentro la terra, non ci sono uscite. Non so quanto è grande, perché non ci sono mai scesa. Non so altro. Adesso mi dovresti schiodare queste tavole ».
Stetti un momento a pensare che altro ci poteva essere sotto quella storia: ero ancora sospettoso, anzi più sospettoso di prima, dopo che lei era riuscita a smontarmi. Poi ci rinunciai. Accostai alla porta una cassa di latte in scatola e ci [...]

[...]rimasta sola, seduta davanti al tavolo, aspettando.
Tornò con un coltello da cucina a un apriscatole.
«Puoi fare con uno di questi? » disse.
Presi il coltello ma non era forte abbastanza, si piegava.
« Dammi quell'altro » dissi.
Lei mi tese l'apriscatole, alzandosi sulla punta dei piedi. Nell'ombra, sembrava ancora piú morbida, con la sua faccia chiara e i capelli sciolti sulle spalle. Il lume brillava in fondo alla cantina.
LA PORTA 89
« Come sei elegante » dissi. « Come sei bella ».
« Che ti prende? » rise.
L'apriscatole non era molto adatto, ma riuscii lo stesso a schiodare
la tavola in alto. Le altre vennero via facilmente. Scesi dada cassa per
schiodare l'ultima.
Dalla porta veniva un odore di muffa. Una scala di legno, senza
ringhiera, portava in basso; si vedevano i primi gradini.
« Questo legno dev'essere fradicio» dissi. « Non possiamo mica scen
dere. Qui si rompe, caschiamo di sotto ».
« Ma mica dobbiamo scendere » disse mia sorella.
Rimasi fermo, con l'apriscatole in mano, a guardarla.
« Ma che vuoi fare? » dissi. « Ci vuoi scendere dopo[...]

[...]rnai ad appoggiarmi al tavolo.
Fumò senza parlare. Restò a guardare il soffitto.
« Tu lo sai il sentimento che ci ho per .te » disse.
« Si » dissi. « Non é una cosa nuova ».
E non è solo_ quello » disse. c< Ci sono altre cose, che sento. Un mucchio di cose, non ti saprei dire precisamente. Se fosse diverso, se fosse una vita diversa, sono cose che si potrebbero ordinare... ci potremmo fare una figura decente, pulita. Ma c'é andata male. Così come stiamo, tutte queste cose... fanno solo un vomitò, in gola. Così come stiamo, tutto sarebbe megliq di questo vomito, di questo disordine. Se ci fosse una cosa sola, qualunque cosa, che mandasse via tutto il resto, che non desse tempo di sentire niente altro, che spazzasse via tutto... ».
« La grande passione » dissi.
« Che ci vuoi fare » disse. « Sono una povera puttana, no? ».
Si girò sul letto per schiacciare la sigaretta nel portacenere, sullo sgabello accanto a lei. Mi sorrise con un sorriso sforzato, sembrò che volesse cambiare argomento.
« Lo sai che sono abbastanza paurosa » disse. cc Non credi che potrei avere paura, qui dentro? ».
« Ma certo » dis[...]

[...]oi la lasciò.
«Non credi che ce ne sia abbastanza di sopra, di paura? » dissi.
« Ma é sporca » disse. « È diversa. Quella che aspetto qui é un'altra ».
Lei aspettava la paura bianca, assoluta. Ce l'aveva già sulla pelle.
«Non so che dire » dissi. « Per il gusto mio é un po' forte. Mi sem
bra pure un po' inutile. Non capisco che cosa speri».
« Spero una cosa » disse. « Aspetto qualche cosa ».
« Ma che cosa? » dissi.
« Qualcuno » disse.
« Come? ».
« Aspetto qualcuno » disse.
« Ma tu mi vuoi fare diventare scemo » dissi. « Che é adesso que
sta novità? Chi aspetti? ».
« Oddìo » si lamentò, « non ti posso spiegare, non te lo so spiegare.
Sono così stanca. Stanotte non ho dormito per niente. Vorrei dormire ».
«Oh! e dormi! » dissi. «Mettiti a letto e fatti una bella dormita.
Dopo discorriamo ».
« Perché vedi» disse, « io credo che lá sotto... ».
(( Niente, niente» dissi, «adesso non voglio sapere niente. Mettiti
a letto e dormi. Ci abbiamo tutto il tempo per discorrere dopo. Va be
ne? Ti metti a letto? ».
«Va bene» sorrise,[...]

[...]! e dormi! » dissi. «Mettiti a letto e fatti una bella dormita.
Dopo discorriamo ».
« Perché vedi» disse, « io credo che lá sotto... ».
(( Niente, niente» dissi, «adesso non voglio sapere niente. Mettiti
a letto e dormi. Ci abbiamo tutto il tempo per discorrere dopo. Va be
ne? Ti metti a letto? ».
«Va bene» sorrise, sollevandosi sui gomiti. «Mi fai alzare? ».
Mi tolsi dal letto perché potesse mettere giù le gambe, l'aiutai ad
alzarsi.
« Come sono stanca! » disse, cominciando a spogliarsi. Sistemò la
giacca e la camicetta sulla sedia, con cura. La sottana e le calze le mise
ripiegate sulla spalliera del letto.
« Mi dài la camicia? » disse. « Sta nell'armadio, in basso ».
Stava per togliersi la biancheria, poi mi guardò. Prese la camicia e
andò dietro la tenda.
92 FRANCO LUCENTINI
La sentivo muovere i barattoli della cipria, della crema per la notte.
Mise fuori un braccio perché le dessi un asciugamano, che stava nell'ar
madio. Poi volle il pettine, che stava nella borsa.
Mi sedetti sul tavolo, aspettando.
« Ah! » strill[...]

[...]derlo alla farmacia notturna » disse. « Io intanto vado
a letto. Tu puoi stare fuori, mentre io dormo, puoi andare a un caffè.
Dormirò un paio d'ore ».
« Oppure...» disse. « Se vuoi che t'aspetto alzata... Tu torni subito
e ci salutiamo, non ne parliamo piú... Ne riparleremo quando tornerai,
tra.., tre anni ».
« Ma tu sei scema» dissi. « Mettiti a letto. Torno tra un quarto
d'ora, tu vedi di dormire subito ».
« Comprane dieci » disse.
« Come dieci? ».
«Eh...! ».
« Ah » dissi.
Si infilò sotto le coperte, con la faccia verso il muro.
« Ciao » dissi carezzandola. « Dormi ».
« Ciao ».
Per la scala mi accorsi di avere finito i fiammiferi. Tornai indietro
e cercai di ritrovare la cassetta dei « Safety Matches » che avevo visto
prima. Mia sorella pareva che giá dormisse. Presi i fiammiferi e tornai
su, aprii la porta. Attaccata alla chiave della porta c'era un'altra chiave,
che doveva essere quella del portone. La provai nel portone prima di
uscire, perché era chiuso. Andava bene.
« Che, sa una farmacia notturna qui vicino? [...]

[...]con si e no tre metri di lato, completamente vuoto. Le pareti erano senza rientranze né aperture, il fondo era di fango e pietre coperte di muffa.
Per urlo scrupolo andai attorno lungo le pareti, accendendo altri fiammiferi; guardai un'altra volta per terra e negli angoli. Poi risalii, badando a non fare rumore. Rientrando chiamai: «Adriana! », perché non s'impaurisse.
94 FRANCO LUCENTINI
Non rispose. Quando fui vicino vidi che dormiva sempre come prima, col respiro appena più pesante. Mi sedetti accanto al letto, aspettando che si svegliasse; poi mi alzai un'altra volta e andai a guardare dietro la tenda, girai un po' per la cantina, guardando i pacchi e le casse. Una cassa era aperta e mezza piena di riviste americane e romanzi; presi una rivista e tornai a sedermi accanto al letto. In quel momento Adriana aprì gli occhi, mi guardò, fece un grande urlo. Saltai sul letto, prendendola per le braccia.
« Adriana » strillai, « amore mio, che c'é, che é stato? Che hai? Tesoro, che hai? Sono io! Di che hai avuto paura? Che hai visto? Non a[...]

[...]ta che facevamo tutti. Le tenni la mano stretta, senza parlare, mentre lei tremava sempre più piano.
Alla fine si calmò, girò la testa e mi guardò, sorrise.
« Povera me » disse, .« quanto sono stupida. Che sorella stupida che ci hai ».
LA PORTA 95
«Non sei stupida » dissi. « Sei un amore. A tutti gli può succedere
di credersi chi sa che, di volere fare chi sa che, e poi dopo si vede
che non si può fare, che non gli si fa, che é meglio fare come tutti.
Anche a te ti può succedere, hai visto? Queste non sono cose per te...
Tu sei piccola... carina... ».
Si mise a ridere.
« Non sono mica piccola. Sono alta » disse.
« Va bene » dissi, « sei alta. Ma adesso ce ne andiamo via, torniamo
a casa. Tutta questa roba la vendiamo e ti prendi una casetta in cam
pagna. Ti piacerebbe, no? E il sogno di tutte le... di tutte le ragazze
di farsi la casetta in campagna, e tu invece viene qui a farti questi
sognacci ».
Rise e mi carezzò la faccia.
« Che amore che sei! » disse.
« Ma che t'eri sognata? » dissi.
Ricominciò a tremare, ma si cal[...]

[...]o che... T'ho detto, prima, che aspettavo
qualcuno... Qualcuno che deve entrare...».
« Qualcuno che deve entrare da quella porta? » dissi.
(' Si » disse.
« Ma se là sotto è chiuso » dissi, « se è tutto chiuso. Non l'hai detto
tu che é chiuso? ».
« Si » disse.
« E allora, se é chiuso, chi deve venire! O forse credi che ci sia
già? È qualcuno che ci sta già, là sotto? ».
« Non so » disse. « Non credo che ci sia già ».
« Ma allora chi è? Come può venire? E un mostro? ».
« Si » disse. « Così. Più o meno. Sai, in tre anni, credo che mi
verrà una paura così grande... aspetterò così forte... che qualcuno dovrà
venire, anche se non c'è nessuno, adesso ».
« Uh » dissi baciandola, « scema! ».
« Cosi » dissi, « quando torno, ti trovo a letto con un orribile mo
stro, e magari madre di qualche mostricciattolo ».
Mi guardò ridendo.
96
FRANCO LUCENTINI

« Tu sei sempre cosh » rise. « Con te non si pub parlare. Perché poi dovrebbe essere orribile? Potrebbe essere un bellissimo giovane! ». Giusto » dissi. « Ma allora a che ti s[...]

[...] Lei . se ne accorse e non rise piú. Voltò piano la faccia in sú, con gli occhi azzurri spalancati, guardandomi senza espressione. Respirava appena, con la bocca sotto la mia.
Bestemmiai e mi volli alzare, ma non mi potevo muovere.
H.
Fuori doveva essere giorno, a momenti. Il lume s'era quasi spento.
«Franco, dormi? » disse.
Guardavo il soffito, che non si vedeva quasi piú, le ombre radu
nate agli angoli. Lo specchio dell'armadio luccicava come gli specchi
delle camere mobiliate, la sera, tra gli ultimi sospiri e le lenzuola spie
gazzate, col sudore addosso freddato.
« No » dissi.
« Non avere paura » disse.
« No. Di che? ».
« Che io adesso mi credo... pretendo... ».
« Non ho paura » dissi.
« Vuoi andare via subito? ».
« Non lo so ».
S'era aspettata quella risposta, ma incassò male lo stesso. La sentii
che s'aggrappava alla coperta, all'improvviso. Poi restò ferma, supina.
« Tu lo capisci » disse, « che io adesso devo restare qui? E chia
ro... adesso? ».
« Non lo so » dissi.
«Tu che farai? ».
« Ma, il solito, credo ».[...]

[...]« che io adesso devo restare qui? E chia
ro... adesso? ».
« Non lo so » dissi.
«Tu che farai? ».
« Ma, il solito, credo ».
Restammo un'altra volta in silenzio, a lungo. Il lume si spese del
tutto.
LA PORTA 97
Ricominciò a parlare, ma non parlava a me.
« Non avrò paura subito » disse. « Adesso ci avrò questo da pensare. Per parecchio tempo. Dopo comincerò a stare sveglia, a guardare la porta, il buio dietro la porta, aspettando. Ma non é come t'ho detto. Forse non è come t'ho detto. Non so che cosa aspetto. Ma aspetto che tutto questo si rompa. Qualunque cosa. Un urlo, una crepa, qualche cosa. Qualcuno. Una crepa, alla fine una crepa della terra, lá sotto. È tutta la vita, tutti questi anni, che l'aspetto. Ma fuori non c'è tempo di starci a pensare, no? Fuori ci abbiamo il tempo di farci delle speranze, alte speranze, e allora si ricomincia, non succede niente. Non si arriva mai avanti abbastanza, fuori... Ci abbiamo sempre qualche bella pensata, qualche bella consolazione, e allora non ci abbiamo piú voglia abbastanza di uscire, eh? La porta resta chiusa ». [...]

[...].
Scaldò una tazza di latte per sé, ne bevve meta.
« Andiamo » disse. « Ti accompagno ».
In mezzo alla cantina si fermò, prese di tasca qualche cosa.
« Le chiavi » disse. « Non me le vuoi tenere? ».
Non le risposi. Guardavo il muro, di sbieco. Dovevo averci una faccia astiosa, invelenita per la noia e il sonno.
Senza più guardarmi si avvicinò alla porta del sotterraneo, fece per buttare le chiavi la in fondo.
« Aspetta! » strillai. « E io come esco? ».
Rimase ferma, col braccio piegato. Lentamente, con una smorfia avvilita, arrossi. Fino al collo e ai capelli.
« Che stupida! » disse. « Dio, che stupida. Come non ci pensavo! ». « Ce le puoi buttare dopo » dissi imbarazzato, mentre salivamo le scale.
Ma non sarebbe stato lo stesso, come se ce le avesse buttate davanti a me. Anche l'ultima scena, una scena innocente, le era andata male. Ci aveva fatto un'altra figura da stupida, per giunta, davanti a me.
Se la pieta che ci avevo per lei fosse stata un po' più grande, appena, di quella che ci avevo per me, allora qualche cosa, forse, si sarebbe potuta davvero rompere... Io l'avrei potuta spaccare, per lei e per me. Ma per un'altra pieta non c'era posto. Ci fu solo un momento, all'ultimo, mentre stava per richiudere la porta. Pensai a tutto il tempo di paura che l'aspettava, fino a quando sarebbe scesa per la scala di legno, p[...]

[...]ualche cosa, forse, si sarebbe potuta davvero rompere... Io l'avrei potuta spaccare, per lei e per me. Ma per un'altra pieta non c'era posto. Ci fu solo un momento, all'ultimo, mentre stava per richiudere la porta. Pensai a tutto il tempo di paura che l'aspettava, fino a quando sarebbe scesa per la scala di legno, per riprendere la chiave... E poi a quando sarebbe risalita, a quando si sarebbe ritrovata un'altra volta nella luce grigia di sopra, come adesso mi trovavo io... Volevo prenderla per la mano, dire, ma non mi mossi. Davanti alla porta richiusa, restai a sentire i passi . che scendevano.
Tornai al Caffè Notturno. Ma anche gli altri caffè, ormai, stavano aprendo.
« Mi fa un caffè doppio » dissi.
a Corretto? »..
LA PORTA
99

« Si » dissi. « Mistrá ».
C'era un tizio, all'altro capo del banco, che mi guardava. Mi venne
vicino, mettendosi tra me e la porta.
«A te non ti avevamo detto di sgombrare?» disse.
Ci avevo talmente sonno che non capii subito.
« A me? » dissi. « Ma tu chi sei, che vai cercando? ».
« Andiamo »[...]

[...]oi provare a
tornare, sempre a disposizione ».
Si voltò al poliziotto che m'aveva accompagnato.
« Questo resta a disposizione per gli accertamenti » disse.
Gli accertamenti cominciarono il pomeriggio; li faceva un com
missariocapo.
« Tu lo sai che stanotte hanno ammazzato uno? » disse.
M'ero immaginato una cosa del genere; se no, non ci avrebbero
sprecato un commissariocapo.
« Tutte le notti ammazzano qualcuno » dissi.
« Stai attento a come rispondi » disse. « Dunque, di quello di sta
notte tu ne dovresti sapere qualche cosa, lo dovresti almeno conoscere,
perché era un pederasta conosciuto ».
«Perché? » dissi. «Adesso sto pure sulla lista dei pederasti? ».
«Sulla lista delle persone per bene...» disse alzandosi dalla sedia
e allungadomi due schiaffi, « certo che non ci stai », disse rimettendosi
a sedere.
too FRANCO LUCENTINI
Doveva essere uno scherzo in voga, perché me l'avevano già fatto
altre due volte.
Dopo volle sapere che cosa avevo fatto io quella notte, e natural
mente ci ebbi delle altre difficoltà. Alla fine[...]

[...]iene uno! » disse.
« Manda sempre » disse quello di sopra.
«Che hai fatto? » disse quello di sopra quando arrivai.
«Ho rubato» dissi. Quello doveva stare seduto sopra una sedia
tutta la notte, e gli andava di discorrere, se gli capitava. Ma io ce
n'avevo abbastanza delle domande.
«Allora, perché t'hanno messo isolato? » disse.
Sulla porta c'era scritto "isolato", infatti.
« Non lo so » dissi. « Non mi va di discorrere. Ho sonno ».
« Ah, come ti pare...» disse. Richiuse la porta.
Dopo un po' riapri lo sportello, disse che non dovevo fumare.
Disse che con quelli come me ci volevano le nerbate.
La mattina appresso mi riportarono in Questura per gli accertamen
LA PORTA 101
ti, poi un'altra vota due giorni dopo, poi per una settimana di seguito, tutti i giorni. Alla fine si calmarono, cominciarono a cercare da un'altra parte. A me mi lasciarono in aspettativa, sempre « isolato».
Dopo quattro mesi dovettero fare posto a un'infornata di politici, mi tolsero l'isolamento.
« Dài una pulita » disse la guardia. « Fai bene la branda e metti la roba tua da una parte. Arrivano due. Sta attento che sono persone per bene, non sono delinquentoni come te. Sta attent[...]

[...] due giorni dopo, poi per una settimana di seguito, tutti i giorni. Alla fine si calmarono, cominciarono a cercare da un'altra parte. A me mi lasciarono in aspettativa, sempre « isolato».
Dopo quattro mesi dovettero fare posto a un'infornata di politici, mi tolsero l'isolamento.
« Dài una pulita » disse la guardia. « Fai bene la branda e metti la roba tua da una parte. Arrivano due. Sta attento che sono persone per bene, non sono delinquentoni come te. Sta attenta che te ne puoi pentire ».
Arrivò un tizio distinto, bene in carne, con un giovanottello mezzo deficiente, dall'aria feroce.
Quello distinto era pure molto gioviale.
« Anche lei politico, naturalmente! » disse appena entrato, stendendomi la mano.
« Ho rubato » dissi.
Rimase sconcertato, con la mano per aria.
«Ma... politicamente? » disse.
« No » dissi. « Non credo. Ho rubato a una banca ».
Quello si incazzò spaventosamente, mandò a chiamare il sottocapo, disse che non s'era mai visto mettere i politici con i delinquenti comuni. Alla fine si dovette calmare, visto che no[...]

[...]. Ho rubato a una banca ».
Quello si incazzò spaventosamente, mandò a chiamare il sottocapo, disse che non s'era mai visto mettere i politici con i delinquenti comuni. Alla fine si dovette calmare, visto che non c'era altro posto. Accettò le scuse del sottocapo.
«Del resto» disse sorridendo il sottocapo, « loro sono qui di passaggio! La loro posizione, spero, sarà presto chiarita! ».
« Ah, lo credo bene » lo rassicurò quello, « lo credo bene! Come lei sa, Sua Maestà si interessa direttamente di noi! ».
Il giovanottello non aveva detto una parola. Venne da me e guardò la roba che avevo sistemato sopra la mensola accanto alla finestra.
« Tu sgombra la roba tua e mettila là » disse indicando la mensola vicino alla porta, dalla parte dei buglioli. « Sposta pure la branda, qui ci dobbiamo stare noi ».
« Hai sentito quello che ha detto? » disse il sottocapo. « Fai presto, che si devono sistemare le altre brande ».
Per tutto il tempo che stettero a sistemarsi, il giovanottello seguitò a cercare un modo per farmi mandare in cella di punizi[...]

[...]tura possibile, oltre a quella dei... Pere) non sono più tanto sicuro. Credo che ci avevi
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ragione quando dicevi del coraggio, che nessuno ce l'ha. Credo che tu ce l'hai avuto, e pure se sei tornata ce l'hai avuto lo stesso. Credo che se qualcuno si merita qualche cosa, sei tu. Adesso solo ho capito quello che volevi dire, col fatto del mostro. Ma se per te qualcuno verrà, non sarà perché avrai avuto paura. Sara. perché sei come io non t'ho saputo vedere in tempo, perché sei così calma e gentile, così leggera, così an gelo. Oramai, per volerti bene da vicino é tardi. Tu, oramai, per me non ci puoi avere che pieta. Io non so che farò, ma non m'importa. Di averti incontrata a te, un momento, mi deve bastare ».
Ci vollero altri tre mesi prima che trovassero quello che aveva sistemato il pederasta. Anzi, pare che non era nemmeno sicuro che era quello, ma a me in ogni modo pensarono di darmi il cambio, visto che c'ero stato quasi un anno. Mi dettero il foglio di via e mi misero sul treno. « Stai attento a non tornare » [...]

[...]r Adriana? » dissi.
« No » disse. « Ma perché ti cercano, che hai fatto? ».
« Niente » dissi, « é per quella faccenda della residenza. Per adesso resto qui, ma bisogna stare attenti al portiere ».
Restai a letto una settimana, per vedere di farmi passare la febbre. Ogni volta che suonavano il campanello saltavo. Non avevo paura che fossero i poliziotti, pensavo che poteva essere Adriana. Perché poi la cosa, adesso, non era più così spirituale come s'era messa al principio. Adesso me la sognavo, la notte, che ci stavo a letto. Il giorno ci ripensavo. Tutto il giorno e la notte, alla fine, ci stavo a pensare. Ma c'erano di mezzo quelle due porte chiuse. Poi, non sapevo nemmeno se lei stesse ancora là dentro. Poteva essere che se ne fosse andata, senza tornare .a casa. Poteva essere capitata qualche altra cosa.
Non aspettai che la febbre mi fosse passata. Mi alzai una sera verso
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le sei, andai in cucina a farmi la barba. Ci avevo le gambe deboli, ma la testa non mi faceva male, anzi mi sentivo leggero.
« Che, mi dái una st[...]

[...]r la strada non ci avevo fretta, mi fermavo a guardare le vetrine. Al Pantheon mi misi a sedere sul muretto e guardavo i gatti, di sotto. Non faceva freddo. Mi sarebbe piaciuto di andare ancora un po' a spasso per le strade, aspettare ancora un po', ma oramai ci avevo impazienza. Entrai in un caffè e presi un cognac, poi andai difilato alla casa, entrai nel secondo cortile, davanti alla porta mi fermai senza sapere che fare. La porta era chiusa, come l'avevo lasciata l'anno prima; non c'era nessun segno per capire se Adriana era uscita o no. Tornai sulla strada e mi fermai sul portone a pensare, mi accesi una sigaretta. Dopo tornai e bussai forte con un pezzo di mattone, tre volte. Poi bussai ancora, ma più forte non potevo bussare, sarebbe venuta gente. Aspettai una mezz'ora, con l'orecchio alla porta, ma non si senti nessun rumore. Cercavo di ricordarmi la lunghezza della scala, della cantina, per capire se lei avrebbe potuto sentire o no. Poi ricominciai a bussare ogni tanto, più forte, approfittando del rumore di qualche camion, delle[...]

[...]ne; mi tirai più indietro. Attraverso l'acqua, il negozio di fronte non si vedeva quasi piú, la ragazza stava sulla porta
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aspettando che la pioggia rallentasse. Poi traversò la strada di corsa, infilò a testa bassa il portone, si fermò di colpo.
« Sei tu! » disse.
Restai a guardarla nel buio del portone, senza potere parlare. Pareva dimagrita e ci aveva tutti i capelli bagnati, incollati alla faccia.
« Sei tu » disse. « Come stai? Franco. Che... Come stai, tu? Franco? Eh... Bene. Io... Franco ».
Portava un grembiule bianco legato sul davanti, macchiato, con una blusetta stinta. Teneva in mano un pacchetto involtato in carta di giornale.
«Franco, Franco » diceva. « Franco ».
Mi prese un braccio e lo stringeva forte, tirando la manica. Inghiottivo e non potevo parlare. Le carezzai la mano che teneva il pacchetto, fredda e bagnata, le aggiustai la manica del grembiule, che s'era appiccicata intorno al polso. Stesi la mano per carezzarle la faccia e lei si accostò di piú, mi strinse convulsa mentre le baciavo la bocca fredda, nel buio, con[...]

[...]re più vicino, che stava per scoppiare.
Ma lentamente si staccò e si passò una mano sulle labbra. Poi le braccia le ricaddero lungo il corpo e rimase ferma, guardando il muro dietro a me.
«Amore mio» dissi, ma la voce non suonò.
«Adriana» dissi, e le presi una mano, ma lei la ritirò.
« T'avevo mandato una lettera » dissi. « Una lettera dove ti dicevo che io, adesso... ti volevo bene, ma tu... Credevo che tu» dicevo, adesso invece non era più come... Era finito.
Guardava sempre il muro, aggiustando la carta bagnata del pacchetto, che si rompeva.
« Si » disse. « È finito ».
« Ho freddo » disse. « Ero uscita un momento, così in grembiule... ». « Così» dissi, « adesso esci? Non stai più sempre lá sotto? ».
« Ero andata a comprare qualche ovo » disse. « Quelle fresche sono meglio di quelle in polvere che ci ho giù ».
« Io ero venuto l'altro ieri » dissi. « Ho bussato ma non hai sentito ». « Ma andiamo giù » dissi. « Non prendere freddo ».
« È che giù... » disse.
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Girava nelle mani il pacchetto delle uova, pareva imbaraz[...]

[...]la ragazza, « ci stava dicendo che la conver
sione degli atei é sempre un miracolo, perché non si può fare senza
l'intervento della grazia ».
« Ma allora » disse il sergente italiano, « ciò vuol dire che i miracoli
si possono verificare pure oggigiorno! ».
Ma certamente! Certissimamente! » disse Don Aldo. « Senza an
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dare tanto lontano, ci basti il miracolo quotidiano dell'Eucaristia! ». «Appunto» disse la ragazza. « E come dicevo pure io. Questo dovrebbe convincere pure le teste di legno ».
« E dovrebbe convincere » disse sorridendo Don Aldo, « anche certe testoline bionde che mi so io... ».
« Certe testoline bionde ostinate...» continuò guardando mia sorella. « E ho detto tutto! ».
« No, continui, Padre » disse il borghese vestito bene. « L'argomento mi interessa profondamente ».
« Il dottor Micheli » disse Don Aldo rivolto a me, « é giornalista. E da buon giornalista vuole andare a fondo di ogni questione. E fa bene! Lo spirito del giornalismo é un po' come quello della religiosità, quando sia illuminato[...]

[...]isse sorridendo Don Aldo, « anche certe testoline bionde che mi so io... ».
« Certe testoline bionde ostinate...» continuò guardando mia sorella. « E ho detto tutto! ».
« No, continui, Padre » disse il borghese vestito bene. « L'argomento mi interessa profondamente ».
« Il dottor Micheli » disse Don Aldo rivolto a me, « é giornalista. E da buon giornalista vuole andare a fondo di ogni questione. E fa bene! Lo spirito del giornalismo é un po' come quello della religiosità, quando sia illuminato dalla 'fede ».
Il discorso non pareva molto chiaro, ma sembrò che il dottor Micheli lo apprezzasse e anche il sergente italiano annui con la testa. La ragazza col pettone s'era appoggiata coi gomiti sul tavolino per sentire meglio. Guardai Adriana, ma non pareva che ci trovasse niente di straordinario, anzi entrò pure lei nella conversazione.
« Anche mio... il mio amico, qui, ha lavorato in un giornale » disse. «Ah, un collega! » disse il dottor Micheli, ma non pareva molto convinto. Però si alzò e mi dette la mano.
« Permette? » disse. « Dot[...]

[...] accompagni? ».
«Non prenda freddo, signorina » disse il dottor Micheli. « Si metta almeno qualcosa sulle spalle ».
«No, lo accompagno solo fino alla porta ».
Vidi l'americano che ci veniva appresso; voleva trovare Adriana da sola, per la scala, quando sarebbe riscesa. Al principio della seconda rampa mi fermai, la presi per le braccia e la misi contro il muro, 'scrollandola.
«Adriana» dissi. «Che é successo? Che t'è successo? Che hai fatto? Come l'hai potuto fare? ».
« Ahi » disse. «Non mi fare male ».
Guardandola adesso vidi come era dimagrita, come era ridotta, con gli occhi annebbiati e la pelle della faccia senza colore. I capelli pare
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vano grigi, la voce non si riconosceva più. La paura doveva essere cresciuta, lá sotto, mentre lei non se ne accorgeva. Doveva essere salita su da quel pozzo mentre lei credeva ancora di resisterci, di potersi difendere. Poi doveva averla presa all'improvviso e sbattuta, sfasciata del tutto. M'ero immaginato una cosa così fino dal principio. Ma non m'ero immaginato che lei al momento dello sfascio avrebbe chiamato il prete... Il prete e quegli altri... Adesso ci stava in mezzo. Lei, che p[...]

[...]to una cosa così fino dal principio. Ma non m'ero immaginato che lei al momento dello sfascio avrebbe chiamato il prete... Il prete e quegli altri... Adesso ci stava in mezzo. Lei, che per quanto avesse fatto e girato, in una merda simile non c'era stata mai.
« Adriana », dissi carezzandola. « È stata la paura, no? E per la paura che stai crisi? Che ti sei ridotta a stare con quelli? ».
« Perché? » disse. « Che ci hanno, quelli? ».
« Non sono come gli altri? » disse.
« Come gli altri? » dissi. « Come gli altri? Si. Si, ma...».
« Tu ci hai di meglio? » disse. « Conosci qualcuno meglio, da mandarmelo qua? ».
Volevo ancora rispondere, mi pareva che ci dovesse essere qualche cosa da rispondere, ma non c'era. C'era una cosa sola, forse ci avrei avuto ancora la faccia di dirla, ma lei lo disse prima.
« Che, tu ti credi... » disse. « Tu ti credi di essere meglio, tu? ». Cominciai a risalire per andarmene. Poi mi fermai, dissi:
« Non mi volere male » dissi. « Ti voglio bene. Adesso non ci ho la forza di dirti le altre case che ti volevo dire. Ci ho la febbre, mi sento male. Tornerò quando sta[...]

[...]a di dirla, ma lei lo disse prima.
« Che, tu ti credi... » disse. « Tu ti credi di essere meglio, tu? ». Cominciai a risalire per andarmene. Poi mi fermai, dissi:
« Non mi volere male » dissi. « Ti voglio bene. Adesso non ci ho la forza di dirti le altre case che ti volevo dire. Ci ho la febbre, mi sento male. Tornerò quando stare, meglio. Adesso ti volevo dire che io... si, hai ragione, non sono meglio, forse non sono meglio. Ma se ti ricordi come eri tu quando ti ho lasciata qui, quando aspettavi qualcuno da quella porta... Tu, allora, eri meglio. Aspettare che qualcuno entrasse di là sotto era da pazzi, forse era pure stupido, ma era sempre meglio di adesso, di come sei ridotta adesso... tu ».
Ricominciai a salire e la lasciai in basso che rideva. Mano mano che saliva era una risata sempre più forte, quando fui in cima era un urlo che riempiva tutta la scala. Poi fini e sentii la porta che si richiuse.
Per la strada faceva freddo, tutti i negozi erano chiusi. Camminai un pezzo per le strade intorno al Pantheon, poi mi pare che voltai per l'Argentina e andai verso il fiume. Poi tornai indietro e non so dove
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andai, fino quasi alla mattina. Al primo caffè che trovai aperto entrai, chiesi un caffè doppio.
Mi accorsi che era il Caffè[...]

[...]r le spalle e il dottor Micheli, che s'era alzato un'altra volta per scappare, si rimise a sedere.
« Questo resta a disposizione per gli accertamenti » disse il commissario a quelli che mi tenevano.
Disse il prete: «Sia indulgente, sa, signor Commissario. Se é per quello che ha fatto a me, che per poco mi strozzava, e credo che l'intenzione di strozzarmi veramente ci fosse, gli perdono di cuore. Quanti mai, sapesse, anche tra i più sciagurati, come questo, avrebbero diritto più alla nostra compassione che alla nostra giustizia! ».
« Ma in questo modo » disse il dottor Micheli, « lei, Padre, viene a giustificare i delinquenti! ».
« Ah, no certo, caro dottore » disse il prete. «In questo modo, io vorrei ricordare che la carità si deve esercitare anche con i discoli! La stessa Chiesa, del resto... Ma non vorrei tediarla con argomentazioni filosofiche! ».
« No, continui Padre » disse il dottor Micheli. « L'argomento mi interessa profondamente ».
Venne davanti al tavolo il sergente italiano e salute,.
« Sono le sette » disse. « Faccio d[...]

[...]
« Ah, si » disse quello, intenerito. « Tu » disse a me, « adesso vatti a mettere in fila per il latte. Poi ci avremo tempo di discorrere ».
« Sergente », chiamò, «dài un gavettino pure a questo ».
Il sergente mi mise in mano una scatoletta di carne vuota, con una galletta.
« Stai qui in fila » disse.
« Allineàti! » disse.
« Anche le donne! » disse alla ragazza col pettone, che oramai stava pure lei coi proletari e cercava di passare avanti come se ci avesse avuto ancora qualche diritto.
Un'altra, che era . incinta, stava da una parte.
« Lei torni pure a sedersi, signora Bertozzi » disse il sergente. « Le farò portare là la sua razione ».
Intanto quelli che stavano al tavolo s'erano fatti apparecchiare e aspettavano che la donna al fornello avesse finito di cucinare per loro. Adriana non si vedeva.
Mi voltai e la vidi due file dietro la mia, col suo grembiule macchiato e con una scatoletta vuota e la galletta in mano.
Volevo andarle vicino, ma gli altri non mi fecero muovere finché iI sergente con un vecchio ché portava il bidon[...]

[...]vicino.
« Tieni » dissi, « strozzati ».
Corsi da Adriana, che s'era appoggiata alla porta della scala e stava inzuppando la galletta nel latte.
« Vieni » dissi. « Facciamo presto. La porta di sopra era aperta, quando sono venuto. Non l'hanno mica richiusa? ».
« Non vengo » disse. « Sai, qui o là é uguale... qui mi dànno da mangiare, da dormire... Non vengo ».
« Ah, ti dànno da mangiare!» dissi.
« Si » disse. « Certo che... Beh, loro lo sai come sono... Prima mangiavo a tavola, fino a poco tempo fa. Adesso mi devo mettere in fila pure io, per il latte. Ma tanto che gli fa, no? ».
« Si» dissi. « Adesso però senti, amore, vieni un momento su. Vieni, tesoro, andiamo un momento da... Stai così magra, sbattuta... Ti
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vorrei portare da un medico, uno che conosco... Ti vorrei fare vedere... ». « No » disse. « Non importa... Non m'importa... Non m'importa più di niente... Ci avevo sperato, sai?... Adesso é finito, tutto... Ci avevo sperato sul serio, tanto tempo, che di .là sotto... ».
Restò con la galletta inzuppata che le s[...]



da Mario La Cava, Il grande viaggio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]idare, nell'attesa del cibo, che pareva lo scannassero, la capra chiamare la padrona, mentre allegramente saltava dalla porta di casa fin sul letto a due piazze, e le galline annunziare l'uovo, dopo essersi nascoste per farlo : si perdeva l'uovo e gravi litigi nascevano talora tra le donne sospettose che si accusavano l'una con l'altra.
Ma più spesso la pace regnava nel borgo, tra le famiglie che si conoscevano fin dall'infanzia e si trattavano come parenti. Sotto alle pergole, davanti alle case, nell'ombra benefica che le foglie e i fitti rami intrecciati facevano a riparo del sole, le donne stavano ferme a filare la lana, a fare la calza, a rammendare o a chiacchierare nei lunghi meriggi estivi. Uomini giocàvano alle bocce o ai birilli, quando non avevano da lavorare, ragazzi si divertivano colle nocciuole, coi soldini o colla trottola. Certe volte, senza bisogno di andare in cantina, gli uomini mettevano un tavolo di fuori, e facevano grandi partite amichevoli alle carte.
Il resto del paese aveva i signori, i commercianti, gli impieg[...]

[...]Hai visto che Maria del povero Carmine non può vestirsi di chiaro, dopo tanti anni che teneva il lutto, nemmeno ora che si era sposata? ».
«Perché? Cosa le é successo? ».
« È morta la cognata! E non era quindici giorni che si era sposata! Va nel paese del marito e deve di nuovo vestirsi a nero... ».
« Sempre con questo lutto Maria! Ma chi é che é morto? ».
«Non the l'ho detto? La cognata, la sorella del marito, una ragazza di vent'anni bella come un fiore, che tanti la volevano... ».
«Pazienza! Il Signore non vuole nessuno troppo contento... ».
Compariva un cliente, un manovale del luogo che diceva di dover partire per trovare lavoro, e chiedeva delle scarpe che aveva dato per accomodare. «No, non l'ho ancora fatte! Ho dovuto fare altro lavoro d'urgenza. Domani! ».
« Ma se é una settimana che mi rimandate di giorno in giorno! No, io ve l'avevo detto. Debbo partire! Porterò, vuol dire, le scarpe da qualche maestro del paese » protestava il cliente.
« Portatele dove volete. Non ho potuto servirvi. Avevo altri impegni... ».
« Eh si![...]

[...]mi una parola definitiva! » chiedeva il cliente.
« Domani vi avevo detto, venite meglio dopodimani, così saremo più sicuri » prometteva Giuseppe; e la moglie, di rincalzo: « State si curo, compare Domenico, che ve le farà ». Il cliente allora se ne andava.
Interveniva di nuovo la moglie e diceva: «Gliele puoi pure accomodare... ».
« Parlare é la cosa più facile — rispondeva Giuseppe —. Se non ho un minuto libero!... ».
«E lui perché non paga come gli altri? » — diceva il ragazzo che
IL GRANDE VIAGGIO 91
sapeva le faccende della bottega —. Giuseppe non rispondeva, mentre era intento al lavoro, e sorrideva appena.
Correndo e tenendosi per mano comparvero le due figliuole, Ernesta, la maggiore, e Lidia che aveva solo tre anni; la più grande aveva sette anni, andava a scuola, e faceva da guida nella casa alla più piccola. Venivano dai nonni e dalle zie che abitavano vicino, quasi di fronte, e avevano fame. La madre diede loro una fetta di pane per ognuna, bagnato coll'olio.
Le bambine si misero a mangiare, mentre il padre era contento[...]

[...]stanza d'entrata.
Rosaria aveva da annunziare la novità della giornata, appresa dopo il discorso che aveva fatto con commare Carmela : la sua figliuola era stata chiesta in isposa da Sebastiano della famiglia Riccio, colla quale però erano stati in lite, e perciò non lo volevano. Ma Rosaria aveva capito che il matrimonio si sarebbe fatto.
«Dopo tutto quello che si son dettò da una parte e dall'altra! » disse Rosaria.
« Tu credi che tutti sono come noi che siamo andati troppo per il sottile? » rispondeva Agata.
« A me non me ne importa niente. Che sposino o non sposino é lo stesso. Mi dispiace che ho dovuto correre tutti i campi per trovare questa minestra! » aggiungeva Peppina.
Parlarono allora di nuovo dei fratelli lontani, in Egitto : li avevano sposato tutt'e due, e da molti anni non venivano. Ma si ricordavano dei genitori ai quali ogni mese mandavano qualche cosa. E proprio il giorno prima avevano scritto una lettera.
y
IL GRANDE VIAGGIO 93
« Filippo dice che la moglie é abortita per la terza volta, e così é rimasto senza nem[...]

[...]fratelli lontani che tutto si aggiustò, decidendosi alfine a sposare la donna che, del resto, per la dote che portava, non era un partito sconveniente per lui.
Dall'Egitto i due fratelli mantennero buone relazioni sia con Rosaria che con Giuseppe: non scrivevano spesso, ma_nelle feste non mancava mai una loro cartolina o una lettera; di tanto in tanto mandavano regali o per le bambine o per l'adornamento e le comodità della casa : ed era strano come si fossero dimenticati delle condizioni e delle abitudini della famiglia e del luogo, inviando oggetti non facilmente adoperabili, come cuscini di cuoio dipinti, boccette di profumo, ninnoli di vetro o d'altro che non potevano servire a niente. Recentemente avevano mandato ad Ernesta una cucinetta in lamiera per la bambola che sembrava potesse servire anche per la casa, tanto era grande.
Si parlava quindi spesso dei fratelli lontani, le loro fotografie in abito nero con le mogli a braccetto erano attaccate alla parete del muro, e le bambine li avevano in mente come se l'avessero visti il giorno prima. Ancora Ernesta non aveva imparato bene a scrivere; ma quando avesse imparato, avrebbe scritto delle lunghe lettere affettuose, piene di saluti e di baci agli zii.
Una sera di primavera, dopo il treno delle cinque — questo accadde qualche tempo dopo la notizia data ai genitori dell'aborto della
96 MARIO LA CAVA
moglie di Filippo — il postino, che raramente passava di là, entrò nella bottega di Giuseppe e gli porse una lettera : era di Filippo, come Giuseppe riconobbe dalla scrittura, ed egli, senza aprirla, occupato a tirare lo spago dalla suola di una s[...]

[...]Ancora Ernesta non aveva imparato bene a scrivere; ma quando avesse imparato, avrebbe scritto delle lunghe lettere affettuose, piene di saluti e di baci agli zii.
Una sera di primavera, dopo il treno delle cinque — questo accadde qualche tempo dopo la notizia data ai genitori dell'aborto della
96 MARIO LA CAVA
moglie di Filippo — il postino, che raramente passava di là, entrò nella bottega di Giuseppe e gli porse una lettera : era di Filippo, come Giuseppe riconobbe dalla scrittura, ed egli, senza aprirla, occupato a tirare lo spago dalla suola di una scarpa, chiamò la moglie: «Rosaria! Rosaria! Ti ha scritto tuo fratello Filippo ».
Rosaria rientrò dalla stanza da letto, dov'era a riordinare biancheria nella casa, e tutta allegra domandò: «Cosa dice? ».
« Ancora non l'ho letta. Ora la leggo » rispose Giuseppe. La moglie toccò colle dita la busta chiusa e non l'apri: ella non sapeva leggere.
Subito Giuseppe tagliò la busta col trincetto, e sillabando si mise a leggere: i volti di tutt'e due erano pieni di allegria. 11 ragazzo aiutant[...]

[...] casa, e tutta allegra domandò: «Cosa dice? ».
« Ancora non l'ho letta. Ora la leggo » rispose Giuseppe. La moglie toccò colle dita la busta chiusa e non l'apri: ella non sapeva leggere.
Subito Giuseppe tagliò la busta col trincetto, e sillabando si mise a leggere: i volti di tutt'e due erano pieni di allegria. 11 ragazzo aiutante aveva smesso di lavorare par la curiosità di sentire.
Dopo aver parlato lungamente della malattia della moglie, e come era stato sfortunato, e poi di varie vicende di lavoro, e del fratello che avrebbe scritto la prossima volta, concludeva, passando però ad altro ragionamento: « Perciò ti dico che fai male a non pensare a tempo alla tua famiglia, ora che sei giovane, e qui si sta bene e si guadagna, nonché mia moglie vi vuole conoscere tutti, tanto é innamorata delle bambine, e anch'io che non le ho potuto avere per me, e un matrimonio senza figli non é matrimonio. Parla quindi a Rosaria e convincila che ti lasci partire, qui l'Egitto é grande, figurati che il Cairo è una città che non finisce mai, e c'é post[...]

[...]ce mai, e c'é posto per tutti. Tu potresti venire prima e poi potresti ritirare Rosaria con le bambine, tanto più che le donne si possono impiegare, e io ho mia moglie che guadagna quasi più di me. Pochi anni di sacrifizio e poi potresti ritornare in Italia a fare il proprietario... ».
« Dice di andare al Cairo, ci vuole li a tutti i costi... » spiegò Giuseppe, ridendo.
« Ah! » esclamò semplicemente Rosaria.
« Prima vuole che vada io a vedere come si sta; e poi ti manderei l'atto di richiamo perché mi raggiungessi... ».
t~ E lasceremmo tutto ? » disse Rosaria.
« Bah! Poi si vedrà... ». concluse Giuseppe. La moglie rimase pen
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sierosa, mentre il ragazzo incominciò: «In questa settimana partirà zio Carlo per l'America ».
« Certo l'America é più lontana ». disse Giuseppe; ma per Rosaria l'Egitto o l'America era la stessa cosa. Il marito, scherzando ancora, aggiunse : « Non si danno pace che sono senza figli; e vogliono, si vede, avere bambini dello stesso loro sangue per casa... ».
« Quanto godrebbero vede[...]

[...]iunse Peppina — che li si sta tanto bene che in coscienza non può fare a meno di non insistere che ci andiate... ».
« Vorrei essere al vostro posto e andarmene da stasera stessa! » dichiarò Agata; e pensava al fatto ch'era rimasta zitella, mentre se fosse andata altrove, avrebbe trovato marito. Che almeno avesse fortuna la sorella, e da lontano si ricordasse di loro, con due vecchi in casa che avevano bisogno di tante cure, e mandasse qualcosa, come facevano i fratelli!
«Pure tu vorresti lasciarci, figlia mia? » disse soltanto la madre;
98 MARIO LA CAVA
ma le sue parole caddero nel vuoto; esse non furono intese o capite dalle figlie, tentate, dopo quella lettera, dall'idea del viaggio in paesi lontani.
Il padre, invece, non pareva rammaricarsi al pensiero che avrebbe potuto perdere la figlia maggiore: pensava egli, ch'era tanto vecchio, che avrebbe fatto sempre a tempo a rivederla, al ritorno? Disse semplicemente: «Quando io ero giovane, non si facevano tanti viaggi, nessuno si muoveva; dopo, hanno incominciato a partire, hanno fatto[...]

[...]be fatto sempre a tempo a rivederla, al ritorno? Disse semplicemente: «Quando io ero giovane, non si facevano tanti viaggi, nessuno si muoveva; dopo, hanno incominciato a partire, hanno fatto ricchezze, ma molti hanno perduto la pace nella casa ».
Chi sa! » ammise Rosaria. « Per ora resteremo qui; Giuseppe ha tanto lavoro; non gli conviene lasciare la clientela; lo scriveremo a Filippo. In seguito si vedrà.. ».
«Aspettate prima ad invecchiare, come siamo invecchiate noi! » commentò amaramente Agata. E poi: «Ma io glielo dirò a Giuseppe che sbaglia, sbaglia davvero!... ».
Entrarono le bambine ch'erano fuori con altre a giocare a righetta e parvero, così come cinguettavano, folate di uccelli al tramonto. « Lo zio Filippo vi vuole in Egitto! » disse la madre.
Poi ritornarono tutte a casa loro; Giuseppe aveva già finito di lavorare, e si lavava le mani e il viso; quella sera voleva uscire. Sentiva il bisogno di conversare con amici.
Si diresse verso la spiaggia del mare e si fermò nei pressi del cancello di passaggio, dove sempre si riuniva gente e quella sera c'erano parecchie persone che ancora indugiavano; ' il tempo era mite, vento non tirava, e cogli occhi rivolti al mare che col calare delle ombre diveniva sempre piú cupo, era bello stare là[...]

[...]IAGGIO 99
« Sentite á me, che conosco l'America meglio del mio paese, si può dire, — disse un pescatore padrone di barca — se volete andare in qualche posto per lavorare, non avete che andare in America... ».
« Che Egitto ed Egitto! » disse il padre di Sebastiano.
«Noi abbiamo l'America, ed andiamo in Egitto? » fece un altro.
«L'Egitto é buono per chi va là e non intende più ritornare; non dico che non si stia bene; ma quanto a fare soldi, é come da noi » spiegò il fabbro.
«Non esagerare, ora! » non poté fare a meno di ribattere Giuseppe. Parlò ancora delle ragioni che forse lo avrebbe spinto ad andare in Egitto, dove aveva parenti tanto affezionati; ma concluse che per il momento non si sarebbe mosso. Tutti gli diedero addosso, che sbagliava, che non si sapeva regolare.
A casa quella sera stessa non si parlò più dell'Egitto; ma l'indomani Rosaria, svegliatasi, disse non aveva potuto dormire bene, per via di quel pensiero dell'Egitto.
In seguito fecero la lettera di risposta a Filippo: lo ringraziavano, ma per il momento non era il[...]

[...]va regolare.
A casa quella sera stessa non si parlò più dell'Egitto; ma l'indomani Rosaria, svegliatasi, disse non aveva potuto dormire bene, per via di quel pensiero dell'Egitto.
In seguito fecero la lettera di risposta a Filippo: lo ringraziavano, ma per il momento non era il caso di parlare di viaggi; più in là qualche cosa certamente sarebbe maturata.
Agata venne una sera a parlare con Giuseppe. « Ma siete pazzo di trascurare un'occasione come questa? Se Filippo vi invita, si vede che ha le sue ragioni. Avrà trovato un buon posto per voi. Io gliel'ho detto a Rosaria : ti pentirai! » disse la donna.
« Certo bisogna pensare seriamente. Intanto aspettiamo cosa scrivono sia Filippo che Antonio. Di Antonio é parecchio che non abbiamo notizie » rispose Giuseppe.
Arrivarono le lettere dei due cognati, ed entrambe ripetevano la stessa cosa; per i denari del viaggio non occorreva che Giuseppe si preoccupasse; quanto al posto del lavoro Giuseppe o avrebbe continuato a lavorare da calzolaio oppure sarebbe andato con Filippo a lavorare nella[...]

[...]llora intervenne, col suo solito fare sentenzioso, e disse: «Chi vede il bene e lo lascia, é pazzo! Se vi conviene, che state ad aspettare? ». La madre non aggiunse parola, restando mesta e pensierosa.
I fratelli d'Egitto sempre insistevano; ma chi sembrava potesse dissuadere dal far intraprendere il viaggio al marito, fu commare Carmela dei Crispini, che disse: « Commare Rosaria, per carità! Non fate partire vostro marito, perché vi pentirete! Come mi sono pentita io! E tanti anni che il marito se n'è andato in America, e ora non ho speranza di vederlo piú, senza utile inoltre: perché che cosa è accaduto di bene per me e per i miei figli? ».
Invece il marito di commare Carmela aveva mandato soldi, aveva migliorato la propria posizione, e aveva potuto sposare bene le figlie. Tutte queste cose la donna sembrava avesse dimenticate; e anche Rosaria non le considerava.
« Se poi ve ne andate anche voi, che ci vogliamo tanto bene, come due sorelle, come faremo a vivere lontana una dall'altra? E ora che sposerò l'ultima figliuola non vi dovre[...]

[...]il marito se n'è andato in America, e ora non ho speranza di vederlo piú, senza utile inoltre: perché che cosa è accaduto di bene per me e per i miei figli? ».
Invece il marito di commare Carmela aveva mandato soldi, aveva migliorato la propria posizione, e aveva potuto sposare bene le figlie. Tutte queste cose la donna sembrava avesse dimenticate; e anche Rosaria non le considerava.
« Se poi ve ne andate anche voi, che ci vogliamo tanto bene, come due sorelle, come faremo a vivere lontana una dall'altra? E ora che sposerò l'ultima figliuola non vi dovrei avere a lato per consiglio e aiuto come fu per le altre? ».
«No, che ancora Giuseppe non se n'é andato; né io l'ho seguito! » prometteva Rosaria; e le lagrime che non le scorrevano per la mamma vecchia, cadevano abbondanti per le parole dell'amica carezzevole.
«Ma non capisci che lo fá apposta, per non vedere migliorata la nostra posizione? » interveniva Giuseppe, irritato, dannandosi l'anima che la moglie cadesse in trappola, alle parole lusinghevoli.
«No, non credo a tanto! » rispondeva la moglie; ma a lei davano addosso le sorelle, più astute e che sognavano la realizzazione delle proposte dei fratelli in Egitto.
Di modo che[...]

[...]il viaggio.
Ma non sarebbe andato solo : con sé avrebbe portato fin da principio la famiglia da cui non si sapeva distaccare e senza cui non aveva l'ardire di muoversi. Le bambine erano nell'età della crescenza, quando mutano giorno per giorno: ed egli avrebbe potuto lasciarle, per vederle poi tanto diverse da non riconoscerle piú? La moglie, soprattutto, che aveva già tanti capelli bianchi, era all'inizio del tramonto: quel resto di giovinezza come avrebbe fatto ad abbandonarlo, quel po' di gioia e di pace, prima dell'immancabile vecchiezza ?
Inoltre i fratelli avevano scritto, assicurando ogni aiuto e comodità per la loro sistemazione: Giuseppe colla sua famiglia si sarebbe potuto allogare nella stessa casa di Filippo, molto grande, oppure in quella di Antonio, che abitavano nello stesso palazzo e avevano le porte di fronte; la vita costava poco: legumi ed ortaggi se ne avevano quanto se ne avesse voluto; e per le bambine datteri in quantità, banane dolci come il miele, e zucchero da succhiare nella canna, che si sarebbero fatte grass[...]

[...]l'immancabile vecchiezza ?
Inoltre i fratelli avevano scritto, assicurando ogni aiuto e comodità per la loro sistemazione: Giuseppe colla sua famiglia si sarebbe potuto allogare nella stessa casa di Filippo, molto grande, oppure in quella di Antonio, che abitavano nello stesso palazzo e avevano le porte di fronte; la vita costava poco: legumi ed ortaggi se ne avevano quanto se ne avesse voluto; e per le bambine datteri in quantità, banane dolci come il miele, e zucchero da succhiare nella canna, che si sarebbero fatte grasse come una palla.
«Io ti accompagnerò »! aveva detto la moglie; e nell'entusiasmo del viaggio, né i genitori e i parenti, né le vicine o il paese che avrebbe dovuto lasciare, si presentavano alla sua mente: solo l'Egitto lontano, dai vaghi contorni come un paese di fiaba, dove vi erano le palme dei datteri e tante altre cose preziose, esisteva nella sua fantasia. La bellezza e la ricchezza splendevano dinanzi agli occhi; e tutto appena era appannato dallo sgomento di una lontananza che doveva essere grande se il Bambino Gesù nei tempi dei tempi vi si era recato col Padre e la Madre per sfuggire ai pericoli.
Senza inciampi o complicazioni si arrivò così al giorno della partenza: i bagagli erano stati fatti, i saluti ai vicini e ai parenti completati. Una piccola folla di gente s'era raccolta nel vicoletto; i vecchi genitori non s'erano mossi[...]

[...]orto d'imbarco: il campanello d'avviso già squillava. S'intese il rumoreggiare del ponte vicino, al passaggio, dietro la curva. Rosaria si butte. tra le braccia delle sorelle e delle vicine. Commare Carmela dei Crispini piangeva più delle altre, ricambiata in tutto da Rosaria. Le bambine, strette tra le braccia delle zie, stavano per soffocare. Giuseppe, col cuore commosso, salutava tutti, fingendo un'allegria che non aveva.
Infine, senza saper come, aiutati all'ultimo momento per miracolo dagli amici e dal conduttore, si trovarono sul treno che si moveva; il paese sempre più fuggiva lontano dai loro occhi.
Postosi a sedere, Giuseppe disse, rivolto alla moglie: «Mettiti di qua, ché ti piglia meno vento ». « Si pue) chiudere il finestrino n propose un viaggiatore, gentile. Le figliuole vollero guardare gli alberi che correvano, e si attaccarono agli sportelli; parole di scusa vennero dette ai compagni di viaggio.
Il treno filava; ormai il paese non si vedeva piú, e nemmeno la sua campagna e le colline vicine. Nuovi campi, nuove case, ge[...]

[...] mise per terra, seduta sul sacco, mentre gocciole di sudore le scorrevano sulla faccia pallida. La piccola era ora tranquilla, e la madre la stringeva al seno, non credendo quasi ai suoi occhi.
104 MARIO LA CAVA
E passando così, un giorno e una notte, senza mangiare, poiché il viaggio le fece male; confortata ogni tanto da qualcuno che sapeva della paura che aveva sofferto. Mentre il marito pensava pensava, e non si sentiva più l'animo sereno come prima.
Anche Ernesta soffriva per il mare, addormentandosi ogni tanto agitata e poi svegliandosi di soprassalto; il viaggio sembrava non dovesse finire piú.
Al mattino uscirono tutti sopracoperta; il sole illuminava tutta la nave; e il vento fresco allietava i volti d'ognuno.
Attorno c'era solo mare; comparvero altre navi. All'improvviso l'occhio, guardando, si fermò su una linea bianca. Non era lontana, e subito si vide ch'era a due passi dalla nave.
«L'Egitto! L'Egitto! » esclamò Giuseppe. «Siamo arrivati. Quello é l'Egitto! » spiegò, voltandosi a guardare la moglie.
Ma la donna che in[...]

[...]viso l'occhio, guardando, si fermò su una linea bianca. Non era lontana, e subito si vide ch'era a due passi dalla nave.
«L'Egitto! L'Egitto! » esclamò Giuseppe. «Siamo arrivati. Quello é l'Egitto! » spiegò, voltandosi a guardare la moglie.
Ma la donna che in altre circostanze avrebbe gridato di gioia, ora, bianca in volto, nemmeno rispose. Sospettosa negli occhi, strinse a sé le piccine, le chiamò, se le mise sotto le ali della sua protezione come una chioccia fa coi pulcini.
Quel giorno stesso in cui arrivarono al porto di Alessandria, partirono col treno per il Cairo, dove giunsero la sera, ch'era già notte. Soffrirono il caldo lungo il percorso come se fosse ancora l'estate del loro paese, refrigerio trovando solo quando il treno costeggiava di tanto in tanto il Nilo.
« Guarda che fiume! Sembra il mare! » diceva Giuseppe; aggiungendo per scherzo: «Uguale al nostro Buonamico!...» ch'era un torrente che si asciugava quasi d'estate.
« Che c'entra! — rispondeva Rosaria. — Quello é un'altra cosa! ».
«Le campagne a che sono coltivate? » domandava Giuseppe a se stesso, senza sapersi dare una risposta precisa; e poi soggiungeva : «Non sono belle alberate come le nostre! ».
« Quante palme ci sono! » diceva Rosaria.
« Qui non si uscirebbe paz[...]

[...] solo quando il treno costeggiava di tanto in tanto il Nilo.
« Guarda che fiume! Sembra il mare! » diceva Giuseppe; aggiungendo per scherzo: «Uguale al nostro Buonamico!...» ch'era un torrente che si asciugava quasi d'estate.
« Che c'entra! — rispondeva Rosaria. — Quello é un'altra cosa! ».
«Le campagne a che sono coltivate? » domandava Giuseppe a se stesso, senza sapersi dare una risposta precisa; e poi soggiungeva : «Non sono belle alberate come le nostre! ».
« Quante palme ci sono! » diceva Rosaria.
« Qui non si uscirebbe pazzi di Pasqua per trovare la foglia da benedire! continuava Giuseppe. E poi : Quelle altre debbono essere le piantagioni delle banane, banane saranno! ».
Ma Rosaria badava ora alla piccola Lidia che seduta in grembo
IL GRANDE VIAGGIO 105
alla madre sembrava volesse appisolarsi. La guardava e temeva che le potesse pigliare la febbre. Il suo viso rotondo di bimba era infuocato, più della sorella abitualmente rosea.
«Ci pensi che questa qui me la piglia la febbre? » disse la madre.
«Un po' di stanchezza! » ri[...]

[...]hezza! » rispose il padre. E diventò pensieroso com'era quando si trovava sul vapore. Passarono nel corridoio uomini in tunica bianca e turbante rosso, ed egli quasi sembrò non li notasse.
Era che considerava di aver perduto il primo treno che avrebbe dovuto prendere e col quale sarebbe stato aspettato dai cognati aI Cairo; sarebbe invece arrivato con ritardo; probabilmente non avrebbe visto nessuno alla stazione; ed egli, spratico della città, come avrebbe fatto a trovare la casa dei parenti?
Domandò a un signore, vestito in nero, che aveva davanti a sé, quanto occorresse per arrivare al Cairo. « Ecco, siamo arrivati » gli rispose quello, in italiano, sorridendo. E già la città compariva colle sue alte torri e colle sue immense chiese.
Alla stazione trovarono per fortuna i fratelli colle mogli che li aspettavano da più ore; essi avevano capito che gli ospiti si erano sbagliati. «Rosaria! » gridò per primo Filippo, ch'era il più espansivo e il più svelto; usci dal cancello dove si trovava e si buttò tra le braccia della sorella. Antoni[...]

[...]ano da più ore; essi avevano capito che gli ospiti si erano sbagliati. «Rosaria! » gridò per primo Filippo, ch'era il più espansivo e il più svelto; usci dal cancello dove si trovava e si buttò tra le braccia della sorella. Antonio abbracciava Giuseppe, ridendo, mentre le mogli stavano indietro.
« Io sono Matilde! » disse la moglie di Filippo. « E io Vanda! ». « Cosa si dice in Italia ? » domandò Antonio.
« Eh! al solito » rispose Giuseppe.
« Come sta il padre? E la madre? E Agata? E Peppina ? » domandarono tutti in una volta i fratelli.
Poi Antonio disse a Filippo: « Va' a chiamare una carrozza. Stiamo qui? ».
« E papà come sta ? » domandava Matilde a Rosaria. Questa non capiva bene. Dopo, disse: «Che volete! Ormai é vecchiarello! Non lavora più! ».
« Oh! » rispose Matilde, come se l'avesse sentito per la prima volta. Le due cognate misero in mezzo Rosaria, ch'era la più magra di tutte. 11 suo vestito scuro, con la veste lunga delle donne del popolo alquanto evolute, né stretta né larga, con la camicetta dalle ma
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niche lunghe, il fazzoletto celeste al capo, contrastava con gli abiti cittadini di Matilde e Vanda, tutte d'un pezzo e di taglio corto fin sotto al ginocchio.
Si disposero nella carrozza accatastandosi gli uni sugli altri; Filippo, ch'era il più giovane rideva nei suoi occhi buoni anche quando le labbra non si muovevano al sorriso; Anto[...]

[...]o più di Giuseppe, inutilmente sforzato.
Di tutti era l'allegria; ma specialmente dei fratelli e d'elle loro mogli: la stanchezza, le emozioni sofferte, la novità delle cose offu
IL GRANDE VIAGGIO 107
scava la gioia degli ospiti. Essi avrebbero voluto andare a riposare. Ernesta fu vinta dal sonno, e messa a dormire, mentre il grammofono nella casa cittadina del Cairo, continuava le sue sonate. Infine Vanda, che pareva più anziana di Matilde e come il marito meno espansiva, disse: « Lasciamoli andare a dormire », alzandosi per ritirarsi con Antonio nel suo appartamento.
La febbre, fortunatamente, non durò a lungo alla piccola Lidia : l'indomani mattina era vispa e allegra, al pari di Ernesta, come nulla le fosse successo. Il padre poté uscire con Filippo e Antonio per conoscere la città e trovare lavoro.
Quasi contemporaneamente si licenziarono le due cognate da Rosaria, per le loro solite occupazioni: Matilde, per andare a servizio in una casa di milionari, donde sarebbe ritornata nel pomeriggio, e Vanda per andare al laboratorio dove faceva la sarta, e donde sarebbe ritornata un po' più tardi dell'altra, verso sera.
Prima che uscissero, Matilde si ricordò che nella dispensa c'era la carne per fare il brodo, e disse, rivolta a Rosaria: « Potete cucinarla per voi. Noi ritorneremo sta[...]

[...]rdi dell'altra, verso sera.
Prima che uscissero, Matilde si ricordò che nella dispensa c'era la carne per fare il brodo, e disse, rivolta a Rosaria: « Potete cucinarla per voi. Noi ritorneremo stasera ».
« Se non ci siete voi, che cucino a fare? Io mi contento di un po' di pane e formaggio ».
«Ma no! Se c'è la carne! » insisté Matilde. Vanda ripeté: «Se c'é la carnei ». Rosaria non rispose. Vide le due cognate andarsene e chiudere la porta. « Come sono eleganti! » si disse; e le segui collo sguardo dalla finestra fino a che si perdettero nella folla.
Rimasta sola, Rosaria non fece che curare le bambine e parlare con esse. A mezzogiorno mangiò pane e formaggio. Nel pomeriggio ritornarono le cognate, e poi i fratelli col marito.
A costui domandò: «Avete fatto buoni affari? »
« Si, mi sono deciso di lavorare al laboratorio di calzature, consigliato da Antonio. È meglio per me, se pure guadagno meno. Ma è il mio mestiere. Avrei potuto lavorare con Antonio e Filippo alla diga, ma io ho temuto di non sapermici adattare » rispose Giuseppe.[...]

[...] non ci siamo adattati? » disse Antonio:
« E lui specialmente non aveva fatto mai lavori pesanti » aggiunse Filippo.
108 MARIO LA CAVA
Rosaria allora notò la corporatura dei fratelli ingrossata da quando erano partiti dal paese. Antonio specialmente era invecchiato, con tutti i capelli grigi, più grosso di Filippo ch'era il fratello minore.
« È che da principio non avrei potuto fare altro che il manovale: e io che al paese facevo il maestro, come mi sarei adattato a servire in un mestiere, che poi non era il mio ? Del resto, poi si vedrà... » si scusò Giuseppe.
« Noi non vogliamo forzare la tua volontà! » conclusero i fratelli. « E quando incominci a lavorare? » domandò Rosaria.
« Domani stesso » rispose Giuseppe.
« Beh! noi andiamo a preparare la nostra cena. Se volete mangiare con noi...» disse Vanda, muovendosi per andare nel suo appartamento.
« Loro faranno come meglio credono — intervenne Matilde. — Se vogliono mangiare insieme a noi, dato che stiamo nella stessa casa, noi siamo contenti. Se poi no, e preferiscono cucinarsi per conto loro, per noi é lo stesso... ».
«No, non c'é bisogno. Vale la pena fare due cucine? » rispose Giuseppe, che temeva di disturbare. Rosaria assenti, non rimanendo però contenta delle parole del marito.
« E allora andiamo — propose Matilde. — Fate il pomodoro, ché io pulisco la carne ».
«Voi come lo fate? Noi lo facciamo così» disse Rosaria, timidamente.
« No, é bene mettere un po' di prosciutto e di origano ».
« Si, [...]

[...]tervenne Matilde. — Se vogliono mangiare insieme a noi, dato che stiamo nella stessa casa, noi siamo contenti. Se poi no, e preferiscono cucinarsi per conto loro, per noi é lo stesso... ».
«No, non c'é bisogno. Vale la pena fare due cucine? » rispose Giuseppe, che temeva di disturbare. Rosaria assenti, non rimanendo però contenta delle parole del marito.
« E allora andiamo — propose Matilde. — Fate il pomodoro, ché io pulisco la carne ».
«Voi come lo fate? Noi lo facciamo così» disse Rosaria, timidamente.
« No, é bene mettere un po' di prosciutto e di origano ».
« Si, si » s'affrettò a rispondere Rosaria.
Giuseppe, in un canto del tavolo, scriveva ai parenti e agli amici. L'onda dei ricordi del suo paese lo commuoveva. « Cosa vuoi che dica ai tuoi? » chiese, serio serio, a Rosaria.
« Che stiamo bene, che li pensiamo, che io sono contenta. Puoi pure dire il fatto della bambina : tanto, ormai é passato... ».
Stava in faccende nella cucina e andava di qua e di là, senza sapersi orientare: temeva di recare disturbo, si confondeva, poi[...]

[...] dobbiamo correre al lavoro... ». Rosaria tremò di timidezza.
« E alla sera vogliamo divertirci! » esclamò Matilde. E poi, rivolta al marito: « Abbiamo diritto o no, Filippo, dopo avere lavorato ? ».
« Certamente! » rispose l'uomo.
« Anche Rosaria verrà con noi al cinematografo e al passeggio » dichiarò Matilde.
« Io? » chiese Rosaria.
« Anche tu diventerai cittadina! » affermò sorridendo Giuseppe.
Ma Rosaria non era portata a trasformarsi come le cognate. Indossò sempre il suo abito paesano e portò sul capo il fazzoletto azzurro. Imparò si ad andare al mercato e a contrattare cogli arabi; ma a divertimento quasi mai andò, senza essere accompagnata dal marito. Né fu capace di contribuire, come le cognate, col suo lavoro di impiegata, al mantenimento della famiglia. A casa restava tutto il giorno, la casa era il regno in cui essa dominava.
E vedendosi sola, quando le bambine erano a scuola e tutti erano usciti, si ricordava della sua famiglia e del suo paese lontano, e senza sapersi spiegare la ragione, piangeva.
Piangeva di più quando riceveva le lettere di Agata che le parlavano dei parenti e delle amiche e degli avvenimenti nel borgo. La madre e il padre stavano al solito e Rosaria immaginava tutto. Poi Agata le parlava dello sposalizio della figlia di commare Carmela, e della [...]

[...]a poco arricchita era comparsa. Un paese nuovo era sorto accanto al vecchio borgo, lungo la strada del mare, ed era bello andare' a passeggiare la sera.
C'era poi chi era andato in America e non era ritornato; chi aveva ritirato la famiglia, chi se l'era formata là; i figli che avevano abbandonati i genitori, mariti che si erano dimenticati, a torto o a ragione, delle mogli.
« Molte disgrazie perciò sono avvenute! » dichiarò Rosaria.
«E si sa come succede! » rispose Antonio.
« Vedendo tutto quel movimento, perciò mi sono incoraggiato a venire; poiché chi stava indietro non concludeva nulla ed era perduto! » disse Giuseppe.
«Noi ve l'avevamo detto! » aggiunsero i fratelli.
« C'era chi mi dava torto a voler venire in Egitto, anziché andare in America... » continuò Giuseppe.
« Sciocchezze! » fece Filippo.
«Si, e voi sapete come io la penso!» concluse Giuseppe.
Certamente egli avrebbe voluto continuare anche in Egitto la bella vita, pur nella povertà, che faceva nel borgo; quando lavorava nelle ore che voleva, e si riposava a suo piacimento; quando chiacchierava
IL GRANDE VIAGGIO 111
coi clienti, seduto davanti al deschetto, e di essi conosceva il piede meglio di quello che non sapesse la faccia.
Ma ciò ormai non era più possibile: al laboratorio del Cairo egli non aveva che una parte limitata nella costruzione delle scarpe, non faceva che le cuciture colla macchina; il maestro di una volta s'era trasformato in u[...]

[...]nella stessa casa. Se metteva qualche cosa da parte ogni tanto, era perché rifiutava di andarsi a divertire con loro e restava a casa con la moglie.
In quel tempo volentieri s'intratteneva con lei, dopo una giornata ch'era stato fuori, e la piccola Lidia, che non sempre usciva cogli zii, appena lo vedeva, gli si buttava tra le braccia. La sua salute era delicata, brevi febbri di tanto in tanto la colpivano; il padre quasi non si preoccupava, ma come affettuosamente si rivolgeva a lei, sollevandola in alto nelle braccia, come la prediligeva al confronto della maggiore, che godeva tanto a fare la signorina colle zie!
Ernesta sola, si può dire godesse in pieno della permanenza in Egitto : il clima non le diede nessun disturbo, le novità che vide la rallegrarono un mondo. Rosaria, invece, cominciò a soffrire agli occhi per la troppa luce che prendeva al mattino quando andava al mercato e per la polvere del terribile vento che ogni tanto imperversava. Quel vento turbinava nelle vie, penetrava, pur attraverso le imposte chiuse, nella casa, e pareva che si volessero scatenare le fondamenta del cielo.
Come allora l'ari[...]

[...]eno della permanenza in Egitto : il clima non le diede nessun disturbo, le novità che vide la rallegrarono un mondo. Rosaria, invece, cominciò a soffrire agli occhi per la troppa luce che prendeva al mattino quando andava al mercato e per la polvere del terribile vento che ogni tanto imperversava. Quel vento turbinava nelle vie, penetrava, pur attraverso le imposte chiuse, nella casa, e pareva che si volessero scatenare le fondamenta del cielo.
Come allora l'aria nativa, il bel clima del paese era vagheggiato da Rosaria nel suo cuore! Ricordava il venticello fresco della sera nelle
giornate calde d'estate, il bel sole splendente fin nell'inverno, le rare luminose tempeste che vieppiù facevano apprezzare l'amena serenità della regione.
«Quando ritorneremo? » cominciò a domandare Rosaria.
112 MARIO LA CAVA
« A che punto sono i nostri risparmi ? » chiedeva Giuseppe.
Certamente era il caso di sistemarsi meglio, magari con altro lavoro che non fosse quello abituale di calzolaio, se si voleva ricavare qualche utile dal viaggio che si era [...]

[...]ogo. L'arabo, credendosi beffato, si scagliò infuriato contro Giuseppe e lo prese alla gola. I compagni li divisero; altrimenti Giuseppe, finita la sorpresa, avrebbe potuto pure bucargli le budella col trincetto.
Riferita la cosa ai cognati, costoro risposero : « Sono fetenti; bisogna guardarsi, perché non ragionano, specialmente se toccati nella loro religione.
« Ma io non volevo offendere nessuno! » rispose Giuseppe.
« Non hai dunque capito come sono e che s'infiammano per niente? » ribatté Antonio.
In seguito a ciò Giuseppe si decise di andare a lavorare alla diga, in qualità di aiutante muratore; già era incominciato il forte calore dell'estate, e le sofferenze di Giuseppe, non abituato, erano grandi. E dopo tanti anni di lavoro da calzolaio, una nuova attività si iniziava per lui, di cui le conseguenze il Signore solo poteva sapere quali sarebbero state.
I guadagni ora erano davvero elevati: con essi era possibile non solo vivere bene nella famiglia e permettersi tutte le comodità, ma mettere pure facilmente da parte qualche cos[...]

[...]ri, al pari dei fratelli, il suo regolare assegno mensile.
La salute di Lidia, al solito, diede da pensare; prima furono febbri viscerali, poi una forma di tifo con febbri alte ed estrema debolezza. Furono giorni amari quelli: la vita della loro più piccola figliuola era in pericolo.
Naturalmente anche gli zii e le zie trepidarono per lei; ma la
IL GRANDE VIAGGIO 113
malattia durava a Iungo, spesso vi era agitazione in casa durante la notte. Come pensare che essi non si dovessero infastidire, sia pure lievemente, di tanti disagi?
Alfine Lidia guarì; le caddero tutti i bei capelli ricciuti che aveva; ma il medico disse che dipendeva dalla malattia e che le sarebbero ritornati. Rosaria sognava già il ritorno al paese, dove l'aria buona del luogo natio non avrebbe fatto ammalare nessuno. Filippo ammoniva che non bisogna fissarsi e che le malattie possono colpire dovunque. Antonio insisteva che prima bisognava considerare in che condizione si trovasse il portafoglio : e dello stesso pensiero era Giuseppe.
Dal paese zia Agata a nome di t[...]

[...].
Dal paese zia Agata a nome di tutti chiedeva quando ritornassero; diceva che essa ardeva dal desiderio di rivederli, e che oramai le bambine dovevano essere grandi. Non solo un anno, ma due erano passati e il terzo stava per finire. E dunque? Le promesse così si mantenevano?
D'altronde, perché non sarebbero partiti pure Filippo e Antonio colle loro mogli, per una breve permanenza al paese, se proprio non avessero voluto rimanervi per sempre, come ella consigliava?
Ma dire una cosa é più facile che farla e il progettare viaggi più semplice del realizzarli: per quanto Egitto fosse, le necessità della vita imponevano a tutti non poche restrizioni; e una di queste era di non poter correre di tanto in tanto a vedere i vecchi genitori e le sorelle al paese.
Si rimandava il viaggio come se quelli fossero sempre giovani e non dovessero mai morire; alla loro morte nessuno pensava; e meno di tutti forse la stessa Rosaria che pure qualche anno prima aveva potuto vedere quanto fossero cadenti.
Agata, da lontano, non aveva fatto capire niente, forse per non allarmare senza necessità. Ma così fu che improvvisa e tragica arrivò un giorno la notizia della morte della povera mamma, avvenuta per polmonite presa non si sa come e durata appena tre giorni.
« La povera mamma nostra — diceva la lettera — non é più e io non so come confortarmi, l'avevo sempre attorno a me e ora non la vedo più; e il padre é rimasto tanto male che non è capace più di parlare, e voi che avreste potuto darmi un po' di conforto siete lontani, e non avete avuto nemmeno la soddisfazione di vederla, per
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darle l'ultimo addio. E ora la nostra casa é divenuta piú sola e pare una barca sperduta, agitata nel mare in tempesta! ».
« E noi non siamo andati a trovarla, quando si poteva fare a tempo! » gridò Rosaria, mentre grosse goccie di lagrime le scorrevano sulle guance, ai fratelli che, ignari, rientravano dal lavoro; Giuseppe[...]

[...] tu l'hai lasciata? » chiedevano.
Senza chiasso e senza lamenti, al contrario di quello che sapevano si faceva al loro paese, tennero lutto; e solo qualche amico andava a vederli. Passarono tre giorni; e poi tornarono di nuovo, mestamente, al loro quotidiano lavoro.
Si cominciò a parlare nuovamente e più di proposito dei preparativi da fare per il ritorno; già era venuta la primavera, il caldo si faceva sentire e fra breve avrebbe imperversato come una tempesta di fuoco. Gli uccelli erano fuggiti e più non si vedevano dai giardini solcare il cielo verso le grondaie delle case. «Pure l'estate faremo? » domandava Rosaria al marito.
Questi rispondeva: «Come fare altrimenti? Se non aggiusteremo almeno cinquemila lire? ».
Interveniva Antonio e garentiva le parole di Giuseppe. «Bisogna essere ragionevoli. Ormai che ci siete, aspettate almeno qualche altro
IL GRANDE VIAGGIO 115
po' di tempo. Dopo, magari, verrei io con voi a vedere il padre... ».
Filippo a sua volta diceva : « Io certamente verrò con voi. Voglio vederlo il padre, non intendo rimandare tanto che poi non faccia a tempo, e mi succeda come per la mamma che non l'ho potuta abbracciare piú... ».
Rosaria piangeva a queste parole; e allora Giuseppe le prometteva che fra pochi mesi, col[...]

[...] fare altrimenti? Se non aggiusteremo almeno cinquemila lire? ».
Interveniva Antonio e garentiva le parole di Giuseppe. «Bisogna essere ragionevoli. Ormai che ci siete, aspettate almeno qualche altro
IL GRANDE VIAGGIO 115
po' di tempo. Dopo, magari, verrei io con voi a vedere il padre... ».
Filippo a sua volta diceva : « Io certamente verrò con voi. Voglio vederlo il padre, non intendo rimandare tanto che poi non faccia a tempo, e mi succeda come per la mamma che non l'ho potuta abbracciare piú... ».
Rosaria piangeva a queste parole; e allora Giuseppe le prometteva che fra pochi mesi, col lavoro straordinario che avrebbe fatto, sarebbe stato in condizione di partire.
«Partiremo dunque nell'inverno, quando non si soffre piú? » domandava Rosaria, che non calcolava come il marito e i fratelli le necessità della vita.
« Tranquillizzatevi Rosaria — dicevano allora le cognate. — Un altro po' di sacrifizio e poi avrete il piacere di ritornare a casa vostra... ».
Matilde da sola continuava : « E non ci vedremo più qui al Cairo ? Giacché io verrò di tanto in tanto al vostro paese... ».
« Verremo, verremo! » prometteva Vanda.
Rosaria non rispondeva, ma sorrideva, perduta nel sogno del suo paese natale.
« Ella non si é mai adattata alla vita del Cairo! » dichiarava Antonio.
« Non so perché non ti è mai piaciuto. l'Egitto » continuava Filippo. « Eppure non sei [...]

[...]nche a nome della cognata e degli altri.
Rosaria non rispose, mostrando dal volto che la cosa non era per niente possibile. « E tu non vuoi restare con noi ? » continuò Matilde,
116 MARIO LA CAVA
rivolgendosi alla figliuola. Ernestina arrossi, senza saper cosa dire. Ed il padre fu che disse: «Rispondi che vi rivedrete ogni tanto o che loro vengano da noi o che tu faccia qualche viaggio per qui, quando sarai grande, e se la fortuna ci aiuterà, come speriamo... ».
Nessuno più parlò della proposta, e solo i preparativi per la partenza da fare fra molti mesi furono discussi, come se si dovesse farla tra poco. Giuseppe chiese ed ottenne di lavorare due ore di più, per avere maggiore guadagno. Per la prima volta si assoggettò ad un'estenuante fatica, con un ardore di cui nessuno forse l'avrebbe creduto capace. Si stancava, nei mesi terribili dell'estate che sopravvenne, e pure resisteva.
Anche lui sognava il paese natio, gli amici, i parenti, la vita semplice di una volta; non aveva piú genitori, e pensava al vecchio fabbro Felice come a suo padre.
Sebastiano Ricci e altri amici gli scrivevano che si stava meglio di prima, che vi erano costruzioni nuove e che l'ingegn[...]

[...]esse farla tra poco. Giuseppe chiese ed ottenne di lavorare due ore di più, per avere maggiore guadagno. Per la prima volta si assoggettò ad un'estenuante fatica, con un ardore di cui nessuno forse l'avrebbe creduto capace. Si stancava, nei mesi terribili dell'estate che sopravvenne, e pure resisteva.
Anche lui sognava il paese natio, gli amici, i parenti, la vita semplice di una volta; non aveva piú genitori, e pensava al vecchio fabbro Felice come a suo padre.
Sebastiano Ricci e altri amici gli scrivevano che si stava meglio di prima, che vi erano costruzioni nuove e che l'ingegnere Talco aveva bisogno di operai scelti e di assistenti. Non sarebbe stato necessario tornare al lavoro di calzolaio : una sistemazione, magari come impiegato, nel campo dei lavori edilizi, sarebbe stata la cosa più semplice di questo mondo.
In tal caso sarebbero potuti ritornare anche i cognati, se avessero voluto; ma è strano come essi si fossero dimenticati del paese natio; forse non si erano dimenticati, ma lo davano a vedere, se non volevano ritornare.
«Sono le mogli che li trattengono» diceva Giuseppe alla moglie per spiegare la cosa.
«No, nemmeno questo — ormai hanno fatto dell'Egitto un altro loro paese ».
E nessuno dei due sospettava che tanto Antonio che Filippo, che del resto sembrava tanto impulsivo ed entusiasta, calcolassero meglio di loro le possibilià di vita nell'Egitto e quelle del loro paese.
« Qui spendono molto. E anche noi, accanto a loro, abbiamo speso tanto » diceva Giuseppe.
« Pazienza! Ma t[...]

[...]Rosaria, senza aggiungere altro; poiché la sua critica era semplice e leggera, non avvelenata, ed ella sapeva bene quanto dovesse essere grata al trattamento che aveva ricevuto dalle cognate.
Dalle quali poi si divise, quando venne il giorno della partenza, nell'inverno dello stesso anno con un dolore che non aveva pensato, immaginando la gioia del ritorno, e che superava perfino quello di dividersi dai fratelli.
Perché né Antonio né Filippo — come era facile prevedere, si erano potuto liberare dagli impegni per partire con loro. Filippo solennemente promise però che in primavera sarebbe stato in Italia. Antonio lo avrebbe seguito nell'estate insieme a Vanda e, magari, a Matilde, se quest'ultima avesse potuto ottenere dai padroni il congedo che avrebbe desiderato.
« Ci rivedremo, ci rivedremo! » gridava Matilde, ch'era quella che meno era libera e meno poteva disporre del futuro; si chinava a baciare le bambine, stringendosele al seno e piangendo, ed imitata in tutto da Vanda che a sua volta esclamava : « Si, certamente! ». Mentre Rosa[...]

[...] insieme a Vanda e, magari, a Matilde, se quest'ultima avesse potuto ottenere dai padroni il congedo che avrebbe desiderato.
« Ci rivedremo, ci rivedremo! » gridava Matilde, ch'era quella che meno era libera e meno poteva disporre del futuro; si chinava a baciare le bambine, stringendosele al seno e piangendo, ed imitata in tutto da Vanda che a sua volta esclamava : « Si, certamente! ». Mentre Rosaria si univa a loro, desolata, pronunziando : « Come son brutte le partenze, Dio mio! ».
Bisognò alfine partire e a poco a poco il treno prima, il grande vapore poi, strappò dai loro occhi quanto ancora rimaneva della vita d'Egitto. In senso inverso fu fatto il viaggio che all'andata era sembrato tanto oscuro e pauroso. E ora invece, pur nel rammarico per la perdita di parenti tanto cari e di abitudini prese, era così pieno di dolce soddisfazione.
Giuseppe non era ormai quel povero operaio confuso che non sapeva dove mettere i piedi, né Rosaria era quella donna stordita che
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poteva perdere i figli in mezzo alla folla : Gius[...]

[...]nti tanto cari e di abitudini prese, era così pieno di dolce soddisfazione.
Giuseppe non era ormai quel povero operaio confuso che non sapeva dove mettere i piedi, né Rosaria era quella donna stordita che
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poteva perdere i figli in mezzo alla folla : Giuseppe era diventato un uomo vestito bene, con un leggero soprabito scuro che gli dava l'aspetto di un vero emigrato che aveva fatto fortuna; la sua donna, semplice
e popolana come prima, aveva ora lo sguardo sicuro e lieto. Ed Ernesta, fatta tosi grande da arrivare quasi all'altezza della madre, sembrava una maestrina, bella e fiorente, come parlava alla tenera Lidia.
Nessuno soffri nel viaggio di mare e la terra del luogo natio fu alfine toccata con serena dolcezza. Ecco i monti bruni, le colline alberate, l'aria fresca che dava brividi lunghi, del proprio paese!
Ecco le case conosciute, la gente solita, le abitudini vecchie che, come in sogno, risorgono nuovamente nella mente dei viaggiatori incantati a guardare!
Alla stazione d'arrivo un gruppetto di persone attende sul piazzale affollato: sono gli amici di Giuseppe e Rosaria, i vicini di casa, quelli che vogliono usare cortesia, commare Carmela colla sua famiglia
e Sebastiano, il pescatore Luigi e tanti altri; e fra essi non v'é la presenza di Agata e Peppina, chiuse col loro dolore nella casa priva della mamma.
Ma sono davanti alla porta che attendono, vestite di nero e sciupate, Agata con tutta la chioma quasi bianca e Peppina coi capelli già grigi. Si precipitano [...]

[...]re Luigi e tanti altri; e fra essi non v'é la presenza di Agata e Peppina, chiuse col loro dolore nella casa priva della mamma.
Ma sono davanti alla porta che attendono, vestite di nero e sciupate, Agata con tutta la chioma quasi bianca e Peppina coi capelli già grigi. Si precipitano nelle braccia della sorella, salutano il cognato, baciano le bambine.
E Agata, circondando col suo braccio il collo di Ernestina alta quasi quanto lei esclama : « Come sei cresciuta, che non mi debbo più chinare per baciarti! ». E la bacia e sorride, pur con le lagrime agli occhi, pensando alla mamma, mentre dice alla piccola Lidia : « Tu proprio mi sembri Ernesta quando era più piccola. Ma perché così sciupata? Ti ha fatto forse male il viaggio? ».
Peppina sorride vergognosa, tenendo per mano il cognato, e introducendo tutti nella casa. Dentro c'é il padre che non sta tanto bene;
e pure si solleva dalla sedia, dov'era a riposare, e va all'incontro.
E Rosaria lo vide così come si alzava, che pareva una tavola liscia
appoggiata alla sedia, tanto era magr[...]

[...]bacia e sorride, pur con le lagrime agli occhi, pensando alla mamma, mentre dice alla piccola Lidia : « Tu proprio mi sembri Ernesta quando era più piccola. Ma perché così sciupata? Ti ha fatto forse male il viaggio? ».
Peppina sorride vergognosa, tenendo per mano il cognato, e introducendo tutti nella casa. Dentro c'é il padre che non sta tanto bene;
e pure si solleva dalla sedia, dov'era a riposare, e va all'incontro.
E Rosaria lo vide così come si alzava, che pareva una tavola liscia
appoggiata alla sedia, tanto era magro; e il cuore le cadde di angoscia
nel vederlo a quel modo.
« Come state padre? » domanda; e tutti con lei.
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11 « Eh, sono stato ammalato, ancora non sono uscito sulla porta, meno male che ti ho vista! » dice alla figlia.
Agata spiega che il padre ebbe l'influenza e stava per morire; ma poi si risollevò, e ora stava meglio. Ma fu tanto grave, il medico l'aveva dato per perduto, e la sua urina era rossa come il sangue.
Il padre sorride appena e tace; i suoi occhi sono stanchi e sembra che non vedano più la luce del sole; le labbra, appena aperte, sono cadenti, e su di esse una mosca si posa, senza essere avvertita. Gli presentano le bambine, che baciano la mano al nonno, ed egli dice, accarezzando la testa di Lidia : « Come sei cresciuta Ernestina! ».
«No, papá, é Lidia! Questa é Ernestina! » dice Rosaria.
« Ah si! » risponde il padre.
E intanto la gente si dirada, i reduci pigliano possesso della loro casa tenuta pulita dalla sorelle, la nuova vita incomincia per la famigliuola che nella sua patria é come un uccello nel suo nido.
Passano i giorni, e Giuseppe va qua e. lá coi suoi amici; paga per loro, si diverte, é espansivo; Rosaria cicala colle vicine di casa, le bambine, serie e silenziose, prese ora da uno ora dall'altro, pigliano a poco a poco confidenza con l'ambiente.
Il vecchio fabbro Felice é sempre cadente: ma come può venirgli più il vigore della giovinezza? Non c'è gioia, non ci sono speranze che possano farlo rivivere, nemmeno come quand'era al tempo della partenza di Rosaria.
La quale teme di momento in momento la sua fine; é tanto vecchio! E i fratelli non faranno in tempo a vederlo.
Forse Agata e Peppina, abituate ad assisterlo ogni giorno, non tanto temono la morte imminente; ma come é preoccupata, invece, Rosaria pur nell'apparente sua letizia.
Fece scrivere dal marito ai fratelli sulle condizioni reali del vecchio; ed essa stessa passò più ore al giorno in sua compagnia, come prima non faceva. Lo curava al pari delle sorelle, ed era lei che gli tagliava secondo il modello la bella barba bianca che gli era cresciuta.
Giuseppe da parte sua si diede da fare per trovare un lavoro conveniente : l'ingegnere Talco non aveva purtroppo bisogno di impiegati, e nemmeno i suoi assistenti. In genere si vide che le condizioni nel
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paese erano meno buone di quelle che Sebastiano e altri amici avevano fatto credere.
Ora pareva che Giuseppe dovesse ricevere una buona offerta, un momento dopo gli arrivava la smentita. Altri concorrenti si erano presentati e lo [...]

[...]omini; né certo egli era in grado di fare il ragioniere. Denari non aveva portato a sufficienza per fare dimenticare la sua origine, astuzia
e disinvoltura gli facevano difetto.
E poi, a trascurare quanto poteva riguardarlo in particolare, si era sempre in Italia: se le condizioni del paese erano molto migliorate da quando Filippo e Antonio lo avevano lasciato, esse non erano mutate dopo la partenza di Giuseppe a tal punto da permettere ad uno come lui di occuparsi facilmente come impiegato.
In ogni modo, il piccolo appaltatore Artú gli promise che lo avrebbe assunto presto in servizio : dopo che avesse dato inizio ai lavori di riparazione del ponte sulla strada, rovinato dalle acque: si aspettava l'approvazione del Genio Civile: ecco non sarebbe passato molto tempo, questione di giorni, tutto si sarebbe accomodato per il meglio nell'interesse di entrambi.
Gli diede un anticipo di mille lire sullo stipendio già fissato, e cosí Giuseppe restò legato alla sua azienda. Dovettero passare molti mesi ancora perché i lavori progettati avessero inizio. E dopo che Giuseppe co[...]

[...]n
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popolo docile, che gli era cliente, erano rimpianti, ma anche l'epoca dura della sua vita in Egitto, durante l'ultima estate, dove aveva tanto lavorato. Forse aveva fatto male a ritornare in Italia, meglio sarebbe stato se egli fosse rimasto ancora per qualche anno al Cairo, e avesse soltanto mandato la moglie colle bambine a rivedere il padre. Ma ormai le cose erano andate tosi, e bisognava aspettare che migliorassero, come certamente sarebbe accaduto.
I risparmi però si assottigliavano gradatamente e la povertà compariva all'orizzonte, se egli avesse perduto quel posto che aveva. Rosaria avrebbe dovuto saperlo; e invece restava così spensierata e leggera, quando non compiangeva colle sorelle la fine temuta del padre, nelle sue chiacchiere con commare Carmela e le altre vicine.
Solo conforto per Giuseppe erano le ingenuità delle sue bambine, che dopo il ritorno dall'Egitto avevano continuato sempre a star bene; e più sere si diverti a sentirle cantare e a vederle passeggiare insieme nel vicoletto davanti alla [...]

[...]ola stava poco bene, e così Giuseppe, che all'improvviso la figliuola da se stessa avverti un grave malore. Durante la notte la febbre aumentò, e al mattino Giuseppe chiamò il medico.
Lo spavs nto cominciò a serrare i cuori dei genitori; poiché la malattia non si presentava lieve. Il medico ancora non si pronunziava.
Tuttavia zia Agata e zia Peppina, dopo essere venute a vedere la nipotina, si licenziarono per andare a lavare i panni al fiume, come
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già dal giorno precedente s'era convenuto: esse non potevano mai immaginare quello che sarebbe accaduto. « Alle dieci ricordati l'uovo per il padre! » raccomandò Agata a Rosaria.
Ma verso sera il medico credette di avere scoperto la vera malattia : si trattava di meningite fulminante. E un colpo al cuore fu per i poveri genitori.
Poiché la malattia era infettiva e la piccina non poteva essere inviata all'ospedale in città, fu ordinato il sequestro dentro casa di tutti quelli che vi si trovavano, con una guardia davanti alla porta che impedisse l'entrata e l'uscita di alc[...]

[...]va che dentro la piccola era caduta nel delirio e che i genitori nella loro disperazione imploravano dal medico quella assicurazione che egli non poteva dare.
Ritornarono Agata e Peppina dal fiume: esse erano ignare; poggiarono la cesta sulla soglia della casa, dopo aver visto il padre che non rispose al loro saluto, mentre inspiegabilmente si raccoglieva gente attorno a loro, e fecero per rivolgersi alla porta di Rosaria. Una guardia c'era; e come un affronto al loro affetto che voleva sapere la sorte della bambina, voleva vederla e baciarla, crudelmente fu impedito l'ingresso.
Ma che cosa é questa prepotenza che di nuovo si abbatte su di loro? Chi é che ha dato quest'ordine assurdo? La legge, la legge! Ma come mai è possibile tutto ciò? Non c'é cuore dunque in questo paese, non ci sono affetti che valgono, non c'é logica di nessuna maniera ?
Inutilmente piansero le donne nella speranza di poter commuovere il medico e la guardia. L'ordine venne rispettato.
Ritirate nella loro casa, accanto al vecchio padre che pur nella sua tarda età capiva e risentiva la gravità della sventura che stava abbattendosi sulla famiglia della figlia, esse affannosamente immaginavano la tragedia che si stava svolgendo nell'interno della casa colpita. Pregavano la Madonna, e speravano.
Passa un giorno, e poi due, tre. L[...]

[...]e la bambina. Zia Agata e zia Peppina colle lagrime agli occhi la chiamavano invano.
Venne il carro del comune, durante la stessa notte, e il cadavere fu messo a posto: senza accompagnamento e senza cerimonie fu portato al cimitero. E tutto essendo 'accaduto in un baleno, prima che i genitori angosciati avessero potuto considerare la gravità della sciagura toccata, parve che la bambina fosse stata rapita da banditi in una notte tempestosa, cosí come una volta era stata perduta in mezzo al mare durante il viaggio in Egitto, senza speranza piú di poterla ritrovare.
Per tutto il giorno e la notte il grido della madre, prima più alto e terribile, poi sempre piú fioco, echeggiò lugubremente nella casa colpila dalla sventura. «Fuoco! Fuoco mio! Ahi! Ahi! » gridava, torcendosi su se stessa e battendosi con le palme il viso.
« Dolore mio grande! » esclamava; e nella confusione della sua mente non sentiva che l'irreparabilità della disgrazia, la crudeltà della sorte; non si fissava sull'essenza del suo tormento, l'anima sua annebbiata vagava ne[...]

[...]lme il viso.
« Dolore mio grande! » esclamava; e nella confusione della sua mente non sentiva che l'irreparabilità della disgrazia, la crudeltà della sorte; non si fissava sull'essenza del suo tormento, l'anima sua annebbiata vagava nei regni dell'orrore e del vuoto. Il padre era là curvo sotto il peso di un dolore più grande di lui; e solo le urla della madre vi erano che potevano scuoterlo dal suo pauroso abbattimento, spingerlo a soccorrerla come meglio poteva. Le sorelle piangevano sommessamente, dandosi da fare per confortare coloro che più non potevano essere confortati. Ernestina, in un canto, trascurata dai vicini che non avevano pensato di portarla con loro né attirata dal vecchio nonno, rimasto solo nella sua casa, piangeva a dirotto, ripetendo le parole della madre.
«Perché questo destino? Perché? » domandava la madre; e colle guance bagnate di pianto si voltava verso il marito. «Perché? Perché? » ripetevano tutti. Ed esclamavano: «Morte! Terribile morte! ».
Nessuno si era presentato a dar loro conforto; la paura agghiacciav[...]

[...] LA CAVA
«Medico cattivo! Leggi ingiuste! » gridava Rosaria; e le sorelle si trovavano d'accordo con lei. Ugualmente Giuseppe s'abbandonava allo strazio di essere stato ingiustamente offeso dagli uomini.
«Avrebbero potuto fare in altro modo...» dicevano. E da ciò risalivano di nuovo al sentimento della loro sventura senza nome né volto.
Poi a poco a poco la vita della bambina risorse nella loro mente con tutto lo splendore della sua bellezza. Come il cuore era trafitto a vederla! Compariva e scompariva come il sole attraversato da nuvole vaganti.
Ed intanto, finiti i primi giorni, si presentarono i vicini, rassicurati dopo l'iniziale sbigottimento: volevano offrire da mangiare, dicevano che bisognava fare in tal modo o in tal altro per ottenere conforto. Agata e Peppina gentilmente respinsero, dicendo che ormai potevano provvedere da loro.
Commare Carmela trovò che il morbo, a quanto aveva sentito dire lei dalla sorella del capostazione, era conseguenza delle sofferenze che la povera bambina aveva subito in Egitto: tutto si sarebbe evitato se i genitori non fossero andati in Egitto. La moglie [...]

[...]veva subito in Egitto: tutto si sarebbe evitato se i genitori non fossero andati in Egitto. La moglie di Luigi, il pescatore, ammise, invece, che la colpa era del medico: un medico più bravo avrebbe salvato la bambina. In molti casi il medico Sbo aveva conseguito la guarigione. La figlia di commare Carmela, quella che si era sposata a Sebastiano, pensava da parte sua che più volte l'intervento della fattucchiera di Siderno aveva fatto miracoli.
Come il cuore, allora, di Rosaria si spossava a sentir tante parole! La sua fantasia pigliava il volo, la triste realtà era dimenticata e i sogni del probabile e del verosimile turbinavano nella sua mente.
Certo Giuseppe si risentiva quando gli amici, per scusa, venendo a far visita, gli ricordavano che il timore aveva loro impedito di fare i doveri abituali; si vergognava di sé, cercava cambiar discorso come se lui fosse il colpevole, come se la sua stessa paternità fosse misera e difettosa.
Aspettava che se ne andassero, in silenzio; ed usciti, si sfogava nell'intimità della famiglia : « Io mai ho mancato verso nessuno! » esclamava.
La moglie continuava a lamentarsi in delirio; bisognava calmarla,
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fare qualcosa per lei, non farla morire. Gli affari del suo impiego urgevano, Giuseppe non poteva più ritardare a non uscire.
Eppure, in mezzo alle sue maggiori distrazioni, Giuseppe afferrò per primo l'immensità della sua sventura. Egli capi presto, abbastanza presto, quello che significava la morte della [...]

[...] con furia selvaggia.
« Rosaria mia! » esclamava, buttandosi tr`a le sue braccia; e dolcemente chino su di lei domandava : « Perché sei tanto smarrita, Rosaria? Sono stato assente per così lunghe ore, e tu non hai fatto niente nella casal... Sempre a pensare, a pensare... ».
« Si, si... » rispondeva Rosaria vagamente; e dal posto dove si tro
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vaya, non si moveva nemmeno per dare il cibo ad Ernestina che lo chiedeva.
« Vedi come faccio io che con tanto lavoro mi svago; poi penso, e dopo mi riposo, e poi penso di nuovo; e così passo la giornata, al contrario di te... ».
Io non posso, non posso... ».
Giuseppe la guardava, e quindi chiedeva : « Sono venute le sorelle? Ti hanno tenuto compagnia? ». Vedeva che Rosaria non gli rispondeva, e insisteva : « È venuto qualche altro? ».
Allora pareva che Rosaria si svegliasse dalla sua sonnolenza: «No, non è venuto nessuno! ».
E veramente solo le vicine, stanche del loro dovere, erano mancate nella visita alla madre sventurata; le sorelle, trascurando le occupazioni della ca[...]

[...]le? Ti hanno tenuto compagnia? ». Vedeva che Rosaria non gli rispondeva, e insisteva : « È venuto qualche altro? ».
Allora pareva che Rosaria si svegliasse dalla sua sonnolenza: «No, non è venuto nessuno! ».
E veramente solo le vicine, stanche del loro dovere, erano mancate nella visita alla madre sventurata; le sorelle, trascurando le occupazioni della casa e Agata in particolare quelle del lavoro di cucito, si erano fatte vedere più volte. E come suol accadere, invano avevano cercato di consolare la madre con i discorsi e i ragionamenti. Poi avevano invitato Ernestina ad uscire con loro all'aria aperta, perché non intristisse nel buio della stanza chiusa. La figliuola aveva accettato e s'era messa perfino a giocare con una delle nipoti di commare Carmela non aveva resistito a lungo e dopo poco era corsa nuovamente dalla madre.
Un giorno arrivò finalmente, con qualche ritardo, la lettera di condoglianze dei fratelli in Egitto. Essi in breve, come sogliono fare gli uomini, espressero il loro compianto per l'irreparabile perdita. Le mog[...]

[...]adre con i discorsi e i ragionamenti. Poi avevano invitato Ernestina ad uscire con loro all'aria aperta, perché non intristisse nel buio della stanza chiusa. La figliuola aveva accettato e s'era messa perfino a giocare con una delle nipoti di commare Carmela non aveva resistito a lungo e dopo poco era corsa nuovamente dalla madre.
Un giorno arrivò finalmente, con qualche ritardo, la lettera di condoglianze dei fratelli in Egitto. Essi in breve, come sogliono fare gli uomini, espressero il loro compianto per l'irreparabile perdita. Le mogli, Matilde e Vanda, completarono la lettera, scrivendo a lungo e rievocando fatti della vita felice di ún tempo, quando viveva la bambina. Vanda, che nella sua precisione, era alquanto indiscreta, trovò che la bambina forse si sarebbe potuto salvare, se fosse rimasta in Egitto. Li v'erano tanti bravi dottori, specialmente il professor Puricelli, tanti specialisti, ospedali, case di cura... Era stato certo un errore partire per il paesello nativo.
Fosse stato nei primi giorni della disgrazia, Rosaria si [...]

[...]isione, era alquanto indiscreta, trovò che la bambina forse si sarebbe potuto salvare, se fosse rimasta in Egitto. Li v'erano tanti bravi dottori, specialmente il professor Puricelli, tanti specialisti, ospedali, case di cura... Era stato certo un errore partire per il paesello nativo.
Fosse stato nei primi giorni della disgrazia, Rosaria si sarebbe esaltata al ricordo del passato, i sogni dell'impossibile e dell'inattuabile avrebbero turbinato come meteore nella sua mente. Questa volta, invece, restò attonita e confusa; poi, piegando il capo sulle spalle della sorella
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Agata che, nell'assenza del marito, le aveva letto la lettera, ebbe un singulto, dal quale non uscirono le lagrime.
Il tempo dei violenti clamori, dei deliri e dei sogni, era terminato; succedeva ora il silenzio spaventoso, il desolato silenzio dei dolori profondi che scavano il cuore. Ancora non v'era la coscienza chiara di quello che significava la morte della bambina. Ma là, nella casetta abbandonata del « Borgo », chiusa alla vita di fuori, in [...]

[...]e cosa di reale, qualche cosa che si poteva afferrare, che esisteva e che aveva le terribili forme del nulla!
« Impossibile! Impossibile! », gridò Rosaria. Aveva visto in un momento il volto tragico della bambina, inghiottito dall'abisso. Di là, dalle tenebre immense, accennava ancora un poco con un terribile ghigno di beffa. Poi le acque infinite si chiusero e l'occhio della mente non poté vedere altro che una nuvola di impenetrabile fumo.
Fu come se le fosse tolta l'aria che respirava, ebbe un attimo di agonia; si dibatté nell'angoscia, come un pesce fuor d'acqua; senti il suo spirito intristire al pari di erba secca strappata alla terra.
Forset, a continuare a quel modo, sarebbe diventata pazza; ella non aveva la forza del marito di guardare in faccia il reale. Dopo qualche lieve resistenza trovò una via d'uscita al suo dolore. La religione le venne incontro con le sue pietose speranze.
No, non era vero che niente della bambina esistesse piú; qualche cosa di lei era rimasta, l'ombra della sua vita di un tempo, la forma vaga della sua anima bella. Dal cielo, dove si trovava, scendeva alla terra; si aggirava intorno alle cose co[...]

[...]alche lieve resistenza trovò una via d'uscita al suo dolore. La religione le venne incontro con le sue pietose speranze.
No, non era vero che niente della bambina esistesse piú; qualche cosa di lei era rimasta, l'ombra della sua vita di un tempo, la forma vaga della sua anima bella. Dal cielo, dove si trovava, scendeva alla terra; si aggirava intorno alle cose conosciute ed amate, indugiava sulla sua tomba stessa abbandonata del camposanto.
Oh come essa avrebbe voluto ritornare alla vera vita, riabbracciare la madre e il padre, rivedere la luce del sole! Come avrebbe lasciato con piacere le sedi celesti che mai sguardo di vivente avevano pene trato e dove chiunque colla morte vi fosse entrato, ineluttabilmente vi sarebbe rimasto prigioniero!
Invano si sarebbe desiderato il ritorno, quello che fosse accaduto
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non si sarebbe cancellato, la morte non sarebbe diventata la vita. Un distacco netto vi era che nessun mare di lagrime avrebbe colmato!
Parve a Rosaria che il corpo stesso della bambina illuminato da una luce sinistra dovesse soffrire inenarrabili pene per essere stato abbandonato dalla sua anima vivente. L'anima se n'e[...]

[...]n mare di lagrime avrebbe colmato!
Parve a Rosaria che il corpo stesso della bambina illuminato da una luce sinistra dovesse soffrire inenarrabili pene per essere stato abbandonato dalla sua anima vivente. L'anima se n'era andata, e i miseri resti mortali chiusi in una cassa sentivano il peso della terra che sopra vi era stata deposta. La mamma, quella che le aveva dato il latte nella sua più tenera infanzia e che poi l'aveva imboccata di cibo come un uccello fa coi suoi nati, era assente!
Suo primo dovere sarebbe stato quello di andare a trovarla per darle conforto: la povera bambina ne aveva tanto bisogno! Nello stesso tempo senti che era lei che ne sarebbe uscita consolata, come se dopo una giornata di fatica e di sole avesse potuto rinfrescare la bocca riarsa con una gustosa bevanda.
Con altro animo da quello che qualche tempo prima minacciava di disseccare le fonti stesse della vita, Rosaria usci di casa : sarebbe andata al cimitero, avrebbe salutato la bambina, avrebbe visto come nel sogno la sua figliuola. Avvolta nel velo nero del lutto, accompagnata da Ernestina spaurita, ella era là, nel vicoletto angusto del borgo, mentre le sorelle accorrevano e commare Carmela, vinta dalla curiosità, saltava gli scalini della sua casa.
«No, commare Rosaria, cosa fate! », esclamó la vicina con voce sorpresa. «Non reggerete al dolore! Io lo so, da quando mi son morti i miei due figliuoletti maschi, che Dio li abbia in gloria! Non la fate andare, Agata, trattenetela, fatela stare qui con noi ancora un poco!... ».
Ma le sorelle avevano capito che Rosaria avrebbe trovato confort[...]

[...]a di squarciare un povero cuore insanguinato! ».
Dopo essersi sfogata alquanto, scostava Ernestina che s'era messa a sedere sul marmo e piangeva alla vista della madre, e si dava a pulire la tomba della polvere che si era depositata e delle foglie che vi erano cadute. Accendeva la lampada, toglieva qualche moscerino annegato nell'olio, disponeva i fiori in un vaso che vi era accanto. Quindi, dopo aver meditato, si chinava sul marmo e lo baciava come fosse il volto freddo della figliuola uscita di vita, e mestamente si ritirava. Per più giorni ne rimaneva consolata; e poi di nuovo sentiva il bisogno di ritornare al luogo del suo dolore e dei suoi sogni.
«Fate male a continuare casi!... Vi rovinate, morrete dal dolore! Pensate a chi lascerete! Non vi preme la loro sorte? », diceva la gente quando l'incontrava. sommare Carmela s'affaccendava colle sorelle Agata e Peppina, insisteva presso di loro. La moglie di Luigi, il pesca tore, rimbrottava : « La vostra é un'esagerazione! Tutti abbiamo avuto disgrazie! Muoiono più agnelli che pecore: b[...]

[...]i preme la loro sorte? », diceva la gente quando l'incontrava. sommare Carmela s'affaccendava colle sorelle Agata e Peppina, insisteva presso di loro. La moglie di Luigi, il pesca tore, rimbrottava : « La vostra é un'esagerazione! Tutti abbiamo avuto disgrazie! Muoiono più agnelli che pecore: bisogna rassegnarsi! ».
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«Non mi dite così! », insorgeva allora Rosaria. Le sue visite al camposanto erano una necessità della sua vita, come il mangiare e il bere, non poteva immaginare che altri della sua famiglia non sentissero come lei il bisogno di andare a conversare ogni tanto colla sua figliuola. Si trascinava dietro Ernestina e non si accorgeva che al ritorno questa lietamente si staccava dalla madre per unirsi a qualche sua compagna. Glielo dissero, e Rosaria seguitò ad andare sola. Di tanto in tanto veniva accompagnata dal marito o da qualche sorella.
Giuseppe, dal canto suo, pensò di fare l'ingrandimento della fotografia della bambina da un pittore, decoratore di stanze molto bravo. La fotografia rappresentava la bambina quando ancora era piú piccola, mentre stava colle mani in mano e aveva il volto imbronciato[...]

[...] Rosaria seguitò ad andare sola. Di tanto in tanto veniva accompagnata dal marito o da qualche sorella.
Giuseppe, dal canto suo, pensò di fare l'ingrandimento della fotografia della bambina da un pittore, decoratore di stanze molto bravo. La fotografia rappresentava la bambina quando ancora era piú piccola, mentre stava colle mani in mano e aveva il volto imbronciato e triste. Il pittore la ritrasse al naturale, la colori moderatamente, dandole come sfondo una strada fiancheggiata di cipressi che conducevano a una specie di paese lontano.
Quando Giuseppe portò a casa il ritratto, l'impressione di quelli che lo videro fu grande: Rosaria e le sue sorelle piansero come se l'avessero incontrata di nuovo nella loro vita. Ernestina la sognò nella notte e la vide mentre giocavano insieme.
Il quadro, poggiato sul cassettone, si confuse nella penombra della camera, colle immagini dei Santi e della Madonna; la lampada che ardeva non si sapeva per chi desse il suo spirituale splendore. Rosaria, spesso sola, sognava la bella vita di un tempo.
Ed i suoi pensieri, e quelli tristi del padre quando si ritirava alla sera, stanco del lavoro e dei contrasti avuti, avevano il potere di isolare, dinanzi agli occhi della gente che sapeva, quella casa col fico davanti, che s[...]

[...]i tristi del padre quando si ritirava alla sera, stanco del lavoro e dei contrasti avuti, avevano il potere di isolare, dinanzi agli occhi della gente che sapeva, quella casa col fico davanti, che sembrava la casa del dolore. « Ernestina! », chiamava il padre entrando; e si soffermava un istante, incredulo e sbigottito: gli pareva di aver chiamato per errore l'altra figliuola, Lidia, quella che non c'era piú; e tendendo l'orecchio sentiva l'eco, come se ripetesse: «Lidia! Lidia!».
La madre, allora, pareva volesse conformarsi ai pensieri di lui, e rievocava : « Mi veniva sempre dietro, e io le dicevo : — Mi sembri un cagnolino! —. Ed ella dolcemente rispondeva: — Perché non mi chiami meglio una pecorella?—».
Spesso però i genitori stavano in silenzio, ognuno dei due pensando
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a cose del passato; se Giuseppe voleva comunicare alla moglie qualche cosa delle difficoltà della vita del presente, s'accorgeva che ella non lo seguiva e non si interessava.
Quello era il tempo in cui l'albero di fico, prima così caro a Rosa[...]

[...]sì caro a Rosaria, poteva venir danneggiato dai ragazzi, saliti a rubare e a giocare, il bel ramo che adornava la porta, poteva venire strappato, e nessuno ci faceva caso. La gente si riuniva a giocare ora da un amico ora da un altro, e proprio da Giuseppe non vi era alcuno che pensasse di poter mai fare ritorno. Qualche casa, nell'allegria del cuore, compariva di tanto in tanto imbiancata, ma sempre rimaneva la stessa quella di Giuseppe, grigia come la tristezza che vi aveva fatto dimora; e in essa Rosaria, mesta e imbambolata, a tutto pensava tranne che a quello che poteva fare la felicità della gente.
Su tutto incombeva ora la preoccupazione di Giuseppe per guadagnarsi il pane quotidiano; il suo tormento cresceva giorno per giorno, la sua capacità di vivere pareva venir sempre meno.
Il piccolo appaltatore Artù non aveva mantenuto fede ai suoi impegni verso Giuseppe. Era accaduto che alcuni lavori di arginatura del fiume Buonamico erano stati rotti dalle acque avanzanti. Il proprietario del fondo che aveva ordinato i lavori non aveva [...]

[...] qualità dei materiali adoperati e l'indugio eccessivo nel lavoro. Intervenuto il tribunale, solo una porzione del credito venne liquidata a favore dell'appaltatore. Questi allora ridusse lo stipendio che aveva stabilito per Giuseppe.
In seguito vennero fatti lavori di riparazione su un muro pericolante della chiesa; i denari, raccolti dai fedeli, erano pochi. Se l'appaltatore stesso affermava di non poter ricavare da quella somma nessun utile, come poteva Giuseppe pretendere un buon compenso ?
Si aggiunga che in famiglia Rosaria per niente pensava a tempo alle riserve da fare sui cibi, che tutto per incuria o ignoranza si comprava a prezzo maggiore della media, che le sorelle Agata e Peppina nella diminuzione dei guadagni avevano bisogno di Giuseppe, e che le nuove abitudini erano più costose di prima, e si capirà come ogni giorno che passasse significava un peggioramento della situazione.
Aveva ben cura Giuseppe di non portare le caramelle e i cioccolatini ad Ernestina, sentendosi pungere il cuore dalla domanda di lei:
132 MARIO LA CAVA
« Papà come mai non porti più nulla per me? ». Non per questo il bilancio della famiglia migliorava e il futuro non era visto con timore.
Finiti i lavori della chiesa, segui un lungo periodo di sosta, nel quale l'appaltatore Arta non intese pagargli di stipendio neppure un centesimo. Giuseppe fu costretto ad offrire i suoi servigi all'ingegnere Pappalone che già altra volta gli aveva detto di non avere bisogno di lui. Ora era evidente che dovesse avere bisogno di qualcuno, poiché l'assistente che aveva era partito. Ma l'ingegnere Pappalone rispose che non lo poteva proprio accontentare. Fra sé pensava: [...]

[...]mento? ». E trovava altro dipendente ritenuto migliore.
Si rivolgeva allora Giuseppe al commerciante Carabino che aveva anche una vasta proprietà fondiaria da amministrare. Questi non gli rispose né si né no. Giuseppe stette con l'animo sospeso per molto tempo. E non ne guadagnò che il rancore dell'appaltatore Artù che non ammetteva per il suo dipendente il diritto di cercare altra strada se con lui non poteva vivere.
Ora Giuseppe era divenuto come ai primi tempi del suo ritorno dall'Egitto, quando lungamente dovette affaticarsi per ottenere un posto civile nel suo paese, adatto alle nuove pretese: con la differenza che prima aveva qualche soldo in tasca, la moglie era più attiva e l'animo era sereno; mentre oggi come tutto era enormemente ingrandito in peggio!
I soldi sfumavano a vista d'occhio; già se avesse voluto intraprendere un viaggio d'emigrazione, avrebbe dovuto chiederli in prestito. Inoltre aveva vergogna di rivolgersi ai cognati, che di là, dall'Egitto, scrivevano convinti che s'era sistemato bene, come se con ciò avesse dovuto confessare la sua incapacità a mantenere la moglie e la figlia.
Certamente egli in Egitto non sarebbe più ritornato; aveva fatto una volta l'esperienza dell'Egitto, e non voleva ripeterla. L'America sarebbe stato il paese del suo avvenire; e poiché nel nord non si poteva andare o bisognava aspettare lungamente per ottenere il permesso, egli avrebbe potuto andare nel sud, in Argentina, dove vi erano tanti paesani. Li avrebbe trovato la fortuna che in Egitto gli era sfuggita di mano e qui in Italia era completamente scomparsa.
IL GRANDE VIAGGIO 133
Ma come fare per a[...]

[...]tornato; aveva fatto una volta l'esperienza dell'Egitto, e non voleva ripeterla. L'America sarebbe stato il paese del suo avvenire; e poiché nel nord non si poteva andare o bisognava aspettare lungamente per ottenere il permesso, egli avrebbe potuto andare nel sud, in Argentina, dove vi erano tanti paesani. Li avrebbe trovato la fortuna che in Egitto gli era sfuggita di mano e qui in Italia era completamente scomparsa.
IL GRANDE VIAGGIO 133
Ma come fare per andare? E chi avrebbe convinto Rosaria? E come avrebbe confortato se stesso che per la prima volta si sarebbe dovuto separare dai suoi?
Pensava a Rosaria, dimagrita dopo la disgrazia, con tante rughe in faccia da non riconoscersi piú. Ecco, la sua gioventù era per sempre finita. Non più il suo cuore palpitava di amore, non più si rivolgeva al marito come al suo uomo.
E pure Giuseppe, con un dente di sopra mancante, stanco per i dispiaceri e le preoccupazioni, cos'era più del giovane uomo di un tempo? La vita aveva perduto per lui ogni attrattiva. Non l'avidità di ricchezze o lo spirito d'avventura lo spingeva verso i più lontani paesi, ma la necessità del pane quotidiano.
E per questo avrebbe dovuto lasciare una povera donna da cui mai si era allontanato, per questo avrebbe dovuto strapparsi dalle braccia dell'unica figliuola rimastagli, quella figliuola diventata giovinetta e che forse avrebbe rivisto un giorno del tutto diversa, sposa di [...]

[...]occorrente per vivere e la dote della figliuola. Con mezzi maggiori, una nuova vita sarebbe sorta nel paese, e gli errori di prima non si sarebbero ripetuti.
Parlò a Rosaria dei suoi progetti. « No, no, meglio restare qua. Non sarei capace di partire dalla terra dove so che dorme la mia bambina! », rispose la moglie che aveva creduto di doverlo accompagnare.
« Tu resterai qui con la bambina. E io in pochi anni farò fortuna. Poi ritornerò. Vedi come ogni cosa mi va male, vedi come è stato un errore ritornare troppo presto dall'Egitto! ».
« E perché non vuoi ritornare al Cairo, dove i fratelli potrebbero aiutarti? ».
« So che in America si possono fare guadagni maggiori coi quali ritornerei più presto a casa... ».
« Io non so... Ma ho paura di restare sola! Vedi come sono ammalata e stanca...».
134 MARIO LA CAVA
«Se tu stessa ti rivolgessi alla famiglia Chirico che sempre ti ha voluto bene, potresti ottenere un prestito per il viaggio con poco interesse, o senza affatto interesse... ».
« Ma davvero vuoi dunque partire? », gridò Rosaria e si mise a piangere come una bambina.
In seguito si discusse a lungo della cosa. Agata e Peppina questa volta non insisterono per la partenza, pur mostrando di non essere scontente. Al contrario, commare Carmela vantò la convenienza di un simile viaggio, dimenticando quanto aveva detto in proposito al tempo della partenza per l'Egitto. Rosaria restava senza parola, mentre la decisione poco per volta si confemava.
Andò, secondo il desiderio del marito, a chiedere i denari alla famiglia Chirico; ma si comportò così confusamente che quelli credettero li volesse avere in dono, per l'amicizia che c'era; e risposero di n[...]



da Vasco Pratolini, Firenze, marzo del ventuno in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: N UOVI ARGOMENTI
N. 42 43 Gennaio Aprile 1960
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO
1
Le cronache d'Italia sono un susseguirsi di faide, di scontri di fazioni, di lotte civili. Su di esse hanno sempre finito per imporsi le dittature, le oligarchie, come le dominazioni. Venuti a patti con la Chiesa, garantitesi questa complicità e questa innocenza, rispettati i diritti della Fede, i Tiranni i Signori gli Usurpatori, sembra sian riusciti a distruggere, di coteste lotte, perfino la tradizione orale. Se di tali cronache si giovasse la storia, il volto d'Italia apparirebbe mutato. Ma é pur questo, mascherato, il volto dell'Italia. E il segreto della sua forza, percui il più ignorante e sprovveduto degli italiani non si sente ma é cittadino del mondo, consiste nella capacità del suo popolo di ricominciare sempre daccapo. Firenze é il centro millen[...]

[...]lla sua forza, percui il più ignorante e sprovveduto degli italiani non si sente ma é cittadino del mondo, consiste nella capacità del suo popolo di ricominciare sempre daccapo. Firenze é il centro millenario ed esemplare di queste continue insurrezioni tramutatesi in sconfitte delle classi popolari. Dai Ciompi alla gente del Pignone, é diversa la mentalità, i mezzi d'attacco e di repressione, son diversi i costumi, le cognizioni, le iniziative, come identici i resultati. A una sommossa corrisponde un Michele Lando e c'è un Salvestro dei Medici che gli tiene le redini sul collo, lo guida, lo scatena e lo trattiene a seconda giova alla sua parte, Grassa o Mediana ch'essa sia. Questo popolo si é fatto un'insegna della propria disperazione e gli basta una battuta mordace per scamparne, Esso non ha mai avuto fede nel Destino. Non ci crede. Miele e fiele non li distingue per via di una consonante; sulle sue labbra hanno lo stesso sapore. E il suo stendardo, quel giglio rosso in campo bianco, non è una stigmate sulla sua coscienza immacolata. E[...]

[...]he l'attraversava, sono ancora quelli: dal Cin
2 VASCO PRATOLINI
quecento ad oggi, nessuna piena li ha più potuti sradicare. Ce n'è quattro in un chilometro; tutto il mondo .li conosce e li ammira.
Il primo, e il più a nord, é il ponte alle Grazie. Era il 1238 quando Rubaconte da Mandell°, milanese e Podestà dei Fiorentini, presenziò l'inaugurazione. Fu anche il primo ponte in muratura; perciò da allora non ha mai tentennato. Sulle sue pigne, come su quelle di Ponte Vecchio, si eressero delle piccole case dove, invece di botteghe, vi si aprirono oratori. Questo. ponte prese il nome dal suo padrino, fino al giorno in cui un'immagine sacra non incominciò ad elargire delle grazie, dentro quegli oratori.
Risalendo il corso del fiume, ponte Vecchio é il secondo, e il più antico. Lo gettarono i padri etruschi; poi, nell'età di Cesare, la Colonia Florentia venne ad affondarvi le sue radici. Così come appare, lo ideò Taddeo Gaddi, dicono, ma il Longhi lo nega, dopo che la gran piena del Tre Tre Tre una volta di più lo aveva scancellato, porta[...]

[...]u quelle di Ponte Vecchio, si eressero delle piccole case dove, invece di botteghe, vi si aprirono oratori. Questo. ponte prese il nome dal suo padrino, fino al giorno in cui un'immagine sacra non incominciò ad elargire delle grazie, dentro quegli oratori.
Risalendo il corso del fiume, ponte Vecchio é il secondo, e il più antico. Lo gettarono i padri etruschi; poi, nell'età di Cesare, la Colonia Florentia venne ad affondarvi le sue radici. Così come appare, lo ideò Taddeo Gaddi, dicono, ma il Longhi lo nega, dopo che la gran piena del Tre Tre Tre una volta di più lo aveva scancellato, portandosi come relitti d'un naufragio i legni della sua armatura. Già da un secolo prima, in un'altra notte e di agguati e di fazioni, su quelle tavole, Buondelmonte ci aveva lasciato la vita.
Il terzo é ponte a Santa Trinita, costruito a spese dei Frescobaldi che in quel punto del fiume, ma di là, avevano le loro case. Crollò sei volte, e sei volte lo si rimise in piedi, dopo che fra Sisto e fra Ristoro domenicani l'ebbero progettato, come per dar tempo, diciamo, all'Ammannati, di rilanciare sulle acque dell'Arno il più bel ponte che mai fiume al mondo abbia lambito.
L'ultimo è il ponte alla Carraja. Lo stesso Ammannati disegnò la sua struttura, e senza i suggerimenti di Michelangelo, se ci sono stati, come per Santa Trinita. In origine, ancora nel secolo XIII, lo chiamavano ponte Nuovo: per distinguerlo dal Vecchio, é naturale. Se l'erano pagati gli Umiliati d'Ognissanti, bisognosi di uno scalo per le stoffe che uscivano dal loro convento, situato dirimpetto al fiume e alla porta Carrìa. Costi, essendo il ponte che incontravano per primo, facevano capo i carri provenienti dal contado, nel tempo in cui il porto di Firenze era più a valle, ed una grossa pigna di pietra, che i fiorentini digià chiamavano il pignone, serviva all'attracco dei barconi.
Questa era la città e i suoi ponti nel giro del[...]

[...]ta. Quartieri operai hanno fatto corpo con le antiche Mura. Ora l'Arno entra in città alla Nave a Rovezzano dove c'è un traghetto, percorre sei chilometri non uno, per trovare l'altro traghetto, al di là delle Cascine. E ai due estremi della città, da un secolo o quasi, ci sono due ponti nuovi.
Sono due ponti provvisori che da novant'anni servono all'uso cui sono destinati. Li progettarono degli ingegneri di cui s'é perso il nome, ma sono belli come gli antichi: provvisori e ormai secolari come l'età che rappresentano. Non hanno una struttura originale, ma ardita. Sono di ferro; e sono sospesi, quello a valle. Nessuna pigna lo regge, nessuna arcata, bensì degli alti piloni, infissi sulle due rive. Il pavimento è ancora di legno; e i parapetti a cui non ci si può affacciare a meno di non essere dei giganti, sembrano delle grate. Son li da un secolo, e non hanno ancora un nome: il popolo che vi cammina sopra non li ha ancora battezzati, forse non gli vuole bene. Li ha distinti spartendo i due aggettivi. Uno é il ponte di Ferro che dà sui viali di San Niccolò; l'altro è il ponte Sospes[...]

[...]ro è il ponte Sospeso che immette nel quartiere del Pignone. Li regalò a Firenze, Leopoldo di Lorena, ossia un'impresa privata a cui Leo poldo li aveva appaltati e che malgrado il passaggio e delle dinastie e delle istituzioni, si fa ancora pagare il pedaggio. Del resto, cos'è un soldino?
È dall'epoca di questi nuovi ponti che c'é qualcosa di cambiato. La gotta di Gian Gastone aveva estinto la discendenza e il potere dei Medici. Per un momento, come tutta l'Europa, si fu un . feudo di Napoleone; quindi vennero i Lorena. Leopoldo era stato l'ultimo padrone. Lo si ricorda con simpatia; durante i vent'anni del suo granducato, egli non si limitò a commissionare i ponti nuovi, ma costruì le prime strade ferrate, la Fonderia del Pignone, la
4 VASCO PRATOLINI
Manifattura di San Pancrazio com'è ora; e portò l'acqua, allargò le strade. I fiorentini lo chiamavano babbo, chi con venerazione chi con ironia. Gli dettero qualche pedata quando non ne poterono proprio fare a meno: nel Quarantotto e poi, una definitiva, all'alba del Cinquantanove. Ma n[...]

[...]stinguere la zona giovane e quella antica. L'una, il Quartiere di Rifredi, per la stessa superficie che ricopriva, verso nordovest, fuori della topografia urbana, era destinata ad estendersi nell'avvenire. L'altra, non vecchia ma antica, e nel cui cuore avevano svettato le ciminiere leopoldine, ancorché viva ed attiva, stretta com'era dalle sue case, schiacciata tra il fiume, le colline e San Frediano, aveva chiuso il ciclo della sua espansione. Come gremito della sua gente, questo era il Pignone. Sussisteva un terzo nucleo, a suo modo decentrato, con una seconda grande Fonderia e un moderno Pastificio, nel rione delle Cure, ormai tutto villini, dove gli operai ci lavoravano ma non ci stavano di casa. Ora crescendo le generazioni, ci si partiva ogni mattina dal Pignone, per andare a lavorare non soltanto alle Cure, ma a Rifredi; e travasando sangue a sangue, in una vita ch'era per tutti uguale.
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 5
Il Pignone restava la cittadella operaja; tra la sua gente, gravitandovi San Frediano e la campagna, vi si mischiav[...]

[...]operai ci lavoravano ma non ci stavano di casa. Ora crescendo le generazioni, ci si partiva ogni mattina dal Pignone, per andare a lavorare non soltanto alle Cure, ma a Rifredi; e travasando sangue a sangue, in una vita ch'era per tutti uguale.
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 5
Il Pignone restava la cittadella operaja; tra la sua gente, gravitandovi San Frediano e la campagna, vi si mischiava l'artigianato superstite, e gli ortolani e i braccianti, come la plebe. « La teppa », si diceva. Dirimpetto, sulla riva destra del fiume, si trovava, come adesso, il parco delle Cascine che accompagna l'Arno fin là dove riceve nel suo letto il Mugnone. Costi, c'era l'Isolotto, le montagne d'immondizia che gli spazzini venivano a scaricare da ogni parte della città, e parallele le ultime case del quartiere. Un breve tratto deserto e incominciava il suburbio, il contado, coi primi orti di Monticelli, di Legnaja, di Soffiano. L'altro confine era fuori Porta San Frediano. Divisi dalle antiche mura, San Frediano e il Pignone potevano tenersi d'assedio. Le colline di Bellosguardo e di Montoliveto, erano i contrafforti. Dalla parte del fiume, che li s[...]

[...]ano e il Pignone potevano tenersi d'assedio. Le colline di Bellosguardo e di Montoliveto, erano i contrafforti. Dalla parte del fiume, che li separava entrambi dal resto della città, il Pignone seguitava San Frediano. Chiusa la Porta, messo un posto di blocco all'altezza di Monticelli, bastava una sentinella all'imbocco del ponte Sospeso, perché il Pignone fosse al riparo dalle offese. Là, a Rifredi, l'apertura dei prati, la zona stessa, distesa come su un'unica lunga strada e sparsa sui due lati, rendevano possibile ogni irruzione. Il Pignone, non potendo operarvi dall'interno, lo si doveva forzare. Fu un assedio che durò gli anni Venti e Ventuno, con colpi di mano, agguati, spedizioni da parte delle Bande Nere, finché la gente del Pignone non si decise essa a una sortita. Questo rappresentò la sua vittoria, la sua tragedia e la sua capitolazione. Ne fu pieno il mondo, il giorno dopo, della sua impresa disperata.
2
C'era tutto il Pignone, cotesta sera; c'era mezzo San Frediano; ed erano venuti, alla spicciolata, o ci si era trattenuti,[...]

[...] Popolo appena devastata, col cuore in gola e il sangue avvelenato. I comignoli
6 VASCO PRATOLINI
della Fonderia fumavano; i panni dei tintori erano stesi ad asciugare, l'Arno andava lento e grosso per via delle piene di prima vera. Erano le sette di sera e il sole tramontava tutto fuoco, basso sul fiume e dietro le Cascine; avvolgeva di un riflesso accecante il ponte Sospeso, e sembrava renderlo anche più aereo, isolato nel vuoto: la luce era come se incorporasse nelle strutture i cavi che descrivendo una mezza ellissi, lo trattenevano da pilone a pilone
e dall'una all'altra riva.
Il ponte era deserto: e l'uomo a cui si pagava il pedaggio, chiuso nel suo casotto di legno come dentro una garritta, sporgeva la testa e scrutava ai due orizzonti. Gli sembrava assurdo che, alle sette di sera, non un'anima attraversasse il ponte. « Non s'é mai dato », si disse. C'era troppo silenzio, troppa calma, come un istante prima che batta il terremoto. « Stasera » egli pensò « E brinata ». Era un uomo di sessant'anni, e da più di trenta stava al capo di Ponte; nemmeno le guerre erano state capaci di rimuoverlo. Egli non era dei loro, ma la gente del Pignone la conosceva. Da un secolo, poteva dire; giorno per giorno l'aveva vista attraversare il Ponte, col bel tempo e sotto il temporale, quando c'era il solleone
e quando tirava la tramontana. E quelli del Pignone conoscevano lui, e i due centesimi un tempo, poi i soldini, che dalle loro tasche erano finiti nelle sue mani. « Bona, Masi » gli dicevano.[...]

[...]uoverlo. Egli non era dei loro, ma la gente del Pignone la conosceva. Da un secolo, poteva dire; giorno per giorno l'aveva vista attraversare il Ponte, col bel tempo e sotto il temporale, quando c'era il solleone
e quando tirava la tramontana. E quelli del Pignone conoscevano lui, e i due centesimi un tempo, poi i soldini, che dalle loro tasche erano finiti nelle sue mani. « Bona, Masi » gli dicevano. « Ci fai passare a scapaccione? ». «Sicuro, come se il ponte fosse mio », egli invariabilmente rispondeva: e ancora era vivo Umberto I
e Garibaldi scriveva lettere da Caprera: ne aveva scritta una alla "Mutuo Soccorso tra gli Operai del Quartiere del Pignone". « Come non fossi anch'io un sottoposto. Girate dalla Carraja e arrivate a casa per borgo San Frediano, se non ci avete il saldino, o vi pesa pagare ». Ciascuno di loro, egli se l'era visto passare davanti ancora in pancia alla madre, e poi ragazzo che strusciava carponi per non versargli il tributo, e poi giovanotto col primo velocipede e la prima ragazza a braccetto, col primo damo e i capelli tirati sulla testa; tutte le mattine, sempre col fagottino sotto il braccio, e ora vestiti con la tuta che era venuta di moda anche sul lavoro. Conosceva loro e le loro donne; i loro uomini e loro, le fanciul[...]

[...] tutte le mattine, sempre col fagottino sotto il braccio, e ora vestiti con la tuta che era venuta di moda anche sul lavoro. Conosceva loro e le loro donne; i loro uomini e loro, le fanciulle appena sbocciate e i vecchi col bastone. « Qui, stasera, non mi dice
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 7
nulla di buono, col bubu che c'é in città, con questa bomba che é scoppiata », si ripeteva, e appuntava il lapis per darsi daffare. Di lato al suo stabbiolo, come di sentinella ai due piloni, stavano i due carabinieri in tenuta di campagna e coi moschetti infilati alla spalla. Il suo stabbiolo era all'ingresso del ponte, dalla parte delle Cascine: il pedaggio si pagava una volta soltanto, per entrare; uscire dal Pignone si poteva anche se vi si era entrati da tutt'altra parte; e dalle dieci di sera alle sei del mattino il traffico era libero in entrambe le direzioni. Durante le altre sedici ore, c'era il Masi dentro il suo stabbiolo, e gli si doveva il saldino. L'Impresa non si fidava che di lui; siccome non si rilasciano né contromarche né scontrini. [...]

[...]ilati alla spalla. Il suo stabbiolo era all'ingresso del ponte, dalla parte delle Cascine: il pedaggio si pagava una volta soltanto, per entrare; uscire dal Pignone si poteva anche se vi si era entrati da tutt'altra parte; e dalle dieci di sera alle sei del mattino il traffico era libero in entrambe le direzioni. Durante le altre sedici ore, c'era il Masi dentro il suo stabbiolo, e gli si doveva il saldino. L'Impresa non si fidava che di lui; siccome non si rilasciano né contromarche né scontrini. "Ad essere disonesti in trent'anni si sarebbe potuto farsi d'oro". Soltanto un giorno al mese, ch'egli andava a trovare sua moglie a Trespiano, lo sostituiva uno dei due impiegati dell'Impresa, gli stessi che venivano a ritirare l'incasso a una cert'ora. Ma per poco, ci si poteva giurare. Presto il ponte sarebbe stato riscattato dal Comune, com'era digià successo per il gemello di San Niccoló che aveva meno transito e quindi rendeva meno. Questione di tempo, e il Masi sarebbe andato in pensione. « Ma chi me la dà, la pensione ? » si lamentava. «[...]

[...]otere ».
Questo fino a un anno fa, che s'erano barricati dentro la Fonderia e uno di loro stava di guardia sul ponte, al largo dai carabinieri, e se venivano dei rinforzi il Masi gli faceva cenno fingendo di togliersi il berretto e grattarsi dietro l'orecchio. Ora, invece, gli dicevano, ma tra i denti e mentre gli versavano il soldino: « Sei una carogna, Masi, ma bada, i capelli bianchi non ti salvano, prima o poi, da una libecciata ». Egli era come il ponte affidato alla sua custodia, preso tra due fuochi. I fascisti gli passavano davanti, sui camion, come se lui fosse li a far la statuina. Il ponte è stretto: ha novant'anni, é sospeso, ai veicoli é proibito transitare. «Diglielo a un altro! » al massimo gli rispondevano. E come se fosse un cane, per mettergli paura: «Pulsa via! ». Se non usciva dalla garritta, lo appestavano di fumo. Oppure veni
8 VASCO PRATOLINI
vano appiedati: « È tornato a casa il tale ? L'hai visto passare ? ». Dapprincipio aveva risposto: «Non lo conosco, ci passa tanta gente, non so chi sia ». Ora, dopo che anche a lui avevano promesso mazzolate : « Mi pare di si, mi pare di no » rispondeva. « Non sono sicuro ». Ma giorno per giorno, ormai, era più le volte che gli diceva la verità, di quelle che gli mentiva. E loro del Pignone, gli promettevano le stesse mazzolate; i ragazzi gli buttavano i[...]

[...]i avevano promesso mazzolate : « Mi pare di si, mi pare di no » rispondeva. « Non sono sicuro ». Ma giorno per giorno, ormai, era più le volte che gli diceva la verità, di quelle che gli mentiva. E loro del Pignone, gli promettevano le stesse mazzolate; i ragazzi gli buttavano i rospi dentro lo sportello, i vecchi gli dicevano: « Vergógnati », e vecchi com'erano, anche piú di lui, lo minacciavano col bastone. Le donne gli versavano il soldino: « Come va signor Soffioni? ». Poi sputavano per terra e ci fregavano sopra col piede, le cimbardose.
I due carabinieri andavano su e giú, meglio lasciarli fare. Dalla parte delle Cascine, come ogni sera, c'erano quelle balie e quelle madri, non certo del Pignone, coi ragazzi per la mano, che spingevano la carrozzina. Sull'Arno, e lontano, il traghetto dell'Isolotto, un renaiolo sul barcone. Anche sull'Arno, era come non ci fosse nessuno; o per via del riflesso, non si vedeva. Il fiume scorreva con un certo moto; era calato dopo l'ultima piena, ma era ancora alto da coprire metà degli argini. È sempre così, di primavera. Gonfio, ma calmo, quasi verde e ora tutto barbagli; sotto il ponte schiumava un po', siccome fa un balzo alla pescaja di Santa Rosa, quando tocca San Frediano. Dall'altro capo, sullo slargo dove incominciano via dell'Antonella e via Bronzino, c'era la stessa gente di tutte le sere, ma era come se stesse ferma ad aspettare qualcuno o qualcosa che sarebbe dovuto arrivare da un momento all'altro. Era i fascisti che aspettavano: gliel'avevano mandato a dire, non si sapeva da chi, non si sanno mai queste cose, che sarebbero tornati stasera: "E prima di buio, giacché al Pignone si vuol rialzar la testa e lanciano le sfide, questi puzzolenti, queste bucaiole". Ora pretendevano che il Masi gli facesse il saluto. « Abbiamo sistemato San Frediano, con la teppa che c'é, figurati se non pieghiamo il Pignone! ».
San Frediano, l'avevano messo a posto come nemmeno la Pa lizia c'era mai riuscita;[...]

[...] i fascisti che aspettavano: gliel'avevano mandato a dire, non si sapeva da chi, non si sanno mai queste cose, che sarebbero tornati stasera: "E prima di buio, giacché al Pignone si vuol rialzar la testa e lanciano le sfide, questi puzzolenti, queste bucaiole". Ora pretendevano che il Masi gli facesse il saluto. « Abbiamo sistemato San Frediano, con la teppa che c'é, figurati se non pieghiamo il Pignone! ».
San Frediano, l'avevano messo a posto come nemmeno la Pa lizia c'era mai riuscita; e pigliandolo di sotto e di sopra, dalle spalle e di petto; entrandoci attraverso le Mura, o da Ponte alla
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 9
Carraja, o dai viali, o da Porta Romana. Oppure, passando chiotti chiotti dal ponte Sospeso e girando al largo dal Pignone. Era sempre buio; Masi non li aveva mai visti in viso. Ma perché lui si peritava di guardare, non perché essi nascondessero la faccia. Non li guardava, ma li avrebbe potuti riconoscere, anche loro, uno per uno. Tutti dei ragazzi, comunque, che avevano fatto appena in tempo ad assaggiare la trincea[...]

[...]non li aveva mai visti in viso. Ma perché lui si peritava di guardare, non perché essi nascondessero la faccia. Non li guardava, ma li avrebbe potuti riconoscere, anche loro, uno per uno. Tutti dei ragazzi, comunque, che avevano fatto appena in tempo ad assaggiare la trincea; e si vedeva, non nascevano dal nulla. Del resto, nessuno glielo comandava, di andare a bastonar la gente, a purgarla, a buttare all'aria le Case del Popolo. Se rischiavano, come rischiavano, era per qualcosa più forte di loro, dovevano credere di far bene. E perché erano dei fegatacci e gli piaceva intimorire la gente. Forse, in guerra, erano stati negli Arditi. Andavano e tornavano cantando. Quando stavano zitti, non erano sui camion, erano in meno e venivano a due o tre per volta, a piedi o con un'automobile; allora succedeva qualcosa di grosso, che dopo, a stento si riusciva a sapere. Da queste spedizioni, che chiamavano punitive, non tornavano mai a vuoto, mai senza aver usato le mani; e i manganelli che ci tenevano penzoloni. Le rivoltelle le avevano dentro la f[...]

[...] gli reggeva la vita. Non avevano paura di farsi riconoscere; cantavano e il più delle volte erano in divisa. La camicia nera aperta sul petto anche di gennaio; o col collo alto che gli pigliava tutta la gola; i pantaloni da soldato, coi gambali, o con le mollettiere. Chi in calzoni a righe, chi vestito di tutto punto, con la lobbia che davvero pareva un signorino. Pochi portavano il fez, cotesto aggeggio lo inalberavano nei cortei; i più erano, come si dice, a zucca vuota. Così, capelli al vento e manganello tra le mani, avevano messo a sedere San Frediano, facendovi irruzione una sera ogni tanto, quando pareva se ne fossero scordati. Fino alla sera della battaglia, che loro erano una cinquantina e si trovarono di fronte altrettanta gente, molta di più. « Un buscherio ». Gli rovesciarono addosso, dalle finestre, l'olio bollente; la teppa di via San Giovanni, ne prese uno e stava per infilarlo alla cancellata del Tiratoio; un altro "fu messo al muro e sorbottato, le donne gli strizzavano i cordoni". Ci fu un morto, ma tra quelli di San Fr[...]

[...]ta cazzottata in via del Leone. Qualche sera dopo, invece di loro, ma in mezzo qualcuno ce n'era, lo dicono questi del Pignone e in San Frediano, venne l'Esercito con l'autoblindo, bloccò via San Giovanni, e circondò piazza Tasso; la Polizia, cosí protetta, fece una retata. Dopotutto, se non al Pignone, chi é in San Frediano che non é schedato ? Tra poco, non importa più essere né ladri né ruffiani; « basta ti bollino per sovversivo ». Pensatela come volete, un ordine ci vuole; sistemato San Frediano, si erano buttati sul Pignone. Un osso un po' più duro.
Come in San Frediano, anche al Pignone abitavano dei fascisti; e mentre in San Frediano erano in diversi, ma quando c'era da bussare si eclissavano, al Pignone, i fascisti si contavano sui diti, e al contrario, erano i più coraggiosi. Essi, guidavano le spedizioni. È così, dove c'é più api c'è più miele. Specie con Folco Malesci. Con l'ingegnere. Avrà avuto venticinque anni, nemmeno; non ancora di leva, era andato al fronte volontario. Era un animo irrequieto; negli ultimi tempi della guerra si era fatto aviatore. Poi era stato a Milano, era stato a Fiume. Era stato anche all'estero, aveva viaggia[...]

[...]aggiosi. Essi, guidavano le spedizioni. È così, dove c'é più api c'è più miele. Specie con Folco Malesci. Con l'ingegnere. Avrà avuto venticinque anni, nemmeno; non ancora di leva, era andato al fronte volontario. Era un animo irrequieto; negli ultimi tempi della guerra si era fatto aviatore. Poi era stato a Milano, era stato a Fiume. Era stato anche all'estero, aveva viaggiato. Conosceva Mussolini di persona. Sembra che D'Annunzio gli scrivesse come Garibaldi scriveva a quelli della Mutuo Soccorso. Di più. E dacché era tornato, malgrado avesse preso moglie e avuto svelto svelto due figlioli: « Ora si ripulisce il Pignone », diceva, non aveva altro pensiero. Da poco, lo chiamavano già ingegnere, aveva un'Impresa di costruzioni insieme col cognato; riusciva a tener dietro a cento cose, comprese le donnine, tuttavia non pensava che a questo: « Se il Pignone é la cittadella rossa, la farò saltare ». Suo padre che da sempre aveva la tintoria e durante la guerra l'aveva ingrandita, era ricco, ma più pesce che carne, badava alla sua azienda, ai[...]

[...]E chi si ribellava, questa era la voce, lo aspettava, calato il sole, e lo tuffava dentro le caldaie della tintoria. Tutte cose che si sentivano dire, che prove ne vuoi avere ? Gli altri mettevano a posto San Frediano; e Folco e i suoi amici, loro tre soli, qualcuno di rinforzo ogni tanto, avevano sparso il terrore da Monticelli a Legnaj a. Entravano negli orti e facevano piazza pulita. Oppure, certe mattine, all'alba, quegli ortolani, partivano come al solito coi barroccini per andare al mercato; e sparivano: loro, il ciuco, il barroccio e quanta c'era sopra. Era la seconda volta nel giro di due anni che succedeva; la gente del Pignone mormorava il nome dell'ingegnere, i giornali puntavano sulla teppa di San Frediano, e la Polizia, erano passati due anni, non aveva cavato un ragno dal buco. Folco era sempre più spavaldo. Smilzo com'era, sembrava di gomma, gli andava tutto bene. Ma perché presentava la faccia; perciò non si poteva credere che i due ortolani li avesse fatti sparire lui. Nemmeno al Pignone ci credevano sul serio. In un cert[...]

[...]n ragno dal buco. Folco era sempre più spavaldo. Smilzo com'era, sembrava di gomma, gli andava tutto bene. Ma perché presentava la faccia; perciò non si poteva credere che i due ortolani li avesse fatti sparire lui. Nemmeno al Pignone ci credevano sul serio. In un certo modo, lo temevano e lo rispettavano. Una notte che lo avevano aggredito mentre tornava a èasa, sembra con l'intenzione di seppellirlo sotto la spazzatura dell'Isolotto, non si sa come, eppure riuscì a liberarsi, e senza uno sgraffio, senza una lividura. Da allora, era diventato una jena. Aveva cambiato espressione; prima rideva sempre e ora aveva sempre il muso. Non rispettava più nemmeno gli operai di suo padre. Passava con quello dei basettoni e l'altro, il Pomero perché rosso di pelo, uno per fianco, ed era come si aprisse il vuoto davanti a loro. Tuttavia, a fondare il Fascio del Pignone non s'era azzardato. Doveva essere la sua rabbia e la sua pena; era la sola cosa che minacciasse e non si decidesse a fare. E ora, siccome dopo l'ultima spedizione contro la Casa del Popolo, quelli del Pignone non si sa, loro, cosa vogliano fare, Folco gli ha mandato a dire, che verrà una di queste sere, quando va giù il sole e con una squadra, la Disperata o le Fiamme Nere, come tre mesi fa in San Frediano. « Una di coteste sere può essere stasera, s'annusa nell'aria, non bastasse il resto, figlioli. E una domenica nata male. Scoppiata quella bomba, dicono in mezzo a via dei Tornabuoni: qui non si può sapere, qui si sa quello che chi passa ti vuol raccontare, e meno si sa meglio si vive: la città
12 VASCO PRATOLINI
é deserta e come sottosopra, é una contraddizione. Chi é stato? Gli anarchici, chi vuoi siano stati ? ». E loro fascisti l'hanno presa per un'offesa personale. Dianzi, come il vento, avevano perfino i soldini belI'e contati, non hanno neanche segnato il passo, quattro o cinque di questi giovanotti del Pignone, son rientrati dal centro con gli occhi che gli sbuzzavano dal viso: « Gavagnini ce lo pagano caro », hanno gridato. « Diglielo ai tuoi amici, ruffiano! ». Io non ho amici, lui aveva pensato. Né voialtri, né loraltri, son solo. « Digli che non s'azzardino. Digli che ci andiamo noi a cercarli stasera ». E sembra, ora, che una per una, si siano vuotate le case, di lá dal ponte.
Ecco, il sole è digiá mezzo affogato in Arno, dopo l'Indiano. Come tutte k sere, [...]

[...]Pignone, son rientrati dal centro con gli occhi che gli sbuzzavano dal viso: « Gavagnini ce lo pagano caro », hanno gridato. « Diglielo ai tuoi amici, ruffiano! ». Io non ho amici, lui aveva pensato. Né voialtri, né loraltri, son solo. « Digli che non s'azzardino. Digli che ci andiamo noi a cercarli stasera ». E sembra, ora, che una per una, si siano vuotate le case, di lá dal ponte.
Ecco, il sole è digiá mezzo affogato in Arno, dopo l'Indiano. Come tutte k sere, il cielo é un fuoco, percui ci si vede meno che se fosse mezzanotte. I due carabinieri di guardia al ponte, quelli dalla parte del Pignone, non si distinguono proprio, forse più che il riflesso li coprono i piloni. Ma si vede quella gente che sta ferma sulla piazza.
« Cosa stanno per tramare ? », si domandava il Masi.
Egli era più vecchio di quanto non sembrava; al Pignone lo dovevano capire, invece di star 11 fermi a guardarlo, lontani quant'è lungo il ponte che pareva l'avessero più di sempre e soltanto con lui. Era più vecchio dei suoi sessant'anni e dei suoi capelli bianch[...]

[...]; al Pignone lo dovevano capire, invece di star 11 fermi a guardarlo, lontani quant'è lungo il ponte che pareva l'avessero più di sempre e soltanto con lui. Era più vecchio dei suoi sessant'anni e dei suoi capelli bianchi, anche se non aveva bisogno del bastone. Gli premeva il posto che occupava; la pensione o lo sborso che l'Impresa, se non l'Impresa il Comune, gli avrebbe dovuto dare. Non s'augurava venisse cotesta ora, si spaventava a pensare come avrebbe impiegato la giornata, ma non voleva, una volta tolto il pedaggio, ritrovarsi senza mangiare. Lui, e quelle due bestie, poverine! Egli era solo al mondo, abitava sul Prato, la moglie gli era morta: Da quanto? Da sempre, poverina! La sua compagnia erano due tortore che lo aspettavano la sera quando tornava a casa. II mestiere l'aveva reso taciturno; le lunghe ore, i decenni trascorsi dentro il suo stabbiolo, con tutta la gente che gli passava davanti, oh se avesse dovuto dire a tutti buongiorno e buonasera! Rispondeva se lo provocavano, e gli bastava. « Hanno sempre una tale voglia di [...]

[...]e invece di passare dalla corsia, cercano di scavalcare la sbarra piano piano ». E non tanto per risparmiare, quanto per la soddisfazione di buggerare me e l'Impresa di un soldino! ». Egli era amico di tutti, e di nessuno. "Ma chi vi conosce, ma chi siete?". Scontroso e affabile a giorni, secondo l'umore che ormai andava col tempo. « Quando fa freddo o quando fa bufera, di qui dovete passare, uno per volta, e io vi bollo! Ma di cotesta stagione, come d'agosto, ve lo raccomando star chiuso dentro questa prigione! Col caldo le tavole del ponte scricchiolano che sembra da un momento all'altro si debbano schiantare; se tira il vento forte, allora pare che tutto il ponte sia sul punto di partire. Si balla ch'è un piacere ». Un anno dopo l'altro, "cocendo l'uovo sul fornellino", riscaldandovi il latte quando si sentiva costipato. « Il vino, no, il vino, sembrerà una bestemmia, non mi è mai piaciuto. Perciò sei un falso! mi hanno incominciato col dire ». Il veggio in mezzo ai piedi; il ventaglio d'estate; ora se Dio vuole era un'altra volta prim[...]

[...]o, sembrerà una bestemmia, non mi è mai piaciuto. Perciò sei un falso! mi hanno incominciato col dire ». Il veggio in mezzo ai piedi; il ventaglio d'estate; ora se Dio vuole era un'altra volta primavera. « Ed eccomi qui, non so ancora chi è che mi dovrà dare lo sborso o la pensione; so soltanto che tra poco il ponte si chiude, anzi si apre, e io mi ritrovo coi capelli bianchi e preso tra due fuochi, in queste storie che non mi riguardano nemmeno come prossimo. E una bella situazione! ».
Era la situazione, dopo tutto, di chi sta su un ponte che unisce le due rive. Egli non avrebbe fatto onore ai suoi capelli bianchi, quella sera.
« Ce l'hanno anche con me? », si ripeteva. « Ma chi vi conosce, ma chi siete? Questa Gavagnini, l'ho appena sentito mentovare ».
3
Loro, si conoscono tutti l'un l'altro, ed è come non avessero viso. Hanno giocato insieme sulle rive del fiume, scavato tesori tra
14 VASCO PRATOLINI
le montaegne dell'Isolotto, imitato Buffalo Bill a cavallo di una scopa; il primo bacio, la prima lite, il primo figliolo, il primo capello bianco; si son fatti l'un l'altro la prima carezza e la prima spostatura. Sono cresciuti uscio a uscio, di padre in figlio, da nonna a nipote; e nondimeno, è come non avessero un nome, due occhi, gli orecchi per sentire. Sono la gente del Pignone che ha sempre vissuto del suo lavoro, o che si é arrangiata; che ha messo su una Mutuo Soccorso "quando ancora si stava sotto il Granduca", che ha fondato un ricreatorio di cui oggi, i ragazzi, la domenica, portano la divisa: i pantaloni bianchi, la maglia verde, il berretto alla raffaella: e sanno fare gli esercizi, si distinguono da quelli degli altri rioni; che a furia di quotarsi, un tanto la settimana, si sono costruita una Casa del Popolo, un'arena per ballarci durante la buona stagione, un pallaio. Una[...]

[...]e file, senza sapere dove andare a portargli un fiore. E sono dei fiorentini, se ne vantano e non l'hanno mai dimenticato: essi non concepiscono degli avversari; ma amici o nemici. Con l'amico ci si tiene per la mano; al nemico: gli si fa "la masa". O noi o loro. La storia del Quartiere, pur giovane quanto il suo ponte, non occorre risalir lontano, si é sempre fondata su questa legge e queste ragioni. Che sono poi dei concetti elementari. Chiari come l'Arno, quando é chiaro e in trasparenza si vedono sguizzare le cecoline. Anche le donne vanno in chiesa, e in confessione non hanno nient'altro da raccontare. Ora che ciascuno si sente minacciato, non sono più delle singole persone; hanno fatto cerchio diciamo. Sembra che una parola sia passata da porta a porta, da un davanzale a un finestrino, da un reparto all'altro della Fonderia, di strada in strada, e come una goccia dentro l'alambicco porta a galla i veleni e fa precipitare le buone intenzioni, viceversa, ecco, dopo l'ultima devastazione della Casa del Popolo, si
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 15
sono dati convegno sulla piazza, nelle strade vicine, e aspettano. Non lo sanno nemmeno loro che cosa; ma li aspettano, si vedrà cosa succede. Stanno sugli usci, le donne: le giovani come le anziane; o alle finestre, appoggiate sui gomiti, e tenendosi una mano sul petto, senza dirsi una parola. Guardano i loro uomini riuniti a gruppi sulla piazza, agli angoli di via dell'Anconella e via Bronzino, davanti alle botteghe e al caffé, le spalle contro gli stipiti delle porte, contro i muri, anche loro in silenzio. E né le une gli raccomandano di non trascendere, né gli altri di rientrare nelle stanze. Soltanto i ragazzi, che non sono tuttavia sul fiume questa sera, né sugli argini o i prati delle Cascine, ma li, intorno, sulla piazza e nelle strade, gridano scavalcandosi a turno su[...]

[...]iù parte, aspetta solo che la miccia bruci, per accorrere e potersi dire che la curiosità l'ha avuta vinta sul suo proposito di restarne fuori. Del resto, la stessa folla che ora, così separata in capannelli muti che sembrano voltarsi le spalle, nessuno la controlla o la guida. I suoi Capi, coloro in cui essa ha fiducia, non sono nel Quartiere, stasera. Sono andati dal Prefetto, tutti, per dar più peso alla protesta che intendevano elevare; e siccome il Prefetto non li ha ricevuti, sono andati in Questura: costi li hanno subito fermati senza nemmeno dargli il tempo di ricomporre la salma di Gavagnini. È stata un'ingenuità, ma c'erano preparati, hanno voluto tentare. Questo, piuttosto che disorientarla, ha fatto diventare di pietra la gente del Pignone. Non é un popolo gentile, nodavvero; é capace di commuoversi per nulla: a una parola, a un gesto che lo tocchi nell'intimo del cuore; e per la stessa ragione, ha già pronto il cazzotto. Il suo equilibrio é fatto di intransigenza e di sopportazione, non conosce le mezze misure. « Una cosa di [...]

[...] hanno qualcosa da. guadagnare. Cotesta attesa non li intimorisce e non li esalta. Sai, quando il cuore é diventato pietra e ne senti il peso? Masticano il mezzo toscano, accendono la sigaretta, sbucciano i due soldi di lupini che hanno comperato; o si aggiustano i capelli dietro la nuca, le camicette sul seno, i grembiulini di casa sopra la vita. E questi e quelle sembrano sfuggirsi anche con gli occhi, guardano davanti fisso, ciascuno di loro, come occupato da un pensiero che è come una parola d'ordine che ciascuno dà a se stesso, non venuta di fuori, non fatta circolare. Ma sua propria, privata. Ed in questo silenzio, in questa immobilità, in questa attesa, è come se si levasse un dialogo, a due e a cento voci, una lamentazione. Un coro.
« Non è possibile, non é vita ».
«Non si tiene più il fiato ».
« Non va mai giù il boccone ».
« Non si dorme la notte ».
« Sembra d'avere il cuore dentro un imbuto ».
« È una disperazione ».
« Da due anni non si sa più quello che pub succedere quando fa buio ».
« Non ci si gode più un sabato sera ».
« E una soperchieria dopo l'altra ».
« Una violenza, e il giorno dopo daccapo ».
« È la seconda volta che devastano la Casa del Popolo ».
« Hanno buttato all'aria ogni bene ».
« Hanno tirato le bombe a mano, av[...]

[...]pregio ».
« E per gli usci verniciati con la merda ».
« Per le croci disegnate sui muri ».
« Per i figlioli che si ammalano dallo spavento ».
« Per i vecchi che non hanno piú un capello nero ».
« Per tutte queste case insieme, insomma ».
« E perché non se ne può piú ».
« Non c'è nessuno che li tenga a freno ».
« La legge é tutta dalla parte loro ».
« Mentre per noi, basta si muova un dito, si spalancano le
Murate ».
« Se non la fossa. Come per Spartaco, oggi ».
« Per Spartaco Gavagnini e per tutti quelli morti come lui ».
« E perché chi ci dovrebbe rapresentare non è buono che a
dire: State calmi, non li provocate ».
« Anche loro, via, l'altr'anno, quando si presero le fabbriche,
dettero a vedere d'aver la cacca al culo ».
« Era ogni cosa nostra, si fece una colata che non se ne aveva
memoria ».
« Erano con noi anche i soldati ».
Quando non mancava che fare i sovieti e difendere la nostra,
delle rivoluzioni, ci dissero: Tornate a casa, non è ancora l'ora ».
« Spartaco era calmo, ma si capiva avrebbe dato la testa nel
muro ».
<c Disse: questo ci ridimostra chi sono i socialisti, bisognerà
cr[...]

[...] cacca al culo ».
« Era ogni cosa nostra, si fece una colata che non se ne aveva
memoria ».
« Erano con noi anche i soldati ».
Quando non mancava che fare i sovieti e difendere la nostra,
delle rivoluzioni, ci dissero: Tornate a casa, non è ancora l'ora ».
« Spartaco era calmo, ma si capiva avrebbe dato la testa nel
muro ».
<c Disse: questo ci ridimostra chi sono i socialisti, bisognerà
crescere e togliere di mezzo anche loro ».
« E siccome noi siamo con queste idee e non ci si può mutare ».
« Ci si muta la faccia? ».
« Ci si muta il cognome? ».
« Ci si possono tagliare i coglioni ? ».
c< E il bolscevismo è come il sangue che esce se sei ferito ».
r
18 VASCO PRATOLINI
« Se stasera tornano, stasera non passino il ponte perché ci
trovano vestiti ».
« E la sera che le pagano tutte ».
«
E la sera che si mandano noi all'ospedale ».
« Finora ci siamo sempre difesi male ».
« Siamo troppo dolci ».
«Ci hanno preso sempre alla sprovvista ».
« Ma stasera, che non passino il ponte stasera ».
Quei garofani e quei gerani ci stavano per figura, ai davanzali. Di fronte ai loro occhi, ma lontano, di lá dal ponte su cui si fissavano i loro sguardi, il gran verde delle Cascine, avvolto nell'incendio del ci[...]

[...]e si mandano noi all'ospedale ».
« Finora ci siamo sempre difesi male ».
« Siamo troppo dolci ».
«Ci hanno preso sempre alla sprovvista ».
« Ma stasera, che non passino il ponte stasera ».
Quei garofani e quei gerani ci stavano per figura, ai davanzali. Di fronte ai loro occhi, ma lontano, di lá dal ponte su cui si fissavano i loro sguardi, il gran verde delle Cascine, avvolto nell'incendio del cielo, era un orizzonte tutto nero e di fuoco. Come brucia e scoppietta una pina dopo l'altra, così era brulicante e immobile la loro attesa. E come se coteste pine, d'un tratto, si rivelassero tante bombe a mano, destinate a deflagare. Ma quali fossero le loro più nascoste intenzioni, lo dice il fatto che nessuno di loro era armato. Il dolore che li animava, era la loro corazza. Dai loro cuori pieni di veleno, e di sgomento, di irresolutezza, affioravano ai cervelli, e sembravano paralizzarli, i propositi di vendetta, di uno sterminio al quale soltanto singolarmente, ciascuno nel proprio intimo, si sentivano preparati. Inermi com'erano, la disperazione li accendeva, una gran fiamma che l'odio alimentava. Ora ch'erano folla, ciascuno si [...]

[...] Dai loro cuori pieni di veleno, e di sgomento, di irresolutezza, affioravano ai cervelli, e sembravano paralizzarli, i propositi di vendetta, di uno sterminio al quale soltanto singolarmente, ciascuno nel proprio intimo, si sentivano preparati. Inermi com'erano, la disperazione li accendeva, una gran fiamma che l'odio alimentava. Ora ch'erano folla, ciascuno si sentiva più solo e più deciso. Disarmato ma invulnerabile, aspettava la propria ora, come se il mondo si fosse fermato all'improvviso. E di momento in momento, la loro segreta ascoltazione, diventata sempre più un soliloquio.
« Qui é casa nostra e comandiamo noi ».
« È casa nostra e vogliamo vivere in pace ».
« Specie dopo una giornata di lavoro che vuol vedere l'uomo in viso ».
« Davanti alle caldaie ci sono 700 gradi di calore ».
« La fresa basta un nulla e ti porta via la mano ».
« I torni scartano soltanto se batti gli occhi ».
« Al Pignone non ci devono mai più mettere piede ».
« Non ci debbono rovinare i comizi ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 19
« Non ci debbono inte[...]

[...]ci si deve far rispettare ».
«Dopo tanti insulti é la volta di dirvi: L'è majala! ».
« Ricordatevi che anche alla Fonderia le caldaie non si spen
gono mai ».
« Vi si butta noi in uno di cotesti forni ».
« Vi si sotterra sotto la spazzatura dell'Isolotto ».
« Vi si impicca noi ai lampioni di via Bronzino ».
« Non passate il ponte, stasera ».
« Malesci non lo passare ».
« Vi salterà il terreno sotto i piedi altrimenti ».
« Vi si dà fuoco come a una torcia della Misericordia ».
« Ce ne avete fatte troppe, ora la dovete abbozzare ».
« Folco, diglielo. E anche tu torna a casa da un'altra parte,
stasera ».
« Non dovete passare più il ponte: né stasera né mai ».
« Per piacere, non lo dovete passare ».
« Se anche voi ci avete una famiglia ».
« Se vi sta a cuore vostra madre ».
« Se ci avete una fidanzata con cui ci fate all'amore ».
« Anche se lei lo sa ed é d'accordo, lo stesso non ci passate
sul ponte Sospeso, stasera, vi va a finir male ».
20 VASCO PRATOLINI
« Se le vostre donne sono a casa o chissà dove, noi siamo qui
e[...]

[...]he vi aspettiamo ».
« Siamo di più che se si fosse fatta la chiama ».
« E le donne sono più avvelenate di noi ».
« Bolli bolli la pentola si è scoperchiata ».
« Per piacere, stasera non passate il ponte ».
« Malesci tu ci conosci. Tu sei del Pignone, lo sai chi siamo ».
« Se stasera passate il ponte, è la sera che si fa festa finita ».
« Spartaco Gavagnini per noi è più vivo ora di stamattina ».
« Spartaco era l'idea in persona ».
« Era come me e come te, Gava ».
« Era il meglio che si avesse ».
« Era il più intelligente, era il più capace ».
« Era il nostro piccolo Lenin: ti misurava uno schiaffo quan
do glielo dicevi ».
« Mi disse: bisogna far muro e contarsi, sapere con chi si
cammina ».
« Mi disse: Non si è comunisti se non ci si sa sacrificare.
Ma non farci sacrificare; mettere sotto loro, avanti che il piede
ti schiacci il collo ».
« Mi disse: ti piace proprio cotesto muso? Io non lo vorrei per
marito a peso d'oro ».
«Mi disse: com'è cresciuta questa bambina ».
« Noi siamo compagni e amici, lui era soltanto un compagno
[...]

[...]si sa sacrificare.
Ma non farci sacrificare; mettere sotto loro, avanti che il piede
ti schiacci il collo ».
« Mi disse: ti piace proprio cotesto muso? Io non lo vorrei per
marito a peso d'oro ».
«Mi disse: com'è cresciuta questa bambina ».
« Noi siamo compagni e amici, lui era soltanto un compagno
ma due volte amico ».
« Aveva due occhi che chiamavano i baci ».
« Aveva due occhi che ti davano coraggio anche se non
l'avevi ».
« Fumava come me le macedonia ».
«Sapeva reggere il vino, se era il caso ».
« Conosceva le questioni della Fonderia come fosse sempre
stato davanti al forno e nel consiglio d'amministrazione ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 21
Perciò, gli faceva paura ». .
« Lui da solo, come se ci si presentasse tutti insieme ».
« Parlava poco, ma quando apriva bocca non c'era una parola
sbagliata ».
« Diceva quello che tu avresti pensato e non ti veniva di dire ».
« E l'hanno stecchito come si stecchisce un cane ».
« Un uomo come lui non rinasce, bisognerà saperlo inventare ».
« Ma lui, ce lo pagano caro ».
« Ce lo pagano anche per quelli finiti all'ospedale ».
« Per la gente che hanno schiaffeggiato ».
« Per la gente che hanno legato ».
« E per quella che hanno fatta sparire avanti di lui ».
4
Il Masi era tornato davanti al suo stabbiolo. « Non mi dice nulla di buono » si ripeteva. Si tirò il berretto sulla fronte per ripararsi dal riflesso del sole, e si portò una mano alla visiera, in modo da poter seguire meglio i movimenti di quella gente del Pignone. Gli era parso che di tanti gruppi se ne fosse formato u[...]

[...]la gente che hanno legato ».
« E per quella che hanno fatta sparire avanti di lui ».
4
Il Masi era tornato davanti al suo stabbiolo. « Non mi dice nulla di buono » si ripeteva. Si tirò il berretto sulla fronte per ripararsi dal riflesso del sole, e si portò una mano alla visiera, in modo da poter seguire meglio i movimenti di quella gente del Pignone. Gli era parso che di tanti gruppi se ne fosse formato uno solo; alle finestre delle case era come non ci fosse più nessuno. D'un tratto, senti uno frigolio di freni, si voltò e vide tre automobili e in fila, i fascisti che ne discendevano, che affrontavano i due carabinieri, li disarmavano, gli legavano i polsi dietro la schiena e li spingevano dentro una delle macchine. « O questa ? » egli non ebbe il tempo di chiedersi. Istintivamente si era portato a ridosso del suo stabbiolo; e uno di quei fascisti credé si volesse nascondere. Costui, Masi non lo aveva mai visto, gli poggiò la rivoltella alla bocca dello stomaco, ma subito dalle sue spalle, Folco Malesci gridò: « È un amico, ve l'ho d[...]

[...] nascondere. Costui, Masi non lo aveva mai visto, gli poggiò la rivoltella alla bocca dello stomaco, ma subito dalle sue spalle, Folco Malesci gridò: « È un amico, ve l'ho detto, lascialo stare. E tu Masi, a cuccia e buono, via! ». Masi non si mosse da dove si trovava. « Guarda lacchezzo ch'è questo », perciò. "Questione di minuti secondi", avrebbe detto poi. Una barca si era staccata dalla riva, con due uomini sopra, uno che spingeva la pertica come un dannato e uno, anche lui in piedi, faceva
22 VASCO PRATOLINI
dei segnali, come per dire a quelli del Pignone: "Eccoli, sono arrivati". Quei fascisti, dalla spalletta, li presero di mira con le rivoltelle, ma la barca era digiá fuori di tiro, mentre due fucilate fecero eco dalla parte della piazza, dove gli altri due carabinieri che ci stavano di guardia avevano sparato in aria. La folla si era mossa, ed essi ripiegavano, correvano all'indietro attraverso il ponte, per finire tra le braccia dei fascisti che gli saltarono addosso e trattarono come i primi due.
Ora, eliminate le forze dell'ordine, i due schieramenti si fronteggiavano. Il ponte ancora li divideva.
La foll[...]

[...]del Pignone: "Eccoli, sono arrivati". Quei fascisti, dalla spalletta, li presero di mira con le rivoltelle, ma la barca era digiá fuori di tiro, mentre due fucilate fecero eco dalla parte della piazza, dove gli altri due carabinieri che ci stavano di guardia avevano sparato in aria. La folla si era mossa, ed essi ripiegavano, correvano all'indietro attraverso il ponte, per finire tra le braccia dei fascisti che gli saltarono addosso e trattarono come i primi due.
Ora, eliminate le forze dell'ordine, i due schieramenti si fronteggiavano. Il ponte ancora li divideva.
La folla si era attestata, faceva massa, come se una sbarra le impedisse di avanzare. Lontana tutta la lunghezza del ponte, non si decifrava, tra cotesta calca, un solo viso, ma tanti visi presi nel riflesso del sole, e quei berretti, i cappelli: i vestiti delle donne risaltavano per via dei colori. Da questa parte, i fascisti si erano a loro volta radunati, Folco era al centro; e per un momento si guardarono come per contarsi. Il Masi li aveva digiá contati. Erano dieci, undici, mancava quello dai basettoni, e un paio erano rimasti accanto alle automobili e per tenere d'occhio i carabinieri che vi si trovavano legati. Soltanto due erano in divisa: il Pomero con la camicia nera dalle maniche rimboccate, i pantaloni da ufficiale, i gambali gialli; e uno basso, dai baffi e dai capelli neri, lo stesso che lo aveva assalito e che sembrava essere il più anziano di tutti, ma anche quello che contava meno. Stava alle spalle di Folco e quasi non si vedeva. Gli altri, erano in borghese, alcuni con la camicia ne[...]

[...]i che vi si trovavano legati. Soltanto due erano in divisa: il Pomero con la camicia nera dalle maniche rimboccate, i pantaloni da ufficiale, i gambali gialli; e uno basso, dai baffi e dai capelli neri, lo stesso che lo aveva assalito e che sembrava essere il più anziano di tutti, ma anche quello che contava meno. Stava alle spalle di Folco e quasi non si vedeva. Gli altri, erano in borghese, alcuni con la camicia nera sotto la giacca, e chi no, come Folco: elegante secondo il suo solito, si era appena tirato indietro il cappello sulla fronte. Ora avevano incominciato a parlare, con frasi brevi, non trafelate, che nondimeno tradivano la sorpresa e sottolineavano la loro irresolutezza.
« Che si fa ? ».
« Ci hanno tirato un'imboscata ».
« Qualcuno li ha avvisati ».
«Ma siamo stati noi ad avvisarli! Non ci perdiamo in considerazioni ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 2J
Questo era il Pomero che si aggiustava la fascia intorno alla vita.
« Non bisognava venirci dal ponte ».
« Si doveva entrare dalla parte di Legnaja ».
« Come ci si arriva[...]

[...]on frasi brevi, non trafelate, che nondimeno tradivano la sorpresa e sottolineavano la loro irresolutezza.
« Che si fa ? ».
« Ci hanno tirato un'imboscata ».
« Qualcuno li ha avvisati ».
«Ma siamo stati noi ad avvisarli! Non ci perdiamo in considerazioni ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 2J
Questo era il Pomero che si aggiustava la fascia intorno alla vita.
« Non bisognava venirci dal ponte ».
« Si doveva entrare dalla parte di Legnaja ».
« Come ci si arrivava? ».
« Allora attraverso San Frediano ».
«Dietro alla porta ce ne saranno altrettanti ».
« Qui non si può restare », disse il Pomero. Bestemmiò, poi disse: «Saranno qualche centinaio, questi cenciosi ».
«Allora, Malesci, che si fa? ».
« Si va avanti, come che si fa? Siamo rimasti anche troppo qui a indugiare ».
Colui che aveva parlato non era Folco, ma un altro di quelli che il Masi vedeva per la prima volta. Gli stava quasi di fronte, al fianco di Folco, ed era un ragazzo come Folco, di sicuro non aveva trent'anni. Era alto, magro, un biondino si poteva dire del tipo che era, anche se il berretto all'inglese gli copriva la fronte e gli calzava la nuca. Sotto la giacca, come troppo larga per lui, invece della camicia nera, portava una maglia scollata. Questo, e come stava in piedi, come si dondolava, rafforzavano l'idea di un marinaio, che fosse li per caso. Aveva il viso abbronzato dei marinai; forse per questo gli occhi sembravano tanto chiari. E una espressione, infine, sulla faccia, non come degli altri dura, risentita, accigliata, ma tranquilla, decisa, percui, non ci si spiega, era, fra tutti, quello che metteva piú paura. Ora reggeva la pistola appoggiandosela sotto il mento, mentre parlava.
Si va avanti », ripeté. « Forza ».
Falco lo fermò, secco e strisciandosi lui la canna del proprio revolver sulla gota: «Non dire bischerate, Tarbé. Non fare il pazzo, tu non hai esperienza di queste cose. Lasciami riflettere da che parte si possono pigliare ».
D'improvviso, come una risposta a queste sue parole, dall'altro capo del ponte si levò una voce d'uomo, grave, tonante: « Non az[...]

[...]iata, ma tranquilla, decisa, percui, non ci si spiega, era, fra tutti, quello che metteva piú paura. Ora reggeva la pistola appoggiandosela sotto il mento, mentre parlava.
Si va avanti », ripeté. « Forza ».
Falco lo fermò, secco e strisciandosi lui la canna del proprio revolver sulla gota: «Non dire bischerate, Tarbé. Non fare il pazzo, tu non hai esperienza di queste cose. Lasciami riflettere da che parte si possono pigliare ».
D'improvviso, come una risposta a queste sue parole, dall'altro capo del ponte si levò una voce d'uomo, grave, tonante: « Non azzardatevi a passare il ponte, inteso? Vi si aspetta da tutte le parti non vi azzardate ».
E subito, come per la fine di una tregua, a cotesta voce se ne
24 VASCO PRATOLINI
accompagnarono altre cento, ma urli, grida, che per essere cento diventarono una sola ed unica voce, e se ne perdevano le parole. «Non v'azzardate! Non v'azzardate! D.
C'era stato un movimento, ma la folla non era venuta avanti; si era come rimescolata dentro le proprie grida. Quindi, una sassaiola si era abbattuta a metà del ponte, contro le fiancate, era ricaduta in Arno. Qualche pietra più piccola, o meglio o più fortemente diretta, era rotolata ai piedi dei fascisti. Come una salve. E di nuovo il silenzio; di nuovo quella voce:
« Malesci se ci sei, fatti sentire da cotesti delinquenti. Portali via D.
Ora Falco si era drizzato in tutta la persona, "gli sporgeva la bazza, tanto doveva essere infuriato". Tuttavia era calmo, la rivoltella in mano, si rivolse al Masi, spiaccicato di spalle contro il suo stabbiolo: « Chi è questo? » gli chiese. «Mah », il vecchio disse, un po' balbettava, un po' si dava coraggio: « O non é il Santini? Mi pare, non lo so ». Poi, rivolto ai suoi amici, Falco gli ordinò: « Non mi venite dietro. Muovetevi quando vi chiamo ». E avanzò [...]

[...]é il Santini? Mi pare, non lo so ». Poi, rivolto ai suoi amici, Falco gli ordinò: « Non mi venite dietro. Muovetevi quando vi chiamo ». E avanzò sul ponte, si fermò dieci passi lontano.
« Ci sono, eccomi qui », gridò. « Tu chi sei? Sei quella carogna del Santini? D.
Dalla parte del Pignone, lo videro avanti ch'egli aprisse bocca, e le urla, i gridi che si levarono dalla folla, copersero le sue parole. Egli era abbagliato dal riflesso, scorgeva come una fiumana nera, colorata, agitarsi +a capo del ponte, e come ondulare, trattenuta in se stessa, e contemporaneamente, una figura d'uomo, una figura di donna, un'altra donna un altro uomo, ora pareva un ragazzo, cinque, dieci figure avanzare di qualche metro, prenderlo di mira e rientrare di corsa tra la folla. Dei sassi, dei pillori, gli caddero vicino, uno gli sfiorò la testa ed egli fu costretto a scansarsi, mentre nell'incendio sempre più basso del cielo, da quel gesticolare, gli insulti, gli urli, le grida lo subissavano. Egli alzò la pistola e sparò in aria tre colpi. Subito, i suoi camerati, senza ch'egli avesse gridato « A noi! » lo avevano ragg[...]

[...]a minacce. Andiamo avanti. Sono una massa di pecore, non li vedi? ».
Folco lo agguantò al braccio, mentre si muoveva; lo aveva arrestato sullo slancio e gli aveva fatto cadere la rivoltella, perciò Tarbé si era fermato. Raccolse la rivoltella; e gli disse:
«
E tutto qui il tuo coraggio, capitano? ».
« Non ti mettere a provocar me, Tarbé, sii buono! Io li conosco, so con chi ho da fare ».
Agli spari, era seguito un ondeggiamento della folla, come un fuggi fuggi subito ricomposto. Folco gridò:
« Vi do tempo due minuti per sgomberare la piazza. Mandate a casa le donne. O spariamo addosso anche a loro. Vi si disfà, stasera ».
E accadde qualcosa di cui il Masi non si sarebbe « mai capacitato »; di cui anche Folco, che pure li conosceva, si sorprese, e per la prima volta nella sua vita, gli fece gelare il sangue nelle vene. Erano trascorsi dieci minuti, nemmeno, dall'arrivo dei fascisti, e tutto finora, si era svolto « in un battibaleno, come un volo di pallonetto che con l'occhio non gli stai dietro ». Ora incominciavano i secondi dieci[...]

[...]« Vi do tempo due minuti per sgomberare la piazza. Mandate a casa le donne. O spariamo addosso anche a loro. Vi si disfà, stasera ».
E accadde qualcosa di cui il Masi non si sarebbe « mai capacitato »; di cui anche Folco, che pure li conosceva, si sorprese, e per la prima volta nella sua vita, gli fece gelare il sangue nelle vene. Erano trascorsi dieci minuti, nemmeno, dall'arrivo dei fascisti, e tutto finora, si era svolto « in un battibaleno, come un volo di pallonetto che con l'occhio non gli stai dietro ». Ora incominciavano i secondi dieci minuti, un quarto d'ora che sarebbe sembrato eterno, e poi, « poi da mettersi le mani sugli occhi davvero ».
Stasera vi si concia per le feste », urlò il Pomero.
E Folco: « Ho guardato l'orologio, sappiatevi regolare ».
Ma in quello stesso momento, come da dietro un gran velo di tulle, di caligine, di bruma, uscendo dall'ombra della piazza dove già era calata la sera, e sbucando sul ponte ancora colpito dai barbagli di sole, la gente del Pignone avanzava lentamente, compatta, unita, si sarebbe detto facendosi catena con le mani. Il ponte era largo cinque metri, ed essa lo riempiva, da questo a quel parapetto, dall'una all'altra grata. Erano un centinaio di persone, forse, o poco più, ma cosí strette, affiancate, parevano un esercito, un'armata. Delle donne stavano nelle prime file.
« Carogne, fermatevi », gridò Folco. Si era messo con un gi[...]

[...]entamente, compatta, unita, si sarebbe detto facendosi catena con le mani. Il ponte era largo cinque metri, ed essa lo riempiva, da questo a quel parapetto, dall'una all'altra grata. Erano un centinaio di persone, forse, o poco più, ma cosí strette, affiancate, parevano un esercito, un'armata. Delle donne stavano nelle prime file.
« Carogne, fermatevi », gridò Folco. Si era messo con un ginocchio a terra, per impugnare meglio la pistola e darsi come un riparo. Gli altri lo avevano imitato. « Un altro passo, e si spara ».
Gli rispose, non più il Santini, non lo si vedeva: erano tutti
26 VASCO PRATOLINI
e nessuno, che si tenevano ammucchiati: ma un urlo di donna:
«
Assassini! ». Si vide un vestito verde agitarsi, e subito venne risucchiato nel gruppo come da uno strattone.
I fascisti ne avevano approfittato per rinculare di qualche passo, e adattarsi in una posizione migliore, sui due lati: Folco, Tarbé e il Pomero davanti; gli altri alle loro spalle e dirimpetto. La folla, come i fascisti si erano fermati, anch'essa si fermi. Su quelle teste si alzavano delle spranghe, dei bastoni. Erano a metà del ponte; e in quel momento il sole dava gli ultimi e più. forti bagliori.
Qui, parti il primo colpo. Né Folco, né il Pomero, né Tarbé avevano sparato, ma dalle loro spalle, « quello basso, tutto nero come la pece ». In piedi, cercando la mira dentro il mucchio, una ventina di metri distante, e col riflesso che l'accecava, egli sparò due, tre volte ancora. Nella folla si apri un varco; tra urli e grida, essa si divise in due file, e sbandò e si sparse verso la piazza donde era partita. Miracolosamente, la metà del ponte rimase vuota; nessuno sotto quei colpi era caduto. Ora, dall'altro capo del ponte, impugnando i moschetti dei carabinieri, accorrevano i due fascisti rimasti di guardia, e gridavano: « Stanno passando sull'Arno. Ci vogliono aggirare. Guardate, sono sui barconi ».
«Li».
«Li».
[...]

[...]olco; aggiunse terrore alla sua paura. Quindi si diresse verso i camerati, riunitisi a capo del ponte.
Sulle due rive del fiume era tornato il silenzio; il sole era tramontato; il cielo si era fatto tutto bianco e celeste, e dalla parte della Carraja si vedeva una falce di luna. Su entrambi i lungarni, c'era il deserto; non una persona risaliva le Cascine. Pareva che la città, non incominciasse 11, dietro le prime case, ma mille miglia lontano, come isolata nel suo traffico e nella animazione d'ogni sera. Ora l'orizzonte era pulito; alle ultime luci della sera, vivide e chiare, di primavera, le due fazioni potevano distinguersi nei loro movimenti, attraverso il ponte che nuovamente le divideva. Ed ora che pareva tornata la quiete, per un istante, in cotesto istante sarebbe esplosa la tragedia.
" Come non fosse successo nulla ", pensò il Masi. " Non hanno perso né un berretto né un pelo ". Folco stava all'ingresso del ponte, col Pomero accanto e dall'altro lato il fascista tutto pece. E come se soltanto allora lo scoprisse vicino: « Bella prodezza, vero? » Folco gli disse, d'improvviso, accompagnò con due schiaffi, " uno per gota ", le sue parole.
Nessuno si mosse; costui restò come mummificato. Ma subito dopo, fece un passo indietro, la rivoltella in mano: «Toglietevi di mezzo », urlò. « Guarda Malesci, ti fo fare la fine di quello dianzi, sai ? Tieni ».
La rivoltella scattò a vuoto.
« Non c'era nemmeno la pallottola. Le hai tutte sprecate », lo irrise Folco.
« Anch'io », disse il Pomero, « non ho più un colpo ».
28 VASCO PRATOLINI
E i moschetti erano ormai scarichi; i carabinieri si erano portati via le giberne che non gli avevan levato. Gli altri, qualche colpo potevano spararlo ancora e Tarbé, nella tasca, ci aveva, siccome disse, due caricatori.
« Ma anche se [...]

[...]« Guarda Malesci, ti fo fare la fine di quello dianzi, sai ? Tieni ».
La rivoltella scattò a vuoto.
« Non c'era nemmeno la pallottola. Le hai tutte sprecate », lo irrise Folco.
« Anch'io », disse il Pomero, « non ho più un colpo ».
28 VASCO PRATOLINI
E i moschetti erano ormai scarichi; i carabinieri si erano portati via le giberne che non gli avevan levato. Gli altri, qualche colpo potevano spararlo ancora e Tarbé, nella tasca, ci aveva, siccome disse, due caricatori.
« Ma anche se tu avessi due ore di fuoco », disse Folco e apri lo sportello di una delle automobili, che gli apparteneva. « Via, si rientra. Li piglieremo un'altra sera. Per stasera abbiamo fatto anche troppo rumore. Sali, e non ti riprovar più a dir certe parole! »
disse a colui che aveva schiaffeggiato.
Il camerata che un momento prima, con un proiettile in canna, di sicuro l'avrebbe ucciso,` gli ubbidì subito, girò la manovella per avviare il motore, e gli sedé accanto. Già le tre macchine avevano il motore acceso. E il Masi stava sgusciando a sua volta, rasente [...]

[...]ato le ragioni per cui abbandonava il posto avanti dell'orario.
5
Solo, in disparte, era rimasto Tarbé. Il berretto tirato sulla fronte ora, gli occhi balenanti acciaio, si rivolse a Folco, e li fermò tutti:
« Scappate così? Siete dei bei pusillanimi ».
Folco scese dalla macchina e lo affrontò. « Vuoi un par di schiaffi anche te? Su, fila ». Lo trascinò per il braccio: « Cosa vuoi fare? Un'altra bambinata ? ».
Tarbé gli resistette; e Folco, come ritrovando la calma, guardandolo negli occhi, gli disse: « Ogni secondo che si resta qui, se non si rischia la pelle, ci si va vicino. Quelli stanno salendo dalle Cascine col barcone, e sulla piazza... ».
« Insomma tu scappi », Tarbé disse.
« Non scappo, non sono mai scappato. Non dubitare che ï conti li regolo anche da me solo. È gente mia, e la voglio vedere con la bocca per terra. A cominciare da stanotte quando tornerò a casa, per tua norma, capito? ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 29
« Ma intanto scappi ».
« Qui non siamo sul ponte di una nave, Tarbé, siamo su un ponte d'Arno[...]

[...].
«E io ho fatto... ».
« Ma scappi ». Guardava Folco con quei suoi occhi che sembravano non vedere, grigi ora, fermi, lo derideva. « Davanti a delle pecore. Se gli fai un bercio, scompaiono. Non l'hai visto dianzi? E tu sei tanto vigliacco, tutti voialtri sareste tanto vigliacchi, da scappare davanti a chi é più vigliacco di voi? Li affronto io solo ».
« Ti sei appena congedato, Tarbé. Questa é la tua prima azione. Non puoi sapere come stanno le cose », disse Folco.
Tarbé sembrò non sentirlo. Sorrise, " ma con la faccia amara che li disprezzava ". Disse:
« Voglio vedere tra voialtri e loro chi ha più paura ».
Cavò di tasca la pistola e avanti che Folco potesse impedirglielo, sparò due colpi in aria. Fece eco, ai due spari, come un tuono. Essi si voltarono: quella gente era ferma a metâ del ponte. Tanti più di prima, davvero una fiumana. Ora, tra i vestiti delle donne, le giacche, le tute, e giâ il cielo si era come di più illimpidito nella sera, spiccava un giovane, quasi un ragazzo pareva, scamiciato e dalla testa bendata. Quindi si udì la voce dell'uomo che aveva parlato sotto il sole e che Folco aveva chiamato Santini. " Ma questo potrebbe essere anche il Bigazzi ", pensò Masi, bloccato ora, dal nuovo spavento, tra la spalletta e il pilone.
« Non ve ne andate, no? Volete ricominciare ? ».
r





30 VASCO PRATOLINI
« Badate che siamo alla disperazione », gridò una donna.
E ad essa si accompagnarono l'urlio che riempiva l'aria, il tumultuare della folla a mezzo i[...]

[...]i ", pensò Masi, bloccato ora, dal nuovo spavento, tra la spalletta e il pilone.
« Non ve ne andate, no? Volete ricominciare ? ».
r





30 VASCO PRATOLINI
« Badate che siamo alla disperazione », gridò una donna.
E ad essa si accompagnarono l'urlio che riempiva l'aria, il tumultuare della folla a mezzo il ponte: le sue sbarre, i bastoni. Il ponte, sotto questo peso, questa agitazione, oscillava sui cavi, " come nei giorni di maggior bufera ".
« Faremo i conti con tutti », gridò Folco. « Anche voi mi conoscete ».
« Malesci, é l'ora di finimola », gli risposero.
« Vieni avanti, se hai coraggio ».
« Vieni avanti, ingegnere ».
« Belva ».
« Iena ».
« Viva Gavagnini ».
Ora, soltanto Folco e Tarbé li fronteggiavano, in piedi tra pilone e pilone; entrambi avevano in mano le pistole. Alle loro spalle, le automobili dei camerati aumentavano, pronte a partire, i giri del motore.
« Vai, Tarbé, monta, io ti vengo dietro ».
« Sicché, vuoi proprio scappare », Tarbé disse.
Il suo volto era duro e sereno,[...]

[...]ro.
« Vieni avanti, se hai coraggio ».
« Vieni avanti, ingegnere ».
« Belva ».
« Iena ».
« Viva Gavagnini ».
Ora, soltanto Folco e Tarbé li fronteggiavano, in piedi tra pilone e pilone; entrambi avevano in mano le pistole. Alle loro spalle, le automobili dei camerati aumentavano, pronte a partire, i giri del motore.
« Vai, Tarbé, monta, io ti vengo dietro ».
« Sicché, vuoi proprio scappare », Tarbé disse.
Il suo volto era duro e sereno, come di un ragazzo infatti, anche più giovane dei suoi anni, e che della propria caparbietà si é fatto un punto d'impegno, una ragione.
« Ma ti vuoi fare ammazzare ? », sibilò Folco. « Imbecille ». « Non ammazzano nessuno. Se ti vedono deciso sono delle pecore ».
D'un tratto, dietro di loro, due auto erano partite, ciascuna con il suo carico di camerati, alla guida e sopra gli strapuntini. « Dio, che vigliacchi », esclamò Tarbé.
C'era una carica d'odio nella sua voce che per un momento Folco ne restò non intimorito, ma sgomento. Anche il Pomero ora li richiamava; e il camerata tutto pece, colu[...]

[...]ichiamava; e il camerata tutto pece, colui che aveva sparato per primo, che Folco aveva schiaffeggiato, e che era il più anziano: «Dai, Tarbé, non fare il bischero sul serio », disse. Piuttosto che un'esortazione, un consiglio, era un allarme e, mentre lo sollecitava a partire, un modo di ricambiargli la sua derisione.
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FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 31
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Liberatosi dalla mano di Folco che lo tratteneva, e impugnando la rivoltella, lui da solo, come aveva detto, Tarbé si era mosso incontro alla folla, aveva superato i piloni, lo stabbialo dove il Masi si faceva pagare il pedaggio, era dieci, venti passi lontano. Lo si vedeva di schiena, la giacca troppo lunga gli ricadeva sulle spalle e sembrava infagottarlo, avanzare lento ma deciso. Folco era rimasto a capo del ponte, pensava che di fronte alla pazzia di Tarbé, ormai, guardargli le spalle da coloro che stavano per aggirarli dalla parte delle Cascine, era il solo aiuto che gli si poteva dare. Nondimeno: « Tarbé! », gridò. « Torna indietro ».
Si era fatto silenzio: nell'aria limpida del[...]

[...] ».
« Non ti ci provare ».
Erano urli che la rabbia stroncava; minacce che la provocazione di Tarbé rendeva tragicamente ridicole. E digià, inumane. Egli avanzava, puntando la rivoltella contro di loro; e sem
pre più gli si avvicinava. Ora venti, trenta passi li dividevano. Egli si trovava a un terzo del Ponte, nemmeno, e nel punto in cui
i cavi si flettevano per risalire, dopo la meta giusta, verso gli altri piloni e l'altra riva. Il ponte, come una lunghissima cuna, si stendeva, cosí sospeso ed aereo, in quella luce vespertina, oscillando
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appena dove il peso della folla lo gravava e dove più basse, e nella misura d'uomo, erano le grate che lo cintavano.
« Chi sei? Te non ti si conosce, va' via ».
Egli si era fermata, la rivoltella in pugno. Li vedeva distintamente ora, tutti e nessuno nello stesso tempo. Quelle donne che vedeva, quel ragazzo con la testa fasciata e la benda arrossata di sangue, loro che erano nelle prime file, le donne come gli uomini, più la insultavano e più facevano forza con le spalle per [...]

[...]espertina, oscillando
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appena dove il peso della folla lo gravava e dove più basse, e nella misura d'uomo, erano le grate che lo cintavano.
« Chi sei? Te non ti si conosce, va' via ».
Egli si era fermata, la rivoltella in pugno. Li vedeva distintamente ora, tutti e nessuno nello stesso tempo. Quelle donne che vedeva, quel ragazzo con la testa fasciata e la benda arrossata di sangue, loro che erano nelle prime file, le donne come gli uomini, più la insultavano e più facevano forza con le spalle per trattenere la massa su cui si agitavano le spranghe di ferro, i pugni chiusi, le mazze, i bastoni. Era una folla inferocita, e spaventata,
e vigliacca, lui pensava. Così, lui faceva un passo, ed essa arretrava. Più lo insultavano, più egli muoveva un piede, più andavano indietro, ammucchiati gli uni sugli altri.
Egli sorrideva, stirando le labbra, alzando la rivoltella, come per prendere la mira.
« Sono un fascista. Non vi basta ? E vengo a pigliarvi tutti, da me solo ».
Fece l'atto di puntare la rivoltella; loro non si disunirono ma arretrarono di più questa volta. Si alzarono più intense le imprecazioni e le grida.
« Fuori! », egli intimò. Si portò avanti di un passo ancora,
e agitava la rivoltella. « Tornate a casa, sparite. Io non sono il Malesci, tutti quanti siete non mi fate paura. Sgomberate il ponte
o sparo ».
« Non ti ci provare ». Questo era il ragazzo della benda, piegato in due per trattenere la massa che lo spingeva.
« Ti si brucia vivo », ur[...]

[...]casa, sparite. Io non sono il Malesci, tutti quanti siete non mi fate paura. Sgomberate il ponte
o sparo ».
« Non ti ci provare ». Questo era il ragazzo della benda, piegato in due per trattenere la massa che lo spingeva.
« Ti si brucia vivo », urlò una donna: aveva il grembiule di casa sopra il vestito nero, dei ciuffi grigi le coprivano a metà il viso.
Tarbé si alzò il berretto sulla fronte, e a gambe spalancate, piantato in mezzo al ponte come si trovava, fece il gesto di buttar via la pistola.
« Non ho paura », gridò. " Anche disarmato " non ebbe il tempo di dire.
Nel medesimo istante, forse credendo che Tarbé stesse per sparare, forse con l'intenzione di farlo indietreggiare, o di sal
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targli addosso e batterlo in colluttazione, certo, si poté poi capire, agendo sotto un impulso tutto suo, ma che la folla alle sue spalle non poteva non avergli istigato più della sua ferita, della sua eccitazione, il ragazzo che pochi minuti prima era stato colpito di striscio alla testa dalle rivoltellate del fasc[...]

[...]er sparare, forse con l'intenzione di farlo indietreggiare, o di sal
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targli addosso e batterlo in colluttazione, certo, si poté poi capire, agendo sotto un impulso tutto suo, ma che la folla alle sue spalle non poteva non avergli istigato più della sua ferita, della sua eccitazione, il ragazzo che pochi minuti prima era stato colpito di striscio alla testa dalle rivoltellate del fascista anziano, si gettò su Tarbé come doveva tuffarsi in Arno, ragazzo com'era, dall'alto della pescaja. Lo agguantò alle gambe, lo fece cadere, riuscì a disarmarlo e a gettare la rivoltella al di sopra del ponte, nel fiume. Contemporaneamente Folco vedendo coloro che avevano attraversato il fiume sul barcone risalire l'argine delle Cascine, gli aveva sparato; e d'istinto, per darsi un riparo, era saltato sull'auto, mentre il fascista anziano lanciava la macchina sul lungarno e verso la città. Da bordo, Folco e il Pomero, continuarono a sparare, finché l'auto non scomparve lontano, dietro una voltata.
Sul ponte, la folla, una vo[...]

[...]ttimo intimoriti dalla sparatoria di Folco e del Pomero, ora imboccavano il ponte; e quelli sbandatisi, tornavano indietro correndo, per cui Tarbé si trovò preso lui ora, e solo, tra i due gruppi della gente del Pignone che gli si avvicinavano. Non più donne o uomini, vecchi, ragazzi, ma esseri al di fuori di se stessi, scatenati.
Egli si mise di spalle contro la grata, il parapetto del fiume gli arrivava all'altezza della vita, alzò le braccia come per arrendersi; ma da una parte e dall'altra, i due gruppi convergevano su di lui, gli furono sopra: ora il suo corpo ondeggiava sulle loro teste e precipitava sotto i loro colpi, i loro pugni, gli sputi, le bastonate. Lo sollevavano e lo lasciavano ricadere, urtandosi, calpestandosi, ammucchiandosi su di lui, e tra loro. " Sembrava impossibile non l'avessero bell'e dilaniato ". No, non ancora. Così ridotto, la faccia insanguinata, senza più giacca, senza più berretto, i capelli come spiaccicati, e la camicia a brandelli, i pantaloni su cui incespicava, " lo si vide spuntare di mezzo alla bu [...]

[...]dall'altra, i due gruppi convergevano su di lui, gli furono sopra: ora il suo corpo ondeggiava sulle loro teste e precipitava sotto i loro colpi, i loro pugni, gli sputi, le bastonate. Lo sollevavano e lo lasciavano ricadere, urtandosi, calpestandosi, ammucchiandosi su di lui, e tra loro. " Sembrava impossibile non l'avessero bell'e dilaniato ". No, non ancora. Così ridotto, la faccia insanguinata, senza più giacca, senza più berretto, i capelli come spiaccicati, e la camicia a brandelli, i pantaloni su cui incespicava, " lo si vide spuntare di mezzo alla bu
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riana " e correre davanti a tutti, raggiungere la grata dalla parte più bassa, rovesciarsi sul traliccio, " mezzo sul ponte, mezzo sporto sul fiume, e poi sparire ". Si pensò fosse cascato in Arno, poteva essere la sua fortuna; l'altezza era molta, ma lui era un marinaio, avrebbe nuotato.
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Dopo, tutto ci() che si disse, malgrado le contraddizioni delle diverse testimonianze, ciascuna diversamente interessata, e per la complicità come per le intimidazioni, le om[...]

[...]CO PRATOLINI
riana " e correre davanti a tutti, raggiungere la grata dalla parte più bassa, rovesciarsi sul traliccio, " mezzo sul ponte, mezzo sporto sul fiume, e poi sparire ". Si pensò fosse cascato in Arno, poteva essere la sua fortuna; l'altezza era molta, ma lui era un marinaio, avrebbe nuotato.
7
Dopo, tutto ci() che si disse, malgrado le contraddizioni delle diverse testimonianze, ciascuna diversamente interessata, e per la complicità come per le intimidazioni, le omertà, i timori, fu tutto vero. Come nessuno confessò mai di essersi trovato sul ponte, quella sera, così non si riuscì ad identificare nemmeno una ch'è una delle persone che avevano preso parte al linciaggio, senza che non sorgessero comunque dei dubbi, delle perplessità, dei casi di coscienza, delle cieche persuasioni. Anche questo a suo modo, fu vero. Non erano, dei cento o duecento quanti erano, tante singole persone; ma una folla che nella propria disperazione, nel proprio odio, e nella ferocia con cui si era scatenata, esaltava se stessa e insieme si annullava. Infierendo sul fascista caduto tra le sue innumerevoli mani, m[...]

[...]questo a suo modo, fu vero. Non erano, dei cento o duecento quanti erano, tante singole persone; ma una folla che nella propria disperazione, nel proprio odio, e nella ferocia con cui si era scatenata, esaltava se stessa e insieme si annullava. Infierendo sul fascista caduto tra le sue innumerevoli mani, mentre si accaniva su di lui che da solo la aveva affrontata, proprio lui era il solo dei suoi nemici che inconsapevolmente essa riscattava.
" Come un fantoccio, invece ", si era girato su di sé, era sci volato fuori dal ponte, e chissà per quale forza disperata, si era. aggrappato ai ferri della grata, poi in quel po' di spazio che c'è tra la grata e l'impiantito del ponte. Casti era di legno, tutto scheggiato, si doveva fare male ma faceva più presa. La folla, vedendoselo sfuggire, non potendo più raggiungerlo se non arram picandosi sul parapetto e di lassù cercare di colpirlo coi bastoni, lo forzava coi piedi. Egli era penzoloni dal ponte: sotto di lui,. nove dieci metri, scorreva il fiume; e si teneva, ormai morto: o per via di un ir[...]

[...]arram picandosi sul parapetto e di lassù cercare di colpirlo coi bastoni, lo forzava coi piedi. Egli era penzoloni dal ponte: sotto di lui,. nove dieci metri, scorreva il fiume; e si teneva, ormai morto: o per via di un irrigidimento che non corrispondeva a nessuna legge naturale: con le mani disperatamente aggrappato. «Chiamava la mamma; e quelle donne, quegli uomini, forse soltanto un paio,
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forse una diecina, ma come se fossero stati centomila, gli pestavano le mani ». Lo colpivano « coi bastoni sul capo », dall'alto della grata.
Così, prima una mano, poi l'altra, centimetro per centimetro, il tempo parve millenni, egli abbandonò l'orlo dei tavolato, e senza un grido, precipitò nel fiume. « Andò giù ritto come si trovava »; l'Arno sembrò aprirsi e rinchiudersi. E la gente, non ancora paga, ma sempre più riducendosi le sue file, corse ai due capi del ponte, discese sugli argini, per vederne la fine. Qualcuno era saltato sui barconi e spingeva sotto al ponte. Per un momento, ed era ormai sera, ci fu un silenzio, questa volta pauroso, ossessionante. Il corpo non era riaffiorato. Già costoro forse si guardavano negli occhi, « gli tornava l'uso della ragione », quando da uno dei barconi sul fiume, si alzò un urlo, un grido:
« Eccolo là! Vuole scappare! ».
Alle ultime luci della sera, sotto il chiarore[...]

[...]a che nuotasse e intendesse scappare dalla parte dell'Isolotto ». Lo raggiunsero, e quelli che stavano sull'argine, e quelli che si trovavano sul fiume; lo colpirono con le pertiche dai barconi, coi sassi, sulla testa, sul dorso, finché il corpo di Tarbé, « ora nient'altro che la carcassa », affondò lentamente, e per sempre.
Era notte ormai; c'era il chiaro di luna; e rapido più d'ogni altro il Masi, fino allora nascosto tra spalletta e pilone, come in una segreta, scantonò sul lungarno e sul Prato. Carezzava le sue tortore, mentre beccavano le molliche ch'egli aveva sparso sul tavolo; e chiuso nella sua casa, il doppio paletto, la doppia mandata, si domandava: « Domattina, io li bisogna sia. Mi verranno a interrogare. Dimmi tu cosa dovrò dire, dimmi tu cosa gli dovrò inventare? ».
VASCO PRATOLINI



da Giovanni Testori, Il Fabbricone in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]stremo della periferia, dove le ultime case cedevano alle cascine o si perdevan nei campi, tra il brontolio dei primi tuoni, parti la scarica dei razzi antigrandine; cannonate che salivano veloci ed esplodevan poi con un sibilo nel niente; una a destra e una a sinistra; una ad est e una a ovest.
«Avanti! Tirate! Tirate sù razzi, bombe, madonne e anticristi! Sù, sù che poi ci chiuderanno tutti in manicomio! Ecco a cosa porta il vostro progresso! Come se non ci avesse già pensato 14 guerra a rovinarci i nervi! » — gridò, senza saper a chi, la Redenta mentre spalancava la finestra per prender il pezzo di fesa che, involto in un po' di carta, se ne stava sul davanzale; un'occhiata, ma non più di quella, alle luci che saettavand verso sud, e una al buio
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in cui il resto del cielo affondava come in un inferno; quindi, stringendo la carne, si riavvicinò al tavolo; in quello stesso momento un razzo esplose sulla sua testa con più fragore degli altri e fece tremar i vetri.
« Spaccate, spaccate su tutto che poi almeno non ci si pensa
Deve piovere? Niente: l'interesse é che non piova. Le stagioni? L'estate, la primavera, l'autunno? E chi le vede? A rovescio; a rovescio anche quelle; come la gente; come la vita; come tutto! »
Fuori, intanto, le poche gocce cui i razzi avevan permesso di cadere venivan giù grosse, lente e sfiatate.
Per esse che si schiacciavano, parte sul davanzale, parte sui vetri, più che pietà, la. Redenta provava una specie di rabbioso rancore; insomma, adesso, nemmeno il cielo, nemmeno quello, era più in grado di ribellarsi! Ma allora meglio il diluvio, meglio la fine del mondo. Perché vista la strada su cui s'era messa, dove poteva finire l'umanità se non in una casa di cura? Una « Villa Fiorita » grande quanto bastava per farci star dentro il mondo intero; e loro, quelli dei gover[...]

[...]ore; insomma, adesso, nemmeno il cielo, nemmeno quello, era più in grado di ribellarsi! Ma allora meglio il diluvio, meglio la fine del mondo. Perché vista la strada su cui s'era messa, dove poteva finire l'umanità se non in una casa di cura? Una « Villa Fiorita » grande quanto bastava per farci star dentro il mondo intero; e loro, quelli dei governi, dei razzi, dei dischi e delle bombe, per primi!
Un ciac; un breve silenzio; poi un altro ciac; come se, invece che di gocce d'acqua, si trattasse di mosche che una mano scagliava da chissà dove perché andassero a schiacciarsi sulla terra.
La minestra da fare; il pezzo di fesa da battere... La Redenta lo guardò un'altra volta starsene li, sul tavolo, e un'altra volta avverti la sensazione di paura e di schifo che sempre provava davanti alla carne in genere e alla polleria in particolare: « carne a mezzogiorno e carne alla sera — si disse — Sempre carne 'sto scapolo d'uno scapolo! Come se non sapesse che metà della gente, a furia di arteriosclerosi e pressione alta va a finire a morir d'infa[...]

[...]rattasse di mosche che una mano scagliava da chissà dove perché andassero a schiacciarsi sulla terra.
La minestra da fare; il pezzo di fesa da battere... La Redenta lo guardò un'altra volta starsene li, sul tavolo, e un'altra volta avverti la sensazione di paura e di schifo che sempre provava davanti alla carne in genere e alla polleria in particolare: « carne a mezzogiorno e carne alla sera — si disse — Sempre carne 'sto scapolo d'uno scapolo! Come se non sapesse che metà della gente, a furia di arteriosclerosi e pressione alta va a finire a morir d'infarto! Coi duecento e più che ha! »
Lo scapolo era il fratello, quello con cui aveva vissuto fin li e con cui avrebbe forse vissuto fin alla fine; perché l'idea che il Luigi si decidesse a prender moglie alla bell'età di quarantacinque anni, non riusciva a persuaderla; questo anche se di tanto in tanto l'argomento dei loro discorsi cadeva proprio sulla relazione che il fratello, già da quattro anni, aveva con la sarta. Una sarta per po
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vera gente, naturalmente; anche se[...]

[...]rantacinque anni, non riusciva a persuaderla; questo anche se di tanto in tanto l'argomento dei loro discorsi cadeva proprio sulla relazione che il fratello, già da quattro anni, aveva con la sarta. Una sarta per po
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vera gente, naturalmente; anche se poi faceva di tutto per mettersi alla moda, copiando e ricopiando i figurini di cui eran piene le riviste che comprava; « Grazia »; « Foemina »; e certe volte « Vogue »; dato che, come diceva, anche il gusto delle operaie adesso si volta verso Parigi.
Quella della carne alla sera, era una delle tante abitudini del fratello che la Redenta non riusciva a giustificare; tanto più che, lei come lei, faticava già molto a mandarla giù a mezzogiorno. Un'ombra di timore, come se preparandola prima e mettendosela tra i denti poi, sentisse chissà che eccessi di somiglianza con la carne umana; fesa, manzo, filetto; tutto uguale; per non parlar di quand'era il fegato che si trovava tra mano. Quel color cupo, quel sangue violastro, quei nervetti! Del resto tutto quel carname cominciava a farle schifo, dal momento in cui se lo vedeva là, ammassato e penzolante dalle vetrine e dalle pareti del negozio.
Perché, in definitiva, il giorno in cui i capi, i padroni, si fossero decisi a dar sfogo a tutto il loro progresso e a tutta la loro umanità, a cosa si sarebbe ridotto il[...]

[...]ua matita aveva tracciato con timido impaccio le prime file di segni.
« Guarda il coraggio che ha il Tino! E si che è minore... »
Il Tino, maschio unico tra i molti Borgonuovo di via Aldini, era infatti uscito di casa alle prime avvisaglie del temporale; a squarciagola aveva chiamato sul suo piano il Franchino, sul piano di sotto l'Enrico; poi, precipitando per le scale, era sceso giù e s'era appostato in uno dei due ingressi del casone, preso come gli amici dalla lotta tra terra e cielo cui avrebbe assistito; e in quel punto scalpitando come un cavallo si trovava quando a quel lampo ne segui un secondo, ancor più lungo e spettrale.
«Avanti! Giù! — gridò allora preso da una gioia eccitata e incosciente — Giù! ».
Al fronte albanese, all'Andrea, a tutti quei colpi, (una scarica di mitra, le avevan detto) a tutto quel sangue, a tutto quel tirarsi, soffrire e chiamare, lei non avrebbe dovuto pensarci neppur quando le capitava di veder dei film che, di guerra, di morti e di massacri, parlavan dal principio alla fine; neppur quando di guerra, di morti e di massacri le parlava la televisione del bar di Via Zoagli o quella, che una sera[...]

[...]sia al Ministero, non risultava niente di niente.
Striminzito, il pezzo di fesa continuava a starle davanti, quasi fosse il simbolo di ciò cui, dài e dài, l'intera umanità, prima o poi, si sarebbe ridotta.
Perché se lei aveva i nervi che aveva; se, otto ore su ventiquattro, si sentiva il cerchio alla testa che si sentiva, un cerchio che certe volte non c'era Kalmine, non c'era Saridon che riuscisse a farglielo passare; se aveva tutto quello e, come soprappiù, la prospettiva di finir i suoi giorni in qualche ricovero, Baggina o no che fosse, purché non di quelli tenuti dalle suore, dato che le suore a lei davan ai nervi... Nervi le suore, nervi i razzi, nervi la carne, nervi tutto! Un bisogno di ribellarsi; un bisogno di sputar su tutto e tutto maledire. Già, ma in che maniera, se non aveva poi la forza necessaria? Fosse stata un uomo, ancor, ancora! Gli muore la fidanzata, a uno coi calzoni ? Un po' di lagrime; un po' di vuoto; poi tutto passa e in due o tre mesi se ne trovan un'altra o si fan l'amante.
Ma lei? Lei era una povera illus[...]

[...]gno di sputar su tutto e tutto maledire. Già, ma in che maniera, se non aveva poi la forza necessaria? Fosse stata un uomo, ancor, ancora! Gli muore la fidanzata, a uno coi calzoni ? Un po' di lagrime; un po' di vuoto; poi tutto passa e in due o tre mesi se ne trovan un'altra o si fan l'amante.
Ma lei? Lei era una povera illusa, una di quelle che, stabiliti faccia, nome e cognome d'un uomo, ecco, o quello o niente e nessuno per l'eternità. E siccome i capi, i padroni, loro, insomma, il suo gliel'avevan tolto dalle braccia con una cartolinaprecetto e nelle braccia non gliel'avevan poi più riportato neanche per ve
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derlo, vestirlo e metterlo nella cassa, eccola li, legata ancora a quel che il suo Andrea era stato e a quel che avrebbe potuto essere; non a un uomo, dunque, ma a un'ombra; un'ombra che, per giunta, del fatto d'esser uomo non le aveva lasciato né un segno, né un ricordo; niente. E come poteva fare allora a vivere e a star calma e tranquilla come le altre che il loro uomo, o l'avevan avuto o l'avevan ancora?[...]

[...]ro, insomma, il suo gliel'avevan tolto dalle braccia con una cartolinaprecetto e nelle braccia non gliel'avevan poi più riportato neanche per ve
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derlo, vestirlo e metterlo nella cassa, eccola li, legata ancora a quel che il suo Andrea era stato e a quel che avrebbe potuto essere; non a un uomo, dunque, ma a un'ombra; un'ombra che, per giunta, del fatto d'esser uomo non le aveva lasciato né un segno, né un ricordo; niente. E come poteva fare allora a vivere e a star calma e tranquilla come le altre che il loro uomo, o l'avevan avuto o l'avevan ancora? E che gli facesse pure le corna! Oh, madonna, per quel che valgono quelle cose li, di fronte a tutto il resto!
Mentre la Redenta svolgeva tra sé quei pensieri e mentre nelle altre stanze gli inquilini si dicevan quasi tutti che gli antigrandine sarebbero riusciti un'altra volta a fermar la tempesta, il vento ricominciò a sollevarsi attorno più forte e più distruttore di prima: carte, foglie, pezzi di rame e nugoli di polvere si alzaron allora da ogni parte, scontrandosi e mescolandosi tra loro, mentre le persiane ripresero a sbat[...]

[...]dine sarebbero riusciti un'altra volta a fermar la tempesta, il vento ricominciò a sollevarsi attorno più forte e più distruttore di prima: carte, foglie, pezzi di rame e nugoli di polvere si alzaron allora da ogni parte, scontrandosi e mescolandosi tra loro, mentre le persiane ripresero a sbattere contro i muri e le piante a scricchiolare e a piegarsi.
« 'Sti delinquenti dei padron di casa! » — fece la Schieppati, anche se lei per prima sapeva come, non tanto di padroni si trattasse, quanto d'un consorzio, e d'un consorzio creato a scopi benefici e pii.
« Fosse per loro di questa casa non ci sarebbe più in piedi un mattone! ».
Magra, gli occhi fuor dalla testa, come se i sette figli, prima col latte, poi col resto, l'avessero tutta asciugata, la Schiepp< <i continuava a piegare e ripiegare, un piano sotto la Redenta, quel che di volta in volta finiva di stirare; mutande, camicie, maglie e fazzoletti; e intanto che piegava e metteva da una parte, imprecava a voce alta e malediva.
A quell'improvvisa ripresa del temporale, la Redenta s'illumi
nò tutta d'una gioia vindice e vincitrice:
«Ci siamo! » — si disse, mentre l'occhio tornava a caderle sul
pezzo di fesa — « Ci siamo! » — ripeté.
E quando, poco dopo, penetrando dai vetri della cucina, un
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[...]icie, maglie e fazzoletti; e intanto che piegava e metteva da una parte, imprecava a voce alta e malediva.
A quell'improvvisa ripresa del temporale, la Redenta s'illumi
nò tutta d'una gioia vindice e vincitrice:
«Ci siamo! » — si disse, mentre l'occhio tornava a caderle sul
pezzo di fesa — « Ci siamo! » — ripeté.
E quando, poco dopo, penetrando dai vetri della cucina, un
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lampo andò a guizzar proprio sopra la carne, gridò, come in un
impeto di liberazione:
«Era ora, madonna santa, era ora! »
Prima con una scintilla, poi con uno scricchiolio, uno scricchiolio che fu subito sommerso dallo scoppiar del tuono, la corrente saltò e in tutto il fabbricone, alla luce, si sostituì una semioscurità livida e sinistra. Allora nella cucina della Schieppati si sparse un acre odor di bruciato.
La donna che, a quella fila di tuoni, aveva fatto un passo indietro, rimase ferma a guardar quel che era successo; il ferro se ne stava ancora li, intatto, a destra della biancheria, ma nel punto in cui vi s'attaccava la spina aveva pres[...]

[...]traversò la testa, oltre all'altro sempre presente, del Sandrino, fu quello dell'Enrico.
« Dove si sarà cacciata, quella bestia ? » — fece rimettendo le mani dentro le maglie, i fazzoletti e le mutande.
Lampi, tuoni; qualche scroscio improvviso; nuove zaffate di aria; mulinelli di foglie; gocce, terra e immondizie.
Sull'ingresso il Tino, il Franchino e l'Enrico saltavano presi dall'emozione; ad ogni lampo che s'apriva nel buio delle nubi, era come se una vipera li mordesse alle caviglie, allora, tra gioia, paura e piacere uno gridava, l'altro imprecava e l'altro ancora aizzava la tempesta a raddoppiar la sua furia.
Intanto, dentro il biancore ingiallito e consunto dei lenzuoli, il vecchio Oliva continuava a guardar immobile oltre la finestra; ma era come se non vedesse niente. La lunga, leggendaria malattia (era infermo da più di sei anni) l'aveva fatto chiamar da tutti gli inquilini: la nostra mummia. Come altri, già diffusi o sul punto d'esserlo, a trovar quel soprannome era stata la Redenta; una volta che la madre del Luciano le aveva detto come non fosse riuscita
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a chiuder occhio tutta la notte per via dei lamenti che, dalla stanza attigua, il malato non aveva smesso un sol momento di emettere, lei aveva esclamato: « Oh, madonna, quella povera mummia! Il giorno che decide d'andare, sarà sempre tardi... »; da allora il soprannome aveva guadagnato tutti ed era arrivato fin dentro la casa degli Oliva, anzi fin al letto del malato, il quale ne aveva sorriso, quasi fosse stato sicuro che avrebbero cosí dovuto averne di pazienza, quelli che nella casa non aspettavan altro che la sua fine!
In verità in quel momento n[...]

[...] mani la corona del rosario e se la stringeva con la gioia, tra animale e innocente, con cui un bambino stringe a sé una caramella o un torrone.
Quel che aspettava era il rientro del figlio e del nipote che l'avrebbero preso, uno dalle spalle, l'altro dai piedi, e gli avrebbero fatto cambiar posizione; tutto il suo piacere, durante la giornata, consisteva in quei tre o quattro cambi, coi quali i suoi muscoli sembravano andar ogni volta a posto, come se ogni volta si sistemassero per sempre. Quanto alla pulizia, gliela faceva la nuora, essendo troppo giovane la nipote per mettersi in quei lavori; lavori delicati, non tanto perché riguardavano un corpo trafitto da una serie senza fine di punture e tutto dolente di stanchezza e di mali, quanta perché lui era pur sempre uomo e la nipote, donna.
« Quant'è che manca alle cinque e mezza, Ernesta? » — disse con un tono di voce che l'aspetto avrebbe fatto sospettar più lieve e che riuscì invece a vincere il brontolio del tuono.
« Cosa ? » — rispose dalla cucina la nuora.
« Ho detto quant'è che[...]

[...]e e mezza ».
« Le cinque e mezza son adesso » — fece la donna.
Le cinque e mezza era l'ora in cui, con la puntualità d'un meccanismo d'orologeria, figlio e nipote rientravan dal lavoro.
« Allora fra poco saran qui » — si disse il vecchio, pregustando il sollievo che l'imminente cambio di posizione gli avrebbe pro
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curato; al punto però in cui prese a desiderar quel sollievo con più forza d'ogni altra sera. l'Oliva si ricordò come la mattina, uscendo, figlio e nipote gli avessero detto che quel giorno sarebbero rientrati più tardi in quanto dovevan passare al Circolino, alla sede cioè del partito, per le misure da prendere circa l'incidente del giorno prima.
« Quegli anticristi! — fece allora il vecchio, mentre sulla testa gli scoppiava un altro tuono — Cosa aspetta domineddio a bruciarli tutti? ».
L'incidente del giorno prima riguardava alcuni manifesti che il nipote, con altri compagni di partito, aveva incollato sui muri del fabbricone casi come su quelli delle case e dei casoni circonvicini, e che la mattina s'er[...]

[...]ebbero rientrati più tardi in quanto dovevan passare al Circolino, alla sede cioè del partito, per le misure da prendere circa l'incidente del giorno prima.
« Quegli anticristi! — fece allora il vecchio, mentre sulla testa gli scoppiava un altro tuono — Cosa aspetta domineddio a bruciarli tutti? ».
L'incidente del giorno prima riguardava alcuni manifesti che il nipote, con altri compagni di partito, aveva incollato sui muri del fabbricone casi come su quelli delle case e dei casoni circonvicini, e che la mattina s'eran trovati strappati e impiastrati di fango e di merda; su uno anzi, quasi avessero intinto il dito non in quella mistione, ma nell'inchiostro, avevan scritto in lungo e in largo:
« Fascisti! Preti! Traditori degli operai! »
« E' chiaro — aveva commentato la nuora — siccome vivono nella merda, anche per scrivere adoprano merda ».
Allora quel sollievo mancato si tramutò in lui nell'orgoglio di saper che il ritardo del nipote e del figlio era motivato da quella che lui chiamava la causa; la gran causa anzi, della sua famiglia, in particolare, e di tutti gli uomini onesti e di buona volontà, in generale.
«Tanto gridare, tanto far liti, per cosa? » — fece in quello stesso momento la Redenta, come se tra lei e la stanza del piano di sopra ci fosse stato un improvviso, oscuro rapporto di telepatia o come se il nuovo incrudelirsi del temporale le avesse riportato alla memoria l'ultima lite svoltasi li, nella casa, lite che era stata anche quella una specie di tempesta. S'era avvicinata un'altra volta alla finestra e seguiva lo scrosciar dell'acqua che il vento flagellava senza carità, come se l'intero universo stesse per disfarsi; e lo seguiva con la speranza e col desiderio di poter scorgere nel mezzo, qualche goccia talmente grossa e pesante da non esser più pioggia, ma finalmente grandine, tempesta.
« Parole, improperi, bestemmie... — continuò a pensare, men
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tre la faccia le veniva rischiarata dai bagliori dei lampi — E per cosa? Per un po' di merda su un manifesto...; «siete stati di certo voi! »; « ah, perché noi saremmo così scemi da venir a fare queste cose, qui, in casa nostra? »; « e allora? »; « è la gente! E' l'odio che han tutti per voi che[...]

[...] Aiuto! — urlaron allora i ragazzi, rifugiandosi inorriditi nell'interno — Aiuto! »
«Cosa c'è? — gridò dall'alto la Schieppati — Enrico? Cosa c'è?»
« E' venuto giù un pezzo di casa! » — fece dal basso l'Enrico, preso dal terrore.
«Cosa? »
Dalla sua porta era uscita intanto anche l'Enrica e, sporgendosi dalla ringhiera, chiedeva anche lei, con voce eccitata, cosa mai fosse successo.
« E' venuto giù un pezzo di casa! »
cc Un pezzo di casa? E come? E da che parte? »
« No! Niente paura! — intervenne a quel punto il Tino, che aveva trovato il coraggio di tornar fuori a veder quel che era successo. — E' stata una persiana. S'è tutta sfasciata... »
Così, mentre altre inquiline, gli occhi fuor dalla testa, si sporgevan dalla scala o s'affacciavan alle porte, il vento continuò a tur
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binare tutt'intorno al casone e l'acqua a scrosciare senza trasformarsi però mai in tempesta, come invece, dalla cucina, la Redentat aveva continuato a desiderare e come il tonfo della persiana l'aveva indotta a più vivamente sperare.
Quando[...]

[...]E da che parte? »
« No! Niente paura! — intervenne a quel punto il Tino, che aveva trovato il coraggio di tornar fuori a veder quel che era successo. — E' stata una persiana. S'è tutta sfasciata... »
Così, mentre altre inquiline, gli occhi fuor dalla testa, si sporgevan dalla scala o s'affacciavan alle porte, il vento continuò a tur
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binare tutt'intorno al casone e l'acqua a scrosciare senza trasformarsi però mai in tempesta, come invece, dalla cucina, la Redentat aveva continuato a desiderare e come il tonfo della persiana l'aveva indotta a più vivamente sperare.
Quando quei segni e altri che s'accavallarono subito dopo, furon sul punto di convincerla che, finalmente, quella volta i suoi nervi avrebbero avuto lo sfogo che si aspettavan da tempo e che la grandine avrebbe distrutto foglie, fiori, erbe e ortaggi, tutto ciò, insomma, che fin li la primavera e gli uomini insieme avevan prodotto, il bombardamento antigrandine riprese massiccio e preciso come fin li non era mai stato.
Occupata come se ne stava a preparar la verdura per la minestra, la Redenta si senti riprender subito dalle o[...]

[...] della persiana l'aveva indotta a più vivamente sperare.
Quando quei segni e altri che s'accavallarono subito dopo, furon sul punto di convincerla che, finalmente, quella volta i suoi nervi avrebbero avuto lo sfogo che si aspettavan da tempo e che la grandine avrebbe distrutto foglie, fiori, erbe e ortaggi, tutto ciò, insomma, che fin li la primavera e gli uomini insieme avevan prodotto, il bombardamento antigrandine riprese massiccio e preciso come fin li non era mai stato.
Occupata come se ne stava a preparar la verdura per la minestra, la Redenta si senti riprender subito dalle opposte vicende del la battaglia: « ce la fa.... »; « no, non ce la fa... »; « adesso riprende... »; « vince... »; « no... », « si... »; « s%... »; « no... ».
Di tanto in tanto poi alzava gli occhi dal tavolo e osservava, ora esaltata, ora delusa, il variar del buio in luce, l'aprirsi improvviso di squarci azzurri e il loro altrettanto improvviso richiudersi pel sopravvenir di altre nubi. Quell'alternativa durò ancora per qualche decina di minuti, finché, piano, piano, vento e pioggia sembraron calm[...]

[...] vento e pioggia sembraron calmarsi e questa volta per sempre; nell'aria ci fu allora una lunga pausa di sospensione e d'attesa, quasi che le opposte forze stessero prendendo tra di loro una decisione o un accordo; poi, piano piano, la tensione si rallentò.
« Anche per oggi è finita! » — si disse allora la Redenta — « L'han vinta un'altra volta loro, 'sti maiali! »
Nello stesso istante il vecchio Oliva tentò di distender le gambe altrimenti da come fin li le aveva tenute, ma la fitta dei dolori lo costrinse a fermarsi a metà: bisognava proprio aver pazienza; bisognava proprio aspettar l'arrivo del figlio e del nipote. Se dunque quel giorno non poteva concedersi neppur il solo, magro sollievo che la vita gli aveva lasciato, quello cioè di cambiar posizione, sapeva chi ringraziare; « quegli anticristi, quei venduti del P.C.! ».
A quell'invettiva, pronunciata nella mente come se venisse gridata dalle labbra, il corpo del vecchio si tese tutto; i pugni si strinsero e, dentro la destra, le grane del rosario scricchiolarono quasi
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stessero per spezzarsi. Allora, di colpo, le sue orecchie risentirono, parola per parola, come se venisse dal fondo d'una tromba, la descrizione che, figlio, nuora e nipote gli avevan fatto del gran scempio e i suoi occhi rividero tutti i pezzi dei manifesti cader giù, imbrattati di macchie, oscenità e bestemmie, come brandelli di carne che penzolassero da un crocefisso.
I Villa, quelli che formavan il tenebroso focolaio di male che serpeggiava per tutta la casa! Loro, quelli che, l'avessero visto passar per le strade, avrebbero sputato addosso anche a Gesù Cristo! Quelli, per i quali tutto il dafare consisteva nel maledire, nell'odiare e nel pensar al sangue.
Così, mentre l'accendersi e spegnersi intermittente delle lampadine, indicava che nel fabbricone la luce sarebbe presto tornata, l'Oliva cominciò a farsi passar nella testa tutti i componenti di quella sciagurata famiglia; prima il padre; poi la ma[...]

[...] col progressivo ritirarsi delle nubi, anche quest'ultima spruzzatina d'acqua cominciò ad agonizzare.
Allora la Redenta fini di mescolar per l'ennesima volta dentro la pentola, poi andò alla finestra e dicendo a voce alta:
« Un po' d'aria, santo dio! Almeno quella! » — spalancò, energicamente, i vetri.
Subito un profumo di terra e erba bagnata venne su dall'orto e cominciò a diffondersi per tutta la cucina e a rinfrescarla.
Ecco, fra un po', come ogni altra sera, si sarebbe affacciata alla finestra e come ogni altra sera avrebbe visto tornare uno per uno tutti i suoi poveri e disperati compagni di galera, seppur con qualche mezz'ora di ritardo per via che, a muoversi dai rifugi, dovevan aver atteso tutti che il temporale fosse finito: prima gli Oliva, figlio e nipote; poi la Riboldi, la Riboldi madre; dopo ancora
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il Riboldi figlio; quindi la fila interminabile degli Schieppati, la famiglia più numerosa del fabbricone, talmente numerosa, anzi, da domandarsi come facessero a vivere tutti e nove in quella specie di stanza che avevano, la più umida, senza luce e senz'aria della [...]

[...] tornare uno per uno tutti i suoi poveri e disperati compagni di galera, seppur con qualche mezz'ora di ritardo per via che, a muoversi dai rifugi, dovevan aver atteso tutti che il temporale fosse finito: prima gli Oliva, figlio e nipote; poi la Riboldi, la Riboldi madre; dopo ancora
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il Riboldi figlio; quindi la fila interminabile degli Schieppati, la famiglia più numerosa del fabbricone, talmente numerosa, anzi, da domandarsi come facessero a vivere tutti e nove in quella specie di stanza che avevano, la più umida, senza luce e senz'aria della casa; dei buchi ecco, non delle stanze; dietro di loro, la sorella del Luciano, quella che lavorava alla S.I.R.C.A. e che, in definitiva, era una delle poche donne del fabbricone con cui senza scambiar parola, riusciva a esser quasi sempre d'accordo; poi il Luigi, almeno se non era andato anche quella sera dalla sarta; e alla fine, dopo tutti gli altri, ma così, senza nessun orario, perché il lavoro lui lo trovava nei momenti più strampalati, il Luciano, quel povero bastando d'un[...]

[...]lmeno se non era andato anche quella sera dalla sarta; e alla fine, dopo tutti gli altri, ma così, senza nessun orario, perché il lavoro lui lo trovava nei momenti più strampalati, il Luciano, quel povero bastando d'un boy, verso il quale tuttavia, assieme alla ripugnanza, una certa simpatia non é che lei non la sentisse...
Una mano appoggiata al davanzale, l'altra che le sosteneva la testa, gli occhi di volta in volta fissi su ciascuno di loro come se di ciascuno volesse capir tutto: cose andate bene e cose andate male; gioie e dolori; difficoltà e segreti; tutto quel che, insomma, durante il giorno gli era capitato o stava per capitargli.
Quella sera però, prima di sistemarsi in quel modo, la Redenta tornò sulla stufa, diede qualche giro di mestolo dentro la pentola, vi gettò un pizzico di sale, poi, come gli occhi le caddero sul pezzo di fesa che, rattrappito, ma d'un rosso cupo, spiccava dentro ìl biancore del piatto, andò all'armadio, prese una fondina e in gran fretta lo copri.
«
Remigio! — gridò nello stesso momento la Balzani, affacciandosi alla finestra della stanza — Vieni, sù! Vieni sù, che devi finir i compiti... »
II
« Andate piano... — implorò il vecchio — per carità, piano ».
Figlio e nipote non avevano ancor finito d'entrare, che l'Oliva li aveva già chiamati nella stanza perché venissero a fare quel che lui aveva atteso lungo tutto il pomeriggio. Premurosi come sempre, i du[...]

[...]o, prese una fondina e in gran fretta lo copri.
«
Remigio! — gridò nello stesso momento la Balzani, affacciandosi alla finestra della stanza — Vieni, sù! Vieni sù, che devi finir i compiti... »
II
« Andate piano... — implorò il vecchio — per carità, piano ».
Figlio e nipote non avevano ancor finito d'entrare, che l'Oliva li aveva già chiamati nella stanza perché venissero a fare quel che lui aveva atteso lungo tutto il pomeriggio. Premurosi come sempre, i due s'era avvicinati al letto e avevano tirato indietro prima il piumino, poi le coperte, quindi il lenzuolo.
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Al contatto dell'aria, quel mucchio d'ossa, di cui la camicia da notte nascondeva tutto fuorché il gonfiore molliccio del ventre, aveva avuto un tremito tra di freddo e di sollievo, proprio mentre attorno si diffondeva, pesante ed acre, l'odore dell'essudazione e dell'orina.
« Ecco, così va bene... » — disse il vecchio.
Allora il nipote, che per eseguir meglio la manovra, s'era messo ginocchioni sul materasso, riadagiò il nonno sui cuscini, mentre dal[...]

[...]re, aveva avuto un tremito tra di freddo e di sollievo, proprio mentre attorno si diffondeva, pesante ed acre, l'odore dell'essudazione e dell'orina.
« Ecco, così va bene... » — disse il vecchio.
Allora il nipote, che per eseguir meglio la manovra, s'era messo ginocchioni sul materasso, riadagiò il nonno sui cuscini, mentre dall'altra parte il figlio faceva lo stesso con le gambe che, stecchite e coperte da una pelle,bianca e grinzosa, uscivan come bacchette dal campanone della camicia.
« Vuoi che ti sistemiamo anche questi ? » — chiese il nipote. Il nonno disse di si, poi crogiolandosi al pensiero di tanta premura, aggiunse:
« Aver una famiglia così! Ecco quel che si chiamano soddisfazioni... ».
Uno a uno i cuscini furon voltati e quelli che, per esser stati a contatto con la nuca ed il collo, s'eran inumiditi, furon battuti e ribattuti; in poco il vecchio poté così assaporare e definitivamente quel magro, ma tanto atteso piacere.
«Era tutto il pomeriggio — spiegò, mentre il figlio gli rialzava sul corpo lenzuola e coperte — era tu[...]

[...]nta, quindi il primo fece al secondo:
« Spiegaglielo tu, Luigi; tu sei più pratico... ».
« Non è stato facile — fece il Luigi, mentre con un certo imbarazzo passava e ripassava le dita sui riccioli dell'acquasantiera che se ne stava appesa proprio sopra il comodino — Ognuno aveva da dir la sua... ».
« Naturalmente certi volevano rispondere con gli stessi argomenti... » — aggiunse poco dopo.
« Ecco... » — commentò il padre.
« Ecco, un corno! Come prima cosa, io, li avrei denunciati. Nome e cognome c'erano ».
« Ma per denunciarli... » — cercò di ribatter il Luigi.
« Per denunciarli? Volete che finisca io? Per denunciarli, ci vuol coraggio e il coraggio, da un po' di tempo in qua, a me pare che sia passato tutto dalla loro parte ».
« Non è questione di coraggio, nonno; è questione di sapere chi è stato veramente... ».
« Ma lo si sa e lo si sa benissimo! ».
« Certo che lo si sa — fece allora il Luigi — Ma se poi dovessimo dimostrarlo ? Che prove abbiamo? Né io, né lui, né te li abbiamo presi sul fatto... ».
« Sicché, denunce, nient[...]

[...]coraggio, da un po' di tempo in qua, a me pare che sia passato tutto dalla loro parte ».
« Non è questione di coraggio, nonno; è questione di sapere chi è stato veramente... ».
« Ma lo si sa e lo si sa benissimo! ».
« Certo che lo si sa — fece allora il Luigi — Ma se poi dovessimo dimostrarlo ? Che prove abbiamo? Né io, né lui, né te li abbiamo presi sul fatto... ».
« Sicché, denunce, niente. E allora, se non denunce, cos'avete deciso? ».
« Come prima cosa, non potevamo dimenticare che il nostro è un partita che s'è sempre chiamato democrazia... » — disse, riprendendo a parlare con la sua solita calma, il Luigi.
« Ah, democrazia! — ribatté il vecchio che s'era completamente dimenticato di quel che, poche ore prima, gli aveva suggerito l'arcobaleno apparso nel cielo; in quello stesso momento un gru
86 GIOVANNI TESTORI
mo di catarro cominciò a rendergli pesante e faticosa la voce — Democrazia si, ma per gli altri! Democrazia perché 'sti maiali possan propagandare con tutti i mezzi le loro teorie e il loro marcio! Quando poi tocca a [...]

[...]tti, preti e non preti! Vigliaccheria e, insieme, paura! Paura di prender una decisione che li sistemi una volta per sempre. Già, ma voi — fece, dopo essersi liberato da quel grumo di catarro, sputando in un fazzoletto che rimise subito sotto la pigna dei cuscini — che colpa potete avere, voi? E' il governo che ha colpa; il governo che sta diventando sempre piú molle! Fosse fatto di donne avrebbe piú decisione! »
« Ascolta un momento, nonno. Siccome la denuncia non si poteva fare... ».
« Abbiamo parlato, discusso... — intervenne a quel punto l'Oliva padre — Non crederai che non si sia pensato d'usar le maniere forti... Ma, ammesso che d'usarle fosse sembrato il caso, cos'avremmo ottenuto? Niente, se non di scender anche noi al loro livello e perder quel che, in definitiva, è il nostro carattere ».
« La galera; ecco quello che ci voleva — cominciò a borbottar il vecchio — La galera... » — ma lo borbottò talmente piano da far credere che, o avesse paura d'esagerare, o volesse tener tutta per sé la goia con cui la fantasia gli mise davant[...]

[...]igli un'altra volta; un'altra volta, un altro manifesto. E' vero che è cosí? Un altro manifesto che proclami a tutti quel che loro han fatto; un altro manifesto dove, a un certo punto, dovrebbe esserci scritto merda e merda invece, la nostra democrazia, non ci permette di scriverlo. E', o non è così? »
« Ma, nonno, cerca di capire... ».
« Il vero guaio, cari miei, è che io non posso più muovermi perché, se potessi saltar giù, vi farei veder io come si fa a farla fuori
IL FABBRICONE 87
con quei porci. I pugni, ci vogliono, altro che i manifesti! I pugni! — cosi dicendo il vecchio aveva sollevato da sotto le coperte la mano destra e stringendo il rosario l'andava mostrando al figlio e al nipote — Poi, con comodo, ma con comodo, il resto... » — concluse, lasciando ricader il braccio sulle coperte.
La rabbia e l'agitazione gli avevan fatto uscir sulle tempie, sotto le narici e tutt'attorno la testa ed il collo, un velo gialliccio di sudore.
« Calmati papà ».
« Te l'abbiamo detto fin da prima, che non é il caso di arrabbiarsi per quei m[...]

[...]van fatto uscir sulle tempie, sotto le narici e tutt'attorno la testa ed il collo, un velo gialliccio di sudore.
« Calmati papà ».
« Te l'abbiamo detto fin da prima, che non é il caso di arrabbiarsi per quei mascalzoni... »; il Luigi disse mascalzoni cercando di caricar la parola d'una indignazione che la sua natura invece, non pareva concedergli.
Ma il vecchio non accennava a calmarsi; adesso, non che il braccio, era tutto il corpo a tremare come nell'impossibilità di far ciò verso cui si sentiva attratto.
«D'altronde lo sai bene anche tu che noi, da questa parte, non potremo vincere mai... ».
« Si, si, non dico di no — brontolò il vecchio su cui il nipote s'era piegato per asciugar il sudore. — Ma seconda me, un po' di comunioni in meno e un po' di coraggio in piú, domineddio li vedrebbe volentieri »...
A quelle parole l'Oliva padre e l'Oliva figlio si fissaron un momento, presi da un'uguale, duplice impressione, che era di stupore, da una parte, e di compassione, dall'altra; stupore per la forza e la violenza che il vecchio, malg[...]

[...]dice « fossi in Sua Eminenza quello li lo manderei a far il cappellano in un istituto di suore ». Il terza Reggimento Artiglieria da Campagna, il quinto gruppo, Salerno, Nocera Inferiore e S. Maria Capua Vetere, invece di rafforzarlo e restituirglielo uomo fatto e finito, l'avevan slavato e rannicchiato; neanche fosse stato a far il servizio in una casa d'esercizi spirituali! Cose sante e strasante, ma che non potevan rimpiazzar tutto! Col mondo come stava andando, poi! Un mondo in cui sarebbe stato necessario svuotarle tutte, 'ste case d'esercizi, venderle e prender ai loro posti, cinema, teatri e televisori. Le palestre, gli stadi del foutbaal, altro che le balaustre e i pulpiti! La gente non viene più in chiesa ? E allora fuori, fuori, in mezzo alle piazze, in mezzo ai bar, in mezzo alle strade! Fuori con le radio, i microfoni, gli altoparlanti e, se era necessario, le trombe e le forche!
Così quel che, nella sua malattia, l'aveva fatto soffrire, non eran stati i dolori, che lui aveva sempre saputo a chi offrire e che in un certo sens[...]

[...]la biblioteca del Circolino e a quella dell'Oratorio) lui, dati i risultati, non riusciva proprio a capirlo; questo a parte l'imbruttirsi continuo della cera che, non fosse stato d'una razza nella quale i settanta li avevan passati tutti, e passati quasi sempre a cavallo, c'era da sospettare che, ad andarci di mezzo, sarebbe stata la salute. Ma il giorno che, dalle conferenze, dai libri, dai giornali e dai manifesti avesse dovuto passar a pugni, come se la sarebbe cavata con quei bestioni? Perché già, quellilà eran tagliati giù con l'accetta! E anche questa era una cosa che lui non riusciva a capire; vero che, per averli fatti così, il padreterno doveva aver avuto le sue ragioni, ma, lui come lui, al suo posto, i cristiani li avrebbe messi insieme con un po' più di nerbo e di spina dorsale. Dato però che eran quel che erano, una bella iniezione di coraggio ogni mattina non gliel'avrebbe lasciata mancare.
Guardassero lui, lui che non c'era colica, non bronchite, non collasso che riuscisse a stroncarlo. E quello cos'era ? Volontà di Dio, certo, ma anche volontà sua.
« Be', allora vuol dire che vedremo, anzi vedrete 'sti nuovi manifesti... » disse il vecchio al figlio e al nipote che, imbaraz
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zati dal suo modo d'agire, avevan continuato a starsene 11, in sile[...]

[...] S'illude! Perché questo é un veleno che prima o poi smangerà tutto e tutti, e loro per primi. Ce le faccian vedere dalla mattina alla sera 'ste facce di rammolliti; ce le faccian vedere 'ste feste, 'sti scandali, 'ste fuoriserie! Va tutto bene, tutto benissimo! Così, panda non ne potremo piú, andremo a prenderli e gliele butteremo in faccia, una per una, 'ste loro porcate! — adesso il Carlo aveva in mano una forchetta e la fissava unta e sporca come era; quando poi l'ebbe rimessa sul tavolo, aggiunse — E a me, tanto per dir tutto, non é che faccia molto piacere che l'Antonio, con la scusa della box, ci giri in mezzo, a tutti quei delinquenti... ».
« Ma l'Antonio lo fa perché é necessario » — disse la madre.
« Sarà! Ma non vorrei che con le loro sirene lo rammollissero ancor più di quel che é. Non sembra neanche più dei nostri! — ribatté il Carlo subito dopo — Si, si, l'orgoglio d'esser campione, l'orgoglio d'esser primo... Figurarsi se queste cose non le capisco! Ma non vorrei che per quello facesse passar in seconda linea l'altro orgo[...]

[...]ostrato fin dall'inizio d'aver bisogno di piegarla verso quel che, assente com'era l'Antonio, gli sembrava il caso di denunciar chiaramente alla famiglia; la piega, cioè, che il fratello stava prendendo.
«Adesso, sentite, intanto che lui non é qui, perché anche stassera poi, a mangiar fuori, chissà in mezzo a che gente sarà... Lo sfruttano per i muscoli! Muscoli che gli avete messo addosso tu e lei, prima facendolo venir al mondo, poi lavorando come cani per tirarlo grande... ».
« Ha ragione — disse la Liberata, intervenendo per la prima volta, con la sua voce dura e impietosa — Nella nostra famiglia cose del genere non dovrebbero succedere ».
« Ma cos'è che é successo, infine? — gridò la madre — E se per caso fosse in grado di sfruttarli? ».
« Sfruttarli, si, sfruttarli ».
« Oh per quello potete star certi; l'Antonio non é certo il tipo che si fa metter sotto... ».
« Povera illusa! Sfruttar gente che fin qui non ha fatto che sfruttar noi. Il Morini, per esempio, quel maiale di Villapizzone che non lascia star nessuno... ».
« Cosa [...]

[...]... ».
« Povera illusa! Sfruttar gente che fin qui non ha fatto che sfruttar noi. Il Morini, per esempio, quel maiale di Villapizzone che non lascia star nessuno... ».
« Cosa c'entra, adesso, 'sto Morini che io non so neanche chi sia ? » — s'affrettò a dir la madre.
«
E il presidente della società dove l'Antonio, proprio l'altro giorno, é andato a iscriversi ».
« E allora? Cosa doveva fare secondo te? Cambiarlo? ».
« Iscriversi a un'altra! Come se di palestre non ce ne fossero anche nelle nostre sedi! E poi — aggiunse il Carlo, dopo una certa esitazione — non si dice tanto, ma avvisar prima te, lei, me... Va be' che é maggiore, ma lo sa bene anche lui che in queste cose son molto piú pratico io ».
« In queste cose e in tutto » — disse, intervenendo per la seconda volta, la Liberata.
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L'ostinazione con cui la ragazza difendeva il fratello, prima ancora di conoscerne opinioni e pensieri, ripugnava a lei per prima, proprio perché le dimostrava ogni volta la sua assoluta mancanza di convinzioni, oltre che di caratt[...]

[...]di ricominciar la discussione, disse:
« A sentir voi, sembra che io non esista nemmeno. Dico io, con tutta l'esperienza che ho. Perché, cari miei, quando a esser dei nostri, o per lo meno a non esser dei loro, voleva dire il confino o la galera, voi vi facevate addosso la
A quelle parole la Liberata, che ormai aveva finito di sparecchiare e stava aprendo il rubinetto del lavandino, si voltò verso il Carlo e lo guardò per riceverne l'imbeccata; come vide che il fratello le faceva segno di star calma, diede un colpo di gomito al gruppo delle posate che tinnì acuto e sinistro; quindi, dopo quel breve sfogo di cui aveva avuto un bisogno assoluto, si rimise, senza dir niente, al lavoro.
«Perché, infine, tu cos'hai saputo di preciso? — disse il padre al figlio, che stava aprendosi davanti ii giornale — Parliamone un po' io e te, ma con calma; poi decideremo quel che bisogna fare ».
Vista l'intimità che, con quelle parole, il marito aveva richiesto, la moglie s'alzò dal suo posto e andò anche lei verso il lavandino, pronta a ricevere, uno pe[...]

[...]to di preciso? — disse il padre al figlio, che stava aprendosi davanti ii giornale — Parliamone un po' io e te, ma con calma; poi decideremo quel che bisogna fare ».
Vista l'intimità che, con quelle parole, il marito aveva richiesto, la moglie s'alzò dal suo posto e andò anche lei verso il lavandino, pronta a ricevere, uno per uno, i piatti, le fondine e i bicchieri che la figlia le avrebbe passato perché li asciugasse; e così facendo, ripensò, come sempre faceva in quei casi, a quando il marito le aveva gridato il giorno in cui avevan dovuto decidere il nome da dare al primogenito: « Antonio? — aveva gridato — E perché, Antonio? Perché si chiamava così tuo fratello? Ma, a me, i nomi dei santi non piacciono... ». Viste, però, le sue insistenze, il marito aveva finito con l'arrendersi: « se proprio tu ci tieni, ecco, chiamiamolo Antonio; ma ho paura che quel nome non gli porterà fortuna... ». In quel modo i due successivi sui quali lei non aveva piú osato avanzar proposte, eran stati chiamati, uno Carlo, non per il
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GIOVANNI TESTO[...]

[...]fondina di minestra, il pezzo di fesa, un po' d'insalata e due bicchieri di vino, per il Luigi; una fondina di minestra, l'insalata, acqua vichy con spremuto dentro mezzo limone, per lei; e adesso il caffè borbottava nella macchinetta.
« Con 'sti razzi qui, che non lascian sfogare mai il tempo! — aggiunse — Mai! » — ripeté.
« Ma cerca di ragionare, Redenta! Cosa vuoi, che per far piacere a te lascino andar in niente i raccolti ? ».
« Ah, già, come se i raccolti fossero più importanti dei cristiani? Quando poi s'è_visto e si vede in che conto ci tengono! Come mosche ci ammazzano! Ma andiamo, va', andiamo, che la suonata, com'è, ormai l'ho capita, e bene anche! ».
Il Luigi che quella sera aveva in animo di parlar alla sorella il più quietamente possibile, in quanto il discorso avrebbe dovuto cadere sulla decisione che aveva preso di sposarsi di li a un mese, un mese e mezzo, si sentiva imbarazzato; abbastanza deciso su tutto il resto, egli soffriva nei confronti della Redenta d'uno strano complesso e benché fosse certo che, una sistemazione matrimoniale, dopo la fine che l'Andrea aveva fatto, la Redenta, con le sue idee e le sue fisime, non l'avre[...]

[...]he aveva preso di sposarsi di li a un mese, un mese e mezzo, si sentiva imbarazzato; abbastanza deciso su tutto il resto, egli soffriva nei confronti della Redenta d'uno strano complesso e benché fosse certo che, una sistemazione matrimoniale, dopo la fine che l'Andrea aveva fatto, la Redenta, con le sue idee e le sue fisime, non l'avrebbe mai cercata, non poteva negarsi che lui aveva fatto di lei la sua serva; e va' be' che, al posto dñ trottar come tutte le altre dalla mattina alla sera, le aveva permesso di restarsene a casa, ma insomma... Come poteva dunque decidersi a lasciarla e a lasciarla sola per sempre, dopo tanti anni di silenziosa, difficile, ma continua vita in comune?
Era questa la ragione per cui fin li, davanti alle richieste della sarta perché si decidesse a regolar la posizione, aveva sempre tergiversato; più d'una volta anzi s'era fatto chiedere, tra ironia e dolore, se era con lei o invece con la sorella che, quando aveva
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voglia, se n'andava a letto. In quei casi, lui aveva sempre risposto di non riuscir proprio a capire come lei potesse non immedesimarsi nella situazione in cui si trovava: « Met[...]

[...]anti anni di silenziosa, difficile, ma continua vita in comune?
Era questa la ragione per cui fin li, davanti alle richieste della sarta perché si decidesse a regolar la posizione, aveva sempre tergiversato; più d'una volta anzi s'era fatto chiedere, tra ironia e dolore, se era con lei o invece con la sorella che, quando aveva
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voglia, se n'andava a letto. In quei casi, lui aveva sempre risposto di non riuscir proprio a capire come lei potesse non immedesimarsi nella situazione in cui si trovava: « Mettiti nei miei panni, Rita. Potessi convincerla a venir a vivere con noi! Ma questa, anche se l'accettasse lei, saresti poi tu a non accettarlo mai ».
Un « direi », secco e duro, sigillava a quel punto, da parte della sarta, l'antipatia che le due donne nutrivano l'una per l'altra.
« Comunque, sai anche tu cos'è che dicevano i miei vecchi; padre, madre, fratello e sorella van benissimo, ma quando si tratta di metter su casa, ognuno dalla sua parte e per il suo destino; e la stessa, identica cosa la penso anch'io ».
Se, t[...]

[...]on il quieto e tenace affetto con cui amava le abitudini più radicate e profonde della sua vita, lo poteva e lo doveva. Le due stanze, per esempio, in cui la Margherita abitava e lavorava, là, sul fondo di Via Espinasse, eran diventate per lui il prolungamento naturale e non meno caro, delle tre in cui abitavan lui e la sorella; e così le ore che usava passarvi e tutto quel che insieme v'avevan detto e vi dicevano, v'avevan fatto e vi facevano.
Come dunque abbordar l'argomento se i nervi della Redenta, quella sera, parevano esser ancor più tesi del solito? Perché quel pomeriggio, la sarta, preda anche lei dell'agitazione che il temporale non avvenuto aveva messo nell'aria, era stata esplicita e così aveva finito per far correr tra loro parole grosse e dure: « d'aspet
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tare sono stufa... »; « non vorrei che, al momento buono, tu mi piantassi qui e amen! Perché, se devo dirti proprio tutto, il diritto d'aver un marito e d'averlo legalmente, me lo voglio conservare, E non è che a trovarlo debba far tanta fatica... »; « [...]

[...]qui e amen! Perché, se devo dirti proprio tutto, il diritto d'aver un marito e d'averlo legalmente, me lo voglio conservare, E non è che a trovarlo debba far tanta fatica... »; « e la Redenta? »; « la Redenta s'impicchi! » — ecco qual era stata, a quel punto, la risposta ferma e decisa della Margherita.
Non sapeva, la poveretta, che, in fondo, anche la Redenta non desiderava di meglio, e non solo per esser finalmente libera di far i comodi suoi come e quando voleva, uscire o restare, mangiare o digiunare; ma per delle ragioni ancor più profonde e segrete; e cioè che finalmente le sarebbe andato fuori dai piedi anche l'ultimo uomo che le restava da sopportare; e di quelle frigne li, poi, basta, neanche l'ombra, neanche l'odore! Soprattutto, quello; con la biancheria sporca di chissà cosa che doveva lavargli ogni settimana: «massi! Ma che impari a lavargliela la sua bella spasimante, perché dopotutto, a tirarselo a letto insieme, è lei, non io! ».
Tuttavia anche a considerar il caso obbiettivamente, un domani, che so, una malattia, una di[...]

[...]sarsi, era più che probabile che lei dovesse voltar indietro le maniche un'altra volta e trovar un'altra volta qualche posto o per lo meno qualche lavoro.
Quella sera, dunque, il Luigi stava già per arrendersi e rinviar a una giornata migliore la discussione, quando, di colpo e senza che niente di ciò che fin li avevan detto ne legittimasse il ricorso, la Redenta fece:
« E allora cos'è che hai combinato con la tua cosa là, la Margherita? ».
« Come, cos'ho combinato? » — rispose il Luigi, colto di sorpresa.
« Insomma, vi sposate o aspettate che venga il tempo di far la cassa a tutt'e due insieme? ».
L'amara ironia di quelle parole ferì il cuore abbastanza sensi
IL FABBRICONE 97
bile del Luigi che, sollevando la mano come per allontanar qualcosa, si limitò a rispondere con un:
« Che maniera di parlare... ».
« Stai a vedere che, adesso, dopo anni e anni che viviamo insieme, dovrò mettermi a usar il galateo anche con te! ».
« Non è questione di galateo, Redenta. E questione di modi... ». «E i miei son questi. Ormai dovresti averlo capito ».
« Be' allora, dato che ci siamo, ti dirò che era proprio di questo che volevo parlarti... ».
« Sentiamo, su, sentiamo. Ma non far troppo storie, mi raccomando — aggiunse la Redenta, quando vide che il fratello aveva tirato indietro una sedia e con gli occhi pareva bonari[...]

[...]modi... ». «E i miei son questi. Ormai dovresti averlo capito ».
« Be' allora, dato che ci siamo, ti dirò che era proprio di questo che volevo parlarti... ».
« Sentiamo, su, sentiamo. Ma non far troppo storie, mi raccomando — aggiunse la Redenta, quando vide che il fratello aveva tirato indietro una sedia e con gli occhi pareva bonariamente invitarla a sedersi — Basta che tu dica un mese, un giorno... Su, su; quand'è che avete deciso?... ».
« Come, quand'è che abbiamo deciso? Ma se non sai neanche cos'abbiamo deciso? ».
«Io? Ma io ho capito appena hai messo piede qua. Su, fuori 'sta data; perché, una volta o l'altra, dovrò pur cominciare a pensar ai fatti miei anch'io... ».
III
Finito il temporale, sulle case della città l'aria era tornata ben presto quella di prima, sporca, cioè, polverosa e pesante; sulla periferia, invece, essa aveva conservato il frizzo del dopopioggia, frizzo che sarebbe durato per tutta la notte, se dalle raffinerie del Pero non fosse cominciata, lenta ma inesorabile, l'infiltrazione degli odori.
Si trattava [...]

[...] era tornata ben presto quella di prima, sporca, cioè, polverosa e pesante; sulla periferia, invece, essa aveva conservato il frizzo del dopopioggia, frizzo che sarebbe durato per tutta la notte, se dalle raffinerie del Pero non fosse cominciata, lenta ma inesorabile, l'infiltrazione degli odori.
Si trattava d'un tanfo che in poco riusciva a infettare e a corrompere tutta quanta I'aria. Cosi la fiamma che dalle finestre più alte del fabbricone, come da tutte le case minime e le cascine di Roserio, di Vialba, di Musocco e della Certosa, si vedeva brillare verso nord, non diventava altro che il segnale d'un fuoco nauseante e malefico, fuoco che si ripeteva ogni sera con la monotona rego, larità d'un fatto meccanico, né più né meno dell'odore, quasi che
98 GIOVANNI TESTORI
ogni sera, quelle povere, grandi caserme, addossate l'una all'altra, dovessero immergersi, invece che nella pace del sonno, nella melma e nel fango. Che però malgrado l'ora, quella sera, nel fabbricone, qualcuno stesse questionando, tutti quelli che per le più diverse r[...]

[...]tto meccanico, né più né meno dell'odore, quasi che
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ogni sera, quelle povere, grandi caserme, addossate l'una all'altra, dovessero immergersi, invece che nella pace del sonno, nella melma e nel fango. Che però malgrado l'ora, quella sera, nel fabbricone, qualcuno stesse questionando, tutti quelli che per le più diverse ragioni non potevano ancor dormire, l'avevano capito da certe parole che s'eran alzate, di tanto in tanto, come degli squilli; la certezza tutta l'ebbero solo quando una porta sbatté di colpo e quando, su quel colpo, una voce di donna si mise a gridare senza più ritegno:
«Un maiale, si! E che i suoi vizi se li tenga per sé! Perché se lo vedo un'altra volta insieme, é la polizia che avviso! Capito? ».
Quindi un ciabattar furioso giù pei gradini; poi un altro colpo, un'altra porta che si chiudeva con la stessa violenza della prima.
« Ci siamo! Anche stasera, sonno, niente » — fece la Redenta che, messasi a letto, i nervi tesi dal temporale avvenuto solo in parte, dal mal di testa e dalla notizia che i[...]

[...]ieme, é la polizia che avviso! Capito? ».
Quindi un ciabattar furioso giù pei gradini; poi un altro colpo, un'altra porta che si chiudeva con la stessa violenza della prima.
« Ci siamo! Anche stasera, sonno, niente » — fece la Redenta che, messasi a letto, i nervi tesi dal temporale avvenuto solo in parte, dal mal di testa e dalla notizia che il fratello le aveva dato circa il suo matrimonio, faticava ancor più del solito a prender sonno. E siccome, di chi era la voce, lei l'aveva subito capito, subito si domandò cosa poteva esser successo se non che la Schieppati avesse visto il figlio in compagnia del Cornini, o cose del genere.
Ma in quel preciso momento dal dazio giunse al suo orecchio il rombo affannoso d'un motore, rombo che andò man mano avvicinandosi, finché la macchina, giunta di fronte alla siepe che cingeva l'orto, cominciò a rallentare per fermarsi, poco dopo. del tutto.
« Può piovere e strapiovere — gridò a se stessa la Redenta con. un rigurgito di rabbia, quando la manovra della macchina fu terminata — possono diventar f[...]

[...]almeno per il momento, era meglio aspettare; mentre, appena le fosse stato possibile, avrebbe preso il Sandrino, preferibilmente non li, in casa, o quando, li in casa, non ci fosse stato nessuno, e l'avrebbe fatta fuori; se lui poi avesse avuto qualcosa da dire, gli avrebbe indicato, senza né tanto, né quanto, la porta.
La Schieppati guardò ai piedi della seggiola la gran pigna di biancheria che aveva lasciato li da aggiustare e, secca e decisa come sempre, si sedette, infilò gli occhiali e cominciò a prender la prima maglietta, a farla passare di qua e di là per veder da che parte fosse meglio iniziarne il rammendo.
Benché, salvo la Redenta che a supporlo era arrivata assai presto, nessuno nel fabbricone osasse pensare che lei, madre dedita alle cure della famiglia, potesse farlo, in verità, di tanto in tanto, la povera donna si lasciava andare a maledir i giorni in cui, accettando la stupida e ignorante ingordigia del marito, s'era disposta a metter al mondo tutti i figli che aveva messo; sette! E sette figli volevan dire, sette bocch[...]

[...]sai presto, nessuno nel fabbricone osasse pensare che lei, madre dedita alle cure della famiglia, potesse farlo, in verità, di tanto in tanto, la povera donna si lasciava andare a maledir i giorni in cui, accettando la stupida e ignorante ingordigia del marito, s'era disposta a metter al mondo tutti i figli che aveva messo; sette! E sette figli volevan dire, sette bocche da sfamare, sette corpi da vestire, sette teste da seguire! Si, seguire, ma come? Che se pur una fa di tutto per starci dietro e far che vengano su un po' per la quale, trova poi sempre chi, due piani sopra, li indirizza alla vergogna, al vizio e alla galera!
Non che arrivasse a maledir i figli; era se stessa che malediva e lui, il marito che, pazienza avesse avuto la prospettiva di mi
loo GIOVANNI TESTORI
gliorar la posizione! Invece, no, niente; muratore era, quando ave van avuto il primo; muratore aveva continuato ad essere quando avevan avuto l'ultimo; e muratore sarebbe restato fin a quando le forze l'avessero sorretto.
D'altronde col Sandrino, che dei sette era [...]

[...]uto nel pensar che, a iniziare il figlio su quella strada, fosse stato il Cornini, quanto l'abiezione cui il figlio era giunto. Diciassette anni, diciassette appena compiuti e già così!
Tuttavia, arrivata a quel punto, cosa poteva fare?
Toglierlo da quella strada, se il destino pareva far apposta a non permettergli di trovar un posto che era un posto? E poi; quando uno ha lazzaronato o s'è arrangiato in quella maniera o addirittura ha trovato, come era chiaro che il figlio aveva trovato, una tal fonte di guadagno, in che modo convincerlo a voltar indietro le maniche e a lavorare ?
Mentre l'ago passava e ripassava, ora di qua, ora di lá, lungo la trama della maglia più gialliccia che bianca, in modo che il buco apertosi nella parte più bassa restasse chiuso il più tempo possibile, la Schieppati si chiedeva come avesse potuto metter al mondo un figlio così diverso dagli altri; perché gli altri, se ci pensava... Magari diversi eran anche loro, ma diversi per quel che riguardava il colore dei capelli e degli occhi, il carattere e la forma della faccia, perché per il resto...
Ed ora, eccoli lá, buttati giù tutti e sei, a dormire: quattro
IL FABBRICONE 101
nella prima stanza, con un posto vuoto; vuoto perché, naturalmente, il Sandrino non era ancor tornato... No, era meglio, meglio che non pensasse dove e con chi adesso si trovava, perché se si fosse lasciata andare a quei pensieri... Quel giorno poi,[...]

[...]er il resto...
Ed ora, eccoli lá, buttati giù tutti e sei, a dormire: quattro
IL FABBRICONE 101
nella prima stanza, con un posto vuoto; vuoto perché, naturalmente, il Sandrino non era ancor tornato... No, era meglio, meglio che non pensasse dove e con chi adesso si trovava, perché se si fosse lasciata andare a quei pensieri... Quel giorno poi, col temporale che c'era stato!
« Figurati Edvige se avrei il coraggio di venir qui a dirti una cosa come questa, quando non ne fossi più che sicuro! L'ho visto io, coi miei occhi, intanto che facevo l'ultima consegna. Era ai Boschetti... L'ho riconosciuto dalla maglia, poi l'ho visto anche in faccia; allora per non farmi vedere mi son nascosto dietro una pianta, han continuato a parlar tra di loro per un po', poi son saliti sulla macchina; dalla targa pareva di Como; e lui, il porco, uno sui cinquanta... ».
La miseria, ecco cos'era la vera causa, la vera colpa di tutto. La miseria e la fame, da una parte; e il niente da fare, i soldi e i vizi, dall'altra!
Sarebbe stato necessario prenderli, sb[...]

[...]quanta... ».
La miseria, ecco cos'era la vera causa, la vera colpa di tutto. La miseria e la fame, da una parte; e il niente da fare, i soldi e i vizi, dall'altra!
Sarebbe stato necessario prenderli, sbiottarli di tutto quel che avevano e strozzarli, 'sti maiali che con i loro soldi rovinavano anche chi non ne aveva voglia! La miseria — si disse e si ripeté —e la fame. La stessa miseria e la stessa fame che costringeva gli altri sei a mangiare come mangiavano e a dormire come dormivano; sbattuti sui materassi come delle bestie sui carri che le portano al macello e su delle coperte e delle lenzuola talmente unte e sporche d'aver schifo ad andarci vicino.
Già, neanche la dignità, neanche quella avrebbe voluto che le restasse! A sentir il Luigi, infatti, lei avrebbe dovuto starsene li, buona, buona, o limitarsi, al massimo, a guadagnar quanto bastava per pagar l'affitto; l'affitto e il carbone da metter nella stufa per il riscaldamento.
Siccome sapeva che, quanto al vitto, lei s'arrangiava con niente, farle quella proposta non doveva essergli costato davvero molto. E magari fosse stato lui, a fargliela! No, lei era sicura e strasicura che il fratello, da solo, quell'argomento non l'avrebbe mai e poi mai sfiorato; doveva esser stata la sarta. Figurarsi! Lei la conosceva bene quella specie di mezz'ebrea là, che in tanti anni in cui era
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stata l'amica del fratello, non s'era mai degnata di fargli un regalo che era un regalo. Cosa c'era dentro prendergli una camicia, un golf, una cravatta? Niente di niente. Mentre [...]

[...]il conquibus nudo e crudo che, di tanto in tanto, doveva lasciarle sul tavolo. Affari suoi; e, per quelle cose li, una volta che contento era lui, contenti eran poi tutti.
Ma l'offesa di sentirsi dire che, per tirar insieme quanto occorreva all'affitto e al riscaldamento, lei poteva anche andar lá, ad aiutar due o tre ore al giorno, la sua bella Margherita o se no, farsi dar da lei dei lavori che poteva poi confezionar li, in casa; quell'offesa come mandarla giù?
Idea della sarta anche quella; poteva giurarlo. Si, ma allora, avrebbero avuto un bell'aspettare tutt'e due che lei scendesse a un simile disonore! Piuttosto che quello, avrebbe fatto la sguattera! E la sguattera in una latrina!
Il rumore sordo e ovattato d'una macchina che cominciava a brontolar giù nella strada, colpi la Redenta in quei pensieri, tanto che li per li non si senti in grado di dirsi se era la stessa di prima che, esaurito lo scopo, se ne partiva o invece una che arrivava proprio in quel momento.
Trattenne il respiro per un attimo poi fece: « Saran i damerini d[...]

[...]cominciava a brontolar giù nella strada, colpi la Redenta in quei pensieri, tanto che li per li non si senti in grado di dirsi se era la stessa di prima che, esaurito lo scopo, se ne partiva o invece una che arrivava proprio in quel momento.
Trattenne il respiro per un attimo poi fece: « Saran i damerini del centro! Vengon qui con le loro amiche, magari prese su al Parco e ai Bastioni! Perché son diversi in tutto, loro, ma quanto alla patta son come e peggio di noi »; e solo quando il rombar del motore verso via Mambretti l'avverti che la macchina se ne stava andando, si girò nel letto, sperando di poter chiudere finalmente 'sti benedetti occhi.
L'illusione durò qualche minuto; in quel sopore la Redenta riuscì a lanciar la solita quotidiana bestemmia alla memoria del suo Andrea e a lanciargliela come se l'avesse li, davanti, in quell'interminabile agonia in mezzo all'acqua, alla neve, ai fischi delle pallottole, al sangue, e alle bombe; poi lo sbatter d'una portiera e il rimandarsi d'alcuni saluti, proprio davanti a casa e infine un
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passo che attraversava gagliardo tutto l'orto per salir su per le scale, la risvegliarono di bel nuovo:
« Imparassero, non si dice tanto, ma che la notte è fatta per dormire, e che, dopo tutto, al mondo ci può essere della gente che ha bisogno d'un po' di tranquillità e di pace! Imparassero quello! ».
Il passo era del Villa; dopo aver sco[...]

[...]i far in fretta, perché è
tardi ».
«Allora cominciamo. Dove sei stato: sù, fuori ».
«Dove son stato? In palestra ».
«Vero? ».
« Ecco qui » — rispose l'Antonio indicando sul tavolo la vali
getta di metallo.
« Be', sai, se é per quello potrebbe anche esser una scusa... ».
« Una scusa? E perché, una scusa ? ».
Dopo un breve silenzio, in cui due o tre pagine del mensile
girarono nervosamente, il Carlo riprese il suo interrogatorio, giusto
come se tra lui e il fratello l'ordine degli anni si fosse scambiato.
« E con chi sei tornato ? Si può sapere almeno quello? ».
« Col presidente » .
« Di pure, con quel maiale del Morini ».
« Ah, la metti così? — ribatté l'Antonio, poi prendendo la va
ligia e muovendosi per passar in camera, aggiunse con una voce
più stanca che irritata — Buonanotte ».
« Antonio — fece il Carlo — Senti, Antonio... ».
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« Cosa devo sentire ? Lo sai bene anche tu che da un po' di
tempo in qua non andiamo più d'accordo... ».
« Certo, fin che continui a frequentar della gente come i tuoi [...]

[...]ente » .
« Di pure, con quel maiale del Morini ».
« Ah, la metti così? — ribatté l'Antonio, poi prendendo la va
ligia e muovendosi per passar in camera, aggiunse con una voce
più stanca che irritata — Buonanotte ».
« Antonio — fece il Carlo — Senti, Antonio... ».
104 GIOVANNI TESTORI
« Cosa devo sentire ? Lo sai bene anche tu che da un po' di
tempo in qua non andiamo più d'accordo... ».
« Certo, fin che continui a frequentar della gente come i tuoi
compagni di palestra e i loro capi! Ma tu ti dimentichi chi sei,
da che famiglia vieni fuori e che idee hanno tuo padre, tua madre
e tua sorella ».
« Non mi dimentico di niente ».
« No ? E allora spiegami perché non ti fai più vedere al Cir
cola... ».
« Perché ho altro da fare ».
« Lo vedi? ».
« Ma cosa vuoi che veda! E poi, senti, la fai tu la vita che vuoi?
SI? E io faccio quella che voglio io. Non sarà anche la tua, una
libertà come quella dei preti ».
«
Antonio! » — fece il Carlo alzando di colpo la voce.
« Ascolta, va'; lasciamo dormire chi dorme e andiamocene a lett[...]

[...]uoi
compagni di palestra e i loro capi! Ma tu ti dimentichi chi sei,
da che famiglia vieni fuori e che idee hanno tuo padre, tua madre
e tua sorella ».
« Non mi dimentico di niente ».
« No ? E allora spiegami perché non ti fai più vedere al Cir
cola... ».
« Perché ho altro da fare ».
« Lo vedi? ».
« Ma cosa vuoi che veda! E poi, senti, la fai tu la vita che vuoi?
SI? E io faccio quella che voglio io. Non sarà anche la tua, una
libertà come quella dei preti ».
«
Antonio! » — fece il Carlo alzando di colpo la voce.
« Ascolta, va'; lasciamo dormire chi dorme e andiamocene a letto anche noi; che se proprio vuoi, di questa faccenda potremo parlar con più comodo un'altra volta... » .
« No, ne parliamo adesso! ».
« E allora parla. Ma, se é possibile, senza gridare ».
« Ecco; senza gridare » — fece la madre, aprendo di colpo la porta e intervenendo inaspettata ma decisa nella conversazione.
« La vedi, la vedi chi è la tua protettrice ? — gridò il Carlo preso di contropiede da quell'improvviso intervento; poi, rivolgendosi alla m[...]

[...].
« No, ne parliamo adesso! ».
« E allora parla. Ma, se é possibile, senza gridare ».
« Ecco; senza gridare » — fece la madre, aprendo di colpo la porta e intervenendo inaspettata ma decisa nella conversazione.
« La vedi, la vedi chi è la tua protettrice ? — gridò il Carlo preso di contropiede da quell'improvviso intervento; poi, rivolgendosi alla madre — Non è per niente, certo, che vieni fuori da una famiglia di seminaristi... ».
« Guarda come fai a parlare, Carlo! Perché qualunque siano le tue idee, non ti permetterò mai d'insultar nostra madre... ».
L'Antonio s'era avvicinato al fratello e pareva sovrastarlo con tutto il peso della sua mole.
« Perché se quel che impari sui tuoi giornali, e sulle tue riviste é tutto qui, puoi anche far a meno di leggerle! — aggiunse, restando nella stessa posizione — E poi, faccio forse qualcosa contro te e contro le tue idee? E allora! ».
Il Carlo che per un attimo era sembrato sul punto di smarrirsi, si spostò verso la finestra e invece di rispondere, disse:
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« Ma come fai,[...]

[...] fratello e pareva sovrastarlo con tutto il peso della sua mole.
« Perché se quel che impari sui tuoi giornali, e sulle tue riviste é tutto qui, puoi anche far a meno di leggerle! — aggiunse, restando nella stessa posizione — E poi, faccio forse qualcosa contro te e contro le tue idee? E allora! ».
Il Carlo che per un attimo era sembrato sul punto di smarrirsi, si spostò verso la finestra e invece di rispondere, disse:
IL FABBRICONE 105
« Ma come fai, spiegamelo, come fai a vivere in mezzo a quei maiali? ».
« Necessità di mestiere — ribatté l'Antonio con molta sicurezza; quindi, aggiunse — Del resto le mie idee tu le sai; la vita è una sola e convien passarla il meglio possibile... ».
« E allora, giù corruzioni, giù tradimenti! ».
« Ma chi corrompe ? Chi tradisce ? ».
« Voglio sperare che saprai cosa dicono intorno di quel porco del tua presidente... ».
« E allora? ».
« Allora, allora! » — ribatté il Carlo.
«E poi — incalzò l'Antonio, senza lasciar respiro — non potrai pretendere che tutti si divertano a strappar manifesti ».
« Antonio! — urlò il C[...]

[...]ai cosa dicono intorno di quel porco del tua presidente... ».
« E allora? ».
« Allora, allora! » — ribatté il Carlo.
«E poi — incalzò l'Antonio, senza lasciar respiro — non potrai pretendere che tutti si divertano a strappar manifesti ».
« Antonio! — urlò il Carlo — Con la storia dei manifesti é ora di finirla! Ho detto anche a lei che, se é necessario, son disposto a rifar la stessa cosa per tutta la vita. Perché, io, ricordati, io non sono come te; io alle mie idee e alle idee che m'ha insegnato mio padre ci credo e ci credo fino al sangue! ».
In quel momento sul vuoto della porta che la madre aveva lasciata aperta apparve, per restarvi immobile e dura, la Liberata; più bianca della camicia, gli zigomi tesi e gli occhi fissi, essa guardò per un attimo l'Antonio, poi disse:
« E' vero: fin al sangue ».
Quando, alla fermata di largo Boccioni, il Sandrino scese dal tram, l'una e mezza era già passata e il fetore che veniva dal Pero, mescolandosi all'umidità, aveva reso l'aria irrespirabile; salutati in fretta e furia i due amici con [...]

[...]a era già passata e il fetore che veniva dal Pero, mescolandosi all'umidità, aveva reso l'aria irrespirabile; salutati in fretta e furia i due amici con cui, prima e dopo il temporale, aveva girovagato per il Parco, il ragazzo prese a camminar subito verso casa, pieno d'una stanchezza e d'uno stordimento contro cui poco poteva quel che pure aveva li, in tasca, e che gli assicurava oltre ai pasti per un giorno o due, il cambio dei calzoni, giusto come quelli che, verso sera, aveva visto al Carrobbio, nelle vetrine dell'« Araldo ».
Quando poi, percorsa Via Aldini, arrivò al fabbricone, trovò sull'ingresso la Candida che stava baciandosi con uno di cui non
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gli fu possibile veder niente; poiché al rumore dei suoi passi lo sconosciuto si girò subito, mostrando cosí solamente la schiena. Tl Sandrino guardò per un attimo la moto che se ne stava ferma dietro i due, poi riprese a camminare, riuscendo a sentir a malapena la Vaghi che, a voce non molto bassa, diceva:
«Niente, niente. È uno di qui, uno che ha tutto l'interess[...]

[...]hi che, a voce non molto bassa, diceva:
«Niente, niente. È uno di qui, uno che ha tutto l'interesse a tacere... »
Afferrato il riferimento e scrollatasi di dosso ogni irritazione con un colpo di spalle, lo Schieppati attraversò l'orto. Quando poi, salite le scale, fu sul punto d'aprir la porta, uno scroscio precipitò giù per la tubatura di scarico così fragoroso da far credere che volesse trascinar con sé un pezzo di casa.
«
Addio! » — fece, come se salutasse un amico che se ne andava per sempre ed entrò.
La luce che, filtrando da sotto la porta, l'aveva preparato a quel che certo sarebbe successo, l'accolse accecante; così non era ancor riuscito a ritrovarsi che la madre gli piantò addosso gli occhi stanchi e disperati facendogli segno di star in silenzio:
«...perché la gente onesta, a quest'ora, è a letto che dorme... »
— disse per finir di spiegarsi.
«
Allora? — aggiunse, una volta che gli fu arrivata talmente vicino da poterne sentir il respiro e col respiro tutto l'odor di bagnato che aveva addosso. — Ma guarda che faccia ha[...]

[...]ovarsi che la madre gli piantò addosso gli occhi stanchi e disperati facendogli segno di star in silenzio:
«...perché la gente onesta, a quest'ora, è a letto che dorme... »
— disse per finir di spiegarsi.
«
Allora? — aggiunse, una volta che gli fu arrivata talmente vicino da poterne sentir il respiro e col respiro tutto l'odor di bagnato che aveva addosso. — Ma guarda che faccia hai, guarda! »
— aggiunse contro la sua stessa volontà, presa, come fu, dall'aria distrutta e dagli occhi incavati del ragazzo — Se vai avanti così finirai tisico in qualche sanatorio ».
«Ma cosa vuoi che finisca tisico! » — ribatté il Sandrino, alzando le spalle.
« Dunque vuoi dirmi dove e con chi sei stato? Perché appena ne so uno, di nomi, quei maiali li denuncio e faccio metter dentro tutti! ».
« Ma che nomi vuoi che faccia! » — disse per tutta risposta il Sandrino.
« Sembra impossibile che un figlio possa sentirsi far da sua madre delle accuse così e non disperarsi, non piangere; — adesso la Schieppati parlava con voce soffocata si dal bisogno di non[...]

[...]binavi con un tale... »
« Ma non farmi ridere! »
« Ah, ti faccio ridere! E allora ascolta: fuori dal coso lá...
Mi fa schifo a dirlo, schifo! Be', fuori di lá, sei poi salito con quel
delinquente sulla sua macchina... Ti basta? Era una macchina
targata Como. E' o non è la veritá? » — giunta a quel punto la
madre che, nel fare quella dichiarazione aveva sentito d'arrischiar,
forse per sempre, l'affetto del figlio, fissò a lungo il Sandrino come
per impedirgli ogni scappatoia.
« E se anche fosse la veritá, cosa vorresti dire? »
« Che mi fai schifo e che se non la pianti, la vedi li, la porta ?
Prendi, esci e qui, insieme a noi, non tornare piú, ma proprio piú.
Perché se tu vuoi andar alla rovina, va be', vacci; ma io ho gli altri
sei da salvare. Capito? Gli altri sei! »
A quel punto il colloquio ebbe una lunga pausa, in cui la donna
cominciò a tremare e a stringere e torcer le dita una sull'altra:
« Ma cos'ho fatto di male io, per aver un figlio come te? Cos'ho
fatto? ».
« Domandaglielo a lui. Non ti vien più in mente quel[...]

[...]vorresti dire? »
« Che mi fai schifo e che se non la pianti, la vedi li, la porta ?
Prendi, esci e qui, insieme a noi, non tornare piú, ma proprio piú.
Perché se tu vuoi andar alla rovina, va be', vacci; ma io ho gli altri
sei da salvare. Capito? Gli altri sei! »
A quel punto il colloquio ebbe una lunga pausa, in cui la donna
cominciò a tremare e a stringere e torcer le dita una sull'altra:
« Ma cos'ho fatto di male io, per aver un figlio come te? Cos'ho
fatto? ».
« Domandaglielo a lui. Non ti vien più in mente quel che
m'hai gridato dietro due o tre mesi fa? 'Io, soldi da dare a te, non
ne ho piú; se dunque riesci a guadagnarli con le tue mani bene,
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altrimenti va' per la tua strada'. E siccome di posti, a me, non ne ha mai trovati nessuno, i soldi me li son dovuti guadagnare con quel che ho a disposizione... »
« Sandrino... » — fece la madre cercando di prender il figlio per le spalle; fosse riuscita, l'avrebbe certo stretto in un abbraccio che sarebbe stato d'amore, insieme che di disperazione e di paura. Ma il Sandrind con un colpo gli sfuggi via.
« Sandrino... » — mormorò un'altra volta la donna.
« Lasciami andare, va, che non sto più in piedi dal sonno. Son qui tutto bagnato, non vedi? Del resto se proprio ti faccio schifo non hai che da dirmelo e me ne vado subito. Ormai ho[...]

[...]eme che di disperazione e di paura. Ma il Sandrind con un colpo gli sfuggi via.
« Sandrino... » — mormorò un'altra volta la donna.
« Lasciami andare, va, che non sto più in piedi dal sonno. Son qui tutto bagnato, non vedi? Del resto se proprio ti faccio schifo non hai che da dirmelo e me ne vado subito. Ormai ho visto che non si fa nessuna fatica a trovar chi, oltre alla grana, ti dà anche il letto. Si tratta solo di cambiar di tanto in tanto, come negli alberghi... »
Il Sandrino non aveva ancor finito di parlare che la madre, rotta dai singhiozzi, s'era abbandonata sul tavolo; nel colpo le ultime calze e gli ultimi fazzoletti che eran li da aggiustare, caddero a terra.
Il ragazzo guardò un momento la madre, poi senza aggiunger altro, passò nella stanza: allora la vista di tutti quei corpi distesi o rannicchiati sui letti, insieme con l'odor caldo e fin rivoltante che ne veniva, gli diedero più d'ogni altra sera un senso di pietà insieme che di ribellione.
« Anche il sangue dal naso, adesso! » — disse quando, seduto sul letto per lev[...]

[...]eme che di ribellione.
« Anche il sangue dal naso, adesso! » — disse quando, seduto sul letto per levar le scarpe, vide che il fratello con cui divideva il posto, aveva lasciato sul cuscino delle macchie rossastre, di cui una aveva poi segnato sul lenzuolo tutti i movimenti.
Giusto in quel momenta nel recinto dell'orto entrò il Luciano; benché facesse di tutto per renderlo il più leggero possibile, il suo passo risuonò nella tromba delle scale come se venisse dal fondo della terra.
Dentro il letto dove, nell'impossibilità di dormire, continuava i suoi pensieri e i suoi incubi, la Redenta senti e disse: « E di certo lui, quel povero bastardo! ».
Poco dopo nella casa risuonò il gemito d'una porta, quindi
uno scalpiccio: poi, più niente. GIOVANNI TESTORI



da Liliana Magrini, Il silenzio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]si, avevano cautamente sfilato di sotto i loro indumenti, la maglietta s'era arrotolata e i pantaloni erano scivolati di traverso sugli steli. Un limone succhiato, scuro di liquerizia, era sfuggito di tasca. Marco rimase un attimo a guardarlo, con una contrazione della gola arsa. Le tre paja di scarpe erano ancora lá, in fila: quelle di Michele un po' più piccole, sulla sinistra il bordo di gomma era in parte staccato dalla tela, e Marco ricordò come ciò impacciasse talvolta Michele, nella corsa.
Il riverbero della costa lo feriva negli occhi: li chiuse, continuando a stringere tra le dita un bottone che gli sfuggiva. Uno, poi un altro, un terzo. La blusa era abbottonata. Riaperse gli occhi, e la luce li ferì di nuovo, aridi di sale. Le sue mani s'agitavano intorno alla fibbia della cintura, cercavano d'affrettarsi: eppure sapeva che quando avesse finito avrebbe dovuto muoversi, lasciare quel riparo che in qualche modo gli faceva davanti il calore della roccia : un calore pesante e denso come un muro. Ecco, era fatto. Sentì che Nino si m[...]

[...]chiuse, continuando a stringere tra le dita un bottone che gli sfuggiva. Uno, poi un altro, un terzo. La blusa era abbottonata. Riaperse gli occhi, e la luce li ferì di nuovo, aridi di sale. Le sue mani s'agitavano intorno alla fibbia della cintura, cercavano d'affrettarsi: eppure sapeva che quando avesse finito avrebbe dovuto muoversi, lasciare quel riparo che in qualche modo gli faceva davanti il calore della roccia : un calore pesante e denso come un muro. Ecco, era fatto. Sentì che Nino si muoveva, andava verso l'acqua. Anche lui, per la prima volta, si girò. Il mare era immobile e, come il cielo divorato dal calore, bianco. Sospese contro una lontana foschia, si delineavano le sagome di qualche vapore e della diga irta di gru. Le cancellò subito, ai suoi occhi abbagliati, un dilatarsi di cerchi incandescenti. Quel riverbero duro gli pesava ora sulla nuca. Lentamente, la vibrazione luminosa si fermò, come al limite di una sfera vuota, nel biancore inerte del cielo e delle acque.
Guardò un attimo verso Nino: cercava con gli occhi tra i bassi scogli che verso il mare interrompevano il greto. Il ciuffo di capelli incollati di sale gli stava ritto sulla fronte, e faceva più sfuggente il suo profilo. Anche Marco guardò da quella parte: nient'altro che pietre piatte contro un orizzonte vuoto.
Improvvisamente, s'accorse che sulla distesa bianca posava, non molto lontano, una barca, rilevata come se l'acqua avesse avuto una
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durezza di cemento. C'era un uomo, dentro : la sua fig[...]

[...]re inerte del cielo e delle acque.
Guardò un attimo verso Nino: cercava con gli occhi tra i bassi scogli che verso il mare interrompevano il greto. Il ciuffo di capelli incollati di sale gli stava ritto sulla fronte, e faceva più sfuggente il suo profilo. Anche Marco guardò da quella parte: nient'altro che pietre piatte contro un orizzonte vuoto.
Improvvisamente, s'accorse che sulla distesa bianca posava, non molto lontano, una barca, rilevata come se l'acqua avesse avuto una
154 LILIANA MAGRINI
durezza di cemento. C'era un uomo, dentro : la sua figura si stagliava precisa, e il braccio teso, e la lenza che teneva in mano: ma non si poteva distinguergli il volto, né capire da che parte guardasse. Anche Nino l'aveva scorto, lo vide trasalire:
«
C'era? »
Per un attimo la chiglia oscillò propagando sull'acqua una vibrazione d'ombra.
Avremmo dovuto sapere... », disse Marco.
Nino si cacciò indietro i capelli.
«Dopo tutto... ». Le sue labbra ebbero una smorfia, parve inghiottire a fatica: « Dopo tutto, non era mica venuto con noi... [...]

[...]massi lucenti ove l'acqua torpida s'orlava di detriti d'alghe e di schiume giallastre.
Finalmente Nino venne verso di lui, le sue braccia erano gocciolanti e non avevano più traccia di fango. Guardando il suo viso aguzzo, Marco si senti sollevare da un'ira improvvisa. Vigliacco, si disse, vi
IL SILENZIO 155
gliacco. Aveva la stessa faccia, quel giorno che li aveva denunciati, lui e Michele Cataldo, per un vetro rotto a scuola. Strinse i pugni come se ancora si trattasse di questo. Vigliacco. Avrebbe voluto picchiarlo, se non l'aveva fatto allora; ma subito si smarrì nel pensiero di quello che era accaduto. Com'era possibile? nuotavano insieme: e a un tratto, voltandosi, quell'acqua liscia, quel silenzio...
« ... Direbbero che é colpa nostra », disse Nino. Aveva parlato a voce bassa, il suo viso si contraeva come se stesse per piangere. Marco distolse gli occhi. Si sentiva lo stesso viso livido di paura, lo stesso sguardo cauto.
Un fischio lacerò l'aria. Si voltò di scatto. Al sommo del costone, frastagliato d'ombre dal sole ormai basso, s'incideva nitida la strada. Ricominciò a udire un ronzio di motori, fruscii di ruote, stridere di freni: in fondo, sopra a un cantiere, brevi vampe addensavano qua e lá fumi oscuri in un pulviscolo incandescente, mentre un lontano martellio d'innumerevoli magli su lastre di ferro riprendeva, nell'aria immobile, il suo coro ostinato. Altre sirene si misero a suonare.[...]

[...]ma di passare dall'acciottolato dell'ultima erta alla strada asfaltata. Tra due cortine scialbe di case, le prime scintille del tram salivano con lievi scoppiettii nel cielo che andava spegnendosi.
Sorrise : una svelta figura traversava di scatto il marciapiede. Soltanto Costanza sapeva avere quell'impeto nel passo. Andava verso qualcuno che usciva da un negozio. Gli s'accostò e sussurrò qualcosa: l'uomo annui. Costanza Cataldo cominciò allora, come in un gioco, a far uscire da vari punti del suo corpo dei pacchetti lucidi e lisci;
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sembravano scaturire spontaneamente, tant'erano lievi i suoi gesti. Alcuni sbucavano come musi prudenti di bestiole tra l'ampia gonna frusciante e la blusa candida; altri balzavano vivi dalla piega del braccio rotondo, o guizzavano lungo la coscia col balenare brevissimo di un ginocchio bruno.
Antonio s'era lentamente avvicinato. Allo sguardo cauto e come divertito che girò intorno ricomponendosi la veste, Costanza lo vide, e gli rivolse un sorriso. Buoni affari? disse Antonio. Ma si, rispose allegramente: aveva già venduta quasi tutta la sua provvista d'americane, a Sottoripa.
« Non so » disse incerta, quando Antonio le chiese se rincasava_ Si misero a camminare insieme verso il colle. « Giacomo dormiva, quando l'ho lasciato », aggiunse dopo qualche momento, in tono lievemente interrogativo. S'era bruscamente oscurata. Aveva un viso liscia e pieno, dai lineamenti minuti: più che espressivo, estremamente mutevole.
« Non l'ho visto in tutto i[...]

[...] piano il labbro inferiore. Vivi e morbidi, i lunghi capelli scuri le sfioravano le guance chine.
Voltandosi un attimo, Antonio vide che Bertolli continuava a guardarli con un ghigno acido.
Ad un tratto Costanza scosse la testa, rigettando bruscamente indietro i capelli, e si fermò:
«Non mi va di rincasare subito. Venderò ancora qualche pacchetto, non so... Tanto, neppure Michele sarà in casa, a quest'ora ».
Antonio alzò la mano verso la sua come per carezzarla. Costanza abbozzò un sorriso. Mentre Antonio accennava ad avviarsi, staccò impulsivamente un garofano che teneva infilato nella blusa «Lo vuole? Ha ancora un po' di profumo ».
Egli prosegui da solo, tenendo il fiore tra le dita un po' impacciate.
« Tuo padre. Non dirglielo », sussurrò Nino vedendo comparire Antonio Stura in fondo alla discesa, e corse via.
Antonio andava piano. Vicino a lui, seguendo il muoversi del corpo nel passo, oscillava la piccola macchia rossa del garofano. Marco fu per scappare anche lui: ma poi gli parve più facile attenderlo che rientrare da solo. [...]

[...]o screpolato. In mezzo ai dossi che, dorati da un ultimo sole, mordevano il cielo illimpidito, l'isola d'alte case ingrigiva nella sua squallida opacità di cemento: fitto alveare frettolosamente progettato per una popolosa periferia, che qualche caso amministrativo aveva concretato in quella vastità deserta. Con un sospiro, distolse gli occhi da quell'immagine familiare. Esitando, alzò alle narici il fiore. Era buono, l'odore del garofano: acre, come d'arsura. Il rosso dei petali s'era incupito appena.
Già era vicino, quando dalla china bruna d'erbe disseccate s'alzò, scorrendo tutto intorno il giro dei colli, il grido dei ragazzi: ragazzi di Oregina, dei quartieri più in basso, tumultuosa e sfuggente tribù che passava là intorno le sue giornate. Era un gioco che avevano inventato
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da poco, Antonio non ne conosceva le regole: ma di tanto in tanto, sorgendo da buche invisibili che dovevano aver scavato come trincee, s'alzava limpido un grido : « All'erta! ». Una dopo l'altra, nuove voci lo riprendevano, avvolgendo l'i[...]

[...]era incupito appena.
Già era vicino, quando dalla china bruna d'erbe disseccate s'alzò, scorrendo tutto intorno il giro dei colli, il grido dei ragazzi: ragazzi di Oregina, dei quartieri più in basso, tumultuosa e sfuggente tribù che passava là intorno le sue giornate. Era un gioco che avevano inventato
158 LILIANA MACRINI
da poco, Antonio non ne conosceva le regole: ma di tanto in tanto, sorgendo da buche invisibili che dovevano aver scavato come trincee, s'alzava limpido un grido : « All'erta! ». Una dopo l'altra, nuove voci lo riprendevano, avvolgendo l'isolato.
Anche Marco ascoltava. Una voce vicina, che non riconobbe, lo chiamò per nome. Si strinse nelle spalle, e andò risolutamente verso Antonio. Pensava che il padre gli avrebbe fatto delle domande, e rinunciò a preparare le risposte: l'osservava spiando l'istante in cui avrebbe incontrato il suo sguardo.
Un lieve sorriso aleggiava sulle labbra di Antonio; avanzava lentamente, sempre bilanciando il garofano, con quei suoi movimenti un po' goffi d'uomo alto e robusto che la manc[...]

[...]a che il padre gli avrebbe fatto delle domande, e rinunciò a preparare le risposte: l'osservava spiando l'istante in cui avrebbe incontrato il suo sguardo.
Un lieve sorriso aleggiava sulle labbra di Antonio; avanzava lentamente, sempre bilanciando il garofano, con quei suoi movimenti un po' goffi d'uomo alto e robusto che la mancanza di moto abbia appesantito. Finalmente Marco, con un sussulto, si senti veduto. Ma le cose andarono altrimenti da come s'era aspettato: gli occhi del padre sembrarono sfuggire quasi con fastidio il suo sguardo.
Con fare impacciato, Antonio mise in tasca il fiore, e curvò le spalle in un suo atteggiamento abituale, che gli dava un'aria di rassegnata e volontaria mitezza. Arrivato a fianco di Marco, gli chiese se dopo colazione avesse aiutato la madre a portare la legna per la cucina, con un tono d'interesse smentito dagli occhi distratti. Gli aveva cinto le spalle col braccio. Marco fece cenno di si, e si svincolò bruscamente, fingendo di voler raccogliere un sasso a lato della strada.
S'avviarono, discosti,[...]

[...]a spezzato una gamba cadendo da una impalcatura, ed era rimasto disoccupato, non faceva che bere e dormire. Non usciva quasi mai, se non per andare a prendere quei pochi soldi alla cassa malati. Non fece un gesto. Del resto, anche se li avesse scorti, difficilmente l'avrebbe mostrato, se non fossero stati loro a rivolgergli la parola.
Gli sguardi di Marco e di suo padre erano stati altrettanto attenti, altrettanto rapidamente si erano distolti. Come esitasse a non dargli un segno della sua presenza, Antonio aveva rallentato; Marco, invece, aveva affrettato il passo.
IL SILENZIO 159
Senza rispondere al meccanico « Siete qui? » con cui Teresa, rimanendo china sull'acquaio, registrava di solito la loro presenza, Antonio s'era subito diretto verso il suo tavolaccio da lavoro.
Marco l'aveva seguito.
Ritto nell'angolo tra il tavolaccio e la finestra, la schiena curva del padre lo proteggeva dallo sguardo di Teresa. Del resto, la donna aveva troppo da fare per occuparsi di lui.
C'era ombra nella stanza, e fumo. I suoi occhi ancora abbagli[...]

[...] Antonio s'era subito diretto verso il suo tavolaccio da lavoro.
Marco l'aveva seguito.
Ritto nell'angolo tra il tavolaccio e la finestra, la schiena curva del padre lo proteggeva dallo sguardo di Teresa. Del resto, la donna aveva troppo da fare per occuparsi di lui.
C'era ombra nella stanza, e fumo. I suoi occhi ancora abbagliati distinguevano appena la madre: ma sarebbe bastata la memoria a fargli riconoscere i suoi gesti, quelli di sempre. Come se non fosse stato vero. Ma poteva essere vero? Forse Michele, chissà come, era risalito più in là sulla costa. Forse era a casa, adesso, e rideva dello scherzo che aveva fatto a lui e a Nino...
Antonio scelse fra le asticciole che coprivano il tavolaccio un pezzo di legno greggio e cominciò ad assottigliarlo. Ad ogni colpo di pialla, indugiava a lisciarlo con la palma. Spontaneamente, Marco tese la mano a raccogliere uno dei riccioli chiari che cadevano a lato: ma quando l'ebbe preso non osò carezzarlo col dito svolgendolo, come faceva sempre: lo gettò, e senti dentro una specie di singulto.
Ora Teresa si era messa a parlare, con veloce monotonia appena rallentat[...]

[...]salito più in là sulla costa. Forse era a casa, adesso, e rideva dello scherzo che aveva fatto a lui e a Nino...
Antonio scelse fra le asticciole che coprivano il tavolaccio un pezzo di legno greggio e cominciò ad assottigliarlo. Ad ogni colpo di pialla, indugiava a lisciarlo con la palma. Spontaneamente, Marco tese la mano a raccogliere uno dei riccioli chiari che cadevano a lato: ma quando l'ebbe preso non osò carezzarlo col dito svolgendolo, come faceva sempre: lo gettò, e senti dentro una specie di singulto.
Ora Teresa si era messa a parlare, con veloce monotonia appena rallentata dai gesti che stava compiendo per scolare l'insalata, riempire d'acqua la pentola della pasta, ravvivare il fuoco. Parlava di Luigi, che era stanco, povero ragazzo, e non era giusto che al cantiere gli. dessero ancora la paga d'apprendista, e della figlia di quelli di sopra che non si capiva come facesse ad avere tanti vestiti, e di Giacomo Cataldo, che se c'era un Dio certe cose non avrebbero dovuto accadere. Parlava a sbalzi, con una aggressività stanca eppure continuamente ravvivata in un giro di domande e risposte che si rilanciavano da sole. Marco era abituato a lasciar scorrere su di sé quella voce; ma oggi quel suo tono di perenne accusa lo faceva trasalire. Eppure se ne sentiva in qualche modo protetto; gli pareva che essa impedisse a tutti, a Teresa stessa, di accorgersi che nessuno parlava.
...Doveva essere tornato, Michele. Ma, e i vestiti? Se era risalito, era certo andat[...]

[...]te che si rilanciavano da sole. Marco era abituato a lasciar scorrere su di sé quella voce; ma oggi quel suo tono di perenne accusa lo faceva trasalire. Eppure se ne sentiva in qualche modo protetto; gli pareva che essa impedisse a tutti, a Teresa stessa, di accorgersi che nessuno parlava.
...Doveva essere tornato, Michele. Ma, e i vestiti? Se era risalito, era certo andato a cercarli. Dirgli che si era trattato di uno scherzo... Se aveva udito come lui e Nino lo chiamavano, se li aveva veduti ripercorrere a nuoto, fino allo sfinimento, quel tratto di mare, allora Michele sapeva.
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Antonio s'era seduto. Non aveva più in mano l'asticciola che aveva piallato. Aveva scelto, ora, un altro pezzo di legno, di un chiarore intatto : serico nelle fibre minute e compatte, e biondo nelle nitide venature. Preso in mano un ferro da incidere, dopo una lieve esitazione lo mosse lentamente, come tracciasse, senza sfiorare il legno, una lunga, meditata linea. Il suo viso appariva assorto. La luce del giorno, ancora viva, lo illumin[...]

[...]ino lo chiamavano, se li aveva veduti ripercorrere a nuoto, fino allo sfinimento, quel tratto di mare, allora Michele sapeva.
160 LILIANA MAGRINI

Antonio s'era seduto. Non aveva più in mano l'asticciola che aveva piallato. Aveva scelto, ora, un altro pezzo di legno, di un chiarore intatto : serico nelle fibre minute e compatte, e biondo nelle nitide venature. Preso in mano un ferro da incidere, dopo una lieve esitazione lo mosse lentamente, come tracciasse, senza sfiorare il legno, una lunga, meditata linea. Il suo viso appariva assorto. La luce del giorno, ancora viva, lo illuminava in pieno. Soltanto agli angoli della bocca si raccoglieva un po' d'ombra.
Marco spiava i gesti del padre. Ecco, pensava, quando avesse cessato di approfondire quel segno, avrebbe ' alzato gli occhi su di lui, e si sarebbe accorto.
Invece, quando distolse lo sguardo dal lavoro, fu a un leggero rumore di passi, svelto e nitido come un suono di zoccoli: erano gli alti sandali dalla suola di legno che portava Costanza. Continuando a guardar fuori, Marco in[...]

[...]iorare il legno, una lunga, meditata linea. Il suo viso appariva assorto. La luce del giorno, ancora viva, lo illuminava in pieno. Soltanto agli angoli della bocca si raccoglieva un po' d'ombra.
Marco spiava i gesti del padre. Ecco, pensava, quando avesse cessato di approfondire quel segno, avrebbe ' alzato gli occhi su di lui, e si sarebbe accorto.
Invece, quando distolse lo sguardo dal lavoro, fu a un leggero rumore di passi, svelto e nitido come un suono di zoccoli: erano gli alti sandali dalla suola di legno che portava Costanza. Continuando a guardar fuori, Marco indietreggiò e si appoggiò al muro. La mamma di Michele. La figura di Costanza apparve, attraversò rapidamente lo scorcio di strada inquadrato dalla finestra. La blusa risaltò bianchissima contro l'asfalto, come raccogliesse la luce del giorno al declino. Istintivamente, Marco aveva cercato su quel bianco il fiore rosso che le aveva visto sul petto quando, nelle prime ore del pomeriggio, era scesa verso la città.
Prima di riabbassare lo sguardo sul lavoro, Antonio lo portò un attimo sul figlio: ma come se non lo vedesse.
Con la mano, toccò piano qualcosa nella tasca destra : la stessa tasca dove Marco gli aveva veduto nascondere il garofano. Si, proprio nascosto, lo aveva, si disse il ragazzo. E perché ora non lo guardava, non gli diceva niente?
« Come? » chiese con aria assente Antonio, in risposta a una domanda di Teresa, come se cercasse solo di prendere tempo fermando un rumore che lo infastidiva. Continuò a incidere un segno che si piegava in una curva slanciata: « Come? ah, si, la cornice che ho portato al dottore? » Con un ferro acuminato modificò lievemente il segno. « Duemila ».
Ecco, disse Teresa. Al solito, lui non aveva saputo farsi pagare abbastanza. Lo sfrigolio vivo del pesce nella padella confuse per un momento la sua voce: poi, attraverso il borbottio lento dell'olio, essa ridivenne distinta. Non pensava, Antonio, a quello che lei faticava per far mangiare tutti con quei pochi soldi, disse. Trascinando pesantemente le gambe, più gonfie alle caviglie che al polpaccio ossuto, andava su e giù dalla padella al tavolo, dove prendeva, a due o tre per [...]

[...], Antonio si strinse mag giormente nelle spalle curve « Potresti portare il tagliere vicino al fornello », disse con aria di pacata constatazione più che di consiglio.
« Fai presto a dire, tu... » borbottò Teresa. Con aria esasperata, guardò l'orologio. Ecco, erano già le otto, e aveva ancora da buttare la pasta. Per forza, aveva lavorato tutto il pomeriggio per loro.
Antonio non rispondeva. Immobile, sfiorava con la punta delle dita il legno, come a giudicare al tatto la linea che aveva intagliata. Poi sollevò un attimo la testa, guardando vagamente verso Teresa. L'attenzione che gli affinava il viso chino sembrò smarrirsi in quegli occhi così chiari tra le palpebre arrossate. Poi abbassò di nuovo la testa.
Ad un tratto, Marco avverti nella stanza il silenzio teso che segue una domanda o un ordine cui non é stata data risposta. Teresa s'era fermata. Egli sentiva gli occhi della madre fissarlo, dall'ombra. « Accendi. Dico a te! ».
Marco si voltò verso l'interruttore. Stette a guardarlo come se calcolasse quanti movimenti gli sarebbero[...]

[...]nte verso Teresa. L'attenzione che gli affinava il viso chino sembrò smarrirsi in quegli occhi così chiari tra le palpebre arrossate. Poi abbassò di nuovo la testa.
Ad un tratto, Marco avverti nella stanza il silenzio teso che segue una domanda o un ordine cui non é stata data risposta. Teresa s'era fermata. Egli sentiva gli occhi della madre fissarlo, dall'ombra. « Accendi. Dico a te! ».
Marco si voltò verso l'interruttore. Stette a guardarlo come se calcolasse quanti movimenti gli sarebbero occorsi per raggiungerlo. Poi vi si diresse piano. « Insomma! » insisté Teresa irritata. Marco portò la mano alla chiavetta. Ora, si disse, lo avrebbero guardato e si sarebbero accorti. Lo dirò, si disse. Sia quello che si vuole ma lo dirò. Con risolutezza, girò la chiavetta.
« Lo vedi! » gridò Teresa voltandosi verso la padella. « Con quella tua pigrizia, mi hai fatto bruciare le ultime sardine! ».
Antonio alzava il pezzo di legno per guardarlo alla luce.
Nella strada, Marco vide passare Giacomo Cataldo, oscillante sulla sua gamba di legno. S'a[...]

[...] il pezzo di legno per guardarlo alla luce.
Nella strada, Marco vide passare Giacomo Cataldo, oscillante sulla sua gamba di legno. S'avviava a vedere se Michele tornasse? Camminava a testa china, senza guardare avanti. Non pareva attendere nessuno. Forse veramente, in qualche modo inspiegabile, Michele era in casa? Se era tornato, anche Nino doveva saperlo, ormai, e facevano apposta a lasciarlo in quell'ansia. L'ira lo stava prendendo di nuovo, come sul greto: ma non solamente contro Nino, adesso, anche contro Michele. Era colpa sua se aveva accettato la gara che Nino aveva proposto, pur essendo più piccolo e avendo meno forza di loro. E perché, ma perché li aveva sfidati, Nino, sicuro com'era di vincere? Rivide il sorriso maligno col quale, già lontano da riva, Nino si voltava a guardare i due che seguivano, ormai distanziati. C'era ancora, in quel momento, Michele? Ma come poteva saperlo? Anche lui, aveva meno forza di Nino: pensava solo a inseguirlo, col cuore che gli martellava, e
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nella bocca quel gusto tepido di sfinimento, più forte della frescura dell'acqua e del morso del sale. Non ne aveva colpa. « Non ne ho colpa » si ripeté, preso da un'accorata pietà di sé.
Provò ora un oscuro bisogno di provocare gli sguardi degli altri. Lasciò_ l'angolo dov'era tornato, si fece vicino al tavolo, sotto la lampada, e stette a guardare fisso sua madre che condiva l'insalata.
« Hai brutta cera! » disse Teresa fermandosi. Nel visetto smunto e abbr[...]

[...]ipeté, preso da un'accorata pietà di sé.
Provò ora un oscuro bisogno di provocare gli sguardi degli altri. Lasciò_ l'angolo dov'era tornato, si fece vicino al tavolo, sotto la lampada, e stette a guardare fisso sua madre che condiva l'insalata.
« Hai brutta cera! » disse Teresa fermandosi. Nel visetto smunto e abbronzato, le palpebre pallide, venate d'azzurro, sembravano larghe e fragili.
Marco senti lo sguardo della madre scorrere su di lui, come se essa cercasse i segni di un nuovo torto che le venisse fatto. La sua mano gli tastava il collo, le ascelle, la fronte, per sentire se avesse la febbre; una mano che interrogava in modo ben più incalzante dello sguardo.
« No, sei fresco », concluse Teresa con aria rassicurata. « E guarda in che stato ti sei ridotto i pantaloni! », aggiunse dopo un momento. Ne scosse la polvere con la mano, Marco si senti oscillare come un fantoccio. « Tutto il giorno che mi sfinisco a lavare e stirare, e guarda come ti riduci! »
E Marco provò quasi piacere a vederla irritarsi così, senza che sapesse. E un senso di forza, appena alterato da un gusto amaro di vendetta.
Antonio mandò un sospiro. « Lascialo stare », disse. «È stanco ».
Lavorava sull'asticciola che aveva piallato prima, già incisa di foglie. L'altro pezzo di legno non era più sul tavolo. Il suo viso, piattamente illuminato dalla lampada, era stanco, le sue mani sembravano mortificarsi con impazienza a quel minuzioso lavoro. Teresa diceva che non ne poteva più, Marco non sapeva di che. Antonio depose l'asticciola sul tavolo e la sua mano, s[...]

[...]Lascialo stare », disse. «È stanco ».
Lavorava sull'asticciola che aveva piallato prima, già incisa di foglie. L'altro pezzo di legno non era più sul tavolo. Il suo viso, piattamente illuminato dalla lampada, era stanco, le sue mani sembravano mortificarsi con impazienza a quel minuzioso lavoro. Teresa diceva che non ne poteva più, Marco non sapeva di che. Antonio depose l'asticciola sul tavolo e la sua mano, serrandosi lentamente, s'alzò greve come se dovesse battere un pugno per accompagnare un violento « basta! »
Ma poi si rilassò e ricadde.
Così impalliditi, nel crepuscolo che tutto intorno scuriva la valle in una morbida densità quasi notturna, i muri d'Oregina facevano avvertire a Marco la presenza di quel mare fermo e ancora bianco, spalancato alle sue spalle.
Stava appoggiato contro la sua casa. Sul campo di calcio, che ave
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vano un po' alla volta intagliato sul colle, e dove la terra si scopriva rossa e polverosa, dei ragazzi giocavano. Non lo videro.
Dall'entrata venne un rumore di passi, e la voce di Teres[...]

[...]o apparve sulla porta e gli fece cenno d'avvicinarsi, guardando con prudenza intorno. Poi fece rapidamente un altro gesto per fermarlo, e scomparve.
Del resto, non aveva nessuna voglia di vederlo. Non desiderava sentirgli ripetere la sua ingiunzione di tacere: né dovergli rispondere, se lo avesse interrogato, che in realtà aveva taciuto.
Filippo Bertolli, il padre di Nino, gli era arrivato vicino senza che l'avesse udito. Veniva dalla città. « Come va, giovanotto? » chiese con giovialità un po' enfatica, battendogli una mano sulla spalla. Minuto di corpo, il pasticcere serbava, di un'originaria pinguedine, gli occhi sottili, le fossette sul mento e sulle guance, le estremità delicate, e l'affannata lentezza. « Eh, siete nella bella età, voi... Tredici anni Nino, tu dodici: che cosa si può volere di più? »
Non se ne andava. Aveva cominciato uno dei suoi soliti racconti sul tempo che anche lui era ragazzo, e metteva da parte tutti i soldi, e che poi s'era comperato un orologio. Marco s'accorse che parlando non cessava di sorvegliare la s[...]

[...]à, voi... Tredici anni Nino, tu dodici: che cosa si può volere di più? »
Non se ne andava. Aveva cominciato uno dei suoi soliti racconti sul tempo che anche lui era ragazzo, e metteva da parte tutti i soldi, e che poi s'era comperato un orologio. Marco s'accorse che parlando non cessava di sorvegliare la strada, sulla quale Giacomo Cataldo stava venendo lentamente verso casa. Quando fu vicino, Filippo si voltò verso di lui con un largo sorriso, come preparandosi a fermarlo.
Giacomo camminava con aria assente. Scorse Filippo all'ultimo momento: gli fece appena un cenno di saluto, e distolse subito lo sguardo, con quella sospettosa e schiva umiltà che gli era apparsa sul volto dopo la disgrazia, e s'accentuava ogni volta che l'ubbriachezza lo aveva spinto a qualche violenza.
«Lo hai visto l'altro ieri? » sussurrò Filippo a Marco, assottigliando la fessura degli occhietti curiosi. Marco fece cenno di no. « Me l'ha raccontato Nino », riprese Filippo. « Voleva bastonare Costanza... ».
Se aveva visto! Con gli occhi come ciechi, Giacomo alza[...]

[...] saluto, e distolse subito lo sguardo, con quella sospettosa e schiva umiltà che gli era apparsa sul volto dopo la disgrazia, e s'accentuava ogni volta che l'ubbriachezza lo aveva spinto a qualche violenza.
«Lo hai visto l'altro ieri? » sussurrò Filippo a Marco, assottigliando la fessura degli occhietti curiosi. Marco fece cenno di no. « Me l'ha raccontato Nino », riprese Filippo. « Voleva bastonare Costanza... ».
Se aveva visto! Con gli occhi come ciechi, Giacomo alzava la mano sulla moglie. All'improvviso, Michele aveva preso un fiasco e l'aveva levato contro il padre: pallido, pronto a colpire. Giacomo s'era accasciato sul letto. Più tardi, sul colle, lui aveva visto Michele singhiozzare, il viso premuto a terra. Ma udendo Marco avvicinarsi — le erbe scricchiolavano sotto il piede come sterpi : « Va via! » aveva gridato,
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fuggendo subito più in lá. Quando era riapparso, dopo, s'era messo a giocare al pallone con lui senza dir niente.
Costanza Cataldo usci, venne vivacemente incontro a Giacomo, e lo prese a braccio. A Filippo Bertolli gettò un « Buonasera » squillante,
quasi di sfida, poi si mise a parlare con Giacomo : aveva un viso scherzoso, ma il suo sorriso era così in contrasto con l'aria tetra del suo compagno che finiva col sembrare forzato.
« Come fa, poi... Eccola lá. Sempre allegra! » disse Filippo, con un tono di untuosa e stupita riprovaz[...]

[...] MAGRINI
fuggendo subito più in lá. Quando era riapparso, dopo, s'era messo a giocare al pallone con lui senza dir niente.
Costanza Cataldo usci, venne vivacemente incontro a Giacomo, e lo prese a braccio. A Filippo Bertolli gettò un « Buonasera » squillante,
quasi di sfida, poi si mise a parlare con Giacomo : aveva un viso scherzoso, ma il suo sorriso era così in contrasto con l'aria tetra del suo compagno che finiva col sembrare forzato.
« Come fa, poi... Eccola lá. Sempre allegra! » disse Filippo, con un tono di untuosa e stupita riprovazione, quando furono scomparsi.
Sempre allegra. Anche Teresa lo diceva spesso, di Costanza, e con la stessa aria di biasimo. Un tempo, la domenica mattina, partivano tutt'e due sulla bicicletta di Giacomo, Costanza seduta sul ferro. I bambini li aspettavano sulla strada: ogni volta, ne portavano uno giù di volata per la discesa, a freni sciolti. Come rideva, Costanza! Quando passavano, Antonio si faceva alla finestra : appena raso, con quell'aria linda delle mattine di domenica. Si, era allegra, Costanza. E non stava mai in casa, adesso : anche questo lo diceva sempre, Teresa, e che quel mestiere di vendere sigarette giù al porto una donna onesta non l'avrebbe fatto, lo aveva scelto solo perché le piaceva stare in giro. E così, nessuno sapeva mai dove fosse Michele. Rientrava quando voleva, anche a sera, talvolta. Del resto, lo faceva apposta a star fuori, per non trovarsi solo con suo padre. Era per questo, che ora i Cataldo potevano non[...]

[...]sto, lo faceva apposta a star fuori, per non trovarsi solo con suo padre. Era per questo, che ora i Cataldo potevano non preoccuparsi del ritardo, sentirsi tranquilli. Eppure, Marco non sapeva sentire del risentimento per Costanza: aveva solo voglia di piangere udendo il suo riso. Ma gli altri, no. Si sentiva gonfio d'odio contro tutti. Contro Nino che aveva paura. Contro gli altri, così distratti, così pigri a rendersi conto.
La cena era stata come tutte le sere. Luigi Stura, il fratello maggiore di Marco, era rientrato come sempre all'ultimo momento. Eri poco tempo che aveva un lavoro fisso: solo un anno prima, faceva qualcosa qua e lá come avventizio, e il resto della giornata Io passava a pedalare su e giù per i colli, perché diceva di voler diventare un corridore. Poi, s'era trovato la ragazza, e lei l'aveva convinto a cercarsi un posto giù ai cantieri: per potersi sposare, diceva. Ma era mutato, da allora: parlava poco, e non stava mai con Marco. Anche stasera era uscito di nuovo, dopo mangiato l'ultimo boccone.
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IL SILENZIO
Era già un sollievo, l'essersi alzati da tavola. Mai le pause erano parse a Marco così lunghe. Quella sensazione gli era diventata cosí greve che s'era domandato, per un attimo, se sapessero già, e[...]

[...] il caffè, anche Antonio s'era alzato dicendo che andava alla Grotta. Teresa aveva scrollato le spalle senza rispondere. Marco rimase là in un angolo ad ascoltare lo sciacquio e i colpi duri delle stoviglie sull'acquaio. Teresa taceva. Quando la vide prossima a finire, si senti smarrito. Guardò il letto dove dormiva con i suoi. Poteva sdraiarsi, fingere il sonno. Ma Teresa lo avrebbe certo raggiunto : l'avrebbe sentita rivoltarsi tra le lenzuola come faceva quando Antonio non c'era. Con uno sforzo, disse che andava fuori a giocare. Avrebbe fatto meglio ad andare a letto, gli disse Teresa, era stanco. Gli si avvicinò, asciugandosi le mani al grembiule, gli fece una carezza a quel modo timido e brusco che era il suo, quando smetteva la solita aria di risentimento. Scostando dal viso le ciocche scomposte dei radi capelli, neri ancora ma opachi, gli si sedette vicino. « Vieni qui », disse cingendolo col braccio, I suoi occhi rotondi e irrequieti lo cercavano con sollecitudine avida e stanca: gli rimise a posto il colletto, la blusa male rient[...]

[...] oltremare, altri uomini che lo guardavano, e sembravano attendere.
Non vedeva Antonio. S'era diretto là pensando vagamente di cercarlo : ma soprattutto per non restare solo. Si senti protetto, in quella
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atmosfera attenta e raccolta : nessuno pareva occuparsi neppure dei vicini.
Lentamente, l'uomo si riempi d'aria i polmoni, in un modo che fece pensare Marco a un ingoiatore di catene che era venuto una domenica nel quartiere. Come quello, gonfiava lentamente il petto, inturgidendo le vene alle tempie e arrotondando la bocca. Infine, dalla gola, gli usci con improvvisa violenza una voce dura e stentata, da cui poi si delineò, come a balzi bruschi, un canto lamentoso e discontinuo. Di tanto in tanto l'uomo alzava il braccio velloso per asciugarsi la fronte con un gran fazzoletto a scacchi. Marco non riusciva a vederlo bene. Eppure gli pareva proprio Baglietto, uno scaricatore taciturno che abitava a Oregina, e non parlava mai con nessuno.
Ma quando un altro s'alzò, e venne in mezzo alla stanza, fu ben certo di riconoscerlo: e riconobbe allora anche altri di quegli uomini che_ stavano sulle sedie allineate contro il muro oltremare, gravi come se assistessero a una cerimonia. Era tutta gente d'Oregina o di quel quartiere[...]

[...]to l'uomo alzava il braccio velloso per asciugarsi la fronte con un gran fazzoletto a scacchi. Marco non riusciva a vederlo bene. Eppure gli pareva proprio Baglietto, uno scaricatore taciturno che abitava a Oregina, e non parlava mai con nessuno.
Ma quando un altro s'alzò, e venne in mezzo alla stanza, fu ben certo di riconoscerlo: e riconobbe allora anche altri di quegli uomini che_ stavano sulle sedie allineate contro il muro oltremare, gravi come se assistessero a una cerimonia. Era tutta gente d'Oregina o di quel quartiere al limite della città: operai, artigiani, piccoli impiegati. Quello che stava in mezzo era Giuseppe Spinola, un loro vicino, usciere al municipio : il fratello di Caterina, la vecchia che stava per morire di cancro. Quando le avevano scoperto quel male, s'erano tutti impietositi; ma erano passati tanti mesi che nesssuno si ricordava più di lei se non quando, all'improvviso, s'udivano quei suoi urli di bestia, e suo fratello correva stravolto a chiamare la vicina che le faceva le punture per calmarla.
Si, era propr[...]

[...]nture per calmarla.
Si, era proprio Spinola, che con aria riflessiva si passava la mano sul risvolto consunto della giacca; e che per quanto fosse assurdo, aveva tutta l'aria di prepararsi a cantare anche lui. Finalmente alzò la testa, e cominciò. Aveva una voce tremante, che sforzava sugli acuti, facendosi tutto rosso: ma la voce cadeva. Il piccolo usciere continuava allora, esitante, la stessa melodia, con un'attenzione quasi penosa sul viso, come se stesse aspettando qualche cosa. Ogni volta che un acuto s'avvicinava, vi si preparava per tempo, inarcandosi, tendendo il petto, annaspando con le mani come se l'aria fosse una corda cui si potesse aggrappare. Portò a termine la nota, alla fine, in un grido un po' stridulo. Ebbe un leggero sorriso che gli continuava ad aleggiare sul volto mentre, con aria contenta e confusa, tornava al suo posto.
Dietro a Marco, ogni tanto, la porta s'apriva per lasciar entrare un nuovo arrivato. E se qualcuno fosse venuto a cercarlo fin là? Almeno avesse potuto raggiungere suo padre. Non era ancora riuscito a scor
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gerlo: non voleva farsi troppo avanti. Improvvisamente, l'idea che Antonio potesse cantare anche lui gli diede una specie d'inq[...]

[...]te di vedere che non riuscivano al modo che avrebbero dovuto. Finalmente s'alzò, e venne in mezzo alla stanza. Furono due o tre piccoli gridi rauchi dai quali il canto cercava di svin= colarsi. Poi, scuotendo la testa, disse di no, che stasera non andava. Evitarono di guardarlo quando tornò a sedere : tutti, anche il vecchio, con un'aria quasi colpevole.
Sembrava adesso che esitassero ad alzarsi; e quando uno si fece avanti, un giovane, lo fece come se si vergognasse. Cantò bene. Ma gli
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altri parevano meno attenti di prima. E Marco pensò che anche qui ognuno faceva soltanto per sé.
Ritrovò la sua angoscia, e in più uno stupito rimorso di essersene potuto distrarre. Cercò con gli occhi il padre, al solito posto: invece Antonio gli era accanto, si senti guidare verso l'uscita.
Anche Giuseppe Spinola, l'usciere del municipio, usci con loro. Marco aspettava di sentir parlare suo padre con lo stesso imbarazzo di quando pensava che avrebbe cantato. Gli pareva dovesse farlo in modo diverso dal solito, con Spinola: sapeva [...]

[...]rarre. Cercò con gli occhi il padre, al solito posto: invece Antonio gli era accanto, si senti guidare verso l'uscita.
Anche Giuseppe Spinola, l'usciere del municipio, usci con loro. Marco aspettava di sentir parlare suo padre con lo stesso imbarazzo di quando pensava che avrebbe cantato. Gli pareva dovesse farlo in modo diverso dal solito, con Spinola: sapeva che si trovavano spesso insieme alla Grotta. Per un po' tacquero. Poi Antonio domandò come stava Caterina. Al solito, disse Spinola. Più avanti, osservò che era proprio una bella sera; doveva esserci stato un temporale lontano, perché l'aria era così pulita. Si, disse Antonio, era raro vedere tante stelle. Meno male, disse Spinola; perché nella giornata, in quelle sale chiuse del municipio, si soffocava. Poi li lasciò. Andava a cercare una farmacia aperta, disse. Doveva prendere una medicina per Caterina.
« Sei amico di Spinola ? », chiese quasi involontariamente Marco, con voce timida. « ...Si », rispose Antonio in tono un po' stupito. Parve voler aggiungere qualche cosa. Ma poi [...]

[...]el municipio, si soffocava. Poi li lasciò. Andava a cercare una farmacia aperta, disse. Doveva prendere una medicina per Caterina.
« Sei amico di Spinola ? », chiese quasi involontariamente Marco, con voce timida. « ...Si », rispose Antonio in tono un po' stupito. Parve voler aggiungere qualche cosa. Ma poi tacque.
Il passo d'Antonio era lento, mentre salivano il colle, ma non più goffo: era un modo pacato di posare il piede, calcandolo bene, come per sentire le asperità e la levigatezza di quel vecchio asfalto tormentato. Eppure parve così breve, a Marco, la strada, e così animata la notte, piena di cigolii di tram, di brusii che salivano dai vicoli lontani della città, attorcigliati come i meandri di una conchiglia e punteggiati di lumi. Davanti a lui, fissi in un rettangolo bianco contro il nero dei dossi, s'avvicinavano i fanali d'Oregina, diversi e soli.
Fissò un cespuglio che stava più avanti, e si disse con calma certezza che quando vi fossero giunti avrebbe parlato. In quel momento Antonio, gettando indietro la testa, ebbe un respiro fondo, come accogliesse l'aria della notte. Di nuovo la sua mano toccava piano nella tasca. « Si sta bene », disse. Non fu più la paura a trattenere Marco, ma quasi un timido ritegno. Suo padre pareva talmente tranquillo!
Volle attendere a parlare quando fossero vicini all'ultimo fanale. Là, però, non ne ebbe più il coraggio. Già prima di arrivarci, aveva visto buio il pianterreno dei Cataldo. Questa volta, erano certo usciti a cercare. Non li incontrarono. Dovevano essere andati ad informarsi dai vicini. Non potevano avere nessuna idea precisa su lui e Nino: erano scesi soli, nel pomeriggio, e Michele [...]

[...]on li incontrarono. Dovevano essere andati ad informarsi dai vicini. Non potevano avere nessuna idea precisa su lui e Nino: erano scesi soli, nel pomeriggio, e Michele l'avevano incontrato per caso, in
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città. Ma fra i ragazzi di Oregina, erano loro a stare più spesso con Michele.
Mentre s'avvicinavano, Marco scorse il viso della nonna, ritta nell'ingresso buio della casa. Vide per un attimo i suoi occhi dilatarsi, bianchi, come ne traversava lo sguardo, e subito incupirsi.
In fondo alcuni bambini, fermi sul ciglio della strada, guardavano verso la casa di Filippo Bertolli.
Erano appena rientrati, quando udirono dei passi.
Apparvero Giacomo e Costanza, Filippo Bertolli, e dietro a lui Nino. Per primo si fece avanti Giacomo, scusandosi di disturbare a quell'ora. Quella dimessa cerimoniosità, in lui abituale, colpi Marco come un fatto inatteso.
Attento a non incontrare gli occhi di Marco, a non guardare nessuno, Nino rimaneva sulla soglia, quasi nascondendosi dietro il padre, con lo stesso volto che aveva sul greto, il ciuffo ritto e il mento un po' rientrante. Una smorfia convulsa gli tendeva all'indietro fra i denti aguzzi il labbro inferiore.
Fu il pasticcere a parlare, a quel suo modo accurato e circostanziato. Michele non era rientrato, Giacomo e Costanza cominciavano ad essere inquieti... Era la scena che Marco attendeva: ma tutto si stava svolgendo in un modo così stranamente diverso! Non osava alzare gli[...]

[...] con i gomiti alla credenza, il volto racchiuso tra le mani, sembrava un'estranea che quasi non si occupasse di quello che gli altri dicevano.
Marco s'accorse a un tratto che lo sguardo di Nino cercava i suoi occhi. Tutti gli sguardi erano su di lui. Capì che gli avevano fatto una domanda che non aveva udita, e quasi non se ne preoccupò, gli pareva che almeno suo padre e Costanza ormai sapessero tutto. Fu quasi stupito di sentir dire da Nino: « Come può averlo visto, se siamo stati insieme tutto il pomeriggio? ».
Ma Costanza alzò il viso, girò sugli altri degli occhi interrogativi, supplichevoli. « Sarà andato al Lido » disse Filippo alzando la voce. Non era la prima volta che tardava fino a sera, aggiunse, e un'ora più un'ora meno, i ragazzi non se ne accorgono. « Sará rimasto a guardare la gente che balla », annui Teresa. Aveva cominciato con calore, ma poi, come Antonio s'avvicinava a Costanza, Marco notò che lo sguardo della madre mutava di colpo. « Ha talmente l'abitudine di starsene in giro come vuole », concluse con tono diverso. « Non c'é ragione di preoccuparsi ». « Non c'é ragione », ripeté Filippo con aria di sollievo. Aveva preso un tono di superiorità quasi scherzosa, e parlando agitava le mani lisce, come dimenasse una pasta. Pareva soddisfatto di sostenere la parte d'uomo posato e informato, che non si lascia impressionare da inquietudini puerili.
Sembrava a Marco di scorgerli da lontano, estremamente futili e incomprensibili nei loro gesti. Parlavano per rassicurarsi, era chiaro, per distrarsi. Avvicinatasi alla credenza, Teresa fece sparire furtivamente la zuppiera sbrecciata.
Per la prima volta Marco scambiò uno sguardo con Nino: lo vide pallidissimo, appoggiato al muro.
Nessuno pareva pensare più a interrogarli, come se la risposta di Nino fosse bastata. Marco li guardava uno dopo l'al[...]

[...] e informato, che non si lascia impressionare da inquietudini puerili.
Sembrava a Marco di scorgerli da lontano, estremamente futili e incomprensibili nei loro gesti. Parlavano per rassicurarsi, era chiaro, per distrarsi. Avvicinatasi alla credenza, Teresa fece sparire furtivamente la zuppiera sbrecciata.
Per la prima volta Marco scambiò uno sguardo con Nino: lo vide pallidissimo, appoggiato al muro.
Nessuno pareva pensare più a interrogarli, come se la risposta di Nino fosse bastata. Marco li guardava uno dopo l'altro, con stupito rancore. Nulla.
Giacomo Cataldo taceva. Con le mani si tormentava il viso: anche lui in disparte, solo. Non sembrava neppure udire, lo sguardo assente. Non gliene importa nulla, si disse Marco. Ripensò con piacere crudele a tutto ciò che Filippo diceva di lui: un vigliacco, cui era bastata una disgrazia per lasciarsi andare; sempre intontito dal vino, era colpa sua
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se le cose andavano a quel modo, in casa; non era neppure un uomo, quello. Trovava una specie di sollievo nell'odio che de[...]

[...]LILIANA MAGRINI
se le cose andavano a quel modo, in casa; non era neppure un uomo, quello. Trovava una specie di sollievo nell'odio che destava in lui quel viso inerte. Sui lineamenti da bel ragazzo alterati da un gonfiore flaccido, la pelle esangue, illividita dalla barba non rasa, e i baffetti nerissimi, che un tempo davano più risalto al sorriso sicuro, sottolineavano la piega stanca della bocca. Si serrava nelle spalle, vergognoso e schivo, come qualcuno che fosse lá per caso, e non avesse diritto di prendere parte all'ansia di tutti.
Filippo s'era avvicinato a Costanza, e le batteva leggermente la spalla : « Su, non faccia quel viso. Magari quel moccioso si sta divertendo, e non si ricorda neppure che siamo qui ».
Sulle labbra di Costanza tremò un lieve sorriso, che le fece sembrare ancora più pallide. Gli altri le stavano intorno imbarazzati. Nessuno parlava piú. All'improvviso, la donna scoppiò in singhiozzi.
Per lunghi momenti, non si udì che quel suono lieve, accorato, quasi infantile. Piangeva come se fosse sola, col viso sc[...]

[...] Costanza, e le batteva leggermente la spalla : « Su, non faccia quel viso. Magari quel moccioso si sta divertendo, e non si ricorda neppure che siamo qui ».
Sulle labbra di Costanza tremò un lieve sorriso, che le fece sembrare ancora più pallide. Gli altri le stavano intorno imbarazzati. Nessuno parlava piú. All'improvviso, la donna scoppiò in singhiozzi.
Per lunghi momenti, non si udì che quel suono lieve, accorato, quasi infantile. Piangeva come se fosse sola, col viso scoperto rigato di lagrime.
Teresa si premette la mano aperta sul petto, vicino alla gola : i suoi occhi rotondi e sbigottiti si fecero lentamente lucidi. Si voltò verso Marco, la sua mano trasalì come se avesse voluto chiamarlo, tria sembrò trattenersi e la premette di nuovo sul petto.
Con aria imbarazzata, Filippo spegneva tra le dita la sigaretta appena acccesa.
Costanza continuava a singhiozzare.
Marco vide suo padre stringersi una mano contro l'altra, come ansioso di fare qualche cosa, e non sapesse che. Fece un passo avanti. Anche Marco, involontariamente, s'avvicinò.
S'udì infine Antonio chiamarla piano per nome : « Costanza ».
Fu suo padre, ora, a parlare. Avevano taciuto tutti, si diceva Marco. Perché proprio lui, adesso, faceva così? Con una voce sorda, la supplicava d'aspettare, che non poteva essere accaduto niente, che se voleva sarebbe andato lui a cercare.
Dapprima tremante, la voce di Antonio si faceva via via più pacata. Ma il padre non credeva a quello che diceva, si disse Marco. Lui sapeva perché suo padre parlava. Voleva solta[...]

[...]olo perché l'aveva udito dagli altri. Adesso era diverso. « Com'è bella »! si disse. Si sentiva sollevato, rassicurato dalla violenza di lei. Dunque c'era ancora modo di negare, di difendersi...
« Basta. Basta », ripeté ancora Costanza. Il suo viso s'indurì in una contrazione cattiva. « Per forza, il ragazzo non pensa che a scappare. Non può resistere, in casa. Nessuno ci resiste ». Si voltò verso Giacomo. « Soltanto tua madre », disse, « che é come morta ».
Giacomo aveva di nuovo distolto gli occhi. La testa china, le mani penzoloni, grandi, inerti. Marco, appoggiato al muro, si sentiva quasi fisicamente percuotere da quella voce accusatrice. Sperò che Giacomo rispondesse: ma non pareva aver altra difesa che quella intontita inerzia da burattino gettato su una sedia, gli occhi vuoti, la gamba di traverso. E in quell'inerzia, una passiva accusa da bestia perseguitata.
Nino s'era seduto in un angolo, come se la sua tensione si fosse rilassata in un improvviso sfinimento. Ogni tanto, gli lanciava un'occhiata di sfuggita. Filippo Bertolli[...]

[...]iacomo aveva di nuovo distolto gli occhi. La testa china, le mani penzoloni, grandi, inerti. Marco, appoggiato al muro, si sentiva quasi fisicamente percuotere da quella voce accusatrice. Sperò che Giacomo rispondesse: ma non pareva aver altra difesa che quella intontita inerzia da burattino gettato su una sedia, gli occhi vuoti, la gamba di traverso. E in quell'inerzia, una passiva accusa da bestia perseguitata.
Nino s'era seduto in un angolo, come se la sua tensione si fosse rilassata in un improvviso sfinimento. Ogni tanto, gli lanciava un'occhiata di sfuggita. Filippo Bertolli celava appena una curiosità maligna, sotto la compunta pietà con cui guardava Costanza. Teresa aveva un viso chiuso e ostile. Doveva pensare che la colpa di tutto era proprio di Costanza, invece: di lei che rideva quando passava correndo la mattina, per andare a Sottoripa, e se trovava uno dei ragazzi faceva a chi arrivasse primo alle rotaie del tram.
Costanza si era rimessa a singhiozzare.
« Aspetta di sapere, almeno », disse Giacomo, con una grande stanchez[...]

[...] un viso chiuso e ostile. Doveva pensare che la colpa di tutto era proprio di Costanza, invece: di lei che rideva quando passava correndo la mattina, per andare a Sottoripa, e se trovava uno dei ragazzi faceva a chi arrivasse primo alle rotaie del tram.
Costanza si era rimessa a singhiozzare.
« Aspetta di sapere, almeno », disse Giacomo, con una grande stanchezza nella voce. E Marco pensò che aveva ragione. Stavano dibattendosi di paura, ecco, come se ognuno avesse potuto far portare all'altro il carico di quello che temeva, rifiutandosi in anticipo di sapere per sé.
Suo padre gli stava accanto, ora. Improvvisamente, egli senti la mano di lui premergli una spalla. Era una mano stranamente leggera, come quando seguiva il contorno dei suoi intagli. Si voltò pensando d'incontrare il suo sguardo. Gli vide invece un viso opaco, tanto che pensò l'avesse sfiorato involontariamente. Però gli rimase vicino. Rimase che se n'erano andati, e non aveva quasi visto come.
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« ... Non esser tosi inquieto ». Gli accarezzò piano la testa. « Deve tornare », aggiunse con forza.
Teresa alzò le spalle. Sarebbe ben tornato, disse, non c'era da stupirsi se stava a girovagare anche di notte, quel povero ragazzo, con un padre che sapeva solo ubbriacarsi, e quella... Lasciò la frase in sospeso con un gesto sprezzante, e si mise a riporre i piatti rimasti sulla credenza.
Antonio andò verso il tavolaccio. Alzò l'asticciola che aveva cominciato a incidere, prese un ferro, poi posò di nuovo l'una e l'altro e si mise a disporre tutto in ordine. Metteva [...]

[...] alle tempie. «Pensavamo solo a correre », si disse. «Non un momento, ci è venuta l'idea che Michele avesse bisogno che lo aspettassimo. Di questo, avevamo colpa ». Ma Dio, perché gettarla tutta su loro, la colpa, fare che fossero soli a portarla?
Rivide il viso maligno di Nino nel nuoto, e quelle braccia intrise di fango, che quando s'erano screpolate asciugandosi, parevano coperte d'una pelle malata. « Non volevo che nascondesse tutto così... come... come degli assassini ». Aridi singhiozzi lo scuotevano. Perché, perché lui solo doveva essere legato a quello sguardo di Nino, a quelle braccia viscide di fango, mentre gli altri, tutti, potevano difendersi, accusare?
S'era alzato dal letto, vagava inquieto per la stanza: come sempre, i fondi di caffè nella pentola, e i piatti, e la brillantina che Luigi si metteva in testa la sera, ne restava nell'aria un odore dolciastro; e di nuovo i rigidi, stupidi fiori pazientemente incisi da Antonio. Prese in mano una delle asticciole, stette a guardarla un momento, poi la gettò bruscamente sul tavolo.
Si decise a uscire. Trovò d'improvviso la notte: cosi lieve di brezza, e intera tutt'intorno, come se dalla sorgente scura dei colli s'inarcasse, intrisa di polverii luminescenti, fino a quella voce piena e segreta che ritmicamente saliva oltre il groviglio di case, appena mascherate da lumi. Il mare. Un'oscurità piana e fonda. Al limite, la città allineava i fanali del porto, che non proiettavano al di là luce alcuna.
Il cigolio solitario di un tram gli riportò all'improvviso l'odore caldo dei pomeriggi domenicali nella vettura diretta allo stadio, e l'immagine viva di Michele: col suo viso breve, gli occhi maliziosi. Si sporgevano insieme dal predellino del tram in corsa, attaccati con [...]

[...]adio, e l'immagine viva di Michele: col suo viso breve, gli occhi maliziosi. Si sporgevano insieme dal predellino del tram in corsa, attaccati con un braccio alla maniglia e il corpo teso, un po' storditi dal passare veloce del selciato, per essere i primi a saltare giù a terra e arrampicarsi su una palizzata da dove si vedeva la partita. Michele, il suo amico Michele.
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Soltanto in lui, gli parve finalmente di trovare aiuto: come se anche la sua morte fosse cosa loro, da difendere contro gli altri.
S'era seduto sul costone. Dietro a lui, le facciate di Oregina rivolte verso la valle erano tutte buie: solo nell'ultima casa, una luce brillava alla finestra di Caterina, la vecchia malata. I suoi occhi, assuefacendosi, percepivano nella piana oscurità che si dilatava oltre la città, lievi balenii bianchi di spume: e in quella voce piena e uguale, l'orecchio distingueva ora mormorii diversi, e come un ansito, uno strisciare lento e paziente.
Sarebbe bastato scendere giù attraverso i colli, e poi nuotare verso il largo. E[...]

[...]te fosse cosa loro, da difendere contro gli altri.
S'era seduto sul costone. Dietro a lui, le facciate di Oregina rivolte verso la valle erano tutte buie: solo nell'ultima casa, una luce brillava alla finestra di Caterina, la vecchia malata. I suoi occhi, assuefacendosi, percepivano nella piana oscurità che si dilatava oltre la città, lievi balenii bianchi di spume: e in quella voce piena e uguale, l'orecchio distingueva ora mormorii diversi, e come un ansito, uno strisciare lento e paziente.
Sarebbe bastato scendere giù attraverso i colli, e poi nuotare verso il largo. Era colpa sua, dunque? Si sentiva pronto ad accettarla, la colpa, contro tutti loro. « Sono solo », si disse con un accoramento senza amarezza, e quasi fiero. « Sono solo, e potrei fare anch'io come Michele ».
Molto più in basso, delle forme apparirono muovendosi vagamente, come si svincolassero piano dall'oscurità del suolo : una figura di donna vestita di bianco; e piú scura, una svelta figura d'uomo. Riconobbe il fratello, dopo qualche momento, alla risata un po' brusca; e subito Maria, la sua ragazza: leggera nei movimenti, mentre salivano a fianco il pendio.
Si fermarono abbastanza vicino. Pensò di scappare, ma avrebbe fatto rumore; del resto, cosí fermo contro il colle, i due non potevano vederlo. Luigi si voltò verso la ragazza, nascondendola al suo sguardo. Li udì mormorare, poi all'improvviso sulla schiena scura del fratello, appena profilata contro la nott[...]

[...]bbastanza vicino. Pensò di scappare, ma avrebbe fatto rumore; del resto, cosí fermo contro il colle, i due non potevano vederlo. Luigi si voltò verso la ragazza, nascondendola al suo sguardo. Li udì mormorare, poi all'improvviso sulla schiena scura del fratello, appena profilata contro la notte, vide apparire due braccia pallide, e scorrere inquiete. « Si abbracciano », disse per tranquillizzarsi: ma quasi lo sbigottivano, quelle mani separate e come spaurite. Non sapeva staccarne gli occhi: sembravano cercare a tentoni un appoggio, premevano con le dita divaricate, s'avvinghiavano, scorrevano ancora a quel modo cieco e ansioso, si rizzavano come a schermo di un colpo. Finalmente si staccarono, e sedettero vicini.
Li scorgeva nitidamente, ora. Tacevano. Quante volte aveva visto delle coppie come quella, sedute sul colle per delle ore: l'uno mordicchiando un filo d'erba, l'altro palpando piano un ciottolo, come faceva ora Luigi. Gli poteva distinguere il volto, girato di profilo : aveva la fronte corrugata e la smorfia testarda della bocca che gli conosceva in certi momenti di mutismo, quando anche Teresa evitava di andargli vicino.
Maria teneva la testa appoggiata alla sua spalla. Poi alza il viso. « A cosa pensi? » la udì mormorare.
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Luigi si riscosse. « A niente ».
Poi Marco vide di nuovo quelle mani; e subito quelle di Luigi sulla veste chiara. Dure, come ostinate a far presa.
La stretta lama di un riflettore si fermò un attimo sulla lontana oscurità del mare: apparve una bre[...]

[...] poteva distinguere il volto, girato di profilo : aveva la fronte corrugata e la smorfia testarda della bocca che gli conosceva in certi momenti di mutismo, quando anche Teresa evitava di andargli vicino.
Maria teneva la testa appoggiata alla sua spalla. Poi alza il viso. « A cosa pensi? » la udì mormorare.
IL SILENZIO 177
Luigi si riscosse. « A niente ».
Poi Marco vide di nuovo quelle mani; e subito quelle di Luigi sulla veste chiara. Dure, come ostinate a far presa.
La stretta lama di un riflettore si fermò un attimo sulla lontana oscurità del mare: apparve una breve superficie, scialba e ,vuota.
Fu in quel momento che s'udì il grido di Caterina. Alto, ininterrotto. Un grido d'appello che non lasciava modo a risposta alcuna.
Seguì un rumore lontano di porte chiuse, un mormorio di voci. Giuseppe Spinola doveva aver chiamato la vicina per l'iniezione. Il grido continuava acuto, ancora più acuto, come svincolandosi da un rantolo. Marco l'ascoltava come se lo riconoscesse.
Terminò e si ruppe su un nitido: No!
Tornò per primo Luigi,[...]

[...]far presa.
La stretta lama di un riflettore si fermò un attimo sulla lontana oscurità del mare: apparve una breve superficie, scialba e ,vuota.
Fu in quel momento che s'udì il grido di Caterina. Alto, ininterrotto. Un grido d'appello che non lasciava modo a risposta alcuna.
Seguì un rumore lontano di porte chiuse, un mormorio di voci. Giuseppe Spinola doveva aver chiamato la vicina per l'iniezione. Il grido continuava acuto, ancora più acuto, come svincolandosi da un rantolo. Marco l'ascoltava come se lo riconoscesse.
Terminò e si ruppe su un nitido: No!
Tornò per primo Luigi, che venne a lavarsi all'acquaio. Vide che Marco era sveglio.
« Hai sentito di Michele? »
Fece cenno di sì.
« Anche questo dovranno pagare, i signori padroni! » disse con violenza Luigi. Nella collera, il viso ossuto, ma aperto, prendeva una espressione caparbia che lo faceva somigliare molto a Teresa. « Anche di questo hanno colpa! ». Se le cose fossero andate altrimenti, diceva, le donne avrebbero potuto badare ai ragazzi, invece di andare a fare la borsa nera a Sottoripa.
Continuava a parlare col rubinetto[...]

[...]are a fare la borsa nera a Sottoripa.
Continuava a parlare col rubinetto aperto, la sua voce arrivava a Marco interrotta da scrosci d'acqua che si gettava sulle spalle, sul viso, nella bocca. Gli pareva che parlasse d'altro, ora: di uno sciopero che aveva avuto luogo due giorni prima a un cantiere, e che c'erano stati dei feriti, da una parte e dall'altra, e due morti: e che l'indomani sarebbe ricominciato, e le cose si mettevano male. Ma poi,, come se ci fosse un rapporto, nominò di nuovo Michele e Costanza. Fermò un momento l'asciugamano che faceva scorrere dietro la schiena. « Povera gente! come si fa, in quelle condizioni...» Finì di asciugarsi. «Bisogna riuscire a non farsi fregare », disse con voce più sorda, riponendo l'asciugamano.
Si pettinò, poi si voltò a un tratto verso Marco:
« Sai in quanto tempo sono venuto su oggi, in bicicletta, da Piazza
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Principe? Tre primi e dodici secondi. Cosa ne dici? ». Alla prossima gara per dilettanti, disse, era sicuro di vincere. « Voglio vedere la faccia di Maria! » Ebbe un bel sorriso, che gli restituì il suo viso di ragazzino.
Andò finalmente nel bugigattolo adiacente, dove dormiva. Si mosse a lungo, infine Marco ud[...]

[...]icicletta, da Piazza
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Principe? Tre primi e dodici secondi. Cosa ne dici? ». Alla prossima gara per dilettanti, disse, era sicuro di vincere. « Voglio vedere la faccia di Maria! » Ebbe un bel sorriso, che gli restituì il suo viso di ragazzino.
Andò finalmente nel bugigattolo adiacente, dove dormiva. Si mosse a lungo, infine Marco udì il cigolio delle molle del letto.
Era stanco di sentir parlare. Di nuovo pensava a Michele come sul colle, e che non gli importava più di nulla, perché poteva fare come lui. « Avrei parlato, se volevano. Bastava che avessero voluto ». Ma ormai, non si trattava più di questo. Era come se la cosa non li riguardasse piú. In qualche modo, l'aveva presa su di sé. Con Michele.
Quando Teresa e Antonio entrarono, finse di dormire. Bisbigliavano piano. Attraverso le palpebre appena socchiuse, vedeva la punta dei propri alluci tendere il lenzuolo in una sola rigida linea, fino al petto. Si sentiva stranamente unito e compatto, in quella compostezza e in quel pensiero fermo e tranquillo: posso fare anch'io come Michele.
Gli diede fastidio, quando si coricarono, sentire il calore del corpo di sua madre sotto il lenzuolo.
Dopo qualche tempo, il levarsi della luna gli fece scorgere il viso di Antonio, di una rigidezza senz'abbandono. Pensò che anche lui non dormiva, fingeva soltanto.
Teresa s'alzò un momento sul gomito per vedere, al di lá di Marco, il marito. Si lasciò ricadere con un sospiro. Doveva aver creduto al suo sonno. S'avvicinò a Marco, la sua mano ruvida lo toccò piano sulla fronte. Un movimento involontario per cacciare una ciocca di capelli della madre che gli vellicava il collo lo tra[...]

[...]va piano, in modo sommesso e tenero: con la voce, forse, si disse Marco, con cui gli parlava quando lui non poteva ancora capire. A lui non poteva accadere, diceva Teresa; non era vero, che non poteva accadere? Lei gli stava attenta, Marco lo sapeva che era sempre attenta. Gli voleva troppo bene, perché potesse accadergli la cosa che era accaduta a Michele, Non era vero, che era sempre preoccupata di lui?
Gli parlava, ma non aspettava risposta, come se lo supponesse in un vago dormiveglia o come a un bimbo molto piccolo. Era stanca, diceva ora, tanto stanca; e poi, poi, oh, perché Antonio era così? Ma Marco no, Marco non l'avrebbe mai abbandonata. Non era vero che sarebbe rimasto lá, sempre, con lei? Il suo Marco.
Marco si sentiva avvolgere dal calore che emanava dal corpo di
i
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sua madre, e da quell'odore noto e vivo, un odore di stanchezza e di lagrime. Il corpo angoloso dì Teresa si faceva, da vicino, ampio e molle. E Marco si sentiva sempre più tendere dal bisogno di appoggiarvisi, di lasciarvisi andare: di piangere, forse. Sentiva il proprio corpo, rigido dall[...]

[...].
Nino era appiattito contro il muro, vicino alla porta aperta. L'accostò gettando fuori uno sguardo. « Ho aspettato che tua madre uscisse », mormorò. « Si sono rivolti alla questura. Tuo padre e Luigi li hanno accompagnati ». Certo, aggiunse guardandolo timorosamente, sarebbero venuti per le ricerche: avrebbero dovuto stare attenti. Insistette su questo, Marco capi che aveva paura che parlasse. Non rispose, neppure con un cenno.
Nino esitava, come se avesse ancora qualcosa da dire.
Mio padre vuole che faccia la comunione stamattina. Per Michele, dice ».
Marco s'alzò di scatto dal letto e gli venne vicino.
« Dovrai confessarti ».
Ancora non l'aveva mai fatta, lui, la comunione. Guardò fisso Nino. Bisogna dire tutto, no? »
Nino sfuggi con imbarazzo il suo sguardo.
« Anche quello?... » insisté Marco.
« Non c'é mica peccato », disse Nino con voce dura. « Ho detto una bugia, é tutto ».
Mai Marco aveva provato, prima, l'ira che in quel momento l'assalì. Si gettò su Nino che non resisteva, inerte, e lo colpi furiosamente, alla cieca, [...]

[...]
« Dovrai confessarti ».
Ancora non l'aveva mai fatta, lui, la comunione. Guardò fisso Nino. Bisogna dire tutto, no? »
Nino sfuggi con imbarazzo il suo sguardo.
« Anche quello?... » insisté Marco.
« Non c'é mica peccato », disse Nino con voce dura. « Ho detto una bugia, é tutto ».
Mai Marco aveva provato, prima, l'ira che in quel momento l'assalì. Si gettò su Nino che non resisteva, inerte, e lo colpi furiosamente, alla cieca, con un gusto come di sangue nella bocca serrata. Il corpo di
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Nino cedeva, scrollandosi sotto i colpi e arretrando, il gomito a schermo del viso. Si fermò con le spalle al muro.
« Ma sei pazzo ? » balbettò.
Marco si scostò di colpo. Lo guardò un momento in viso, poi si lasciò cadere su una sedia.
« Non c'è peccato, vero ? » ripeté con voce strozzata. Che Michele sia morto, che noi non siamo stati attenti, che tu... tutti... Non c'è peccato! « Va via! » mormorò poi guardando fisso Nino. Nino tentò di parlare. « Va via! ». Il ragazzo, con espressione attonita, si passò una mano sui capell[...]

[...]Ma sei pazzo ? » balbettò.
Marco si scostò di colpo. Lo guardò un momento in viso, poi si lasciò cadere su una sedia.
« Non c'è peccato, vero ? » ripeté con voce strozzata. Che Michele sia morto, che noi non siamo stati attenti, che tu... tutti... Non c'è peccato! « Va via! » mormorò poi guardando fisso Nino. Nino tentò di parlare. « Va via! ». Il ragazzo, con espressione attonita, si passò una mano sui capelli, e faceva con la gola uno sforzo come se inghiottisse. « Via! » urlò.
Nino indietreggiò lentamente verso la porta, la spinse con la schiena, e poi fuggi lasciandola spalancata.
Marco si guardò intorno stordito. Tutto, nella stanza non ancora rassettata nonostante la luce già piena, aveva qualcosa d'insolito che richiamava un disordine di giorni festivi. Le tazze da caffè non sciacquate, sul tavolo; quel letto ancora sfatto, col cuscino sgualcito e pesto dalla parte di Teresa, da quella d'Antonio diritto e quasi liscio; c'era perfino, attaccato alla finestra, lo specchietto punteggiato di spruzzi di sapone, come di domenica. Era[...]

[...]spalancata.
Marco si guardò intorno stordito. Tutto, nella stanza non ancora rassettata nonostante la luce già piena, aveva qualcosa d'insolito che richiamava un disordine di giorni festivi. Le tazze da caffè non sciacquate, sul tavolo; quel letto ancora sfatto, col cuscino sgualcito e pesto dalla parte di Teresa, da quella d'Antonio diritto e quasi liscio; c'era perfino, attaccato alla finestra, lo specchietto punteggiato di spruzzi di sapone, come di domenica. Era forse per andare in questura che Luigi s'era fatto la barba alla mattina, e non come il solito al ritorno del lavoro. Teresa doveva anche aver pulito le scarpe buone d'Antonio, perché c'era fuori il lucido nero e la spazzola.
Si vesti, poi sedette sull'orlo del letto, preso da una grande spossatezza. Non comprendeva più la propria ira. Soltanto, si sentiva come derubato di qualche cosa. Provò a ritrovare il viso di Michele, come l'aveva visto la sera prima : ma non ne era capace. Per un istante,. gli pareva di afferrarne una linea, isolata: le sopracciglia schiarite dal sole sugli occhi mobili, l'orecchio un po' sporgente sul collo esile. Ma subito lo perdeva.
Pensò vagamente che i questurini sarebbero venuti, e che forse li avrebbero arrestati per aver taciuto; ma senza paura, piuttosto con un'acre soddisfazione.
Fu solamente il ritorno di sua madre a farlo muovere. Teresa mise subito sul fuoco la pentola per il brodo, e vi gettò dentro un pezzo di carne che aveva nella borsa. « Potrà servire anche per loro » diss[...]

[...]e usci.
Anche Nino avrebbe fatto questo. E poi? tutto finito?
E Michele?
Alzò gli occhi verso l'altare. Il prete era immobile, chino verso la tovaglia candida. Una campanella tintinnò. Le donne abbassarono il capo. Sapeva di doverlo fare anche lui: era la prima cosa che Teresa gli aveva insegnato, e che in quel momento c'era il Signore, sull'altare, vivo nell'ostia. Chinò un momento gli occhi, preso dal solito timore riverente : ma subito, come per uno sforzo volontario, li rialzò. La campanella insisté. Continuò a guardare. Gli turbinavano nella mente racconti che aveva udito, di segni terribili apparsi all'elevazione; gocce di sangue, una voce. Il prete alzò il calice, che scintillò debolmente; poi si chinò di nuovo sull'altare. Marco guardava. Aveva paura: ma doveva guardare. Un terzo tintinnio : poi, nella mano del prete, s'alzò un piccolo cerchio bianco. Adesso, si disse. Tutta chiusa nel suo biancore opaco, l'ostia, tra le dita che appena ne toccavano l'orlo, rimase qualche momento alzata contro il fondo scuro della cappella. [...]

[...] il calice, che scintillò debolmente; poi si chinò di nuovo sull'altare. Marco guardava. Aveva paura: ma doveva guardare. Un terzo tintinnio : poi, nella mano del prete, s'alzò un piccolo cerchio bianco. Adesso, si disse. Tutta chiusa nel suo biancore opaco, l'ostia, tra le dita che appena ne toccavano l'orlo, rimase qualche momento alzata contro il fondo scuro della cappella. Poi scomparve dietro la schiena curva del prete. Un tintinnio rapido, come sollevato, della campanella, un suono di respiri trattenuti che riprendevano, un leggero scalpiccio, qualche urto contro i banchi.
Era finito.
Camminò per un pezzo quasi di corsa, senza chiedersi dove sarebbe andato.
Solo quando, passate le strade del centro, si trovò sul declivio dei caruggi del porto, si rese conto che era diretto verso il mare. Camminò svelto, sempre più svelto, con una sola immagine fissa: quell'immobile distesa bianca in cui era sprofondato Michele.
Voleva andare oltre, dove la costa alzandosi si faceva più deserta. Finalmente s'addentrò in ripidi vicoli, scuri c[...]

[...]amminò per un pezzo quasi di corsa, senza chiedersi dove sarebbe andato.
Solo quando, passate le strade del centro, si trovò sul declivio dei caruggi del porto, si rese conto che era diretto verso il mare. Camminò svelto, sempre più svelto, con una sola immagine fissa: quell'immobile distesa bianca in cui era sprofondato Michele.
Voleva andare oltre, dove la costa alzandosi si faceva più deserta. Finalmente s'addentrò in ripidi vicoli, scuri come se fossero ancora intrisi dell'umidità della notte.
Lo colsero all'improvviso, allo sbucare di uno di essi, un alito fresco di sale e il vario scintillio di un'acqua tutta increspata e viva.


u
IL SILENZIO 183
Udì il suono del mare: il noto fruscio tranquillo dei giorni di bagni, e il rotolio dei sassi che scivolavano, poi tornavano in su spinti da una frangia di spuma.
Camminò lungo la costa, esitante, e suo malgrado sentendo il benessere di quel soffio salato, di quell'ardore asciutto del sole e del vento: gli occhi fissi a quel balenare mutevole e vivo. Ritrovava il marte[...]

[...]orizzonte, l'acqua s'addentrava azzurra nei bacini, s'apriva dietro un motoscafo in una scia di spuma, lambiva paziente una chiglia, scontornava le pareti scarlatte d'alti vapori in riparazione, giocava lungo il molo in vortici iridati di spuma.
Lo stupì, in quella varia animazione sonora, la calma di un gran cantiere deserto. Nel bacino asciutto, un bastimento inclinato sul fianco e corroso spalancava le sue lamine contorte su macchine untuose come visceri di una carogna. Degli arnesi giacevano sul molo, e nei crogioli la pece era secca, come vetrificata sotto il sole.
Quando ebbe percorso tutto il muricciolo di cinta, e arrivò dove esso svoltava, gli apparve una lunga fila di operai addossati al muro. I volti senza traccia d'olio di macchina o di fumo, né lucentezza di sudore, pallidi, parevano stranamente diversi.
D'altra parte della strada, un picchetto armato della Celere andava lentamente su e giù. Non una voce, né da una parte né dall'altra. Sul muro, il mattone corroso dalla salsedine si denudava qua e là in vive scheggiature rosse. Sotto, una grande scritta nera : ASSASSINI.
Doveva essere lo sciopero di cui aveva parlat[...]

[...]odo monotono e lento. Avevano tutti dei visi stanchi. Dalla parte degli operai si senti un brusio, poi un grido acuto : « vigliacchi ». I militi si fermarono, s'allinearono dalla parte opposta della strada.
Stavano a guardarsi: muti e, ora, tutti altrettanto immobili. Aspettavano. Con quegli sguardi scuri e raggelati, sembravano imporsi a vi
184 LILIANA MAGRINI
f
tenda il gesto che avrebbe permesso di gettare la colpa addosso a qualcuno : come uno schiaffo o uno sputo.
La gola stretta, Marco si ritirò lentamente. Risalì i vicoli che parevano ancora più scuri, adesso. Le mura altissime fra cui erano serrati s'incurvavano in alto, sostenute l'una all'altra da sbarre di pietra cosparse di polvere. Dappertutto, la stessa dura pazienza di donne a cucire sulla porta dei loro antri, la stessa muta pigrizia di ragazzini che giocavano tra le immondizie dei rigagnoli. Qua e là, su scialbi muri squarciati dalle bombe, s'aprivano solitari lembi di cielo.
A un tratto, Marco udì una voce soffocata e insieme stridula, interrotta da ansiti. Av[...]

[...]na e sottile, le stava davanti, e la guardava senza una parola, con occhi dilatati. Giovani, l'una e l'altra. Improvvisamente, quella che gridava s'avventò: la bruna precipitò a terra e l'altra le cadde sopra, accosciata, senza lasciar presa. S'era sentito un colpo sordo. Ansimando, la donna continuò a scrollare per le spalle quel corpo prostrato. La sottana risalita fino all'inguine, essa serrava tra le cosce pesanti il corpo della sua vittima, come un cavaliere impazzito che spronasse una bestia esanime.
Nessuno si mosse, come se una ignota condanna impedisse a chiunque d'intervenire. Sulla porta, l'uomo continuava a torcersi le mani.
Riuscì a voltarsi. Corse a lungo. Non aveva che un pensiero : salire, lasciare quelle strade precipitanti tutte verso il mare, che ogni tanto balenava in fondo ai crocevia. Ma a mano a mano che saliva, il mare si dilatava sempre più tra le scure fessure dei tetti d'ardesia, fino ad abbracciare, abbacinante, tutta la costa.
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«Ma che cosa, dunque, che cosa? » diceva la voce di Costanza. « Una macchina? Ma si sarebbe saputo. E neppure il mare. Era calmo, ieri, e Michele sa nuot[...]

[...]dilatava sempre più tra le scure fessure dei tetti d'ardesia, fino ad abbracciare, abbacinante, tutta la costa.
i

«Ma che cosa, dunque, che cosa? » diceva la voce di Costanza. « Una macchina? Ma si sarebbe saputo. E neppure il mare. Era calmo, ieri, e Michele sa nuotare. E chi avrebbe potuto volergli fare del male? Ma no, é assurdo. E poi, qualunque cosa si sarebbe saputa ». Parlava in modo monotono, uguale nelle domande e nelle risposte, come se le avesse troppe volte ripetute.
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IL SILENZIO 185
Marco s'era seduto a lato della casa, sul filo d'ombra che la separava dalla strada assolata. Udiva Costanza senza vederla. Non l'aveva vista neppure passando rasente al muro, sebbene le imposte fossero spalancate.
«E voi perché tacete? » proruppe all'improvviso Costanza, con voce diversa, spezzata e violenta. « Perché tacete, tutti e due? Non avete detto una parola. Che cosa pensate? »
Nessuno rispose.
« Che cosa pensate? Dio, che nessuno parli? »
« Anch'io ho tanto gridato », disse una voce fredda e spenta. Marco comprese che era[...]

[...]poste fossero spalancate.
«E voi perché tacete? » proruppe all'improvviso Costanza, con voce diversa, spezzata e violenta. « Perché tacete, tutti e due? Non avete detto una parola. Che cosa pensate? »
Nessuno rispose.
« Che cosa pensate? Dio, che nessuno parli? »
« Anch'io ho tanto gridato », disse una voce fredda e spenta. Marco comprese che era quella della vecchia, sebbene gli sembrasse di non averla mai udita parlare.
« Sta zitta. Parli come se fossi già sicura! Ma tu, Giacomo, tu l'hai visto prima che uscisse! Non ti ha detto proprio niente? Non ti ha detto dove pensava d'andare... quando sarebbe tornato? ».
Ruppe in singhiozzi; diversi da quelli della sera prima, ammorbiditi di lagrime: erano striduli, ora, esasperati.
« Perché mi guardi in quel modo? Tu sai qualche cosa ».
« Te l'ho detto, non so niente », rispose stancamente Giacomo. « Perché io? Perché io e non tu? Perché non eri là, a chiedergli dove era che andava? Ne avevi abbastanza ,di vedermi, non è vero? Forse, se tu fossi stata qui... Avevi il diritto di stare in [...]

[...]era prima, ammorbiditi di lagrime: erano striduli, ora, esasperati.
« Perché mi guardi in quel modo? Tu sai qualche cosa ».
« Te l'ho detto, non so niente », rispose stancamente Giacomo. « Perché io? Perché io e non tu? Perché non eri là, a chiedergli dove era che andava? Ne avevi abbastanza ,di vedermi, non è vero? Forse, se tu fossi stata qui... Avevi il diritto di stare in giro, no? Perché sei giovane, è questo che pensavi? E io, non lo ero come te? E anche colpa tua ». La sua voce era diventata tagliente. « Tu, si... E anche colpa tua, se è andata così ».
Così?! allora tu lo sai. Lo sai! ». C'era dell'odio, in quella voce, una collera trattenuta che lo fece rabbrividire.
La risposta di Giacomo, stanca e come lontana, si fece attendere.
« L'altra sera... l'altra sera quando è tornato, tu non c'eri... Mi ha detto: vado via e non torno piú. Mi guardava, mi guardava in un modo... Ho paura. Non poteva voler dire questo: ma se penso a come mi guardava... ho paura ».
Non vi fu altra risposta che un gemito, una specie di rantolo. Costanza usci di corsa, e si fermò là, contro il muro, il corpo rattrappito, le mani strette al viso.
Usci anche Giacomo, dopo qualche momento, e si lasciò cadere sullo scalino della soglia. Pareva più sbieco del solito, tutto afflosciato a lato della sua lunga e rigida gamba di legno. Rimase immobile, il
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volto livido e le labbra tremanti. Costanza lo scorse. Nascose il viso dentro il braccio piegato, appoggiata contro il muro: scuoteva la testa con violenza, come per scacciarlo. [...]

[...], contro il muro, il corpo rattrappito, le mani strette al viso.
Usci anche Giacomo, dopo qualche momento, e si lasciò cadere sullo scalino della soglia. Pareva più sbieco del solito, tutto afflosciato a lato della sua lunga e rigida gamba di legno. Rimase immobile, il
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volto livido e le labbra tremanti. Costanza lo scorse. Nascose il viso dentro il braccio piegato, appoggiata contro il muro: scuoteva la testa con violenza, come per scacciarlo.
« Michele é morto » sillabò piano Marco. La propria voce gli suonò spenta e vuota. Pensò alla calma certezza provata sul colle, nella notte; e al grido della morente. Doveva vederla. Fu questo ad aiutarlo a strapparsi di lá, e a correre verso l'ultima casa d'Oregina.
Passando, scorse tutti i ragazzi seduti sul ciglio del campo di calcio, tranquilli: non giocavano, guardavano verso la valle.
Il sole si spalancava, accecante, sul colle nudo. In alto, nella vibrazione della calura, si staccava nitido e fermo il forte del Righi.
Come sempre in assenza di Giuseppe Spinola, la p[...]

[...]ensò alla calma certezza provata sul colle, nella notte; e al grido della morente. Doveva vederla. Fu questo ad aiutarlo a strapparsi di lá, e a correre verso l'ultima casa d'Oregina.
Passando, scorse tutti i ragazzi seduti sul ciglio del campo di calcio, tranquilli: non giocavano, guardavano verso la valle.
Il sole si spalancava, accecante, sul colle nudo. In alto, nella vibrazione della calura, si staccava nitido e fermo il forte del Righi.
Come sempre in assenza di Giuseppe Spinola, la porta era socchiusa perché i vicini potessero accorrere se Caterina avesse chiamato. Traversò la cucina, e a qualche passo dalla soglia lo colse lo sguardo della malata, fermo nella sua direzione. Marco sapeva che vedeva : ma nulla ormai, da tempo, né un gesto né una contrazione della pupilla, rivelava in lei la percezione di una nuova presenza.
S'avvicinò lentamente fino ai piedi' del letto.
Una mosca batteva contro i vetri chiusi. Lontanissimo, giungeva ogni tanto qualche suono di clackson. Spalancati, gli occhi di Caterina lo accoglievano sempre [...]

[...] » chiese infine.
Da quando era malata, ogni volta che l'andava a trovare Caterina gli rivolgeva sempre questa domanda. L'elicottero. Chiedeva sempre dell'elicottero di celluloide che lui faceva volare un giorno sotto le finestre degli Spinola. Caterina s'alzava ancora dal letto, allora. S'era affacciata al davanzale, ed era rimasta a guardare: l'elica rossa, ruotando, brillava al sole, si spegneva, tornava a brillare, librata.
« Si », rispose come sempre, esitando. Caterina aveva chiuso gli occhi. La cornea e la pupilla s'intravvedevano, ugualmente chiare, tra le palpebre. Sulla facciata di fronte, dei panni stesi s'agitavano sotto lievi raffiche. Era lo stesso vento di quel giorno, ma più molle, estenuato. Sarebbe andato bene ugualmente l'elicottero, si disse Marco. Poi si vergognò di averci pensato : e lo stupì che potesse venire in mente a Caterina.
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Non capiva più che cosa fosse venuto a cercare lá. Si chiese perfino se fosse stata proprio lei a gettare quel grido : cosi stremata come era.
Alle spalle di Marco, l[...]

[...]le palpebre. Sulla facciata di fronte, dei panni stesi s'agitavano sotto lievi raffiche. Era lo stesso vento di quel giorno, ma più molle, estenuato. Sarebbe andato bene ugualmente l'elicottero, si disse Marco. Poi si vergognò di averci pensato : e lo stupì che potesse venire in mente a Caterina.
IL SILENZIO 187
Non capiva più che cosa fosse venuto a cercare lá. Si chiese perfino se fosse stata proprio lei a gettare quel grido : cosi stremata come era.
Alle spalle di Marco, la porta del pianerottolo s'aperse piano. Qualcuno si avvicinava, si fermava incerto sulla soglia : poi entrò. Antonio. Evitando di guardare Marco, si diresse verso la seggiola accanto al letto. Sedette con pesante lentezza.
« Ecco », disse questa volta Caterina.
Per un attimo, il respiro di lei parve più rapido. Una lieve contrazione degli zigomi fece risaltare più duramente, nel viso scarno, il suo naso affilato. Poi si rilassò.
« Fa lo stesso », disse.
Antonio gettò di sfuggita sul figlio uno sguardo quasi timoroso. Si coperse gli occhi con la mano, il gomit[...]

[...] calmo. I capelli le s'incollavano alle guance madide. Marco non osava guardare il padre. Quando essa si fermò, aveva lo stesso viso inerte, lo stesso sguardo immobile.
Antonio aveva alzato la testa : Marco gli vide le orbite peste e gli occhi arrossati. Anche lui, ora, fissava la malata; poi rivolse di nuovo a Marco quello sguardo rapido e timoroso.
« Fa lo stesso » ripeté Caterina. E Marco udì un no sommesso ma violento, e stranamente rauco, come se a stento Antonio avesse trattenuto un grido.
Il viso di Caterina rimase immutato, quasi essa non avesse udito.
Antonio s'alzò, venne verso Marco, e con una pressione della mano sulla spalla gli indicò che uscisse. Ma come accennando a parlare, le labbra della morente vibrarono di un lieve tremito, denudando le gengive pallide.
«Si sta bene sul Righi », disse infine con un tremito più forte delle labbra, che abbozzarono faticosamente un sorriso. Si voltò adagio verso la finestra. « Tira a piovere », disse ancora, lo sguardo alla foschia livida che pesava sull'orizzonte. « $ buono... quando sa tutto di pioggia ».
« ...E di sale » prosegui piano Antonio. « La terra, i capelli... ».
Marco aveva indietreggiato, scostandosi dal letto, come avesse voluto fuggire. Guardava fisso la morente.
C'era quell'odore di pi[...]

[...]emito, denudando le gengive pallide.
«Si sta bene sul Righi », disse infine con un tremito più forte delle labbra, che abbozzarono faticosamente un sorriso. Si voltò adagio verso la finestra. « Tira a piovere », disse ancora, lo sguardo alla foschia livida che pesava sull'orizzonte. « $ buono... quando sa tutto di pioggia ».
« ...E di sale » prosegui piano Antonio. « La terra, i capelli... ».
Marco aveva indietreggiato, scostandosi dal letto, come avesse voluto fuggire. Guardava fisso la morente.
C'era quell'odore di pioggia e di sale, ricordò a un tratto, un giorno
188 LILIANA MAGRINI
che lui e Michele correvano su una striscia sabbiosa lambita dal mare. I piedi lasciavano sulla sabbia bagnata un'orma chiara che poi un velo d'acqua, lentamente trapelando, faceva quasi nera, e traslucida... Aveva sperato di parlare a Caterina, si disse, quand'era corso da lei: ma adesso avrebbe dovuto farlo in altro modo, e non sapeva come. Erano felici, quel giorno, lui e Michele: di questo, appena, avrebbe parlato. O forse, di come gli ronzava il [...]

[...]isso la morente.
C'era quell'odore di pioggia e di sale, ricordò a un tratto, un giorno
188 LILIANA MAGRINI
che lui e Michele correvano su una striscia sabbiosa lambita dal mare. I piedi lasciavano sulla sabbia bagnata un'orma chiara che poi un velo d'acqua, lentamente trapelando, faceva quasi nera, e traslucida... Aveva sperato di parlare a Caterina, si disse, quand'era corso da lei: ma adesso avrebbe dovuto farlo in altro modo, e non sapeva come. Erano felici, quel giorno, lui e Michele: di questo, appena, avrebbe parlato. O forse, di come gli ronzava il sangue negli orecchi, mentre nuotava : perciò, non si potevano udire gli altri. E avrebbe voluto dire che sapeva molte cose di Michele : sapeva che quando serrava i denti, e gli apparivano sulle guance due chiazze livide, era che non poteva più correre, e non lo diceva; e quando veniva a cercarlo all'improvviso, in certe ore di sole in cui non si vedeva in giro che qualche cane appiattito sul selciato, e gli proponeva di salire sul Righi o dì andare a rubare la frutta
in qualche orto, era perché aveva paura Giacomo, e non lo diceva.
E non avrebbe tollerato che lui lo dicesse.[...]

[...]eva in mano un taccuino, e ogni tanto vi scriveva, inumidendo sulla punta della lingua la matita, che vi lasciava una piccola traccia violacea.
Antonio era rimasto un po' indietro, e guardava Costanza che stava a lato del marito, una mano posata sulla sua spalla. Così accasciato, Giacomo pareva piegare sotto quel peso, eppure Costanza non si appoggiava : lo guardava ritta e pallida, tosi tesa che, sembrò a Marco, un colpo l'avrebbe trovata dura come il macigno, o rovesciata di schianto
come un'antenna.
« Ora chiamerà noi », pensò Marco. Invece l'agente si voltò verso Costanza. Di profilo, il suo viso mutava stranamente. L'orecchio piatto e allungato, come stirato dal basso verso l'alto, gli dava, a contrasto con la pigrizia dei lineamenti, una bizzarra espressione di vigilanza animale. Marco capi che faceva delle domande sul mestiere di Costan
za. Lei rispondeva breve, con aria assente.
Teresa si avvicinò a Marco, gli prese per un momento la mano come quando era piccolo : senti la sua, calda e un po' tremante. La donna guardava l'agente con occhi spalancati e ansiosi.
Il leggero sorriso che errava sulle labbra dell'agente sembrò accentuarsi: due piccole pieghe si formarono sotto l'orecchio malignamente desto. Marco vide la mano di Costanza contrarsi sopra la spalla di Giacomo, e Antonio rizzarsi dicendo : « Lo sa che é qui per cercare il ragazzo? ».
« So io quello che devo fare », disse l'agente seccamente. « So io quello che serve per l'inchiesta ».
Antonio strinse i pugni. Un gruppo di donne davanti ai ragazzi mormorava; l'agente si v[...]

[...]so le case, compatto intorno all'agente. Nessuno si voltava a guardare i due uomini. Com'erano lenti! Marco li seguiva con gli occhi, passo a passo. Tremava alle folate più fresche che grandi rapide nuvole sembravano smuovere, segnando strie di un biancore di pietra sull'incupirsi del mare. Finalmente gli uomini raggiunsero il gruppo. Qualcuno si voltava, parlava con loro, il gruppo si apriva. Non sapeva che cosa attendesse, spasmodicamente. Era come se qualcosa dovesse prorompere: forse un grido. Ma non s'udì nulla.
Passarono lunghi momenti; infine Marco vide Costanza uscire tra la gente che ondeggiava. Camminava rigida, il corpo inclinato in avanti, tra i due pescatori che le si erano messi a fianco. Egli distingueva anche Antonio, adesso, che procedeva rapido come per raggiungerla;. e Giacomo. Gli altri seguivano più lentamente. Per un poco Antonio continuò da solo con dietro Giacomo che arrancava. Poi si fermò ad aspettarlo, e prosegui con lui. Andavano più adagio dei tre che precedevano: eppure Giacomo, oscillando scompostamente sulla gamba di legno, sembrava il solo a correre.
Costanza e i due pescatori erano già nascosti dalle prime case, che ancora i due avanzavano lentamente a metà strada, tra i colli nudi.
A un certo momento, Antonio passò la mano sotto il braccio di Giacomo, cercando di sorreggerlo: ma riuscì soltanto a dare intralcio al suo [...]

[...]lche istante immobile, a testa china; poi riprese a camminare, e infine scomparvero anche loro.
C'era una cavità nel terreno, vicino a Marco. Era una delle trincee che lui stesso, molti mesi prima, aveva scavato con i compagni. Già v'era cresciuta l'erba.
Vi si appiattò e si sdraiò supino, Io sguardo al cielo opaco. Si sentiva gli occhi bruciati. Ma non provava più quell'impotenza al pianto che dal giorno prima l'attanagliava : era, piuttosto, come se il pianto
IL SILENZIO 191
lo avesse ormai scavato, lasciandolo duro e asciutto e compatto come un ciottolo levigato dall'acqua.
Un aroma forte saliva intorno, insieme a un leggero crepitio, dalle erbe corte e dure. Più tardi si levò il vento: il cielo sembrò indurirsi.
Già impallidiva, quando Marco senti venire di lontano il solito grido: « All'erta! ». S'alzò, aggrappandosi con le mani all'orlo della trincea. Il grido s'avvicinava, meno fitto del solito: così isolata, ogni voce sembrava chiara, e fragile, in quella cerchia nuda. Non c'era più nessuno sulla strada. In fondo, tra le facciate scialbe, i vetri chiusi di Caterina mandavano un riflesso verdastro. Il grido si fermi). Una l[...]

[...]to: così isolata, ogni voce sembrava chiara, e fragile, in quella cerchia nuda. Non c'era più nessuno sulla strada. In fondo, tra le facciate scialbe, i vetri chiusi di Caterina mandavano un riflesso verdastro. Il grido si fermi). Una lunga lunga pausa : le trincee vicine dovevano essere vuote, certo mancavano tutti i ragazzi d'Oregina. L'eco del grido pareva essersi fissata nell'aria. Attese, trattenendo il respiro, che qualcuno lo continuasse; come sperso in quel vuoto in cui la catena si spezzava. All'improvviso — e quasi non riconobbe la propria voce — si senti rispondere: «All'erta! ». Lo ripeté ancora, una, due, tre volte, alto, nitidissimo: «All'erta! All'erta! ».
Lontano, un'altra voce rispose.
Quando s'avviò verso casa, fu con passo sicuro e lento: un passo a lui stesso ignoto.
In vista del pianterreno dei Cataldo, si fermò un momento guardando la finestra aperta: ne veniva un lieve lamento. S'avvicinò fino a veder dentro. Era la vecchia: per la prima volta uscita dalla sua fissitá dura di sempre, pareva che invece di una mort[...]



da Giovanni Pirelli, Questione di Prati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: QUESTIONE DI PRATI
I
César Borgne posò sul tavolo una bottiglia di grappa con il tappo ancora affondato nel collo. « Questa », disse, « per festeggiare ».
« Oh », disse Salomone Croux. « Compi gli anni? ». Sapeva, come tutti in paese, che Borgne aveva venduto un prato, il suo unico prato. Lo aveva venduto a un industriale di Biella, certo Marconi o Maltoni. Questo tale era capitato quassù una domenica e si era — come dicono i ricchi — innamorato del luogo. Sul prato di Borgne avrebbe costruito una villa. Una villa in cemento armato, più finestre che muri, con riscaldamento centrale, garage e relativa strada d'accesso. Tutto si sapeva, tutto fuorché una cosa: quanto Borgne avesse preso del prato. Il geometra del comune era stato chiamato solo per rilevare i confini. Il compromesso era stato stilato in città nello studio di un dottore commercialista. Un affare misterioso. Tanto più misterioso in quanto nessuno, non essendo questa una zona di ville, aveva mai venduto un prato a gente di fuori. « Cosi », diss[...]

[...]È li. Non si muove. Non diventa più grande ma nemmeno diventa più piccolo. Quest'anno ci hai fatto tre fieni. L'anno venturo ci fai tre fieni. Tutti gli anni ci fai tre fieni. Più buoni, meno buoni, sono sempre tre fieni. Venisse anche il diluvio universale, quando l'acqua scola via cosa trovi? Il tuo prato. Questo, nella mia testa ignorante, è un prato ». Parlava lentamente, teneva la mano destra aperta con il palmo all'insù e le dita allargate come vi reggesse il prato, la fissava compiaciuto come se le fienagioni vi si susseguissero l'una via l'altra. Quindi chiuse la mano destra a pugno per significare che il prato non c'era più e dischiuse la sinistra sollevandola a scatti come vi facesse saltare monete. « E il danaro? Cos'è il danaro? Guardate quella bottiglia. E o non è piena di grappa? ».
César Borgne non voleva mostrarsi condiscendente. Tuttavia non poté fare a meno di guardare la bottiglia. Altrettanto fece il ragazzo Attilio.
« Per forza è piena », disse il ragazzo Attilio. « E ancora da stappare ».
« Dunque è piena», disse Salomone Croux. « E una bottiglia piena di buona grappa. Uno è contento di avercela, no? Si, uno è contento di avercela. È tanta grappa. È un'intera bottiglia di grappa. Adesso ne prendi uno, due bicchieri, perché due? siamo in tre, ne o[...]

[...]. « Un altro bicchiere? », disse Salomone Croux. « Certo. Ce n'è tanta! Cosa volete che sia un altro bicchiere! Un altro bicchiere è niente. Un altro ancora è niente. Un altro ancora è ancora niente. Mon djeu me! Cosa è successo? Cosa è successo? ». Salomone Croux si piegò in avanti fino a che i suoi occhi strabici non furono a un palmo dalla bottiglia. « È vuota! ». Sollevò la bottiglia contro l'orecchio, la scosse. « Vuota », confermò. « Com'è come non è, poco fa era piena sino al collo e adesso non ce n'è nemmeno una goccia per inumidire le labbra. Così, signori, è il danaro. Esattamente così ». Con una smorfia di sprezzo depose la bottiglia sul tavolo, riportò soddisfatto il busto all'indietro chiudendo a pugno anche la mano sinistra.
« Al diavolo », imprecò César Borgne. « Prendo fuori una bottiglia di grappa, la prendo per festeggiare e tu, sacrenom, me l'adoperi per i tuoi stupidi esempi. Mi hai fatto passare la voglia ». Allontanò da sé la bottiglia. « Me la sento sullo stomaco anche solo a guardarla ».
«Meglio così », disse Sal[...]

[...]». Mise tra i denti la fettina di tappo che emergeva dal collo della bottiglia, strinse, fece ruotare il vetro. Con un rumore di rutto il tappo si staccò dal vetro. César fece scarrere due bicchieri da vino lungo il piano del tavolo, uno verso Salomone che gli stava di fronte, uno verso il ragazzo Attilio che gli stava di fianco. Li riempi, riempi il proprio bicchiere. Era una grappa di pura vinaccia, distillata nella cantina di casa. Era chiara come acqua di fonte. « Alla faccia degli invidiosi », brindò, alzando il bicchiere all'altezza degli occhi.
« Alla faccia loro », disse prontamente Salomone Croux alzando il bicchiere.
« Alla faccia », disse il ragazzo Attilio alzando il bicchiere e guardando con insolenza la faccia di Croux.
II
«Mon djeu me », disse Salomone Croux. Si batté ripetutamente il
petto. Teneva la bocca spalancata, ne gettava fuori buffate di alito.
« Sessanta gradi, non uno di meno ».
César Borgne rise. « Sessanta? ».
Rise anche il ragazzo e ripeté: « Sessanta? >.
76 GIOVANNI PIRELLI
« Sessantacinque? », diss[...]

[...]ipeté: « Sessanta? >.
76 GIOVANNI PIRELLI
« Sessantacinque? », disse Salomone Croux.
« Sessantacinque? », disse César Borgne, strizzando l'occhio al ragazzo Attilio. Attilio era felice.
«Settanta? », disse Salomone con il tono di chi ha raggiunto un limite oltre il quale non è disposto nemmeno a un atto di fede.
« Settanta! Dice settanta! » Ogni rughetta del viso di César sprizzava allegria. « Settantacinque gradi, amico mio. Settantacinque come è vera che sono qui che ti parlo. Parola di César Borgne ».
« Troppi », disse seccamente Salomone. « Fino a sessanta, a sessantacinque può andare. Settanta é un'esagerazione. Non parliamo di settantacinque. Vuol dire bruciarsi le budella. Troppi. Ne bevo un sorso proprio perché ti sei ficcato in testa di voler festeggiare. Lo bevo perché un amico non lo si abbandona nei momenti difficili. Questo bicchiere e basta. No, non è bene abbandonare un amico nei momenti difficili. E così, eccomi qui che mi brucio le budella perché tu ti devi consolare di aver venduta il tuo prato ».
« Al diavolo », [...]

[...]bene abbandonare un amico nei momenti difficili. E così, eccomi qui che mi brucio le budella perché tu ti devi consolare di aver venduta il tuo prato ».
« Al diavolo », disse César Borgne senza più allegria. « Hai deciso di rovinarmi la festa ».
Per qualche tempo nessuno parlò. César, scrupolosamente imitato dal ragazzo Attilio, beveva a generose, ben intervallate sorsate; Salomone a sorsatine fitte accompagnate da smorfie di disgusto. Stavano come se ciascuno fosse solo con il proprio bicchiere. Nella stalla, fiocamente illuminata da una lampadina nuda e sporca appesa ad un chiodo, stagnava il tiepido umidore del fiato della mucca. Impregnava tutto, la mangiatoia, il tavolo di noce, la lunga panca ad angolo dietro il tavolo, gli sgabelli, la credenza rosa dai tarli, le tavole del soffitto, l'intonaco smunto delle pareti. Distesa sulla lettiera la mucca ruminava. L'unica sua compagna, una capra, le stava accanto ritta e immobile; dormiva. Il tempo era senza misura, il resto del mondo inesistente.
Aveva, César Borgne, un magnifico paio [...]

[...]uanti padri. Quella mezza cartuccia. Uno che a diciannove anni compiuti — ci avrebbe messo la mano sul fuoco — l'amore lo faceva solo con il proprio cuscino. César beveva un'altra sorsata, deponeva il bicchiere, lanciava un'occhiata a Salomone. `Sta a vedere se questo porco pensa che ho fatto un cattivo affare o se parla per invidia'. Si arricciava la punta dell'altro baffo, in dentro, . rabbiosamente. È che a lui non gliele andava mai bene una. Come guida era un fallito. Beveva. Forte e in gamba com'era, s'annoiava a portare clienti in montagna. Bevendo, partendo già dalla base con le gambe incerte e la testa annebbiata, si avviliva, s'abbassava al loro livello. Ormai, se ancora gli capitavano clienti, una, due volte per stagione, erano fanatici che si lasciavano incantare dal nome: la guida César Borgne, della famosa famiglia dei Borgne. Una seconda volta, con César Borgne, non tornavano più. Come contadino, non parliamone. Nella divisione paterna aveva avuto una casa e un orto. Quando la zia Jacqueline era morta lasciandogli un prato, [...]

[...]da era un fallito. Beveva. Forte e in gamba com'era, s'annoiava a portare clienti in montagna. Bevendo, partendo già dalla base con le gambe incerte e la testa annebbiata, si avviliva, s'abbassava al loro livello. Ormai, se ancora gli capitavano clienti, una, due volte per stagione, erano fanatici che si lasciavano incantare dal nome: la guida César Borgne, della famosa famiglia dei Borgne. Una seconda volta, con César Borgne, non tornavano più. Come contadino, non parliamone. Nella divisione paterna aveva avuto una casa e un orto. Quando la zia Jacqueline era morta lasciandogli un prato, aveva venduto l'orto e comperato una mucca. Ma come può un uomo di quarant'anni, forte e in gamba, scaricare le proprie energie badando a un prato e una mucca? Beveva sempre piú. Finalmente nostro Signore guarda giù e dice: 'Povero Borgne, è un disgraziato, bisogna dargli una mano'. Gli manda l'industriale di Biella, discutono, si mettono d'accordo. Affare fatto. E che affare! Macché, arriva quel dannato di un Salomone Croux e cosa dice? Dice che i quattrini sono come la grappa...
César guardò la bottiglia. Era andata un pi) giù, si capisce. Però ce n'era tanta, tanta ancora! Si morse il labbro come se gli fosse scappata una bestemmia. Come fosse stato di quelli, cioè, che dopo tirata una bestemmia si mordono il labbro. Aveva scolato il proprio bicchiere ma gli ripugnava di versare dalla bottiglia altra grappa. S'attorcigliava senza posa la punta di un baffo. L'attorcigliava in dentro, rabbiosamente,. Proprio con Salomone Croux doveva capitare, uno che sa quello che dice, tanto é vero che non dice mai quello che pensa; che, per paura di dire quello che pensa, una volta tanto, non prende mai una sbornia, mai. Invece bisognava fargliela prendere.
Salomone fu svelto nel coprire con il palmo della mano il proprio bicchiere ancora p[...]

[...]sa; che, per paura di dire quello che pensa, una volta tanto, non prende mai una sbornia, mai. Invece bisognava fargliela prendere.
Salomone fu svelto nel coprire con il palmo della mano il proprio bicchiere ancora pieno a metà. « Un bicchiere ho detto, un bicchiere bevo », disse.
« Via », disse César. Si sforzava di mostrarsi bonario. c Tira via quella mano ».
n
78
GIOVANNI PIRELLI
«E a me? », disse il ragazzo Attilio. II suo bicchiere, come quello
di César, era vuoto.
« Senza complimenti », disse Salomone. « Sto bene così ».
« Se non accetti mi offendo ». Non é che César si offendesse; an
dava in bestia. Non ammetteva che in casa sua qualcuno rifiutasse
di bere. Non lo tollerava.
« Offendersi perché? » Salomone alzò le spalle. « Lo sai che non
bevo. Ho già fatto un'eccezione. L'ho fatta perché non é bene abban
donare gli amici nei momenti difficili ».
« Al diavolo! Al diavolo! », disse César.
«E a me? », disse il ragazzo Attilio sollevando il bicchiere davanti
agli occhi di César. César gli scostò la mano come scaccia[...]

[...]i offendesse; an
dava in bestia. Non ammetteva che in casa sua qualcuno rifiutasse
di bere. Non lo tollerava.
« Offendersi perché? » Salomone alzò le spalle. « Lo sai che non
bevo. Ho già fatto un'eccezione. L'ho fatta perché non é bene abban
donare gli amici nei momenti difficili ».
« Al diavolo! Al diavolo! », disse César.
«E a me? », disse il ragazzo Attilio sollevando il bicchiere davanti
agli occhi di César. César gli scostò la mano come scacciasse una
mosca.
« Uno che non beve », disse, « si asciuga dentro e crepa ».
« Dopo di te », disse Salomone.
« Prima, molto prima. E nessuno verserà una lacrima ».
« Su di te, lacrime come piovesse. Con quel puzzo di acquavite
che uscirà dalla cassa... ».
« Tu nemmeno ce l'avrai la cassa. Sarai troppo duro per essere
ficcato in una cassa. Duro e secco come un baccalà ».
« Che discorsi », disse il ragazzo Attilio. « Io vado a letto ».
« Avanti, Salomone. Riempiamo il bicchiere e poi basta », disse
César.
« No ».
« Crepa ».
« Dopo di te », insisté Salomone.
« Uh », sbuffò il ragazzo Attilio. « Perché é venuto a guastarci la
festa ? »
« Come è venuto può andarsene », disse César.
III
Erano incattiviti l'uno contro l'altro, i due anziani, e ciascuno contro se stesso. S'eran ficcati in un vicolo cieco senza speranza di un solo passo avanti; Salomone per sapere quanto César aveva preso del prato, César per sapere cosa ne pensava Salomone.
Salomone aveva travasato la grappa che gli avanzava nel bicchiere di Attilio. Rovesciato il proprio bicchiere, lo premeva con la mano lunga e ossuta. Era disgustato per la grossolanità di César, irritato per
QUESTIONE DI PRATI 79
le ore di sonno sprecate, rabbioso perché già sentiva bruciare l[...]

[...]a nemmeno sapere a quanto è stato venduto; senza spiegare perché.
Fortunatamente c'era anche il ragazzo Attilio. Attilio aveva pensato. La cosa era del tutto inconsueta. Di regola il ragazzo Attilio ascoltava César, gli dava ragione e basta. « Si, la gente chiacchiera », disse. « Chiacchiera per invidia. Se lo sognano un affare così. No, non sono neanche capaci di sognarselo ». Era un fraseggiare imparato da César.
« Tu di affari te ne intendi come te ne intendi di donne », disse Salomone. Era contento che il ragazzo avesse riportato il discorso sull'affare del prato. Lo provocava appunto per farlo parlare.
Attilio arrossi. « Ne so un bel po' più di te », disse. « A me César dice sempre tutto. Sa che di me si può fidare ».
Salomone staccò la mano da sopra il bicchiere, ma solo per un momento, solo per agitare un dito nell'aria. « No, non ci credo. Un uomo parla di affari solo con un altro uomo ».
Era un'aperta provocazione. « Infatti », ribatté Attilio, « a te non. dice niente. Non vedi che non ti dice niente? Lo sai, tu, quanto ha p[...]

[...] mucca e alla capra? César serro le labbra. I singulti si moltiplicavano tra ventre e gola, premevano cercando uno sbocco, diventavano crampi. Per fortuna non dovette rispondere perché il ragazzo Attilio intervenne con foga. « Dove la tiene? Dove vuoi che la tenga? La tiene in garage. Con i soldi che ha preso cosa vuoi che sia costruire un garage? So tutto, io. So che César sta trattando il terreno. E un prato di Belfront Augusto. Sarà un garage come ce n'è uno ad Aosta, con la saracinesca che va su e giù da sola. Si preme un bottone, vrrram, va sottoterra. Si preme un altro bottone, vrrram, torna su. César ha ordinato il progetto a un geometra d'Ivrea, vero César? ». Più Attilio inventava, più si sentiva sicuro. La cosa non era soltanto verosimile, era vera. Non temeva smentite.
« Per ora ho fatto fare solo il progetto della saracinesca che va su e giù », riuscì a dire César, accompagnando la frase con una smorfia cattiva. Non era cattiveria. Era dolore. Erano i crampi che diventavano insopportabili. Con una mano si comprimeva il ventre[...]

[...] ». Più Attilio inventava, più si sentiva sicuro. La cosa non era soltanto verosimile, era vera. Non temeva smentite.
« Per ora ho fatto fare solo il progetto della saracinesca che va su e giù », riuscì a dire César, accompagnando la frase con una smorfia cattiva. Non era cattiveria. Era dolore. Erano i crampi che diventavano insopportabili. Con una mano si comprimeva il ventre, con l'altra si pizzicava una coscia e ne torceva la pelle; perché, come si dice, chiodo scaccia chiodo.
Salomone Croux non sapeva più che pensare. Recentemente Belfront Augusto gli aveva parlato di voler vendere un prato lungo la provinciale perché era quasi a livello del torrente. A primavera, al tempo del disgelo, gli si riempiva di pietre e di mota. César comperava il prato di Belfront per farci un garage? César faceva fare il progetto a un geometra di Ivrea? Era impazzito? Per niente non si impazzisce. Se era impazzito doveva aver preso molti, moltissimi soldi. Mezzo milione, forse più. « Scusa », disse, « e chi la guida quest'automobile? ».
Attilio era esa[...]

[...]ovinciale perché era quasi a livello del torrente. A primavera, al tempo del disgelo, gli si riempiva di pietre e di mota. César comperava il prato di Belfront per farci un garage? César faceva fare il progetto a un geometra di Ivrea? Era impazzito? Per niente non si impazzisce. Se era impazzito doveva aver preso molti, moltissimi soldi. Mezzo milione, forse più. « Scusa », disse, « e chi la guida quest'automobile? ».
Attilio era esacerbato. Da come Salomone poneva le domande si capiva che era convinto solo a metà. « Chi la guida? L'autista! L'autista che César fa venire da Torino. Cosa credi, che César non abbia i soldi per pagarsi l'autista? L'autista avrà una livrea blu con bottoni d'oro, berretto e guanti. Sul berretto avrà scritto in oro: César Borgne, come sul berretto dell'autista del Royal c'è scritto: Hotel Royal ».
QUESTIONE DI PRATI 81
Era troppo, troppo anche per un uomo forte, duro, tenace quale César. Premette il ventre con entrambe le mani, disse con voce supplichevole: « Basta, basta, non ne posso più ». Ed esplose. La grande bocca si spalancò con una secca detonazione seguita da un rovinare di risa miste a singhiozzi. Il busto gli si rovesciò indietro contro lo schienale della panca. Di li, con un contraccolpo, si ripiegò in avanti fino a toccare con la fronte il piano del tavolo. Tra uno scroscio e l'altro emetteva, nel tentativo [...]

[...]lo schienale della panca. Di li, con un contraccolpo, si ripiegò in avanti fino a toccare con la fronte il piano del tavolo. Tra uno scroscio e l'altro emetteva, nel tentativo di prendere fiato, fischi aspirati, striduli e acuti, irresistibilmente comici. Salomone non ebbe tempo di sentirsi interdetto. Investito dallo scoppio di César, anch'egli si rovesciò all'indietro, senza fiato, mentre la risata gli montava a ondate su per la gola. Gli usci come staffetta, una risatina. Cercò, serrando le labbra, di resistere. Non era sua abitudine ridere. Non voleva assolutamente ridere. Le ondate trattenute gli si comprimevano in gola. Contrasse il viso in una smorfia arcigna. Al limite della resistenza un rantolo gli sfuggi dalle labbra. Attraverso il pertugio aperto dal rantolo proruppe il resto. Si rovesciò in avanti, come già César, sussultando e gemendo. L'esplosione di Salomone investi a sua volta César, il cui busto tornò a rovesciarsi all'indietro. Tentò di mantenere quella posizione, di riprendere fiato, di calmarsi. Inutile. Lo spettacolo di Salomone, il contegnoso Salomone in preda a un incontrollabile accesso di risa, era irresistibile, per César, quanto per Salomone il fischio aspirato di César che tentava di prendere fiato. Anche Salomone si sforzava di frenarsi, di calmarsi. Pensava a sua moglie morta, pensava a com'era brutta quando l'avevano messa dentro la bara. Inutile, tutto inutile. In questo [...]

[...]va l'automobile. Quindi non era impazzito.
Quindi del prato aveva preso poco; trecentomila, forse meno.
IV
« Parliamo seriamente », disse Salomone Croux. Era una frase che non avrebbe detto (parlava sempre seriamente) se non avesse avuto il sospetto di non poterlo più fare. César gli stava riempiendo il bicchiere,. Salomone decise di non sollevare questioni. Bastava lasciarlo pieno.
« Ma va », disse César.
Il ragazzo Attilio meditava, cupo, come vendicarsi di César che si era fatto beffe di lui, l'aveva trattato da bambino; peggio, da donna. Era gonfio di stizza ma totalmente vuoto d'idee.
« Non voglio sapere quanto hai preso del prato. Non mi interessa », disse Salomone.
« Bene. Allora non parliamone più ».
« Non mi interessa », ripeté Salomone. Meditava. Meditando portò il bicchiere alle labbra. Si ricordò che non voleva bere. Ripose il bicchiere sul tavolo. L'aveva appena posato che, meditando, tornò a portarlo alle labbra. Una buona grappa, distillata nella cantina di casa,. una grappa di pura vinaccia, brucia alle prime sorsa[...]

[...]to. Non ne fu contrariato. Se bere lo rendeva più intelligente, valeva la pena, una volta tanto, di bere. Scolò il resto della grappa e ruttò con soddisfazione.
« Ricomperare il mio prato? », disse César. « E impossibile ».
« Se le cose stanno così, vuol dire che ha fatto non un cattivo, ma un pessimo affare ».
« Non è questo che voglio dire. E che il prato l'ho venduto. Ho già firmato il compromesso ».
« Sei un bel tipo », disse Salomone. « Come potresti ricomperarlo se non lo avessi venduto? ». Rise. Anche il ragazzo Attilio rise. Teneva apertamente per Salomone. Poiché César era troppo impegnato a pensare, Salomone riempì il suo bicchiere e il proprio.
« E a me? », disse il ragazzo Attilio.
Salomone riempì anche il bicchiere del ragazzo Attilio. « In concreto », disse. « Vai a Biella da quel tuo Marconi, o Maltoni che sia, gli metti il mezzo milione sul tavolo e dici: `Vi dò indietro il vostro mezzo milione, voi mi date indietro il mio prato'. Quello è un industriale e i conti li sa fare. Se accetta, vuol dire che aveva fatto un [...]

[...]li metti il mezzo milione sul tavolo e dici: `Vi dò indietro il vostro mezzo milione, voi mi date indietro il mio prato'. Quello è un industriale e i conti li sa fare. Se accetta, vuol dire che aveva fatto un affare cattivo. Tu, in questo caso, hai la soddisfazione di sapere che avevi fatto un buon affare ».
« Ma se l'affare era buono perché devo ridargli i quattrini? ».
« Oh Dio », si spazientì Salomone, « pretendi troppo. Se non hai la prova come puoi sapere se l'affare era buono o cattivo? ».
« E se invece... », disse César. La voce gli tremava.
Salomone allargò le braccia. « Se invece è il Marconi che ha fatto un buon affare, lui si tiene il prato e tu il tuo cattivo affare. Amico mio, gli affari sono affari ».
César stette alcuni istanti zitto. Sudava e si asciugava la fronte con il dorso della mano. « Non ci vado. Non mi va d'andarci », disse impetuosamente, puntando l'indice contro Salomone. « Perché ho capito che, se ci vado, in un caso o nell'altro il fregato sono io. Non ci vado », ripeté mentre le vene del collo gli si fac[...]

[...] fronte con il dorso della mano. « Non ci vado. Non mi va d'andarci », disse impetuosamente, puntando l'indice contro Salomone. « Perché ho capito che, se ci vado, in un caso o nell'altro il fregato sono io. Non ci vado », ripeté mentre le vene del collo gli si facevano gonfie, « perché se me lo vedo davanti, l'industriale, il gran signore, finisce che gli spacco il muso. Pochi o molti, mi tengo i quattrini ».
« Ho capito », disse Salomone. « È come pensavo. Hai fatto un pessimo affare ».
« E invece no. Ho preso tanti soldi come tu nemmeno te li sogni ».
QUESTIONE DI PRATI 85
«Ah si? ».
« Si ».
« Quanti? »,
« Tantissimi ».
« Ecco », disse Salomone con tono calmo e distaccato. « E vuota ».
« Che cosa? », disse César trasalendo.
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'è piú.
Non ce n'è nemmeno da inumidire le labbra ».
V
César si rovesciò in gola ciò che avanzava del suo bicchiere. « Sono tanti quattrini, tanti, tanti », disse ostinatamente, con voce già roca, « come tu nemmeno te li sogni. Sono tantissimi ». Si morse il labbro. « Sono più che tantissimi ». Più lo ripeteva e meno n'era conv[...]

[...]gni ».
QUESTIONE DI PRATI 85
«Ah si? ».
« Si ».
« Quanti? »,
« Tantissimi ».
« Ecco », disse Salomone con tono calmo e distaccato. « E vuota ».
« Che cosa? », disse César trasalendo.
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'è piú.
Non ce n'è nemmeno da inumidire le labbra ».
V
César si rovesciò in gola ciò che avanzava del suo bicchiere. « Sono tanti quattrini, tanti, tanti », disse ostinatamente, con voce già roca, « come tu nemmeno te li sogni. Sono tantissimi ». Si morse il labbro. « Sono più che tantissimi ». Più lo ripeteva e meno n'era convinto. Era di umore nero. Fissava la bottiglia vuota e palpava sotto la giacca il pacco delle banconote. Se lo sentiva, tra le dita, più smilzo. Eh già. Un bigliettone da diecimila se ne era andato non appena riscosso, ad Aosta, l'assegno. Aveva comperato un paio di scarpe per sua moglie, povera donna. Macché povera donna. Era la moglie di un contadino. Forse che con le scarpe nuove cessava di essere una moglie di contadino ? Aveva fatto compere per tutti. Quattro bambin[...]

[...] le bambine aspettavano un Bambino Gesù che non veniva. L'imprudenza era stata di far arrivare questo Bambin Gesù adesso, in febbraio, con dieci mesi di anticipo. Di anticipo? 'Perché', aveva detto Ines, la terza, `il Bambin Gesù arriva così tardi ?'. Per sé, una cravatta. Ne aveva bisogno? Che diamine, doveva fare spese per tutti e per se stesso niente? Ancora giù, ad Aosta, incontra due cugini di Valtournanche. Quanto tempo che non ci si vede, come mai da queste parti, sai che lo zio tale si é preso una brutta malattia, ricordi la vedova talaltra?, s'é risposata con un brigadiere della Finanza, i prezzi del fieno, delle patate, del vino, i prezzi di tutto, le tasse... pago io (erano finiti, naturalmente, all'osteria), eh no, non mi fate questa offesa, oggi no, un'altra volta, oggi pago io... Era dovuto andare al cesso a sfilare fuori un altro bigliettone perché le poche centinaia di lire che avanzavano del primo non erano sufficienti per pagare i due fiaschi più il mezzo litro di giunta. Arriva sù e va diritto da un suo zio che gli avev[...]

[...] le ventimila che gli doveva dalla primavera scorsa. E quello: « Oh, siamo diventati
86 GIOVANNI PIRELLI
ricchi? ». Cretino era stato, cretino. Se teneva il debito, lo zio, pur di prendere un po' di quattrini, gli avrebbe dato altro fieno a credito. D'ora in avanti, invece, avrebbe preteso pagamento a consegna. Morale, quattro bigliettoni partiti. E non finiva qui. A casa, ecco la moglie lamentarsi: chissà quanti soldi spesi per quelle scarpe, come se lei non poteva tirare avanti con le scarpe vecchie, con quei soldi, piuttosto, andava ad Aosta e si faceva fare la radiografia, si, era inquieta, adesso non poteva più stare zitta, era troppo inquieta, da tre notti sognava serpenti. Serpenti? Si, serpenti: vipere. E va bene, andasse ad Aosta. Si capisce, quando si diventa ricchi, nascono le esigenze. Una donna incinta sogna vipere? Occorre la radiografia. Viaggio, visita, radiografia: un altro bigliettone. Un altro bigliettone? Cosa volete che sia un altro bigliettone? Ce n'é tanti. Ce n'é tanti ancora, tanti...
Salomone Croux lo osservav[...]

[...]Salomone ha trattato molti prati in vita sua. Ha trattato prati contro prati. Prati contro denaro mai. Non sa cosa farsene, Salomone, del denaro. Né di uno né di due mucchi di denaro ».
« In questo caso César é un disgraziato », disse Attilio, « e non c'è nulla da fare. Per tutta la vita sarà un disgraziato ». Quasi, in un ritorno di affetto, s'inteneriva. Reagì. « Che farci? Se l'è voluta lui ».
« Chissà », disse Salomone con voce distaccata, come parlasse di una persona lontana. « Infinite sono le vie del Signore. Può darsi che gli vada bene. Tutto può darsi. Ti ricordi Pession Eliseo? Era malato di cancro e nessun medico gli dava più di tre mesi di vita. Invece é morto un anno dopo e non di cancro. È morto perché, per paura del cancro, si é buttato nella Dora ».
« Povero Eliseo », disse il ragazzo Attilio.
« E Brunod? Ti ricordi la notte in cui bruciava il fienile di Brunod? ».
« Di Luigino Brunod? », disse il ragazzo Attilio.
« Non c'era uno che non giurasse che il fuoco gli avrebbe preso tutto, fienile e casa. Che fuoco! Invece[...]

[...] casa. Che fuoco! Invece la casa si é salvata. È vero che per rifare il fienile ha dovuto ipotecare la casa. Però, dico io, gli é andata bene. Sinceramente, mi auguro che anche a César vada bene. Bevo a che gli vada bene », concluse, levando il bicchiere.
« A che gli vada bene », disse il ragazzo Attilio levando il bicchiere. Bevvero. Il solo César non bevve. Non beveva e non parlava. Salomone ed il ragazzo Attilio bevevano e parlavano tra loro come se l'altro non esistesse.
« Io un prato ce lo avrei », disse Salomone, « come quello che César ha dato via. Quanto sarà stato il prato di César? Se non sbaglio (é difficile che sbagli) milletrecento metri quadri. Il mio é milledue e rotti. Poca differenza. Per il resto é identico, prende lo stesso sole, prende acqua dallo stesso canale. È proprio di fianco al prato che César ha dato via ».
« Credevo », disse il ragazzo Attilio, « che non ci fossero mai due prati identici ».
« Certo che non ci sono. Di proprio identici non ce ne sono mai. Forse che ci sono due bicchieri proprio identici? Forse che questi due bicchieri sono identici? Se guardi bene, uno ha sempre qualc[...]

[...]ale. È proprio di fianco al prato che César ha dato via ».
« Credevo », disse il ragazzo Attilio, « che non ci fossero mai due prati identici ».
« Certo che non ci sono. Di proprio identici non ce ne sono mai. Forse che ci sono due bicchieri proprio identici? Forse che questi due bicchieri sono identici? Se guardi bene, uno ha sempre qualcosa
88 GIOVANNI PIRELLI
di diverso dall'altro. Però è un bel caso che ci siano due prati quasi
identici come due bicchieri ».
« E tu glielo daresti? », disse il ragazzo Attilio.
« Farei così. Gli direi: non voglio sapere quanto hai preso del tuo
prato. Non mi interessa. Tanto hai preso, tanto mi dai ».
« Oh », disse il ragazzo Attilio. « Gli daresti il prato senza sapere
se ha preso poco o molto? ».
« Certo. Ma non quel prato di cui parlavo. Un altro. Il prato di
cui parlavo non lo darei nemmeno per un milione ».
« Quale prato gli daresti? ».
« Un buon prato. Un tantino più piccolo, più in pendenza. Invece
di essere sotto il canale, è sopra. Sarebbe un prato più che bastante per
chi ha un[...]

[...] a.
Salomone rise di gusto. Attilio no. « Povera bestia, che colpa ha lei
se César ha venduta il suo unico prato? ».
« Si vede che vuol più bene al danaro che alle mucche ».
«Il prato sopra il canale basterebbe per far vivere Claretta? a.
« Certo che basterebbe ».
« César non sarà così crudele », disse il ragazzo Attilio, a da lasciar
morire Claretta se tu gli offri il modo di salvarla ».
« Non so. Dipende quanto vuole per Claretta ».
« Come sarebbe a dire? ».
« Esattamente come ho detto ».
« Non capisco », disse il ragazzo Attilio.
« Non capisci mai niente », disse Salomone, gli occhi strabici lucenti
di sbornia e d'allegria. « Quando mai un contadino vende un prato se è
in grado di comperare un'altra mucca? a.
QUESTIONE DI PRATI 89
VII
Il pugno di Cesar si abbatté sul tavolo, il tavolo sobbalzò, la bottiglia schizzò via, descrisse una breve traiettoria, discese, collo in gil, sull'assito. La grappa si sparse esalando un odore forte ed acre. César nemmeno volse uno sguardo a quel disastro. « Basta », tuonò. « Basta. Non voglio più saperne né di prati né di mu[...]

[...]ò al macellaio. Non la dò a nessuno ».
« Oh, la tieni? Credevo che non volessi più saperne né di prati né... ».
« No, non la tengo », disse cocciutamente César.
Salomone sollevò il cappello per grattarsi il cranio, alzò le spalle, inarcò le sopracciglia. Guardava interrogativamente il ragazzo Attilio. « L'ammazza », bisbigliò il ragazzo Attilio al quale la paura suggeriva prospettive sanguinose.
« Sissignore », disse César, « l'ammazzo ».
« Come credi che l'ammazza? », bisbigliò Salomone.
« Con il coltello », bisbigliò il ragazzo Attilio. Il solo pensiero del coltello nelle mani di César lo fece impallidire.
« Con il coltello, con il coltello, si. Proprio con il coltello », disse Cesar, estraendo dal cassetto della dispensa il coltello del pain deur. « Cosa credi? Che mi faccia impressione infilzare il cuore di una mucca? ».
« Voglio vedere come fai », disse Salomone.
« César, non lo fare, ti supplico, non lo fare », implorò il ragazzo Attilio.
César si fece addosso alla mucca e le diede un calcio nel deretano. La mucca si rizzò sulle gambe posteriori, poi su quelle anteriori. Quando fu ritta arricciò la coda e fece i suoi bisogni. Poi prese a sfiorare con il muso bavoso il piano della mangiatoia, esplorandola, emettendo sbuffi di fiato, sollevando rimasugli di fieno. La capra si svegliò. Alla vista del
QUESTIONE DI PRATI 91
coltello prese a tirare, terrorizzata, la corda a cui era legata. Puntava i piedi, tirava e quasi si stroz[...]

[...]a che farci?, mica poteva, per contraddire Salomone, ammazzare la mucca dando fuoco alla stalla.
Stava immergendo la mano nel cassone quando la voce di Salomone lo fermò. « Se quelle che hai li sono cartucce a pallini, ti faccio presente che Claretta non è una lepre. È una mucca ». Lasciò ricadere pesantemente il coperchio del cassone. Maledetto uomo. Mille volte maledetto. Aveva sempre un cavillo da tirar fuori al momento opportuno. Lo guidava come un burattino. Lo spingeva in un senso, lo tirava, a suo piacimento, nel senso opposto.
« Sai cosa? », disse Salomone. « Impiccala. Se l'impicchi non c'è né rumore né spargimento di sangue ».
César impallidì. Quando era bambino di cinque o sei anni, sua nonna, la madre di sua madre, era stata trovata appesa a una corda in solaio. Una crisi di malinconia, come se ne registrano, da queste parti, parecchie. Qualcuno s'impicca, altri si buttano nel fiume; ai più anziani basta il lavatoio. Volse gli occhi al soffitto. Travi non ne mancavano. Erano travi grosse, capaci di reggere non una, dieci mucche. Non c'era che da sollevare una tavola (sopra vi era un fienile vuoto) e far passare la corda intorno al trave. Facile, facilissimo. Tuttavia esitava. Sperava ancora di scoprire un ostacolo per non farne niente.
92 GIOVANNI PIRELLI
«
Cos'hai? », disse Salomone. « Non ti senti bene? ».
Boja fauss. Quel maledetto gli leggeva dentro come in un libro. « Co[...]

[...] Volse gli occhi al soffitto. Travi non ne mancavano. Erano travi grosse, capaci di reggere non una, dieci mucche. Non c'era che da sollevare una tavola (sopra vi era un fienile vuoto) e far passare la corda intorno al trave. Facile, facilissimo. Tuttavia esitava. Sperava ancora di scoprire un ostacolo per non farne niente.
92 GIOVANNI PIRELLI
«
Cos'hai? », disse Salomone. « Non ti senti bene? ».
Boja fauss. Quel maledetto gli leggeva dentro come in un libro. « Cosa credi? Che César Borgne ci pensi due volte prima di impiccare una mucca? ». Dalla cassapanca si riportò alla dispensa, appoggiandovi contro una sedia. Sall sulla sedia, estrasse da sopra la dispensa una corda da montagna coperta di muffa, scese, spostò la sedia sotto un trave in corrispondenza della mangiatoia, vi risali, sollevò una tavola del soffitto, fece passare la corda intorno al trave, preparò il cappio. « Ecco », disse.
Salomone disse: « Bravo. Hai fatto un buon lavoro, ordinato e preciso. C'é un solo inconveniente. La tua stalla é bassa. Troppo bassa per impicca[...]

[...]corda da montagna coperta di muffa, scese, spostò la sedia sotto un trave in corrispondenza della mangiatoia, vi risali, sollevò una tavola del soffitto, fece passare la corda intorno al trave, preparò il cappio. « Ecco », disse.
Salomone disse: « Bravo. Hai fatto un buon lavoro, ordinato e preciso. C'é un solo inconveniente. La tua stalla é bassa. Troppo bassa per impiccare mucche. Va giusto bene per un uomo non tanto grande, grande pressapoco come te. Io direi che tu lasciassi perdere la mucca e provvedessi a te stesso. Io, nei tuoi panni, lo farei ».
« Tu credi?, credi che io non trovo il modo di impiccare una stupida mucca? ». Era disperato. Fu proprio la disperazione che in quel punto gli suggere un'idea. Non la vagliò; gli bastò immaginare, in un lampo, la scena. Si, era un'idea geniale, degna di César Borgne. Il suo viso si trasfigurò. Dall'altezza della sedia guardò Salomone ed il ragazzo Attilio, li guardò come li vedesse per la prima volta. Bassi erano e senza baffi. Omuncoli. Nani castrad. E sbronzi. Lui, César, non era sbron[...]

[...]ssi perdere la mucca e provvedessi a te stesso. Io, nei tuoi panni, lo farei ».
« Tu credi?, credi che io non trovo il modo di impiccare una stupida mucca? ». Era disperato. Fu proprio la disperazione che in quel punto gli suggere un'idea. Non la vagliò; gli bastò immaginare, in un lampo, la scena. Si, era un'idea geniale, degna di César Borgne. Il suo viso si trasfigurò. Dall'altezza della sedia guardò Salomone ed il ragazzo Attilio, li guardò come li vedesse per la prima volta. Bassi erano e senza baffi. Omuncoli. Nani castrad. E sbronzi. Lui, César, non era sbronzo. Era in piedi su una sedia. Era alto. Alto, forte e con baffi. Li dominava. « Tu », ordinò ad Attilio, « prendi fuori la lanterna ». Scese con un salto dalla sedia, staccò dalla mangiatoia la catena a cui era legata la mucca. « E tu, fagiano », disse a Salomone, « accendigliela ». « Oh, Claretta, oh », disse, facendo voltare la mucca muso alla porta. « Cosa fanno i signori di notte? » disse. Era eccitato, sprizzava foga e cattiveria. « Escono a divertirsi. Cosa fa il signor[...]

[...]ene? Bella nottata, eh? ». E ricominciava da capo. «Le duc de Bordeaux... ».
Dietro la mucca, Salomone. Aveva perduto il cappello, quel cappello che toglieva solo al momento in cui si coricava, e metteva in testa, al risveglio, prima ancora di infilare i pantaloni. Questa perdita non lo poteva disturbare per il motivo che non se n'era accorto. Era meravigliosa
QUESTIONE DI PRATI 95
mente ubriaco, avanzava sgambettando con le ginocchia piegate come un virtuoso di balletto russo. Non era virtuosismo. Era questione di necessità. Solo mantenendo il baricentro vicinissimo a terra ce la faceva a non ruzzolare. In ciò s'aiutava con le padelle tenute una per mano dalla. parte del manico. Lo sfregolio dei due piatti sul ghiaccio, pur non corrispondendo al tipo di banda previsto da César, era tuttavia un baccano apprezzabile.
In groppa alla mucca, il ragazzo Attilio. Come, per necessità, la mucca e Salomone, ciascuno a modo suo, avanzavano sgambettando,. così il ragazzo Attilio, per necessità, stava avvinghiato alla sua cavalcatura. Con le mani le stringeva il collo, con le gambe i fianchi. Un cedimento delle zampe posteriori lo scaraventava fin sul deretano della mucca, un contraccolpo lo rimbalzava con il viso tra le corna. Era tanta la paura di finire a terra che, se gli fosse stato possibile, si sarebbe buttato. Non era possibile. Tra la rotondità del ventre della bestia ed i muri del vicolo vi era uno spazio di pochi palmi. Se fosse stato pássibile, avreb[...]

[...] del ventre della bestia ed i muri del vicolo vi era uno spazio di pochi palmi. Se fosse stato pássibile, avrebbe gridato. Anche questo gli era impossibile. La paura lo soffocava. Quando, superato un ostacolo e riavutosi un poco, apriva la bocca, una nuova emozione — un sobbalzo più forte, lo spigolo di una casa, il buco d'ingresso di una stalla seminterrata, un trave sporgente da un muro — gli frantumava il grido in gola. Una sola volta, chissà come, gridò. Fu quando gli si parò innanzi, basso, nero e minaccioso, l'arco di pietra che copre il passaggio dal vicolo alla piazzetta della chiesa. « Mamma », gridò, appiccicò il viso al collo della mucca e chiuse gli occhi, certo di dover morire.
Quando li riapri, si trovò sulla neve. Sopra di lui c'era la cappa di nebbia grigia e bassa come un coperchio. Tra lui e quel coperchio dondolava una massa tondeggiante. Era il ventre della mucca Claretta. La mucca beveva, il muso immerso nel lavatoio fino alle narici fumanti. Oltre le gambe della mucca c'erano le gambe di César.
César riaccese la lanterna che nella corsa s'era spenta. La fiamma vacillò, quindi prese forza, si sollevò, illuminò l'intero poligono della piazzetta con il lungo lavatoio in pietra, l'antico pioppo cipressino ac canto al campanile, la facciata della chiesa, le case schierate fra gli sbocchi dei vicoli.
Allora si udì la voce di Salomone. Era quasi nel mezzo d[...]

[...]i dei vicoli.
Allora si udì la voce di Salomone. Era quasi nel mezzo della piazza, seduto sulla neve gelata e diceva: « Che chiaro di luna, che bellissimo chiaro di luna ». Era completamente svanito.
« Brava, brava Claretta », disse a sua volta César. « Sei una mucca
96 GIOVANNI PIRELLI
in gamba. Ti faranno accademico del CAI ». Per Attilio nemmeno una parola. Lasciò che la mucca bevesse un paio di minuti, quindi ordinò: « Basta. Se ti gonfi come un'otre, chi ti porta piú su? ».
« Non lo fare, César, non lo fare », supplicò il ragazzo Attilio, sollevandosi fino a mettersi in ginocchio. Non aveva la più pallida idea sulle intenzioni di César. César aveva intenzioni e tanto bastava per terrorizzare Attilio. « Torniamo a casa, ti prego, andiamo a letto a.
« Vacci tu », disse Cesar. « Va a farti una s... ».
IX
Il campanile ha una porta che dà sulla piazzetta, dalla parte del lavatoio, ed é sempre aperta. La chiamano `porta del fuoco'. Se brucia una casa, una stalla, un fienile, la prima cosa da fare è precipitarsi alla `porta del fuoc[...]

[...]a nel vano illuminando l'imbocco della scala. Con l'altra mano si tirava dietro la mucca.
« Con Claretta ? », disse, disperato, il ragazzo Attilio.
« Già ».
«Perché con Claretta? ».
« Per mostrarle il panorama », disse spazientito César. S'infilò nel vano e affrontò la salita. Li, la mucca si ribellò. Puntò gli zoccoli delle gambe anteriori contro il rialzo del primo gradino, tese il collo, inarcò le reni e si fissò in quella posizione, dura come una pietra, inamovibile. « Oh, Claretta », le diede la voce César. « Oh, Claretta, oh, oh ». La mucca non si lasciò incantare. « O000h », fece César e tirò la catena con quanta forza avevá. La mucca non si mosse un solo palmo. « La banda! », gridò César. « Cosa fa la banda? ».
Salomone sussultò. Seduto sul ghiaccio accanto al lavatoio, la testa ciondoloni sul petto, stava per assopirsi. Saltò su come un automa, apri le braccia, le riunì sbattendo clamorosamente le padelle. Come' già nel vicolo, davanti alla casa di César, così anche adesso la mucca ebbe un sobbalzo. Perduta la sua rigidezza, si trovò a cedere alla forza della catena. Una volta posati gli zoccoli sui primi gradini, prese a salire volonterosamente benché la scala s'avvitasse ripida e stretta. César, precedendola e guidandola, si studiava di illuminarle il cammino lasciando quanto più possibile in ombra il buco centrale lungo cui penzolava la corda della campana. Saliva così bene, quella brava bestia, che sarebbe stato peccato
QUESTIONE DI PRATI 97
se le fossero venuti brutti pensieri. Dietro di lei,[...]

[...]arle il cammino lasciando quanto più possibile in ombra il buco centrale lungo cui penzolava la corda della campana. Saliva così bene, quella brava bestia, che sarebbe stato peccato
QUESTIONE DI PRATI 97
se le fossero venuti brutti pensieri. Dietro di lei, distanziato di alcuni gradini, avanzava Salomone. La mente deliziosamente annebbiata, saliva superando i problemi della statica e della dinamica grazie alle padelle che reggeva verticalmente come stampelle, spostandole davanti a sé di gradino in gradino. Il frastuono del ferro ritmicamente battuto sulla pietra era quanto occorreva perché la bestia procedesse con la voluta continuità.
Fermo e rigido nello stesso punto dove, all'inizio, s'era irrigidita la mucca, stava il ragazzo Attilio. Sperava che lo chiamassero. Ma poiché nessuno pareva ricordarsi di lui, gridò su: a Io vado a letto. Non salgo. Non mi va di salire ».
« Vva, vva a ppiangere in brbraccio a quella vvacca », gli gridò, dall'alto, Salomone.
La provocazione fu più forte della paura. Anche il ragazzo Attilio prese a sal[...]

[...]si all'indietro, cioè in giù. L'orologio batté i tre quarti. La lancetta seguitò a scendere fino a trovarsi in posizione verticale. L'orologio batté la mezza. I piedi di César tornarono ad annaspare nel vuoto.
« Ah, ah », scoppiò a ridere Salomone, sentendo battere, dopo i tre quarti, la mezza. « Cche mmatto! Cche mmatto! ».
« Ho freddo », disse il ragazzo Attilio.
La mucca stava perfettamente tranquilla, le quattro zampe piantate sull'assito come fosse la sua lettiera, il muso sporgente oltre la sbarra della finestra come fosse la sbarra della mangiatoia.
Fuori, i piedi di César avevano trovato un nuovo appiglio. Avevano trovato, sul quadrante dell'orologio, le asticelle in lamiera delle ore; rilievi minimi, di pochi millimetri, sufficienti, tuttavia, perché la punta degli scarponi vi facesse presa. La punta dello scarpone destro mordeva l'asticella delle ore tre, la punta del sinistro le asticelle delle ore nove.
ioo
GIOVANNI PIRELLI

Aveva disposto il corpo a leva, con le braccia e le gambe tese ed il sedere buttato in fuori. II sedere fungeva, cioè, da fulcro, i piedi da potenza e le mani da resi[...]

[...] non avendo più nulla da fare, cominciò a sospettare d'essersi cacciato in un guaio. Ancora non gridò, non chiese aiuto. Non lo fece per due motivi: primo, perché gli seccava di chiedere aiuto; secondo, perché sapeva che nei casi del genere gli altri fanno confusione e basta. La faccenda doveva venir risolta fra lui e la mucca. Si issò sulle braccia, abbandonando l'appiglio dei piedi, puntò il cranio contro il petto della bestia e spinse. Spinse come fosse mucca contro mucca. La vera mucca non arretrò di un centimetro; si limitò a scrollare il muso sbavando addosso al padrone. César si calò indietro, ritrovò l'appiglio dei piedi, riposò un poco, rinnovò il tentativo. Dopo il terzo tentativo si rese canto che sprecava molta energia mentre la sua antagonista non ne sprecava affatto. C'era poi l'aggravante di una sbornia che riguardava lui, non la mucca. Sentiva spossatezza alle braccia e un certo tremito che dal calcagno gli saliva al ginocchio. Brutta faccenda quando uno impastato in parete comincia ad avere il tremito alle ginocchia. È se[...]

[...]on capite che sto crepando? ».
Addirittura? A chi credeva di darla da bere? No, Salomone non
QUESTIONE DI PRATI 101
ci cascava. « Hai ssentito? », disse ad Attilio. « E César. Ddice che ccrepa ».
« Che crepi », disse il ragazzo Attilio. « Crepo anch'io. Crepo di freddo. Digli che faccia presto ».
« Presto! », fece eco la voce di César. « Tirate indietro la mucca! ».
Il tono era tale che Salomone si convinse di dover fare qualcosa. Per), siccome diffidava ancora e non voleva passare per fesso, disse ad Attilio con tono distaccato: « Nnon ssenti? Ddice di tiidi tirar indietro la mmucca ». Prese la coda dell'animale e ne agitò il ciuffo sul viso di Attilio.
« Non mi va di tirare », disse il ragazzo Attilio schernendosi con il braccio sugli occhi.
« Ttira, ppigrone », disse Salomone.
« Assassini! Vigliacchi! ». Salomone e Attilio si sentirono agghiacciare. Si scambiarono un'occhiata interrogativa e spaurita, s'attaccarono con simultanea decisione alla coda della mucca, tirarono. Tirarono in giù, a strattoni, così come, per l'appunto,[...]

[...]ro la mmucca ». Prese la coda dell'animale e ne agitò il ciuffo sul viso di Attilio.
« Non mi va di tirare », disse il ragazzo Attilio schernendosi con il braccio sugli occhi.
« Ttira, ppigrone », disse Salomone.
« Assassini! Vigliacchi! ». Salomone e Attilio si sentirono agghiacciare. Si scambiarono un'occhiata interrogativa e spaurita, s'attaccarono con simultanea decisione alla coda della mucca, tirarono. Tirarono in giù, a strattoni, così come, per l'appunto, si tira la corda della campana quando un pericolo incombe e bisogna dare l'allarme. Per scarsa che sia l'intelligenza e corta la memoria di una mucca, la mucca Claretta sapeva di avere dietro di sé una scala ripida e un vuoto. Prese paura, puntò gli zoccoli, s'agitò. Agitandosi premette con un fianco l'orlo della campana. La campana cominciò a dondolare, il movimento crebbe, il battacchio urtò il bronzo. Ne usci un suono strascicato e cupo. La paura della bestia aumentò. S'agitò più scompostamente, urtò con maggior vigore la campana ancora oscillante, provocò un altro, più for[...]

[...] modo, con un colpo di reni, di ributtarsi in avanti. Al termine della spinta in avanti urtava le mani di César avvinghiate alla sbarra di ferro. La campana batteva cupi rintocchi, César urlava: « Assassini! Porci! Vi ammazzo! ».
Laurent Pascal era davvero un tipo deciso. Abbandonò la coda della mucca e disse: « Bisogna abbatterla. Presto, fate portare una scure ».
Anche gli altri mollarono la presa. Fu passata parola di portare una scure.
«E come l'abbatti? Dal sedere? », disse l'anziano Luigino Brunod. Laurent Pascal alzò le spalle.
« Di chi è la mucca? », disse ancora Luigino Brunod. « Di César? ».
«Tu cosa faresti? », disse, cedendo al dubbio, Laurent Pascal.
Luigino Brunod non sapeva cosa avrebbe fatto. Nessuno lo sapeva. Abbattere una mucca cominciando dal sedere? Abbatterla senza il con senso del padrone? Una mucca non è un cane, una gallina, un coniglio. È un patrimonio. Riconsiderata l'iniziativa sotto questo punto di vista, nessuno, nemmeno Laurent Pascal, si sentiva ardire di tradurla in atto. Dallo slancio dei primi mome[...]

[...]n senso del padrone? Una mucca non è un cane, una gallina, un coniglio. È un patrimonio. Riconsiderata l'iniziativa sotto questo punto di vista, nessuno, nemmeno Laurent Pascal, si sentiva ardire di tradurla in atto. Dallo slancio dei primi momenti già passavano ad un atteggiamento di titubanza, di attesa. Attesa di che? Della scure che nessuno voleva adoperare?
« Cosa diavolo gli é saltato in mente? », disse il padre Chénoz.
« Quando uno beve come beve César », disse Luigino Brunod.
Lino Guichardaz, il giovane cognato di César, si volgeva a questo
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e a quello, gridando: « Bisogna fare qualche cosa! Bisogna fare qualche cosa! ».
Il ragazzo Attilio piagnucolava : « Ho freddo. Ho freddo ». Invece Salomone Croux ripeteva: « È ttutto uno sscherzo, uno sscherzo di quel ppazzo ».
Alcuni del fondo della rampa gridarono: « Cosa state a discutere invece di smuovere via quella mucca? ».
« Perché non vi provate voi! », grida giù Laurent Pascal.
« I soldi gli hanno datò alla testa », disse il padre Chénoz.
« Altro che so[...]

[...]zo Attilio piagnucolava : « Ho freddo. Ho freddo ». Invece Salomone Croux ripeteva: « È ttutto uno sscherzo, uno sscherzo di quel ppazzo ».
Alcuni del fondo della rampa gridarono: « Cosa state a discutere invece di smuovere via quella mucca? ».
« Perché non vi provate voi! », grida giù Laurent Pascal.
« I soldi gli hanno datò alla testa », disse il padre Chénoz.
« Altro che soldi », disse Luigino Brunod. « Suo zio Emile, buonanima, ricordate come é finito? Tornava sbronzo da una veglia ed é cascato in una concimaia ».
« Bisogna fare qualche cosa! », gridava Lino Guicherdaz. « Bisogna fare qualche cosa! ».
Giù nella piazzetta, disposti a mezzaluna, a rispettosa distanza dal punto dove César poteva cadere, stavano coloro i quali, giunti in ritardo, avevano trovato il campanile completamente ingombro. Tra costoro mancava un tipo deciso come Laurent Pascal. Il solo a fare una specie di proposta era stato il figlio dell'idraulico Grange, il lettore di romanzi a fumetti, ridisceso dal campanile in piazza per meglio godersi lo spettacolo. « Ci vorrebbe il mitra di Pecos Bill », aveva detto. Di li l'idea di abbattere la mucca con un colpo in fronte. Non c'era uomo in paese che non avesse fucile, ma erano fucili da caccia con cartucce a pallini. L'unico possessore di un vero '91 e relativi caricatori era Ferdinando Berthod il quale lavorava alla Cogne, in miniera, e non rientrava se non il sabato sera. La giovane moglie di Ferdinando,[...]

[...]ni e congetture inutili. Parlavano gli uomini. Le donne si stringevano negli scialli e tacevano. Qualcuna recitava macchinalmente preghiere. Dei bambini, diversi piangevano. Piangevano perché avevano freddo, o perché avvertivano il senso della tragedia, o ancora perché, avendo riso dell'uomo penzoloni e della mucca in cima al campanile, s'erano presi uno scappellotto.
QUESTIONE DI PRATI 105
Tra campanile e piazzetta c'era ormai tutto il paese; come, sul litorale, tutt'un paese di pescatori quando c'è in mare una barca sorpresa dalla burrasca. Mancavano alcuni vecchi di quelli che non escono più, alcuni ammalati. Mancava Augusta, la levatrice, e un paio di donne corse sin dal primo allarme in casa di César per trattenervi, con storie e pretesti, la moglie e le bimbe. Specialmente la moglie, povera deana, che era incinta di sei mesi.
XII
La campana taceva e César non gridava più. Sapeva, adesso, di dover morire. Tra poco si sarebbe voltato a guardare giù. Allora le sue mani avrebbero abbandonato la presa. Non si era ancora voltato ma se[...]

[...]edette loro) e le bambine che si contendevano i regali del Bambin Gesù; un'ora fa beveva e spaccava bottiglie; adesso, chissa perché, doveva morire. Chissa perché. Perché era un disgraziato, ecco tutto. Nato disgraziato, vissuto disgraziato, morto disgraziato. Non poteva capitare a Salomone di salire davanti alla mucca? Certo. Bastava dirglielo. Invece a Salomone capitavano tutte le fortune. A che scopo? Per morire ottantenne nel suo letto, solo come un cane, con un patrimonio di prati e di mucche che non sapeva a chi lasciare? Non si diceva, in paese, che Salomone era iettatore? Lo era, lo era. Diceva: `Vedete questa bottiglia piena di grappa? Ebbene, è vuota'. E la bottiglia era vuota. `Ne hai un'altra?', diceva `Se ne hai un'altra sei a posto'. Nemmeno il tempo di dirlo che l'altra bottiglia finiva a terra in frantumi. Quel Maltoni, industriale di Biella, non poteva mettere gli occhi sul prato di Salomone, proprio accanto e quasi identico al suo? Nossignori, ignorava il prato di Salomone Croux e insisteva, insisteva, aumentava la cifra[...]

[...]Non ricordava perché. Si parlava di coltello, di fucile. Chi era saltato fuori a dire che bisognava impiccarla? Chi lo aveva detto? Chi? Lui, sempre lui, sempre Salo'none Croux.
`L'ammazzo', si disse Cesar. `L'ammazzo'. Allora, ricordandosi che stava per morire e non aveva più tempo d'ammazzare nessuno, fu preso da una gran rabbia. « Sacremon », disse forte, « cosa ci stai a fare tu? ». Il tu era San Wuilliermo, patrono del paese, un santo che, come Gesù alle nozze di Cana, aveva mutato l'acqua in vino; perciò veniva considerato protettore degli ubriachi. `Se mi tiri fuori di qui, non ti dò fastidi per il resto della mia vita. Non bevo più. Te lo giuro sulla testa di mio padre'.
Poiché era giunto al limite della resistenza, decise di dare a San Wuilliermo un termine. Avrebbe contato fino a dieci. Se entro quel termine non accadeva nulla, avrebbe deciso che San Wuilliermo era un volgare truffatore. Contò fino a dieci. Gli concesse una proroga e ricontò da uno a cinque, poi da uno a tre. Allora si accorse che dalla piazza saliva un brusio[...]

[...]hardaz, il giovane cognato di César. « Muovetevi, mandate per il medico! ».
« Se lo lasciamo qui muore di freddo », si oppose il padre Chenoz. « Ha ben altro di che morire », disse gravemente Luigino Brunod. « Il prete! Il prete! », gridò Lino Guichardaz dietro al figlio Chénoz che partiva correndo a chiamare il medico.
« Ahi, ahi », presero a piangere le donne. Il pianto delle donne si comunicò ai bambini.
« Grappa », implorò Cesar.
«César, come stai? Cosa ti senti? ».
« Dove hai male? Alla schiena? Alla testa? ».
« César, parla, rispondi. Sono io, sono tuo cognato Lino. Non mi conosci piú? Perché non rispondi? César! ».
César sollevò faticosamente una mano e se la passò sulla bocca. « Grappa », disse. « Grappa. Grappa ».
« Vergine Santa », strillò una donna. « Sputa sangue! ».
Dalla casa dei Chénoz fu portata una bottiglia di grappa. La bottiglia fu appoggiata alle labbra di César il tempo necessario perché ne prendesse un piccolo sorso.
« Ancora », disse.
«Ma si, che beva, poveraccio », disse il padre Chénoz.
« Così finite [...]

[...]sangue, gli colava lungo il mento.
« Un fazzoletto », disse Luigino Brunod: « Chi ha un fazzoletto pulito? ». Nessuno lo aveva. Un ragazzino parti alla ricerca di un fazzoletto pulito.
Salomone », sospirò César. « Salomone ».
Lo andarono a prendere. Salomone Croux era ancora in cima alla rampa del campanile, pieno di paura. La morte inaspettata della mucca lo aveva sconvolto. Si lasciò condurre abbasso, riluttante e al tempo stesso rassegnato come fosse tra due carabinieri. Dietro Salomone venne anche il ragazzo Attilio pallido come un cencio. La cerchia intorno a César si apri per lasciarli passare.
César socchiuse un occhio su Salomone, lo richiuse, scosse debolmente la testa. « Chi lo avrebbe mai detto », sussurrò sconsolatamente.
« Io te lo avevo detto », reagì Salomone. Parlava forte perché tutti lo sentissero. La paura gli aveva fatto sloggiare la sbornia. Il trovare César ancora vivo gli faceva sloggiare la paura. Tornava ad essere l'uomo diffidente e calcolatore di sempre. « Io te lo avevo detto di non fare pazzie. Ti avevo detto che finiva male ».
« Male. Oh si. Male », si lamentò César. « Bevi, Salomone, bev[...]

[...]buon prato. Per quello accanto al mio ti dò quattrocentomila. Te li dò in contanti, subito ».
« Impossibile », disse Salomone. « Per quella cifra posso darti il prato sopra il canale. Proprio perché sei tu che me lo chiedi ».
« Ah », si lamentò César. « Ah, la mia schiena ». Fece un'orribile smorfia. « Da bere ». Bevve e scosse la testa. « L'altro no, non è un buon prato, no. Per il prato accanto al mio, quattrocentomila in contanti. Non sarai come l'industriale di Biella, vero ? Non sarai così crudele... ». Aveva alzato la voce. Tossi. Tossendo fece ancora quell'orribile smorfia.
« Impossibile. Impossibile », disse Salomone. « Quel prato, a dire poco, ne vale seicentomila ».
« Seicentomila », si lamentò César. « Hai sentito, Attilio? Prende per il collo un moribondo. Vuole seicentomila ».
«Seicentomila », piagnucolò il ragazzo Attilio. Si volse alla cerchia di coloro che assistevano in silenzio e disse, come chiedendo aiuto : « Vuole seicentomila. Prende per il collo un moribondo ». Un mormorio ostile fece eco all'implorazione di At[...]

[...]iella, vero ? Non sarai così crudele... ». Aveva alzato la voce. Tossi. Tossendo fece ancora quell'orribile smorfia.
« Impossibile. Impossibile », disse Salomone. « Quel prato, a dire poco, ne vale seicentomila ».
« Seicentomila », si lamentò César. « Hai sentito, Attilio? Prende per il collo un moribondo. Vuole seicentomila ».
«Seicentomila », piagnucolò il ragazzo Attilio. Si volse alla cerchia di coloro che assistevano in silenzio e disse, come chiedendo aiuto : « Vuole seicentomila. Prende per il collo un moribondo ». Un mormorio ostile fece eco all'implorazione di Attilio.
« Facciamo cinquecento e ottanta », disse indispettito Salomone.
« Ahi, ahi », si lamentò César con voce straziante. « Salomone? Sei li? Ahi la mia schiena. Ahi. Facciamo settecentomila dei due prati. Settecentomila in contanti. È un affare, Salomone. Sei fortunato. Settecentomila non te le sognavi nemmeno... ».
Due prati? Io devo dare due prati? Perché devo dare due prati? Se si è ridotto così », disse, volgendosi intorno, « la colpa è sua. Tutta
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G[...]

[...]: da chi vuole, non da Salomone Croux. E la mia ultima volontà ».
« No, César, non morire », implorò il ragazzo Attilio con un nuovo scroscio di singhiozzi.
« E smettila di piangere, fagiano », disse César.
« César », disse Salomone. Si sentiva maledettamente solo e infelice. Avrebbe avuto bisogno di tutta la freddezza e l'astuzia di cui solitamente disponeva, ma il supplemento di grappa che era stato costretto a bere gli stagnava nella testa come fango. « Ragiona, César. Non posso dare via due prati. Non darei via nessun prato. Se tratto, é perché sei. tu, perché tu, poveretto... ».
« Ottocentomila », disse César.
« Novecento. Per novecento te li do. Hai vinto, vedi? Per novecento ti dò due prati. Sei contento adesso? ».
Sta bene novecento », disse César. ' « Per novecentomila in contanti, i due prati più una mucca e una manza dalla tua stalla. Su, Attilio, contagli sul naso novecentomila lire. Ahi. Ahi la mia schiena. Fa presto, Attilio...».
« No!, no! », disse Salomone. « Non posso. E un ricatto. Non posso ».
QUESTIONE DI PRATI[...]

[...]un atteggiamento ebete: la bocca semiaperta, lo sguardo stralunato, una mano premuta sul cranio.
« Una mucca e una manza che mia moglie sceglierà dalla tua stalla », disse César. « Attilio, dagli i soldi. Ricontali, prima. Sta attento che non ci siano due biglietti attaccati ».
Vi fu una lunga pausa mentre il ragazzo Attilio ricontava il denaro. « Mi sono lasciato prendere per il collo », si lamentava Salomone la mano ancora premuta sul cranio come uno che abbia preso una botta in testa e tema di prenderne altre. « Per il collo, per il collo ». Quando Attilio ebbe finito di contare, Salomone cessò di lamentarsi. « E quelle? », disse. Aveva preso il malloppo delle banconote ma si era accorto che Attilio ne aveva cinque o sei ancora in mano. « E quelle? ». Poteva rassegnarsi al fatto di aver concluso un cattivo affare. Poteva giustificarsi dicendo di averlo fatto per pietà. Ma che César, ad affare con
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cluso, avanzasse ancora soldi, era una truffa, una truffa intollerabile. «E quelle? a, gridò.
César apri un occhio,[...]



da Quinto Martini, Memorie in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]chiodato nella mente e mai lo dimenticherò.
Fu una notte del mese di aprile, che mio fratello lasciò la casa, dopo aver nascosto sotto gli embrici del tetto della stalla i numeri del 1'« Avanti! ».
Dal paese vicino erano scesi giù degli uomini con i loro camions, la forza pubblica e i soldati dell'esercito davano loro man forte con le loro mitragliatrici. Quella stessa notte entrarono in molte case, presero gli uomini che erano stati segnalati come comunisti da alcuni individui del paese, e a suon di bastonate furono caricati come bestie sopra al camion e portati alla caserma dei carabinieri. Lassù c'erano i cosidetti « domatori » che rinforzavano la dose. So di "un povero uomo che, in seguito a queste bastonate, pochi giorni dopo ci rimise la pelle.
Ma il fatto piú pietoso e più inumano fu l'uccisione di un povero vecchio. Alcuni fascisti bussarono alla porta della sua casa sparando dei colpi di fucile per intimorire e chiedendo di suo figlio. Il vecchio rispose facendosi vicino alla finestra chiusa che suo figlio non c'era, e che era solo in casa. Il figlio, saputo cosa stava succedendo, s'era guardato bene dal rien[...]

[...]vranno visto qualcuno ne' campi. Ci sono altri uomini in queste case vicine, e quando hanno sentito il camion avranno cercato di nascondersi ».
Quella notte nessuno di noi dormi. Tutti non si vedeva l'ora che venisse il giorno. Al mattino verso le dieci, dopo aver dato alle fiamme, distrutto o caricato sul camion tutto quanto si trovava nel circolo socialista, salirono su fino alla nostra casa. Era un miscuglio di uomini eccitati, che sparavano come forsennati al solo volare d'una mosca. Nessun uomo quella mattina, dopo l'accaduto, si trovava in paese o nelle case dei' contadini. Ognuno aveva pensato a rimpiattarsi nel modo più sicuro. _ Aiutai il babbo a nascondersi nel fienile. Gli altri due fratelli tagliarono la corda andando in fondo al podere. Io e mia madre restammo a casa ad attendere gli uomini armati e imbestialiti.
Mentre si facevano avanti verso l'aia davanti a casa, preso dalla curiosità uscii fuori, mangiando una fetta di pane con olio e sale.
Un uomo in divisa mi venne vicino, mi puntò la rivoltella al petto e, con voce [...]

[...]i uomini, gridò:
« Avanti, perquisite tutta la casa, guardate dappertutto, nelle stalle, nel fienile e fuori nei pagliai ».
Quando disse « nel fienile » mi sentii girare la testa. Credevo di svenirmi, istintivamente mi misi a sedere sul primo gradino della scala e non capii più nulla. Quando mi alzai vidi la mamma che stava a parlare col marchese.
Egli aveva un bastone con un grosso pomo di metallo lucido; lo teneva su in alto di fronte a lei come una terribile minaccia gridando:
« Se non ci direte dov'è vostro figlio, sarà tutto distrutto ». Fece iI gesto di picchiare sopra i vetri della credenza. La mamma si mise di fronte e gridò:
« Lasciate stare la roba, è mia e mi costa quattrini. Cercate pure mio figlio, ma non rompete la roba, lasciate stare i piatti e i bicchieri ».
II bastone restò fermo in alto un istante e poi fu abbassato con indecisa lentezza. Il nobile uomo, toccandosi il cinturone che aveva affibbiato sopra alla giacchetta borghese, . e al quale teneva appesa la rivoltella, aggrottando le sopracciglia e facendo lo sg[...]

[...]o il perché di tutto quello che sta succedendo ».
« Non capite, vero? Capirete, capirete... ».
« Mio figlio non ha fatto nulla di male, ecco cosa capisco io ».
« Vostro figlio è un delinquente, . è un comunista! ».
« No, mio figlio non è un delinquente, mio figlio non ha fatto del male a nessuno, di questo ne sono certa. Una madre certe cose le sente, specialmente una madre che ama i propri figli ». Le ultime parole le disse con più lentezza come per sottolineare la frase. Un uomo scese le scale accompagnato dai suoi fidi, carabinieri e borghesi. Il Marchese, facendoglisi incontro, disse:

MEMORIE 125

«Ebbene, nulla? ».
« Nulla. Abbiamo frugato in tutti i buchi ».
«Andiamo, non c'é tempo da perdere ». E rivolto alla mamma: « Ci rivedremo presto ».
Mi feci sulla porta; la mamma mi venne vicino e passandomi la mano sul viso, mi disse:
« Stai calmo, se ne andranno ».
Si riunirono tutti nell'aia, e agli ordini del marchese partirono. Dopo un po' corsi a rimettere la scala al fienile, come un gat[...]

[...]disse:

MEMORIE 125

«Ebbene, nulla? ».
« Nulla. Abbiamo frugato in tutti i buchi ».
«Andiamo, non c'é tempo da perdere ». E rivolto alla mamma: « Ci rivedremo presto ».
Mi feci sulla porta; la mamma mi venne vicino e passandomi la mano sul viso, mi disse:
« Stai calmo, se ne andranno ».
Si riunirono tutti nell'aia, e agli ordini del marchese partirono. Dopo un po' corsi a rimettere la scala al fienile, come un gatto salii
a togliere il fieno che avevo messo sopra al babbo quando s'era disteso
vicino ad un finestrone con la testa accanto ad un foro dei mattoni. «Cosa hanno fatto?» mi disse appena l'ebbi scoperto.
« Nulla, babbo, se ne sono andati ».
Stringendomi a sé mi disse:
Sai, io vedevo delle persone aggirarsi tra le viti nella vigna del Gacidella. Avevano il fucile e alcuni la rivoltella in mano. Ho riconosciuto il figlio di Olinto che sta su al Comune ». E togliendosi il fieno di dentro il colletto della camicia, sputò e aggiunse:
« Brutta carogna, figlio d'un[...]

[...]acciai con un lapis la strada che dovevo fare e me lo nascosi in dosso sorretto dalla cinghia dei pantaloni. Poi aiutammo la mamma a ravversare le stanze. Nessuno di noi si indugiò a parlare molto a lungo di quello che era successo. Verso mezzogiorno anche i due fratelli che erano andati in fondo al podere ritornarono.
Remo mi disse:
« Si sentivano fischiare sopra alle nostre teste le pallottole. Erano a quelle case vicino a Macario. Sparavano come serpenti ».
Andrea aveva la faccia pallida e l'espressione assente; disse: « Hanno rotto nulla mamma? ».
«No, ma hanno messo tutto a soqquadro ».
«E nella casa dello zio ci sono stati? ».
« Si, sono saliti nelle camere, hanno dato un'occhiata alla scappa e fuggi e sono scesi ».
« C'erano i nostri cugini in casa? ».
« No, c'erano solo le donne ».
Venne l'ora di mangiare. A tavola fu parlato delle cose de' campi e della stalla. Il babbo diceva:
« Ci vorrebbe del sole, é già piovuto abbastanza. Se non viene il sole, il raccolto non sarà buono. `Maggio ortolano, molta paglia e poco grano'[...]

[...]tutto quello che é successo e che c'è nell'aria preferisco andare a bussare alle case dei contadini per la campagna; nei paesi c'é un'aria poco respirabile ».
«Ma cosa volete aver paura, Geppo, siete vecchio e non avete mai fatto né male né bene a nessuno e così siete sempre a posto, voi ». Rispose Remo con aria ironica:
ei Si, é vero quello che dici. Stamani lassù alle case del Baranti ho visto picchiare un vecchio a sangue. L'hanno bastonato come fosse una ciuca carogna. Poi l'hanno lasciato li a lamentarsi fra il sangue e la terra. Sembra che sia morto. Così ho sentito dire ma non c'é da credere a tutto quello che si dice; sentono dire: `il tale l'hanno cazzottato'; un altro lo racconta e dice: `poveretto, sta male'. Un altro ancora dirà: `Sai, Tizio é morto' ». E scuotendo la testa prese le ultime cucchiaiate di minestra alzando con la sinistra il piatto da un lato.
« Cosa aveva fatto quel vecchio? » gli chiese il babbo.
« Nulla ».
«Come nulla? E per nulla...».
« Una donna mi ha detto: c'era un giovane nei campi che scappava tra[...]

[...]lamentarsi fra il sangue e la terra. Sembra che sia morto. Così ho sentito dire ma non c'é da credere a tutto quello che si dice; sentono dire: `il tale l'hanno cazzottato'; un altro lo racconta e dice: `poveretto, sta male'. Un altro ancora dirà: `Sai, Tizio é morto' ». E scuotendo la testa prese le ultime cucchiaiate di minestra alzando con la sinistra il piatto da un lato.
« Cosa aveva fatto quel vecchio? » gli chiese il babbo.
« Nulla ».
«Come nulla? E per nulla...».
« Una donna mi ha detto: c'era un giovane nei campi che scappava tra le viti, passando vicino al vecchio, un gruppetto di uomini si sono avvicinati e tutti insieme gli hanno chiesto:
«Chi era quello che scappava? Dov'è andato? ».
« Io non ho visto nulla ».
«Dov'è andato? ».
« Non so nulla io ».
Uno del gruppo alzando un bastone ha gridato:
« Vecchio maligno, ti faremo parlar noi », e giù a bastonarlo.
128 QUINTO MARTINI
« Povero vecchio » disse la mamma chinando la testa e infilandosi le dita fra le dita. Io chiesi al mendicante:
« Chi era quel vecchio? ».
«[...]

[...] Dio sia con vai. Dio ve ne renda merito in questa e nell'altra vita ».
Quando non si senti più il suo passo strascicante, Remo disse:
« Io non darei mai nulla a questa gente. Sono dei vagabondi che non hanno voglia di lavorare. Se volessero mangiare dovrebbero venire con me ne' campi con la zappa e la vanga. Di giorno vanno in giro a chiedere il pane, si fermano sempre a parlare con le donne, fanno complimenti ai ragazzi. Dicono sempre, nmilï come frati `Dio sia con voi' e intanto guardano dov'è il pollaio, la stalla, lo stalluccio del maiale... E la notte vengono a rubare. Questi mendicanti fanno tutti parte di bande di ladri ».
E la mamma:
« Ricordati figlio che è sempre bene dare da mangiare a chi ha fame se si fa del bene non ci troveremo mai pentiti ».
« Si, a quelli che lavorano. A chi non lavora, pure essendo sano, nulla... » .
Io non potevo pensare come lui che gli uomini fossero tutti dei farabutti. Lui non si fidava di nessuno, sbrigava tutto da sé. Ricordo che una volta ordinò un paio di scarpe al calzolaio del paese. Era d'inverno, lui stava sempre vicino al bischetto perché non ci mettesse del cartone nella suola. Quando portò le scarpe a casa diceva da uomo sicuro del fatto suo:
« Qui non c'è cartone. L'ho visto io quando lo Zoppo me le fa ceva! » e battendo la suola insieme: «Tutto cuoio, perdio! ».
Finito di mangiare, il babbo mi preparò il sacco e partii.
Com'era bello camminare lungo il fiume, fra i campi e per la strada del bos[...]

[...]l bosco...» Lui sorrise, mi prese per mano, ci inerpi
cammo in mezzo al castagneto e ai quercioli. Quando fummo abba
stanza dentro e lontano dalla strada, gli dissi piano piano:
«Sai, Aldo, nel sacco c'è da mangiare e vestire. E babbo che mi
manda ».
Sciolse il sacco e mentre lui frugava con le mani, io dissi ancora:
« Se tu resterai quassù, verrò spesso a portarti pane, carne e da
vestire... ».
Mi prese con le mani alla vita e alzandomi come se fossi stato una
piuma mi disse:
«Bravo Libero» e subito mi mise a sedere vicino al gambo di
un castagno. Anche lui si sedette vicino a me, e stringendomi fra le
braccia e guardandomi negli occhi, mi domande):
«Saprai serbare il segreto? ».
« Non dirò nulla nemmeno all'aria! ».
« Allora, sempre acqua in bocca? ».
« Si, sempre acqua in bocca... ».
«Neppure al prete, se andrai a confessarti? ».
« Io non vado a confessarmi, tu lo sai ».
« Lo so. Ma ho detto così per dirti che nessuno deve saperlo ».
« Stai tranquillo. Mi farei ammazzare, ma non direi nulla ».
« Bene così. Sei un v[...]

[...]ssibile; pensa cosa si metterebbe in testa la mamma se non ti vedesse tornare appena si fa scuro, e poi guarda lassù ». E con l'indice m'indicò delle grosse nuvole color piombo che salivano dietro alla collina di fronte. Io guardai, spostando una frasca che mi stava davanti e dissi:
« Quelle non sono nuvole che portino la pioggia ».
«Quelle sono proprio nuvole che portano la pioggia, lo vedo al colore, e se non fai presto a partire ti bagnerai come un pesce... e ti prenderai un malanno ».
Ci alzammo: mi abbracciò, lo abbracciai anch'io. Poi mi disse:
« Di' al babbo che vi farò sapere io quando tu dovrai tornare quassù ».
«Si».
Mentre mi accompagnava alla strada, mi ripeté:
« Intesi allora, acqua in bocca ».
« Si, sempre acqua in bocca, >. E senza voltarmi indietro mi incamminai per la strada che avevo fatto poco prima. Non ero felice come all'andata, mi sentivo triste soprattutto perché non mi era stato possibile vedere la capanna. Arrivai nell'aia che il sole doveva ancora tramontare dietro il Monte Albano. Le poche nuvole erano sparite .e il cielo era tornato tutto pulito. Davanti alla porta di casa la mamma ed altre donne stavano chi facendo la treccia, chi cucendo cappelli di pa
MEMORIE 131
glia. Mia madre vedendomi arrivare si alzò e passò in cucina, io la seguii; entrato che fui chiuse la porta e disse:
« Com'è andata? L'hai trovato? ».
« Sì, l'ho incontrato nel bosco mentre salivo per la strada tra i castagni ».
« [...]

[...]se:
«Dimmi, bel ragazzo, dov'è nascosto tuo fratello? ».
« Non lo so, non so nulla io ».
« E chi è che lo sa? ».
« Nessuno lo sa ».
«Dimmi la verità; dov'è tuo fratello? ».
« Non lo so dov'è ».
«Dimmi dov'è tuo fratello, se no ti porto via con me, pensaci
bene ».
« Non lo so anche se ci penso ».
Allora il carabiniere, visto che non c'era nulla da sapere, mi lasciò
il braccio spingendomi sulla sponda del letto, mi guardò male e grignò
come un cane. Mi colpirono i suoi denti bianchi sotto i baffetti neri.
Gli altri erano nelle altre stanze, nel granaio, muovevano tutto quello
che potevano facendo grande rumore. Si sentirono delle bestemmie,
mamma, che stava sulla porta del pianerottolo si fece il segno della
croce, un borghese la vide e le sputò in faccia dicendo:
Prendi, per te e la tua croce...! ».
Lei si fece di nuovo il segno della croce, l'uomo la guardò senza
sputare, le passò davanti e scese la scala.
MEMORIE 133
Altri carabinieri interrogarono i miei fratelli e il babbo. Io pensavo ad Aldo. Mentre scendevano tut[...]

[...]guitò ad abbaiare ancora un po'. Parlammo dell'accaduto, poi tornò il silenzio fuori e nella nostra casa. Più tardi sentivo uno dei miei fratelli russare e la mamma nell'altra camera che pregava a bassa voce. Mi misi in ascolto: udivo i grossi chicchi di legno della corona fregarsi tra loro, e mi vidi davanti agli occhi le sue lunghe dita che si passavano da una mano all'altra le « ave Maria ».
Non riuscivo a prender sonno. Sentivo batter l'ore come mai avevo sentito. L'orologio della torre del campano mi sembrava sulla mia casa e in certi momenti credevo di sentire anche il tic tac dei secondi.
Dopo qualche ora udii dei tuoni, il vento che soffiava dentro il camino e poi uno scroscio di pioggia che batteva sul tetto con violenza. La mamma che si era addormentata da poco si svegliò. Io scesi il letto piano piano, andai dal babbo. Anche lui s'era svegliato. Quando mi sentì avvicinare al suo capezzale, accese la luce e mi disse:
« Cosa fai? Che c'è? ».
« Nulla, nulla babbo ».
« Ma... come nulla? ».
Si alzò seduto sul letto e allungand[...]

[...]ti credevo di sentire anche il tic tac dei secondi.
Dopo qualche ora udii dei tuoni, il vento che soffiava dentro il camino e poi uno scroscio di pioggia che batteva sul tetto con violenza. La mamma che si era addormentata da poco si svegliò. Io scesi il letto piano piano, andai dal babbo. Anche lui s'era svegliato. Quando mi sentì avvicinare al suo capezzale, accese la luce e mi disse:
« Cosa fai? Che c'è? ».
« Nulla, nulla babbo ».
« Ma... come nulla? ».
Si alzò seduto sul letto e allungando un braccio mi prese per il collo tirandomi a sé e disse:
« Hai paura della pioggia? ».
« No. Non ho paura. Ma... ».
« Ma cosa? ».
« Vorrei sapere `se nella capanna ove c'é Aldo ci pioverà ».
Stai tranquillo, é coperta con tegole ed embrici, i muri son fatti di sassi e calcina come una casa. Non é una capanna come quella di Cecchino, fatta con paglia e pali ».
« È vero quello che mi dici? ».
« Certo che é vero ».
134 QUINTO MARTINI
«Non dici così perché io stia tranquillo? ».
« No, no, è vero quello che ti dico, vai a dormire e stai tranquillo ».
Tornai a letto, la pioggia seguitava a cadere a catinelle, il vento anche soffiava sempre forte. Il cane si lamentava. Sentii battere le quattro, poi mi addormentai. La mattina, andando a scuola, passai dalla discesa dove c'è il frantoio. Voltai a sinistra per andare in paese pas sando di fronte al Circolo Socialista. Mobilio bruciacchiato era ancora nel[...]

[...] strofinare sul muro e della polvere cader giù.
« Ecco, questa é fatta; portami ora dall'altra parete, voglio cancellare anche quella morte là ».
Fece lo stesso lavoro con più sveltezza, poi lo sentii scivolare giù per la schiena, e appena messi i piedi a terra mi disse:
« Andiamo a scuola ».
Gli altri compagni erano già scesi nella strada. Noi guardammo le due morti cancellate ma ancora visibili, in quelle macchie grigio sporco. C'era sopra come un velo che a me dava la sensazione più angosciosa, Scendemmo le scale. Il mio amico mi disse:
« Non lo dire a nessuno, se vengono a saperlo i fascisti, arrestano il mio babbo ».
«Stai tranquillo, nessuno saprà nulla ». Ci unimmo agli altri ragazzi e corremmo a scuola.
In classe tutti raccontavano qualcosa di quello che avevan visto. Io ascoltavo sempre in silenzio e durante tutta la mattina non feci nessun accenno a quanto era accaduto alla mia famiglia e cosa avevo . visto. Un ragazzo raccontò com'era avvenuto l'arresto di suo padre.
« Si, Signora Maestra, sono venuti di notte a prender[...]

[...] capanna per andarsene altrove. Egli ci disse:
«Non era più il caso di starsene li. C'era qualcuno che passava. troppo spesso dal bosco. Lui vedeva ma non era visto ».
Mia madre faceva la stessa vita di prima. Al mattino scendeva giù in paese per la spesa facendo prima una visitina in chiesa. Non aveva molta simpatia per il prete, e diceva sempre:
« Io non guardo all'uomo, ma vado a pregare in chiesa perché é la casa di Dio. Se il prete non è come si deve, lui dovrà rispondere un giorno davanti al giudice al quale io stessa risponderò delle mie colpe ».
Una mattina scesi con lei in paese. Di fronte alla casa del Brulli, sopra il marciapiede stavano tre donne. Al nostro passaggio la padrona di casa con la sua voce acida, disse piano alle altre due:
« Vedete com'è triste la Marta, non fa più quell'aria fiera di sempre... ».
Non capii le altre parole; guardai la faccia della mamma che non cambiò espressione e non potei capire se aveva udito o no quelle parole dette con tono sommesso e compiaciuto. Da quel giorno non ho più salutato que[...]

[...]i diceva. Ma mi sentivo umiliato e preso da un forte desiderio di essere uomo. Una mattina invece di andare a scuola, arrivato al ponte, nascosi la cartella nel più folto della macchia e, in parte
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QUINTO MARTINI

di corsa, in parte a passo svelto, arrivai fino alla capanna, tant'era forte il desiderio di vedere mio fratello. Pensavo che ancora fosse lassù... Arrivai col cuore in gola. La porta era aperta. Questa capanna era proprio come me l'aveva descritta il mio babbo, fatta come una vera casa. Entrai dentro, ma non c'era nessun segno da far pensare che qualcuno ci abitasse. Dunque; era partito? Mi misi seduto sulla panca di legno e piansi molto. Quando uscii dalla capanna il sole era molto alto. Giù dal fondo del bosco salivano lo sbattere delle ruote e il suono dei bubboli. Questo segno di vita in tanto silenzio mi rianimò. Mi lavai la faccia a una fontanella che versava acqua fra due massi, guardai la porta della piccola casa con tristezza e ridiscesi il bosco.
Passai a prendere la cartella dove l'avevo nascosta, ritornando a casa un po' più tardi del solito. Mang[...]

[...]drea rimettete bene a posto le mezzane e sopra i sacchi, "io, vedrai che me la caverò bene ». Poi mi sorrise dicendo:
«Allora in gamba; siamo intesi? ».
« Si, in gamba; ci siamo intesi ».
Finito il lavoro, mi buttò il suo braccio sulle spalle e disse:
Ora a letto. Dormirai con me. Però non parlare e non domandarmi nulla ».
« Si, dormirò, non parlerò ».
Dopo pochi minuti che fummo a letto, lo sentii russare. Dormiva
140
QUINTO MARTINI
i
come un masso. Io mi addormentai molto più tardi. Stavo sempre con le orecchie ritte come una lepre. Avevo paura che venissero i carabinieri. La mattina quando mi svegliai Aldo non c'era piú. Un fremito agghiacciante mi corse per tutto il corpo. Chiamai la mamma e le dissi:
« Dov'è Aldo? Sono venuti a prenderlo i carabinieri?»
«È partito, s'é alzato prima del sole, appena s'é fatto chiaro ».
« Dov'é andato? ».
«A lavorare. Alle otto doveva essere sul lavoro ».
« Ma dove lavora? ».
« Non lo so preciso. Credo verso Montemurlo ».
« Dov'è Montemurlo? ».
Prendendo il lenzuolo e la coperta che tenevo fino alle spalle, e buttandola sopra il ferro a pie' del letto disse:
« Su, su[...]

[...]ati, e non fare altre domande ».
Mi alzai, e andai a sedermi sul muro dell'aia, il cane mi venne vicino, gli passavo la mano sulla schiena, lui rizzava la coda e la muoveva in segno di amicizia. Era l'unica cosa che in quella mattina mi desse piacere e non mi facesse sentire tanto solo.
Era di giugno. Nelle nostre camere basse e coperte col solo tetto, entrava presto il caldo. Anche durante le prime ore della ,natte c'era caldo. La mamma stava come sempre a pregare alla finestra. Non c'era la luna; il cielo mi ricordava quegli scenari che mettono di sfondo ai presepi. Il cane fece l'abbaio del lupo: quando i cani abbaiano così c'è chi crede portino disgrazia. lo non ho mai sentito nulla di più straziante, nessun lamento umano é più spaventoso di questo ululato. E una cosa che intristisce l'animo e risecchisce il cuore in un attimo. C'è da supporre che sia veramente l'annuncio di una forte sciagura. Mia madre si voltò verso di me e disse:
«Domani ci sari una brutta notizia ». Si appoggiò con i gomiti sul davanzale della finestra e aggiu[...]

[...] che si dice ».
«Si, é. vero, Libero, non bisogna credere a tutto quello che si dice;
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ricordi quando mia sorella, tua zia Elvira, s'impiccò al trave della sua camera? quella mattina il cane abbaiò nello stesso modo ».
Ci fu un breve silenzio. Io stavo in piedi, seguivo i lumi delle automobili e delle biciclette che correvano fra il nero degli alberi. Sospirò, e si ripeté lentamente:
«SI, il cane abbaiò nello stesso modo; proprio come stasera ».
Drago seguitava a lacerare l'aria e la mia anima col suo lungo lamento. A me, quella notte così calma non fece che aumentare la mia ansia per quello che mamma prevedeva.
Un mio fratello dall'altra camera gridò:
«Libero! Vai a farlo tacere. Non si pue' dormire così ».
E mia madre:
« Vai giù, portagli un po' di pane con l'olio. Però non lo picchiare ». Si scostò, socchiuse la finestra e accese la luce.
Scesi gib. in cucina, andai alla madia, partii una fetta di pane e ci misi sopra dell'olio. Arrivato sotto il portico, a un passo dalla colonna dov'era legato a catena, urtai in [...]

[...]a li, che ciondolava dalla trave nel mezzo della camera, in fondo al mio letto.
Se è vero — pensavo — che Drago quella stessa mattina fece l'abbaio del lupo, non potrebbe essere stato un caso? e quel lamento così terribile causato da dei dolori? un mal di pancia? Non volevo essere superstizioso, ma non riuscivo a togliermi da dosso quel malessere che proviamo quando si teme una sciagura. Divenivo sempre piú inquieto, tutto cercavo di analizzare come mai avevo fatto, e temevo da un mi
142 QUINTO MARTINI
nuto all'altro che il cane tornasse a fare udire il suo ululato. La mattina, quando mi alzai, vidi la mamma più pallida del solito. Mi avvicinai a lei mentre stava scaldando il caffè e le dissi:
«Avete dormito, mamma? ».
Lei senza scomporsi, rispose:
« Non sono stata capace di chiudere occhio. Ho pregato tutta la notte. Ora sento un nodo alla gola e come se avessi delle spine nel cuore ».
Io, per rassicurarla, le dissi:
«Il cane, pere), non ha fatto più l'abbaio del lupo. Forse aveva fame ».
Entrò in cucina mio padre dicendo:
« Vado nei campi. Sarò a lavorare nella piaggia, se viene qualcuno a cercarmi portalo là, Libero ».
Mia madre mi mise la tazza del caffè sulla tavola e disse:
«Io vado a sciacquare dei panni al pozzo, tu resta qui in casa finché non sarò tornata. Se verrà qualcuno dammi una voce dalla finestra ».
Il pomeriggio tornando dai campi con su le spalle un covone di vecce, trovate fra il grano, vidi appoggiata al muro, vi[...]

[...]e tutto bianco di polvere era seduto vicino alla tavola al posto dove sedeva sempre mio padre. La mamma sedeva dall'altra parte e i miei fratelli stavano in piedi. Il giovane aveva nella mano destra il bicchiere di vino, nell'altra il fazzoletto e continuava a passarselo sulla fronte, sulla testa e dietro al collo.
Mia madre aveva gli occhi pieni di lacrime e i miei fratelli mi guardavano senza far parola. L'uomo seduto mi salute) con un:
«Oh? come va ragazzo? ». Io non risposi, e lui si mise a parlare del suo lavoro di muratore. Pensai all'abbaio del lupo e mi dissi: «Si, quando il cane abbaia in quel modo, accade una disgrazia a qualche componente della famiglia che tiene la bestia ».
A cena mia madre raccontò com'era accaduto l'arresto. Aldo fu preso la sera del giorno prima, verso le dieci, mentre tornava per andare a dormire in casa di quell'operaio che poche ore prima era venuto
MEMORIE 143
a portare la notizia. Il giovane muratore aveva detto che al suo paese c'erano molte spie e aveva consigliato a mio fratello di cambiare ar[...]

[...]e dieci, mentre tornava per andare a dormire in casa di quell'operaio che poche ore prima era venuto
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a portare la notizia. Il giovane muratore aveva detto che al suo paese c'erano molte spie e aveva consigliato a mio fratello di cambiare aria. Ci rassicurava che non era stato picchiato e che fu portato quella sera stessa alle prigioni della città vicina. Un po' di calma stava ritornando, e nei paesi non accadevano piú cose bestiali come nei primi tempi, al sorgere del fascismo.
«Quando si accorgeranno che non ha fatto nulla di male lo rilasceranno in libertà » diceva mia madre mentre ad ognuno di noi versava la minestra col rimaiolo bianco e bleu nei nostri piatti. Remo, sempre diffidente e taciturno, disse:
« Si, va bene, non ha fatto nulla di male. Ma la cosa migliore era quella di non farsi prendere. Quando uno é in prigione...».
« Ma in prigione ci tengono chi ha commesso qualcosa contro la legge, e non si può rovinare la vita di un uomo giovane come Aldo per nulla ».
Mentre parlavo tutti mi guardavano. Remo rispose:[...]

[...]a fatto nulla di male lo rilasceranno in libertà » diceva mia madre mentre ad ognuno di noi versava la minestra col rimaiolo bianco e bleu nei nostri piatti. Remo, sempre diffidente e taciturno, disse:
« Si, va bene, non ha fatto nulla di male. Ma la cosa migliore era quella di non farsi prendere. Quando uno é in prigione...».
« Ma in prigione ci tengono chi ha commesso qualcosa contro la legge, e non si può rovinare la vita di un uomo giovane come Aldo per nulla ».
Mentre parlavo tutti mi guardavano. Remo rispose:
« Tu sei troppg giovane e vivi con la testa nelle nuvole. Quando uno l'hanno messo dentro, chi va a levarlo? ».
I1 babbo interruppe dicendo:
« Ci sarà una giustizia; se uno é innocente, perché punirlo? ».
« È la politica che c'é di mezzo e chi comanda ha sempre ragione; quello che tiene il mestolo in mano, razzola come vuole ».
La mamma sedendosi:
« $ vero, gli uomini non sono sempre giusti con gli uomini. La vera giustizia é quella divina. Solo Dio é giusto e grande di misericordia. Gli uomini non sanno perdonare, Dio sa perdonare ».
« Si, sono tutte belle cose disse Remo — ed é bello avere la
vostra fede. Ma la vostra fede, mamma, non darà mai la libertà ad Aldo. Questo é un mondo di farabutti e bisogna tenere sempre gli occhi ben aperti per vedere chi si ha vicino ».
Il padre guardando il figlio dai capelli ricciuti, disse con un tona di rimprovero:
«Tu esageri sempre, per te tutti ladri e farabutt[...]

[...]e Remo — ed é bello avere la
vostra fede. Ma la vostra fede, mamma, non darà mai la libertà ad Aldo. Questo é un mondo di farabutti e bisogna tenere sempre gli occhi ben aperti per vedere chi si ha vicino ».
Il padre guardando il figlio dai capelli ricciuti, disse con un tona di rimprovero:
«Tu esageri sempre, per te tutti ladri e farabutti. Non ti fidi neppure di tua madre né di tuo padre. Io credo che nel mondo ci siano sempre delle persone come si deve ».
« Si, sarà vero quello che tu dici ma io non mi fido, conosco un
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proverbio che dice: "Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io". Io cerco di guardarmi da tutti e due ».
Andrea che aveva assistito alla nostra conversazione sempre in silenzio, disse:
« Se io fossi nei piedi di Aldo, al mio ritorno saprei corne fare. Vorrei ritornare in prigione, ma dopo essermi vendicato verso qualcuno che so io».
«Ricordati Andrea "chi di spada ferisce, di spada perisce", questa una frase di Gesù, il figlio di Dio ».
«Si, ma intanto tutti quelli che han[...]

[...]isce", questa una frase di Gesù, il figlio di Dio ».
«Si, ma intanto tutti quelli che hanno adoprato la spada, ora sono liberi e tranquilli ».
«Non si può dire. Nella vita di un uomo possono succedere tante cose. Chi fa del male non avrà che del male ».
« Io sono del parere, spada o non spada, quello che perde non é più libero. I fascisti hanno vinto ed ora fanno tutto quello che a loro pare e piace. Possono venire qui, prenderci e bastonarci come ciuchi tutti quanti e nessuno gli farà mai nulla ».
Mia madre prese un'espressione dolorosa e non rispose. Ci fu un momento di silenzio. Andrea stesso ruppe questo silenzio piuttosto penoso dicendo:
« Babbo, domattina devo cominciare a segare l'orzo nella piaggia a confine con Cencio? ».
« Si, si può cominciare a segare. Dopo che avrò finito nella stalla verrò anch'io. Prendi due falci e porta del vino ».
La mamma, molto triste, sparecchiava. Le cadde un piatto e si ruppe, nessuno fece parola.
Passarono alcuni giorni prima di avere notizie di Aldo. Ci scrisse una lettera. La censura del [...]

[...]pire una sillaba. Remo, prendendomi la lettera, disse: «Brutti maiali, non vogliono neppure che uno scriva quello che gli pare...! ».
Più tardi un'altra lettera ci informava che si poteva andare a trovarlo. I primi ad andare al parlatorio furono il babbo e la mamma. Trovarono che stava bene ed era molto tranquillo e di buon umore com'era stato sempre. La nostra vita divenne meno grigia. Il fatto di recarsi tutte le settimane a fargli visita era come si sentisse ancora far parte materialmente della nostra famiglia. Quando mamma preparava, la sera, il cibo e la biancheria da mandargli la toccavo leggermente. Una volta volevo fare un nodo ad un fazzoletto; la mamma mi disse:
« Nan lo fare, potrebbero crederlo un segnale speciale ed Aldo verrebbe punito ».
Io non comprendevo cosa ci potesse essere di tanto brutto e misterioso in un nodo di un fazzoletto. Più tardi ho capito che anche con un fazzoletto annodato si possono dire malte cose e soprattutto a un carcerato.
Finita la battitura fui mandato a passare qualche mese dallo zio in un pa[...]

[...]omprendevo cosa ci potesse essere di tanto brutto e misterioso in un nodo di un fazzoletto. Più tardi ho capito che anche con un fazzoletto annodato si possono dire malte cose e soprattutto a un carcerato.
Finita la battitura fui mandato a passare qualche mese dallo zio in un paese del comune di Vinci. Andai con un mio cugino che . si recava a prender le fastella di scope in un bosco vicino alla sua casa. Fui accolto con gran festa dai miei zii come se fossi stato un loro figlio che da molto tempo non vedevano. Aiutavo lo zio nelle sue faccende e mi piaceva star con lui. Mi declamava interi canti dell'Orlando Furioso. Ad uno dei suoi figli aveva messo nome Orlando, ad un altro Ruggero e alla figlia Bradamante. Strano uomo questo mio zio. Aveva una bottega dove si vendeva il necessario per le poche case del paese. Dal pane ai fiammiferi c'era un po' di tutto. In una stanza vicino al forno si giuocava a carte e si beveva in allegra compagnia fino al tocco dopo mezzanotte. Erano sempre gli stessi. C'erano dei vecchi e giovani, ma quando gio[...]

[...]passo dei suoi poeti preferiti.
Non conosceva altro che quei poeti e bevendo diceva:
«Questi si che sono grandi! Alla salute, ragazzi, dei grandi poeti! ». E poi mettendo il bicchiere sopra il tavolino faceva dei commenti
vol
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alquanto insinuanti su certi passi amorosi. E ripetendoli lentamente ac
compagnava la voce con gesti della mano e sbirciate degli occhi. In
certi casi cantava delle strofe prese in canti diversi:
«Come di lei s'accorse Orlando stolto,
per ritenerla si levò di botto;
cosí gli piacque il delicato volto
così ne venne immantinente ghiotto
d'averla amata...»
eppoi :
«Questa condizion contiene il bando:
Chi la figlia d'Amon per moglie vuole, star con lei debba a paragon del Brando
dall'apparire al tramonto del sole:
e fino a questo termine durando
e non sia vinto senz'altre parole
la donna da lui vinta esser s'intenda:
né si possa negar ch'essa lo prenda ».
Alcuni dei suoi clienti avevano imparato qualche verso e spesso gli chiedevano di cantare i passi più grassocci. Questo avveniva[...]

[...]osi a me:
«Non faccio bene, Libero? ».
« Si, fai bene, zio ».
Mi prese per un braccio e mi portò con sé verso il bosco. Strada facendo mi diceva:
«Se io non canto mi viene la malinconia, anche tu devi imparare a cantare! Anche la storia di Ulisse é bella, anche la Gerusalemme Liberata, anche la Divina Commedia » é bella, Paolo e Francesca, il canto del Conte Ugolino... Ma il più bello é l'Orlando Furioso ». E battendomi la mano sulla spalla, come se fossi stato un suo coetaneo: «Anche tu devi imparare a memoria tutto l'Orlando Furioso. Questo é il libro più bello del mondo. L'Ariosto é stato il più grande poeta di tutti i tempi e mai più nascerà un poeta come lui ».
« Hai, ragione, zio, l'Ariosto é il più grande poeta ».
Lui, preso dall'entusiasmo mi abbracciò, si scostò qualche passo e cominciò a cantare:
« Or se mi mostra la mia carta il vero, Non é lontano a discoprirsi il porto Odo di squille...»
Seguitando a cantare, con una mano mi prese per i capelli e mi portò sotto un albero dove ci mettemmo a sedere. Io guardavo la pianura mentre lo ascoltavo. Il sole stava per tramontare, quando alzandosi e con un largo gesto verso il sole, cantò gli ultimi versi:
«Bestemmiando fuggi l'alma sdegnosa Che fu si altera al mondo e si orgogliosa».
« An[...]

[...], questa sera c'è da fare il pane. Strada facendo facciamo dell'erba, così é una scusa... Se no tu senti tua zia... ».
Nessun ricordo della mia vita é cos? bello. Devo a lui la conoscenza della poesia e dei maggiori poeti. E fu anche in quella permanenza che mi appassionai ancora più al disegno e alla pittura. Feci molti acquarelli di paesaggi e boscaioli. Mio zio mi diceva spesso con molta serietà:
148 QUINTO MARTINI
«Tu diverrai un pittore, come il nostro Leonardo da Vinci ». E indicandomi delle case sotto il bosco, mi diceva:
« Vedi, Leonardo da Vinci é nato laggiù, ad Anchiano, dove stava la zia che si impiccò, vicino a Faltognano. C'è laggiù un prete che ha fatto il busto del nostro Leonardo con barba e capelli lunghi ». E cosí dicendo faceva il gesto con la mano di toccarsi la barba e ravviarsi i capelli.
Vicino a mio zio ero riuscito a distrarmi un po' soprattutto durante la giornata che era sempre varia per i clienti che venivano e i passanti che si fermavano a bere e a mangiare. La notte però, cadevo spesso in una tristezza [...]

[...]i un po' soprattutto durante la giornata che era sempre varia per i clienti che venivano e i passanti che si fermavano a bere e a mangiare. La notte però, cadevo spesso in una tristezza amarissima. Al mattino andavo per il bosco e stavo subito meglio. Spesso per qualcuno mi mandavano da casa mia notizie di Aldo. Ma la gioia più grande per me fu quando ricevei una cartolina postale. Non so quante volte la rilessi. La leggevo di giorno e di notte, come si legge una delle prime lettere d'amore. Mi diceva che a Natale sarebbe tornato. Io credevo a quello che scriveva e contavo i giorni e mi ripetevo quand'ero solo:
« A Natale ritornerà.., presto ritornerà... ».
Un pomeriggio afoso degli ultimi giorni d'agosto, stavamo seduti sotto il noce dell'orto di fronte alla porta della bottega. Davanti a noi la strada bianca che scendeva giù a Vinci piena di riverbero si nascondeva a tratti, fra il verde e gli ulivi argentati della campagna. Lo zio fumava la pipa e coi suoi occhi chiari guardava lontano.
Io osservavo le sue gote che si risecchivano q[...]

[...]tati della campagna. Lo zio fumava la pipa e coi suoi occhi chiari guardava lontano.
Io osservavo le sue gote che si risecchivano quando tirava il fumo e tornavano normali quando lo lasciava venir fuori dalla bocca. Si voltò a guardare il monte dietro le nostre spalle, guardò giù nella pianura, socchiuse gli occhi, si tolse la pipa di bocca e cominciò a cantare:
«Era a quel tempo ivi una selva antica D'ombrose piante spessa e di virgulti, Che, come laberinto, entro s'intrica Di stretti calli e sol da bestie culti. Speran d'averla i due Pagan sl amica Ch'abbi a tenerli entro a' suoi rami occulti. Ma chi del canto mio piglia diletto, Un'altra volta ad ascoltarmi aspetto ».
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E battendomi una mano su `una spalla e con un sorriso da vecchio satiro, disse:
«Porco diavolo, come sarebbe bello con questo caldo vedere correre cavalieri nel bosco con le loro donne a cavallo... ».
Spesso diceva, quando c'era gente in bottega, e sua moglie non poteva udire:
« Come mi sarebbe piaciuto vivere ai tempi dell'Orlando Furioso, 'avere un bel cavallo e...».
Così parlava quando aveva un po' bevuto. Era un uomo verso la sessantina ma di una fibra come un querciolo. Spesso diceva: « Io non ho mai visto un medico e mai mi sono purgato, e con l'acqua mi son sempre lavato mani, piedi e coglioni. Se mi si proibisse di cantare, fumare e bere vino sarei un uomo finito. Morirei in tre giorni: io sono nato per cantare ».
Era fiero della sua salute e quando vedeva qualcuno pallido e con poca vita negli occhi gli diceva:
« Ragazzo mio, tu semini i frasconi. Se seguiti così presto ti porteranno al camposanto ».
Questi rispondevano sorridendo:
« Tu sei sempre allegro, e hai sempre voglia di scherzare... ».
« Non bisogna mai farsi cattivo sangue, c[...]

[...]:
« Ragazzo mio, tu semini i frasconi. Se seguiti così presto ti porteranno al camposanto ».
Questi rispondevano sorridendo:
« Tu sei sempre allegro, e hai sempre voglia di scherzare... ».
« Non bisogna mai farsi cattivo sangue, chi se la piglia more prima di vent'anni, studia l'Ariosto se vuoi sentirti tranquillo ».
Tutti gli volevano bene e stavano volentieri in sua compagnia a parlare di quello che si diceva nel mondo. Un giorno dal modo come guardò una donna giovane che venne a bottega ebbi la sensazione che gli piacessero le avventure. Questa mia impressione mi fu confermata un pomeriggio nell'ora che la zia si buttava sul letto per dormire. Passeggiavo lungo il viottolo che sale dalla strada su nel bosco. Faceva caldo, le cicale cantavano e nessun altro rumore era percettibile. Camminavo lento guardando ora il monte ora la pianura. Arrivato vicino ai castagni sentii sfrascare e il suono di una leggera voce di donna che diceva:
« Non fare così... ».
Mi voltai dalla parte della voce e fra le felci e scope vidi mio zio chinato, [...]

[...]ano, con le mani mi scostai le scope davanti agli occhi, per osservare la scena. La faccia della donna restava dietro il gambo del castagno, vedevo le sue mani che si tenevano alle scope con una certa forza. Lo zio stava sopra al suo corpo e le gambe nude della donna che si muovevano in un modo molto strano. A un certo punto non volli più vedere, mi misi seduto e aspettai. Sentivo il respiro dello zio farsi più affannoso e la donna che miagolava come un piccolo gatto. Poi sentii i loro corpi alzarsi e lei dire:
«Speriamo che nessuno ci abbia visti. Credo sia meglio vedersi dove sempre. Qui é un po' pericoloso ».
Io mi alzai, vidi la donna voltata verso di me che stava aggiustandosi le mutande. Lo zio mi voltava la schiena e vidi che cercava di affibbiarsi la cinghia dei pantaloni. La donna, finito di vestirsi, alza la testa e fu davvero una sorpresa riconoscendo la serva del prete. Una donna ancora giovane e molto in carne. La serva sali su per il bosco e lo zio scese nella strada sotto la vigna cantando:
«Che dolce più, e che più gioc[...]

[...]vitù d'Amore?
Se non fusse l'uom sempre stimulato
Da quel sospetto rio, da quel timore,
Da quel martir, da quelta frenesia,
Da quella rabbia detta gelosia».
Sorrisi di questa sua avventura in pieno meriggio. Mentre scendevo per tornare a casa ripensavo alla scena e mi sentivo turbato. Non ne ho mai parlato a nessuno e con lo zio cercavo sempre che nei nostri discorsi fosse evitato di fare il nome della serva del prete. La sera lo zio canta, come mai aveva cantata, rosso in volto e con gli occhi che saettavano bagliori di fuoco; io lo guardavo e rivedevo la scena del bosco. Credo che se anche la zia fosse venuta a saperlo gli avrebbe perdonato. Giulia non era più giovane e da anni ormai vivevano soli. Orlando s'era sposato con una maestra ed era andato a stare nella Lucchesia. Ruggero viveva con la famiglia nel Casentino, entrambi facevano il muratore. Bradamante, una bella ragazza con occhi e capelli neri, era andata a marito ad un maresciallo di cavalleria a Firenze.
MEMORIE 151
Ricardo di aver visto una volta suo marito in divisa[...]

[...]ormai vivevano soli. Orlando s'era sposato con una maestra ed era andato a stare nella Lucchesia. Ruggero viveva con la famiglia nel Casentino, entrambi facevano il muratore. Bradamante, una bella ragazza con occhi e capelli neri, era andata a marito ad un maresciallo di cavalleria a Firenze.
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Ricardo di aver visto una volta suo marito in divisa e con la spada e sentii subito una forte antipatia. La zia considerava suo marito un po' come un ragazzo che ha delle manie e col quale non bisogna esser troppo severi. Una mattina fece uno scherzo un po' azzardato ad una donna li in bottega alla presenza di altre persone. Un vecchietto disse a Giulia che stava a banco a servire i clienti:
«Avete visto, eh, cosa fa Marco? ».
E lei, tagliando il pane e senza scomporsi:
« Raba da vecchi, faccia pure quello che vuole, basta che non me le porti in casa. Se lo trovo con qualche donna in queste stanze, bastono lui e lei ».
Lo zio stava travasando i fagioli da una bigoncia all'altra. La donna che prima era stata oggetto dello scherzo dis[...]

[...] porti in casa. Se lo trovo con qualche donna in queste stanze, bastono lui e lei ».
Lo zio stava travasando i fagioli da una bigoncia all'altra. La donna che prima era stata oggetto dello scherzo disse:
« Attenzione Marco, vostra moglie ha delle brutte idee ».
« Già, ho sentito, starò con l'occhio alla penna per non farmi pescare. Se no, addio schiena... ».
La zia, porgendo l'involto del pane:
« Se fossi stato un uomo, avrei saputo anch'io come fare. Ci sono tante donne che basta vedano un paio di pantaloni diversi da quelli del loro uomo, si alzano subito la sottana ».
Lo zio, sempre occupato dal suo lavoro, voltandosi verso le persone, sorridendo, disse:
« Se fossi stato una donna avrei tenuto la mia casa aperta a tutti quelli che mi fossero piaciuti ».
Malgrado questi discorsi fatti un po' sul serio e un po' per scherzo, non li ho mai visti litigare, ma trattarsi sempre con molta affettuosità. Più tardi ho capito che anche alla zia piaceva sentirlo cantare. Un giorno mentre si stava in cucina e lo zio nell'orto che cantava, mi[...]

[...]ro, voltandosi verso le persone, sorridendo, disse:
« Se fossi stato una donna avrei tenuto la mia casa aperta a tutti quelli che mi fossero piaciuti ».
Malgrado questi discorsi fatti un po' sul serio e un po' per scherzo, non li ho mai visti litigare, ma trattarsi sempre con molta affettuosità. Più tardi ho capito che anche alla zia piaceva sentirlo cantare. Un giorno mentre si stava in cucina e lo zio nell'orto che cantava, mi disse:
«Senti come canta. Non ha mica una cattiva voce. Sai, quando veniva da me a fare all'amore sentivo sempre la sua voce, andavo alla finestra e lo vedevo scendere giù dalla viottola in cima ai campi. Una ragazza che era un po' innamorata di lui mi diceva spesso:
« Come canta bene il tuo fidanzato...! ».
« Anch'io trovo che canta bene e mi piace stare a sentirlo ».
« Si, canta bene ancora, tu avresti dovuto sentirlo, quand'era gio
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vane, che voce! Il prete lo chiamava sempre a cantare in chiesa per le grandi feste e... ».
Pensai di nuovo alla serva e chiesi:
« C'è sempre lo stesso prete d'allora in questa chiesa? ».
« Sempre lo stesso. Non è molto vecchio, è qualche anno più giovane di mio marito ».
Volevo chiederle anche della serva, ma non ebbi coraggio. Una donna entrò in casa e chiamò:
« Giulia, venite in bottega ».
La zia [...]

[...]i coraggio. Una donna entrò in casa e chiamò:
« Giulia, venite in bottega ».
La zia si asciugò le mani al suo grembiale grigio e uscendo mi disse:
«Stai attento al gatto che non mangi la carne ».
Guardai fuori dalla finestra; le cime del monte erano piene di sole, la vetta dei cipressi era rossastra e la pianura già in ombra. Un vecchio passò di sotto alla finestra con un fascio di legna sulle spalle. Lo zio che non cantava piú, gli disse:
«Come va, Arduino? ».
« Va da vecchi, caro Marco ».
« Macché da vecchi, finché non siamo nella fossa va sempre bene ». « Gli anni pesano più delle fastella, vedrai anche tu quando avrai la mia età ».
Sentivo la voce del vecchio che si allontanava e lo zio gridare:
« In gamba, Arduino. Uno di questi giorni verrò a trovarti. Prepara un fiasco di quello vecchio. Io ti porterò le spuntature per la pipa e canterò per te ».
Non sentii più la voce dell'uomo che portava il fastello. Lo zio riprese a cantare mentre zappettava. In quell'ora non c'era lavoro in bottega e lui passava il tempo a fare altr[...]

[...]ta di pelo.
Ero felice, appena fu possibile vederci ci facemmo dei cenni alzando una mano, quando le fui più vicino, mi disse:
« Com'é che mi sei venuto incontro? ».
« Stavo seduto in fondo al bosco, vicino alla chiesa, quando mi son visto arrivare Drago, allora ho pensato che ci fosse qualcuno di voi ». Porgendomi al mio cenno il fagotto, mi disse:
«Non mi é stato possibile farlo tornare indietro; quando lo sgridavo si buttava ai miei piedi come per implorare che lo lasciassi venire. E cosi mi ha fatto compagnia».
« Hai fatto bene a portarlo ».
« Ho pensato anch'io lungo il cammino che ti avrebbe fatto piacere rivederlo ».
« Sono contento che ci sia anche Drago ». Mi chinai e lo strinsi fra le mie braccia.
« Andiamo, Libero, fa molto caldo e io sono stanca ».
Drago si mise in mezzo a .noi camminando lento lento per seguire il nostro passo.
« La zia e lo zio come stanno? » mi chiese.
Si asciugò il sudore dalla fronte, mi guardò e disse ancora:
« Tu mi sembri un po' ingrassato. Ti ha fatto bene cambiare aria ».
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154 QUINTO MARTINI
«Aldo come sta? ».
«Sta bene. Anche lui é ingrassato ».
« Quando ritornerà? ».
«Speriamo presto ».
« Mi ha scritto che tornerà a Natale ».
«Speriamo ».
«Lunedì, quando sono stata a trovarlo, mi ha detto che vuoi ve
derti,».
Passando di fronte alla chiesa la mamma salutò il parroco che stava
leggendo il breviario seduto sotto la loggetta. Anche lui sapeva di mii,
fratello e ne parlarono un po'.
«Bisogna aver fede e pregare Dio. Egli é pieno di misericordia
per tutti ».
Prima di salutare il prete la mamma gli chiese a che ora la mattina
c'era la messa. Quando fummo un po' distante mi disse: [...]

[...]he non fosse la nostra. Quando le fu chiesto dalla zia quanto
tempo sarebbe rimasta, rispose:
Non molto, tre o quattro giorni al massimo ».
«Libero lo lasci ancora da noi? ».
«Non é possibile ».
« Anch'io — dissi partirò quando partirà la mamma ».
Lo zio soprattutto era dispiacente per questa mia decisione e ri
spose :
«Resta ancora, così potrai imparare a memoria qualche canto del
l'Orlando Furioso. Ti dirò io quali sono i piú belli e come si fa a can
tare di poesia », e poi riprese:
« Ormai hai finito la scuola e in città non andrai a studiare. Ci
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vogliono troppi quattrini. I figli dei ricchi vanno in città a studiare. Com'è ingiusto questo mondo. Resta da me... Canteremo insieme. Quest'inverno, vicino al fuoco, t'insegnerò a cantare, resta da me, Libero ».
Mia madre lo guardò e disse:
«Non invitare la lepre a correre ».
Anche la zia pregò la mamma di farmi restare.
«Sai, Marta, comincio a considerarlo un mio figliolo, e tu ora me lo porti via».
« Grazie, Giulia, ma non può rimanere. Deve lavorare nei camp[...]

[...]sta da me, Libero ».
Mia madre lo guardò e disse:
«Non invitare la lepre a correre ».
Anche la zia pregò la mamma di farmi restare.
«Sai, Marta, comincio a considerarlo un mio figliolo, e tu ora me lo porti via».
« Grazie, Giulia, ma non può rimanere. Deve lavorare nei campi e Andrea dovrà cercarsi un lavoro in città ».
«Cosa vuoi che faccia in .città? ».
« Ci sono altri che vanno in città a lavorare: vanno nelle fabbriche e alla ferrovia come sterratori. Prima c'era Aldo che guadagnava, ma ora? ».
Lo zio disse a sua sorella:
« Cosa pensi di fargli fare a Libero? ».
«Non lo sappiamo ancora, bisogna vedere come andrà a finire l'affare di Aldo ».
« Cara sorella, quello che deve fare tuo figlio, mio nipote, é segnato dal destino. Lui sarà pittore, un artista. Capisci? Un artista; un grande artista ».
E rivoltosi a me:
« Com'è bello fare il pittore, dipingere un uomo a cavallo lungo una strada in mezzo ai boschi, con in sella una donna e le vesti al vento!...» e fece il gesto con la mano per disegnare il vestito della donna. Mia madre e la zia lo guardavano compiaciute.
«Prima che tu parta voglio che tu mi dipinga un quadro: la scena di Sacripante che si porta via Angelica ».
«Non so se sarò capac[...]

[...]a; un grande artista ».
E rivoltosi a me:
« Com'è bello fare il pittore, dipingere un uomo a cavallo lungo una strada in mezzo ai boschi, con in sella una donna e le vesti al vento!...» e fece il gesto con la mano per disegnare il vestito della donna. Mia madre e la zia lo guardavano compiaciute.
«Prima che tu parta voglio che tu mi dipinga un quadro: la scena di Sacripante che si porta via Angelica ».
«Non so se sarò capace ».
« Ti dirò io come devi fare. Ti canterò piano piano il canto mentre tu disegni ».
Dipinsi il quadro secondo i suoi consigli. Mi fece copiare il suo cavallo, un bosco pieno di lecci e una strada serpeggiante fra i gambi degli alberi. Egli fu molto contento; lo mostrò a tutti e ordinò vetro
156 QUINTO MARTINI
e cornice. Venne il giorno della partenza, e prima di lasciarmi volle cantare:
«Ma come i cigni che cantando lieti
Rendono salve le medaglie al tempio
Così gli uomini degni da' poeti
La zia venne ad accompagnarci fino alla chiesa, ci salutammo di fronte alla canonica e poi ci incamminammo su per la salita. C'era ancora più d'un'ora di sole. Il cane correva avanti, poi si metteva seduto nel mezzo della strada ad aspettarci. Io e mia madre carichi di fagotti (lo zio ci aveva dato un po' di tutto quanto aveva in bottega) si camminava in silenzio. Arrivati in cima, dove la strada che percorre la cresta del monte taglia la nostra che lo attraversa facendo una grande croce, ci mett[...]

[...]».
« Si sta bene quassù a quest'ora, fa fresco... ».
Dalla strada che viene dalla torre scendeva giù il vecchio guardia
boschi. Portava il fucile in spalla e camminava curvo. L'avevo visto altre volte, quando venivo quassù a prender le fastella con mio cugino. Abitava su nella torre fin dalla nascita. Mamma lo conosceva fin da bambina, da quando veniva nel bosco a far legna, a cercar funghi e castagne. Si alzò e gli andò incontro, dicendo:
« Come va Egisto? Era un bel pezzo che non ci si vedeva... ».
«Oh! guarda chi si vede! La Marta. Come va, come va, Marta? E quello là é tuo figlio? L'ho visto più d'una volta quassù con suo cugino Corinto a prender le fastella col barroccio ». E avvicinandosi a me: «Per) ti sei fatto un uomo ».
Io sorrisi e mi sentii fiero di non sembrare più un ragazzino.
« Dimmi, come sta il tuo babbo? Siamo vecchi amici io e Gre
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Borio » e guardando mia madre — «Vero che siamo vecchi amici
con tuo marito? ».
«Lo so, lo so, Egisto. Mio marito vi ricorda spesso e dice sempre: `Egisto è una quercia, non morirà mai' ».
«E Cecchino come va? E sempre malato? ».
« Si, é sempre malato » disse mia madre prendendo un'espressione piuttosto dolorosa. «Non c'è nessuna speranza di guarire, quella è una malattia che non perdona ».
Togliendosi il fucile dalla spalla e il vecchio cappello con la penna di fagiano, disse:
Che mondaccio! Sono malacci quelli. Un anno fa è morto un mio vecchio amico di quel male. Sono vecchio anch'io: un giorno o l'altro mi metterò a letto e non mi alzerò piú. Son vecchio, son vecchio e la sera sento le gambe che mi fanno diego ».
La mamma sorridendolo e toccandolo su una spalla: « Ma che vecchio; voi ca[...]

[...]liendosi il fucile dalla spalla e il vecchio cappello con la penna di fagiano, disse:
Che mondaccio! Sono malacci quelli. Un anno fa è morto un mio vecchio amico di quel male. Sono vecchio anch'io: un giorno o l'altro mi metterò a letto e non mi alzerò piú. Son vecchio, son vecchio e la sera sento le gambe che mi fanno diego ».
La mamma sorridendolo e toccandolo su una spalla: « Ma che vecchio; voi camperete quanto Noé, e sarete sempre arzillo come siete ora ». Egisto la guardò, sorrise in maniera incredula e domandò:
«E quel matto di tuo fratello canta sempre? ».
Io scattai e risposi:
« Si, si, canta sempre e guai a chi non l'approva. Sarebbe capace di togliergli il saluto per tutta la vita ». E rimettendosi il fucile in' spalla:
« Lo conosco bene, tuo zio. E' un brav'uomo. E' tanto tempo che non lo vedo. Quest'autunno scenderò a fargli una visita e a bere un buon bicchiere di vino.
« Tutte le domeniche, per mia nipote che va alla messa, mi manda da fumare per tutta la settimana. Lui dice che il fumo e il vino allontanano le malat[...]

[...]da fumare per tutta la settimana. Lui dice che il fumo e il vino allontanano le malattie, e la poesia rende la vita felice ».
Infilandosi il cappello e lisciandosi la piuma con due dita disse ironicamente :
« Beh, io mi accontenterò di viver sano perché non so di poesia ».
Il vecchio cominciava a star li con le spine ne' piedi, mia madre se ne accorse e ci salutammo. Dopo esserci un po' allontanati, il guardiaboschi gridò:
« Marta, Marta, ma come va Aldo? C'è nulla di nuovo? » e venendoci incontro:
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« Mi sembrava di aver qualcosa da domandarti, e... ».
Mia madre lo mise al corrente di tutto, e riprendemmo il cammino per ridiscendere 'il monte. Drago ci precedeva a breve distanza, ormai conosceva la strada. Si scendeva all'ombra dei castagni e dei pini. Nell'aria c'era quell'odore che mandano le piante dei boschi di sera nei giorni del solleone. Gli uccelli si chiamavano da un albero all'altro; davanti ai nostri occhi la pianura si faceva sempre più grigia, si vedevano ancora le strade bianche di polvere e lungo i [...]

[...]ll'altro; davanti ai nostri occhi la pianura si faceva sempre più grigia, si vedevano ancora le strade bianche di polvere e lungo i fiumi l'azzurrognolo delle canne. In certi punti del bosco si faceva più scuro ed era in quei momenti che la mamma diceva:
«Libero, bisogna allungare il passo, vedi sta facendosi già buio ».
Allungammo il passo; il cane andava sempre avanti: spesso si fermava per aspettarci e giunti vicino si rimetteva a camminare come prima. Arrivati in Sambusceta, ci fermammo a bere alla fonte. Anche Drago bevve nella fossetta piena d'acqua. Ormai la strada peggiore era fatta, fra breve si sarebbe lasciato il bosco per prendere quella fiancheggiata da ulivi. Laggiù dietro l'Appennino si faceva l'aria rossastra e poi un disco di fuoco si alzava piano piano diminuendo di grandezza. Mia madre guardò e fermandosi disse:
a La mia mamma diceva che assomigliava a una polenta di granturCO D.
Non risposi: mi sentivo stanco e triste. Lungo il cammino si incon trovano persone che ci salutavano, io chiedevo alla mamma:
«Chi sono q[...]

[...]andezza. Mia madre guardò e fermandosi disse:
a La mia mamma diceva che assomigliava a una polenta di granturCO D.
Non risposi: mi sentivo stanco e triste. Lungo il cammino si incon trovano persone che ci salutavano, io chiedevo alla mamma:
«Chi sono queste persone che ci salutano? ».
« Non lo so, non li conosco».
«E perché allora ci salutano? ».
«Quassù, quando incontrano qualcuno sconosciuto che ha l'aria di andare lontano lo salutano. È come un buon augurio per il suo viaggio »..
Arrivati vicino al paese abbandonammo la strada bianca di polvere sulla quale la luna proiettava l'ombra delle cose e degli alberi, per prenderec la viottola fra i. campi che passa davanti al cancello del cimitero.. Arrivati dietro alla piccola fornace la mamma disse:
«Non passiamo davanti al cimitero. Di notte fa sempre un certo effetto ».
Si fece il segno della croce e si incamminò per il viottolo che ci portava dietro la nostra casa. Drago era arrivato prima: di noi e le.
MEMORIE 159
trovammo sotto la tavola a rosicchiare degli ossi. Tutti mi fec[...]

[...]MEMORIE 159
trovammo sotto la tavola a rosicchiare degli ossi. Tutti mi fecero grande festa; erano contenti di rivedermi e io mi sentivo felice di essere di nuovo fra loro. A tavola mi furon fatte molte domande alle quali quasi sempre rispondeva la mamma.
Ero stanco e non vedevo l'ora di andarmene a dormire. Babbo se ne acccorse e disse:
« Vai a letto, Libero, sei stracco, si vede dalla tua faccia », e prosegui: «Domani, domani ci racconterai come hai passato il tuo tempo dallo zio ».
Mi alzai, diedi la buonanotte a tutti, salii le scale a fatica e entrai in camera. Mi infilai sotto le lenzuola, mi coprii la testa, chiusi gli occhi e subito mi trovai davanti allo zio che cantava e con questa visione mi addormentai.
QUINTO MARTINI



da Carlo Muscetta, [Saggio introduttivo a] Angelo Muscetta, Memorie di un commerciante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: MEMORIE DI UN COMMERCIANTE
Queste che leggerete sono le memorie di mio padre, il cav. Angelo Muscetta, morto ad Avellino a ottant'anni il 4 ottobre 1957. Le cominciò a scrivere sulla fine del 1943 e le interruppe qualche tempo dopo, forse nel '45.
Vorrei subito levarmi di mezzo, e dirvi solo che sono stato incoraggiato a stampare queste pagine dopo il collaudo di due lettori disinteressati, e di gusto e cultura diversissimi, come Eduardo De Filippo e Alberto Carocci. Ma è lecito fare appello al troppo comodo principio di autorità? Un critico, un professore deve pur spiegare per quale interesse oggettivo sia stato indotto a stampare queste cronache domestiche, riservate dall'autore alla ristretta cerchia dei suoi congiunti, «figlie, nuore, nipoti ecct. ». (Ma voi, andandovele subito a leggere, vi renderete conto da voi che non hanno bisogno di nessuna introduzione, così vitale é la presenza del protagonista e tanta è l'immediatezza delle cose che racconta, offrendoci il felice ritratto di una famiglia di commercianti m[...]

[...] subito a leggere, vi renderete conto da voi che non hanno bisogno di nessuna introduzione, così vitale é la presenza del protagonista e tanta è l'immediatezza delle cose che racconta, offrendoci il felice ritratto di una famiglia di commercianti meridionali durante l'età giolittiana).
Prima di spiegare perché le pubblico (dando a questo eccetera un'interpretazione estensiva, che forse, non sarebbe dispiaciuta al genitore) già mi sento chiedere come le pubblico, cioè se ci ho messo le mani io. Eccomi dunque impegnato ad un esercizio professionale in corpore carissimo. Cercherò di espletarlo con minima pendanteria, cioè col massimo rispetto per i lettori, per mio padre e per me stesso.
Queste memorie (il cui autografo sarà depositato presso la pedanteria, cioè col massimo rispetto per i lettori, per mio padre e pagine bianche di un bollettario del CONACER (Consorzio Nazionale Cereagricole) occupano 67 fogli non numerati. Solo in due
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luoghi, tra le carte 2930 e 6465, v'è traccia di fogli strappati: strappati dall'autor[...]

[...] «ero un pochino invidioso» (c. 4); «mettendolo» (c. 5) è sostituito da « adibendolo » (a un lavoro piú leggero); « rimase » (che in dialetto vale 'restò di Sasso') diventa « si commosse» (c. 14). Si tratta in gran parte di correzioni contestuali e immediate. Ma non mancano posteriori ravvedimenti ortografici (per es.: su traslogo, congedeva, mangò, orologgio, ipotegata), che messi insieme a innumerevoli oscillazioni, talvolta nella stessa riga (come i progetti e si proggettava) mi hanno autorizzato a eliminare un distraente (e credo, non solo per me) fastidioso colorito grafico, dove molto spesso si riflettono tipici errori di pronuncia meridionale, e incertezze di terminazioni, lasciate indefinitamente alla buona grazia (come si dice da noi) dell'orecchio di chi ascolta.
Vi dirò, in un orecchio, che avrei dovuto intervenire in forme come incomingiammo e dimendicavo, perché nessuna oscillazione mi consentiva di uniformare correttamente. I difficillimi (per i quali decet philologum pedanticum non videri, sed esse) me ne biasimeranno. Peggio per loro.
Colui che scriveva era in ritardo di molti decenni per imporsi una disciplina ortografica. Mi sia risparmiato un bilancio della
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sua scrittura. A suo attivo è già tanto registrare che non «dimendica » mai le impeccabili uscite di certi plurali come « risparmii «principii » e simili. Se « terribile » per lui é terribbile, in compenso « visibile » è vi[...]

[...]na oscillazione mi consentiva di uniformare correttamente. I difficillimi (per i quali decet philologum pedanticum non videri, sed esse) me ne biasimeranno. Peggio per loro.
Colui che scriveva era in ritardo di molti decenni per imporsi una disciplina ortografica. Mi sia risparmiato un bilancio della
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sua scrittura. A suo attivo è già tanto registrare che non «dimendica » mai le impeccabili uscite di certi plurali come « risparmii «principii » e simili. Se « terribile » per lui é terribbile, in compenso « visibile » è visibile. «Mensili » è sempre mensili; le cambiali sono qualche volta le cambiale. Se una volta gli scappa anal f abeto, poi sempre analfabeta. E non é detto che i vocaboli meno comuni siano scritti più scorrettamente. Dice i «paesi viciniori » e ironizza. su «i preliminari di pace» di un burbero benefico zio. Segni di buona volontà si notano perfino nei nomi italiani e stranieri, sicché Iclesias é raddrizzato in Iglesias, ad Ex, qualche pagina dopo, felicemente contraddice Aix, e la Bonne Mèr[...]

[...] viciniori » e ironizza. su «i preliminari di pace» di un burbero benefico zio. Segni di buona volontà si notano perfino nei nomi italiani e stranieri, sicché Iclesias é raddrizzato in Iglesias, ad Ex, qualche pagina dopo, felicemente contraddice Aix, e la Bonne Mère de la Garde di Marsiglia due volte gli sovviene, anche se un'altra volta lo abbandona a un Bonne Maire.
Per commerciante di provincia, mio padre era un uomo tutt'altro che incolto (come vedremo): senza di che non avrebbe potuto neppur concepire e comporre la sua «narrazione » (come la chiama). Sui lontanissimi rudimenti di una terza elementare interrotta al secondo mese di scuola in Italia e di un «certificat d'instruction primaire », conseguito di volo in Fran cia a tredici anni, si erano accumulate nella maturità decennali letture di tre e anche quattro quotidiani. Abbastanza per fargli scrivere correttamente «riparazione, disperazione, informa zione, soddisfazione », salvo a sbagliare nella pagina prima o nelle pagine dopo narrazzione, a f f ezzionato, eccezzionalmente. Molte di queste disattenzioni son da addebitare più alla sua foga che alla sua ignoranza: tipico, [...]

[...]vetro, guadagnando benino, da Avellino, dopo 10 mesi dalla mia nascita, si trasferirono a Benevento, Vico Carrozzieri, è con i risparmi onesti del proprio lavoro, i miei genitori impiantarono un piccolo negozio di terraglie e cristalli, che in quell'epoca credo, bastavano poco centinaia di lire, questo negozio, vuoi per la bontà, e saper fare del povero padre mio, vuoi per l'abilità eccezzionale di mia madre, progrediva, in modo invidiabile, e sicome mia madre era figlia di caffettiere, pensarti fittarsi, un basso attiguo al negozio di terraglie, ed impiantarono un piccolo civettuolo caffè che per l'abilità di mia madre, il successo fu superiore ad ogni aspettativa, tanto furono gli affari, che fù necessario prendere una cameriera di Saviano con lire 3 mensili è un garzone con lire 8 mensili, naturalmente, con tutti i trattamenti, la cameriera era di Saviano, ed il garzone di Avellino, di quest'ultimo, vi sono tutt'ora i nipoti che vivono alla ferrovia di Avellino, nel 1880 nacque la prima sorella Maria, è nel 1883 nacque la seconda sorel[...]

[...]ieri erano favolosi pur non superando mai le cento lire, è quasi tutto bronzo, monete grandi che io mi dilettavo a fare coppi da 5 lire — le mie sorelle crescevano bene, tranne Carolina che per aver preso latte cat tivo da una nutrice, era un poco malandata.
I progetti dei miei genitori erano grandiosi, si proggettava la prima chiusura a me in un Colleggio, e poi la sorella Maria, ma purtroppo, il destino per me non doveva essere tanto benigno, come in seguito narrerò. Comunque io è mia sorella Maria incomingiammo a frequentare una scola privata (perché in quellepoca) non esistevano asili infantili, e la serva ci accompagnava, e poi ad ora di pranzo veniva a rilevarci.
Che cosa ho fatto perché questa povera prosa potesse essere letta nella sua autenticità?
Innanzi tutto, integrità assoluta. Nessun taglio é stato necessario, per nessun motivo. Nessuna aggiunta. Le pochiSsime integrazioni o rettifiche sono quelle indicate con le parentesi quadre o nelle note, che sono mie. Nessun restauro sintattico, e il lettore se ne accorgerà: parecch[...]

[...]tti, in complesso, di una interpunzione approssimativa e diseguale ma non rozza, e peccante più per eccesso o per velleità che per ignoranza, lo provano malte virgole e sottolineature, destinate a sfumare, a distinguere, a ironiz
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zare, a sorprendere. Alcune di queste virgole erano da cambiare in. segni più convenienti; altre solo dislocate, e dunque da rimettere a posto. Solo il corsivo di qualche parola straniera é mio (come buffet, chef). Ma tranne un solo caso (rilevato in nota) le innumerevoli parentesi sono tutte dell'autore, che le adoperava con una disinvoltura degna di Benedetto Croce (anche se ogni tanto dimenticava di aprirle o di chiuderle).
Impossibile é stato conservare le infinite maiuscole. Donde sono venute fuori? Solo in parte è da farne carico all'abuso che se ne faceva nell'Era Fascista. Si tratta a volte di maiuscole abitudinarie (per es. Rosolio, Anice e Rhum, come in una fattura commerciale). Moltissime son di natura affettiva, di amore per i congiunti che va fino a certi Lei, riferiti alla [...]

[...]Ma tranne un solo caso (rilevato in nota) le innumerevoli parentesi sono tutte dell'autore, che le adoperava con una disinvoltura degna di Benedetto Croce (anche se ogni tanto dimenticava di aprirle o di chiuderle).
Impossibile é stato conservare le infinite maiuscole. Donde sono venute fuori? Solo in parte è da farne carico all'abuso che se ne faceva nell'Era Fascista. Si tratta a volte di maiuscole abitudinarie (per es. Rosolio, Anice e Rhum, come in una fattura commerciale). Moltissime son di natura affettiva, di amore per i congiunti che va fino a certi Lei, riferiti alla madre o al « primo amore », e per i vari Zii, che vegliarono sul destino dell'autore e gli combinarono due matrimoni, come usava anni fa, con costume da vecchia Cina. Altre volte son segni di riguardo per i notabili, dal Caporeparto al Console Generale, dal Canonico al Notaio, ai Dottori (più o mena abusivi). Ne ho tenuto conto, perché il protagonista li colloca al loro posto sulla scala sociale che fu ben deciso ad ascendere e ciò valeva anche e innanzi tutto per il Capo Treno delle FF. SS., Carlo Recine, cognato e poi suocero, col quale egli fu orgoglioso di « apparentare » due volte (era una famiglia di piccoli proprietari terrieri, più indigenti che agiati, ma « apparentati » a loro volta a « veri signori », [...]

[...]to sulla scala sociale che fu ben deciso ad ascendere e ciò valeva anche e innanzi tutto per il Capo Treno delle FF. SS., Carlo Recine, cognato e poi suocero, col quale egli fu orgoglioso di « apparentare » due volte (era una famiglia di piccoli proprietari terrieri, più indigenti che agiati, ma « apparentati » a loro volta a « veri signori », cioè a gente avvezza a vivere di rendita o sul lavoro dei contadini).
Spesso queste maiuscole brillano come l'equivalente grafico di una impostazione enfatica della voce. Io la risento, mi risuonano profondamente care. Credo di intenderne quasi sempre il motivo. Ma non posso pretendere che il lettore le apprezzi e se ne giovi per seguire l'« odissea» dell'autore, varcando il tempo e lo spazio sulla cresta della sua ondosa calligrafia, dalla « BronchitePolmonitePleurite » di mio nonno Amato, sino alla costruzione del nuovo «fabricato », dove mio padre nei primi anni dell'altro dopoguerra investi i suoi profitti di congiuntura, sistemando i primi
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due figli sposati che [...]

[...], che abbondano e non sono certo superflue in questa prosa. Quasi mai sono ridotte a lettere. Salvo la correzione di qualche data e fatte le debite concessioni alle consuetudini grafiche e tipografiche, le ho scrupolosamente collazionate. Salari, prezzi, somme di ipoteche, pegni, prestiti, cambiali, vincite, percentuali coStellano questo piccolo mondo mercantile: son cifre che brillano remote nei cielo mutevole e avventuroso che lo sovrasta.
Ma come mai a quest'uomo di poche lettere e di molti numeri venne in mente di scrivere la sua autobiografia ? E perché se ne svogliò, affrettandone la conclusione?
«Queste noiose mie memorie» (dice a un certo punto con uno dei suoi più colti stilemi). Era sul serio sospetto senile d'esser con
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siderato un uomo ormai d'altri tempi? O più probabilmente civettava, affettando il dubbio che gli stessi familiari potessero leggerle con interesse?
In verità ce le aveva raccontate già molte volte a pezzi e bocconi, per intrattenimento conviviale. Ma noiose non ci erano parse affatto, nono[...]

[...]io fratello minore, ufficiale a Rodi e prigioniero, se vivo, chissà dove; io a Roma, di là dal fronte che ha spezzato l'Italia in due, mentre i Tedeschi e i fascisti contendono il passo agli Alleati e alla Liberazione. Nelle noiose sere di guerra ben poco gli offre da leggere la sola carta stampata a cui era avvezzo e che predilegeva. Dinnanzi a un futuro incerto, in un presente vuoto e angoscioso, le sue superstiti energie non tardano a trovare come applicarsi. Ha sempre un'immensa fiducia in se stesso. Ma che cos'è il se stesso di un vecchio ? E' innanzi tutto la sua vita, il suo passato. E cosí egli scopre che la sua più grande ricchezza è ora nella memoria: nella capacità di ricordare e nel cumulo dei ricordi. Potrà ricostruirsi coi suoi figli un'altra azienda, ma sarà più loro che sua, per forza di cose. E' il suo passato che è ancora tutto suo, e nessuno potrà portarglielo via. Sue sono le sventure che ha saputo superare, Sue le fortune che ha saputo cogliere con prontezza, la fiducia che ha saputo meritarsi, il credito che si è sap[...]

[...]oro che sua, per forza di cose. E' il suo passato che è ancora tutto suo, e nessuno potrà portarglielo via. Sue sono le sventure che ha saputo superare, Sue le fortune che ha saputo cogliere con prontezza, la fiducia che ha saputo meritarsi, il credito che si è saputo conquistare, i clienti che é riuscito ad avere: lui, il « figlio d'oro », Angelina, Angiolillo, don Angelo, il cav. Muscetta. E non ha altro modo di essere felice se non ricordando come era stato felice anche allora che era « nullatenendo » e aveva dei pa
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droni a cui render conto. E così si mette a scrivere ponendo in azione il suo io, che già al quinto rigo schizza fuori con una vitalità inarrestabile: « dopo dieci mesi dalla mia nascita... » sta per scrivere cc ci » ma poi corregge « si trasferirono ». A stento trattiene per le dande l'impazientissimo protagonista.
Il piacere di ricordare, di recuperare intatta questa sua ricchezza é tanto più intenso perché tra il presente ed il passato si stabiliscono dei rapporti tanto più romanzeschi, perché veri: [...]

[...] via Littorio, con i bombardamenti ». Il seguito é quello che vi ho detto io (saccheggio, distruzione dell'azienda) ma nelle memorie non c'è scritto, non se ne parla mai. Ciò che più lo tormenta gli si sprofonda dentro, ci allude di passata ma rimanda il racconto a suo tempo. E invece, una volta indicato l'aspetto meraviglioso di questa coincidenza (« la data fatidica »), la memoria vuol godere a raccontare tutto ciò che é «incredibile ma vero» (come lui dice e non si stanca di ripetere più volte). E così questo lettore immalinconito dagli squallidi giornali di guerra, per appendice quotidiana si mette a narrare a se stesso il suo romanzo di intrattenimento. E dove avrebbe potuto trovare una più bella materia?
«L'alcool, ricordo benissimo, costava L. 1.15 ». Sembra una favola rispetto ai vertiginosi prezzi raggiunti da questo «articolo » con l'arrivo degli Alleati. Civili e militari avevano rubato migliaia di bottiglie idi liquori dai suoi depositi e magazzini. Che sarebbe stasta una ricchezza enorme, rapportata all'inflazione. Ma il cav[...]

[...]enna a proposito di spettacoliammirati al San Carlo, son da mettere accanto ad altri riecheggiamenti antonomastici e fraseologici. Coi libri non dovette mai avere molta familiarità. Ricordo che quando ero ragazzo a casa mia c'erano I Miserabili in edizione illustrata, La Madre di Gorki, che ancora conservo (Era un libro carissimo a mia madre. Lo leggeva con tanta passione, struggendosi al pensiero del fratello socialista, cacciato dalle ferrovie come sciope rante protervo e riparato a Bengasi, dove faceva il macchinista). Di mio padre erano sicuramente una voluminosa pubblicazione popolare sul processo Cuocolo (ricca di incisioni, dai colori simili alle pellicole del tempo, in seppia, in rosa, in verde), e la traduzione di un manuale americano di ipnotismo, inviatogli da un suo amico di Broccolino. Una volta gli sentii dire che aveva letto le Ultime lettere di Jacopo Ortis, e non era stato il dramma patriottico ad impressionarlo, ma quello sociale, perché anche lui, «nullatenendo» era stato tentato dal suicidio per non poter realizzare il[...]

[...]tto le Ultime lettere di Jacopo Ortis, e non era stato il dramma patriottico ad impressionarlo, ma quello sociale, perché anche lui, «nullatenendo» era stato tentato dal suicidio per non poter realizzare il suo sogno d'amore (e ne troverete un cenno di conferma nelle memorie). C'erano anche .i Promessi Sposi, nell'edizione che recava interlineate le correzioni del 1840. Ma trovai questo libro, più di studio che di lettura, « in stato di nuovo » (come dicono i librai). Era infatti un libro scolastico che il mio primo fratello dovette subito metter da parte a 17 anni, e quando tornò dalla guerra lo sostituì con letture molto più amene, tipiche del tenentino Don Giovanni 1919 (dai romanzi di Zuccoli, Guglielminetti, Oriani, Da Verona, Pitigrilli alle prose ideologiche di D'Annunzio e di Mario Mariani). Mio padre restò fedele ai suoi gusti se non più sani, più ingenui. Romanzi d'appendice e letteratura a dispense, di questo certamente si nutri. E i suoi
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classici li lesse sul popolare giornale napoletano che ai suoi inizi r[...]

[...]era originale e tutta vera, anche se forse da bambino potè aver letto la celeberrima, esemplare pagina di Jacques Laffitte, il giovane che fu visto raccogliere uno spillo e perciò divenne impiegato e poi erede universale di un banchiere, e banchiere lui stesso. Se mai lesse tra i libri dei figli il Cuore deamicisiano, avrebbe potuto ritrovarsi in questo o in quel personaggio, volitivo e generoso, capace di dedicarsi con « una passione violenta» (come lui scrive) allo studio e al lavoro, alla famiglia e al commercio. Che a tredici anni facesse il fattorino (o come dice lui il «commissionario ») di un negoziante di scarpe, e a quaranta il mediatore, questo era per lui sempre un « lavoro ».
E' uno schietto borghese senza spocchia ma anche senza servilismo, che si sente sempre popolo, senza distinzioni di classe. Egli ha perfettamente assimilato la mitologia radicale del lavoro che «nobilita l'uomo », nonostante le differenze e magari gli abissi che separano chi vive di salario e chi vive di traffici. Una volta gli scappa una parola sintomatica: « avrei potuto sfruttare il vicinato per la riparazione delle scarpe ». E' una parola altrettanto impropria pe[...]

[...]che senza servilismo, che si sente sempre popolo, senza distinzioni di classe. Egli ha perfettamente assimilato la mitologia radicale del lavoro che «nobilita l'uomo », nonostante le differenze e magari gli abissi che separano chi vive di salario e chi vive di traffici. Una volta gli scappa una parola sintomatica: « avrei potuto sfruttare il vicinato per la riparazione delle scarpe ». E' una parola altrettanto impropria per un giovane ciabattino come il «lavoro» per un commerciante. E sono significativi spropositi, spie di tutta una concezione borghese della vita che si esalta in balzacchiana mistica della volontà, ma al tempo stesso sente il bisogno di giustificarsi moralmente al cospetto della nuova classe in ascesa, il proletariato, e si fa pusilla, e pone volentieri l'accento sulle umiltà delle origini, con superlativo orgoglio (« dimenticavo dirvi che l'inizio fu meschinissimo »...). Siamo tutti lavoratori e tutti possiamo essere in qualche modo sfruttatori, in una ben oleata fluidità dei rapporti di classe. Altrettale buffo scambio [...]

[...]erò di contro a tanto lavoro e tanti sagrificii vi era l'incoraggiamento del guadagno ».
Questa unzione con la quale mio padre così spesso parla del « travaglio continuo » di una vita « sempre piena di sagrificii, di lavoro, di privazioni » e che non « concepiva il lusso », è sincerissima e veridica, ed egli non si stanca mai d'insisterci, anche perché nelle sue pagine ci sono esplicite intenzioni educative. I suoi sono ricordi e « documento », come quelli dei toscani vissuti nell'età d'oro della borghesia. Riflettono un costume di austerità, più vicino a quello dell'età comunale che a quello dei nostri tempi, e che ormai si sarà estinto anche in molte zone arretrate. Mi torna alla mente un'immagine emblematica di siffatto costume, un anello di metallo bianco, che mio padre amava più di qualsiasi altro oggetto prezioso. Recava un piccolo ferro di cavallo, era il suo blasone e il suo amuleto. E (panda leggo nelle sue memorie «fidavo nel destino e nella Provvidenza », «affidai il mio destino alle preghiere » lo vedo aggrappato a una fede q[...]

[...]suo blasone e il suo amuleto. E (panda leggo nelle sue memorie «fidavo nel destino e nella Provvidenza », «affidai il mio destino alle preghiere » lo vedo aggrappato a una fede quale si era caratterizzata già da molti secoli, quando sui primi mercanti del nostro Paese fortuna e sfortuna, destino e Providenza incombevano in un nuvoloso miscuglio di superstizioni stoiche e fideismo cristiano.
Credente, ma non bigotto (anzi, misurato anticlericale come i borghesi più intelligenti del tempo), egli trovava nel libro mastro della vita la partita doppia di una sommaria teodicea, dove i conti tornavano perfettamente: « ho conosciuto momenti molto umiliativi, ma in compenso, la Provvidenza mi ha dato come contropartita delle grandi soddisfazioni ». La prima Guerra Mondiale « sentita dal tutto il popolo Italiano » gli strappa dal fianco il suo primogenito (e poi glielo restituirà irrequieto, instancabile vagheggiatore di « mammiferi di lusso », e comodo marciatore su. Roma nei vagoni di terza classe messi a disposizione dei fascisti dal governo Facta). Ma d'altra parte ottiene l'esonero, glielo riconfermano, ed egli non solo ha « l'agio di guardare » la sua azienda, ma, incaricato degli acquisti per l'Ente Autonomo Consumi, riscuote l'elogio del prefetto perché non fa mancare mai gli ap
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[...]argli lo schema costruttivo più solido che egli possa pensare. L'immagine della piramide DioPatriaFamiglia (dove la famiglia e i suoi interessi e il suo capo si collocano, naturalmente, al vertice) segna il termine ideale concretissimo di questa narrazione che si svolge all'incirca per un trentennio, dagli anni 90 in giù. Gli eventi storici son visti accadere ai margini, se non a pro' del cc particulare» di questo molto positivo eroe, che narra (come dice) la sua a ascesa a gradazione ». E' un epos domestico; pure non vi mancano i riflessi più o meno immediati di quanto caratterizza il volto di quegli anni. S'intravvede l'atmosfera storica della crisi fin di secolo, e poi quella operosa, calda, ottimistica dei primi del Novecento, l'Italia della « buona vita » che raggiungeva il pareggio grazie all'emigrazione, si espandeva a Tripoli bel suol d'amore e sembrava uscir trionfante dopo la guerra vittoriosa. Era il mondo del quale il ballo Excelsior apparve come l'epifania sublime, il preannuncio.
Ma per il nostro autobiografo, che si dimost[...]

[...]e non vi mancano i riflessi più o meno immediati di quanto caratterizza il volto di quegli anni. S'intravvede l'atmosfera storica della crisi fin di secolo, e poi quella operosa, calda, ottimistica dei primi del Novecento, l'Italia della « buona vita » che raggiungeva il pareggio grazie all'emigrazione, si espandeva a Tripoli bel suol d'amore e sembrava uscir trionfante dopo la guerra vittoriosa. Era il mondo del quale il ballo Excelsior apparve come l'epifania sublime, il preannuncio.
Ma per il nostro autobiografo, che si dimostra uomo di viva immaginazione e pronta sensibilità, l'espressione coreografica e musicale più popolare del liberty era «una esagerata Bellezza », qualcosa di ineffabile che trascende il gusto del reale a cui l'educò la sua esperienza letteraria più continuativa e più intensa: quella (come si è già detto) dei romanzi d'appendice, col loro verismo di epigoni rozzi e retorici, col loro misto di situazioni melodrammatiche e coincidenze mirabolanti, col loro linguaggio fattizio, atteggiato e stereotipato.
cc Quando fu udito lo scoppio della pistola, l'orologio segnava le undici della notte del 2 gennaio 1848, lo stesso giorno e la stessa ora in cui nove anni fa era morto Giorgio Bartoli ». Cosi
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finisce Sotto altro cielo di Francesco Mastriani. La più importante, ma non la sola di analoghe meravigliose coincidenze si legge sul bel principio delle me[...]

[...]a battere all'unisono, e bastò fra noi due un furtivo sguardo »...). Ecco il viaggio per il fidanzamento ufficiale (« nolleggiammo una carrozza chiusa e partimmo alla volta di Montefuscò »). Ecco l'intervento deciSivo dello zio, tutore della fanciulla orfana («lo zio Bocchino Si alzò e disse ai famigliari tutti: — Io per conto mio, e ne assumo piena responsabilità, son del parere di dare in sposa mia nipote Vincenzina ad Angelo Muscetta, povero, come voi volete, ma ricco di esperienza, e soprattutto onesto lavoratore »). Ma non voglio anticiparvi altri episodi eroificanti, dove le immagini e il linguaggio son visibilmente atteggiati a poetica dignità e moralità (« presi commiato dal mio tesoro: distacco doloroso, ma necessario, perché ho conosciuto da che era piccolo, solo il senso del dovere, e poi eventualmente il senso (se pure) del diritto, e in
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compagnia dell'alba che si schiudeva mi incaminai a piedi... ». Il contesto da cui tolgo queste espressioni vi mostrerà tuttavia che il nostro caro autobiografo non scade n[...]

[...]ra piccolo, solo il senso del dovere, e poi eventualmente il senso (se pure) del diritto, e in
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compagnia dell'alba che si schiudeva mi incaminai a piedi... ». Il contesto da cui tolgo queste espressioni vi mostrerà tuttavia che il nostro caro autobiografo non scade nel sussiego melodrammatico e spocchioso, che è proprio degli scrittori della domenica. Le scene patetiche si avvicendano a piccole comiche, esilarate per candore, come nell'infanzia del cinema. E anche quando egli ha molte ragioni per rappresentarsi turbato dalla sua più amara esperienza (lo zio presso il quale lavorava, in seguito a lettere anonime lo aveva sospettato di furto e costretto a spogliarsi nudo per perquisirlo) prevale un popolaresco lieto fine (« ma c'erano delle buone salzicce per cena, e con supremo sforzo feci venire il buonumore »). Una cordiale atmosfera di fortunaassistimiinvidiacrepa investe nel racconto anche qualche rara figura di impotente « cattivo » che vorrebbe ostacolare il protagonista sulla via del successo. E qui la stessa pov[...]

[...] episodi. E anche ciò fa parte del meraviglioso popolareborghese che si accumula nel racconto. Durante il primo matrimonio la sua condizione economica di subalterno ed erede putativo, anche se probabile e poi effettivo, del terribile zio dal cuore d'oro, gli fa passare ore drammatiche e umilianti, anche per il lavoro a cui è costretta la sua delicata e gentile Vincenzina. Il secondo matrimonio con una ragazza senza dote, ma (requisito importante come egli ammonisce nel corso del racconto), con molte doti di laboriosità, a cominciare dal viaggio di nozze è vissuto « con più agiatezza ». E poi zia Angela Rosa (l'affettuosa vedova di zio Sabina) e la cara Amelia diventano
provette » commercianti accanto a lui, in un'azienda ormai tutta sua, che prospera a gonfie vele. Il senso di questo ritmo narrativo si manifesta anche nell'iterazione di frasi epiche (« eravamo tanto felici da invidiarci vicendevolmente », dice della prima moglie) opportunamente variate (« eravamo tanto felici, che abbracciavamo il lavoro a pieni mani », dice di mia madre[...]

[...] del Garrone di De Amicis, del commerciante nato e del ragazzo più adulto dei suoi anni, prudente e mite, ma generoso negli affetti e nell'adempimento dei suoi doveri ? Non direi. Se la sua vita fosse solo e sempre tesa nel realizzare « l'idea predominante » cioè « diventare grossista », neppure le qualità positive di Garrone sarebbero valse a cancellare certe odiosità caratteristiche nella tensione mistica dei volitivi. «Procace in esperienza» (come dice buffamente di sé : precoce e un po' sfrontato), questo ragazzo nei suoi slanci virili e nei suoi accorgimenti conserverà sempre una civetteria infantile, un desiderio di piacere a tutti, che si fa valere anche nel racconto, con una carica di vitalità degna di un personaggio poetico. E tale sarebbe riuscito, se l'autobiografo avesse potuto conquistarsi la pienezza dei suoi mezzi espressivi, e non si fosse fermata alla prima e sommaria caratterizzazione del piglio, del gesto, della macchietta, dei motti, che pur sono suoi e restano inconfondibili.
Mio padre non risparmia le sue consideraz[...]

[...]zazione del piglio, del gesto, della macchietta, dei motti, che pur sono suoi e restano inconfondibili.
Mio padre non risparmia le sue considerazioni e i suoi ammonimenti anche perché ogni autobiografia comporta un proposito educativo. Ma egli, sebbene abbia di sicuro taciuto particolari di sé o di altri, che non considerava edificanti, innanzi tutto e per prima cosa fu portato a narrarli (anche se poi Strappò le pagine). Minuzioso e scrupoloso come un cronista, è anzi preoccupatissimo di non essere creduto, e si affanna a dire « credetemi », e anzi invoca ora questo ed ora quel testimone, con nome cognome e indirizzo. Tuttavia queste ingenuità non cancellano la vivacità dell'idoleggiamento artistica che egli pone nel dipingersi e che gli viene dalla consapevolezza di un suo primitivo dono estetico, un lieto incanto di fronte a se stesso e agli altri, la gioia di mirarsi
e di farsi ammirare. Come potrete vedere, in questa autobiogra
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fia, dalle prime pagine all'ultima, ciò che mio padre più mostra di pregi[...]

[...] cronista, è anzi preoccupatissimo di non essere creduto, e si affanna a dire « credetemi », e anzi invoca ora questo ed ora quel testimone, con nome cognome e indirizzo. Tuttavia queste ingenuità non cancellano la vivacità dell'idoleggiamento artistica che egli pone nel dipingersi e che gli viene dalla consapevolezza di un suo primitivo dono estetico, un lieto incanto di fronte a se stesso e agli altri, la gioia di mirarsi
e di farsi ammirare. Come potrete vedere, in questa autobiogra
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fia, dalle prime pagine all'ultima, ciò che mio padre più mostra di pregiare in se stesso e di amare di più nella vita è la sua forza espansiva di « simpatia » premessa sicura di « fiducia ». Il danaro viene dopo, anche se non è poco importante per chi vuol cogliere il frutto del suo lavoro (come salariato o commerciante) e si applica senza soste nella sua « ascesa a gradazione » .
Ciò che rende sugoso e non banale il racconto delle vicende sono le molte « trovate » che egli escogita con infallibile successo e che sono sempre « gioviali » sempre circonfuse di questo candore di buona stella che riluce in ogni circostanza. Sia quella di un tragico natale di fame, risolto con un furto di verdure; sia la recita delle canzonette improvvisate agli emigranti, nel buffet di zio Sabino, quando con la complicità di allegri amici ferrovieri spilla ancora un po' di quattrini agli avventori, « ri[...]

[...]ere facevano a gomiti » in una festa di batteSimo, per raccogliere i soldini lanciati dal compare) si porta con Sé una deliziosa verve bouffonne, un piacere di dar spettacolo, di far convergere gli occhi su di lui, fino a quando sarà vecchio (Spirito Santo a parte, somigliava tanto a papa Giovanni). E ne é consapevole abbastanza da controllarsi con misura di attore, si da non abbandonarcisi con la stupidità del vanesio che si pavoneggia (vedrete come è pronto a cogliere e sfruttare la «vanità» altrui!). In tutto quel che riesce a combinare porta sempre una gran passione e una grande serietà, pur col gusto di offrirsi in ispettacolo agli altri. La simpatia si converte in fiducia e la fiducia in denaro, in buoni acquisti e ottime vendite. Quando in una fiera si mette a mangiare spaghetti in un orinale di porcellana, non è solo per aumentare le vendite con questa pubblicità da baraccone: «Mettevo (dice) in armonia quella gente di paese che vivevano vegetando ». In questo saper mettere in armonia gli altri, gioca sempre
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be[...]

[...]ce con un'eco sommessamente compiaciuta d'opera buffa), tutti volevano Angelina».
I ferrovieri del buffet lo canzonavano ammirati:
ma non songo li bellizzi
songh'e tratti ca tu tieni...
Ciò vale anche per il narratore. Non sono le bellezze da ricercare in questa prosa. Ma i tratti, i modi avvincenti di questo documentario racconto popolare ci compensano dalla povera forma che non «sufraga ». L'autore stesso l'avverte confusamente: si è visto come s'attacca alle maiuscole, ai procedimenti del romanzo d'appendice a locuzioni o a vocaboli che gli sembrano più elevati. I relitti del parlato affiorano in alcuni dialettismi e nella sintassi approssimativa e frettolosa di qualche periodo. Ma se ignora ogni nozione di purità (e ricorre al relazionare, e a calchi più o meno pesanti come commissionario e gattò di mariaggio) il suo « simpatico » maestro francese gli ha insegnato che cos'è il patois e che cos'è la lingua letteraria. Sicché quando cita parole o detti dialettali li sottolinea per distinguerli dalla sua prosa che non diversamente dagli scrittori più popolari (incluso Mastriani, incluso lo stesso De Amicis), ha sempre un po' il debole di indomenicarsi, di mettersi addosso il vestito migliore a disposizione. Perciò sulla semplicità estrema della forma narrativa risalta un linguaggio pieno di echi non diciamo libreschi, ma cartacei, proprio di chi ci tiene a distingu[...]

[...]re: « a prenderci », gli sembra meglio « a rilevarci ». E « sedermi a mensa » gli par necessario, per un banchetto imbandito da « veri signori ». L'aspirazione a un più borghese scrivere civile
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lo sollecita verso una continua disposizione a forme di ipercorrettezza. Non meravigliatevi quindi se cercate la penna di un (( nullatenendo» e vi trovate dinanzi quella di un cavaliere, che a parte neologismi e tecnicismi (come cementane, alienare) non diciamo che sfoggia il suo peculio lessicale, ma anche in fatto di lingua vorrebbe dimostrare che non ignora cosa sia la proprietà. Un rimorso lo turba alla fine del racconto del «prima episodio» della sua vita, ma aggiunge: « se rimorso si può chiamare ». E in effetti la parola non è quella giusta. Quando accenna alle manie della sua « astuta » e sempre « giuliva » madre, le chiede di perdonarlo dall'aldilà per le cc accuse necessarie per la narrazione esatta ». Accuse ? Allora perdonami anche tu, padre mio. In verità, detto fra noi mi piacciono tanto anche i tuoi sp[...]

[...]alla fine del racconto del «prima episodio» della sua vita, ma aggiunge: « se rimorso si può chiamare ». E in effetti la parola non è quella giusta. Quando accenna alle manie della sua « astuta » e sempre « giuliva » madre, le chiede di perdonarlo dall'aldilà per le cc accuse necessarie per la narrazione esatta ». Accuse ? Allora perdonami anche tu, padre mio. In verità, detto fra noi mi piacciono tanto anche i tuoi spropositi. Anche di un padre come te, come dicevi tu della nonna, ce n'è uno solo. Ma una critica esatta ha pure i suoi diritti. Non sei il solo a dire «tutti profani » per dire « incompetenti ». Ma ti sei fatta un'idea un po' personale di certe parole: « con l'attenuante di aver fatto un disastroso viaggio »... «feci in cinque minuti succintemente la mia toiletta »... « solo oggi concepisco »...). Si capisce benissimo quel che vuoi dire, ma è im po' buffo, tosi come quando dici: «educazione Benina », « primizia moda » e « primizie portate», che sono certo un po' troppo audaci, anche se meno audaci di «qualcuno lo aveva insinuato» e «momenti umiliativi ». A tuo conforto però devo dirti che a volte si resta rapiti dalle tue « trovate » che riescono a gioviali » per la loro estrosità linguistica. Come quel « forte diluvione » e quel « procace in esperienza ». Per non dire di altri luoghi dove si dubita che lo scorso di penna possa essere stato un vero lapsus: come quel « buon padre che rimane sempre uguale per tutti » e volevi dire che i figli sono tutti uguali (ma non é la stessa cosa: a meno che tu non avessi una concezione un po' piramidale del padre e dei figli). Ma qui e altrove forse ci vorrebbe il dottor Freud (come dice il Calvero di Chaplin). E io ho già sdottorato abbaStanza. E devo scursamene non solo con te, ma col lettore.
Il lettore sarà certo impaziente di conoscere questo personag
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gio della prima età chapliniana, ingenuo e malizioso, che anche quando scivola sulla mattonella di una parola troppo lustra, o inciampa nella sintassi per evidente emozione, sorride con noi,
e si consola al pensiero che ci ha messo in armonia: « fui ricevuto molto benevolmente col sorriso sulle labra, compiacendosi della mia sveltezza... » Le moi est adorable. Lasciamo pure a Pascal la voglia di m[...]

[...]bilità » di sua madre. Ed egli gode a dipingersi quale fu. Data l'impossibilità (oltre che l'inutilità) di interrogare i suoi testimoni, crediamo che egli sia riuscito a rappresentarsi con verità, giustamente mettendo in primo piano tutto se stesso, con la sua infantile improntitudine e i suoi virili pudori, col suo riso
e col suo pianto: «Credetemi, non esagero, correvo nella latrina della ferrovia, e sfogavo a pianto tutta l'umiliazione »...
Come l'io rappresentato, anche l'io che narra non rinuncia a dissimulare le sue debolezze. Tali sono le dichiarazioni di ineffabilità su quel che vorrebbe e non sa esprimere, come la vista dal porto di Napoli all'emigrante che ritorna in un mattino d'estate, o il suo dolore provato per la duplice morte della moglie e del padre. E tali sono i suoi numerosi appelli al lettore, che interrompono l'oggettività del racconto. Spetta a noi di non pretendere che possa essere venuto fuori uno scrittore, quando si tratta solo di un grossista in provvisoria rovina che eccezionalmente si è messo a fare l'autobiografo dilettante, e alle sue tenerezze di figlio, di marito
e di padre concede qualche rapida postilla « in momento di narrazione ». Divagazioni vere e proprie non ce ne so[...]

[...]he infine si arrende alle intercessioni della moglie Angela Rosa e al nipote. Il quale diventa suo erede universale, anche perché non ha le sue vanità, non confonde la beneficenza col commercio, riesce a conciliare i suoi affari con i suoi affetti, conoscendo l'arte di tramutare in beni mobili ed immobili i beni che ha avuto in dono dalla sorte, o (se Si vuole) dal buon impasto che riuscirono a mettere insieme il padre e la madre. Forse le fate, come nel celebre poemetto in prosa di Baudelaire, a questi due bottegai chiesero quale dono preferissero quando gli nacque Angelino. Ma poiché erano borghesi veri (e non fantocci polemici di un populismo quarantottesco) si erano contentati che « il dono di piacere » arridesse al destino del « figlio d'oro » (come lo chiamava mia nonna) : « l'unica Spalla forte » (come diceva nonno Amato, che in queste memorie vive solo di riflesso, circonfuso di tenerezza, ma, almeno una volta, in una immagine di lirismo straordinario per una prosa tutta fatti, 'la sera in cui il piroscafo attracca a Marsiglia...).
L'ultima pagina del racconto in qualche modo lo compie, can. le gesta del nostro fatato personaggio, in un episodio abbastanza significativo: l'incontro con un grande commerciante di vini che, rovinato dai saccheggi dei tedeschi, sul finire della prima guerra mondiale, aveva ripreso i suoi traffici ed era venuto dalla Francia a fare acquisti in Italia: «volle c[...]

[...](( la gioia di aver guadagnato in tre giorni L. 5.000 » gli fa dimenticare di inserire una clausola nel contratto, in modo che le percentuali potessero riguardare tutti gli acquisti e non solo il primo vagone. Ecco un tratto che dipinge tutto un carattere e dà un suggello al colorito prevalentemente (( comico » di questa autobiografia.
Quando si giunge alle pagine finali, si resta col duplice rammarico che siano tirate via e che s'interrompano. Come mai nel racconto mio padre dimentica tante cose, e certo non trascurabili? Capoelettore del deputato liberale del luogo, (l'on. Alfonso Rubilli, rimasto poi sempre fedele al suo Giolitti), era divenuto consigliere comunale, nel 1921. E anche il nuovo regime lo corteggiava: il 21 dicembre 1922 il ministro per l'industria e il commercio gli mandava la nomina che avrebbe fregiato ormai la sua ditta: « cav. Angelo Muscetta e figli »...
Perché finiscono queste memorie ? Mi sorprendo a pensare come e se avrebbe raccontato questo o quell'epiSodio. Non potrò mai dimenticare le elezioni del '21, quan[...]

[...]ose, e certo non trascurabili? Capoelettore del deputato liberale del luogo, (l'on. Alfonso Rubilli, rimasto poi sempre fedele al suo Giolitti), era divenuto consigliere comunale, nel 1921. E anche il nuovo regime lo corteggiava: il 21 dicembre 1922 il ministro per l'industria e il commercio gli mandava la nomina che avrebbe fregiato ormai la sua ditta: « cav. Angelo Muscetta e figli »...
Perché finiscono queste memorie ? Mi sorprendo a pensare come e se avrebbe raccontato questo o quell'epiSodio. Non potrò mai dimenticare le elezioni del '21, quando vidi mio padre schiaffeggiare un omone che era il doppio di lui, un contadino che, sottoposto come gli altri elettori a diligente perquisizione (nell'uffizio elettorale messo su in un (( basso» di casa nostra), era stato trovato in possesso della scheda di un altro partito. Benché si comportasse slealmente, voleva tentare di esercitare il suo diritto di voto. Ma evidentemente per il nostro borghese e per i suoi leaders i contadini appartenevano all'elettorato da avviare, per dir così, paternalisticamente sulla via liberale alla democrazia. Altra cosa era il diritto degli elettori non subalterni. Ricordo che con non minore energia, durante le elezioni del 1946, a un frate che gli chiedeva i[...]

[...]i credente, non per disputare di politica.
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Ma a me non spetta d'integrare queste memorie paterne, che non son certo se siano state interrotte per caso, e se proprio siano da considerare incompiute, quando smise di scrivere.
Mio padre aveva altro da fare. Aveva ripreso i suoi traffici. Aveva anche lui la sua azienda da ricostruire dopo i danni e i saccheggi della seconda Guerra Mondiale, e si era messo a viaggiare come il suo amico di Epinal, da bravo commerciante che non poltrisce. Trattando con lui, aveva fatto fruttare il suo francese, imparato da un maestro al quale era riuscito cc molto simpatico ». Ora metteva a frutto l'esperienza di quell'incontro, e rico minciava daccapo. La sera, sulla sua scrivania c'erano molti giornali da leggere, e molte amlire da contare, e la distinta da compilarsi per il versamento alla banca. Valevano meno, tanto meno delle lire dell'altro dopoguerra, e molto meno dei soldoni di bronzo con l'effige di Re Umberto, che bambino si dilettava ad ammucchiare. Ma non erano fuori [...]

[...] fuori corso, valevano di più della carta bianca da riempire con i ricordi. Primum vivere, e poi biografarsi.
In agni autobiografia gli anni che arrivano sino alla virilità finiscono per attirare naturalmente di più ogni narratore. Ma nel caso di mio padre c'erano altri motivi, che avrebbero potuto turbare quel sentimento di u ascesa a gradazione» che gli faceva callacare le sue cronache domestiche in un contesto storico ottimistico. Credo che, come il suicidio di mia madre doveva essergli rimasto un fatto inspiegabile, che contraddiceva atrocemente al gioioso slancio vitale della sua natura, così la catastrofe a cui era stata portata l'Italia doveva sembrare un gesto suicida della borghesia alla consapevolezza approssimativa, rozza, ma vivace che mio padre aveva del suo tempo. Interrotte li quelle memorie serbavano le illusioni più felici dell'età giolittiana, quando tutto sembrava in succhio, e nessuna crisi irreparabile. Di troppe cose del prossimo passato avrebbe dovuto affliggersi continuando a scrivere. E poi, quando si ritirò defi[...]

[...] in succhio, e nessuna crisi irreparabile. Di troppe cose del prossimo passato avrebbe dovuto affliggersi continuando a scrivere. E poi, quando si ritirò definitivamente dagli affari, troppe cose lo angustiavano nel presente e nel futuro della sua famiglia,
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della sua azienda, e di se stesso. Aveva cento acciacchi da cui non riuscivano a proteggerlo, non dico i santuari più accorsati (che
nel dopoguerra egli apprezzava tanto, come aziende prospere e in espansione) ma nemmeno il suo valentissimo medico che lo curava con affetto più che filiale, l'ultimo amico conquistato per forza di «simpatia ». A lui rispondeva, spesso, ripetendo il motto che a quattrocchi aveva pronto durante il fascismo, quando gli affari andavano male, e il suo contraddittorio atteggiamento nei confronti del regime era passato dal cauto consenso all'aperta preoccupazione: « Come va, Cavaliere? » « Meglio, molto meglio dell'anno venturo ».
Sopravviveva con grande stento e tenuto su con cento farmaci grazie alle cure della povera figlia Vincenzina, essa stessa immagine di pene immedicabili, e tanto più crudeli, quanto più un uomo é forte, com'era mio padre.
Capii meglio la sua tempra quando lo vidi l'ultima volta sul letto funebre, prima che lo tumulassero nella « cappella gentilizia », al cui ingresso si legge il latino (1942) di una elegiaca protesta: mors iniquo saeclo optima rerum.
Era il giorno che fu lanciato lo Sputnik. E mi parve che tutti i padri se ne foss[...]

[...]he mi fece ripensare all'impronta laida, vista per l'eternità da Stendhal sul vivo volto del banchiere Torlonia.
Ma mio padre non fu soltanto un uomo d'affari, fu un uomo. E anche a lui, modestamente, sarebbe convenuto, per la sua capacità di rivolgersi a tutti, l'epiteto che Omero attribuiva al suo « politropos » Ulisse. Una qualità che è fondamento umanistico di ogni umano « commercio ».
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C'è un a ricco vulgo » (come lo chiamava Foscolo), che ha sepoltura, prima di morire, nella sua stessa miserabile banalità. Angelo Muscetta nelle sue memorie vive ancora, ricco della sua raggiante felicità di vivere. E non so di quanti letterati o senza lettere, borghesi o proletari, un figlio possa scrivere quel che si legge sulla sua tomba, dove egli riposa accanto alle donne che amò, e ai suoi genitori, e allo zio Sabino e alla zia Angela Rosa, e al Capo Treno e a nonna Cristina. Tutta gente per la quale l'« onestà animosa» (qualità essenziale di mio padre, ricordata nell'epigrafe) era una virtù, mentre i miracoli eco[...]



da Giovanni Mari, Ritratti critici contemporanei. Louis Althusser in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: RITRATTI CRITICI DI CONTEMPORANEI
LOUIS ALTHUSSER
1. Per comprendere il significato ed i risultati della ricerca marxista che Louis Althusser porta avanti da venti anni tra polemiche e discussioni che sono andate ben oltre gli ambienti culturali francesi (interessando anche aree regionali in cui il marxismo ed il movimento operaio sono tradizionalmente assai deboli), occorre partire, come del resto il filosofo francese ha piú volte ripetuto, dal momento storico in cui tale ricerca si è svolta'. D'altra parte l'opera di Althusser si colloca consapevolmente in questo momento: essa infatti prevede una serie di riflessioni sulla « congiuntura politica » in cui il movimento comunista si è trovato in questi anni, e rappresenta la scelta di scrivere dei testi filosofici per produrre determinati effetti teoricopolitici in tale congiuntura 2. La quale inizia, secondo Althus
1 Nel corso del testo ho usato le seguenti sigle che rimandano alle opere cit. in bibliografia (la p. si riferis[...]

[...] « congiuntura teorica e ideologica » del movimento comunista in cui Althusser interviene con i suoi scritti filosofici. Questi « interventi filosofici » hanno avuto essenzialmente il carattere, durante gli anni Sessanta, di una « difesa » della « specificità » e della « novità » del marxismo nei confronti dell'assalto delle varie forme dell'« ideologia borghese » sviluppatosi nel quadro delle « critiche di destra » dello stalinismo. Una difesa, come vedremo, che ha comportato un « ritorno alle fonti », ai classici, e che Althusser ha portato avanti, spesso da solo, non in nome dell'ortodossia (come da piú parti si è creduto di poter affermare), ma in nome di una « comprensione » e di una « intelligenza » di Marx da conquistare mediante la scoperta e lo sviluppo della « filosofia marxista ».
La Prefazione (1965) agli scritti raccolti nel Per Marx si apre con queste considerazioni: « Pur avendo tutti preso spunto da occasioni particolari, questi testi sono tuttavia il prodotto di una medesima epoca e di una medesima storia. Sono, a modo loro, i testimoni di una singolare esperienza, che tutti i filosofi della mia epoca che hanno tentato di pensare dentro Marx hanno vissuta: la ricerca de[...]

[...]i condizioni », Mio, p. 126). I limiti teorici e politici emersi nell'analisi del passato (stalinismo), non sono qualcosa di diverso dai ritardi e dalle incomprensioni nell'analisi del presente. Ma per Althusser non ci si può fermare qui: occorre avere il coraggio di andare anche alla radice teorica di questi ritardi e di queste difficoltà. La definizione a cui egli attualmente lavora di un'idea marxista di « crisi generale del marxismo » appare come il risultato di una riflessione teorica che per il rigore con cui negli anni Sessanta ha « fatto ritorno `alle fonti' » ha dovuto in seguito arrendersi all'evidenza che la tradizione teorica marxista « non è `pura' ». Che il marxismo, « contrariamente alla frettolosa definizione di Lenin », non è « `un blocco d'acciaio', ma comporta difficoltà, contraddizioni e lacune » che hanno un loro preciso ruolo nella crisi attuale (« Non possiamo infatti contentarci di risolvere tutto con la responsabilità di Stalin », Finalmente, p. 225).
Nel 1978 i punti di maggior debolezza del pensiero di Marx gli[...]

[...]amente alla frettolosa definizione di Lenin », non è « `un blocco d'acciaio', ma comporta difficoltà, contraddizioni e lacune » che hanno un loro preciso ruolo nella crisi attuale (« Non possiamo infatti contentarci di risolvere tutto con la responsabilità di Stalin », Finalmente, p. 225).
Nel 1978 i punti di maggior debolezza del pensiero di Marx gli appaiono i seguenti: la sopravvivenza in esso dell'« idea di una filosofia della storia » che, come l'« unità fittizia » imposta al Capitale dall'esigenza di dover partire dall'« astrazione del valore », rileva un'insufficiente resa dei conti filosofica con l'hegelismo; le ben scarse indicazioni circa la natura e la funzione della « sovrastruttura » (« il diritto, lo Stato, le forme ideologiche »); l'assenza di una riflessione teorica sul problema dell'organizzazione (mo, pp. 113120). L'idea di una crisi del marxismo permette infine una nuova consapevolezza storica: questa crisi non può essere considerata un mero fatto recente ed improvviso, essa appare piuttosto come qualcosa di cui lo sta[...]

[...]iente resa dei conti filosofica con l'hegelismo; le ben scarse indicazioni circa la natura e la funzione della « sovrastruttura » (« il diritto, lo Stato, le forme ideologiche »); l'assenza di una riflessione teorica sul problema dell'organizzazione (mo, pp. 113120). L'idea di una crisi del marxismo permette infine una nuova consapevolezza storica: questa crisi non può essere considerata un mero fatto recente ed improvviso, essa appare piuttosto come qualcosa di cui lo stalinismo aveva « bloccato » l'esplosione mediante una sorta di suo congelamento dogmatico e difensivo (« Era, dunque, una crisi che veniva bloccata sotto l'abito dell'ortodossia da parte di un impressionante apparato politico e ideologico », Finalmente, p. 225). Quella di « crisi generale del marxismo » non è, quindi, soltanto una nozione filosofica o politica, è anche un concetto storiografico, almeno per quanto riguarda la storia del movimento
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operaio che essa permette di periodizzare. Nel senso che Althusser in fondo sostiene che è esistito un lu[...]

[...]iografico, almeno per quanto riguarda la storia del movimento
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410 GIOVANNI MARI
operaio che essa permette di periodizzare. Nel senso che Althusser in fondo sostiene che è esistito un lungo e determinato periodo di tale storia, collocato tra gli anni Trenta ed il presente, il periodo della crisi misconosciuta del marxismo teorico e politico.
2. Quanto al modo di lavorare, Althusser procede per « criticaautocriticarettifica », che gli appare come il miglior metodo per riconoscere e correggere gli errori commessi, sia in politica, sia nel lavoro teorico. Ebbene, a partire dagli Elementi di autocritica (pubblicati nel 1974, ma composti nel '72) e dalla Réponse à J. Lewis (1973), Althusser indica la presenza nella propria ricerca di una precisa « deviazione » (a cui aveva già accennato nell'Avvertenza all'edizione italiana di Lire le Capital, scritta nel dicembre 1967). Di questa « deviazione » egli compie una « rettifica » che segna una « svolta » nel suo itinerario teorico. Althusser dà anche un nome alla propria « deviazione » (il van[...]

[...]fica » consiste essenzialmente nell'assunzione da parte della problematica di Althusser di un nuovo tipo di rapporto tra politica e teoria, precisamente nella proposta della tesi del « primato della pratica sulla teoria », cioè del « primato della lotta di classe nell'economia e nella politica sulla lotta di classe nella teoria » (EA, p. 5). La lotta di classe nella teoria è la filosofia, precedentemente (Per Marx e Leggere il Capitale) definita come « teoria della pratica teorica ». Qui mi interessa soprattutto notare come, sia la congiuntura politica in cui Althusser « interviene », sia la sua stessa ricerca filosofica presentano una svolta: la prima nel '68, la seconda nel '70. E la cronologia di queste due svolte è tale da porre immediatamente il problema del primato della politica sulla svolta teorica di Althusser (la quale, d'altra parte, come vedremo, è indissolubilmente intrecciata all'interpretazione che Althusser compie di un'altra svolta, avvenuta piú di cento anni prima, quella che nel 1845 è compiuta dal giovane Marx).
Di questo primato occorrerebbe ricostruire le specifiche forme di presenza nelle grandi questioni teoriche e politiche sollevate in questi ultimi anni dal filosofo francese (a cominciare dalla nuova definizione della filosofia), di esso tuttavia già conosciamo la forma generale: la dichiarazione della « crisi generale del marxismo ». Questa infatti si presenta come l'istanza complessiva e finale che oggi la f[...]

[...], avvenuta piú di cento anni prima, quella che nel 1845 è compiuta dal giovane Marx).
Di questo primato occorrerebbe ricostruire le specifiche forme di presenza nelle grandi questioni teoriche e politiche sollevate in questi ultimi anni dal filosofo francese (a cominciare dalla nuova definizione della filosofia), di esso tuttavia già conosciamo la forma generale: la dichiarazione della « crisi generale del marxismo ». Questa infatti si presenta come l'istanza complessiva e finale che oggi la filosofia di Althusser pone al marxismo teorico e politico, nel secondo periodo della sua ricerca che si svolge nella fase
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di iniziativa e di stallo del movimento operaio e comunista. Ed anche se questo approdo della filosofia di Althusser possiede tempi intrinseci, ed in particolare presenta una fase di transizione che inizia nel 1966 (Cours de philosophie pour scientifiques) ed ha uno dei suoi punti piú alti in Lenin e la filosofia (1968, febbraio), mi sembra evidente che la « logica esterna » di tale sbocco non sia ricostrui[...]

[...]a? perché questa « deviazione » nel periodo di difesa del marxismo e di « ritorno alle fonti » (anni Sessanta)? anche a quali errori o deviazioni di tipo politico si può far risalire l'idealismo filosofico di cui Althusser si autocritica? Il filosofo francese non dice niente in proposito, egli si sofferma solo sulle radici teoriche del proprio « teoricismo » e « razionalismo » (Spinoza, Bachelard, una certa influenza dello strutturalismo, ecc.), come se il « primato » della politica si esercitasse solo dal momento in cui viene riconosciuto e in un solo senso, quello positivo.
Queste stesse questioni, legate comunque ad uno sforzo di periodizzazione e di interpretazione storica della ricerca althusseriana, possono essere ritrovate anche a partire dall'« autocritica », purché si assuma il ragionamento di Althusser con tutto il rigore e la serietà che merita. L'« autocritica » in verità ci pone di fronte ad un fatto abbastanza sconcertante. Infatti Althusser, dopo essersi criticato per aver sostenuto negli anni Sessanta posizioni idealistic[...]

[...]lla Introduzione al Per Marx), ma finisce per caratterizzare teoreticamente la filosofia dei primi saggi soltanto per i suoi aspetti negativi: un « secondario » quindi che diviene esaustivo. Ovvero un'« autocritica », per un verso (sul lato del politico) incompleta (assenza della ricerca del rapporto tra idealismo filosofico e pratica politica degli anni Sessanta), e per l'altro (sul lato del filosofico) forse anche eccessiva. Vedremo in seguito come è forse possibile colmare questa incompletezza, questa assenza.
3. Uno dei grandi temi presenti in tutto l'arco della ricerca di Althusser è rappresentato dalla questione del « giovane Marx ». Cioè da quel complesso di problemi di ordine storiografico e teorico, ma anche politico e ideologico, legato all'interpretazione, sia del significato che rivestono gli scritti giovanili di Marx (Ideologia tedesca compresa) all'interno dell'evoluzione del pensiero marxiano, sia dello statuto teorico di tali scritti e di alcuni concetti chiave in essi contenuti (lavoro alienato, il comunismo come umanism[...]

[...]er è rappresentato dalla questione del « giovane Marx ». Cioè da quel complesso di problemi di ordine storiografico e teorico, ma anche politico e ideologico, legato all'interpretazione, sia del significato che rivestono gli scritti giovanili di Marx (Ideologia tedesca compresa) all'interno dell'evoluzione del pensiero marxiano, sia dello statuto teorico di tali scritti e di alcuni concetti chiave in essi contenuti (lavoro alienato, il comunismo come umanismo, l'uomo totale, ecc.). $ un fatto che il dibattito su questi problemi (presenti nel marxismo occidentale con crescente fortuna sin dal periodo compreso tra le due guerre) rappresenta uno dei momenti centrali del confronto e della riflessione sul marxismo portati avanti dagli intellettuali marxisti e comunisti, oltreché da quelli (cattolici in prima fila) di altra formazione culturale, nella congiuntura in cui opera Althusser. E questo sia nei paesi occidentali, sia in quelli socialisti. Anzi si può dire che tale dibattito è uno degli elementi che concorrono a determinare i caratteri [...]

[...]terpretazioni ideologiche e filosofiche umanistiche del marxismo (umanesimo marxista, filosofia marxista dell'uomo, umanesimo socialista, umanesimo reale, ecc.). « Dopo il xx Congresso, un'ondata apertamente di destra si diffuse... Si strappò nuovamente ai socialdemocratici e ai preti... lo sfruttamento delle opere giovanili di Marx, per ricavarne una ideologia dell'Uomo, della Libertà, dell'Alienazione, della Trascendenza, ecc.... L'ortodossia, come dice J. Lewis, ne fu quasi sommersa: non il `pensiero' di Stalin, che continuò, e continua da parecchio tempo, ad andare avanti indisturbato, nelle sue basi, nella sua `linea' e in alcune delle sue pratiche — ma proprio la teoria di Marx e di Lenin » (RJL, p. 103).
Che Althusser possa stabilire questo tipo di connessione tra due aspetti essenziali della congiuntura politica (il xx Congresso e la questione del « giovane Marx »), connessione in cui tra l'altro già opera evidentemente l'idea di un primato della pratica sulla teoria, si spiega con due elementi, uno politico ed uno teorico. Quell[...]

[...]o. Quello politico, su cui non ci soffermeremo, riguarda il tipo di critica che Althusser compie dello stalinismo: perché se per un verso egli non esita a denunciare l'« ammorbante e implacabile sistema di governo e di pensiero » di Stalin, per l'altro non intende ridurre né Stalin né la III Internazionale alla « deviazione staliniana », ed ammette l'esistenza di « meriti » storici di Stalin. Una posizione, in altre parole, che non intende fare, come invece fanno certi umanisti marxisti, tabula rasa di una complessa esperienza del movimento operaio, e che per molti versi si può ricondurre a certe posizioni del Pcc. Quello teorico è rappresentato dalla tesi dell'« antiumanesimo teorico di Marx », del rifiuto, cioè, di Marx della « pretesa teorica » della concezione umanistica (radicata nella tradizione della « grande filosofia classica ») di spiegare la storia e la politica a partire da un'« Essenza dell'Uomo ». Marx non parte dall'uomo e dal Soggetto (soggetto razionale, economico, morale, giuridico e politico), bensí dal modo di produzio[...]

[...]nesimo una componente essenziale dell'offensiva ideologica della borghesia volta a mettere da parte la lotta di classe in nome dell'Uomo. Ebbene questo gruppo di tesi che qui abbiamo assai schematicamente ricordato, e che si presentano sostanzialmente identiche in tutta la prima fase della ricerca di Althusser, sono elaborate dal filosofo francese proprio a partire dai suoi interventi sul giovane Marx. I quali, quindi, si presentano, da un lato, come rivolti contro le pseudospiegazioni del xx Congresso ed i fondamenti ideologici della « critica di destra » dello stalinismo, e, dall'altro, come una « difesa » della « specificità » e della « radicale diversità » del marxismo nei confronti delle forme essenziali della ideologia e della filosofia borghese, nonché, a partire dal 1970, anche nei confronti della scienza (tesi della specificità del marxismo come scienza rivoluzionaria). Tali interventi, oltre ad aprire una riflessione sulla ideologia in generale, ed in particolare sulla struttura di quella borghese sorretta dalla « filosofia classica » su cui dovremo ritornare, approdano a due ordini di risultati specifici, di carattere storiografico e teorico, di grande importanza: 1) la periodizzazione dell'evoluzione del giovane Marx e la spiegazione del significato teorico della fondamentale tappa di questa evoluzione rappresentata dagli scritti del 1845 (Tesi su Feuerbach e Ideologia tedesca) mediante la categoria filosofica di « rottura epistem[...]

[...]mo ritornare, approdano a due ordini di risultati specifici, di carattere storiografico e teorico, di grande importanza: 1) la periodizzazione dell'evoluzione del giovane Marx e la spiegazione del significato teorico della fondamentale tappa di questa evoluzione rappresentata dagli scritti del 1845 (Tesi su Feuerbach e Ideologia tedesca) mediante la categoria filosofica di « rottura epistemologica »; 2) la definizione della deviazione staliniana come « recrudescenza » e « vendetta postuma » della tendenza fondamentale della ii Internazionale, l'economicismo, affermatasi nuovamente nel movimento operaio a partire dagli anni Trenta sotto la « copertura obbligata » dell'umanesimo. Lo stalinismo cioè come espressione nel movimento operaio della « coppia economicismo/umanesimo » che caratterizza nella sua intima essenza l'ideologia borghese dominante.
A questo punto si possono fare due osservazioni. La prima per sottolineare che nella interpretazione del giovane Marx compiuta da Althusser si riflettono la svolta della congiuntura politica e la svolta della stessa ricerca dello studioso francese. In altre parole che si hanno due interpretazioni della storia di Marx e della « rottura epistemologica », le quali contribuiscono, a loro volta ed in modo profondo, a caratterizzare i due periodi princ[...]

[...]etazioni della storia di Marx e della « rottura epistemologica », le quali contribuiscono, a loro volta ed in modo profondo, a caratterizzare i due periodi principali in cui è divisa dall'« autocritica » la ricerca althusseriana: all'inizio di ognuno di questi due periodi si trovano infatti due interpretazioni diverse della storia di Marx (e di Engels). La seconda per segnalare che la definizione della
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deviazione staliniana come economicismo coperto dall'umanismo è conquistata da Althusser solamente nel secondo periodo della propria ricerca, precisamente nel 1972 (Réponse à J. Lewis). Mi soffermerò soltanto sulla prima questione. Althusser mantiene ferme nei due periodi della propria ricerca, sia la periodizzazione dell'itinerario politico teorico del giovane Marx (momento liberale e razionalistico hegeliano fino al 1842; momento umanistico comunitario di stampo feuerbachiano fino al 1845; passaggio al comunismo ed al materialismo rivoluzionario a partire dal 1845). Sia il concetto di
« rottura epistemologica », per[...]

[...]rottura epistemologica » e quindi della storia e della periodizzazione di Marx. Nel primo periodo (non solo negli scritti compresi nel Per Marx: 196065, ma anche in Lenin e la filosofia: 1968) Althusser non vede le
« condizioni sociali, politiche, ideologiche e filosofiche » della « rottura epistemologica » e riduce questo evento ad un solo fatto interno al pensiero di Marx. Ne « constata » l'esistenza e da questa parte per definire l'ideologia come il regno dell'« errore », della preistoria del materialismo storico, e per concepire la nuova filosofia (il materialismo dialettico) come la conseguenza della fondazione di tale nuova pratica scientifica. Già Bachelard aveva scritto che la « scienza crea una filosofia » (La formation de l'esprit scientifique), e da Bachelard Althusser non trae soltanto l'idea di « rottura epistemologica ».
Il limite speculativo del primo periodo si manifesta quindi, sia nella interpretazione teoricista della « rottura epistemologica » (« Ecco ciò che mancava d'essenziale ai miei primi saggi: la lotta di classe e i suoi effetti nella teoria », EA, p. 41), sia nella contrapposizione razionalista, « in generale », tra la scienza (« la verità ») e[...]

[...]te speculativo del primo periodo si manifesta quindi, sia nella interpretazione teoricista della « rottura epistemologica » (« Ecco ciò che mancava d'essenziale ai miei primi saggi: la lotta di classe e i suoi effetti nella teoria », EA, p. 41), sia nella contrapposizione razionalista, « in generale », tra la scienza (« la verità ») e la ideologia (« l'errore »), sia, infine nell'appiattimento della filosofia marxista sulla scienza (la filosofia come « Teoria della pratica teorica ») e della scienza marxista (che è invece « rivoluzionaria ») sulla scienza in generale. Nel secondo periodo (cioè a partire dallo scritto Sull'evoluzione del giovane Marx, del 1970, e soprattutto nella Réponse à J. Lewis ed in Elementi d'autocritica, entrambi del 1972), Althusser si pone il problema delle « condizioni » della « rottura epistemologica », individuandole essenzialmente nel « cambiamento di posizione teorica di classe dell"individuo' storico MarxEngels » (EA, p. 42). In questi
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scritti la « rottura epistemologica » è quindi prece[...]

[...] la rivoluzione scientifica imponendo un nuovo « oggetto » alla riflessione (non piú l'uomo, il soggetto, ecc., ma le forze produttive, i rapporti sociali di produzione, ecc.): « è la posizione politica (di classe) a occupare il posto determinante, ma è la posizione filosofica che occupa il posto centrale, poiché è essa che assicura il rapporto teorico tra la posizione politica e l'oggetto della riflessione » (sEJM, p. 50). Ovvero la « filosofia come lotta di classe nella teoria », il « primato della pratica sulla teoria » scoperto e verificato nella storia del giovane Marx.
Occorrerebbe poter avere lo spazio per tentare di svolgere alcune osservazioni. Vorrei comunque cercare di tematizzarne almeno due, entrambe connesse all'introduzione ed all'uso che Althusser compie della coppia rupture/coupure che riassume per molti versi, mi sembra, le novità essenziali della svolta teorica rappresentata dall'« autocritica ». Innanzitutto occorrerebbe rilevare con precisione il significato teorico dell'introduzione di questa coppia di concetti: ess[...]

[...]di tematizzarne almeno due, entrambe connesse all'introduzione ed all'uso che Althusser compie della coppia rupture/coupure che riassume per molti versi, mi sembra, le novità essenziali della svolta teorica rappresentata dall'« autocritica ». Innanzitutto occorrerebbe rilevare con precisione il significato teorico dell'introduzione di questa coppia di concetti: essa rompe definitivamente con l'epistemologia (speculativa, di stampo bachelardiano) come teoria delle differenze tra scienza e ideologia (in generale) ed al suo posto delinea lo spazio per una teoria materialista delle condizioni materiali, sociali, ideologiche e filosofiche della produzione delle conoscenze in grado di spiegare in modo non meccanicistico e sociologico (Althusser direbbe anche non « storicistico ») il « comando » del materiale sul teorico. In altre parole si potrebbe dire che si tratta del programma di un'epistemologia materialista. Si pone allora il problema del rapporto tra questa epistemologia ed il materialismo storico, da una parte, e la filosofia marxista, [...]

[...]taria », pur cosí efficacemente e ripetutamente criticate e derise dallo stesso Althusser che anche negli Elementi di autocritica lo definisce un'« impostura ». Contro queste tendenze opera la « topica », cioè la posizione della filosofia, opera la filosofia: in Althusser cambiano, e radicalmente, sia la posizione nella « topica », sia la concezione della filosofia, ma non muta mai la funzione antisociologista e antieconomicista, e quindi anche, come vedremo, antistoricista ed antiumanista, della filosofia. Ma è sufficiente definire questo tipo di « centralità » perché la filosofia sia messa realmente in grado di assolvere a questa funzione? Perché questa « centralità », che può apparire un privilegio ed una eccezionalità (la filosofia è partecipe sia del pratico sia del teorico, e dei loro rispettivi oggetti), di fatto è anche assenza e debolezza. La filosofia non ha un proprio oggetto, né una vera
e propria autonoma proposta: le Tesi su Feuerbach si limitano ad « annunciare » una nuova posizione filosofica che gli scritti successivi no[...]

[...]arxista costituisce senza dubbio il tema centrale di tutta la ricerca di Althusser (EMP, p. 136), nonché della sua vita, perché in essa è racchiusa l'idea di un nuovo rapporto tra lavoro intellettuale e militanza politica, l'idea di un lavoro filosofico relativamente autonomo che è anche intervento politico, e quella di una militanza politica che non può esaurirsi nell'attivismo pratico. Il problema della filosofia di Marx è anche il problema di come essere comunisti in filosofia.
Althusser pone con chiarezza i termini generali del problema della filosofia marxista sin dallo scritto con cui si apre il Per Marx, « I `manifesti filosofici' di Feuerbach » (1960): Marx non ha mai esplicitamente formulato la sua « filosofia », che tuttavia è presente ed operante « dentro » i suoi scritti. Il problema è allora quello di scoprire e sviluppare la filosofia « celata » nella « pratica teorica » (e politica) di Marx applicando a Marx (« un circolo »), sviluppandoli, i non molti elementi espliciti che egli stesso fornisce (a cominciare da quelli con[...]

[...]entifica piú importante. La filosofia marxista è infatti l'insieme dei concetti indispensabile a pensare 1'« immensa rivoluzione teorica » che le scoperte scientifiche di Marx hanno determinate nel « teorico esistente », rappresentato essenzialmente dalla filosofia hegeliana. Il fatto che Marx non abbia sufficientemente « pensato »
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il significato filosofico delle proprie scoperte scientifiche, questa sua lacuna, determina, come vedremo, non pochi problemi e difficoltà di ordine teorico.
Per Althusser comunque soltanto la ricerca e lo sviluppo della filosofia di Marx permettono di « rispondere alla domanda sul posto occupato dal Capitale nella storia del sapere » (Lc, p. 15), risposta indispensabile, questo l'obiettivo politico e teorico di fondo del filosofo francese, per una effettiva « intelligenza » dell'opera marxiana e della sua « radicale diversità »
e « specificità ». Piú tardi, nel 1975, Althusser ha ribadito la sostanza di queste posizioni che fin dall'inizio degli anni Sessanta gli erano apparse come le [...]

[...] permettono di « rispondere alla domanda sul posto occupato dal Capitale nella storia del sapere » (Lc, p. 15), risposta indispensabile, questo l'obiettivo politico e teorico di fondo del filosofo francese, per una effettiva « intelligenza » dell'opera marxiana e della sua « radicale diversità »
e « specificità ». Piú tardi, nel 1975, Althusser ha ribadito la sostanza di queste posizioni che fin dall'inizio degli anni Sessanta gli erano apparse come le piú giuste per « uscire dal vicolo cieco teorico in cui la storia ci aveva cacciati »:
È questa novità, questa differenza radicale di Marx, rivoluzionaria nella teoria
e nella pratica, che ho voluto non soltanto far sentire, ma anche far percepire,
e se possibile far concepire, poiché consideravo politicamente e teoricamente vitale per il movimento operaio e i suoi alleati (e tuttora lo considero) che questa differenza fosse pensata. Per ottenerlo, non potevo fare altro che pormi al livello della nuova filosofia, prodotta da Marx nella sua rivoluzione scientifica... Ho ancora questa con[...]

[...]e questa differenza fosse pensata. Per ottenerlo, non potevo fare altro che pormi al livello della nuova filosofia, prodotta da Marx nella sua rivoluzione scientifica... Ho ancora questa convinzione. La formulerei in altro modo da Per Marx e Leggere « Il Capitale », ma ritengo di non essermi sbagliato nell'indicare nella sua filosofia il luogo da cui si può capire Marx, perché in essa si riassume la sua posizione (EMP, pp. 1356).
Si è già visto come il giudizio che Althusser formula circa il carattere
e vitale » per il movimento operaio ed i suoi alleati della conquista di una chiara percezione e concezione della « differenza radicale di Marx » è riconducibile alla congiuntura politica e teorica apertasi col xx Congresso. Qui vorrei tentare, molto brevemente, di avanzare una risposta al problema posto nel secondo paragrafo del presente scritto circa il nesso che può intercorrere tra la « deviazione teoricista » della filosofia della prima fase della ricerca di Althusser e la congiuntura, in cui è venuto a trovarsi il movimento comunista[...]

[...]lettico... la Teoria generale stessa (la dialettica) in cui viene espressa teoricamente l'essenza della pratica teorica in generale, e attraverso questa l'essenza delle trasformazioni, del `divenire' delle cose in generale... Ma la Teoria è essenziale anche alla trasformazione di quelle discipline in cui non esiste ancora una vera pratica teorica marxista... [le quali discipline] hanno bisogno della Teoria, ossia della dialettica materialistica, come del solo metodo che possa anticipare la loro pratica teorica delineandone le condizioni formali (PM, pp. 1468).
Anche se il divenire di cui si interessa Althusser è sempre connesso ad una pratica (sociale o intellettuale), è una trasformazione (che possiede una propria dialettica) prodotta da una pratica, egli eredita ugualmente, a suo modo, l'enorme ed irraggiungibile obiettivo politico e teorico del marxismo della III Internazionale, consistente nella ricerca razionale delle leggi del divenire in generale. Nel « materialismo dialettico » le leggi della dialettica erano l'ontologia ed il me[...]

[...]ale ed unitaria di tutti i processi sociali, naturali ed umani: una sorta di fondazione metafisica della politica con le note ed inevitabili conseguenze di dogmatismo e di concezione non partecipata della direzione politica di stato e di partito. È chiaro che in Althusser scompaiono tutti gli elementi ontologici, non però la sostanza degli obiettivi metodologici. Althusser non concepisce la « Teoria » del « `divenire' delle cose in generale » né come riflesso di un divenire oggettivo (suo antistoricismo), né come il risultato di una astrazione da un divenire
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fattuale (suo antiempirismo). Egli cerca piuttosto di fondare questa Teoria su di uno schema della pratica in generale che altro non è se non la generalizzazione dello schema marxiano del processo lavorativo contenuto nel cap. v del i Libro del Capitale. « Per pratica intenderemo generalmente ogni processo di trasformazione di una determinata materia prima data in un determinato prodotto, trasformazione effettuata da un determinato lavoro umano facendo uso di determinati mezzi (di `produzione') » (PM, p. 145).
Permane tuttav[...]

[...]thusser individua le « manchevolezze », le « lacune » e le « omissioni » di Marx (« lettura sintomale ») in base alla persuasione dell'unità scientifica profonda dell'opera marxiana, del Capitale prima di tutto. Tali « manchevolezze » riguardano, si può dire esclusivamente, il rigore e la consapevolezza filosofica (epistemologica) del ragionamento di Marx, concernono il « Teorico » (il filosofico), non lo scientifico vero e proprio.
Certamente, come per il concetto di « causalità strutturale » (che considereremo piú sotto), le debolezze filosofiche di Marx si ripercuotono anche nei risultati scientifici. Per questo Althusser può parlare di uno sviluppo
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del marxismo a partire dalla « lettura » delle sue difficoltà filosofiche e dal conseguente e necessario sviluppo della sua filosofia. Comunque in questi anni è proprio la persuasione dell'esistenza di un certo tipo di sistematicità del discorso scientifico del Capitale, della validità dell'unità che il « metodo di esposizione » di Marx ha saputo imporre alla sua materi[...]

[...]x, in cui devono assommarsi lo sforzo di consapevolezza epistemologica
« quello di fondazione del materialismo storico.
Nel secondo periodo, che culmina nell'enunciazione della « crisi generale del marxismo », è la stessa unità scientifica dell'opera di Marx ad essere messa in discussione da Althusser, a cominciare da alcuni aspetti essenziali del Capitale: « ...l'unità del Denkprozess del Capitale, l'unità del suo ordine di esposizione, non è come si presenta — ma segnatamente ineguale e disparata » (Ap, p. 22). Oppure, ancora piú esplicitamente: « nel Capitale... l'unità teorica imposta dall'ordine di esposizione è in gran parte fittizia » (Finalmente, p. 226). Ora quindi Althusser parla apertamente di
« contraddizioni » e di « difficoltà » che concernono direttamente il ragionamento scientifico di Marx nel suo complesso (e non solo in alcuni punti: es. la « causalità strutturale ») e non si limita piú a rilevare « lacune » e
« manchevolezze » filosofiche i cui effetti rimarrebbero comunque estrinsechi alla forma del ragionamento sc[...]

[...]nto scientifico di Marx. Questo tipo di rilievi filosofici ha perciò un significato assai diverso da quello sostenuto negli anni Sessanta e permette attualmente ad Althusser di fondare teoricamente la
« crisi generale del marxismo » sulla sua « crisi teorica ».
Ma vediamo, anche se molto schematicamente, i principali risultati a cui Althusser perviene a partire dalle « difficoltà » e dai « punti di fragilità teorica » del ragionamento di Marx. Come Althusser indica in E facile essere marxisti in filosofia? questi risultati possono essere raggruppati attorno a due grandi temi: quello della « determinazione in ultima istanza » (della sovrastruttura da parte dell'economia) e quello del « processo di conoscenza ». La prima questione, che Althusser affronta in relazione al problema del rapporto tra Marx ed Hegel, è trattata in particolare nei saggi Contraddizione e surdeterminazione (1962) e Sulla dialettica materialistica (1963), entrambi compresi nel Per Marx, oltreché nella seconda parte del saggio L'oggetto del « Capitale » (1965), compr[...]

[...], quella di « surdeterminazione », cioè di « contraddizione surdeterminata » (PM, p. 82), e quella di « tutto complesso strutturato a dominante » (PM, p. 178). Le quali sono proposte in sostituzione dei concetti hegeliani di « contraddizione » e di « totalità ». La contraddizione hegeliana infatti non ammette alcuna reale surdeterminazione, non ammettendo mai una vera determinazione ad essa esterna. Essa cioè è « semplice », presentandosi sempre come « fenomeno » di un'unica semplicità intrinseca (essenza, principio, ecc.). A sua volta la totalità hegeliana, essendo lo « sviluppo alienato di un'unità semplice », non ammette che differenze e contraddizioni apparenti e quindi, né una contraddizione dominante, né una struttura a dominante: la sua « unità è di tipo `spirituale' », non strutturale. Insomma Marx non ha in alcun modo « conservato, neppure `capovolti' », né il concetto hegeliano di contraddizione, né quello di società.
Piú complessi i termini della polemica antieconomicistica. Si tratta di risolvere in maniera diversa dall'econo[...]

[...]oncreta, ecc. per scardinare l'ideologia economicista. Egli di fatto non prende mai in considerazione la dominazione della determinazione in ultima istanza da parte dell'economia. Se ho ben capito, per Althusser la determinazione in ultima istanza della contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione si attua sempre attraverso il dominio di altre contraddizioni, di quelle che si determinano al livello del politico (o del teorico). « Come giustificare la necessità di passare attraverso il livello distinto e specifico della lotta politica se essa non fosse, benché distinta, e in quanto distinta, non il semplice fenomeno, ma il punto reale di condensazione, il punto nodale strategico, in cui il tutto complesso (economia, politica e ideologia) si riflette? » (PM, p. 191). Indubbiamente in questo modo Althusser salva e consolida il carattere « motore » della contraddizione (politica).
Ma questo tipo di elaborazione come si colloca, che significato teorico possiede di fronte, ad esempio, al modo in cui Marx nella Prefazione a Per [...]

[...]are attraverso il livello distinto e specifico della lotta politica se essa non fosse, benché distinta, e in quanto distinta, non il semplice fenomeno, ma il punto reale di condensazione, il punto nodale strategico, in cui il tutto complesso (economia, politica e ideologia) si riflette? » (PM, p. 191). Indubbiamente in questo modo Althusser salva e consolida il carattere « motore » della contraddizione (politica).
Ma questo tipo di elaborazione come si colloca, che significato teorico possiede di fronte, ad esempio, al modo in cui Marx nella Prefazione a Per la critica dell'economia politica, cerca di definire il carattere determinante dell'economia? Althusser, lo si è visto, cerca di risolvere questa grossa difficoltà teorica del pensiero di Marx e del marxismo attraverso la distinzione antieconomicistica tra contraddizione dominante e contraddizione determinata (in ultima istanza), e la successiva identificazione del carattere dominante con quello motore, e la sua localizzazione di fatto, se ho ben capito, nella sovrastruttura. In ques[...]

[...]ura. In questo modo però si finisce per contrapporre all'economicismo una teoria dell'efficacia e dell'autonomia relativa della sovrastruttura in cui l'elemento relativo è sempre dalla parte dell'economia e quello dell'autonomia e della dominanza sempre dalla parte della politica e della teoria. Tutto ciò, poi, è rafforzato dalla polemica antistoricista che insiste enormemente sul carattere autonomo della teoria e della scienza (« teoricismo »). Come interpretare allora questo carattere assoluto del relativo, questo dominio assoluto dell'autonomia relativa della sovrastruttura al fine di salvaguardarne il carattere motore, assente in Marx? Lo si è detto, come una risposta ad una reale difficoltà teorica del marxismo, precisamente alla separazione presente in Marx tra carattere determinante e carattere motore della contraddizione, alla difficoltà (o impossibilità: non è forse non casualmente assente in Marx una teoria dello Stato?) in Marx di passare alla politica attraverso l'economia. È la consapevolezza di questa difficoltà ad essere presente ed operante dietro la distinzione antieconomicista che Althusser introduce, permettendo in questo modo di pensare, e non è poco, questa difficoltà (o impossibilità) di Marx.
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In Leggere[...]

[...]urale », cioè la determinazione da parte di una struttura dominante (il modo di produzione dominante in una data epoca) delle strutture subalterne (gli altri modi di produzione presenti nella formazione sociale) e degli elementi determinati (la sovrastruttura). Causalità di cui pure Marx tiene conto e calcola gli effetti. Tuttavia Althusser definisce questa « causalità strutturale », o « causalità metonimica » (termine tratto dalla psicanalisi), come una « causalità assente », ovvero presente solo nei suoi effetti. Infine sottolinea che in questo concetto si deve ricercare la grande novità teorica di Marx rispetto alla « filosofia classica », la quale in base ad una riflessione sulle conquiste scientifiche era pervenuta a due concetti di causalità: quella « transitiva » di Descartes (legata alla scienza di Galilei) e quella « espressiva » di Leibniz e poi di Hegel (legata al calcolo infinitesimale). In Elementi di autocritica Althusser rileva nella propria nozione di « causalità strutturale » un eccesso di « civetteria » nei confronti del[...]

[...] determinazione in ultima istanza, a parte le differenze terminologiche e le precisazioni concettuali, la sostanza del ragionamento di Althusser non muti rispetto a ciò che ho cercato di sottolineare circa il tipo di critica antieconomicista che egli porta avanti negli scritti del Per Marx. A questo proposito si può infatti leggere in Elementi di autocritica: « Ma non si può neppure `mettere le mani' su questa contraddizione `in ultima istanza', come su la causa. Non si può afferrarla ed aver presa su di essa se non nelle forme della lotta di classe, che è, in senso forte, la sua esistenza storica. Dire che `la causa è assente' significa dunque... che la `contraddizione in ultima istanza' non è mai presente di persona sulla scena della storia... » (EA, p. 24).
La seconda questione, il « processo di conoscenza », già presente nel Per Marx, è trattata in modo particolare nel saggio introduttivo di Leggere il Capitale, Dal `Capitale' alla filosofia di Marx (1965), e ritorna in numerosi scritti successivi, tra i quali faremo brevi riferiment[...]

[...]ne una posizione rigorosamente antiempirista ed antipragmatista, né l'inizio, né la fine del discorso scientifico di Marx trovano nella realtà il proprio criterio di verità: escluso l'esterno, la realtà, non rimane che sostenere la « interiorità radicale del criterio »: la « pratica teorica è criterio di se stessa, contiene in sé i principi definiti di convalida della qualità del suo prodotto » (Lc, p. 62).
Si pone a questo punto il problema di come questa interpretazione del pensiero di Marx possa ammettere il materialismo, secondo il quale non è il pensiero a produrre la realtà, ma piuttosto questa, nella sua preesistenza ed autonomia nei confronti del pensiero, a permettere anche la conoscenza (« Per Hegel... il reale non è che il fenomeno esterno del processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini », Marx, Poscritto alla seconda edizione del r libro del Capitale). Come interpretare questa priorità dell'astrazione ed insieme del materiale,[...]

[...]o, secondo il quale non è il pensiero a produrre la realtà, ma piuttosto questa, nella sua preesistenza ed autonomia nei confronti del pensiero, a permettere anche la conoscenza (« Per Hegel... il reale non è che il fenomeno esterno del processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini », Marx, Poscritto alla seconda edizione del r libro del Capitale). Come interpretare questa priorità dell'astrazione ed insieme del materiale, del reale ed insieme dell'ideale? La novità della riflessione di Althusser consiste nel suo rifiuto della soluzione storicista, cioè di quella posizione che pensa di risolvere questa difficoltà mediante una dottrina delle « astrazioni reali » o delle « astrazioni storicamente determinate », basata sulla tesi della esistenza di una « corrispondenza biunivoca » tra pensiero e realtà, tra sviluppo logico del pensiero e sviluppo della storia. E ciò, sia per la forma, perché alle categorie ed agli oggetti reali competerebbe ugu[...]

[...]d agli oggetti reali competerebbe ugualmente il « mutamento », sia per il contenuto, perché a determinati concetti corrisponderebbe un determinato stadio dello sviluppo storico: « La storia avrebbe in qualche modo raggiunto questo punto, prodotto questo presente specifico eccezionale in cui le astrazioni scientifiche esistono allo stato di realtà empiriche, dove la scienza, i concetti scientifici esistono nella forma del visibile dell'esperienza come altrettante verità a ciel sereno » (Lc, p. 132).
Il Capitale, insomma, come una « deduzione logicostorica ». Lo storicismo è definito da Althusser una forma di empirismo in quanto individua nelle categorie delle qualità reali in qualche modo in esse « riflesse ». Lo storicismo marxista si ispira ad alcuni passi di Marx, e ad altri di Engels,
I
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soprattutto dove questi interpreta il significato dell'opera scientifica di Marx (L'oggetto del « Capitale », y e vi). La presenza in Marx di elementi empiristi è spiegata da Althusser mediante l'inadeguatezza filosofica di Marx che ricorre in alcuni casi al teorico esistente (Hegel) per pensare i prob[...]

[...]presenza in Marx di elementi empiristi è spiegata da Althusser mediante l'inadeguatezza filosofica di Marx che ricorre in alcuni casi al teorico esistente (Hegel) per pensare i problemi che le sue scoperte scientifiche ponevano in sede filosofica.
A sua volta, per l'interpretazione antistoricista (e antiumanista) del marxismo Althusser si avvale soprattutto dell'Introduzione del '57, in base alla quale avanza due tesi, quella della « conoscenza come produzione » e quella della « distinzione tra oggetto reale e oggetto di conoscenza ». Il processo di conoscenza scientifica è un lavoro di trasformazione, compiuto da una Generalità ii (l'insieme dei concetti e delle tecniche esistenti ad un dato momento della storia di una scienza), su una Generalità i (che costituisce la materia prima che non è mai un « dato » o un « fatto »), ciò che produce la Generalità iii (conoscenza scientifica). Qualora la materia prima sia costituita da una generalità ideologica (le « intuizioni » e « rappresentazioni » di Marx) il processo di conoscenza presenta u[...]

[...]» (trascendentale o empirico), bensí un « modo di produzione determinato di conoscenze », un « apparato di pensiero, fondato e articolato nella realtà naturale e sociale » (Lc, p. 42). Ed è antistoricista perché nega ogni « corrispondenza », non solo tra i due « oggetti », ma anche tra il processo di pensiero e lo sviluppo storico. Questa seconda distinzione si presenta in due forme: nella produzione del « concreto di pensiero », che si presenta come una « totalitàarticolatadi pensiero », una Gliederung, una connessione organica e gerarchizzata di concetti; e nello sviluppo della dimostrazione e nel discorso scientifico in cui si manifesta la « dipendenza sistematica che lega tra loro i concetti nel sistema della totalitàdipensiero » (PM, p. 72). Ebbene il meccanismo che produce l'« effetto di conoscenza » (il « meccanismo attraverso cui la conoscenza considerata compie, per colui che la manipola come conoscenza, la sua funzione conoscitiva dell'oggetto reale attraverso il mezzo del suo oggetto pensato ») avviene « nel `gioco'... che cost[...]

[...] totalitàarticolatadi pensiero », una Gliederung, una connessione organica e gerarchizzata di concetti; e nello sviluppo della dimostrazione e nel discorso scientifico in cui si manifesta la « dipendenza sistematica che lega tra loro i concetti nel sistema della totalitàdipensiero » (PM, p. 72). Ebbene il meccanismo che produce l'« effetto di conoscenza » (il « meccanismo attraverso cui la conoscenza considerata compie, per colui che la manipola come conoscenza, la sua funzione conoscitiva dell'oggetto reale attraverso il mezzo del suo oggetto pensato ») avviene « nel `gioco'... che costituisce l'unità di scarto (l'unité de décalage) del sistema e del discorso ». Cioè, l'« effetto di conoscenza è prodotto come effetto del discorso scientifico, che esiste solo come discorso del sistema,
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vale a dire dell'oggetto considerato nella struttura della sua costituzione complessa » (Lc, p. 72).
È indubbio che in questo modo Althusser ha coerentemente ricercato all'interno della pratica teorica (di Marx) il criterio della sua « verità ». Vi è riuscito? Solamente due brevi osservazioni. La prima riguarda la nozione di Gliederung che Althusser usa per indicare sia il tipo di organizzazione logica, la struttura del « concreto di pensiero », sia la struttura della formazione sociale (il tutto complesso strutturato a dominante). Questo uso sembra [...]

[...] Solamente due brevi osservazioni. La prima riguarda la nozione di Gliederung che Althusser usa per indicare sia il tipo di organizzazione logica, la struttura del « concreto di pensiero », sia la struttura della formazione sociale (il tutto complesso strutturato a dominante). Questo uso sembra avanzare la tesi di una identità strutturale tra pensiero della società e società; tra la struttura formale dell'« oggetto di conoscenza » (la Gliederung come « combinazione gerarchizzata dei concetti nel sistema stesso », LC, p. 72) e la struttura materiale dell'« oggetto reale » (la Gliederung come « combinazione articolata, gerarchizzata, sistematica » della società, che bisogna conoscere, Lc, p. 67). Se questa osservazione è giusta, occorre anche aggiungere che questa identità non è affatto scontata nel ragionamento althusseriano. Se infatti mettiamo di fronte le due tesi, quella della identità strutturale tra pensiero (« sistema ») e società (« totalità ») e quella (materialistica) dell'autonomia e della preesistenza della realtà nei confronti del pensiero, sorgono alcuni interrogativi, che qui mi limito ad enunciare.
Al di là della distinzione tra « oggetto di conoscenza » ed « ogg[...]

[...] riflesso, diciamo, della struttura? L'esistenza di questo tema appare indirettamente confermata dall'adesione di Althusser all'interpretazione di Materialismo ed empiriocriticismo avanzata da Dominique Lecourt, secondo il quale il riflesso di Lenin sarebbe un « riflesso senza specchio », un « riflesso attivo » estraneo ad ogni teoria sensistica della conoscenza 3. Inoltre, se l'osservazione avanzata è giusta, lo storicismo e l'empirismo, almeno come li definisce Althusser, risultano davvero messi definitivamente al bando? Perché questa identità strutturale appare comunque come il risultato di una qualità essenziale del reale che trapassa nel pensiero. Non siamo di fronte ad una sorta di empirismo della struttura? di storicismo senza storia?
Seconda osservazione. L'idea, in generale, di conoscenza scientifica che Althusser propone non è altro (a parte quelle che Althusser definisce le proprie « aggiunte ») che il modo in cui il Capitale permette di conoscere la formazione sociale capitalistica, il modo in cui il Capitale, funziona a questo scopo conoscitivo. In particolare la nozione di « meccanismo » dell'« effetto di conoscenza » è interamente elaborata sulla bas[...]

[...]parte la generalizzazione di un processo di conoscenza che Marx pratica solo nella critica dell'economia politica, il ragionamento di Althusser si basa sul presupposto dell'unità e della necessità del discorso scientifico di Marx. In particolare su quelle del « modo di esposizione » e di « inizio » assoluto di tale discorso che parte, appunto, dall'astratto (il valore). Si è però già visto che questa unità e necessità sono assai meno scontate di come Althusser presuppone in Leggere « Il Capitale »: esse sono, come dice oggi Althusser (Avantpropos a Duménil), diseguali e disparate. In altre parole la generalizzazione del « meccanismo » dell'« effetto di conoscenza », a cui Althusser affida la risoluzione antistoricista ed antiempirista della « difficoltà » di Marx, non sembra valere, in generale, neppure per il Capitale.
Farò adesso alcuni brevi cenni agli altri scritti successivi già ricordati, tra i quali il piú significativo mi sembra essere l'Avantpropos del '78. In Elementi di autocritica Althusser sottolinea l'ispirazione spinoziana delle proprie tesi sul « processo di conoscenza », rilevando in [...]

[...] « difficoltà » di Marx, non sembra valere, in generale, neppure per il Capitale.
Farò adesso alcuni brevi cenni agli altri scritti successivi già ricordati, tra i quali il piú significativo mi sembra essere l'Avantpropos del '78. In Elementi di autocritica Althusser sottolinea l'ispirazione spinoziana delle proprie tesi sul « processo di conoscenza », rilevando in particolare la presenza di tale ispirazione nella definizione della « conoscenza come produzione » e nell'affermazione dell'« interiorità » del criterio di scientificità del discorso scientifico. In È facile essere marxisti in filosofia? Althusser dopo aver riaffermato la tesi della « conoscenza come produzione » e del « primato dell'oggetto reale sull'oggetto di conoscenza », ed aver precisato che la tesi di questo primato prevale su quella della « distinzione tra oggetto reale e oggetto di conoscenza », si sofferma sul tema degli effetti della conoscenza sul reale. Egli nota come la « conoscenza del reale `cambia' qualcosa nel reale, perché vi aggiunge per l'appunto la sua conoscenza... però tutto accade come se questa aggiunta si annullasse da sola nel suo risultato » (p. 157). Il problema del meccanismo che produce l'« effetto di conoscenza » è scomparso, sostituito dalla tesi dell'incorporamento e dell'annullamento della distinzione tra i due « oggetti » non appena essa viene posta: « La distinzione tra oggetto di conoscenza e oggetto reale presenta quindi questo paradosso: che è posta solo per essere annullata. Ma non basta: per essere annullata, deve continuamente essere posta » attraverso la « produzione di nuove conoscenze » (p. 158). La polemica è contro il marxismo dogmatico.
Nell'Avantp[...]

[...]ne di esposizione ». Se ne esiste uno « maggiore » (majeur) (« visibile, impressionante, unitario e omogeneo »), ne esistono però anche altri che « a piú riprese » interrompono e attraversano il « maggiore »: « capitoli discontinui e interminabili, di grande importanza, ed in cui interviene un"analisi' del tutto diversa, che per semplicità si è definita `concreta' e `storica', in opposizione all'analisi veramente `teorica' dell'ordine maggiore — come se la `teoria' non potesse avere che una forma riconosciuta, identificabile e compiuta » (Ap, p. 23). A sua volta l'unità di coesistenza di questi diversi « ordini » costituisce un problema e rimanda al carattere « contingente » e non « assoluto » (come invece credeva Marx) dell'« inizio » del discorso scientifico del Capitale (analisi del valore). Siamo ormai evidentemente assai lontani dall'idea della
« totalitàdipensiero » del Capitale sostenuta in Leggere « Il Capitale »: non piú una sola « totalità logica », bensí « diverse » « totalità logiche ». Una sorta di pluralismo di logiche ineguali e disparate coesistenti in un medesimo discorso scientifico. In Marxismo oggi, infine, Althusser liquida come imprudente l'affermazione di Lenin che le « idee di Marx sono tutte efficaci perché sono vere », ed introduce, quindi, una netta distinzion[...]

[...]e credeva Marx) dell'« inizio » del discorso scientifico del Capitale (analisi del valore). Siamo ormai evidentemente assai lontani dall'idea della
« totalitàdipensiero » del Capitale sostenuta in Leggere « Il Capitale »: non piú una sola « totalità logica », bensí « diverse » « totalità logiche ». Una sorta di pluralismo di logiche ineguali e disparate coesistenti in un medesimo discorso scientifico. In Marxismo oggi, infine, Althusser liquida come imprudente l'affermazione di Lenin che le « idee di Marx sono tutte efficaci perché sono vere », ed introduce, quindi, una netta distinzione tra verità ed efficacia delle idee che ribalta le posizioni sostenute in Leggere « Il Capitale ». La verità compete alla « forma teorica » delle idee di Marx, l'efficacia politica a quella « ideologica » (Marx esprime le « proprie idee due volte in due forme differenti ») : « se anche le idee fossero vere e f ormalmente dimostrate, non potrebbero essere in sé storicamente attive, ma lo possono solo nelle forme ideologiche di massa, acquisite nella lotta [...]

[...]ei valori dominanti: le opere di Marx e di Freud » (MF, p. 129).
Alla scoperta dell'inconscio e piú in generale al pensiero di Freud, Althusser dedica due scritti specifici, Freud e Lacan (1964) e Marx e Freud (1976). Ma frequenti riferimenti all'opera di Freud sono rintracciabili anche in altri scritti. Nel saggio del '64 Althusser si sofferma soprattutto ad illustrare il significato dell'opera di Lacan, ma già sottolinea quello che gli appare come l'effetto teorico piú importante della scoperta dell'inconscio: la crisi della concezione ideologica e filosofica tradizionale di « uomo » e di
« soggetto ». Lacan, a cui non sfugge che Freud ha fondato una scienza (« Una scienza nuova, che è la scienza di un oggetto nuovo: l'inconscio », FL, p. 9), ha compreso l'esigenza e l'importanza teorica di un « autentico ritorno a Freud », che egli realizza nella duplice forma di una « critica ideologica » (contro lo sfruttamento ideologico del pensiero di Freud portato avanti dalla psicologia, dalla sociologia, dalla biologia, dalla filosofia) e di [...]

[...]e Freud ha fondato una scienza (« Una scienza nuova, che è la scienza di un oggetto nuovo: l'inconscio », FL, p. 9), ha compreso l'esigenza e l'importanza teorica di un « autentico ritorno a Freud », che egli realizza nella duplice forma di una « critica ideologica » (contro lo sfruttamento ideologico del pensiero di Freud portato avanti dalla psicologia, dalla sociologia, dalla biologia, dalla filosofia) e di un
« chiarimento epistemologico » (come già Marx, anche Freud dovette formulare le proprie scoperte mediante concetti teorici già esistenti — il modello della fisica energetica di Helmholtz e di Maxwell — che essendo stati creati per altri scopi determinano nella psicoanalisi delle zone di opacità teorica). In questo duplice lavoro di restaurazione e di sviluppo Lacan perviene alle proprie scoperte mediante il ricorso ad una scienza piú recente di quella a cui si rifà Freud. È infatti attraverso il ricorso ai concetti della linguistica strutturale che Lacan chiarisce ed approfondisce l'idea freudiana che tutto dipendeva dal linguag[...]

[...]rminano nella psicoanalisi delle zone di opacità teorica). In questo duplice lavoro di restaurazione e di sviluppo Lacan perviene alle proprie scoperte mediante il ricorso ad una scienza piú recente di quella a cui si rifà Freud. È infatti attraverso il ricorso ai concetti della linguistica strutturale che Lacan chiarisce ed approfondisce l'idea freudiana che tutto dipendeva dal linguaggio chiarendo che « il discorso dell'inconscio è strutturato come un linguaggio » (FL, p. 18).
Già da questa sommaria esposizione risulta evidente il parallelismo che Althusser instaura, attraverso quello tra Marx e Freud (che in questo modo ne risulta rafforzato), tra la propria opera di difesa della radicale diversità del marxismo e del suo sviluppo attraverso la ricerca della filosofia di Marx,
e l'opera analoga che Lacan compie nei confronti del pensiero di Freud. Un'interpretazione degli anni Sessanta, in altre parole, non solo come del periodo del ritorno a Marx (Althusser, Della Volpe, ed altri), ma anche del ritorno a Freud (Lacan), come « ritorno[...]

[...]8).
Già da questa sommaria esposizione risulta evidente il parallelismo che Althusser instaura, attraverso quello tra Marx e Freud (che in questo modo ne risulta rafforzato), tra la propria opera di difesa della radicale diversità del marxismo e del suo sviluppo attraverso la ricerca della filosofia di Marx,
e l'opera analoga che Lacan compie nei confronti del pensiero di Freud. Un'interpretazione degli anni Sessanta, in altre parole, non solo come del periodo del ritorno a Marx (Althusser, Della Volpe, ed altri), ma anche del ritorno a Freud (Lacan), come « ritorno », insomma, ai massimi teorici rivoluzionari del campo delle scienze umane.
Piú direttamente connessa alla ricerca althusseriana sull'ideologia (che vedremo nel paragrafo seguente) è l'idea che Freud avrebbe sottoposto ad una prova trasformatrice « una certa immagine tradizionale, giuridica, morale
e filosofica, cioè in definitiva ideologica, dell"uomo', del `soggetto' » (FL, p. 29). Questa idea viene particolarmente approfondita nello scritto del '76
432 GIOVANNI MARI
in cui Althusser affronta la questione delle « sorprendenti affinità » tra Marx e Freud. Tali affinità sono sop[...]

[...] di « soggetto » (entrambi hanno criticato l'idea dell'« unità e dell'identità inseparabile di ogni coscienza » e della sua « funzione » unificante) .
La riflessione di Althusser insiste particolarmente su quest'ultimo aspetto: per il filosofo francese non è infatti la coscienza, bensí l'ideologia a costituire i soggetti. Se Marx, criticando l'economia politica, ne ha criticato anche la filosofia sottostante dell'uomo cosciente dei suoi bisogni come elemento primario di ogni società, la scoperta dell'inconscio critica l'idea della coscienza come base dell'unità morale e psicologica dell'uomo. Idea di uomo cosciente di sé di cui l'ideologia dominante ha assolutamente bisogno per poter imporre liberamente agli individui una determinata « forma di identificazione » per « giungere all'unificazione delle loro differenze concrete » e per consentire « l'egemonia delle forme materiali dell'ideologia dominante » (MF, p. 138).
7. Un altro grande tema presente in tutto l'arco della ricerca di Althusser è quello dell'ideologia, che viene trattato, come gli altri, in relazione alle lacune ed ai ritardi del pensiero di Marx e del marxismo. Se il [...]

[...]a di uomo cosciente di sé di cui l'ideologia dominante ha assolutamente bisogno per poter imporre liberamente agli individui una determinata « forma di identificazione » per « giungere all'unificazione delle loro differenze concrete » e per consentire « l'egemonia delle forme materiali dell'ideologia dominante » (MF, p. 138).
7. Un altro grande tema presente in tutto l'arco della ricerca di Althusser è quello dell'ideologia, che viene trattato, come gli altri, in relazione alle lacune ed ai ritardi del pensiero di Marx e del marxismo. Se il problema dell'ideologia si presenta inizialmente all'interno della riflessione sul « giovane Marx » e strettamente connesso al concetto di « rottura epistemologica », esso è posto da Althusser, fin dagli scritti del Per Marx, sul piano piú generale della ricerca e della necessità di una teoria della natura e della efficacia specifica della sovrastruttura, e si specifica, piú tardi, attorno ai temi dello stato e del partito politico.
Althusser affronta la questione dell'ideologia e della sua presenza [...]

[...]la conoscenza », cioè delle garanzie e delle condizioni per cui un soggetto entra in rapporto ad un oggetto nell'atto conoscitivo. In questa ottica la filosofia classica appare caratterizzata e dalla riflessione sulla scienza moderna (i due tipi di causalità già ricordati), e dalla riflessione sull'ideologia del soggetto (il problema gnoseologico). In relazione alla scienza ed agli operatori scientifici, quando elabora le nozioni di « conoscenza come
LOUIS ALTH'USSER 433
produzione », di « rottura epistemologica », di « filosofia spontanea degli scienziati » (temi che vedremo subito). Sul piano politico e della lotta di classe, quando parla di « ideologia dominante », di « ideologia piccolo borghese », di « ideologia proletaria ». Infine, ed è ciò su cui soprattutto mi soffermerò, sul piano della società e della storia, quando elabora gli elementi di una teoria in generale dell'ideologia dedicandovi uno dei suoi scritti piú interessanti e fortunati, Ideologia e apparati ideologici di Stato (1969).
Ai punti estremi della riflessione alt[...]

[...]erò, sul piano della società e della storia, quando elabora gli elementi di una teoria in generale dell'ideologia dedicandovi uno dei suoi scritti piú interessanti e fortunati, Ideologia e apparati ideologici di Stato (1969).
Ai punti estremi della riflessione althusseriana su questi temi troviamo gli scritti raccolti nel Per Marx e Il marxismo oggi (1978). Nei primi il marxismo è visto (ad eccezione del saggio Sul giovane Marx, 1961) solamente come il risultato di una « rottura epistemologica » nei confronti dell'ideologia, la filosofia come determinata dalla fondazione della scienza, l'ideologia proletaria (meglio quella che la classe operaia si dà come piú utile alla propria lotta di classe) come una sfera a sé, mero limite negativo e deformazione della realtà di fronte alla verità della scienza, insieme di concezioni pratiche interamente subordinate alla tattica politica. In Marxismo oggi, lo si è già visto, si ammettono, invece, due forme del marxismo, quella « teorica » e quella « ideologica »: il marxismo è quindi anche, e non secondariamente, « ideologia marxista ». In questo scritto Althusser si pone dal punto di vista della fusione della teoria marxista e del movimento operaio. Fin dall'inizio il marxismo, il « pensiero di Marx », non è separabile dalle esperienze, dalle lotte,[...]

[...]ose. Ciò che ad Althusser preme rilevare è l'origine e la funzione di classe di tale umanesimo (storicamente non separabile dalla borghesia in ascesa) che trova le sue espressioni piú elaborate nella « filosofia classica » e nell'economia politica borghese. Entrambe volte alla ricerca di una spiegazione della storia e della società fondate teoricamente sull'idea di un « soggetto originario », su « un concetto di uomo dalle pretese teoriche, cioè come soggetto originario dei suoi bisogni (homo oeconomicus), dei suoi pensieri (homo rationalis), dei suoi atti e delle sue opere (homo moralis, juridicus et politicus) » (EMP, p. 169).
In Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati (1967), è introdotta la nozione di « filosofia spontanea degli scienziati » (Fss) per indicare il fatto che in « ogni scienziato vi è un filosofo che sonnecchia », come emerge in maniera spettacolare nei momenti di crisi delle scienze. Questa ideologia scientifica, che va distinta, sia dalla filosofia, sia dalla ideologia pratica (o concezione del mondo) dello scienziato, rappresenta l'idea che l'operatore scientifico si fa, spesso inconsapevolmente, della scienza e del proprio lavoro di ricerca. La FSS presenta due elementi che ne costituiscono il contenuto
« contraddittorio ». L'elemento I (credenza nell'esistenza della realtà oggettiva, nella oggettività della conoscenza, nel metodo scientifico) è di origine
« interna », ed è materialistico. L'elemento [...]

[...]a « totalità sociale » e l'idea della necessità della liberazione dall'ideologia è sostituita con quella della funzione permanente dell'ideologia nella società: « L'ideologia fa dunque organicamente parte, in quanto tale, di ogni totalità sociale... Soltanto una concezione ideologica del mondo ha potuto immaginare società senza ideologie... per il materialismo storico neppure una società comunista può fare mai a meno di ideologia... l'ideologia (come sistema di rappresentazioni di massa) è indispensabile ad ogni società per formare gli uomini, trasformarli e metterli in condizione di rispondere alle esigenze delle loro condizioni di esistenza » (PM, pp. 207 e 210).
Il problema della liberazione si trasforma in quello della scelta tattica dell'ideologia in base ai criteri imposti dalla lotta di classe. Quanto al tema della « deformazione », esso permane, ma è subordinato al carattere essenziale che ora Althusser intende rilevare nell'ideologia, cioè alla sua « attività ». È nella costituzione dell'attività degli uomini, nella rappresentaz[...]

[...]realtà, bensí il rapporto necessariamente « immaginario » dell'uomo con questa realtà. L'ideologia è ciò che permette di rappresentare l'investitura della realtà da parte della « volontà » e della « speranza », quindi una realtà in movimento (immaginario), intrisa di finalità e di valori, immediatamente posta in un orizzonte trascendente il dato di fatto, l'esistente, perché nella rappresentazione di questo vi include per definizione l'attività. Come dire, se nella scienza l'uomo è solo di fronte alla realtà, nell'ideologia egli è sempre in compagnia della propria speranza o della propria nostalgia. A sua volta la scienza dell'ideologia è ciò che permette di pensare questa compagnia, questa associazione, cioè questo rapporto. Una compagnia in cui l'uomo, tra l'altro, può associarsi agli altri uomini: le forme ideologiche di massa.
Ma in Ideologia e apparati ideologici di Stato (TATE) Althusser introduce delle novità rilevanti nel proprio ragionamento al fine di eliminare ogni separazione tra uomo e ideologia, e cíò in due sensi. Primo, l[...]

[...]mini. L'ideologia è esattamente ciò che costituisce questi uomini, i quali esistono solo in quanto soggetti ideologici. Gli uomini (o « individui concreti ») non esistono fuori delle ideologie, essi sono sempre (ancor prima di nascere) sog
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getti in una determinata rappresentazione del loro rapporto con la realtà: esistono soltanto i « soggetti ». Secondo, l'ideologia non è qualcosa di diverso dagli atti che il soggetto compie come prescritti e codificad dall'ideologia. Solo una concezione ideologica dell'ideologia può separare le idee dagli atti. Se l'ideologia è gli atti, allora si può parlare di « materialità » dell'ideologia. Se in Marxismo e umanismo era l'intrinseca sistematicità a sorreggere l'ideologia, ora questa sistematicità, nella sua materialità, è rappresentata e sorretta dall'unità (ideologica e, secondariamente, repressiva) dell'« apparato ideologico di stato » (scuola, chiesa, famiglia, partito, sindacato, ecc.) la cui funzione è la riproduzione di soggetti adatti alla riproduzione delle condizioni di s[...]

[...] », che si autodefinisce tale (nel caso della religione cristiana è Dio), ed in nome del quale i soggetti sono « interpellati », divengono, cioè, suoi « specchi » e « riflessi »: uno sdoppiamento del Soggetto nei soggetti. Ciò comporta un assoggettamento di questi ultimi, il loro mutuo riconoscimento, e quello tra loro ed il Soggetto. Un assoggettamento di cui Althusser sottolinea il carattere spontaneo e « libero »: « l'individuo è interpellato come soggetto (libero) affinché si sottometta liberamente agli ordini del Soggetto, perché `compia da solo' i gesti e gli atti del suo assoggettamento » (TAIE, p. 119).
Per quanto riguarda la connessione che si può rilevare tra lo sviluppo della riflessione di Althusser sull'ideologia e la « svolta » nella congiuntura politica si deve almeno richiamare l'articolo su « La Pensée » nel 1969, A propos de l'article de M. Verret sur « Mai etudiant », in cui Althusser definisce il movimento degli studenti una « rivolta ideologica » di segno complessivamente progressivo che fa parte della lotta di class[...]

[...] in
« Transizione », n, febbraio 1977). 71. Finalmente qualcosa di vitale si libera
dalla crisi e nella crisi del marxismo (1977), in Potere e opposizione nella società postrivoluzionaria. Una discussione nella sinistra, Il Manifesto, Quaderno n. 8, Al
fani editore, 1978, pp. 222229. 72. La questione dello stato, oggi e nella tran
sizione, intervista rilasciata a Rossana Rossanda, « Il Manifesto », 4 aprile 1978. Poi, col titolo, Il marxismo come teoria « finita », in AA.VV., Discutere lo Stato, Bari, De Donato, 1978, pp. 721 (tr. franc. col titolo La gauche malade des partis, « Dialecti
ques », 1978, n. 23). 73. Des intellectuels communistes signent une lettre col
lective pour réclamer « une véritable discussion politique » dans leur parti, Lettera di L.A., E. Balibar, G. Bois, G. Labica, J.P. Lefebvre, M. Moissonier, « Le Monde »,
6 aprile 1978 (tr. it., « Il Manifesto », 7 aprile 1978). 74. Ce qui ne peut plus
durer dans le parti communiste: I. La strategie: le tournant dissimulé, « Le Monde », 25 aprile 1978; II. L'organisatio[...]



da [Le relazioni] P. Togliatti, Gramsci e il leninismo in Studi gramsciani

Brano: Paimiro Togliatti

GRAMSCI E IL LENINISMO

Ritengo che l’ampiezza delle note che sono state distribuite, come trama di questa relazione, mi esima deH’appesantire ora il convegno con un’esposizione troppo estesa, e ciò faccio anche allo scopo di lasciare maggiore possibilità di intervento, nel dibattito, ad uomini che non siano, come me, cosi direttamente impegnati nella lotta politica.

Entrambi i relatori, all’inizio delle loro relazioni, hanno giustamente sottolineato le indicazioni che Gramsci stesso ha dato circa il metodo che si deve seguire nello studio del pensiero di chi non abbia sviluppato in modo sistematico le proprie idee, allo scopo di attribuire un giusto significato e peso ad ogni affermazione, di essere in grado di criticarla nella misura in cui deve essere criticata, e Gramsci stesso avrebbe anche aggiunto — se ci si ricorda delle osservazioni preliminari a tutti i suoi scritti dal carcere — di respin[...]

[...]e un giusto significato e peso ad ogni affermazione, di essere in grado di criticarla nella misura in cui deve essere criticata, e Gramsci stesso avrebbe anche aggiunto — se ci si ricorda delle osservazioni preliminari a tutti i suoi scritti dal carcere — di respingerla, se necessario, in qualche caso. Egli stesso dice, infatti, in queste osservazioni, che alcune delle affermazioni da lui fatte sono forse persino da intendere in modo contrario a come egli le ha esposte. È difficile pensare un più esplicito invito all’esame critico.

Il professor Garin, però, giustamente ha sottolineato che il ritmo del pensiero in isviluppo è più importante delle singole formulazioni. Nel trattare, però, il tema che a me è stato assegnato, « Gramsci e il leninismo », non so se questa norma sia pienamente applicabile, perché la questione si presenta, in questo caso, in un modo del tutto particolare. Anche qui esiste ed è da ricercarsi, atraverso le singole formulazioni, un ritmo del pensiero, ma questo è direttamente accompagnato, misurato, dal ritmo del[...]

[...]he viene dal fatto che l’azione è stata compiuta, ha dato dei risultati, ha lasciato delle tracce,420

Le relazioni

e su queste tracce, che sono molto profonde, una parte della società italiana continua a lavorare. Esse non hanno soltanto un valore per chi pensa, ma per chi agisce e continua a lottare.

Non vi è dubbio che anche nello sviluppo dell’azione di Gramsci vi sono dei frammenti. Non direi, però, che questa azione possa essere,, come tale, considerata frammentaria. Vi sono stati momenti di incertezza, esitazioni, errori e correzioni di errori, e questo può indurre a considerare determinate posizioni come un frammento, da respingersi con un puro giudizio negativo. La indagine più attenta rivela che un puro giudizio negativo non può essere dato.

Vorrei servirmi, come esempio, dell’accettazione passiva, o relativamente passiva, che ad un certo punto venne fatta da Gramsci della direzione chiusa, settaria, come noi diciamo, del partito comunista nel primo periodo della esistenza di questo. Non vi è dubbio che ci troviamo, qui,, di fronte ad un errore, che lo stesso Gramsci in seguito dovette riconoscere, che egli criticò, respinse e corresse.

Però, da che cosa proveniva queU’errore? Qui si pone il problema del ritmo del pensiero e dell’azione. Credo si possa affermare che l’errore discendeva, in sostanza, dall’adesione di Gramsci a una esigenza di negazione totale di precedenti indirizzi politici, e questa esigenza non partiva da una pura critica dell’intelletto, bensì da una critica che era sgor[...]

[...]guardia della classe operaia,. i.n quel momento, quello che Gramsci chiamava « senso comune », verità diffusa, generalmente accettata, sentita in modo diretto, che si cerca di realizzare nella pratica perché da essa non si può prescindere.

L’errore conteneva, cioè, un impulso di ordine passionale, di ordine morale e di ordine politico, senza il quale è probabile che il partito comunista o non si sarebbe creato o non si sarebbe creato nel modo come si creò, ricevendo anche da quell’impulso qualche cosa che nel seguito degli sviluppi risultò essere largamente positiva. È vero, ci fu un errore. Gramsci sentiva, però, che a quell’impulso si doveva aderire, per riuscire a trasformarlo in un elemento che non fosse più puramente di negazione, ma positivo, costruttivo. L’errore stette nel modo della adesione e nella rapidità della correzione; ma anche in esso troviamo un elemento di coerenza ideale e di coerenza pratica profonda.

Anche altri errori vi furono nello sviluppo dell’azione politica di Gramsci. Certo è il punto di partenza, certo[...]

[...]di Gramsci. Certo è il punto di partenza, certo il punto di, arrivo; ma traPaimiro Togliatti

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il punto di partenza e il punto di arrivo il distacco è enorme. Il punto di partenza, mi pare abbia tentato di descriverlo Gramsci stesso in una pagina che voi trovate airinizio del volume Passato e presente, dove parla di processi vitali « ... che sono caratterizzati dal continuo tentativo di superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era

proprio dice — di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi

un modo di vivere e di pensare non più regionale e da “ villaggio ”, ma nazionale, e tanto più nazionale, (anzi nazionale appunto per ciò) in quanto cercava di inserirsi in modi di vivere e di pensare europei, o almeno il modo nazionale confrontava con i modi europei, le necessità culturali italiane confrontava con le necessità culturali e le correnti europee (nel modo in cui ciò era possibile e fattibile nelle condizioni personali date, è vero, ma almeno secondo esigenze e bisogni fortemente sentiti in[...]

[...]dalla scena ed essere tranquilli?

1 P., p. 3.422

Le relazioni

La ricerca è assai ampia, né vi è dubbio che da essa risulta che una grande parte deve essere fatta alla tradizione politica e culturale italiane. Gramsci è un politico italiano. Si collega alle più vitali correnti del pensiero politico e deH’azione politica del nostro paese. Però questo non basta! La sola tradizione italiana non avrebbe fatto di Gramsci ciò che egli è stato come politico, e come politico nel quale non vi è più traccia del provincialismo nostrano. Alla tradizione del pensiero italiano si accompagnarono lo studio del marxismo, il contatto con la classe operaia e con la realtà della vita internazionale e nazionale quale gli apparve dai primi anni della esistenza e poi, via via, gli episodi di una lotta che si faceva sempre più aspra. In questo quadro spetta un posto a parte come fattore, io credo, decisivo, di sviluppo ideale e pratico, a Lenin e al leninismo.

Riconoscono oggi anche coloro che non aderiscono al giudizio nostro, che l’opera di Lenin ha mutato il corso della storia, ha aperto un’èra nuova nello sviluppo degli avvenimenti mondiali. Tale è la realtà. L’opera di Lenin deve essere collocata, analogicamente, sullo stesso piano su cui si può collocare l’opera della Rivoluzione francese. Dopo la Rivoluzione francese il mondo cambia; cambia il modo di pensare degli uomini. Anche dopo Lenin il modo di pensare degli uomini cambia. Dopo Lenin noi pensiamo tutt[...]

[...]Lenin ha mutato il corso della storia, ha aperto un’èra nuova nello sviluppo degli avvenimenti mondiali. Tale è la realtà. L’opera di Lenin deve essere collocata, analogicamente, sullo stesso piano su cui si può collocare l’opera della Rivoluzione francese. Dopo la Rivoluzione francese il mondo cambia; cambia il modo di pensare degli uomini. Anche dopo Lenin il modo di pensare degli uomini cambia. Dopo Lenin noi pensiamo tutti in modo diverso da come pensavamo prima. Parlo dei politici, prima di tutto, ma non parlo soltanto dei politici; parlo di tutti gli uomini i quali cercano di formarsi una coscienza critica della realtà che li circonda e anche delle grandi masse umane a cui le nuove scoperte del pensiero e dell’attività creatrice degli uomini arrivano nella forma della fede o dell’informazione lontana. Non escludo, cioè, coloro che non sono politici pratici e non escludo coloro i quali non sono in grado di arrivare a una consapevolezza critica del corso degli avvenimenti. Un rivolgimento, — e questa è una delle tesi fondamentali di G[...]

[...] questa è una delle tesi fondamentali di Gramsci — che assume un valore metafisico, quale fu la grande Rivoluzione socialista portata alla vittoria da Lenin, crea anche un nuovo « senso comune », un nuovo elemento di coscienza quasi religiosa, nuove forme di giudizio generale, una nuova fede.

Dopo Lenin noi operiamo tutti diversamente, perché abbiamo compreso in modo nuovo la realtà che sta davanti a noi, ne abbiamo penetrato la sostanza cosi come prima ancora non si era riusciti.

Ora, che cosa vi è in Lenin di fondamentalmente nuovo? Scusate se a questo punto l’esposizione, per esser rapida, dovrà essere per forzaPalmiro Togliatti

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alquanto schematica. Vi sono in Lenin almeno tre capitoli principali, che determinano tutto lo sviluppo della azione e del pensiero : una dottrina deirimperialismo, come fase suprema del capitalismo; una dottrina della rivoluzione e quindi dello Stato, del potere e una dottrina del partito. Sono tre capitoli strettamente uniti, fusi quasi 'l’uno nell’altro, e ciascuno di essi contiene una teoria e una pratica, è il momento di una realtà effettuale in isviluppo, una dottrina, cioè, che non solo viene formulata, ma messa alla prova dei fatti, dell’esperienza storica e che nella prova dell’esperienza storica si sviluppa, abbandona posizioni che dovevano essere abbandonate, conquista posizioni muove, e crea, quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al marxismo [...]

[...], quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al marxismo questo suo carattere creativo, lo libera dalla pedanteria delle interpretazioni materialistiche, economicistiche, positivistiche delle dottrine di Carlo Marx, fa del marxismo, in questo modo, ciò che deve essere: la guida di un’azione rivoluzionaria.

Ritengo che l’apparizione e lo sviluppo del leninismo sulla scena mondiale sia stato il fattore decisivo di tutta la evoluzione di Gramsci come pensatore e come uomo politico di azione. È il fattore che determina il ritmo del movimento, dà un carattere lineare agli sviluppi ideali e pratici, consente di giustamente valutare anche gli errori, il loro valore e la critica di essi, e di inserirli in un complesso unitario.

Negli scritti giovanili di Gramsci — che è da dolere non abbiamo potuto essere pubblicati, come sarebbe stato desiderabile, prima di questa riunione 1 — è evidente una ricerca che ha un carattere ansioso e non esclude una certa confusione. L’influenza idealistica è evidente, basta prendere il numero unico La città futura, del 1917, scritto tutto da Gramsci per la parte originale, con ampie citazioni di quelli che erano allora i Maestri della filosofia idealistica. L’influenza idealistica qui non si può negare. In questo periodo dello sviluppo del pensiero di Gramsci e già — direi — precedentemente, negli anni universitari, la efficacia del pensiero idealistico si manifesta però essenzia[...]

[...]o tutto da Gramsci per la parte originale, con ampie citazioni di quelli che erano allora i Maestri della filosofia idealistica. L’influenza idealistica qui non si può negare. In questo periodo dello sviluppo del pensiero di Gramsci e già — direi — precedentemente, negli anni universitari, la efficacia del pensiero idealistico si manifesta però essenzialmente in una direzione, nella spinta a ricercare e a far proprio un concetto della dialettica come sviluppo storico della realtà.

1 Negli Scritti giovanili (Torino, 1958), che uscirono pochi mesi dopo il Convegno, sono inclusi tutti gli scritti del periodo 1914’ 18 citati nel presente volume.424

Le relazioni

È vero che nelle soluzioni che vengono date anche a questo problema in questo periodo vi sono espressioni che oggi non accetteremmo. Il nesso tra la realtà e l’azione, che è la sostanza dello sviluppo storico, non è ancora cercato nella materialità del processo complessivo della storia. Ancora viene alla luce la tendenza a cercarlo soltanto nella sfera dei puri rapporti ideal[...]

[...]realtà e l’azione, che è la sostanza dello sviluppo storico, non è ancora cercato nella materialità del processo complessivo della storia. Ancora viene alla luce la tendenza a cercarlo soltanto nella sfera dei puri rapporti ideali, di pensiero. In pari tempo, però, a questa influenza dell’idealismo sul pensiero di Gramsci giovane si accompagna in lui uno sforzo continuo e insistente verso una indagine concreta dei rapporti economici e di classe, come trama costitutiva di tutta la società.

Non voglio ripetere cose che ho dette altre volte, rievocando le ricerche che negli anni universitari egli faceva e spingeva me stesso a fare, per esempio sulla struttura dei rapporti commerciali della Sardegna, isola, con il continente italiano, con la Francia, con altri paesi, e del rapporto che si poteva stabilire tra la modificazione di questi rapporti e fatti di ordine apparentemente assai lontano, come lo sviluppo della delinquenza, per esempio, la frequenza degli episodi di brigantaggio, la diffusione della miseria e cosi via.

Già in questo [...]

[...] trama costitutiva di tutta la società.

Non voglio ripetere cose che ho dette altre volte, rievocando le ricerche che negli anni universitari egli faceva e spingeva me stesso a fare, per esempio sulla struttura dei rapporti commerciali della Sardegna, isola, con il continente italiano, con la Francia, con altri paesi, e del rapporto che si poteva stabilire tra la modificazione di questi rapporti e fatti di ordine apparentemente assai lontano, come lo sviluppo della delinquenza, per esempio, la frequenza degli episodi di brigantaggio, la diffusione della miseria e cosi via.

Già in questo momento non vi è dubbio che questi due elementi: la efficacia dell’idealismo che spinge ad appropriarsi del concetto della storia come sviluppo, e lo sforzo nella indagine dei rapporti economici e sociali, tendono a fondersi. Essi debbono fondersi, e si fonderanno in tutto il successivo sviluppo del pensiero di Gramsci. Ma quale è l’elemento che determina la fusione? Qui interviene la esperienza storica della Rivoluzione, interviene il leninismo, intervengono il pensiero e l’azione di Lenin.

Se cerchiamo, oggi, di rievocare quelle che erano la dottrina e la propaganda del movimento socialista italiano prima di Gramsci, ci accorgiamo subito che mancava in esse un concetto fondamentale, il concetto stesso di rivoluzione. Ch[...]

[...]li dibattiti sulla differenza che potesse passare tra la semplice rivolta, l’insurrezione e una « vera », « effettiva » rivoluzione, tra un sommovimento armato e un movimento non armato e gli eventuali rapporti tra di loro. Si discuteva se uno sciopero generale potesse metter capo a una rivoluzione e questa era già, del resto, una forma più concreta della ricerca. Oppure si confondeva, identificandoli, il concetto di rivoluzione « permanente » — come ha detto uno dei relatori — conPaimiro Togliatti

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il concetto di sviluppo storico, che è un’altra cosa. Una precisa visione di che cosa fosse l'arrovesciarnento rivoluzionario dei rapporti sociali non vi era.

Vorrei ricordare una osservazione scherzosa di Gramsci, che forse consente di precisare meglio questa deficienza. È una osservazione fatta in polemica con i riformisti. Egli porta l’esempio di certe lezioni di filosofia che aveva sentito airUniversità di Torino, e rievoca il vecchio professore dell’Università che da quaranta anni si proponeva di svolgere un corso di filosofi[...]

[...], il vecchio^fanciullo, l’uomo nato a ottantanni, della filosofia cinese. E ogni anno ricominciava a parlare di Laotsè, perché muovi studenti erano sopraggiunti, ed anche essi dovevano erudirsi su Laotsè, per bocca del professore. E cosi 1’“ Essere evolutivo finale 99 divenne una leggenda, una evanescente chimera e l’unica realtà vivente, per gli studenti di tante generazioni, fu Laotsè, il vecchiofanciullo, il fantolino nato ad ottantanni. Cosi come succede per la lotta di classe nella vecchia Giustizia di Camillo Prampolini: anch’essa è una chimera evanescente, e ogni settimana è del vecchiofanciullo che vi si scrive, che non matura mai, che non evolve mai, che non diventa mai 1’“ Essere evolutivo finale ”, che pure si aspetterebbe dover finalmente sbocciare dopo tanta lenta evoluzione, dopo tanta perseverante opera di educazione evangelica » 1.

Cosi era per coloro che parlavano di rivoluzione, in Italia, prima di * Lenin. Mancava loro il concetto stesso di rivoluzione. Vorrei dire che anche in Antonio Labriola, se si scava a fondo, [...]

[...]re si aspetterebbe dover finalmente sbocciare dopo tanta lenta evoluzione, dopo tanta perseverante opera di educazione evangelica » 1.

Cosi era per coloro che parlavano di rivoluzione, in Italia, prima di * Lenin. Mancava loro il concetto stesso di rivoluzione. Vorrei dire che anche in Antonio Labriola, se si scava a fondo, si scopre, non è dubbio, la più valida concezione che sia stata elaborata nel nostro paese della filosofia della prassi, come visione autonoma della realtà e del mondo, ma il concetto di rivoluzione non è neanche in lui direttamente unito a un’analisi precisa delle condizioni oggettive in cui si sviluppava la concreta rivoluzione italiana, la rivoluzione degli operai e dei contadini, del popolo italiano per rovesciare il corso della storia t diventarne padroni. Il Labriola, ho già avuto occasione una volta di ricordarlo e credo che del resto questa osservazione sia oggi generalmente riconosciuta valida, non riuscì a giungere al concetto deirimperialismo e questa fu la più grave deficienza dello sviluppo del suo pens[...]

[...]ta valida, non riuscì a giungere al concetto deirimperialismo e questa fu la più grave deficienza dello sviluppo del suo pensiero, deficienza che spiega anche alcuni degli errati

1 II grido del popolo, Torino, 25 maggio 1918.426

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giudizi da lui stesso avanzati, negli ultimi anni dell’esistenza, circa la politica coloniale dell’imperialismo.

In quegli appunti che dopo una certa rielaborazione, credo, sono stati presentati come un « quarto saggio » sulla concezione materialistica della storia, con il titolo Da un secolo all’altro, Antonio Labriola affronta questo problema, il problema dell'imperialismo. La sua ricerca, egli dice, tende a « illuminare la scena attuale del mondo civile, tratteggiarla nei suoi contorni, nel suo interiore aspetto e nell’intreccio delle forze che la configurano e la sorreggono ». Sono termini che indicano tutta la consueta complessità del pensiero del Labriola. E cosi egli parla, venendo al concreto, della politica imperialistica degli Stati di quella fine di secolo, della guerra del Tra[...]

[...] parla, venendo al concreto, della politica imperialistica degli Stati di quella fine di secolo, della guerra del Transvaal, della espansione della Russia nell’Asia, che rifà a rovescio l’invasione mongolica. Egli tenta quindi anche una definizione del periodo precedente. Vuol dire che cos’è il secolo che si chiude, e cosi lo definisce: «Il secolo precedente non è cominciato nel 1800, è cominciato, chissà mai, il 14 luglio 1789, o un dipresso, o come altro piaccia di datare il vertiginoso erompere dell’èra liberale. Il secolo che si chiude è 1’“ èra liberale ” ».

Ma che cosa potrà essere il secolo che si apre? Mancano, al vecchio marxista italiano, gli elementi di analisi, di dimostrazione e di convinzione che gli consentano di affermare che il secolo che si apre è l’èra del passaggio al socialismo. La sua ricerca si chiude, a questo punto, con una nota di incertezza e di sfiducia : « Noi non sappiamo — dice — dove la storia andrà a finire ». È vero che subito aggiunge una giustificazione di questa affermazione, che teoricamente è gius[...]

[...]si trovava. Questa fu la tragedia del movimento socialista italiano all’inizio del secolo. Né la mia critica è diretta soltanto contro le frazioni rivoluzionarie. Se si guarda ai riformisti, le cose andavano anche peggio. Neanche su un terreno riformistico, di collaborazione con gruppi borghesi, essi riuscivano a eie, varsi al di sopra delle agitazioni immediate. Questo ebbe la conseguenza che non abbandonarono il campo del movimento socialista, come invece fecero i riformisti di altri paesi. Vi rimasero, attaccati come rémore alla chiglia della nave, ma incapaci essi pure di dare a se stessi obiettivi e prospettive che fossero evidenti e chiari, e ciò dette al riformismo italiano un aspetto anche più meschino, contradditorio in se stesso e stentato che in altri luoghi.

Tutte queste erano, in sostanza, le conseguenza negative di una concezione pedantesca, meccanicistica del marxismo e del processo stesso del movimento operaio. Mancava la concezione dello sviluppo storico, che non può essere inteso soltanto come evoluzione oggettiva dei rapporti economici attraverso alle trasformazioni della tecnica e aH’a[...]

[...]pure di dare a se stessi obiettivi e prospettive che fossero evidenti e chiari, e ciò dette al riformismo italiano un aspetto anche più meschino, contradditorio in se stesso e stentato che in altri luoghi.

Tutte queste erano, in sostanza, le conseguenza negative di una concezione pedantesca, meccanicistica del marxismo e del processo stesso del movimento operaio. Mancava la concezione dello sviluppo storico, che non può essere inteso soltanto come evoluzione oggettiva dei rapporti economici attraverso alle trasformazioni della tecnica e aH’accrescimento delle forze produttive, sviluppo delle lotte parziali economiche e politiche dei lavoratori e a coronamento di quella evoluzione e di questo sviluppo una miracolosa catastrofe. Quella che mancava era la nozione stessa delle modificazioni e deH’arrovesciamento dei rapporti di potere nella società, della rottura del blocco storico dominante e della creazione rivoluzionaria di un blocco nuovo.

È questa nozione, invece, che Gramsci pose a fondamento di tutto il suo pensiero e di tutta la[...]

[...]rimi scritti di Gramsci sulla Rivoluzione russa, in parte già pubblicati, in parte non ancora. Questi scritti contengono senza dubbio anche degli errori, affermazioni che non possiamo accettare e non sono accettabili. Mi riferisco particolarmente al famoso articolo intitolato « La rivoluzione contro il “ Capitale ” » 1 dove il « Capitale » è il libro di Carlo Marx, e la rivoluzione è quella dei bolscevichi russi neH’Ottobre 1917. L’impostazione, come si vede, è errata ed errati sono alcuni giudizi. Ma da questo scritto mi pare emerga quasi un grido di liberazione del giovane Gramsci che, vedendo ciò che è avvenuto in Russia, finalmente sente che ci si può liberare dal (pesante e ingombrante involucro dell’interpretazione pedantesca, grettamente materialistica e positivistica che era stata data del pensiero di Marx in Italia, e che era stata data anche da grandi e ben noti agitatori del socialismo.

Il Capitale in Russia era diventato — si legge in questo articolo — « il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione cri[...]

[...] svolgersi secondo i canoni del materialismo storico ».

Qui è l’errore, ma non è di sostanza. Quella che Gramsci denuncia e respinge era stata, infatti, la falsa interpretazione che del materialismo storico avevano data i cosiddetti marxisti legali. Ma egli prosegue: « I bolscevicki rinnegano Carlo Marx, affermano con la testimonianza dell’azione esplicata, delle conquiste realizzate, che Ì canoni del materialismo storico non sono cosi ferrei come si potrebbe pensare e si è pensato... Ecco tutto... [Essi] non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore, di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche ». Anche questa è una affermazione da noi oggi non accettabile. Non in Marx era avvenuta la contaminazione, ma nei trattatelli e opuscoli di propaganda quintessenziale, dove il pensiero marxista era stato ridotto a ciò che n[...]

[...] la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche ». Anche questa è una affermazione da noi oggi non accettabile. Non in Marx era avvenuta la contaminazione, ma nei trattatelli e opuscoli di propaganda quintessenziale, dove il pensiero marxista era stato ridotto a ciò che non era e non poteva essere.

« Questo pensiero — continua Gramsci — pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l’uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro volontà... Marx ha preveduto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuto la durata e gli effetti che ha avuto. Non poteva prevedere che questa guerra, in tre anni di sofferenze indicibili, di miserie indicib[...]

[...]o di intendere la storia. Quello che egli cerca è invece un’esatta definizione di ciò che questi ceti hanno fatto, il che gli deve servire per dare una definizione esatta della struttura della società italiana, quale esce dalla rivoluzione nazionale. Né si può negare che, nei momenti critici della storia, le classi dirigenti possono fare cose diverse. Lenin applicò questo criterio alla analisi dello sviluppo del capitalismo in Russia, e del modo come avrebbe potuto venire risolta, in particolare, la questione agraria, quale era posta dallo sviluppo secolare dell’economia russa, dalla sopravvivenza del regime feudale. Erano possibili due strade; quale avrebbero scelto le classi dirigenti russe? e quale strada sceglie il proletariato? La via che venne scelta dalle classi dirigenti fu l’espressione di un determinato blocco storico, nel quale ebbe un sopravvento, — e avrebbe anche potuto non averlo — il gruppo sociale dell’aristocrazia terriera, alleato in modo particolare, — e anche questa alleanza avrebbe potuto essere diversa — con il ceto[...]

[...]ione si portasse, non su quel tanto di coscienza che vi fu in Giolitti, all’inizio del ’900, della necessità di cambiare qualche cosa degli indirizzi politici tradizionali, quanto sulla inadeguatezza delle conseguenze che egli trasse da questa coscienza e quindi sui momenti negativi della sua azione immediata. Appunto perché egli aveva voluto presentarsi con un volto nuovo, erano più gravi, scandalosi questi momenti negativi. A Giolitti, partito come l’istauratore di una nuova legalità democratica, toccò infatti il compito, non solo di perpetuare l’asservimentoPaimiro Togliatti

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delle regioni meridionali, ma di dare inizio alla nuova fase della espansione africana, e di fare il primo passo per la organizzazione di un nuovo blocco reazionario, nel quale si sarebbero finalmente dovute inserire anche le forze clericali.

In crisi era, in quel momento, anche la cultura. Sono attaccate e crollano le vecchie ideologie ottocentesche e tutta la visione della storia del nostro paese subisce una scossa profonda, ad opera di dilettanti, [...]

[...] finalmente dovute inserire anche le forze clericali.

In crisi era, in quel momento, anche la cultura. Sono attaccate e crollano le vecchie ideologie ottocentesche e tutta la visione della storia del nostro paese subisce una scossa profonda, ad opera di dilettanti, è vero, e non ancora di scienziati, ma in modo tale che lascia traccia profonda. È il momento — si ricordi — in cui viene diffusa ed esaltata l’opera storica, che noi oggi sappiamo come debba essere giudicata, di Alfredo Oriani. È il momento del crollo dei sistemi positivistici e del tramonto, insieme con essi, di tutta una cultura.

Come si muove Gramsci in quel momento di cosi profonda crisi? L’influenza delle nuove correnti idealistiche lo porta a respingere le volgarità delle interpretazioni positivistiche del marxismo. Egli è però, in pari tempo, agli antipodi della visione idealistica della storia e della situazione del nostro paese. Respinge con repugnanza tanto l’esasperato e ridicolo individualismo dannunziano quanto l’esaltazione nazionalistica alla quale stavano attingendo nuovo alimento ideologico i gruppi dirigenti reazionari. Nella indagine sulla storia, sulla struttura, sulla realtà attuale della società italian[...]

[...]o, una grande confusione per quanto riguarda l’indagine sui temi più generali, sui problemi della conoscenza, della filosofia, della metodologia della storia. Si riflette in questa confusione il carattere stentato dell’illuminismo e razionalismo italiano di quel tempo. Da alcuni, almeno, di questi pensatori era però partito un impulso, efficace e potente, alla ricerca della realtà economica e delle forme di organizzazione della società italiana, come si era storicamente formata attraverso i secoli e come si presentava all’inizio del Risorgimento. È secondo questa linea, è in questo alveo che si muove il pensiero di Gramsci. Sarebbe quindi errato considerarlo come una varietà delle concezioni indealistiche allora prevalenti, o, peggio ancora, come uno sforzo per correggere le loro esagerazioni. No! La differenza è sin dai primi passi, una profonda differenza di indi434

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rizzo e di qualità. Vi è in Gramsci il confluire di una visione della storia, che gli veniva dallo sviluppo della filosofia italiana nel momento in cui essa si ricollegava alle grandi scuole filosofiche tedesche del secolo precedente, ma che assorbiva una nuova linfa vitale dalla migliore tradizione delle indagini economiche e storiche dei maestri della storiografia razionalistica e positivistica. Privo di questa linfa vitale il suo pensiero non sareb[...]

[...] e cosi profonda interpretazione del rapporto tra la città e la campagna nello sviluppo della storia d’Italia. Tutto il suo pensiero storiografico e politico non avrebbe potuto avere quel rigoglioso sviluppo che noi sappiamo, se non vi fosse inizialmente stata in lui la efficacia di quel filone di pensiero che abbiamo indicato, e se egli non avesse fecondato quel filone con le proprie indagini e con le proprie conclusioni.

Giusto è ricordare, come mediatore di questa efficacia, il nome di Gaetano Salvemini, per quanto la polemica di Gramsci con Salvemini sia stata continua dall’inizio della prima guerra mondiale in poi.

In Salvemini l’elemento positivo della visione storica e politica si disperdeva in frammenti. Lo sforzo di sintesi politica era d’altra parte soggetto alla influenza di elementi di ordine passionale non sempre meditati, alle volte moralistici, oppure dipendenti da una visione parziale della realtà. Ciò portò Salvemini a compiere atti politici che Gramsci non poteva non giudicare come errori, e che tali furono. Non os[...]

[...]a stata continua dall’inizio della prima guerra mondiale in poi.

In Salvemini l’elemento positivo della visione storica e politica si disperdeva in frammenti. Lo sforzo di sintesi politica era d’altra parte soggetto alla influenza di elementi di ordine passionale non sempre meditati, alle volte moralistici, oppure dipendenti da una visione parziale della realtà. Ciò portò Salvemini a compiere atti politici che Gramsci non poteva non giudicare come errori, e che tali furono. Non ostante questo, Salvemini rimane un grande maestro del pensiero storico e politico italiano, da cui Gramsci molto apprese, a cui di molto egli è debitore.

È necessario però osservare, a questo punto, che relativamente ad uno degli aspetti fondamentali dell’applicazione e dello sviluppo dei leninismo, che Gramsci fece in relazione con la storia italiana e con la situazione del nostro paese, cioè nella formulazione della necessità di un’alleanza tra la classe operaia e le grandi masse lavoratrici contadine del Meridione nella lotta contro il loro nemico comune,[...]

[...]a nuova unità di forze di classe la quale si afferma nella lotta contro l’attuale classe dirigente e si realizza con la presa del potere da parte della classe operaia alleata delle grandi masse contadine.

In questo modo si passa organicamente dalla protesta contro il sopruso e dalla lotta rivendicativa immediata alla lotta rivoluzionaria: gli obiettivi rivoluzionari servono di guida anche nelle lotte immediate che orientano e illuminano, cosi come le lotte immediate servono a scoprire e indicare le linee fondamentali di organizzazione del nuovo blocco storico che, attraverso la rivoluzione e nella marcia verso di essa, afferma se stesso come forza dirigente nazionale.

In questa luce e soltanto in questa luce credo possa oggi essere considerata l’azione svolta da Gramsci a Torino negli anni 1919 e 1920. È infatti assurdo pensare che mentre Gramsci, come egli stesso dice nelle sue Note sulla quistione meridionale, già nel 1919 era giunto a questa nuova concezione dell’alleanza di classe tra gli operai e le masse contadine per risolvere la questione dello Stato e della sua unità, è assurdo ritenere che in questo stesso momento egli avesse una visione della funzione della classe operaia che escludesse la organizzazione del partito politico e la lotta politica come forma più alta della lotta di classe e desse un valore esclusivo per giungere alla conquista del potere, al fatto che l’operaio si impadronisse, nella fabbrica, del processo produttivo e di una posizione di dominio nei confronti del padrone.

È vero, si possono trovare in questo o quello scritto di Gramsci, di quegli anni, espressioni staccate che possono suscitare il dubbio che egli pensasse in questo modo; ma queste espressioni hanno essenzialmente un valore esortativo. Esse vogliono portare la classe operaia a prendere coscienza della funzione che essa ha nel processo della produzione e [...]

[...]a funzione che essa ha nel processo della produzione e quindi nella fabbrica; ma dalla fabbrica Gramsci risaliva non a un fantastico Stato di « produttori » fuori della storia, bensì al concreto Stato italiano e alla lotta politica che in esso doveva esser condotta.436

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Gramsci ha del resto vivamente criticato, giungendo persino, in qualche momento, a esagerare in questa critica, la tendenza a considerare lo sviluppo economico come risultato delle pure modificazioni dello strumento tecnico. Effettivamente anche le modificazioni dello strumento tecnico hanno un valore che non è soltanto materiale. Esse stesse sono il risultato di una evoluzione che ha luogo anche nelle sovrastrutture, sono il portato di una ricerca, di uno studio, di una azione educativa, possono persino essere legate al prevalere di indirizzi filosofici che spingono alla indagine dei fenomeni naturali o di indirizzi che frenino questa indagine. Non è per un caso che i primi satelliti artificiali della terra sono stati lanciati da un paese la cui cultura[...]

[...]ere di indirizzi filosofici che spingono alla indagine dei fenomeni naturali o di indirizzi che frenino questa indagine. Non è per un caso che i primi satelliti artificiali della terra sono stati lanciati da un paese la cui cultura è materialistica.

Motore della storia è, però, lo sviluppo generale delle forze produttive e, sulla base di questo, lo sviluppo dei rapporti sociali e della lotta delle classi. La nozione di progresso tecnico, cosi come il concetto stesso di lavoro, non possono essere intesi in senso ristretto e puramente materiale, quasi isolando una parte dell’umanità, la classe operaia, dentro il muro delle fabbriche, dove girano i torni e le frese, o agiscono le macchine a catena e gli apparecchi automatici del giorno d’oggi. Il progresso tecnico, come abbiamo veduto, è sempre il risultato di uno sviluppo che viene da molte direzioni e dove l’educazione ha la sua parte, e il carattere stesso che ha il lavoro dell’operaio nella fabbrica davanti alla macchina di ieri e di oggi e alla macchina di domani, non si afferra se non si indaga e non si svela il rapporto di proprietà, cioè il rapporto tra le classi, la relazione tra chi è il proprietario dei mezzi di produzione e chi non possiede che la propria forza di lavoro, cioè se non si esce dall’ambito della fabbrica per proiettare il rapporto che si stabilisce nella fabbrica in una visione gene[...]

[...]iche. Particolarmente ha concentrato la sua critica in questa direzione il prof. Rodolfo Mondolfo, il quale pure, in un notevole studio, ha riconosciuto il valore positivo e creativo della visione che Gramsci ha del marxismo e di tutto il suo pensiero. Da un lato egli afferma che questo « intellettuale collettivo », il partito, sarebbe cosa deteriore perché verrebbe dall’esterno del movimento della classe operaia; dall’altro lato trova, nel modo come Gramsci sviluppa il concetto di partito, una specie di giustificazione di una forma di tirannide.

Circa la prima critica, credo che l’errore consista nel ritenere che la dottrina del partito, cosi come Gramsci la espone e sviluppa sulla traccia di Lenin, sia qualche cosa che prescinda dalle analisi storiche, economiche e sociali di tutta la realtà. Il partito di una determinata classe non sorge in qualsiasi momento, cosi come non sorgono tn qualsiasi momento della storia i problemi che una determinata classe è chiamata a porre e risolvere. Sorge e può svilupparsi soltanto in una società in cui si sia iniziato il concretarsi di una volontà collettiva della nuovaPaimiro Togliatti

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classe, riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione. Il partito quindi sorge quando esistono già alcune condizioni della sua vittoria. È questa un’affermazione fondamentale, direttamente collegata all’insegnamento e all’azione pratica di Lenin. È una derivazione diretta del Che fare? e degli altri grandi studi leninisti c[...]

[...]atasi parzialmente nell’azione. Il partito quindi sorge quando esistono già alcune condizioni della sua vittoria. È questa un’affermazione fondamentale, direttamente collegata all’insegnamento e all’azione pratica di Lenin. È una derivazione diretta del Che fare? e degli altri grandi studi leninisti circa la dottrina del partito e della sua funzione.

Risulta evidente, da questo modo di porre la questione, il nesso tra la dottrina del partito, come intellettuale collettivo che organizza e dirige la lotta della nuova classe per il potere, e lo sviluppo dei rapporti economici, dei rapporti di classe, dei rapporti politici, nonché delle ideologie e degli altri elementi sovrastrutturali. In questo sviluppo il partito si inserisce in un momento determinato e in modo determinato, a seconda della struttura di quella determinata società, a seconda del caratere del blocco storico in quel momento dominante, per cui quando ci si trova di fronte a un fatto decisivo, come la conquista del potere da parte del partito bolscevico, minoranza numerica di[...]

[...]va classe per il potere, e lo sviluppo dei rapporti economici, dei rapporti di classe, dei rapporti politici, nonché delle ideologie e degli altri elementi sovrastrutturali. In questo sviluppo il partito si inserisce in un momento determinato e in modo determinato, a seconda della struttura di quella determinata società, a seconda del caratere del blocco storico in quel momento dominante, per cui quando ci si trova di fronte a un fatto decisivo, come la conquista del potere da parte del partito bolscevico, minoranza numerica di fronte alla grande massa della popolazione, il problema da porsi non è se il fatto che una minoranza conquisti il potere contraddica le norme della democrazia formale, ma è di vedere come e perché quella minoranza doveva giungere a conquistare il potere, e conquistando il potere abbia realizzato quel progresso che quella società in quel momento poteva e doveva compiere.

Anc^he la dottrina del partito fa parte di quello sviluppo creativo del marxismo che da Lenin ha ricevuto un impulso fondamentale. Anche questa dottrina respinge le pedantesche e fatalistiche concezioni dello sviluppo storico attraverso le quali il genuino pensiero marxista era stato contraffatto, reso inerte, impotente alla creazione storica.

Al prof. Mondolfo si potrebbe ricordare ciò che già gli faceva[...]

[...]sci — che un professore tedesco di scuole medie, riuscito stranamente a innamorarsi, cosi combinasse insieme la pedagogia e la tenerezza: —Mi ami tu, tesoretto mio? — Si. — No, nella risposta deve essere sempre ripetuta la domanda, in questo modo: Si, ti amo, topolino mio! ».

Nella risposta che Lenin ha dato ai problemi della Rivoluzione russa non era contenuta la domanda che Rodolfo Mondolfo crede si debba fare al politico a seconda del modo come egli interpreta il marxismo. Era però

29.440

Le relazioni

contenuta la risposta adeguata alla realtà dello sviluppo storico della Russia, della vita sociale, economica, collettiva del popolo russo.

Ma la dottrina del partito conterrebbe dunque la giustificazione di una tirannide? Si possono trovare in Gramsci, soprattutto nelle primepagine delle Note sul Machiavelli, affermazioni che, staccate dal loro contesto, possono spaventare un ignaro. Sono invece affermazioni dei tutto comprensibili, logiche, giuste, quando la dottrina del partito è intesa come Lenin e Gramsci la intesero.[...]

[...] sviluppo storico della Russia, della vita sociale, economica, collettiva del popolo russo.

Ma la dottrina del partito conterrebbe dunque la giustificazione di una tirannide? Si possono trovare in Gramsci, soprattutto nelle primepagine delle Note sul Machiavelli, affermazioni che, staccate dal loro contesto, possono spaventare un ignaro. Sono invece affermazioni dei tutto comprensibili, logiche, giuste, quando la dottrina del partito è intesa come Lenin e Gramsci la intesero.

Gramsci affronta questo problema in modo assai vario e complesso,, perché riconosce che il pericolo può esserci. Egli ne aveva avuto esperienza nel modo come era stato diretto il suo partito, il Partito comunista italiano nei primi anni della sua esistenza, trasformandolo in una sèttar in una organizzazione di tipo pseudomilitaresco, privo di una propria vita, vivacità e dialettica interna, e quindi incapace anche di adempiere a quelle funzioni cui deve adempiere il partito nel contatto con le masse che hanno bisogno della sua direzione.

Di qui le indicazioni assai interessanti, — anche se forse non siano in grado di cogliere tutte le sfumature coloro che non abbiano pratica di vita politica, — che egli dà, soprattutto nelle note di Passato e p[...]

[...]el contatto con le masse che hanno bisogno della sua direzione.

Di qui le indicazioni assai interessanti, — anche se forse non siano in grado di cogliere tutte le sfumature coloro che non abbiano pratica di vita politica, — che egli dà, soprattutto nelle note di Passato e presente,, circa ciò che il partito deve essere, quale deve essere la sua disciplina e quale la sua democrazia interna, che cosa significa nel partito la centralizzazione, e come il partito non può, nella vita sua normale, venire ridotto a un’organizzazione militaresca, e quando e come e per quali difetti può diventarlo, e cosi via.

« Come deve essere intesa la disciplina, se si intende con questa parola un rappono continuato e permanente tra governanti e governati che realizza una volontà collettiva? Non certo come passivo e supino accoglimento di ordini, come meccanica esecuzione di una consegna (ciò che però sarà pure necessario in determinate occasioni, come per esempio nel mezzo di un’azione già decisa e iniziata), ma come una consapevole e lucida assimilazione della direttiva da realizzare. La disciplina pertanto non annulla la personalità in senso organico, ma solo limita l’arbitrio e l’impulsività irresponsabile, per non parlare della fatua vanità di emergere. Se si pensa, anche il concetto di “ predestinazione ”, proprio di alcune correnti del cristianesimo, non annulla il cosiddetto 66 libero arbitrio ” nel concetto cattolico, poiché l’individuo accetta u volente ” il volere divino... al quale, è vero, non potrebbe contrastare, ma a cui collabora o menoPaimiro Togliatti

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con tutte le sue forze mo[...]

[...]el movimento operaio internazionale degli ultimi anni: l’aspetto della validità dei concetti formali di democrazia e libertà, in rapporto con le necessità della edificazione storica di un nuovo regime, della sua difesa, del suo passaggio dall’uno all’altro stadio dello sviluppo. Qui si entra in un campo che è il più attuale, nel quale per muoverci il pensiero di Gramsci è una guida è richiede uno sviluppo. Ciò che interessa soprattutto è il modo come Gramsci considera il problema del potere, cioè dell’esercizio dell’autorità dirigente da parte di determinati gruppi sociali. Qui egli introduce il concetto di egemonia, ma questo concetto mon può essere formalmente opposto al concetto di dittatura, allo stesso modo che non si possono formalmente opporre i concetti di società civile e società politica come se indicassero cose organicamente diverse. La differenza non è organica, ma di metodo.

Una classe dirigentè realizza la propria direzione in modi diversi* a seconda non soltanto della diversità delle situazioni storiche, ma anche delle differenti sfere della vita sociale. Analogamente, una classe subalterna, la quale si muove con l’obiettivo di conquistare la direzione politica, conduce una lotta per l’egemonia a diversi livelli e in tutti i campi e può anche darsi che, in momenti determinati e grazie a particolari circostanze, riesca a ottenere successi importanti anche prima di essere ri[...]

[...]42

Le relazioni

gioranza della popolazione; a neutralizzare altre forze politiche e sociali; a preparare quel rivolgimento culturale che sempre accompagna i rivolgimenti economici e politici; e la stessa azione educativa, che appartiene essenzialmente allo Stato, ma appartiene anche al partito politico, in quanto il partito politico già anticipa alcune delle funzioni dirigenti che domani apparterranno alla classe oggi ancora subalterna.

Come si vede, molteplici sono i mezzi attraverso i quali la classe che tende alla conquista del potere si sforza di creare le condizioni della sua egemonia.

Per approfondire questo tema sarebbe necessario addentrarsi nel campo della concreta attività politica attuale, il che non mi pare sia opportuno in questo momento. Vorrei soltanto accennare alla distinzione, assai interessante e, quando venga esplorata a fondo, assai ricca di indicazioni e di sviluppi, che Gramsci introduce, riferendosi alla lotta per il potere, tra la « guerra manovrata » e la « guerra di posizione ». Col primo termine egl[...]

[...]o. «Mi pare che Ilici [Lenin] aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata Vittoriosamente in Oriente nel ’17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente... Questo mi pare significhi la formula del “ fronte unico ”... » \

A questa posizione si collegano tanto la critica alla dottrina della

1 Mach., p. 68.Paimiro Togliatti

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rivoluzione permanente di Trotzki, che Gramsci considera come la dottrina dell’attacco quando l’attacco inevitabilmente deve terminare con una sconfitta, quanto il richiamo ai lavori di Lenin, precedenti il III Congresso dell’Internazionale comunista, e all’opera stessa di Lenin a questo Congresso comunista.

Il fatto di attribuire un valore non organico, ma metodologico alla distinzione tra società politica e società civile porta, d’altra parte* a far la chiarezza nella questione delle forme della dittatura della classe operaia. È inevitabile che siano differenti in differenti situazioni, che siano più o meno ampie, più o meno vicine al puro comando [...]

[...] essere conservato, ciò che deve essere modificato e ciò che deve essere distrutto.

Senza entrare in troppi particolari, è evidente che in questa luce deve essere visto il problema del parlamentarismo. Era assurdo chiedere alla rivoluzione proletaria di dare vita a un regime parlamentare, proprio in un paese dove non era mai esistito un parlamentarismo. Ma in altri paesi, dove il Parlamento sia riuscito ad avere un contenuto di democraticità, come forma di consultazione ed espressione della volontà popolare, anche a mezzo di esso si può risolvere il problema di far accedere le masse lavoratrici, non solo all’espressione della loro volontà, ma ad una partecipazione attiva alla direzione della vita economica e della vita politica, pur restando fermo che l’accesso al potere della classe operai significa sempre una estensione delle forme di democrazia diretta.

Punto di partenza e fondamento di tutte queste ricerche è l’affermazione che sono possibili e necessarie diverse vie di sviluppo del movimento rivoluzionario della classe operaia,[...]

[...]è l’affermazione che sono possibili e necessarie diverse vie di sviluppo del movimento rivoluzionario della classe operaia, in differenti situazioni storiche. Anche qui, la guida è Lenin. Colui che è andato più avanti e si è mosso con più coraggio, nella individuazione delle diversità storiche444

Le relazioni

oggettive e nell’affermare la necessità di adeguarsi ad esse, è stato proprio il Capo della Rivoluzione bolscevica. Basta ricordare come scrivendo, nel 1921, ai comunisti georgiani, cioè di un paese che era parte della Russia, ma diverso per la struttura economica e politica, egli raccomandava di non attenersi allo schema russo, ma di seguire una diversa via per risolvere i problemi dell’organizzazione della produzione, dei rapporti con la piccola e media borghesia produttrice e con le sue formazioni politiche. Basta ricordare come Lenin giungeva a parlare di variazioni nelle forme del potere, quando fossero entrate in azione le grandi masse umane deirOriente, come oggi sta avvenendo.

Il pensiero di Gramsci si è mosso per questa via, che è la via dello sviluppo creativo del marxismo. Su di essa è stato guidato da Lenin. Noi cerchiamo e troviamo nel suo pensiero non delle formule, ma una guida per comprendere i problemi del mondo d’oggi, per lavorare a risolvere le contraddizioni che oggi si presentano sulla scena economica e politica, e che sorgono anche là dove il potere è già nelle mani della classe operaia, dovendo allora essere trattate e portate a soluzione con metodi particolari, diversi da quelli con cui si risolvono le contraddizioni antagoni[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Come, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---siano <---Così <---Diritto <---Storia <---Del resto <---Ecco <---Più <---Cosa <---Già <---Perché <---Pratica <---Però <---Voglio <---italiano <---Ciò <---Dialettica <---La sera <---Sei <---abbiano <---italiana <---italiani <---Dio <---Filosofia <---Hai <---socialista <---Andiamo <---Basta <---Certo <---Lenin <---Marx <---Povera <---Sarà <---Sulla <---comunisti <---fascismo <---ideologico <---marxismo <---Davanti <---Dei <---Dico <---Fisica <---Guarda <---Macché <---Mi pare <---Niente <--- <---Pochi <---Qui <---Stato <---anziane <---comunista <---cristiana <---fascista <---fascisti <---ideologia <---lista <---marxista <---marxisti <---materialismo <---socialismo <---Adesso <---Capitale <---Col <---Cominciò <---Fai <---Giù <---Gramsci <---La casa <---Lascio <---Logica <---Ma mi <---Meccanica <---Noi <---Non parlare <---Non voglio <---Oltre <---Poetica <---Quale <---Resta <---Sarai <---Tornò <---Va bene <---capitalismo <---comunismo <---cristiano <---d'Europa <---d'Italia <---dogmatismo <---gramsciana <---ideologica <---ideologiche <---ideologie <---imperialismo <---italiane <---leninista <---meccanicismo <---metodologia <---persiane <---socialisti <---storicismo <---Abbiamo <---Accendi <---Agraria <---Ahi <---Almeno <---Ancora <---Arrivò <---Aspettate <---Aut-Aut <---Bambino Gesù <---Benedetto Croce <---Bibliografia <---Bisogna <---Buoni <---Capo <---Cercò <---Chiesa <---Chiesi <---Chiuse <---Commissione <---Cosi <---D'Annunzio <---De Sanctis <---Dinamica <---Diplomatica <---Ditemi <---Divina Commedia <---Dogmatica <---Eccola <---Entro <---Entrò <---Famagosta <---Farmaceutica <---Farmacia <---Filosofia della storia <---Fonetica <---Fosse <---Fuori <---Garbatella <---Garnier <---Genetica <---Gettò <---Giunti <---Gli <---Guardò <---Hegel <---Il Capitale <---Il lavoro <---In ogni modo <---Infine <---La Nazione <---La lotta <---La notte <---Labriola <---Lanciani <---Lasciami <---Lasciò <---Lei <---Linguistica <---Meglio <---Metafisica <---Muovetevi <---Nicò <---Non lo so <---Ogni <---Paese <---Partito <---Passano <---Pensiero filosofico <---Ponte Milvio <---Portò <---Presto <---Psicologia <---RAFFAELE CRIVARO <---Ricominciò <---Rinascita <---Riuscì <---Russia <---Salutandola <---Salvemini <---Scese <---Senato <---Senti <---Sessanta <---Sistematica <---Stalin <---Statti <---Stia <---Tor <---Torino <---Troia <---Vado <---Van Gogh <---Zio Alfonso <---abbaiano <---artigiani <---artigiano <---autista <---autopiste <---bolscevismo <---cambiano <---centesimi <---colonialismo <---cominciano <---cristianesimo <---cristiani <---crociana <---crocianesimo <---crociano <---dell'Avanti <---dell'Italia <---denunciano <---diano <---facciano <---fenomenologica <---filologico <---hegelismo <---idealismo <---illuminismo <---individualismo <---leninismo <---marxiste <---metodologiche <---metodologici <---metodologico <---mutismo <---nazismo <---nell'Africa <---pessimismo <---pluralismo <---psicologica <---razionalismo <---riconquista <---ruffiani <---servilismo <---sociologiche <---staliniana <---staliniano <---stalinismo <---stalinista <---stiano <---umanesimo <---umanismo <---valeriana <---È Lucio <---A Buenos Aires <---A Filippo Bertolli <---A San Silvestro <---Abbandonò <---Abbatterla <---Abissinia <---Accettò <---Accuse <---Action <---Ad Oxford <---Adeth <---Africa del Sud <---Agata a Rosaria <---Agli <---Ah <---Ahé <---Aiutai <---Aix <---Albano Harguinde <---Albergo <---Albert Camus in Le <---Alberto Lorenzo Padilla <---Alcuni <---Alessandra Riccio <---Alexander Mitscherlich <---Alfa <---Alfonso Rubilli <---Alfredo Oriani <---All Souls <---Alle <---Alleati <---Allentò <---Allgemeine Psychopathologie di Jaspers <---Allineàti <---Allontanò <---Allò <---Alpi <---Althusser <---Altro <---Alzò <---Amburgo <---Ammannati <---Amore mio <---Ana Maria <---Ana Rosa Frigerio <---Anatomia <---Anche <---Anche Rosaria <---Anchiano <---Ancora pochi mesi e sarebbe finita male <---Andate <---Andiamo Libero <---André Daspre <---Andò <---Angela Rosa <---Angelo Muscetta <---Angiolillo <---Angioy <---Angius <---Anglicanismo <---Anglocattolicismo <---Angriff <---Anmerkung <---Anna Seghers <---Annexe <---Annuale <---Anticristi <---Anton Mayer <---Antonio Labriola <---Antonio Roquentin <---Antonio Sanna <---Antonio Stura <---Aosta <---Aperçu <---Apocalisse <---Apocalypse <---Apokalyptik <---Appena <---Appendice <---Appunti <---Appòggiati <---Aragona <---Arborea <---Archivio Storico Sardo <---Argentinien <---Army Ration <---Army Ration C <---Arnim <---Arta <---Artiglieria <---Artù <---Asciugati <---Ascolta <---Aspettar <---Aspettare <---Aspetti <---Aspettiamo <---Aspetto <---Assicuratisi <---Assisi di Cagliari <---Assisi di Sassari <---Astiz <---Atlante <---Attaccati <---Attenzione Marco <---Attilio Glarey <---Auguri vivissimi <---August Wilhelm <---Aujourd <---Autonomo Consumi <---Avanzò <---Avaro <---Aver <---Avertissement <---Avete <---Avevo <---Avrei <---Avvicinatasi <---Babbo <---Bachelard <---Bachelard Althusser <---Bacone da Verulamio <---Badate <---Baggina <---Baglietto <---Bahia Bianca <---Balcarce <---Balibar <---Balzani <---Bambin Gesù <---Bande Nere <---Bandito <---Baranti <---Barbagia <---Barbaria Tedesca <---Barbi <---Barcelona <---Barrés <---Base <---Base Navale di Mar del Piata <---Bassu Antonio <---Basterà <---Bastioni <---Bataccone <---Bataccone Luigi <---Bataccone Marco <---Batté <---Baudissin <---Bayer <---Bayer La <---Beauvoisis <---Bel <---Belfront <---Belfront Augusto <---Bellosguardo <---Beloff <---Belva <---Benché <---Bengasi <---Beria <---Berlino <---Bertozzi <---Bestemmiò <---Bevan <---Bevi <---Beziehung <---Bice <---Biella <---Bigazzi <---Binda <---Biologia <---Biscu Alfonso <---Bismarck <---Bisogna riuscire a non farsi fregare <---Bisognò <---Bocchino Si <---Boemia <---Bogino <---Bogislaw <---Boja <---Bolli <---Bonafini <---Bonne Maire <---Bonne Mère <---Bordeaux <---Borgne <---Borgo <---Borgonuovo <---Borino <---Boris Karloff <---Bouville <---Bradamante <---Brampton Cemetery <---Branchidda Antonio <---Braque <---Bravo Libero <---Brecht <---Brema <---Bretoni <---British Restaurant <---Britz <---Broccolino <---Bronchite <---Bronchite-Polmonite-Pleurite <---Bronzino <---Bruke <---Brulli <---Bruno Caielli <---Bruno Gallieri <---Brunod <---Brutta <---Budapest <---Buenos Aires <---Buffalo Bill <---Buffoni <---Bulganin <---Bulletin <---Buona <---Buonamico <---Buonasera <---Buondelmonte <---Busch <---C.P.P. <---Cadaver <---Cadaveri <---Cadogan Street <---Caffè Erica <---Caffè Notturno <---Caffè dei Bretoni <---Cagliari <---Cahiers <---Cairo <---Calmati <---Calvero di Chaplin <---Cambia <---Cambiarlo <---Cambray <---Camera dei Deputati <---Camerieri <---Camillo Prampolini <---Camminò <---Campagna <---Camus <---Cantonera <---Cantò <---Capital <---Capito <---Capo Treno <---Caporeparto <---Capper <---Capra Davide <---Caprera <---Capì <---Cara Adriana <---Carabino <---Carlo Felice <---Carlo Marx <---Carmela dei Crispini <---Carogne <---Carrobbio <---Carrìa <---Carta de Logu <---Carta de Zogu <---Cartas <---Casa <---Casa del Popolo <---Cascine <---Case del Popolo <---Casentino <---Caserme <---Caso <---Cassiano Scribano <---Catgiu <---Catgiu Francesco <---Catgiu Salvatore <---Cattaneo <---Cavalcante <---Cecchino <---Celere <---Celestino Lanfisio <---Centenario <---Centro di Ricerca <---Cerano <---Cercherò <---Cercle <---Certamente <---Certe <---Certissimamente <---Certo Giuseppe <---Cesare Luporini <---Chatterton <---Che Althusser <---Che César Borgne <---Che Dio <---Che Egitto <---Che Michele <---Che Rosa <---Che Ulisse <---Chenoz <---Chiacchiera <---Chiamatela <---Chiamò <---Chiarisce <---Chiesa di Cristo <---Chiliasmus <---Chinò <---Chissa <---Chissà <---Christus <---Chénor <---Chénoz <---Ci hanno preso sempre alla sprovvista <---Ci vorranno un mucchio di spiegazioni <---Ciampa <---Ciao <---Ciascuno <---Cile <---Cimitero del Parco <---Cinquantanove <---Cinque <---Cioé <---Circolino <---Circolo Socialista <---Clarìn <---Claudia Mancina 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<---Dichiarazione Americana dei Diritti <---Die Geàchteten <---Die Metapher <---Die Mitte <---Die Truppe <---Die Welt <---Dietro <---Dietro Salomone <---Dietro a Marco <---Dietro alla porta ce ne saranno altrettanti <---Difesa <---Difficultés <---Diglielo <---Dimenticarne <---Dino Compagni <---Dio-Patria-Famiglia <---Diodori <---Dirgli <---Diritti Umani <---Diritto processuale <---Discipline <---Disseppellire i morti <---Diteglielo <---Divi Angusti <---Dizionario Archivistico <---Docana <---Dodici <---Domandaglielo <---Domandò <---Domani ci sari una brutta notizia <---Dominique Lecourt <---Don Aldo <---Don Masino <---Donda <---Dopo Althusser <---Dormirò <---Dorothy Sayer <---Dottor Micheli <---Dottori <---Dulwich <---Duménil <--- <---Dài <---Démocratie Nouvelle <---Dépersonalisation <---E César Borgne <---E di Antonio <---Eberhard Schmit <---Eberstein <---Ebrei <---Eccoli <---Eccomi <---Economia politica <---Economique Appliquée <---Editore G <---Editore G C Sansoni <---Editori Riuniti <---Eduardo De Filippo <---Efisio Lorigas <---Egitto <---Egon Erwin Kisch <---Ehrenfragen <---Einmaligkeit <---Eleonora Giudichessa di Arborea <---Eliseo Chénoz <---Elleinstein <---Eléments <---Emiliano Succu <---Emilio Lussu <---Engels <---Epinal <---Epistemologia <---Epistémologie <---Epp <---Era Giovanni <---Eric Gill <---Erich Miihsam <---Erich Muhsam <---Erich Werner <---Erkrangunken <---Erneuerung <---Ernst Junger <---Ernst Jùnger <---Erzberger <---Escatologia <---Esecutivo Nazionale <---Espinasse <---Esquirol <---Esquisse <---Establet <---Esteban Echeverrìa <---Estetica <---Eugenio Garin <---Evaporated Milk <---Evaristo Grange <---Exilio <---FAI <---Fabbrica Argentina di Scarpe <---Facciamo un bel corteo <---Facciamola <---Facoltà di Filosofia <---Facoltà di Storia <---Faffossatrice <---Faktoren <---Falken <---Falkenstein <---Faltognano <---Fammi <---Farinata a Cavalcante <---Farò <---Fascio del Pignone <---Fayard <---Febbre <---Felicetto <---Felix Uriburu <---Fenghi <---Fenomenologia <---Ferdinando Berthod <---Fermala <---Fermò <---Feuerbach <---Fiamme Nere <---Figlia <---Filindeu Giovanni <---Filippo Bertolli <---Filippo Lord <---Filippo a Marco <---Filosofia cinese <---Filosofia italiana <---Filosofia teoretica <---Finanza <---Finita <---Finì <---Fiori <---Fissò <---Fistetti <---Floris Antonio Maria <---Floris Gonario <---Floris Leonardo <---Floris Raffaele <---Foemina <---Folco Malesci <---Folklore <---Fonderia <---Fonderia del Pignone <---For Marx <---Foreword <---Forset <---Fortschritte <---Forza <---Forze <---Forze Navali <---Forze di Sicurezza <---Fragonard <---France Nouvelle <---Francesco Bacone <---Francesco Gennaro <---Francesco Mastriani <---Franchino <---Francia <---Francisco Rebello <---Franz Ritter <---Freikorps <---Frescobaldi <---Freud <---Friederich Freksa <---Friedrich Spiro <---Frigerio Rosa <---Fss <---Ftihrer <---Fumò <---Funtana <---Furioso <---Félix Uriburu <---Gacidella <---Gaetano Salvemini <---Galtieri <---Gamisonfriedhof <---Garde di Marsiglia <---Garippa Giuseppe <---Garnier-Flammarion <---Garnisonfriedhof <---Garoffi <---Garrone <---Gaston Bachelard <---Gavagnini <---Gavino Congiu <---Gegenwart <---Generale <---Generale Arthur <---Generale Belgrano <---Generale Gynz <---Generale Louis Triitzchler <---Generale Ludwig Stern <---Generale Triitzchler <---Genio Civile <---Genève <---Georg Trake <---Georg Trakl <---Georges Canguilhem <---Geppo <---Gerosa <---Gerusalemme Liberata <---Geschichtsauffassung <---Gestaltpsychologie <---Gesuita Contro Riforma <---Giacomo Cataldo <---Gian Gastone <---Giorgio Bartoli <---Giovanni Gallittu <---Giovanni Giolitti <---Giovanni Jervis <---Giovanni Manunta <---Giovin Signore <---Giovoni Santino <---Girate dalla Carraja <---Giudicato di Arborea <---Giudice Federale di Mar del Piata <---Giudizio Universale <---Giulio Einaudi <---Giunta Interamericana di Difesa <---Giunta Militare <---Giurami <---Giuseppe Briggs <---Giuseppe Cantilo <---Giuseppe Lovicu di Orgosolo <---Giuseppe Spinola <---Giuseppe in Portman Square <---Giustizia di Camillo Prampolini <---Già Bachelard <---Giò <---Gladstone <---Gladys Cooper <---Glaswegian <---Gliederung <---Gobetti <---Goccia <---Goffredo Volpes <---Goltz <---Gorki <---Gorze <---Governo Argentino <---Graecorum <---Graegori <---Gramsci sulla Rivoluzione <---Gran Bretagna <---Grande <---Grande Artefice <---Grande Guerra <---Grappa <---Grassa <---Grave <---Grazie <---Gregorio I <---Gregorio I Magno <---Gregorio Samoa <---Greuze <---Grillenzoni <---Grissantu Andrea <---Grissantu Carlo <---Grissantu Giovanni <---Grodek <---Guardandola <---Guardia dei Corazzieri <---Guardia di Finanza <---Guglielminetti <---Guglielmo Secondo <---Guicciardini <---Guido Cavalcanti <---Guizot <---Gustav Landaures <---Gutiérrez Ruiz <---Guy Rice <---Gwiazdowski <---Habeas Corpus <---Hachette <---Hamburg <---Hans Peter Demetrius <---Hans Sedlmayr <---Hans-Heinrich <---Harguinde <---Harguindeguy <---Harmswirths <---Haroldo Conti <---Hayes <---Health <---Hegel in Italia <---Heidelberg <---Heilserwartungs <---Heilsgeschichte <---Helmholtz <---Helmut Krausnick <---High Street <---Hilde Kaufmann <---Hindenburg <---Hitler <---Ho rubato <---Hoepner <---Hoffmannsthal <---Horn-Wien <---Hoss <---Hotel Royal <---Humor <---Ibsen <---Iclesias <---Ideologia tedesca <---Idéologie <---Iglesias <---Ignazio Pirastu <---Il Confino <---Il Grande Mietitore <---Il Manifesto <---Il Messaggero <---Il Partito <---Il Pisani <---Il XX <---Il Zurbaran <---Il pomeriggio <---Ilici <---Images <---Imparò <---Impiccala <---Impétraz <---In Assise <---In Europa <---In È <---Indossò <---Infilò <---Infine Ulisse <---Infine Vanda <---Ingegnere <---Insecuritas a dell'Archivio di Filosofia <---Insistette <---Insomma stai sistemata benino <---Io Stato <---Isabella Capper <---Isabella certo non ha avuto il successo che pensava <---Isole Britanniche <---Itri <---Iugoslavia <---Iungo <---Jaca Book <---Jacopo Ortis <---Jacques Laffitte <---Jannas 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rivoluzione contro il Capitale <---La signora Mule <---Labica <---Lacan <---Lady Maclean <---Landwer <---Laotsè <---Lascia <---Lascialo <---Lasciamoli <---Lasciateci <---Lasciatelo <---Laurea Universitaria <---Laurent Pascal <---Le Capital <---Le Monde <---Lectura de Marx <---Leeb <---Legasa <---Leggere Il Capitale <---Leggilo <---Legnaj <---Legnaja <---Lei non somiglia alla mamma <---Leibniz <---Leonardo da Vinci <---Leopoldo di Lorena <---Lereu Giovanni Andrea <---Lessing nel Laocoonte <---Lettera a Régis Debray <---Liandreddu <---Liandru Giovanni Battista <---Liber I <---Liberatosi <---Libertad <---Libro del Capitale <---Lidia Storoni <---Liebknechtì Klassenbuch <---Limitandosi <---Linguistica strutturale <---Lino Guichardaz <---Lino Guicherdaz <---Lipari <---Lisetta <---Lissabon <---Livonius <---Livre <---Livre I <---Lli <---Lo vendevi si <---Lobkowicz <---Locoe <---Loddo Canepa <---Loddo-Canepa <---Lode <---Logu <---Londra <---Londra dalla Blitzkrieg <---Longhi <---Lontanissimo 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