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tipologia: Analitici; Id: 1472510


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Vasco Pratolini, Firenze, marzo del ventuno
Responsabilità
Pratolini, Vasco+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
N UOVI ARGOMENTI
N. 42 - 43 Gennaio - Aprile 1960
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO
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Le cronache d'Italia sono un susseguirsi di faide, di scontri di fazioni, di lotte civili. Su di esse hanno sempre finito per imporsi le dittature, le oligarchie, come le dominazioni. Venuti a patti con la Chiesa, garantitesi questa complicità e questa innocenza, rispettati i diritti della Fede, i Tiranni i Signori gli Usurpatori, sembra sian riusciti a distruggere, di coteste lotte, perfino la tradizione orale. Se di tali cronache si giovasse la storia, il volto d'Italia apparirebbe mutato. Ma é pur questo, mascherato, il volto dell'Italia. E il segreto della sua forza, percui il più ignorante e sprovveduto degli italiani non si sente ma é cittadino del mondo, consiste nella capacità del suo popolo di ricominciare sempre daccapo. Firenze é il centro millenario ed esemplare di queste continue insurrezioni tramutatesi in sconfitte delle classi popolari. Dai Ciompi alla gente del Pignone, é diversa la mentalità, i mezzi d'attacco e di repressione, son diversi i costumi, le cognizioni, le iniziative, come identici i resultati. A una sommossa corrisponde un Michele Lando e c'è un Salvestro dei Medici che gli tiene le redini sul collo, lo guida, lo scatena e lo trattiene a seconda giova alla sua parte, Grassa o Mediana ch'essa sia. Questo popolo si é fatto un'insegna della propria disperazione e gli basta una battuta mordace per scamparne, Esso non ha mai avuto fede nel Destino. Non ci crede. Miele e fiele non li distingue per via di una consonante; sulle sue labbra hanno lo stesso sapore. E il suo stendardo, quel giglio rosso in campo bianco, non è una stigmate sulla sua coscienza immacolata. E il gonfalone della sua città e della sua fantasia, che di un grumo di sangue ne fa un fiore e lo circonda di silenzio.
Firenze, nel medio evo, arrivava all'altezza di San Frediano; e i ponti, sull'Arno che l'attraversava, sono ancora quelli: dal Cin-
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quecento ad oggi, nessuna piena li ha più potuti sradicare. Ce n'è quattro in un chilometro; tutto il mondo .li conosce e li ammira.
Il primo, e il più a nord, é il ponte alle Grazie. Era il 1238 quando Rubaconte da Mandell°, milanese e Podestà dei Fiorentini, presenziò l'inaugurazione. Fu anche il primo ponte in muratura; perciò da allora non ha mai tentennato. Sulle sue pigne, come su quelle di Ponte Vecchio, si eressero delle piccole case dove, invece di botteghe, vi si aprirono oratori. Questo. ponte prese il nome dal suo padrino, fino al giorno in cui un'immagine sacra non incominciò ad elargire delle grazie, dentro quegli oratori.
Risalendo il corso del fiume, ponte Vecchio é il secondo, e il più antico. Lo gettarono i padri etruschi; poi, nell'età di Cesare, la Colonia Florentia venne ad affondarvi le sue radici. Così come appare, lo ideò Taddeo Gaddi, dicono, ma il Longhi lo nega, dopo che la gran piena del Tre Tre Tre una volta di più lo aveva scan-cellato, portandosi come relitti d'un naufragio i legni della sua armatura. Già da un secolo prima, in un'altra notte e di agguati e di fazioni, su quelle tavole, Buondelmonte ci aveva lasciato la vita.
Il terzo é ponte a Santa Trinita, costruito a spese dei Frescobaldi che in quel punto del fiume, ma di là, avevano le loro case. Crollò sei volte, e sei volte lo si rimise in piedi, dopo che fra Sisto e fra Ristoro domenicani l'ebbero progettato, come per dar tempo, diciamo, all'Ammannati, di rilanciare sulle acque dell'Arno il più bel ponte che mai fiume al mondo abbia lambito.
L'ultimo è il ponte alla Carraja. Lo stesso Ammannati disegnò la sua struttura, e senza i suggerimenti di Michelangelo, se ci sono stati, come per Santa Trinita. In origine, ancora nel secolo XIII, lo chiamavano ponte Nuovo: per distinguerlo dal Vecchio, é naturale. Se l'erano pagati gli Umiliati d'Ognissanti, bisognosi di uno scalo per le stoffe che uscivano dal loro convento, situato dirimpetto al fiume e alla porta Carrìa. Costi, essendo il ponte che incontravano per primo, facevano capo i carri provenienti dal contado, nel tempo in cui il porto di Firenze era più a valle, ed una grossa pigna di pietra, che i fiorentini digià chiamavano il pignone, serviva all'attracco dei barconi.
Questa era la città e i suoi ponti nel giro della terza cerchia;
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e qui, ora cosa c'è di cambiato ? La natura del fiorentino, no. Il suo spirito non l'hanno ammorbidito né le tarde Signorie né i Granducati. Ma sempre si conquista qualcosa, che si è pagato sempre troppo caro. È per questo che ogni volta c'é qualcosa di cambiato.
Firenze medesima, al di là della sua terza cerchia, non può non essere mutata. Essa non si é estesa soltanto nei suoi entroterra, rispetto al fiume, ma si é allungata. Quartieri operai hanno fatto corpo con le antiche Mura. Ora l'Arno entra in città alla Nave a Rovezzano dove c'è un traghetto, percorre sei chilometri non uno, per trovare l'altro traghetto, al di là delle Cascine. E ai due estremi della città, da un secolo o quasi, ci sono due ponti nuovi.
Sono due ponti provvisori che da novant'anni servono all'uso cui sono destinati. Li progettarono degli ingegneri di cui s'é perso il nome, ma sono belli come gli antichi: provvisori e ormai secolari come l'età che rappresentano. Non hanno una struttura originale, ma ardita. Sono di ferro; e sono sospesi, quello a valle. Nessuna pigna lo regge, nessuna arcata, bensì degli alti piloni, infissi sulle due rive. Il pavimento è ancora di legno; e i parapetti a cui non ci si può affacciare a meno di non essere dei giganti, sembrano delle grate. Son li da un secolo, e non hanno ancora un nome: il popolo che vi cammina sopra non li ha ancora battezzati, forse non gli vuole bene. Li ha distinti spartendo i due aggettivi. Uno é il ponte di Ferro che dà sui viali di San Niccolò; l'altro è il ponte Sospeso che immette nel quartiere del Pignone. Li regalò a Firenze, Leopoldo di Lorena, ossia un'impresa privata a cui Leo- poldo li aveva appaltati e che malgrado il passaggio e delle dinastie e delle istituzioni, si fa ancora pagare il pedaggio. Del resto, cos'è un soldino?
È dall'epoca di questi nuovi ponti che c'é qualcosa di cambiato. La gotta di Gian Gastone aveva estinto la discendenza e il potere dei Medici. Per un momento, come tutta l'Europa, si fu un . feudo di Napoleone; quindi vennero i Lorena. Leopoldo era stato l'ultimo padrone. Lo si ricorda con simpatia; durante i vent'anni del suo granducato, egli non si limitò a commissionare i ponti nuovi, ma costruì le prime strade ferrate, la Fonderia del Pignone, la
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Manifattura di San Pancrazio com'è ora; e portò l'acqua, allargò le strade. I fiorentini lo chiamavano babbo, chi con venerazione chi con ironia. Gli dettero qualche pedata quando non ne poterono proprio fare a meno: nel Quarantotto e poi, una definitiva, all'alba del Cinquantanove. Ma non appena Firenze diventò Capitale, si accorsero che averlo barattato con un Savoja, fu una cosa giusta, non certo un affare. « Oh, si, un bel bollo » dicevano. Mentre i Medici avevano vegetato trecento anni, al sol di luglio della gloria, della ricchezza e delle nefandezze ammassate da Cosimo I e da Lorenzo, Leopoldo, al contrario, quest'austriaco di poco sego, si era reso conto che il mondo camminava e che i fiorentini non sarebbero rimasti indietro. Sotto di lui Firenze si era rimessa, dopo tanti anni, in moto. I piemontesi la ornarono di viali stupendi, di belvederi meravigliosi, di fontane, di giardini; e una volta presa Roma al Papa, la lasciarono « con gli occhi per piangere e i debiti da pagare ». Si dové ricominciare di là, dove era arrivato il Lorena col suo acquedotto, i suoi doppi binari, i suoi forni, le sue Manifatture, i suoi Loggiati. Era sorta, intraprendente e capace, una nuova borghesia. E in essa il popolo avrebbe presto trovato il suo nuovo padrone.
Già all'inizio del secolo, nuove fabbriche erano sorte e si erano raggruppate in due punti diversi della città, percui di cotesto mondo industriale, si potevano distinguere la zona giovane e quella antica. L'una, il Quartiere di Rifredi, per la stessa superficie che ricopriva, verso nord-ovest, fuori della topografia urbana, era destinata ad estendersi nell'avvenire. L'altra, non vecchia ma antica, e nel cui cuore avevano svettato le ciminiere leopoldine, ancorché viva ed attiva, stretta com'era dalle sue case, schiacciata tra il fiume, le colline e San Frediano, aveva chiuso il ciclo della sua espansione. Come gremito della sua gente, questo era il Pignone. Sussisteva un terzo nucleo, a suo modo decentrato, con una seconda grande Fonderia e un moderno Pastificio, nel rione delle Cure, ormai tutto villini, dove gli operai ci lavoravano ma non ci stavano di casa. Ora crescendo le generazioni, ci si partiva ogni mattina dal Pignone, per andare a lavorare non soltanto alle Cure, ma a Rifredi; e travasando sangue a sangue, in una vita ch'era per tutti uguale.
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Il Pignone restava la cittadella operaja; tra la sua gente, gravitandovi San Frediano e la campagna, vi si mischiava l'artigianato superstite, e gli ortolani e i braccianti, come la plebe. « La teppa », si diceva. Dirimpetto, sulla riva destra del fiume, si trovava, come adesso, il parco delle Cascine che accompagna l'Arno fin là dove riceve nel suo letto il Mugnone. Costi, c'era l'Isolotto, le montagne d'immondizia che gli spazzini venivano a scaricare da ogni parte della città, e parallele le ultime case del quartiere. Un breve tratto deserto e incominciava il suburbio, il contado, coi primi orti di Monticelli, di Legnaja, di Soffiano. L'altro confine era fuori Porta San Frediano. Divisi dalle antiche mura, San Frediano e il Pignone potevano tenersi d'assedio. Le colline di Bellosguardo e di Mon-toliveto, erano i contrafforti. Dalla parte del fiume, che li separava entrambi dal resto della città, il Pignone seguitava San Fre-diano. Chiusa la Porta, messo un posto di blocco all'altezza di Monticelli, bastava una sentinella all'imbocco del ponte Sospeso, perché il Pignone fosse al riparo dalle offese. Là, a Rifredi, l'apertura dei prati, la zona stessa, distesa come su un'unica lunga strada e sparsa sui due lati, rendevano possibile ogni irruzione. Il Pignone, non potendo operarvi dall'interno, lo si doveva forzare. Fu un assedio che durò gli anni Venti e Ventuno, con colpi di mano, agguati, spedizioni da parte delle Bande Nere, finché la gente del Pignone non si decise essa a una sortita. Questo rappresentò la sua vittoria, la sua tragedia e la sua capitolazione. Ne fu pieno il mondo, il giorno dopo, della sua impresa disperata.
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C'era tutto il Pignone, cotesta sera; c'era mezzo San Fredia-no; ed erano venuti, alla spicciolata, o ci si era trattenuti, sulla strada di casa, gli ortolani, i braccianti, di Monticelli e di Le-gnaja. La gente di via Bronzino, di via dell'Antonella, di via Pisana, che sono nel cuore del Pignone, era sulle soglie degli usci, sulla piazza, davanti alle botteghe, e alla Casa del Popolo appena devastata, col cuore in gola e il sangue avvelenato. I comignoli
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della Fonderia fumavano; i panni dei tintori erano stesi ad asciugare, l'Arno andava lento e grosso per via delle piene di prima- vera. Erano le sette di sera e il sole tramontava tutto fuoco, basso sul fiume e dietro le Cascine; avvolgeva di un riflesso accecante il ponte Sospeso, e sembrava renderlo anche più aereo, isolato nel vuoto: la luce era come se incorporasse nelle strutture i cavi che descrivendo una mezza ellissi, lo trattenevano da pilone a pilone
e dall'una all'altra riva.
Il ponte era deserto: e l'uomo a cui si pagava il pedaggio, chiuso nel suo casotto di legno come dentro una garritta, sporgeva la testa e scrutava ai due orizzonti. Gli sembrava assurdo che, alle sette di sera, non un'anima attraversasse il ponte. « Non s'é mai dato », si disse. C'era troppo silenzio, troppa calma, come un istante prima che batta il terremoto. « Stasera » egli pensò « E brinata ». Era un uomo di sessant'anni, e da più di trenta stava al capo di Ponte; nemmeno le guerre erano state capaci di rimuoverlo. Egli non era dei loro, ma la gente del Pignone la conosceva. Da un secolo, poteva dire; giorno per giorno l'aveva vista attraversare il Ponte, col bel tempo e sotto il temporale, quando c'era il solleone
e quando tirava la tramontana. E quelli del Pignone conoscevano lui, e i due centesimi un tempo, poi i soldini, che dalle loro tasche erano finiti nelle sue mani. « Bona, Masi » gli dicevano. « Ci fai passare a scapaccione? ». «Sicuro, come se il ponte fosse mio », egli invariabilmente rispondeva: e ancora era vivo Umberto I
e Garibaldi scriveva lettere da Caprera: ne aveva scritta una alla "Mutuo Soccorso tra gli Operai del Quartiere del Pignone". « Come non fossi anch'io un sottoposto. Girate dalla Carraja e arrivate a casa per borgo San Frediano, se non ci avete il saldino, o vi pesa pagare ». Ciascuno di loro, egli se l'era visto passare davanti ancora in pancia alla madre, e poi ragazzo che strusciava carponi per non versargli il tributo, e poi giovanotto col primo velocipede e la prima ragazza a braccetto, col primo damo e i capelli tirati sulla testa; tutte le mattine, sempre col fagottino sotto il braccio, e ora vestiti con la tuta che era venuta di moda anche sul lavoro. Conosceva loro e le loro donne; i loro uomini e loro, le fanciulle appena sbocciate e i vecchi col bastone. « Qui, stasera, non mi dice
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nulla di buono, col bu-bu che c'é in città, con questa bomba che é scoppiata », si ripeteva, e appuntava il lapis per darsi daffare. Di lato al suo stabbiolo, come di sentinella ai due piloni, stavano i due carabinieri in tenuta di campagna e coi moschetti infilati alla spalla. Il suo stabbiolo era all'ingresso del ponte, dalla parte delle Cascine: il pedaggio si pagava una volta soltanto, per entrare; uscire dal Pignone si poteva anche se vi si era entrati da tutt'altra parte; e dalle dieci di sera alle sei del mattino il traffico era libero in entrambe le direzioni. Durante le altre sedici ore, c'era il Masi dentro il suo stabbiolo, e gli si doveva il saldino. L'Impresa non si fidava che di lui; siccome non si rilasciano né contromarche né scontrini. "Ad essere disonesti in trent'anni si sarebbe potuto farsi d'oro". Soltanto un giorno al mese, ch'egli andava a trovare sua moglie a Trespiano, lo sostituiva uno dei due impiegati dell'Impresa, gli stessi che venivano a ritirare l'incasso a una cert'ora. Ma per poco, ci si poteva giurare. Presto il ponte sarebbe stato riscattato dal Comune, com'era digià successo per il gemello di San Nic-coló che aveva meno transito e quindi rendeva meno. Questione di tempo, e il Masi sarebbe andato in pensione. « Ma chi me la dà, la pensione ? » si lamentava. « Io non dipendo dal Comune. L'Impresa mi potrà dare uno sborso, una miscéa ». « Te la daremo noi la pensione », lo pigliavano in giro quelli del Pignone. « Sarà una delle prime cose, non appena saremo al potere ».
Questo fino a un anno fa, che s'erano barricati dentro la Fonderia e uno di loro stava di guardia sul ponte, al largo dai carabinieri, e se venivano dei rinforzi il Masi gli faceva cenno fingendo di togliersi il berretto e grattarsi dietro l'orecchio. Ora, invece, gli dicevano, ma tra i denti e mentre gli versavano il sol-dino: « Sei una carogna, Masi, ma bada, i capelli bianchi non ti salvano, prima o poi, da una libecciata ». Egli era come il ponte affidato alla sua custodia, preso tra due fuochi. I fascisti gli passavano davanti, sui camion, come se lui fosse li a far la statuina. Il ponte è stretto: ha novant'anni, é sospeso, ai veicoli é proibito transitare. «Diglielo a un altro! » al massimo gli rispondevano. E come se fosse un cane, per mettergli paura: «Pulsa via! ». Se non usciva dalla garritta, lo appestavano di fumo. Oppure veni-
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vano appiedati: « È tornato a casa il tale ? L'hai visto passare ? ». Dapprincipio aveva risposto: «Non lo conosco, ci passa tanta gente, non so chi sia ». Ora, dopo che anche a lui avevano promesso maz-zolate : « Mi pare di si, mi pare di no » rispondeva. « Non sono sicuro ». Ma giorno per giorno, ormai, era più le volte che gli diceva la verità, di quelle che gli mentiva. E loro del Pignone, gli promettevano le stesse mazzolate; i ragazzi gli buttavano i rospi dentro lo sportello, i vecchi gli dicevano: « Vergógnati », e vecchi com'erano, anche piú di lui, lo minacciavano col bastone. Le donne gli versavano il soldino: « Come va signor Soffioni? ». Poi sputavano per terra e ci fregavano sopra col piede, le cim-bardose.
I due carabinieri andavano su e giú, meglio lasciarli fare. Dalla parte delle Cascine, come ogni sera, c'erano quelle balie e quelle madri, non certo del Pignone, coi ragazzi per la mano, che spingevano la carrozzina. Sull'Arno, e lontano, il traghetto dell'Isolotto, un renaiolo sul barcone. Anche sull'Arno, era come non ci fosse nessuno; o per via del riflesso, non si vedeva. Il fiume scorreva con un certo moto; era calato dopo l'ultima piena, ma era ancora alto da coprire metà degli argini. È sempre così, di primavera. Gonfio, ma calmo, quasi verde e ora tutto barbagli; sotto il ponte schiumava un po', siccome fa un balzo alla pescaja di Santa Rosa, quando tocca San Frediano. Dall'altro capo, sullo slargo dove incominciano via dell'Antonella e via Bronzino, c'era la stessa gente di tutte le sere, ma era come se stesse ferma ad aspettare qualcuno o qualcosa che sarebbe dovuto arrivare da un momento all'altro. Era i fascisti che aspettavano: gliel'avevano mandato a dire, non si sapeva da chi, non si sanno mai queste cose, che sarebbero tornati stasera: "E prima di buio, giacché al Pignone si vuol rialzar la testa e lanciano le sfide, questi puzzolenti, queste bucaiole". Ora pretendevano che il Masi gli facesse il saluto. « Abbiamo sistemato San Frediano, con la teppa che c'é, figurati se non pieghiamo il Pignone! ».
San Frediano, l'avevano messo a posto come nemmeno la Pa lizia c'era mai riuscita; e pigliandolo di sotto e di sopra, dalle spalle e di petto; entrandoci attraverso le Mura, o da Ponte alla
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Carraja, o dai viali, o da Porta Romana. Oppure, passando chiotti chiotti dal ponte Sospeso e girando al largo dal Pignone. Era sempre buio; Masi non li aveva mai visti in viso. Ma perché lui si peritava di guardare, non perché essi nascondessero la faccia. Non li guardava, ma li avrebbe potuti riconoscere, anche loro, uno per uno. Tutti dei ragazzi, comunque, che avevano fatto appena in tempo ad assaggiare la trincea; e si vedeva, non nascevano dal nulla. Del resto, nessuno glielo comandava, di andare a bastonar la gente, a purgarla, a buttare all'aria le Case del Popolo. Se rischiavano, come rischiavano, era per qualcosa più forte di loro, dovevano credere di far bene. E perché erano dei fegatacci e gli piaceva intimorire la gente. Forse, in guerra, erano stati negli Arditi. Andavano e tornavano cantando. Quando stavano zitti, non erano sui camion, erano in meno e venivano a due o tre per volta, a piedi o con un'automobile; allora succedeva qualcosa di grosso, che dopo, a stento si riusciva a sapere. Da queste spedizioni, che chiamavano punitive, non tornavano mai a vuoto, mai senza aver usato le mani; e i manganelli che ci tenevano penzoloni. Le rivoltelle le avevano dentro la fascia che gli reggeva la vita. Non avevano paura di farsi riconoscere; cantavano e il più delle volte erano in divisa. La camicia nera aperta sul petto anche di gennaio; o col collo alto che gli pigliava tutta la gola; i pantaloni da soldato, coi gambali, o con le mollettiere. Chi in calzoni a righe, chi vestito di tutto punto, con la lobbia che davvero pareva un signorino. Pochi portavano il fez, cotesto aggeggio lo inalberavano nei cortei; i più erano, come si dice, a zucca vuota. Così, capelli al vento e manganello tra le mani, avevano messo a sedere San Frediano, facendovi irruzione una sera ogni tanto, quando pareva se ne fossero scordati. Fino alla sera della battaglia, che loro erano una cinquantina e si trovarono di fronte altrettanta gente, molta di più. « Un buscherio ». Gli rovesciarono addosso, dalle finestre, l'olio bollente; la teppa di via San Giovanni, ne prese uno e stava per infilarlo alla cancellata del Tiratoio; un altro "fu messo al muro e sorbottato, le donne gli strizzavano i cordoni". Ci fu un morto, ma tra quelli di San Frediano; e dei feriti. Di queste cose non ci si fa mai un'idea; non le scrivono sul
lo VASCO PRATOLINI
giornale, bisogna saper leggere sotto i titoli dove dicono: una rissa, un litigio, la solita cazzottata in via del Leone. Qualche sera dopo, invece di loro, ma in mezzo qualcuno ce n'era, lo dicono questi del Pignone e in San Frediano, venne l'Esercito con l'autoblindo, bloccò via San Giovanni, e circondò piazza Tasso; la Polizia, cosí protetta, fece una retata. Dopotutto, se non al Pignone, chi é in San Frediano che non é schedato ? Tra poco, non importa più essere né ladri né ruffiani; « basta ti bollino per sovversivo ». Pensatela come volete, un ordine ci vuole; sistemato San Frediano, si erano buttati sul Pignone. Un osso un po' più duro.
Come in San Frediano, anche al Pignone abitavano dei fascisti; e mentre in San Frediano erano in diversi, ma quando c'era da bussare si eclissavano, al Pignone, i fascisti si contavano sui diti, e al contrario, erano i più coraggiosi. Essi, guidavano le spedizioni. È così, dove c'é più api c'è più miele. Specie con Folco Malesci. Con l'ingegnere. Avrà avuto venticinque anni, nemmeno; non ancora di leva, era andato al fronte volontario. Era un animo irrequieto; negli ultimi tempi della guerra si era fatto aviatore. Poi era stato a Milano, era stato a Fiume. Era stato anche all'estero, aveva viaggiato. Conosceva Mussolini di persona. Sembra che D'Annunzio gli scrivesse come Garibaldi scriveva a quelli della Mutuo Soccorso. Di più. E dacché era tornato, malgrado avesse preso moglie e avuto svelto svelto due figlioli: « Ora si ripulisce il Pignone », diceva, non aveva altro pensiero. Da poco, lo chiamavano già ingegnere, aveva un'Impresa di costruzioni insieme col cognato; riusciva a tener dietro a cento cose, comprese le donnine, tuttavia non pensava che a questo: « Se il Pignone é la cittadella rossa, la farò saltare ». Suo padre che da sempre aveva la tintoria e durante la guerra l'aveva ingrandita, era ricco, ma più pesce che carne, badava alla sua azienda, ai suoi affari, in queste storie non c'entrava; lo lasciava fare. Tra quei tintori non mancavano i sovversivi, ma essendo operai di suo padre, l'ingegnere li rispettava. Si seppe che aveva messo incinta la figlia di un capo- reparto, ed anche a questo, il padre Malesci, in virtù dei suoi quattrini, aveva posto riparo. Folco continuava per la sua strada, pigliava la gente a tu per tu, gli tirava due schiaffi: « Vai, fila! »
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gli diceva. E chi si ribellava, questa era la voce, lo aspettava, calato il sole, e lo tuffava dentro le caldaie della tintoria. Tutte cose che si sentivano dire, che prove ne vuoi avere ? Gli altri mettevano a posto San Frediano; e Folco e i suoi amici, loro tre soli, qualcuno di rinforzo ogni tanto, avevano sparso il terrore da Monticelli a Legnaj a. Entravano negli orti e facevano piazza pulita. Oppure, certe mattine, all'alba, quegli ortolani, partivano come al solito coi barroccini per andare al mercato; e sparivano: loro, il ciuco, il barroccio e quanta c'era sopra. Era la seconda volta nel giro di due anni che succedeva; la gente del Pignone mormorava il nome dell'ingegnere, i giornali puntavano sulla teppa di San Frediano, e la Polizia, erano passati due anni, non aveva cavato un ragno dal buco. Folco era sempre più spavaldo. Smilzo com'era, sembrava di gomma, gli andava tutto bene. Ma perché presentava la faccia; perciò non si poteva credere che i due ortolani li avesse fatti sparire lui. Nemmeno al Pignone ci credevano sul serio. In un certo modo, lo temevano e lo rispettavano. Una notte che lo avevano aggredito mentre tornava a èasa, sembra con l'intenzione di seppellirlo sotto la spazzatura dell'Isolotto, non si sa come, eppure riuscì a liberarsi, e senza uno sgraffio, senza una lividura. Da allora, era diventato una jena. Aveva cambiato espressione; prima rideva sempre e ora aveva sempre il muso. Non rispettava più nemmeno gli operai di suo padre. Passava con quello dei basettoni e l'altro, il Pomero perché rosso di pelo, uno per fianco, ed era come si aprisse il vuoto davanti a loro. Tuttavia, a fondare il Fascio del Pignone non s'era azzardato. Doveva essere la sua rabbia e la sua pena; era la sola cosa che minacciasse e non si decidesse a fare. E ora, siccome dopo l'ultima spedizione contro la Casa del Popolo, quelli del Pignone non si sa, loro, cosa vogliano fare, Folco gli ha mandato a dire, che verrà una di queste sere, quando va giù il sole e con una squadra, la Disperata o le Fiamme Nere, come tre mesi fa in San Frediano. « Una di coteste sere può essere stasera, s'annusa nell'aria, non bastasse il resto, figlioli. E una domenica nata male. Scoppiata quella bomba, dicono in mezzo a via dei Tornabuoni: qui non si può sapere, qui si sa quello che chi passa ti vuol raccontare, e meno si sa meglio si vive: la città
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é deserta e come sottosopra, é una contraddizione. Chi é stato? Gli anarchici, chi vuoi siano stati ? ». E loro fascisti l'hanno presa per un'offesa personale. Dianzi, come il vento, avevano perfino i soldini belI'e contati, non hanno neanche segnato il passo, quattro o cinque di questi giovanotti del Pignone, son rientrati dal centro con gli occhi che gli sbuzzavano dal viso: « Gavagnini ce lo pagano caro », hanno gridato. « Diglielo ai tuoi amici, ruffiano! ». Io non ho amici, lui aveva pensato. Né voialtri, né loraltri, son solo. « Digli che non s'azzardino. Digli che ci andiamo noi a cercarli stasera ». E sembra, ora, che una per una, si siano vuotate le case, di lá dal ponte.
Ecco, il sole è digiá mezzo affogato in Arno, dopo l'Indiano. Come tutte k sere, il cielo é un fuoco, percui ci si vede meno che se fosse mezzanotte. I due carabinieri di guardia al ponte, quelli dalla parte del Pignone, non si distinguono proprio, forse più che il riflesso li coprono i piloni. Ma si vede quella gente che sta ferma sulla piazza.
« Cosa stanno per tramare ? », si domandava il Masi.
Egli era più vecchio di quanto non sembrava; al Pignone lo dovevano capire, invece di star 11 fermi a guardarlo, lontani quant'è lungo il ponte che pareva l'avessero più di sempre e soltanto con lui. Era più vecchio dei suoi sessant'anni e dei suoi capelli bianchi, anche se non aveva bisogno del bastone. Gli premeva il posto che occupava; la pensione o lo sborso che l'Impresa, se non l'Impresa il Comune, gli avrebbe dovuto dare. Non s'augurava venisse cotesta ora, si spaventava a pensare come avrebbe impiegato la giornata, ma non voleva, una volta tolto il pedaggio, ritrovarsi senza mangiare. Lui, e quelle due bestie, poverine! Egli era solo al mondo, abitava sul Prato, la moglie gli era morta: Da quanto? Da sempre, poverina! La sua compagnia erano due tortore che lo aspettavano la sera quando tornava a casa. II mestiere l'aveva reso taciturno; le lunghe ore, i decenni trascorsi dentro il suo stabbiolo, con tutta la gente che gli passava davanti, oh se avesse dovuto dire a tutti buongiorno e buonasera! Rispondeva se lo provocavano, e gli bastava. « Hanno sempre una tale voglia di parlare che mettendo insieme cento battute, in capo al giorno », ne sapeva su
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di loro più di quanto loro stessi non sapessero l'uno dell'altro, a furia di tener conversazione. Un interrotto monologo riempiva la sua giornata; il suo interlocutore era La Nazione che leggeva da cima a fondo, « con un occhio sullo stampato e un occhio a chi passa e crede non lo veda. A volte son così bischeri che invece di passare dalla corsia, cercano di scavalcare la sbarra piano piano ». E non tanto per risparmiare, quanto per la soddisfazione di buggerare me e l'Impresa di un soldino! ». Egli era amico di tutti, e di nessuno. "Ma chi vi conosce, ma chi siete?". Scontroso e affabile a giorni, secondo l'umore che ormai andava col tempo. « Quando fa freddo o quando fa bufera, di qui dovete passare, uno per volta, e io vi bollo! Ma di cotesta stagione, come d'agosto, ve lo raccomando star chiuso dentro questa prigione! Col caldo le tavole del ponte scricchiolano che sembra da un momento all'altro si debbano schiantare; se tira il vento forte, allora pare che tutto il ponte sia sul punto di partire. Si balla ch'è un piacere ». Un anno dopo l'altro, "cocendo l'uovo sul fornellino", riscaldandovi il latte quando si sentiva costipato. « Il vino, no, il vino, sembrerà una bestemmia, non mi è mai piaciuto. Perciò sei un falso! mi hanno incominciato col dire ». Il veggio in mezzo ai piedi; il ventaglio d'estate; ora se Dio vuole era un'altra volta primavera. « Ed eccomi qui, non so ancora chi è che mi dovrà dare lo sborso o la pensione; so soltanto che tra poco il ponte si chiude, anzi si apre, e io mi ritrovo coi capelli bianchi e preso tra due fuochi, in queste storie che non mi riguardano nemmeno come prossimo. E una bella situazione! ».
Era la situazione, dopo tutto, di chi sta su un ponte che unisce le due rive. Egli non avrebbe fatto onore ai suoi capelli bianchi, quella sera.
« Ce l'hanno anche con me? », si ripeteva. « Ma chi vi conosce, ma chi siete? Questa Gavagnini, l'ho appena sentito mentovare ».
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Loro, si conoscono tutti l'un l'altro, ed è come non avessero viso. Hanno giocato insieme sulle rive del fiume, scavato tesori tra
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le montaegne dell'Isolotto, imitato Buffalo Bill a cavallo di una scopa; il primo bacio, la prima lite, il primo figliolo, il primo capello bianco; si son fatti l'un l'altro la prima carezza e la prima spostatura. Sono cresciuti uscio a uscio, di padre in figlio, da nonna a nipote; e nondimeno, è come non avessero un nome, due occhi, gli orecchi per sentire. Sono la gente del Pignone che ha sempre vissuto del suo lavoro, o che si é arrangiata; che ha messo su una Mutuo Soccorso "quando ancora si stava sotto il Granduca", che ha fondato un ricreatorio di cui oggi, i ragazzi, la domenica, portano la divisa: i pantaloni bianchi, la maglia verde, il berretto alla raffaella: e sanno fare gli esercizi, si distinguono da quelli degli altri rioni; che a furia di quotarsi, un tanto la settimana, • si sono costruita una Casa del Popolo, un'arena per ballarci durante la buona stagione, un pallaio. Una squadra ginnastica, la banda, dei corridori in bicicletta. Tutte queste cose Malesci e i suoi amici, gliel'hanno amareggiate e messe in pericolo. « Sarebbe il meno male » dicono. È che questa folla, questa gente, s'è vista stringere d'assedio, non più solamente in fabbrica, in Fonderia, ma dentro le proprie case. Hanno subito bastonate, intimidazioni; si son visti sparire qualcuno dalle file, senza sapere dove andare a portargli un fiore. E sono dei fiorentini, se ne vantano e non l'hanno mai dimenticato: essi non concepiscono degli avversari; ma amici o nemici. Con l'amico ci si tiene per la mano; al nemico: gli si fa "la masa". O noi o loro. La storia del Quartiere, pur giovane quanto il suo ponte, non occorre risalir lontano, si é sempre fondata su questa legge e queste ragioni. Che sono poi dei concetti elementari. Chiari come l'Arno, quando é chiaro e in trasparenza si vedono sguizzare le cecoline. Anche le donne vanno in chiesa, e in confessione non hanno nient'altro da raccontare. Ora che ciascuno si sente minacciato, non sono più delle singole persone; hanno fatto cerchio diciamo. Sembra che una parola sia passata da porta a porta, da un davanzale a un finestrino, da un reparto all'altro della Fonderia, di strada in strada, e come una goccia dentro l'alambicco porta a galla i veleni e fa precipitare le buone intenzioni, viceversa, ecco, dopo l'ultima devastazione della Casa del Popolo, si
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sono dati convegno sulla piazza, nelle strade vicine, e aspettano. Non lo sanno nemmeno loro che cosa; ma li aspettano, si vedrà cosa succede. Stanno sugli usci, le donne: le giovani come le anziane; o alle finestre, appoggiate sui gomiti, e tenendosi una mano sul petto, senza dirsi una parola. Guardano i loro uomini riuniti a gruppi sulla piazza, agli angoli di via dell'Anconella e via Bronzino, davanti alle botteghe e al caffé, le spalle contro gli stipiti delle porte, contro i muri, anche loro in silenzio. E né le une gli raccomandano di non trascendere, né gli altri di rientrare nelle stanze. Soltanto i ragazzi, che non sono tuttavia sul fiume questa sera, né sugli argini o i prati delle Cascine, ma li, intorno, sulla piazza e nelle strade, gridano scavalcandosi a turno sulla schiena, in un giro tondo che non è più quello che facevano da bambini. Le loro voci sottolineano quel silenzio. E una folla che aspetta; sono cento, duecento persone, quella parte del Pignone in cui più a fondo ha inciso il suo segno e la disperazione e l'ardimento insieme. Chi manca è chiuso dentro le case, e la più parte, aspetta solo che la miccia bruci, per accorrere e potersi dire che la curiosità l'ha avuta vinta sul suo proposito di restarne fuori. Del resto, la stessa folla che ora, così separata in capannelli muti che sembrano voltarsi le spalle, nessuno la controlla o la guida. I suoi Capi, coloro in cui essa ha fiducia, non sono nel Quartiere, stasera. Sono andati dal Prefetto, tutti, per dar più peso alla protesta che intendevano elevare; e siccome il Prefetto non li ha ricevuti, sono andati in Questura: costi li hanno subito fermati senza nemmeno dargli il tempo di ricomporre la salma di Gavagnini. È stata un'ingenuità, ma c'erano preparati, hanno voluto tentare. Questo, piuttosto che disorientarla, ha fatto diventare di pietra la gente del Pignone. Non é un popolo gentile, nodavvero; é capace di commuoversi per nulla: a una parola, a un gesto che lo tocchi nell'intimo del cuore; e per la stessa ragione, ha già pronto il cazzotto. Il suo equilibrio é fatto di intransigenza e di sopportazione, non conosce le mezze misure. « Una cosa di mezzo non é un uomo; e non troverebbe una donna che gli stesse vicino ». L'ingiustizia, o la subiamo o ci si ribella; rassegnarcisi non é possibile.
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E una folla; e in mezzo ad essa, c'é il buono e il cattivo; non hanno nulla da difendere se non la loro quiete; e i piú, le loro idee di giustizia che non le registra né lo Statuto né il codice dei Tribunali. Non ancora. Anzi, le leggi che ci son ora, e che dovrebbero essere uguali per tutti, non passa giorno che non s'accorgano, una circostanza diventata per loro proverbiale, gli son contrarie. Tanto meno ci hanno qualcosa da. guadagnare. Cotesta attesa non li intimorisce e non li esalta. Sai, quando il cuore é diventato pietra e ne senti il peso? Masticano il mezzo toscano, accendono la sigaretta, sbucciano i due soldi di lupini che hanno comperato; o si aggiustano i capelli dietro la nuca, le camicette sul seno, i grembiulini di casa sopra la vita. E questi e quelle sembrano sfuggirsi anche con gli occhi, guardano davanti fisso, ciascuno di loro, come occupato da un pensiero che è come una parola d'ordine che ciascuno dà a se stesso, non venuta di fuori, non fatta circolare. Ma sua propria, privata. Ed in questo silenzio, in questa immobilità, in questa attesa, è come se si levasse un dialogo, a due e a cento voci, una lamentazione. Un coro.
« Non è possibile, non é vita ».
«Non si tiene più il fiato ».
« Non va mai giù il boccone ».
« Non si dorme la notte ».
« Sembra d'avere il cuore dentro un imbuto ».
« È una disperazione ».
« Da due anni non si sa più quello che pub succedere quando fa buio ».
« Non ci si gode più un sabato sera ».
« E una soperchieria dopo l'altra ».
« Una violenza, e il giorno dopo daccapo ».
« È la seconda volta che devastano la Casa del Popolo ».
« Hanno buttato all'aria ogni bene ».
« Hanno tirato le bombe a mano, avanti d'andar via ».
« Hanno preso il ritratto di Lenin e ci hanno pisciato sopra ». « Hanno bruciato sul ponte le bandiere ».
« Ne hanno mandati altri tre all'ospedale ».
« Ma quest'ultimo delitto, questa volta lo pagano caro ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 17
« Per i padri di famiglia che non sono piú sicuri né sul lavoro
né dentro il loro letto ».
« Per le donne a cui sparano tra le gambe perché si pren-
dano paura ».
« Per quelle a cui hanno tentato di fare uno spregio ».
« E per gli usci verniciati con la merda ».
« Per le croci disegnate sui muri ».
« Per i figlioli che si ammalano dallo spavento ».
« Per i vecchi che non hanno piú un capello nero ».
« Per tutte queste case insieme, insomma ».
« E perché non se ne può piú ».
« Non c'è nessuno che li tenga a freno ».
« La legge é tutta dalla parte loro ».
« Mentre per noi, basta si muova un dito, si spalancano le
Murate ».
« Se non la fossa. Come per Spartaco, oggi ».
« Per Spartaco Gavagnini e per tutti quelli morti come lui ».
« E perché chi ci dovrebbe rapresentare non è buono che a
dire: State calmi, non li provocate ».
« Anche loro, via, l'altr'anno, quando si presero le fabbriche,
dettero a vedere d'aver la cacca al culo ».
« Era ogni cosa nostra, si fece una colata che non se ne aveva
memoria ».
« Erano con noi anche i soldati ».
Quando non mancava che fare i sovieti e difendere la nostra,
delle rivoluzioni, ci dissero: Tornate a casa, non è ancora l'ora ».
« Spartaco era calmo, ma si capiva avrebbe dato la testa nel
muro ».
<c Disse: questo ci ridimostra chi sono i socialisti, bisognerà
crescere e togliere di mezzo anche loro ».
« E siccome noi siamo con queste idee e non ci si può mutare ».
« Ci si muta la faccia? ».
« Ci si muta il cognome? ».
« Ci si possono tagliare i coglioni ? ».
c< E il bolscevismo è come il sangue che esce se sei ferito ».
r
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« Se stasera tornano, stasera non passino il ponte perché ci
trovano vestiti ».
« E la sera che le pagano tutte ».
«
E la sera che si mandano noi all'ospedale ».
« Finora ci siamo sempre difesi male ».
« Siamo troppo dolci ».
«Ci hanno preso sempre alla sprovvista ».
« Ma stasera, che non passino il ponte stasera ».
Quei garofani e quei gerani ci stavano per figura, ai davanzali. Di fronte ai loro occhi, ma lontano, di lá dal ponte su cui si fissavano i loro sguardi, il gran verde delle Cascine, avvolto nell'incendio del cielo, era un orizzonte tutto nero e di fuoco. Come brucia e scoppietta una pina dopo l'altra, così era brulicante e immobile la loro attesa. E come se coteste pine, d'un tratto, si rivelassero tante bombe a mano, destinate a deflagare. Ma quali fossero le loro più nascoste intenzioni, lo dice il fatto che nessuno • di loro era armato. Il dolore che li animava, era la loro corazza. Dai loro cuori pieni di veleno, e di sgomento, di irresolutezza, affioravano ai cervelli, e sembravano paralizzarli, i propositi di vendetta, di uno sterminio al quale soltanto singolarmente, ciascuno nel proprio intimo, si sentivano preparati. Inermi com'erano, la disperazione li accendeva, una gran fiamma che l'odio alimentava. Ora ch'erano folla, ciascuno si sentiva più solo e più deciso. Disarmato ma invulnerabile, aspettava la propria ora, come se il mondo si fosse fermato all'improvviso. E di momento in momento, la loro segreta ascoltazione, diventata sempre più un soliloquio.
« Qui é casa nostra e comandiamo noi ».
« È casa nostra e vogliamo vivere in pace ».
« Specie dopo una giornata di lavoro che vuol vedere l'uomo in viso ».
« Davanti alle caldaie ci sono 700 gradi di calore ».
« La fresa basta un nulla e ti porta via la mano ».
« I torni scartano soltanto se batti gli occhi ».
« Al Pignone non ci devono mai più mettere piede ».
« Non ci debbono rovinare i comizi ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 19
« Non ci debbono interrompere sul più bello una festa da
ballo ».
« Che poi gli uomini non hanno più la testa per mettere
su famiglia ».
« Né per fare all'amore ».
Sempre con l'animo sollevato di vederceli tornare segnati ».
« O chiusi alle Murate ».
« Che non ci faccino perdere il lume degli occhi ».
« Perché anche il lupo esce dal bosco ».
«Perché anche un topo ha i denti ».
« Perché anche un coniglio mette fuori gli ugnelli ».
« Perché anche un bambino é capace di ammazzare ».
« Non attraversino il ponte, stasera ».
« Dopo tanti soprusi, Spartaco lo pagan caro ».
« Dopo tante angherie ci si deve far rispettare ».
«Dopo tanti insulti é la volta di dirvi: L'è majala! ».
« Ricordatevi che anche alla Fonderia le caldaie non si spen-
gono mai ».
« Vi si butta noi in uno di cotesti forni ».
« Vi si sotterra sotto la spazzatura dell'Isolotto ».
« Vi si impicca noi ai lampioni di via Bronzino ».
« Non passate il ponte, stasera ».
« Malesci non lo passare ».
« Vi salterà il terreno sotto i piedi altrimenti ».
« Vi si dà fuoco come a una torcia della Misericordia ».
« Ce ne avete fatte troppe, ora la dovete abbozzare ».
« Folco, diglielo. E anche tu torna a casa da un'altra parte,
stasera ».
« Non dovete passare più il ponte: né stasera né mai ».
« Per piacere, non lo dovete passare ».
« Se anche voi ci avete una famiglia ».
« Se vi sta a cuore vostra madre ».
« Se ci avete una fidanzata con cui ci fate all'amore ».
« Anche se lei lo sa ed é d'accordo, lo stesso non ci passate
sul ponte Sospeso, stasera, vi va a finir male ».
20 VASCO PRATOLINI
« Se le vostre donne sono a casa o chissà dove, noi siamo qui
e non vi lasciamo passare ».
« Quant'è vero Iddio, per il vostro bene, non lo passate ».
« Scordatevi che esiste il Pignone ».
« Folco dacci retta ».
« Se lo attraversate, trovate noi di qua che vi aspettiamo ».
« Siamo di più che se si fosse fatta la chiama ».
« E le donne sono più avvelenate di noi ».
« Bolli bolli la pentola si è scoperchiata ».
« Per piacere, stasera non passate il ponte ».
« Malesci tu ci conosci. Tu sei del Pignone, lo sai chi siamo ».
« Se stasera passate il ponte, è la sera che si fa festa finita ».
« Spartaco Gavagnini per noi è più vivo ora di stamattina ».
« Spartaco era l'idea in persona ».
« Era come me e come te, Gava ».
« Era il meglio che si avesse ».
« Era il più intelligente, era il più capace ».
« Era il nostro piccolo Lenin: ti misurava uno schiaffo quan-
do glielo dicevi ».
« Mi disse: bisogna far muro e contarsi, sapere con chi si
cammina ».
« Mi disse: Non si è comunisti se non ci si sa sacrificare.
Ma non farci sacrificare; mettere sotto loro, avanti che il piede
ti schiacci il collo ».
« Mi disse: ti piace proprio cotesto muso? Io non lo vorrei per
marito a peso d'oro ».
«Mi disse: com'è cresciuta questa bambina ».
« Noi siamo compagni e amici, lui era soltanto un compagno
ma due volte amico ».
« Aveva due occhi che chiamavano i baci ».
« Aveva due occhi che ti davano coraggio anche se non
l'avevi ».
« Fumava come me le macedonia ».
«Sapeva reggere il vino, se era il caso ».
« Conosceva le questioni della Fonderia come fosse sempre
stato davanti al forno e nel consiglio d'amministrazione ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 21
Perciò, gli faceva paura ». .
« Lui da solo, come se ci si presentasse tutti insieme ».
« Parlava poco, ma quando apriva bocca non c'era una parola
sbagliata ».
« Diceva quello che tu avresti pensato e non ti veniva di dire ».
« E l'hanno stecchito come si stecchisce un cane ».
« Un uomo come lui non rinasce, bisognerà saperlo inventare ».
« Ma lui, ce lo pagano caro ».
« Ce lo pagano anche per quelli finiti all'ospedale ».
« Per la gente che hanno schiaffeggiato ».
« Per la gente che hanno legato ».
« E per quella che hanno fatta sparire avanti di lui ».
4
Il Masi era tornato davanti al suo stabbiolo. « Non mi dice nulla di buono » si ripeteva. Si tirò il berretto sulla fronte per ripararsi dal riflesso del sole, e si portò una mano alla visiera, in modo da poter seguire meglio i movimenti di quella gente del Pignone. Gli era parso che di tanti gruppi se ne fosse formato uno solo; alle finestre delle case era come non ci fosse più nessuno. D'un tratto, senti uno frigolio di freni, si voltò e vide tre automobili e in fila, i fascisti che ne discendevano, che affrontavano i due carabinieri, li disarmavano, gli legavano i polsi dietro la schiena e li spingevano dentro una delle macchine. « O questa ? » egli non ebbe il tempo di chiedersi. Istintivamente si era portato a ridosso del suo stabbiolo; e uno di quei fascisti credé si volesse nascondere. Costui, Masi non lo aveva mai visto, gli poggiò la rivoltella alla bocca dello stomaco, ma subito dalle sue spalle, Folco Malesci gridò: « È un amico, ve l'ho detto, lascialo stare. E tu Masi, a cuccia e buono, via! ». Masi non si mosse da dove si trovava. « Guarda lacchezzo ch'è questo », perciò. "Questione di minuti secondi", avrebbe detto poi. Una barca si era staccata dalla riva, con due uomini sopra, uno che spingeva la pertica come un dannato e uno, anche lui in piedi, faceva
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dei segnali, come per dire a quelli del Pignone: "Eccoli, sono arrivati". Quei fascisti, dalla spalletta, li presero di mira con le rivoltelle, ma la barca era digiá fuori di tiro, mentre due fucilate fecero eco dalla parte della piazza, dove gli altri due carabinieri che ci stavano di guardia avevano sparato in aria. La folla si era mossa, ed essi ripiegavano, correvano all'indietro attraverso il ponte, per finire tra le braccia dei fascisti che gli saltarono addosso e trattarono come i primi due.
Ora, eliminate le forze dell'ordine, i due schieramenti si fronteggiavano. Il ponte ancora li divideva.
La folla si era attestata, faceva massa, come se una sbarra le impedisse di avanzare. Lontana tutta la lunghezza del ponte, non si decifrava, tra cotesta calca, un solo viso, ma tanti visi presi nel riflesso del sole, e quei berretti, i cappelli: i vestiti delle donne risaltavano per via dei colori. Da questa parte, i fascisti si erano a loro volta radunati, Folco era al centro; e per un momento si guardarono come per contarsi. Il Masi li aveva digiá contati. Erano dieci, undici, mancava quello dai basettoni, e un paio erano rimasti accanto alle automobili e per tenere d'occhio i carabinieri che vi si trovavano legati. Soltanto due erano in divisa: il Pomero con la camicia nera dalle maniche rimboccate, i pantaloni da ufficiale, i gambali gialli; e uno basso, dai baffi e dai capelli neri, lo stesso che lo aveva assalito e che sembrava essere il più anziano di tutti, ma anche quello che contava meno. Stava alle spalle di Folco e quasi non si vedeva. Gli altri, erano in borghese, alcuni con la camicia nera sotto la giacca, e chi no, come Folco: elegante secondo il suo solito, si era appena tirato indietro il cappello sulla fronte. Ora avevano incominciato a parlare, con frasi brevi, non trafelate, che nondimeno tradivano la sorpresa e sottolineavano la loro irresolutezza.
« Che si fa ? ».
« Ci hanno tirato un'imboscata ».
« Qualcuno li ha avvisati ».
«Ma siamo stati noi ad avvisarli! Non ci perdiamo in considerazioni ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 2J
Questo era il Pomero che si aggiustava la fascia intorno alla vita.
« Non bisognava venirci dal ponte ».
« Si doveva entrare dalla parte di Legnaja ».
« Come ci si arrivava? ».
« Allora attraverso San Frediano ».
«Dietro alla porta ce ne saranno altrettanti ».
« Qui non si può restare », disse il Pomero. Bestemmiò, poi disse: «Saranno qualche centinaio, questi cenciosi ».
«Allora, Malesci, che si fa? ».
« Si va avanti, come che si fa? Siamo rimasti anche troppo qui a indugiare ».
Colui che aveva parlato non era Folco, ma un altro di quelli che il Masi vedeva per la prima volta. Gli stava quasi di fronte, al fianco di Folco, ed era un ragazzo come Folco, di sicuro non aveva trent'anni. Era alto, magro, un biondino si poteva dire del tipo che era, anche se il berretto all'inglese gli copriva la fronte e gli calzava la nuca. Sotto la giacca, come troppo larga per lui, invece della camicia nera, portava una maglia scollata. Questo, e come stava in piedi, come si dondolava, rafforzavano l'idea di un marinaio, che fosse li per caso. Aveva il viso abbronzato dei marinai; forse per questo gli occhi sembravano tanto chiari. E una espressione, infine, sulla faccia, non come degli altri dura, risentita, accigliata, ma tranquilla, decisa, percui, non ci si spiega, era, fra tutti, quello che metteva piú paura. Ora reggeva la pistola appoggiandosela sotto il mento, mentre parlava.
Si va avanti », ripeté. « Forza ».
Falco lo fermò, secco e strisciandosi lui la canna del proprio revolver sulla gota: «Non dire bischerate, Tarbé. Non fare il pazzo, tu non hai esperienza di queste cose. Lasciami riflettere da che parte si possono pigliare ».
D'improvviso, come una risposta a queste sue parole, dall'altro capo del ponte si levò una voce d'uomo, grave, tonante: « Non azzardatevi a passare il ponte, inteso? Vi si aspetta da tutte le parti non vi azzardate ».
E subito, come per la fine di una tregua, a cotesta voce se ne
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accompagnarono altre cento, ma urli, grida, che per essere cento diventarono una sola ed unica voce, e se ne perdevano le parole. «Non v'azzardate! Non v'azzardate! D.
C'era stato un movimento, ma la folla non era venuta avanti; si era come rimescolata dentro le proprie grida. Quindi, una sassaiola si era abbattuta a metà del ponte, contro le fiancate, era ricaduta in Arno. Qualche pietra più piccola, o meglio o più fortemente diretta, era rotolata ai piedi dei fascisti. Come una salve. E di nuovo il silenzio; di nuovo quella voce:
« Malesci se ci sei, fatti sentire da cotesti delinquenti. Portali via D.
Ora Falco si era drizzato in tutta la persona, "gli sporgeva la bazza, tanto doveva essere infuriato". Tuttavia era calmo, la rivoltella in mano, si rivolse al Masi, spiaccicato di spalle contro il suo stabbiolo: « Chi è questo? » gli chiese. «Mah », il vecchio disse, un po' balbettava, un po' si dava coraggio: « O non é il Santini? Mi pare, non lo so ». Poi, rivolto ai suoi amici, Falco gli ordinò: « Non mi venite dietro. Muovetevi quando vi chiamo ». E avanzò sul ponte, si fermò dieci passi lontano.
« Ci sono, eccomi qui », gridò. « Tu chi sei? Sei quella carogna del Santini? D.
Dalla parte del Pignone, lo videro avanti ch'egli aprisse bocca, e le urla, i gridi che si levarono dalla folla, copersero le sue parole. Egli era abbagliato dal riflesso, scorgeva come una fiumana nera, colorata, agitarsi +a capo del ponte, e come ondulare, trattenuta in se stessa, e contemporaneamente, una figura d'uomo, una figura di donna, un'altra donna un altro uomo, ora pareva un ragazzo, cinque, dieci figure avanzare di qualche metro, prenderlo di mira e rientrare di corsa tra la folla. Dei sassi, dei pillori, gli caddero vicino, uno gli sfiorò la testa ed egli fu costretto a scansarsi, mentre nell'incendio sempre più basso del cielo, da quel gesticolare, gli insulti, gli urli, le grida lo subissavano. Egli alzò la pistola e sparò in aria tre colpi. Subito, i suoi camerati, senza ch'egli avesse gridato « A noi! » lo avevano raggiunto, Tarbé per primo.
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 25
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«Non risolvi nulla a minacce. Andiamo avanti. Sono una massa di pecore, non li vedi? ».
Folco lo agguantò al braccio, mentre si muoveva; lo aveva arrestato sullo slancio e gli aveva fatto cadere la rivoltella, perciò Tarbé si era fermato. Raccolse la rivoltella; e gli disse:
«
E tutto qui il tuo coraggio, capitano? ».
« Non ti mettere a provocar me, Tarbé, sii buono! Io li conosco, so con chi ho da fare ».
Agli spari, era seguito un ondeggiamento della folla, come un fuggi fuggi subito ricomposto. Folco gridò:
« Vi do tempo due minuti per sgomberare la piazza. Mandate a casa le donne. O spariamo addosso anche a loro. Vi si disfà, stasera ».
E accadde qualcosa di cui il Masi non si sarebbe « mai capacitato »; di cui anche Folco, che pure li conosceva, si sorprese, e per la prima volta nella sua vita, gli fece gelare il sangue nelle vene. Erano trascorsi dieci minuti, nemmeno, dall'arrivo dei fascisti, e tutto finora, si era svolto « in un battibaleno, come un volo di pallonetto che con l'occhio non gli stai dietro ». Ora incominciavano i secondi dieci minuti, un quarto d'ora che sarebbe sembrato eterno, e poi, « poi da mettersi le mani sugli occhi davvero ».
Stasera vi si concia per le feste », urlò il Pomero.
E Folco: « Ho guardato l'orologio, sappiatevi regolare ».
Ma in quello stesso momento, come da dietro un gran velo di tulle, di caligine, di bruma, uscendo dall'ombra della piazza dove già era calata la sera, e sbucando sul ponte ancora colpito dai barbagli di sole, la gente del Pignone avanzava lentamente, compatta, unita, si sarebbe detto facendosi catena con le mani. Il ponte era largo cinque metri, ed essa lo riempiva, da questo a quel parapetto, dall'una all'altra grata. Erano un centinaio di persone, forse, o poco più, ma cosí strette, affiancate, parevano un esercito, un'armata. Delle donne stavano nelle prime file.
« Carogne, fermatevi », gridò Folco. Si era messo con un ginocchio a terra, per impugnare meglio la pistola e darsi come un riparo. Gli altri lo avevano imitato. « Un altro passo, e si spara ».
Gli rispose, non più il Santini, non lo si vedeva: erano tutti
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e nessuno, che si tenevano ammucchiati: ma un urlo di donna:
«
Assassini! ». Si vide un vestito verde agitarsi, e subito venne risucchiato nel gruppo come da uno strattone.
I fascisti ne avevano approfittato per rinculare di qualche passo, e adattarsi in una posizione migliore, sui due lati: Folco, Tarbé e il Pomero davanti; gli altri alle loro spalle e dirimpetto. La folla, come i fascisti si erano fermati, anch'essa si fermi. Su quelle teste si alzavano delle spranghe, dei bastoni. Erano a metà del ponte; e in quel momento il sole dava gli ultimi e più. forti bagliori.
Qui, parti il primo colpo. Né Folco, né il Pomero, né Tarbé avevano sparato, ma dalle loro spalle, « quello basso, tutto nero come la pece ». In piedi, cercando la mira dentro il mucchio, una ventina di metri distante, e col riflesso che l'accecava, egli sparò due, tre volte ancora. Nella folla si apri un varco; tra urli e grida, essa si divise in due file, e sbandò e si sparse verso la piazza donde era partita. Miracolosamente, la metà del ponte rimase vuota; nessuno sotto quei colpi era caduto. Ora, dall'altro capo del ponte, impugnando i moschetti dei carabinieri, accorrevano i due fascisti rimasti di guardia, e gridavano: « Stanno passando sull'Arno. Ci vogliono aggirare. Guardate, sono sui barconi ».
«Li».
«Li».
«Li».
A un ordine di Folco, la squadra era indietreggiata: protetta dai tralicci del ponte, sparava coi moschetti e i revolver sui barconi. Folco si riparava sul fianco del pilone, quasi accanto al Masi, più che mai spiaccicato contro il suo stabbialo. Il vecchio balbettò, tra l'uno e l'altro scatto dell'otturatore: «Li ho avvistati io, ingegnere. Lora, questi suoi amici, non se n'erano accorti ».
I tre barconi di renaiolo, erano carichi di gente che agitava i pugni e le mazze, facevano manovra per sfuggire alle moschet-tate e portarsi al largo. Uno fu sul punto di rovesciarsi; si videro tre quattro persone nuotare verso la riva. Anche costi c'erano delle donne; una di esse stava per precipitare, la sua sottana rossa si gonfiava nell'acqua; la ripresero per i capelli e lei lanciò un urlo
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FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO

che sembrò sovrastare i colpi dei fucili, le grida che si levavano al di là del ponte, sulla piazza. Ma già due dei tre barconi, fatto l'inverso cammino, toccavano la riva del Pignone, la gente saltava sugli argini. Il terzo, si dirigeva verso l'Isolotto, con che in-, tenzione ?
« Ingegnere, quelli attraversano l'Isolotto per risalire dalle Cascine », balbettò il Masi. « E intanto, ha visto ? I carabinieri si sono sciolti e sono scappati ».
«Ma va via, lurido anche te! », gli disse Folco; aggiunse terrore alla sua paura. Quindi si diresse verso i camerati, riunitisi a capo del ponte.
Sulle due rive del fiume era tornato il silenzio; il sole era tramontato; il cielo si era fatto tutto bianco e celeste, e dalla parte della Carraja si vedeva una falce di luna. Su entrambi i lungarni, c'era il deserto; non una persona risaliva le Cascine. Pareva che la città, non incominciasse 11, dietro le prime case, ma mille miglia lontano, come isolata nel suo traffico e nella animazione d'ogni sera. Ora l'orizzonte era pulito; alle ultime luci della sera, vivide e chiare, di primavera, le due fazioni potevano distinguersi nei loro movimenti, attraverso il ponte che nuovamente le divideva. Ed ora che pareva tornata la quiete, per un istante, in cotesto istante sarebbe esplosa la tragedia.
" Come non fosse successo nulla ", pensò il Masi. " Non hanno perso né un berretto né un pelo ". Folco stava all'ingresso del ponte, col Pomero accanto e dall'altro lato il fascista tutto pece. E come se soltanto allora lo scoprisse vicino: « Bella prodezza, vero? » Folco gli disse, d'improvviso, accompagnò con due schiaffi, " uno per gota ", le sue parole.
Nessuno si mosse; costui restò come mummificato. Ma subito dopo, fece un passo indietro, la rivoltella in mano: «Toglietevi di mezzo », urlò. « Guarda Malesci, ti fo fare la fine di quello dianzi, sai ? Tieni ».
La rivoltella scattò a vuoto.
« Non c'era nemmeno la pallottola. Le hai tutte sprecate », lo irrise Folco.
« Anch'io », disse il Pomero, « non ho più un colpo ».
28 VASCO PRATOLINI
E i moschetti erano ormai scarichi; i carabinieri si erano portati via le giberne che non gli avevan levato. Gli altri, qualche colpo potevano spararlo ancora e Tarbé, nella tasca, ci aveva, siccome disse, due caricatori.
« Ma anche se tu avessi due ore di fuoco », disse Folco e apri lo sportello di una delle automobili, che gli apparteneva. « Via, si rientra. Li piglieremo un'altra sera. Per stasera abbiamo fatto anche troppo rumore. Sali, e non ti riprovar più a dir certe parole! »
disse a colui che aveva schiaffeggiato. •
Il camerata che un momento prima, con un proiettile in canna, di sicuro l'avrebbe ucciso,` gli ubbidì subito, girò la manovella per avviare il motore, e gli sedé accanto. Già le tre macchine avevano il motore acceso. E il Masi stava sgusciando a sua volta, rasente la spalletta, per raggiungere casa, l'incasso della giornata dentro il sacchetto: l'Impresa, egli pensava, avrebbe considerato le ragioni per cui abbandonava il posto avanti dell'orario.
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Solo, in disparte, era rimasto Tarbé. Il berretto tirato sulla fronte ora, gli occhi balenanti acciaio, si rivolse a Folco, e li fermò tutti:
« Scappate così? Siete dei bei pusillanimi ».
Folco scese dalla macchina e lo affrontò. « Vuoi un par di schiaffi anche te? Su, fila ». Lo trascinò per il braccio: « Cosa vuoi fare? Un'altra bambinata ? ».
Tarbé gli resistette; e Folco, come ritrovando la calma, guardandolo negli occhi, gli disse: « Ogni secondo che si resta qui, se non si rischia la pelle, ci si va vicino. Quelli stanno salendo dalle Cascine col barcone, e sulla piazza... ».
« Insomma tu scappi », Tarbé disse.
« Non scappo, non sono mai scappato. Non dubitare che ï conti li regolo anche da me solo. È gente mia, e la voglio vedere con la bocca per terra. A cominciare da stanotte quando tornerò a casa, per tua norma, capito? ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 29
« Ma intanto scappi ».
« Qui non siamo sul ponte di una nave, Tarbé, siamo su un ponte d'Arno ».
«Ma scappi. Scappi davanti a delle pecore ».
«Non sono delle pecore, Tarbé. Sono dei delinquenti. Se ora gli si va incontro, succede una carneficina ».
« Perciò tu li prendi isolati. In tre, in dieci contra una pecora. Così fate la rivoluzione ».
« Basta Tarbé! », urlò Folco. « Se per via del tuo nome tu sei qualcuno, anch'io sono qualcuno, anche mio padre. E la sua roba ce l'ha al Pignone, non alle Cure, capito ? ».
« Io con mio padre non ho rapporti. Ho fatto cinque anni di marina apposta, senza gradi ».
«E io ho fatto... ».
« Ma scappi ». Guardava Folco con quei suoi occhi che sembravano non vedere, grigi ora, fermi, lo derideva. « Davanti a delle pecore. Se gli fai un bercio, scompaiono. Non l'hai visto dianzi? E tu sei tanto vigliacco, tutti voialtri sareste tanto vigliacchi, da scappare davanti a chi é più vigliacco di voi? Li affronto io solo ».
« Ti sei appena congedato, Tarbé. Questa é la tua prima azione. Non puoi sapere come stanno le cose », disse Folco.
Tarbé sembrò non sentirlo. Sorrise, " ma con la faccia amara che li disprezzava ". Disse:
« Voglio vedere tra voialtri e loro chi ha più paura ».
Cavò di tasca la pistola e avanti che Folco potesse impedirglielo, sparò due colpi in aria. Fece eco, ai due spari, come un tuono. Essi si voltarono: quella gente era ferma a metâ del ponte. Tanti più di prima, davvero una fiumana. Ora, tra i vestiti delle donne, le giacche, le tute, e giâ il cielo si era come di più illim-pidito nella sera, spiccava un giovane, quasi un ragazzo pareva, scamiciato e dalla testa bendata. Quindi si udì la voce dell'uomo che aveva parlato sotto il sole e che Folco aveva chiamato Santini. " Ma questo potrebbe essere anche il Bigazzi ", pensò Masi, bloccato ora, dal nuovo spavento, tra la spalletta e il pilone.
« Non ve ne andate, no? Volete ricominciare ? ».
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30 VASCO PRATOLINI
« Badate che siamo alla disperazione », gridò una donna.
E ad essa si accompagnarono l'urlio che riempiva l'aria, il tumultuare della folla a mezzo il ponte: le sue sbarre, i bastoni. Il ponte, sotto questo peso, questa agitazione, oscillava sui cavi, " come nei giorni di maggior bufera ".
« Faremo i conti con tutti », gridò Folco. « Anche voi mi conoscete ».
« Malesci, é l'ora di finimola », gli risposero.
« Vieni avanti, se hai coraggio ».
« Vieni avanti, ingegnere ».
« Belva ».
« Iena ».
« Viva Gavagnini ».
Ora, soltanto Folco e Tarbé li fronteggiavano, in piedi tra pilone e pilone; entrambi avevano in mano le pistole. Alle loro spalle, le automobili dei camerati aumentavano, pronte a partire, i giri del motore.
« Vai, Tarbé, monta, io ti vengo dietro ».
« Sicché, vuoi proprio scappare », Tarbé disse.
Il suo volto era duro e sereno, come di un ragazzo infatti, anche più giovane dei suoi anni, e che della propria caparbietà si é fatto un punto d'impegno, una ragione.
« Ma ti vuoi fare ammazzare ? », sibilò Folco. « Imbecille ». « Non ammazzano nessuno. Se ti vedono deciso sono delle pecore ».
D'un tratto, dietro di loro, due auto erano partite, ciascuna con il suo carico di camerati, alla guida e sopra gli strapuntini. « Dio, che vigliacchi », esclamò Tarbé.
C'era una carica d'odio nella sua voce che per un momento Folco ne restò non intimorito, ma sgomento. Anche il Pomero ora li richiamava; e il camerata tutto pece, colui che aveva sparato per primo, che Folco aveva schiaffeggiato, e che era il più anziano: «Dai, Tarbé, non fare il bischero sul serio », disse. Piuttosto che un'esortazione, un consiglio, era un allarme e, mentre lo sollecitava a partire, un modo di ricambiargli la sua derisione.
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Liberatosi dalla mano di Folco che lo tratteneva, e impugnando la rivoltella, lui da solo, come aveva detto, Tarbé si era mosso incontro alla folla, aveva superato i piloni, lo stabbialo dove il Masi si faceva pagare il pedaggio, era dieci, venti passi lontano. Lo si vedeva di schiena, la giacca troppo lunga gli ricadeva sulle spalle e sembrava infagottarlo, avanzare lento ma deciso. Folco era rimasto a capo del ponte, pensava che di fronte alla pazzia di Tarbé, ormai, guardargli le spalle da coloro che stavano per aggirarli dalla parte delle Cascine, era il solo aiuto che gli si poteva dare. Nondimeno: « Tarbé! », gridò. « Torna indietro ».
Si era fatto silenzio: nell'aria limpida della sera, non volava una rondine, un moscone; si poteva sentire, lieve, uno sciacquio, l'Arno che urtava contro gli argini, che andava calmo e veloce sotto il ponte, tutto verde ora e via via sempre meno screziato dalla spuma di cui si ricopriva, precipitando dalla pescaja, lá dove, cento metri distante, costeggiava San Frediano e le prime case del Pignone.
« Torna indietro, Tarbé! ».
La voce di Folco, risuonò irata e supplichevole insieme. E la folla, assiepata a meta del ponte, per un momento disorientata, sembrò esplodere nella sua carica di odio, di disperazione. Ancora trattenendosi compatta, si agitò in un mulinare di gesti, di grida, parve fare eco alle parole di Folco.
« Torna indietro ».
« È meglio per te ».
« Non ti ci provare ».
Erano urli che la rabbia stroncava; minacce che la provocazione di Tarbé rendeva tragicamente ridicole. E digià, inumane. Egli avanzava, puntando la rivoltella contro di loro; e sem-
pre più gli si avvicinava. Ora venti, trenta passi li dividevano. Egli si trovava a un terzo del Ponte, nemmeno, e nel punto in cui
i cavi si flettevano per risalire, dopo la meta giusta, verso gli altri piloni e l'altra riva. Il ponte, come una lunghissima cuna, si stendeva, cosí sospeso ed aereo, in quella luce vespertina, oscillando
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appena dove il peso della folla lo gravava e dove più basse, e nella misura d'uomo, erano le grate che lo cintavano.
« Chi sei? Te non ti si conosce, va' via ».
Egli si era fermata, la rivoltella in pugno. Li vedeva distintamente ora, tutti e nessuno nello stesso tempo. Quelle donne che vedeva, quel ragazzo con la testa fasciata e la benda arrossata di sangue, loro che erano nelle prime file, le donne come gli uomini, più la insultavano e più facevano forza con le spalle per trattenere la massa su cui si agitavano le spranghe di ferro, i pugni chiusi, le mazze, i bastoni. Era una folla inferocita, e spaventata,
e vigliacca, lui pensava. Così, lui faceva un passo, ed essa arretrava. Più lo insultavano, più egli muoveva un piede, più andavano indietro, ammucchiati gli uni sugli altri.
Egli sorrideva, stirando le labbra, alzando la rivoltella, come per prendere la mira.
« Sono un fascista. Non vi basta ? E vengo a pigliarvi tutti, da me solo ».
Fece l'atto di puntare la rivoltella; loro non si disunirono ma arretrarono di più questa volta. Si alzarono più intense le imprecazioni e le grida.
« Fuori! », egli intimò. Si portò avanti di un passo ancora,
e agitava la rivoltella. « Tornate a casa, sparite. Io non sono il Malesci, tutti quanti siete non mi fate paura. Sgomberate il ponte
o sparo ».
« Non ti ci provare ». Questo era il ragazzo della benda, piegato in due per trattenere la massa che lo spingeva.
« Ti si brucia vivo », urlò una donna: aveva il grembiule di casa sopra il vestito nero, dei ciuffi grigi le coprivano a metà il viso.
Tarbé si alzò il berretto sulla fronte, e a gambe spalancate, piantato in mezzo al ponte come si trovava, fece il gesto di buttar via la pistola.
« Non ho paura », gridò. " Anche disarmato " non ebbe il tempo di dire.
Nel medesimo istante, forse credendo che Tarbé stesse per sparare, forse con l'intenzione di farlo indietreggiare, o di sal-
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targli addosso e batterlo in colluttazione, certo, si poté poi capire, agendo sotto un impulso tutto suo, ma che la folla alle sue spalle non poteva non avergli istigato più della sua ferita, della sua eccitazione, il ragazzo che pochi minuti prima era stato colpito di striscio alla testa dalle rivoltellate del fascista anziano, si gettò su Tarbé come doveva tuffarsi in Arno, ragazzo com'era, dall'alto della pescaja. Lo agguantò alle gambe, lo fece cadere, riuscì a disarmarlo e a gettare la rivoltella al di sopra del ponte, nel fiume. Contemporaneamente Folco vedendo coloro che avevano attraversato il fiume sul barcone risalire l'argine delle Cascine, gli aveva sparato; e d'istinto, per darsi un riparo, era saltato sull'auto, mentre il fascista anziano lanciava la macchina sul lungarno e verso la città. Da bordo, Folco e il Pomero, continuarono a sparare, finché l'auto non scomparve lontano, dietro una voltata.
Sul ponte, la folla, una volta di più sorpresa dagli spari, subito immaginandosi un'imboscata, e che dei rinforzi fascisti la prendessero dai due lati del ponte, impazzita e dalla rabbia e dal terrore, si era sbandata. Il ragazzo lottava ancora con Tarbé che si liberò di lui, si alzò e di corsa cercò scampo dalla parte delle Cascine. Ma già coloro che erano risaliti dall'argine, un attimo intimoriti dalla sparatoria di Folco e del Pomero, ora imboccavano il ponte; e quelli sbandatisi, tornavano indietro correndo, per cui Tarbé si trovò preso lui ora, e solo, tra i due gruppi della gente del Pignone che gli si avvicinavano. Non più donne o uomini, vecchi, ragazzi, ma esseri al di fuori di se stessi, scatenati.
Egli si mise di spalle contro la grata, il parapetto del fiume gli arrivava all'altezza della vita, alzò le braccia come per arrendersi; ma da una parte e dall'altra, i due gruppi convergevano su di lui, gli furono sopra: ora il suo corpo ondeggiava sulle loro teste e precipitava sotto i loro colpi, i loro pugni, gli sputi, le bastonate. Lo sollevavano e lo lasciavano ricadere, urtandosi, calpestandosi, ammucchiandosi su di lui, e tra loro. " Sembrava impossibile non l'avessero bell'e dilaniato ". No, non ancora. Così ridotto, la faccia insanguinata, senza più giacca, senza più berretto, i capelli come spiaccicati, e la camicia a brandelli, i pantaloni su cui incespicava, " lo si vide spuntare di mezzo alla bu-
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riana " e correre davanti a tutti, raggiungere la grata dalla parte più bassa, rovesciarsi sul traliccio, " mezzo sul ponte, mezzo sporto sul fiume, e poi sparire ". Si pensò fosse cascato in Arno, poteva essere la sua fortuna; l'altezza era molta, ma lui era un marinaio, avrebbe nuotato.
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Dopo, tutto ci() che si disse, malgrado le contraddizioni delle diverse testimonianze, ciascuna diversamente interessata, e per la complicità come per le intimidazioni, le omertà, i timori, fu tutto vero. Come nessuno confessò mai di essersi trovato sul ponte, quella sera, così non si riuscì ad identificare nemmeno una ch'è una delle persone che avevano preso parte al linciaggio, senza che non sorgessero comunque dei dubbi, delle perplessità, dei casi di coscienza, delle cieche persuasioni. Anche questo a suo modo, fu vero. Non erano, dei cento o duecento quanti erano, tante singole persone; ma una folla che nella propria disperazione, nel proprio odio, e nella ferocia con cui si era scatenata, esaltava se stessa e insieme si annullava. Infierendo sul fascista caduto tra le sue innumerevoli mani, mentre si accaniva su di lui che da solo la aveva affrontata, proprio lui era il solo dei suoi nemici che inconsapevolmente essa riscattava.
" Come un fantoccio, invece ", si era girato su di sé, era sci- volato fuori dal ponte, e chissà per quale forza disperata, si era. aggrappato ai ferri della grata, poi in quel po' di spazio che c'è tra la grata e l'impiantito del ponte. Casti era di legno, tutto scheggiato, si doveva fare male ma faceva più presa. La folla, vedendoselo sfuggire, non potendo più raggiungerlo se non arram- picandosi sul parapetto e di lassù cercare di colpirlo coi bastoni, lo forzava coi piedi. Egli era penzoloni dal ponte: sotto di lui,. nove dieci metri, scorreva il fiume; e si teneva, ormai morto: o per via di un irrigidimento che non corrispondeva a nessuna legge naturale: con le mani disperatamente aggrappato. «Chiamava la mamma; e quelle donne, quegli uomini, forse soltanto un paio,
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forse una diecina, ma come se fossero stati centomila, gli pestavano le mani ». Lo colpivano « coi bastoni sul capo », dall'alto della grata.
Così, prima una mano, poi l'altra, centimetro per centimetro, il tempo parve millenni, egli abbandonò l'orlo dei tavolato, e senza un grido, precipitò nel fiume. « Andò giù ritto come si trovava »; l'Arno sembrò aprirsi e rinchiudersi. E la gente, non ancora paga, ma sempre più riducendosi le sue file, corse ai due capi del ponte, discese sugli argini, per vederne la fine. Qualcuno era saltato sui barconi e spingeva sotto al ponte. Per un momento, ed era ormai sera, ci fu un silenzio, questa volta pauroso, ossessionante. Il corpo non era riaffiorato. Già costoro forse si guardavano negli occhi, « gli tornava l'uso della ragione », quando da uno dei barconi sul fiume, si alzò un urlo, un grido:
« Eccolo là! Vuole scappare! ».
Alle ultime luci della sera, sotto il chiarore lunare, si vide, rasente l'argine delle Cascine, apparire il corpo di Tarbé, «morto, certo, galleggiava, ma davvero sembrava che nuotasse e intendesse scappare dalla parte dell'Isolotto ». Lo raggiunsero, e quelli che stavano sull'argine, e quelli che si trovavano sul fiume; lo colpirono con le pertiche dai barconi, coi sassi, sulla testa, sul dorso, finché il corpo di Tarbé, « ora nient'altro che la carcassa », affondò lentamente, e per sempre.
Era notte ormai; c'era il chiaro di luna; e rapido più d'ogni altro il Masi, fino allora nascosto tra spalletta e pilone, come in una segreta, scantonò sul lungarno e sul Prato. Carezzava le sue tortore, mentre beccavano le molliche ch'egli aveva sparso sul tavolo; e chiuso nella sua casa, il doppio paletto, la doppia mandata, si domandava: « Domattina, io li bisogna sia. Mi verranno a interrogare. Dimmi tu cosa dovrò dire, dimmi tu cosa gli dovrò inventare? ».
VASCO PRATOLINI
 
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1960 Mese: 1 Giorno: 1
Numero 42
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42


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