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tipologia: Analitici; Id: 1465132


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Giovanni Mari, Ritratti critici contemporanei. Louis Althusser
Responsabilità
Mari, Giovanni+++
  autore+++    
Area della rappresentazione (voci citate di personaggi,luoghi,fonti,epoche e fatti storici,correnti di pensiero,extra)
Nome da authority file (CPF e personaggi)
Althusser, Louis+++   Titolo:oggetto+++   
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
RITRATTI CRITICI DI CONTEMPORANEI
LOUIS ALTHUSSER
1. Per comprendere il significato ed i risultati della ricerca marxista che Louis Althusser porta avanti da venti anni tra polemiche e discussioni che sono andate ben oltre gli ambienti culturali francesi (interessando anche aree regionali in cui il marxismo ed il movimento operaio sono tradizionalmente assai deboli), occorre partire, come del resto il filosofo francese ha piú volte ripetuto, dal momento storico in cui tale ricerca si è svolta'. D'altra parte l'opera di Althusser si colloca consapevolmente in questo momento: essa infatti prevede una serie di riflessioni sulla « congiuntura politica » in cui il movimento comunista si è trovato in questi anni, e rappresenta la scelta di scrivere dei testi filosofici per produrre determinati effetti teorico-politici in tale congiuntura 2. La quale inizia, secondo Althus-
1 Nel corso del testo ho usato le seguenti sigle che rimandano alle opere cit. in bibliografia (la p. si riferisce, ad eccezione che per l'Avant-propos a Duménil, alla trad. it. cit.): FL, per Freud et Lacan, tr. it. in n. 66; PM, per Pour Marx, n. 21; LC, per Lire le Capital, n. 23; Lettere, per M. L. Maciocchi, Lettere dall'interno del PCI a L.A., n. 40; LAIE, per Idéologie et appareils idéologiques d'Etat, n. 66; Avertissement per Avertissement aux lecteurs du Livre I du « Capital », n. 39; RJL, per Réponse à John Lewis, n. 53; PPSS, per Philosophie et philosophie spontanée des savants, n. 59; EA, per Eléments d'autocritique, n. 60; SEJM, per Sur l'évolution du jeune Marx, n. 60; EMP, per Est-il simple d'être marxiste en philosophie?, n. 66; Finalmente, per Finalmente qualcosa di vitale si libera dalla crisi e nella crisi del marxismo, n. 71; MF, per Marx et Freud, in nn. 68 e 75; MO, per Il marxismo oggi, n. 76; A-p, per Avant-propos al libro di Duménil, n. 78.
2 La cilena Marta Harnecker, che ha studiato con Althusser, nel suo fortunato libro Los conceptos elementales del materialismo histórico, Mexico, Siglo xxi, 1979°°, a p. 152, definisce in questo modo la « congiuntura politica »: « La congiuntura politica è il `momento attuale' della lotta delle classi in una formazione sociale o sistema di formazioni sociali ». Althusser non concettualizza direttamente la nozione di « congiuntura », che pure ricorre abbastanza frequentemente nei suoi scritti. Egli individua questa nozione mediante una riflessione sulla « pratica politica marxista », in particolare su quella di Lenin (dr. PM, pp. 154-160), ed oltre all'espressione di « congiuntura » e di « congiuntura politica », usa anche quella di « congiuntura teorica e ideologica ». La « congiuntura » sembra quindi designare l'unità (strutturata) delle contraddizioni di diversi livelli della formazione sociale nel « momento attuale » (cfr. To my english readers, prefazione a For Marx, London, New Left Books, 1971).
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ser, con la denuncia del « culto della personalità » e delle « violazioni » della « legalità socialista » compiute dal xx Congresso del Pcus (1956), nonché con la scissione del movimento comunista internazionale degli anni immediatamente seguenti.
Per Althusser ciò che caratterizza questa congiuntura è, per un verso, la lotta tuttora in corso tra una « critica di destra » (prevalente) ed una « critica di sinistra » dello stalinismo, e, per l'altro, l'effettiva sopravvivenza nel movimento operaio dello stalinismo a causa dell'assenza di una vera spiegazione, di una spiegazione marxista, di esso. Il problema teorico e politico dello stalinismo, e quindi della crisi che la sua denuncia ha determinato nel comunismo internazionale, è in altre parole ciò che domina la « congiuntura teorica e ideologica » del movimento comunista in cui Althusser interviene con i suoi scritti filosofici. Questi « interventi filosofici » hanno avuto essenzialmente il carattere, durante gli anni Sessanta, di una « difesa » della « specificità » e della « novità » del marxismo nei confronti dell'assalto delle varie forme dell'« ideologia borghese » sviluppatosi nel quadro delle « critiche di destra » dello stalinismo. Una difesa, come vedremo, che ha comportato un « ritorno alle fonti », ai classici, e che Althusser ha portato avanti, spesso da solo, non in nome dell'ortodossia (come da piú parti si è creduto di poter affermare), ma in nome di una « comprensione » e di una « intelligenza » di Marx da conquistare mediante la scoperta e lo sviluppo della « filosofia marxista ».
La Prefazione (1965) agli scritti raccolti nel Per Marx si apre con queste considerazioni: « Pur avendo tutti preso spunto da occasioni particolari, questi testi sono tuttavia il prodotto di una medesima epoca e di una medesima storia. Sono, a modo loro, i testimoni di una singolare esperienza, che tutti i filosofi della mia epoca che hanno tentato di pensare dentro Marx hanno vissuta: la ricerca del pensiero filosofico di Marx, indispensabile per uscire dal vicolo cieco teorico in cui la storia ci aveva cacciati » (PM, p. 5).
Il periodo in cui la ricerca di Althusser si svolge presenta tuttavia un avvenimento, il « Maggio '68 » (« il piú grande avvenimento della storia occidentale, dopo la Resistenza e la vittoria sul nazismo, Lettere, p. 361), che coincide con una fase di iniziativa della lotta delle masse e che determina una svolta nel carattere difensivo prevalente del periodo post-staliniano del movimento comunista. Questo « avvenimento », naturalmente, non cancella affatto il problema dello stalinismo, anzi lo rende ancora più complesso, urgente, e contribuisce inoltre a far esplodere quella che recentemente Althusser ha definito la « crisi generale del marxismo ». Negli anni successivi al 1968 egli individua infatti una doppia crisi. Quella del movimento comunista, che appare in grave difficoltà e ritardo di fronte alla duplice esigenza di fare i conti in maniera scientifica con la propria storia e di
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trovare una risposta strategica ai problemi posti dalla nuova iniziativa di massa, la quale ha gettato nella lotta di classe nuovi strati sociali e determinato nuove forme di lotta (« il marxismo nella sua essenza, dal punto di vista teorico, è rimasto fermo a Marx, o anche a prima di lui », Mio, p. 119). E quella delle classi dominanti e dell'imperialismo sotto la spinta, appunto, di tali lotte e di quelle di liberazione nazionale.
Da una preoccupazione prevalente di difesa successiva agli avvenimenti del 1956 (che comprendono anche i fatti di Ungheria), dopo il 1968 il movimento comunista occidentale è caduto in una sorta di impasse per non aver trovato sbocchi politici ed indicazioni strategiche adeguate ai nuovi livelli della mobilitazione delle masse (« Ora e piú che mai le masse sono in movimento, anche se nelle peggiori condizioni », Mio, p. 126). I limiti teorici e politici emersi nell'analisi del passato (stalinismo), non sono qualcosa di diverso dai ritardi e dalle incomprensioni nell'analisi del presente. Ma per Althusser non ci si può fermare qui: occorre avere il coraggio di andare anche alla radice teorica di questi ritardi e di queste difficoltà. La definizione a cui egli attualmente lavora di un'idea marxista di « crisi generale del marxismo » appare come il risultato di una riflessione teorica che per il rigore con cui negli anni Sessanta ha « fatto ritorno `alle fonti' » ha dovuto in seguito arrendersi all'evidenza che la tradizione teorica marxista « non è `pura' ». Che il marxismo, « contrariamente alla frettolosa definizione di Lenin », non è « `un blocco d'acciaio', ma comporta difficoltà, contraddizioni e lacune » che hanno un loro preciso ruolo nella crisi attuale (« Non possiamo infatti contentarci di risolvere tutto con la responsabilità di Stalin », Finalmente, p. 225).
Nel 1978 i punti di maggior debolezza del pensiero di Marx gli appaiono i seguenti: la sopravvivenza in esso dell'« idea di una filosofia della storia » che, come l'« unità fittizia » imposta al Capitale dall'esigenza di dover partire dall'« astrazione del valore », rileva un'insufficiente resa dei conti filosofica con l'hegelismo; le ben scarse indicazioni circa la natura e la funzione della « sovrastruttura » (« il diritto, lo Stato, le forme ideologiche »); l'assenza di una riflessione teorica sul problema dell'organizzazione (mo, pp. 113-120). L'idea di una crisi del marxismo permette infine una nuova consapevolezza storica: questa crisi non può essere considerata un mero fatto recente ed improvviso, essa appare piuttosto come qualcosa di cui lo stalinismo aveva « bloccato » l'esplosione mediante una sorta di suo congelamento dogmatico e difensivo (« Era, dunque, una crisi che veniva bloccata sotto l'abito dell'ortodossia da parte di un impressionante apparato politico e ideologico », Finalmente, p. 225). Quella di « crisi generale del marxismo » non è, quindi, soltanto una nozione filosofica o politica, è anche un concetto storiografico, almeno per quanto riguarda la storia del movimento
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operaio che essa permette di periodizzare. Nel senso che Althusser in fondo sostiene che è esistito un lungo e determinato periodo di tale storia, collocato tra gli anni Trenta ed il presente, il periodo della crisi misconosciuta del marxismo teorico e politico.
2. Quanto al modo di lavorare, Althusser procede per « critica-autocritica-rettifica », che gli appare come il miglior metodo per riconoscere e correggere gli errori commessi, sia in politica, sia nel lavoro teorico. Ebbene, a partire dagli Elementi di autocritica (pubblicati nel 1974, ma composti nel '72) e dalla Réponse à J. Lewis (1973), Althusser indica la presenza nella propria ricerca di una precisa « deviazione » (a cui aveva già accennato nell'Avvertenza all'edizione italiana di Lire le Capital, scritta nel dicembre 1967). Di questa « deviazione » egli compie una « rettifica » che segna una « svolta » nel suo itinerario teorico. Althusser dà anche un nome alla propria « deviazione » (il vantaggio di riconoscere i propri errori risiede anche nel poterli nominare), definendola « teoricista » e « razionalista », e indica i testi dove soprattutto ricercarla; il Per Marx e Leggere il Capitale (che comprendono entrambi scritti degli anni 1960-65). La ricerca di Althusser si presenta quindi nettamente periodizzata in almeno due fasi principali, il cui anno di separazione può essere agevolmente identificato nel 1970.
La « rettifica » consiste essenzialmente nell'assunzione da parte della problematica di Althusser di un nuovo tipo di rapporto tra politica e teoria, precisamente nella proposta della tesi del « primato della pratica sulla teoria », cioè del « primato della lotta di classe nell'economia e nella politica sulla lotta di classe nella teoria » (EA, p. 5). La lotta di classe nella teoria è la filosofia, precedentemente (Per Marx e Leggere il Capitale) definita come « teoria della pratica teorica ». Qui mi interessa soprattutto notare come, sia la congiuntura politica in cui Althusser « interviene », sia la sua stessa ricerca filosofica presentano una svolta: la prima nel '68, la seconda nel '70. E la cronologia di queste due svolte è tale da porre immediatamente il problema del primato della politica sulla svolta teorica di Althusser (la quale, d'altra parte, come vedremo, è indissolubilmente intrecciata all'interpretazione che Althusser compie di un'altra svolta, avvenuta piú di cento anni prima, quella che nel 1845 è compiuta dal giovane Marx).
Di questo primato occorrerebbe ricostruire le specifiche forme di presenza nelle grandi questioni teoriche e politiche sollevate in questi ultimi anni dal filosofo francese (a cominciare dalla nuova definizione della filosofia), di esso tuttavia già conosciamo la forma generale: la dichiarazione della « crisi generale del marxismo ». Questa infatti si presenta come l'istanza complessiva e finale che oggi la filosofia di Althusser pone al marxismo teorico e politico, nel secondo periodo della sua ricerca che si svolge nella fase
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di iniziativa e di stallo del movimento operaio e comunista. Ed anche se questo approdo della filosofia di Althusser possiede tempi intrinseci, ed in particolare presenta una fase di transizione che inizia nel 1966 (Cours de philosophie pour scientifiques) ed ha uno dei suoi punti piú alti in Lenin e la filosofia (1968, febbraio), mi sembra evidente che la « logica esterna » di tale sbocco non sia ricostruibile prescindendo dal « Maggio '68 ».
Ma la vera difficoltà che presenta lo sviluppo della filosofia di Althusser, ed in particolare la sua « autocritica », non riguarda tanto la ricerca del nesso che intercorre tra la fase politica successiva al 1968 e la enunciazione della « crisi generale del marxismo », bensí la individuazione del nesso (cioè del « primato » di quale politica) che intercorre tra la fase aperta dal 1956 e la « deviazione teoricista » di tale filosofia. In altre parole, esiste una radice politica di questa « deviazione » filosofica? perché questa « deviazione » nel periodo di difesa del marxismo e di « ritorno alle fonti » (anni Sessanta)? anche a quali errori o deviazioni di tipo politico si può far risalire l'idealismo filosofico di cui Althusser si autocritica? Il filosofo francese non dice niente in proposito, egli si sofferma solo sulle radici teoriche del proprio « teoricismo » e « razionalismo » (Spinoza, Bachelard, una certa influenza dello strutturalismo, ecc.), come se il « primato » della politica si esercitasse solo dal momento in cui viene riconosciuto e in un solo senso, quello positivo.
Queste stesse questioni, legate comunque ad uno sforzo di periodizza-zione e di interpretazione storica della ricerca althusseriana, possono essere ritrovate anche a partire dall'« autocritica », purché si assuma il ragionamento di Althusser con tutto il rigore e la serietà che merita. L'« autocritica » in verità ci pone di fronte ad un fatto abbastanza sconcertante. Infatti Althusser, dopo essersi criticato per aver sostenuto negli anni Sessanta posizioni idealistiche (« Teoricismo vuol dire qui: primato della teoria sulla pratica, insistenza unilaterale sulla teoria; ma piú precisamente: razionalismo speculativo », EA, p. 22, nota 20), difende senza alcuna esitazione gli effetti politici ed ideologici ottenuti da questa filosofia « speculativa »: « Ma, e questo è certamente piú importante, alcune tesi che noi attaccavamo hanno dovuto fare marcia indietro: cioè le tesi umaniste, storiciste, ecc. » (EA, p. 40). Ora la difficoltà è tutta qui perché Althusser, dopo aver rivendicato il primato della pratica sulla teoria (in Elementi di autocritica questo primato è rivendicato anche quando si definisce « principale » la giusta tendenza politica dei primi saggi, rivolti contro le « pseudospiegazioni » del xx Congresso e contro gli assalti dell'ideologia borghese, e « secondaria » la loro « deviazione » filosofica), e dopo aver riconosciuto che nei saggi degli anni '60-'65 egli ha sostenuto una filosofia razionalista e speculativa, conclude difendendo gli effetti politici ed ideologici determinati dall'inter-
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vento di questa filosofia nella congiuntura, quindi ristabilendo un nuovo tipo di separazione tra filosofia e politica.
Si tratta di un tipo di separazione particolare, la quale si esprime in un'assenza, e che riguarda il « secondario », cioè la « deviazione ». Nel senso che tale separazione non impedisce di veder il nesso che intercorre tra la congiuntura e la tendenza « principale » e giusta della riflessione degli anni '60-'65, impedisce di vedere solo quello che intercorre tra la stessa congiuntura e la « deviazione ». E questa separazione che permane tra filosofia e politica sul piano della « deviazione », cioè del « secondario », non solo impedisce di pensare la possibilità di un primato non giusto della politica sulla teoria (su cui invece Althusser si era molto acutamente soffermato nella Introduzione al Per Marx), ma finisce per caratterizzare teoreticamente la filosofia dei primi saggi soltanto per i suoi aspetti negativi: un « secondario » quindi che diviene esaustivo. Ovvero un'« autocritica », per un verso (sul lato del politico) incompleta (assenza della ricerca del rapporto tra idealismo filosofico e pratica politica degli anni Sessanta), e per l'altro (sul lato del filosofico) forse anche eccessiva. Vedremo in seguito come è forse possibile colmare questa incompletezza, questa assenza.
3. Uno dei grandi temi presenti in tutto l'arco della ricerca di Althusser è rappresentato dalla questione del « giovane Marx ». Cioè da quel complesso di problemi di ordine storiografico e teorico, ma anche politico e ideologico, legato all'interpretazione, sia del significato che rivestono gli scritti giovanili di Marx (Ideologia tedesca compresa) all'interno dell'evoluzione del pensiero marxiano, sia dello statuto teorico di tali scritti e di alcuni concetti chiave in essi contenuti (lavoro alienato, il comunismo come umanismo, l'uomo totale, ecc.). $ un fatto che il dibattito su questi problemi (presenti nel marxismo occidentale con crescente fortuna sin dal periodo compreso tra le due guerre) rappresenta uno dei momenti centrali del confronto e della riflessione sul marxismo portati avanti dagli intellettuali marxisti e comunisti, oltreché da quelli (cattolici in prima fila) di altra formazione culturale, nella congiuntura in cui opera Althusser. E questo sia nei paesi occidentali, sia in quelli socialisti. Anzi si può dire che tale dibattito è uno degli elementi che concorrono a determinare i caratteri teorici e politici di questa congiuntura, o almeno, considerando che la questione del « giovane Marx » negli ultimi anni si è di molto affievolita, della prima fase di essa. Ebbene, la posizione di Althusser in questa fase, e piú in generale nella congiuntura, può essere compresa proprio a partire dal tipo di connessione che egli stabilisce tra il xx Congresso e lo sviluppo dell'interesse attorno agli scritti giovanili di Marx. La connessione è la seguente: la critica del « culto della personalità » e delle « violazioni della legalità socia-
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lista » da un lato, e, dall'altro, le varie interpretazioni umanistiche del pensiero di Marx elaborate a partire dai suoi scritti giovanili, sono espressione di una medesima ideologia. Dell'« ideologia giuridica e filosofia borghese », la cui struttura è caratterizzata dall'« opposizione della Persona (Libertà = Volontà = Diritto) e della Cosa » (EA, p. 16). Il xx Congresso, in altre parole, avrebbe favorito, con le proprie « pseudo-spiegazioni » interamente sovrastrutturali della deviazione staliniana, la diffusione nel movimento operaio delle interpretazioni ideologiche e filosofiche umanistiche del marxismo (umanesimo marxista, filosofia marxista dell'uomo, umanesimo socialista, umanesimo reale, ecc.). « Dopo il xx Congresso, un'ondata apertamente di destra si diffuse... Si strappò nuovamente ai socialdemocratici e ai preti... lo sfruttamento delle opere giovanili di Marx, per ricavarne una ideologia dell'Uomo, della Libertà, dell'Alienazione, della Trascendenza, ecc.... L'ortodossia, come dice J. Lewis, ne fu quasi sommersa: non il `pensiero' di Stalin, che continuò, e continua da parecchio tempo, ad andare avanti indisturbato, nelle sue basi, nella sua `linea' e in alcune delle sue pratiche — ma proprio la teoria di Marx e di Lenin » (RJL, p. 103).
Che Althusser possa stabilire questo tipo di connessione tra due aspetti essenziali della congiuntura politica (il xx Congresso e la questione del « giovane Marx »), connessione in cui tra l'altro già opera evidentemente l'idea di un primato della pratica sulla teoria, si spiega con due elementi, uno politico ed uno teorico. Quello politico, su cui non ci soffermeremo, riguarda il tipo di critica che Althusser compie dello stalinismo: perché se per un verso egli non esita a denunciare l'« ammorbante e implacabile sistema di governo e di pensiero » di Stalin, per l'altro non intende ridurre né Stalin né la III Internazionale alla « deviazione staliniana », ed ammette l'esistenza di « meriti » storici di Stalin. Una posizione, in altre parole, che non intende fare, come invece fanno certi umanisti marxisti, tabula rasa di una complessa esperienza del movimento operaio, e che per molti versi si può ricondurre a certe posizioni del Pcc. Quello teorico è rappresentato dalla tesi dell'« antiumanesimo teorico di Marx », del rifiuto, cioè, di Marx della « pretesa teorica » della concezione umanistica (radicata nella tradizione della « grande filosofia classica ») di spiegare la storia e la politica a partire da un'« Essenza dell'Uomo ». Marx non parte dall'uomo e dal Soggetto (soggetto razionale, economico, morale, giuridico e politico), bensí dal modo di produzione, dalle forze produttive, dai rapporti di produzione, dalla lotta di classe, dalla sovrastruttura, ecc. Per Althusser, comunque, il carattere antiumanista della teoria marxista non esclude affatto l'assunzione da parte del movimento operaio di una ideologia umanistica (e con altri caratteri): l'ideologia è un fenomeno permanente della società (anche di quella comunista) con precise funzioni pratiche e l'atteggiamento nei suoi
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confronti va stabilito volta per volta con criteri strettamente politici (si può fare « Una (eventuale) politica marxista dell'ideologia umanista », PM, p. 206). Ciò che lo studioso francese combatte è dunque soltanto la riduzione del marxismo ad una ideologia umanistica, sia perché il marxismo non è un'ideologia (è una filosofia e una scienza della storia), sia perché tale riduzione farebbe cadere il marxismo sotto l'influenza dell'ideologia dominante, essendo l'umanesimo una componente essenziale dell'offensiva ideologica della borghesia volta a mettere da parte la lotta di classe in nome dell'Uomo. Ebbene questo gruppo di tesi che qui abbiamo assai schematicamente ricordato, e che si presentano sostanzialmente identiche in tutta la prima fase della ricerca di Althusser, sono elaborate dal filosofo francese proprio a partire dai suoi interventi sul giovane Marx. I quali, quindi, si presentano, da un lato, come rivolti contro le pseudo-spiegazioni del xx Congresso ed i fondamenti ideologici della « critica di destra » dello stalinismo, e, dall'altro, come una « difesa » della « specificità » e della « radicale diversità » del marxismo nei confronti delle forme essenziali della ideologia e della filosofia borghese, nonché, a partire dal 1970, anche nei confronti della scienza (tesi della specificità del marxismo come scienza rivoluzionaria). Tali interventi, oltre ad aprire una riflessione sulla ideologia in generale, ed in particolare sulla struttura di quella borghese sorretta dalla « filosofia classica » su cui dovremo ritornare, approdano a due ordini di risultati specifici, di carattere storiografico e teorico, di grande importanza: 1) la periodizzazione dell'evoluzione del giovane Marx e la spiegazione del significato teorico della fondamentale tappa di questa evoluzione rappresentata dagli scritti del 1845 (Tesi su Feuerbach e Ideologia tedesca) mediante la categoria filosofica di « rottura epistemologica »; 2) la definizione della deviazione staliniana come « recrudescenza » e « vendetta postuma » della tendenza fondamentale della ii Internazionale, l'economicismo, affermatasi nuovamente nel movimento operaio a partire dagli anni Trenta sotto la « copertura obbligata » dell'umanesimo. Lo stalinismo cioè come espressione nel movimento operaio della « coppia economicismo/umanesimo » che caratterizza nella sua intima essenza l'ideologia borghese dominante.
A questo punto si possono fare due osservazioni. La prima per sottolineare che nella interpretazione del giovane Marx compiuta da Althusser si riflettono la svolta della congiuntura politica e la svolta della stessa ricerca dello studioso francese. In altre parole che si hanno due interpretazioni della storia di Marx e della « rottura epistemologica », le quali contribuiscono, a loro volta ed in modo profondo, a caratterizzare i due periodi principali in cui è divisa dall'« autocritica » la ricerca althusseriana: all'inizio di ognuno di questi due periodi si trovano infatti due interpretazioni diverse della storia di Marx (e di Engels). La seconda per segnalare che la definizione della
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deviazione staliniana come economicismo coperto dall'umanismo è conquistata da Althusser solamente nel secondo periodo della propria ricerca, precisamente nel 1972 (Réponse à J. Lewis). Mi soffermerò soltanto sulla prima questione. Althusser mantiene ferme nei due periodi della propria ricerca, sia la periodizzazione dell'itinerario politico teorico del giovane Marx (momento liberale e razionalistico hegeliano fino al 1842; momento umanistico comunitario di stampo feuerbachiano fino al 1845; passaggio al comunismo ed al materialismo rivoluzionario a partire dal 1845). Sia il concetto di
« rottura epistemologica », per designare un fatto interno a tale itinerario (la discontinuità teorica tra la scienza marxista della storia e la sua preistoria hegeliana e, soprattutto, feuerbachiana) ed insieme per sottolineare tutta la « specificità » e « novità » della fondazione del materialismo storico (Marx apre il « continente-Storia », precedentemente occupato dalle ideologie e dalla filosofia della storia, alla scienza: un evento teorico e politico
« irreversibile » e « senza precedenti nella storia umana »). Sia infine la tesi dell'antiumanesimo teorico di Marx. Tuttavia egli dà due interpretazioni della « rottura epistemologica » e quindi della storia e della periodizzazione di Marx. Nel primo periodo (non solo negli scritti compresi nel Per Marx: 1960-65, ma anche in Lenin e la filosofia: 1968) Althusser non vede le
« condizioni sociali, politiche, ideologiche e filosofiche » della « rottura epistemologica » e riduce questo evento ad un solo fatto interno al pensiero di Marx. Ne « constata » l'esistenza e da questa parte per definire l'ideologia come il regno dell'« errore », della preistoria del materialismo storico, e per concepire la nuova filosofia (il materialismo dialettico) come la conseguenza della fondazione di tale nuova pratica scientifica. Già Bachelard aveva scritto che la « scienza crea una filosofia » (La formation de l'esprit scientifique), e da Bachelard Althusser non trae soltanto l'idea di « rottura epistemologica ».
Il limite speculativo del primo periodo si manifesta quindi, sia nella interpretazione teoricista della « rottura epistemologica » (« Ecco ciò che mancava d'essenziale ai miei primi saggi: la lotta di classe e i suoi effetti nella teoria », EA, p. 41), sia nella contrapposizione razionalista, « in generale », tra la scienza (« la verità ») e la ideologia (« l'errore »), sia, infine nell'appiattimento della filosofia marxista sulla scienza (la filosofia come « Teoria della pratica teorica ») e della scienza marxista (che è invece « rivoluzionaria ») sulla scienza in generale. Nel secondo periodo (cioè a partire dallo scritto Sull'evoluzione del giovane Marx, del 1970, e soprattutto nella Réponse à J. Lewis ed in Elementi d'autocritica, entrambi del 1972), Althusser si pone il problema delle « condizioni » della « rottura epistemologica », individuandole essenzialmente nel « cambiamento di posizione teorica di classe dell"individuo' storico Marx-Engels » (EA, p. 42). In questi
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scritti la « rottura epistemologica » è quindi preceduta e « comandata » dal passaggio di Marx (e di Engels) a posizioni politiche e ideologiche di classe proletarie e dal connesso mutamento filosofico rappresentato dal distacco nei confronti dell'antropologia filosofica di Feuerbach. Questo passaggio determina una rottura (rupture) ideologica nei confronti dell'ideologia e della filosofia borghese ed una richiesta, da parte di questa « rivoluzione filosofica », della « `rottura' (coupure e, in italiano, tra virgolette) epistemologica », dopo la quale soltanto è possibile il non ritorno alla filosofia della storia. « Dicendo: `la rottura epistemologica' è la prima, ed essa è nello stesso tempo `rottura' filosofica, commettevo dunque due errori. Perché, nel caso di Marx, la prima è la rivoluzione filosofica — e questa non è una 'rottura' » (RJL, p. 78). Non è piú la scienza a creare la filosofia, ma è questa, in posizione « centrale », e sotto la spinta della scelta ideologica e politica, a permettere la rivoluzione scientifica imponendo un nuovo « oggetto » alla riflessione (non piú l'uomo, il soggetto, ecc., ma le forze produttive, i rapporti sociali di produzione, ecc.): « è la posizione politica (di classe) a occupare il posto determinante, ma è la posizione filosofica che occupa il posto centrale, poiché è essa che assicura il rapporto teorico tra la posizione politica e l'oggetto della riflessione » (sEJM, p. 50). Ovvero la « filosofia come lotta di classe nella teoria », il « primato della pratica sulla teoria » scoperto e verificato nella storia del giovane Marx.
Occorrerebbe poter avere lo spazio per tentare di svolgere alcune osservazioni. Vorrei comunque cercare di tematizzarne almeno due, entrambe connesse all'introduzione ed all'uso che Althusser compie della coppia rupture/coupure che riassume per molti versi, mi sembra, le novità essenziali della svolta teorica rappresentata dall'« autocritica ». Innanzitutto occorrerebbe rilevare con precisione il significato teorico dell'introduzione di questa coppia di concetti: essa rompe definitivamente con l'epistemologia (speculativa, di stampo bachelardiano) come teoria delle differenze tra scienza e ideologia (in generale) ed al suo posto delinea lo spazio per una teoria materialista delle condizioni materiali, sociali, ideologiche e filosofiche della produzione delle conoscenze in grado di spiegare in modo non meccanicistico e sociologico (Althusser direbbe anche non « storicistico ») il « comando » del materiale sul teorico. In altre parole si potrebbe dire che si tratta del programma di un'epistemologia materialista. Si pone allora il problema del rapporto tra questa epistemologia ed il materialismo storico, da una parte, e la filosofia marxista, dall'altra. Ci sono, evidentemente, delle sovrapposizioni problematiche e delle distinzioni da porre con chiarezza.
Seconda osservazione. La coppia rupture/coupure, che intende spiegare l'influenza, il « comando », del « materiale » (ideologico e politico) sull'evoluzione del teorico (scientifico) mediante la funzione « centrale » della « ri-
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voluzione » filosofica, opera in particolari condizioni e in un modo particolare. Molto schematicamente, il funzionamento della coppia r./c. nel ragionamento di Althusser sembra implicare: 1) una (Althusser direbbe)
« topica », cioè una disposizione, una struttura spaziale dei livelli pratico (ideologico-politico), filosofico, scientifico in cui la filosofia occupa il posto
« centrale »: 2) una struttura temporale che stabilisce la successione delle
« rivoluzioni »: quelle nella teoria (la r. e la c.) avvengono sempre dopo la modificazione al livello del pratico, del « materiale » (la scelta di classe), e la c. avviene sempre dopo la r.; 3) una omogeneità « rivoluzionaria » (in senso politico, di classe) tra il passaggio di classe (proletaria) che costituisce l'iniziale modificazione pratica e la nuova scienza fondata (in questo caso il materialismo storico) che è « rivoluzionaria » (in senso di classe) e che costituisce il risultato teorico finale della successione temporale.
Ebbene, di per sé, la linearità temporale della struttura temporale del passaggio dal « materiale » al teorico e l'omogeneità di classe (proletaria) tra ideologia e scienza (entrambe « rivoluzionarie ») sembrano poter tendere, per un verso, a qualche forma di meccanicità causale, e, per l'altro, sembrano far risorgere dall'ombra del passato il motto « scienza borghese/ scienza proletaria », pur cosí efficacemente e ripetutamente criticate e derise dallo stesso Althusser che anche negli Elementi di autocritica lo definisce un'« impostura ». Contro queste tendenze opera la « topica », cioè la posizione della filosofia, opera la filosofia: in Althusser cambiano, e radicalmente, sia la posizione nella « topica », sia la concezione della filosofia, ma non muta mai la funzione antisociologista e antieconomicista, e quindi anche, come vedremo, antistoricista ed antiumanista, della filosofia. Ma è sufficiente definire questo tipo di « centralità » perché la filosofia sia messa realmente in grado di assolvere a questa funzione? Perché questa « centralità », che può apparire un privilegio ed una eccezionalità (la filosofia è partecipe sia del pratico sia del teorico, e dei loro rispettivi oggetti), di fatto è anche assenza e debolezza. La filosofia non ha un proprio oggetto, né una vera
e propria autonoma proposta: le Tesi su Feuerbach si limitano ad « annunciare » una nuova posizione filosofica che gli scritti successivi non elaboreranno. Essa è essenzialmente criticità. È attraverso la critica filosofica dell'ideologia e della filosofia dell'uomo e della storia borghese che secondo Althusser si rendono « visibili » alla riflessione scientifica di Marx (ed Engels) i « meccanismi di dominio e di sfruttamento borghesi » (il nuovo oggetto) precedentemente « ricoperti-mascherati-mistificati » (SEJM, p. 52). Le forme `forti' di questo oggetto (che la scienza borghese costituisce nell'Economia politica) per le posizioni di classe proletarie sono conquistabili su due piani, su quello pratico (ideologia e politica di classe) e su quello scientifico (la scienza « rivoluzionaria », il materialismo storico).
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Al livello filosofico non esiste una forma accettabile di tale oggetto: i Manoscritti economico-filosofici del '44 permettono proprio di constatare l'impossibilità della forma filosofica della riflessione su tale oggetto (critica althusseriana dei concetti di lavoro alienato, ecc.). La filosofia quindi non entra in merito all'oggetto, non apporta (rispetto alla politica ed alla scienza) alcun contributo diretto alla sua definizione, non esiste un livello filosofico dell'economia politica. Ma a questo punto la sola « centralità » critica è realmente in grado di far assolvere alla filosofia la sua funzione di con-trotendenza al meccanicismo, al sociologismo, all'operaismo? Questa « centralità » sembra funzionare soprattutto al fine di una determinazione diretta del teorico scientifico da parte del pratico materiale, solo al fine di mettere in rapporto diretto (sgombrato il campo dagli ostacoli ideologici, filosofici e scientifici borghesi) la politica (proletaria) e la riflessione scientifica sotto il comando di questa politica e del suo oggetto. Ma la filosofia non entra in merito alle forme di questo « comando », essa non sembra in grado di pensare una articolazione della linearità della successione, né di rendere piú complessa e non totale ed universale l'omogeneità ai contenuti di classe.
4. Il problema della filosofia marxista costituisce senza dubbio il tema centrale di tutta la ricerca di Althusser (EMP, p. 136), nonché della sua vita, perché in essa è racchiusa l'idea di un nuovo rapporto tra lavoro intellettuale e militanza politica, l'idea di un lavoro filosofico relativamente autonomo che è anche intervento politico, e quella di una militanza politica che non può esaurirsi nell'attivismo pratico. Il problema della filosofia di Marx è anche il problema di come essere comunisti in filosofia.
Althusser pone con chiarezza i termini generali del problema della filosofia marxista sin dallo scritto con cui si apre il Per Marx, « I `manifesti filosofici' di Feuerbach » (1960): Marx non ha mai esplicitamente formulato la sua « filosofia », che tuttavia è presente ed operante « dentro » i suoi scritti. Il problema è allora quello di scoprire e sviluppare la filosofia « celata » nella « pratica teorica » (e politica) di Marx applicando a Marx (« un circolo »), sviluppandoli, i non molti elementi espliciti che egli stesso fornisce (a cominciare da quelli contenuti nel suo scritto filosofico piú importante, l'Introduzione del '57 a Per la critica dell'economia politica). Lo scritto in cui Althusser ritiene che si debba piú che in ogni altro ricercare la filosofia di Marx è il Capitale, la sua opera scientifica piú importante. La filosofia marxista è infatti l'insieme dei concetti indispensabile a pensare 1'« immensa rivoluzione teorica » che le scoperte scientifiche di Marx hanno determinate nel « teorico esistente », rappresentato essenzialmente dalla filosofia hegeliana. Il fatto che Marx non abbia sufficientemente « pensato »
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il significato filosofico delle proprie scoperte scientifiche, questa sua lacuna, determina, come vedremo, non pochi problemi e difficoltà di ordine teorico.
Per Althusser comunque soltanto la ricerca e lo sviluppo della filosofia di Marx permettono di « rispondere alla domanda sul posto occupato dal Capitale nella storia del sapere » (Lc, p. 15), risposta indispensabile, questo l'obiettivo politico e teorico di fondo del filosofo francese, per una effettiva « intelligenza » dell'opera marxiana e della sua « radicale diversità »
e « specificità ». Piú tardi, nel 1975, Althusser ha ribadito la sostanza di queste posizioni che fin dall'inizio degli anni Sessanta gli erano apparse come le piú giuste per « uscire dal vicolo cieco teorico in cui la storia ci aveva cacciati »:
È questa novità, questa differenza radicale di Marx, rivoluzionaria nella teoria
e nella pratica, che ho voluto non soltanto far sentire, ma anche far percepire,
e se possibile far concepire, poiché consideravo politicamente e teoricamente vitale per il movimento operaio e i suoi alleati (e tuttora lo considero) che questa differenza fosse pensata. Per ottenerlo, non potevo fare altro che pormi al livello della nuova filosofia, prodotta da Marx nella sua rivoluzione scientifica... Ho ancora questa convinzione. La formulerei in altro modo da Per Marx e Leggere « Il Capitale », ma ritengo di non essermi sbagliato nell'indicare nella sua filosofia il luogo da cui si può capire Marx, perché in essa si riassume la sua posizione (EMP, pp. 135-6).
Si è già visto come il giudizio che Althusser formula circa il carattere
e vitale » per il movimento operaio ed i suoi alleati della conquista di una chiara percezione e concezione della « differenza radicale di Marx » è riconducibile alla congiuntura politica e teorica apertasi col xx Congresso. Qui vorrei tentare, molto brevemente, di avanzare una risposta al problema posto nel secondo paragrafo del presente scritto circa il nesso che può intercorrere tra la « deviazione teoricista » della filosofia della prima fase della ricerca di Althusser e la congiuntura, in cui è venuto a trovarsi il movimento comunista dopo le « pseudospiegazioni » del xx Congresso, dominata dal problema dello stalinismo e delle sue « sopravvivenze » teoriche
e politiche. A questo fine mi sembra indispensabile rifarsi alla forma filosofica in cui il dogmatismo staliniano si è costituito ed è stato assimilato nell'esperienza storica del movimento comunista internazionale, cioè al « materialismo dialettico »: il programma filosofico e politico in cui la visione unitaria e totalizzante del marxismo del periodo stalinista trova la sua espressione ed i propri titoli teorici piú elevati ed efficaci. Ebbene mi pare che i limiti di speculativismo che Althusser individua nella propria ricerca debbano anche essere fatti risalire proprio ad un suo iniziale insufficiente distacco da questo « materialismo dialettico », una delle « sopravvivenze » piú tenaci e diffuse dello stalinismo. Piú precisamente, proprio al tentativo
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che Althusser compie, al fine di rinnovarlo, di iscrivere la propria ricerca della filosofia di Marx all'interno del programma del « materialismo dialettico ». Di questo programma egli non mantiene soltanto la distinzione tra filosofia marxista e scienza della storia marxista, ciò che gli facilita, tra l'altro, la ricerca della filosofia di Marx. Ne mantiene inizialmente, pur rinnovandoli profondamente, alcuni obiettivi di fondo che influenzano in senso speculativo la sua ricerca, ed i quali rispondono tutti alla medesima esigenza, profondamente radicata nel movimento comunista, di possedere una teoria in grado di abbracciare tutte le cose ed il loro movimento sul modello della presunta unità filosofica (dialettica) del pensiero di Marx.
Il razionalismo speculativo di Althusser (che possiede anche delle venature metodologistiche), in quanto deviazione filosofica, pone proprio questo tipo di istanza alla filosofia marxista, quella di costituire i quadri generali di una razionalità in grado di unificare e sintetizzare tutto lo scibile possibile a partire dalla teoria delle leggi in generale del movimento delle cose.
Chiameremo Teoria (con la maiuscola) la teoria generale, ossia la Teoria della pratica in generale... Questa Teoria è la dialettica materialistica che è una cosa sola con il materialismo dialettico... la Teoria generale stessa (la dialettica) in cui viene espressa teoricamente l'essenza della pratica teorica in generale, e attraverso questa l'essenza delle trasformazioni, del `divenire' delle cose in generale... Ma la Teoria è essenziale anche alla trasformazione di quelle discipline in cui non esiste ancora una vera pratica teorica marxista... [le quali discipline] hanno bisogno della Teoria, ossia della dialettica materialistica, come del solo metodo che possa anticipare la loro pratica teorica delineandone le condizioni formali (PM, pp. 146-8).
Anche se il divenire di cui si interessa Althusser è sempre connesso ad una pratica (sociale o intellettuale), è una trasformazione (che possiede una propria dialettica) prodotta da una pratica, egli eredita ugualmente, a suo modo, l'enorme ed irraggiungibile obiettivo politico e teorico del marxismo della III Internazionale, consistente nella ricerca razionale delle leggi del divenire in generale. Nel « materialismo dialettico » le leggi della dialettica erano l'ontologia ed il metodo di tutti i processi (hegelianamente. il metodo era lo schema ontologico della realtà), le quali permettevano di inserire i processi politici in una visione universale ed unitaria di tutti i processi sociali, naturali ed umani: una sorta di fondazione metafisica della politica con le note ed inevitabili conseguenze di dogmatismo e di concezione non partecipata della direzione politica di stato e di partito. È chiaro che in Althusser scompaiono tutti gli elementi ontologici, non però la sostanza degli obiettivi metodologici. Althusser non concepisce la « Teoria » del « `divenire' delle cose in generale » né come riflesso di un divenire oggettivo (suo antistoricismo), né come il risultato di una astrazione da un divenire
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fattuale (suo antiempirismo). Egli cerca piuttosto di fondare questa Teoria su di uno schema della pratica in generale che altro non è se non la generalizzazione dello schema marxiano del processo lavorativo contenuto nel cap. v del i Libro del Capitale. « Per pratica intenderemo generalmente ogni processo di trasformazione di una determinata materia prima data in un determinato prodotto, trasformazione effettuata da un determinato lavoro umano facendo uso di determinati mezzi (di `produzione') » (PM, p. 145).
Permane tuttavia in Althusser l'idea enorme che una pratica teorica e politica, il marxismo, possa contenere in sé il metodo, l'essenza ed il segreto, di tutte le pratiche sociali ed intellettuali, e che la « Teoria » che definisce questo metodo (il materialismo dialettico, la filosofia di Marx) possa essere conquistata a partire dalla pratica teorica (scientifica) piú alta di Marx, il Capitale. Una controprova a queste osservazioni si può rintracciare, mi sembra, nelle seguenti affermazioni contenute nell'Avant-propos scritta da Althusser nel 1977 all'opera di G. Duménil, Le concept de loi économique dans `Le Capital', cinque anni, cioè, dopo l'« autocritica »: « La teoria marxista non è di diritto universale, né arbitrariamente estendibile ad ogni fenomeno che appartiene al campo dei `fatti' sociali ed umani... Ecco ciò che forse scoraggerà i metafisici marxisti dall'impegnarsi nell'avventura d'estendere d'autorità la teoria marxista a degli oggetti che essa esclude dal suo campo, o sulla cui sorte mantiene il silenzio » (A-p, p. 20).
5. Althusser inizia la propria riflessione sulla filosofia di Marx a partire da determinati « vuoti » e « punti di fragilità teorica » del ragionamento marxiano, e perviene, nella seconda metà degli anni Sessanta, all'esplicita affermazione che l'attuale « crisi generale del marxismo » va spiegata anche con le « difficoltà, contraddizioni e lacune » del pensiero di Marx. In generale i risultati piú significativi della ricerca althusseriana sono sempre connessi all'individuazione di alcuni punti precisi di difficoltà e di insufficiente od assente elaborazione teorica rintracciabili in Marx e nel marxismo. Tuttavia dietro questa continuità di atteggiamento vi sono idee e posizioni teoriche assai divergenti. Nel primo periodo della sua ricerca Althusser individua le « manchevolezze », le « lacune » e le « omissioni » di Marx (« lettura sintomale ») in base alla persuasione dell'unità scientifica profonda dell'opera marxiana, del Capitale prima di tutto. Tali « manchevolezze » riguardano, si può dire esclusivamente, il rigore e la consapevolezza filosofica (epistemologica) del ragionamento di Marx, concernono il « Teorico » (il filosofico), non lo scientifico vero e proprio.
Certamente, come per il concetto di « causalità strutturale » (che considereremo piú sotto), le debolezze filosofiche di Marx si ripercuotono anche nei risultati scientifici. Per questo Althusser può parlare di uno sviluppo
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del marxismo a partire dalla « lettura » delle sue difficoltà filosofiche e dal conseguente e necessario sviluppo della sua filosofia. Comunque in questi anni è proprio la persuasione dell'esistenza di un certo tipo di sistematicità del discorso scientifico del Capitale, della validità dell'unità che il « metodo di esposizione » di Marx ha saputo imporre alla sua materia di indagine, ciò che permette ad Althusser di identificare i « vuoti » epistemologici. Del resto, egli nota, questo tipo di ritardo filosofico è inevitabile: la fondazione di una nuova scienza introduce una « nuova forma di razionalità », una
« rivoluzione nel Teorico esistente », che solo successivamente la filosofia è in grado di definire compiutamente. E ciò appare tanto piú valido per Marx, in cui devono assommarsi lo sforzo di consapevolezza epistemologica
« quello di fondazione del materialismo storico.
Nel secondo periodo, che culmina nell'enunciazione della « crisi generale del marxismo », è la stessa unità scientifica dell'opera di Marx ad essere messa in discussione da Althusser, a cominciare da alcuni aspetti essenziali del Capitale: « ...l'unità del Denkprozess del Capitale, l'unità del suo ordine di esposizione, non è come si presenta — ma segnatamente ineguale e disparata » (A-p, p. 22). Oppure, ancora piú esplicitamente: « nel Capitale... l'unità teorica imposta dall'ordine di esposizione è in gran parte fittizia » (Finalmente, p. 226). Ora quindi Althusser parla apertamente di
« contraddizioni » e di « difficoltà » che concernono direttamente il ragionamento scientifico di Marx nel suo complesso (e non solo in alcuni punti: es. la « causalità strutturale ») e non si limita piú a rilevare « lacune » e
« manchevolezze » filosofiche i cui effetti rimarrebbero comunque estrinsechi alla forma del ragionamento scientifico di Marx. Questo tipo di rilievi filosofici ha perciò un significato assai diverso da quello sostenuto negli anni Sessanta e permette attualmente ad Althusser di fondare teoricamente la
« crisi generale del marxismo » sulla sua « crisi teorica ».
Ma vediamo, anche se molto schematicamente, i principali risultati a cui Althusser perviene a partire dalle « difficoltà » e dai « punti di fragilità teorica » del ragionamento di Marx. Come Althusser indica in E facile essere marxisti in filosofia? questi risultati possono essere raggruppati attorno a due grandi temi: quello della « determinazione in ultima istanza » (della sovrastruttura da parte dell'economia) e quello del « processo di conoscenza ». La prima questione, che Althusser affronta in relazione al problema del rapporto tra Marx ed Hegel, è trattata in particolare nei saggi Contraddizione e surdeterminazione (1962) e Sulla dialettica materialistica (1963), entrambi compresi nel Per Marx, oltreché nella seconda parte del saggio L'oggetto del « Capitale » (1965), compreso in Leggere « Il Capitale ».
Il ragionamento di Althusser, in Per Marx, inizia con la constatazione dell'« equivocità » della « formula del `rovesciamento' » contenuta nel Po-
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scritto alla seconda edizione del primo libro del Capitale (« La dialettica, in Hegel, è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale dentro il guscio mistico »): questa formula ad Althusser appare solo « indicativa, anzi metaforica » e tale da porre « piú problemi di quanti ne risolva ». E con la costatazione che in Marx la concezione dei « rapporti specifici tra struttura e sovrastruttura meritino ancora di essere teoricamente elaborati e indagati ». L'obiettivo è duplice: dimostrare la totale diversità e specificità della dialettica marxista rispetto a quella hegeliana, e combattere le interpretazioni economicistiche (evoluzioniste e meccaniciste) della tesi materialistico-storica della determinazione in ultima istanza dell'economia (cioè della contraddizione tra forze produttive e rapporti sociali di produzione) del corso della storia. A questo scopo egli elabora, a partire dalla pratica teorica e politica marxista, due nozioni, quella di « surdeter-minazione », cioè di « contraddizione surdeterminata » (PM, p. 82), e quella di « tutto complesso strutturato a dominante » (PM, p. 178). Le quali sono proposte in sostituzione dei concetti hegeliani di « contraddizione » e di « totalità ». La contraddizione hegeliana infatti non ammette alcuna reale surdeterminazione, non ammettendo mai una vera determinazione ad essa esterna. Essa cioè è « semplice », presentandosi sempre come « fenomeno » di un'unica semplicità intrinseca (essenza, principio, ecc.). A sua volta la totalità hegeliana, essendo lo « sviluppo alienato di un'unità semplice », non ammette che differenze e contraddizioni apparenti e quindi, né una contraddizione dominante, né una struttura a dominante: la sua « unità è di tipo `spirituale' », non strutturale. Insomma Marx non ha in alcun modo « conservato, neppure `capovolti' », né il concetto hegeliano di contraddizione, né quello di società.
Piú complessi i termini della polemica antieconomicistica. Si tratta di risolvere in maniera diversa dall'economicismo una reale difficoltà teorica del pensiero di Marx, il quale, se da un lato sostiene ciò che Engels definisce la « determinazione in ultima istanza dell'economia » (« Con il cambiamento della base economica si sconvolge piú o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura », Marx, Prefazione a Per la critica dell'economia politica), dall'altro afferma che la « lotta di classe è il motore della storia ». A questo proposito Althusser introduce una distinzione (compiuta anche in base al concetto di « legge primaria della disuguaglianza » tratto dallo scritto di Mao, Sulla contraddizione) tra « contraddizione dominante » (l'« invariante » strutturale del tutto complesso che presenta sempre una tale contraddizione) e « determinazione in ultima istanza ». Questo proprio in senso opposto all'economicismo che invece stabilisce « in anticipo e per sempre » che il « ruolo » della contraddizione dominante è svolto dalla contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione.
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Tuttavia Althusser non si limita a compiere questa distinzione e ad utilizzare la « grande legge » del disuguale sviluppo delle contraddizioni (« spostamento », « condensazione » ed « esplosione »), la surdeterminazione ed il richiamo leninista all'analisi concreta della situazione concreta, ecc. per scardinare l'ideologia economicista. Egli di fatto non prende mai in considerazione la dominazione della determinazione in ultima istanza da parte dell'economia. Se ho ben capito, per Althusser la determinazione in ultima istanza della contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione si attua sempre attraverso il dominio di altre contraddizioni, di quelle che si determinano al livello del politico (o del teorico). « Come giustificare la necessità di passare attraverso il livello distinto e specifico della lotta politica se essa non fosse, benché distinta, e in quanto distinta, non il semplice fenomeno, ma il punto reale di condensazione, il punto nodale strategico, in cui il tutto complesso (economia, politica e ideologia) si riflette? » (PM, p. 191). Indubbiamente in questo modo Althusser salva e consolida il carattere « motore » della contraddizione (politica).
Ma questo tipo di elaborazione come si colloca, che significato teorico possiede di fronte, ad esempio, al modo in cui Marx nella Prefazione a Per la critica dell'economia politica, cerca di definire il carattere determinante dell'economia? Althusser, lo si è visto, cerca di risolvere questa grossa difficoltà teorica del pensiero di Marx e del marxismo attraverso la distinzione antieconomicistica tra contraddizione dominante e contraddizione determinata (in ultima istanza), e la successiva identificazione del carattere dominante con quello motore, e la sua localizzazione di fatto, se ho ben capito, nella sovrastruttura. In questo modo però si finisce per contrapporre all'economicismo una teoria dell'efficacia e dell'autonomia relativa della sovrastruttura in cui l'elemento relativo è sempre dalla parte dell'economia e quello dell'autonomia e della dominanza sempre dalla parte della politica e della teoria. Tutto ciò, poi, è rafforzato dalla polemica antistoricista che insiste enormemente sul carattere autonomo della teoria e della scienza (« teoricismo »). Come interpretare allora questo carattere assoluto del relativo, questo dominio assoluto dell'autonomia relativa della sovrastruttura al fine di salvaguardarne il carattere motore, assente in Marx? Lo si è detto, come una risposta ad una reale difficoltà teorica del marxismo, precisamente alla separazione presente in Marx tra carattere determinante e carattere motore della contraddizione, alla difficoltà (o impossibilità: non è forse non casualmente assente in Marx una teoria dello Stato?) in Marx di passare alla politica attraverso l'economia. È la consapevolezza di questa difficoltà ad essere presente ed operante dietro la distinzione antieconomicista che Althusser introduce, permettendo in questo modo di pensare, e non è poco, questa difficoltà (o impossibilità) di Marx.
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In Leggere « Il Capitale » Althusser riprende il tema della determinazione in ultima istanza rilevando l'assenza in Marx di un concetto preciso che permetta di pensare in maniera rigorosa la « causalità strutturale », cioè la determinazione da parte di una struttura dominante (il modo di produzione dominante in una data epoca) delle strutture subalterne (gli altri modi di produzione presenti nella formazione sociale) e degli elementi determinati (la sovrastruttura). Causalità di cui pure Marx tiene conto e calcola gli effetti. Tuttavia Althusser definisce questa « causalità strutturale », o « causalità metonimica » (termine tratto dalla psicanalisi), come una « causalità assente », ovvero presente solo nei suoi effetti. Infine sottolinea che in questo concetto si deve ricercare la grande novità teorica di Marx rispetto alla « filosofia classica », la quale in base ad una riflessione sulle conquiste scientifiche era pervenuta a due concetti di causalità: quella « transitiva » di Descartes (legata alla scienza di Galilei) e quella « espressiva » di Leibniz e poi di Hegel (legata al calcolo infinitesimale). In Elementi di autocritica Althusser rileva nella propria nozione di « causalità strutturale » un eccesso di « civetteria » nei confronti della terminologia strutturalistica, ed un'effettiva influenza della filosofia di Spinoza e non dell'ideologia strutturalista, e propone di esprimere lo stesso concetto, d'accordo con la « tradizione marxista », mediante quello di « causalità dialettica materialistica ». A me comunque sembra che su questo tema della determinazione in ultima istanza, a parte le differenze terminologiche e le precisazioni concettuali, la sostanza del ragionamento di Althusser non muti rispetto a ciò che ho cercato di sottolineare circa il tipo di critica antieconomicista che egli porta avanti negli scritti del Per Marx. A questo proposito si può infatti leggere in Elementi di autocritica: « Ma non si può neppure `mettere le mani' su questa contraddizione `in ultima istanza', come su la causa. Non si può afferrarla ed aver presa su di essa se non nelle forme della lotta di classe, che è, in senso forte, la sua esistenza storica. Dire che `la causa è assente' significa dunque... che la `contraddizione in ultima istanza' non è mai presente di persona sulla scena della storia... » (EA, p. 24).
La seconda questione, il « processo di conoscenza », già presente nel Per Marx, è trattata in modo particolare nel saggio introduttivo di Leggere il Capitale, Dal `Capitale' alla filosofia di Marx (1965), e ritorna in numerosi scritti successivi, tra i quali faremo brevi riferimenti ad Elementi di autocritica (1972), È facile essere marxista in filosofia? (1975), l'Avant-propos al libro di Duménil già ricordata, Marxismo oggi (1978). Questa questione è legata all'interpretazione dell'Introduzione del 1857 a Per la critica dell'economia politica, in cui Marx affrontando il problema del proprio metodo (Il metodo dell'economia politica), fornisce una serie di elementi che ad Althusser appaiono indispensabili per l'analisi del « discorso scientifico » mar-
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xista, della sua « novità » e « specificità », che è appunto l'obiettivo di Leggere il Capitale. Nel primo periodo della sua ricerca Althusser particolarmente è influenzato (« affascinato ») da quei passi dell'Introduzione del '57 in cui Marx sostiene che il modo in cui il pensiero conoscitivo « si appropria del mondo » è quello di « salire dall'astratto al concreto ». Oltreché dall'affermazione di Lenin che « le idee di Marx sono tutte efficaci perché sono vere » (« è perché la teoria di Marx era `vera', che ha potuto essere applicata con successo, e non perché è stata applicata con successo che essa è vera », Lc, p. 62). In questo modo, per Althusser, che sostiene una posizione rigorosamente antiempirista ed anti-pragmatista, né l'inizio, né la fine del discorso scientifico di Marx trovano nella realtà il proprio criterio di verità: escluso l'esterno, la realtà, non rimane che sostenere la « interiorità radicale del criterio »: la « pratica teorica è criterio di se stessa, contiene in sé i principi definiti di convalida della qualità del suo prodotto » (Lc, p. 62).
Si pone a questo punto il problema di come questa interpretazione del pensiero di Marx possa ammettere il materialismo, secondo il quale non è il pensiero a produrre la realtà, ma piuttosto questa, nella sua preesistenza ed autonomia nei confronti del pensiero, a permettere anche la conoscenza (« Per Hegel... il reale non è che il fenomeno esterno del processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini », Marx, Poscritto alla seconda edizione del r libro del Capitale). Come interpretare questa priorità dell'astrazione ed insieme del materiale, del reale ed insieme dell'ideale? La novità della riflessione di Althusser consiste nel suo rifiuto della soluzione storicista, cioè di quella posizione che pensa di risolvere questa difficoltà mediante una dottrina delle « astrazioni reali » o delle « astrazioni storicamente determinate », basata sulla tesi della esistenza di una « corrispondenza biunivoca » tra pensiero e realtà, tra sviluppo logico del pensiero e sviluppo della storia. E ciò, sia per la forma, perché alle categorie ed agli oggetti reali competerebbe ugualmente il « mutamento », sia per il contenuto, perché a determinati concetti corrisponderebbe un determinato stadio dello sviluppo storico: « La storia avrebbe in qualche modo raggiunto questo punto, prodotto questo presente specifico eccezionale in cui le astrazioni scientifiche esistono allo stato di realtà empiriche, dove la scienza, i concetti scientifici esistono nella forma del visibile dell'esperienza come altrettante verità a ciel sereno » (Lc, p. 132).
Il Capitale, insomma, come una « deduzione logico-storica ». Lo storicismo è definito da Althusser una forma di empirismo in quanto individua nelle categorie delle qualità reali in qualche modo in esse « riflesse ». Lo storicismo marxista si ispira ad alcuni passi di Marx, e ad altri di Engels,
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soprattutto dove questi interpreta il significato dell'opera scientifica di Marx (L'oggetto del « Capitale », y e vi). La presenza in Marx di elementi empiristi è spiegata da Althusser mediante l'inadeguatezza filosofica di Marx che ricorre in alcuni casi al teorico esistente (Hegel) per pensare i problemi che le sue scoperte scientifiche ponevano in sede filosofica.
A sua volta, per l'interpretazione antistoricista (e antiumanista) del marxismo Althusser si avvale soprattutto dell'Introduzione del '57, in base alla quale avanza due tesi, quella della « conoscenza come produzione » e quella della « distinzione tra oggetto reale e oggetto di conoscenza ». Il processo di conoscenza scientifica è un lavoro di trasformazione, compiuto da una Generalità ii (l'insieme dei concetti e delle tecniche esistenti ad un dato momento della storia di una scienza), su una Generalità i (che costituisce la materia prima che non è mai un « dato » o un « fatto »), ciò che produce la Generalità iii (conoscenza scientifica). Qualora la materia prima sia costituita da una generalità ideologica (le « intuizioni » e « rappresentazioni » di Marx) il processo di conoscenza presenta una « rottura epistemologica ». Se invece essa è già una generalità scientifica, il prodotto è una nuova conoscenza scientifica.
Tale lavoro di trasformazione appartiene interamente al « processo di pensiero », ed il suo prodotto, il « concreto di pensiero » (la conoscenza), è distinto dal « concreto reale » (l'oggetto reale) nei cui confronti, questo il punto importante, possiede un « effetto di conoscenza ». La coppia di tesi avanzata da Althusser è antiumanista perché non mette in campo alcun « soggetto della conoscenza » (trascendentale o empirico), bensí un « modo di produzione determinato di conoscenze », un « apparato di pensiero, fondato e articolato nella realtà naturale e sociale » (Lc, p. 42). Ed è antisto-ricista perché nega ogni « corrispondenza », non solo tra i due « oggetti », ma anche tra il processo di pensiero e lo sviluppo storico. Questa seconda distinzione si presenta in due forme: nella produzione del « concreto di pensiero », che si presenta come una « totalità-articolata-di pensiero », una Gliederung, una connessione organica e gerarchizzata di concetti; e nello sviluppo della dimostrazione e nel discorso scientifico in cui si manifesta la « dipendenza sistematica che lega tra loro i concetti nel sistema della totalità-di-pensiero » (PM, p. 72). Ebbene il meccanismo che produce l'« effetto di conoscenza » (il « meccanismo attraverso cui la conoscenza considerata compie, per colui che la manipola come conoscenza, la sua funzione conoscitiva dell'oggetto reale attraverso il mezzo del suo oggetto pensato ») avviene « nel `gioco'... che costituisce l'unità di scarto (l'unité de décalage) del sistema e del discorso ». Cioè, l'« effetto di conoscenza è prodotto come effetto del discorso scientifico, che esiste solo come discorso del sistema,
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vale a dire dell'oggetto considerato nella struttura della sua costituzione complessa » (Lc, p. 72).
È indubbio che in questo modo Althusser ha coerentemente ricercato all'interno della pratica teorica (di Marx) il criterio della sua « verità ». Vi è riuscito? Solamente due brevi osservazioni. La prima riguarda la nozione di Gliederung che Althusser usa per indicare sia il tipo di organizzazione logica, la struttura del « concreto di pensiero », sia la struttura della formazione sociale (il tutto complesso strutturato a dominante). Questo uso sembra avanzare la tesi di una identità strutturale tra pensiero della società e società; tra la struttura formale dell'« oggetto di conoscenza » (la Gliederung come « combinazione gerarchizzata dei concetti nel sistema stesso », LC, p. 72) e la struttura materiale dell'« oggetto reale » (la Gliederung come « combinazione articolata, gerarchizzata, sistematica » della società, che bisogna conoscere, Lc, p. 67). Se questa osservazione è giusta, occorre anche aggiungere che questa identità non è affatto scontata nel ragionamento al-thusseriano. Se infatti mettiamo di fronte le due tesi, quella della identità strutturale tra pensiero (« sistema ») e società (« totalità ») e quella (materialistica) dell'autonomia e della preesistenza della realtà nei confronti del pensiero, sorgono alcuni interrogativi, che qui mi limito ad enunciare.
Al di là della distinzione tra « oggetto di conoscenza » ed « oggetto reale », Althusser non conserva una teoria del riflesso, diciamo, della struttura? L'esistenza di questo tema appare indirettamente confermata dall'adesione di Althusser all'interpretazione di Materialismo ed empiriocri-ticismo avanzata da Dominique Lecourt, secondo il quale il riflesso di Lenin sarebbe un « riflesso senza specchio », un « riflesso attivo » estraneo ad ogni teoria sensistica della conoscenza 3. Inoltre, se l'osservazione avanzata è giusta, lo storicismo e l'empirismo, almeno come li definisce Althusser, risultano davvero messi definitivamente al bando? Perché questa identità strutturale appare comunque come il risultato di una qualità essenziale del reale che trapassa nel pensiero. Non siamo di fronte ad una sorta di empirismo della struttura? di storicismo senza storia?
Seconda osservazione. L'idea, in generale, di conoscenza scientifica che Althusser propone non è altro (a parte quelle che Althusser definisce le proprie « aggiunte ») che il modo in cui il Capitale permette di conoscere la formazione sociale capitalistica, il modo in cui il Capitale, funziona a questo scopo conoscitivo. In particolare la nozione di « meccanismo » dell'« effetto di conoscenza » è interamente elaborata sulla base dell'analisi del « modo di esposizione » (Darstellungsweise) del Capitale, del modo cioè in
3 L. ALTHUS SER, prefazione a D. LECOURT, Lenin e la crisi delle scienze, Roma, 1974, p. 8.
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cui il Capitale sviluppa le forme astratte del valore, plusvalore, ecc. per risalire verso il concreto (di pensiero) del processo complessivo della produzione capitalistica (iii libro). Ora, a parte la generalizzazione di un processo di conoscenza che Marx pratica solo nella critica dell'economia politica, il ragionamento di Althusser si basa sul presupposto dell'unità e della necessità del discorso scientifico di Marx. In particolare su quelle del « modo di esposizione » e di « inizio » assoluto di tale discorso che parte, appunto, dall'astratto (il valore). Si è però già visto che questa unità e necessità sono assai meno scontate di come Althusser presuppone in Leggere « Il Capitale »: esse sono, come dice oggi Althusser (Avant-propos a Duménil), diseguali e disparate. In altre parole la generalizzazione del « meccanismo » dell'« effetto di conoscenza », a cui Althusser affida la risoluzione antistori-cista ed antiempirista della « difficoltà » di Marx, non sembra valere, in generale, neppure per il Capitale.
Farò adesso alcuni brevi cenni agli altri scritti successivi già ricordati, tra i quali il piú significativo mi sembra essere l'Avant-propos del '78. In Elementi di autocritica Althusser sottolinea l'ispirazione spinoziana delle proprie tesi sul « processo di conoscenza », rilevando in particolare la presenza di tale ispirazione nella definizione della « conoscenza come produzione » e nell'affermazione dell'« interiorità » del criterio di scientificità del discorso scientifico. In È facile essere marxisti in filosofia? Althusser dopo aver riaffermato la tesi della « conoscenza come produzione » e del « primato dell'oggetto reale sull'oggetto di conoscenza », ed aver precisato che la tesi di questo primato prevale su quella della « distinzione tra oggetto reale e oggetto di conoscenza », si sofferma sul tema degli effetti della conoscenza sul reale. Egli nota come la « conoscenza del reale `cambia' qualcosa nel reale, perché vi aggiunge per l'appunto la sua conoscenza... però tutto accade come se questa aggiunta si annullasse da sola nel suo risultato » (p. 157). Il problema del meccanismo che produce l'« effetto di conoscenza » è scomparso, sostituito dalla tesi dell'incorporamento e dell'annullamento della distinzione tra i due « oggetti » non appena essa viene posta: « La distinzione tra oggetto di conoscenza e oggetto reale presenta quindi questo paradosso: che è posta solo per essere annullata. Ma non basta: per essere annullata, deve continuamente essere posta » attraverso la « produzione di nuove conoscenze » (p. 158). La polemica è contro il marxismo dogmatico.
Nell'Avant-propos al libro di G. Duménil, ed in discussione con questi, Althusser ritorna sui concetti di « astrazione », di « processo di pensiero », di « metodo di esposizione » e di « inizio » di una scienza, e ciò in relazione ad una nuova valutazione del discorso scientifico del Capitale. In particolare Althusser cerca di trarre alcune conseguenze dalla tesi di Duménil che l'« astrazione » di Marx si costituisce per esclusione: « Se Marx pensa nel-
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l'astrazione, il cui processo è un processo di concretizzazione, è perché Marx pensa mediante l'astrazione è perché ogni posizione di un concetto, dunque ogni apertura di un campo teorico `interno', è nello stesso tempo esclusione dell'esterno, dunque chiusura del campo. L'apertura del campo è in relazione alla sua chiusura, che implica, in ogni momento, di fare astrazione dell'esterno » (p. 19). Per questa via Althusser può pervenire ad alcune importanti conclusioni circa l'unità del Capitale, cioè dell'« ordine » dei suoi concetti espresso nel « metodo di esposizione ». Infatti il discorso scientifico del Capitale non presenta un solo « ordine di esposizione ». Se ne esiste uno « maggiore » (majeur) (« visibile, impressionante, unitario e omogeneo »), ne esistono però anche altri che « a piú riprese » interrompono e attraversano il « maggiore »: « capitoli discontinui e interminabili, di grande importanza, ed in cui interviene un"analisi' del tutto diversa, che per semplicità si è definita `concreta' e `storica', in opposizione all'analisi veramente `teorica' dell'ordine maggiore — come se la `teoria' non potesse avere che una forma riconosciuta, identificabile e compiuta » (A-p, p. 23). A sua volta l'unità di coesistenza di questi diversi « ordini » costituisce un problema e rimanda al carattere « contingente » e non « assoluto » (come invece credeva Marx) dell'« inizio » del discorso scientifico del Capitale (analisi del valore). Siamo ormai evidentemente assai lontani dall'idea della
« totalità-di-pensiero » del Capitale sostenuta in Leggere « Il Capitale »: non piú una sola « totalità logica », bensí « diverse » « totalità logiche ». Una sorta di pluralismo di logiche ineguali e disparate coesistenti in un medesimo discorso scientifico. In Marxismo oggi, infine, Althusser liquida come imprudente l'affermazione di Lenin che le « idee di Marx sono tutte efficaci perché sono vere », ed introduce, quindi, una netta distinzione tra verità ed efficacia delle idee che ribalta le posizioni sostenute in Leggere « Il Capitale ». La verità compete alla « forma teorica » delle idee di Marx, l'efficacia politica a quella « ideologica » (Marx esprime le « proprie idee due volte in due forme differenti ») : « se anche le idee fossero vere e f or-malmente dimostrate, non potrebbero essere in sé storicamente attive, ma lo possono solo nelle forme ideologiche di massa, acquisite nella lotta di classe » (Mo, p. 118).
6. Nella sua ricerca del pensiero filosofico di Marx, Althusser impiega, di solito in posizione assai importante, una serie di concetti e metafore tratti dalla psicoanalisi: surdeterminazione, lettura sintomale, causalità metoni-mica, condensazione, spostamento, immaginario. Ma non si tratta soltanto
o semplicemente di un debito teorico. $ presente in Althusser il preciso intento di stabilire un rapporto positivo tra marxismo e psicoanalisi (la
« psicoanalisi, tra i comunisti, non era `in odore di santità' nel 1964, quando
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pubblicai Freud e Lacan »), sulla base del convincimento che « nel campo delle `scienze umane', due scoperte imprevedibili e sconcertanti hanno sconvolto l'universo dei valori dominanti: le opere di Marx e di Freud » (MF, p. 129).
Alla scoperta dell'inconscio e piú in generale al pensiero di Freud, Althusser dedica due scritti specifici, Freud e Lacan (1964) e Marx e Freud (1976). Ma frequenti riferimenti all'opera di Freud sono rintracciabili anche in altri scritti. Nel saggio del '64 Althusser si sofferma soprattutto ad illustrare il significato dell'opera di Lacan, ma già sottolinea quello che gli appare come l'effetto teorico piú importante della scoperta dell'inconscio: la crisi della concezione ideologica e filosofica tradizionale di « uomo » e di
« soggetto ». Lacan, a cui non sfugge che Freud ha fondato una scienza (« Una scienza nuova, che è la scienza di un oggetto nuovo: l'inconscio », FL, p. 9), ha compreso l'esigenza e l'importanza teorica di un « autentico ritorno a Freud », che egli realizza nella duplice forma di una « critica ideologica » (contro lo sfruttamento ideologico del pensiero di Freud portato avanti dalla psicologia, dalla sociologia, dalla biologia, dalla filosofia) e di un
« chiarimento epistemologico » (come già Marx, anche Freud dovette formulare le proprie scoperte mediante concetti teorici già esistenti — il modello della fisica energetica di Helmholtz e di Maxwell — che essendo stati creati per altri scopi determinano nella psicoanalisi delle zone di opacità teorica). In questo duplice lavoro di restaurazione e di sviluppo Lacan perviene alle proprie scoperte mediante il ricorso ad una scienza piú recente di quella a cui si rifà Freud. È infatti attraverso il ricorso ai concetti della linguistica strutturale che Lacan chiarisce ed approfondisce l'idea freudiana che tutto dipendeva dal linguaggio chiarendo che « il discorso dell'inconscio è strutturato come un linguaggio » (FL, p. 18).
Già da questa sommaria esposizione risulta evidente il parallelismo che Althusser instaura, attraverso quello tra Marx e Freud (che in questo modo ne risulta rafforzato), tra la propria opera di difesa della radicale diversità del marxismo e del suo sviluppo attraverso la ricerca della filosofia di Marx,
e l'opera analoga che Lacan compie nei confronti del pensiero di Freud. Un'interpretazione degli anni Sessanta, in altre parole, non solo come del periodo del ritorno a Marx (Althusser, Della Volpe, ed altri), ma anche del ritorno a Freud (Lacan), come « ritorno », insomma, ai massimi teorici rivoluzionari del campo delle scienze umane.
Piú direttamente connessa alla ricerca althusseriana sull'ideologia (che vedremo nel paragrafo seguente) è l'idea che Freud avrebbe sottoposto ad una prova trasformatrice « una certa immagine tradizionale, giuridica, morale
e filosofica, cioè in definitiva ideologica, dell"uomo', del `soggetto' » (FL, p. 29). Questa idea viene particolarmente approfondita nello scritto del '76
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in cui Althusser affronta la questione delle « sorprendenti affinità » tra Marx e Freud. Tali affinità sono soprattutto le seguenti: il carattere conflittuale della teoria (quelle di Marx e di Freud sono verità che dividono: la storia del marxismo e della psicoanalisi è una storia di revisionismi e di scissioni); la fondazione della teoria attraverso una precisa esperienza pratica personale (Marx ed Engels hanno « partecipato » alle lotte del proletariato, Freud è stato « educato » dai propri pazienti isterici); la critica del concetto tradizionale di « soggetto » (entrambi hanno criticato l'idea dell'« unità e dell'identità inseparabile di ogni coscienza » e della sua « funzione » unificante) .
La riflessione di Althusser insiste particolarmente su quest'ultimo aspetto: per il filosofo francese non è infatti la coscienza, bensí l'ideologia a costituire i soggetti. Se Marx, criticando l'economia politica, ne ha criticato anche la filosofia sottostante dell'uomo cosciente dei suoi bisogni come elemento primario di ogni società, la scoperta dell'inconscio critica l'idea della coscienza come base dell'unità morale e psicologica dell'uomo. Idea di uomo cosciente di sé di cui l'ideologia dominante ha assolutamente bisogno per poter imporre liberamente agli individui una determinata « forma di identificazione » per « giungere all'unificazione delle loro differenze concrete » e per consentire « l'egemonia delle forme materiali dell'ideologia dominante » (MF, p. 138).
7. Un altro grande tema presente in tutto l'arco della ricerca di Althusser è quello dell'ideologia, che viene trattato, come gli altri, in relazione alle lacune ed ai ritardi del pensiero di Marx e del marxismo. Se il problema dell'ideologia si presenta inizialmente all'interno della riflessione sul « giovane Marx » e strettamente connesso al concetto di « rottura epistemologica », esso è posto da Althusser, fin dagli scritti del Per Marx, sul piano piú generale della ricerca e della necessità di una teoria della natura e della efficacia specifica della sovrastruttura, e si specifica, piú tardi, attorno ai temi dello stato e del partito politico.
Althusser affronta la questione dell'ideologia e della sua presenza sotto molteplici aspetti. Rispetto alla filosofia tradizionale, quando sostiene che la filosofia classica borghese riflette nelle proprie categorie il soggetto giuridico-politico dell'ideologia borghese, in particolare quando essa definisce i termini del « problema della conoscenza », cioè delle garanzie e delle condizioni per cui un soggetto entra in rapporto ad un oggetto nell'atto conoscitivo. In questa ottica la filosofia classica appare caratterizzata e dalla riflessione sulla scienza moderna (i due tipi di causalità già ricordati), e dalla riflessione sull'ideologia del soggetto (il problema gnoseologico). In relazione alla scienza ed agli operatori scientifici, quando elabora le nozioni di « conoscenza come
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produzione », di « rottura epistemologica », di « filosofia spontanea degli scienziati » (temi che vedremo subito). Sul piano politico e della lotta di classe, quando parla di « ideologia dominante », di « ideologia piccolo borghese », di « ideologia proletaria ». Infine, ed è ciò su cui soprattutto mi soffermerò, sul piano della società e della storia, quando elabora gli elementi di una teoria in generale dell'ideologia dedicandovi uno dei suoi scritti piú interessanti e fortunati, Ideologia e apparati ideologici di Stato (1969).
Ai punti estremi della riflessione althusseriana su questi temi troviamo gli scritti raccolti nel Per Marx e Il marxismo oggi (1978). Nei primi il marxismo è visto (ad eccezione del saggio Sul giovane Marx, 1961) solamente come il risultato di una « rottura epistemologica » nei confronti dell'ideologia, la filosofia come determinata dalla fondazione della scienza, l'ideologia proletaria (meglio quella che la classe operaia si dà come piú utile alla propria lotta di classe) come una sfera a sé, mero limite negativo e deformazione della realtà di fronte alla verità della scienza, insieme di concezioni pratiche interamente subordinate alla tattica politica. In Marxismo oggi, lo si è già visto, si ammettono, invece, due forme del marxismo, quella « teorica » e quella « ideologica »: il marxismo è quindi anche, e non secondariamente, « ideologia marxista ». In questo scritto Althusser si pone dal punto di vista della fusione della teoria marxista e del movimento operaio. Fin dall'inizio il marxismo, il « pensiero di Marx », non è separabile dalle esperienze, dalle lotte, dalle posizioni ideologiche della classe operaia: « il pensiero di Marx si è formato e si è sviluppato all'interno del movimento operaio, sulla sua base e sulle sue posizioni » (Mo, p. 112). Questo punto di vista è comunque già operante in alcuni scritti attorno al 1970, quando ormai il concetto di filosofia è definito dal filosofo francese a partire dal significato politico della sua funzione in seno alla teoria (già in Lenin e la filosofia, 1968) e la funzione dell'ideologia proletaria, dell'istinto di classe, è connessa positivamente alla fondazione del materialismo storico mediante la posizione centrale della filosofia posta tra la politica e la teoria (Sull'evoluzione del giovane Marx, 1970).
Di questi anni immediatamente precedenti l'« autocritica » vale la pena di ricordare anche alcuni eccessi, significativi anche se collocati in un periodo di riaggiustamento e di ridefinizione della problematica. Ad esempio quelli, di natura direi operaista, contenuti nella Introduzione al Libro del Capitale (1969), quando Althusser sostiene che « per comprendere il Capitale... occorre giungere a posizioni di classe proletarie, ciò è relativamente facile per gli operai... Poiché possiedono `per natura' un `istinto di classe' formatosi alla rude scuola dello sfruttamento quotidiano, è loro sufficiente un'istruzione supplementare, politica e teorica, per comprendere oggettivamente ciò che sentono soggettivamente, istintivamente » (Introduzione, p. 42). Il fatto
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è che la rivalutazione della funzione positiva dell'ideologia proletaria che Althusser compie in questi anni successivi agli avvenimenti del « Maggio '68 », e che in Elementi di autocritica gli permette di individuare il razionalismo della contrapposizione tra ideologia in generale e scienza in generale, e quindi di parlare di ideologia proletaria e di scienza rivoluzionaria, tutto questo introduce nel suo ragionamento la preoccupazione e la ricerca a tutti i livelli di una sorta di omogeneità e di integralità ideologica che solleva non pochi problemi ed altrettante perplessità.
In particolare sul piano della interpretazione della scienza del Capitale queste posizioni appaiono difficilmente conciliabili con le piú recenti affermazioni di Althusser circa il carattere finito ed aperto della scienza marxista, la quale per superare la propria « crisi » dovrà pure fare i conti con le altre scienze. Non solo, ma questo rigido fondamento ideologico di classe della scienza rivoluzionaria di Marx determina una serie di difficoltà (che sembrava dovessero ormai appartenere al passato della storia del movimento comunista) sul piano della definizione e dello sviluppo di una strategia delle alleanze e della conquista del potere in grado di comprendere e di rispettare la complessità e molteplicità delle istanze e dei soggetti sociali, il pluralismo e la democrazia politica. Se nel primo periodo della ricerca di Althusser era il materialismo dialettico a fondare l'unità, l'autonomia e l'efficacia dello teoria marxista, nel secondo sembra essere l'ideologia proletaria a dover permettere le stesse cose. In questo modo, però, in entrambi i periodi permane una visione dell'autonomia e della specificità del marxismo in termini totali che condiziona comunque ogni tentativo di articolazione dell'unità della teoria. Totalità che nel primo periodo è raggiunta da Althusser a spese dell'ideologia (relegata sostanzialmente nel negativo e nel prescientifico), e nel secondo a spese della teoria, di cui si enuncia la finitezza e la crisi. Se l'integralità della teoria nel primo periodo aveva assunto la forma del razionalismo, nel secondo sembra assumere quella dell'operaismo. La debolezza di entrambe le soluzioni sembra risiedere nelle due concezioni della filosofia che le sorreggono. Le quali, in entrambi i casi, non riescono a risolvere il problema di una concezione del rapporto tra ideologia e scienza che permetta di pensare e la specificità e l'apertura effettiva del marxismo. Se questo è vero, allora in Althusser si riflette, irrisolta, la principale e profonda difficoltà teorica di Marx a pensare teoricamente il rapporto tra scienza e ideologia. Le due « forme » del marxismo, quella teorica e quella ideologica, anche nel pensiero del filosofo non si toccano mai.
Ma vediamo, i principali risultati conseguiti da Althusser nella ricerca sull'ideologia. Accenno all'analisi dei caratteri dell'« ideologia dominante », dell'ideologia che serve all'egemonia borghese, individuata essenzialmente nell'umanismo teorico. Non si tratta, naturalmente, di misconoscere i meriti storici della « grande tradizione umanistica » che ha saputo affermare, al-

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l'inizio dell'era moderna, un'idea laica e terrena della dignità e della libertà dell'uomo contro la Chiesa e le ideologie religiose. Ciò che ad Althusser preme rilevare è l'origine e la funzione di classe di tale umanesimo (storicamente non separabile dalla borghesia in ascesa) che trova le sue espressioni piú elaborate nella « filosofia classica » e nell'economia politica borghese. Entrambe volte alla ricerca di una spiegazione della storia e della società fondate teoricamente sull'idea di un « soggetto originario », su « un concetto di uomo dalle pretese teoriche, cioè come soggetto originario dei suoi bisogni (homo oeconomicus), dei suoi pensieri (homo rationalis), dei suoi atti e delle sue opere (homo moralis, juridicus et politicus) » (EMP, p. 169).
In Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati (1967), è introdotta la nozione di « filosofia spontanea degli scienziati » (Fss) per indicare il fatto che in « ogni scienziato vi è un filosofo che sonnecchia », come emerge in maniera spettacolare nei momenti di crisi delle scienze. Questa ideologia scientifica, che va distinta, sia dalla filosofia, sia dalla ideologia pratica (o concezione del mondo) dello scienziato, rappresenta l'idea che l'operatore scientifico si fa, spesso inconsapevolmente, della scienza e del proprio lavoro di ricerca. La FSS presenta due elementi che ne costituiscono il contenuto
« contraddittorio ». L'elemento I (credenza nell'esistenza della realtà oggettiva, nella oggettività della conoscenza, nel metodo scientifico) è di origine
« interna », ed è materialistico. L'elemento II è idealistico e di origine esterna, proviene cioè da tesi filosofiche elaborate al di fuori della pratica scientifica, e la cui funzione essenziale consiste nel « sottomettere l'esperienza della pratica scientifica a determinate tesi, ossia a `valori' o a `istanze' che le sono estranee e che, sfruttando le scienze, servono acriticamente a corroborare una serie di obiettivi che dipendono dalle ideologie pratiche » (PPss, p. 95). La contraddizione tra i due elementi si risolve, nella stragrande maggioranza dei casi, a favore dell'elemento II che « domina » l'elemento I. Ebbene questa dominazione non fa che riprodurre « in seno alla Fss il rapporto di forze filosofiche che, nel mondo in cui vivono gli scienziati che conosciamo, vige tra materialismo e idealismo », e, quindi, non fa che riprodurre
« il dominio dell'idealismo sul materialismo » (PPss, p. 96).
La lotta di classe che si svolge nella società è quindi ben presente, attraverso il « rapporto di forza filosofico » che agisce attraverso l'intermediazione della Fss, anche nella ricerca scientifica. E, affinché tale lotta non si risolva quasi immancabilmente a vantaggio dell'ideologia della classe dominante, Althusser propone una « alleanza » tra gli operatori scientifici e la filosofia materialistico-dialettica, la sola in grado di intervenire su tale rapporto di forza modificandolo a vantaggio del materialismo, cioè dell'elemento I.
Vediamo infine le tappe essenziali dell'analisi dell'ideologia in generale, analisi in cui lo studioso francese raggiunge i suoi risultati piú significativi.
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Nel 1961 (Sul giovane Marx) egli non fuoriesce dall'impostazione marxiana dell'Ideologia tedesca: piú tardi (1963) definirà egli stesso questa impostazione dall'ideologia. Il carattere essenziale di questa consiste nella « defor-centrale dell'articolo è quello della possibilità e della necessità della liberazione dall'ideologia. Il carattere essenziale di questa consiste nella « deformazione » della « realtà », nella risposta deformata ai problemi reali che essa rappresenta. Il ragionamento di Althusser si sviluppa mediante le coppie deformazione/realtà, ideologia/scienza (la filosofia è assimilata all'ideologia). La spiegazione e la storia dell'ideologia sono interamente fuori da essa, a lei esterne. Propriamente l'ideologia non ha storia: esistono solo la storia reale e la storia delle scienze. La liberazione dalla « cappa ideologica » avviene mediante un atto di cui Althusser non precisa la natura e che chiama metaforicamente un « cambiamento di terreno », e che, concretamente, storicamente, consiste nella « riscoperta » della « storia reale » e dei « problemi reali ». Fuori di metafora il cambiamento di terreno è la « rottura epistemologica » che nel giovane Marx produce la scienza del materialismo storico.
Tutto il ragionamento esposto non è altro che una concettualizzazione della storia del giovane Marx. Già nello scritto Contraddizione e surdeter-minazione (1962) al tema della liberazione dall'ideologia subentra quello dell'esigenza dell'elaborazione di una teoria dell'efficacia e dell'essenza propria degli elementi specifici della sovrastruttura. In Marxismo e umanismo (1964), con cui si chiude il Per Marx, la riflessione è sostenuta da una concezione assai piú articolata della « totalità sociale » e l'idea della necessità della liberazione dall'ideologia è sostituita con quella della funzione permanente dell'ideologia nella società: « L'ideologia fa dunque organicamente parte, in quanto tale, di ogni totalità sociale... Soltanto una concezione ideologica del mondo ha potuto immaginare società senza ideologie... per il materialismo storico neppure una società comunista può fare mai a meno di ideologia... l'ideologia (come sistema di rappresentazioni di massa) è indispensabile ad ogni società per formare gli uomini, trasformarli e metterli in condizione di rispondere alle esigenze delle loro condizioni di esistenza » (PM, pp. 207 e 210).
Il problema della liberazione si trasforma in quello della scelta tattica dell'ideologia in base ai criteri imposti dalla lotta di classe. Quanto al tema della « deformazione », esso permane, ma è subordinato al carattere essenziale che ora Althusser intende rilevare nell'ideologia, cioè alla sua « attività ». È nella costituzione dell'attività degli uomini, nella rappresentazione delle motivazioni della volontà, che l'ideologia deforma immaginandolo il rapporto reale degli uomini con le loro condizioni di esistenza. Il rapporto immaginario /reale non è piú tra un interno ed un esterno (da conquistare mediante un « cambiamento di terreno »), ma è una contraddizione intrinseca all'ideologia stessa che si risolve mediante la subordinazione del reale
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all'immaginario, il quale esprime il senso della volontà e dell'attività dell'uomo. « Nell'ideologia il rapporto reale è inevitabilmente investito nel rapporto immaginario: rapporto che esprime piú una volontà (conservatrice, conformista, riformista e rivoluzionaria), e persino una speranza o una nostalgia di quanto non descriva una realtà » (PM, p. 209).
Da dove provenga questa volontà (i suoi meccanismi di formazione) che deve riempirsi, trasformandoli, di contenuti reali per 'esprimersi, non è detto da Althusser, il quale risolve il problema del rapporto tra ideologia e società mediante la categoria di « surdeterminazione ». « L'ideologia è allora l'espressione del rapporto degli uomini col loro `mondo', ossia l'unità (sur-determinata) del loro rapporto reale e del loro rapporto immaginario con le loro reali condizioni di esistenza » (ibidem). Gli altri due caratteri dell'ideologia in generale che in questo scritto Althusser rileva sono il carattere « sistematico » degli elementi conoscitivi (rappresentazioni, concetti, miti, ecc.) che la compongono, ed il modo « inconsapevole » in cui la struttura dell'ideologia, in genere, si impone agli uomini.
In Ideologia e apparati ideologici di Stato (1969) per un verso sono ripresi e precisati alcuni risultati raggiunti in Marxismo e umanismo, e per l'altro introdotte nel proprio ragionamento alcune essenziali modifiche ed aggiunte. Dello scritto del 1964 è ripreso, prima di tutto, il concetto chiave di « rapporto »: nell'ideologia non si esprime una visione distorta e immaginaria della realtà, bensí il rapporto necessariamente « immaginario » dell'uomo con questa realtà. L'ideologia è ciò che permette di rappresentare l'investitura della realtà da parte della « volontà » e della « speranza », quindi una realtà in movimento (immaginario), intrisa di finalità e di valori, immediatamente posta in un orizzonte trascendente il dato di fatto, l'esistente, perché nella rappresentazione di questo vi include per definizione l'attività. Come dire, se nella scienza l'uomo è solo di fronte alla realtà, nell'ideologia egli è sempre in compagnia della propria speranza o della propria nostalgia. A sua volta la scienza dell'ideologia è ciò che permette di pensare questa compagnia, questa associazione, cioè questo rapporto. Una compagnia in cui l'uomo, tra l'altro, può associarsi agli altri uomini: le forme ideologiche di massa.
Ma in Ideologia e apparati ideologici di Stato (TATE) Althusser introduce delle novità rilevanti nel proprio ragionamento al fine di eliminare ogni separazione tra uomo e ideologia, e cíò in due sensi. Primo, l'ideologia non è piú soltanto la rappresentazione immaginaria del rapporto uomo/realtà, e quindi ciò che attiva gli uomini facendo loro immaginare i fini e le conseguenze dei loro atti, ciò che presuppone l'esistenza degli uomini. L'ideologia è esattamente ciò che costituisce questi uomini, i quali esistono solo in quanto soggetti ideologici. Gli uomini (o « individui concreti ») non esistono fuori delle ideologie, essi sono sempre (ancor prima di nascere) sog-
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getti in una determinata rappresentazione del loro rapporto con la realtà: esistono soltanto i « soggetti ». Secondo, l'ideologia non è qualcosa di diverso dagli atti che il soggetto compie come prescritti e codificad dall'ideologia. Solo una concezione ideologica dell'ideologia può separare le idee dagli atti. Se l'ideologia è gli atti, allora si può parlare di « materialità » dell'ideologia. Se in Marxismo e umanismo era l'intrinseca sistematicità a sorreggere l'ideologia, ora questa sistematicità, nella sua materialità, è rappresentata e sorretta dall'unità (ideologica e, secondariamente, repressiva) dell'« apparato ideologico di stato » (scuola, chiesa, famiglia, partito, sindacato, ecc.) la cui funzione è la riproduzione di soggetti adatti alla riproduzione delle condizioni di sopravvivenza e di sviluppo della base economica.
In questo modo Althusser riesce a legare l'analisi dell'ideologia ad una teoria della natura e degli effetti specifici della sovrastruttura. Ma in che modo l'ideologia costituisce questi soggetti? Althusser chiama « interpellare » il meccanismo di costituzione del soggetto da parte dell'ideologia e dell'apparato ideologico di stato: « l'ideologia `agisce' e `funziona' in maniera tale che `recluta' soggetti tra gli individui (li recluta tutti), o `trasforma' gli individui in soggetti (li trasforma tutti) con questa operazione molto precisa che noi chiamiamo l'interpellare che possiamo rappresentarci nel modo stesso del piú banale interpellare poliziesco (o no) di ogni giorno: `Ehi, lei laggiú!' » (IAIE, p. 111). Althusser esemplifica il proprio ragionamento mediante l'analisi dell'ideologia religiosa del cristianesimo (ciò vale anche per tutte le altre ideologie: l'ideologia è « eterna » e tutte le ideologie possiedono un'identica « struttura »). Dall'analisi risulta che l'interpellare presuppone l'esistenza di un « Soggetto », « unico e centrale », che si autodefinisce tale (nel caso della religione cristiana è Dio), ed in nome del quale i soggetti sono « interpellati », divengono, cioè, suoi « specchi » e « riflessi »: uno sdoppiamento del Soggetto nei soggetti. Ciò comporta un assoggettamento di questi ultimi, il loro mutuo riconoscimento, e quello tra loro ed il Soggetto. Un assoggettamento di cui Althusser sottolinea il carattere spontaneo e « libero »: « l'individuo è interpellato come soggetto (libero) affinché si sottometta liberamente agli ordini del Soggetto, perché `compia da solo' i gesti e gli atti del suo assoggettamento » (TAIE, p. 119).
Per quanto riguarda la connessione che si può rilevare tra lo sviluppo della riflessione di Althusser sull'ideologia e la « svolta » nella congiuntura politica si deve almeno richiamare l'articolo su « La Pensée » nel 1969, A propos de l'article de M. Verret sur « Mai etudiant », in cui Althusser definisce il movimento degli studenti una « rivolta ideologica » di segno complessivamente progressivo che fa parte della lotta di classe internazionale contro l'imperialismo. Non è difficile, mi sembra, mettere in relazione questi giudizi politici con quelli contenuti in IAIE circa la « crisi » del principale apparato ideologico di stato della società contemporanea, la scuola:
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nella « rivolta ideologica » degli studenti si manifesta la crisi dei meccanismi di riproduzione dei soggetti nella scuola e, piú in generale, la crisi dell'ideologia della classe dominante nell'intera società. Non si può infine non ricordare che in un recente scritto, Quel che deve cambiare nel partito comunista (1978), Althusser affronta il problema del funzionamento ideologico di un altro apparato ideologico di stato, il partito comunista, il quale costituisce i suoi iscritti in soggetti, i « militanti », sulla base di una ideologia che ne
garantisce l'omogeneità e l'unità. GIOVANNI MARI
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA
Louis Althusser è nato il 16 ottobre 1918 a Birmandreïs, vicino ad Algeri. Compie gli studi elementari in questa città e quelli secondari (1930-36) a Marsiglia. Nel 1937, sempre a Marsiglia, fonda la sezione della Jeunesse Etudiante Chrétienne du Lycée du Parc. Due anni piú tardi è promosso al concorso dell'Ecole Normale Supérieure, Lettere. Nel 1940 è fatto prigioniero a Vannes in Bretagna; tradotto in Germania vi rimane prigioniero fino al maggio 1945. Durante gli anni 1945-48 è allievo all'E.N.s., rue d'Ulm a Parigi. Si diploma, sotto la direzione di Gaston Bachelard, con un lavoro sulla Notion de contenu dans la philosophie de Hegel. Nel 1948 è agrégé di filosofia. Nello stesso anno si iscrive al Partito Comunista Francese, a cui tuttora aderisce. Nel 1950 è agrégé répétiteur e segretario dell'E.N.s., nel 1962 Maître-assistant e segretario dell'E.N.S.
OPERE DI L. ALTHUSSER (1951-1978)
1. Contributo nella discussione sulla sessione Journées nationales d'études peda-gogiques des professeurs de philosophie (1950), « Revue de l'enseignement philoso-
phique », I, 1951, n. 1/2, p. 12. 2. A propos du marxisme, ivi, III, 1953, n. 4,
pp. 15-19. 3. Note sur le matérialisme dialectique, ivi, III, 1953, n. 5, pp. 11-
17. 4. Sur l'objectivité de l'histoire (Lettre à Paul Ricoeur), ivi, v, 1955, n. 4,
pp. 3-15. 5. Despote et monarque chez Montesquieu, « Esprit », xxvi, 1958,
n. 11, pp. 595-614 (poi riprodotto nel n. 6). 6. Montesquieu. La politique et
l'histoire, Paris, P.U.F., 1959, 127 pp. (tr. it. a cura di B. Menato, Roma, Samonà e
Savelli, 1969). 7. Note du traducteur (1958), in LUDWIG FEUERBACH, Manifestes
philosophiques. Textes choisis (1839-1845), a cura di L.A., Paris, P.U.F., 1960, pp.
1-9. 8. Les « Manifestes philosophiques » de Feuerbach, « La Nouvelle Criti-
que » 1960, n. 121, pp. 32-38 (tr. it. in n. 21). 9. « Sur le jeune Marx » (Que-
stions de théorie), « La Pensée », 1961, n. 96, pp. 3-26 (tr. it. in n. 21). 10. Re-
censione a RAYMOND PoLIN, La politique morale de John Locke, Paris 1960, in « Revue
d'histoire moderne et contemporaine », Ix, 1962, n. 2, pp. 150-155. 11. Con-
tradiction et surdétermination (Notes pour une recherche), « La Pensée », 1962, n. 106,
pp. 3-22 (tr. it. in n. 21). 12. Le «Piccolo », Bertolazzi et Brecht (Notes sur un
théâtre matérialiste), « Esprit », xxx, 1962, n. 12, pp. 946-965 (tr. it in n. 21).
13. Les « Manuscrits de 1844 » de Karl Marx (Economie politique et philosophie),
« La Pensée », 1963, n. 107, pp. 106-109 (tr. it in n. 21). 14. Philosophie et
sciences humaines, « Revue de l'enseignement philosophique », )(HI, 1963, n. 5, pp.
1-12. 15. Sur la dialectique matérialiste (De l'inégalité des origines), « La Pen-
sée », 1963, n. 110, pp. 5-46 (tr. it. in n. 21). 16. Problèmes d'étudiants, « La
Nouvelle Critique », 1964, n. 152, pp. 80-111. 17. Présentation a PIERRE MA-
CHEREY, La philosophie de la science de Georges Canguilhem. Epistémologie et histoire
des sciences, « La Pensée », 1964, n. 113, pp. 50-54. 18. Marxisme et huma-
440 GIOVANNI MARI
nisme, «Cahiers de l'Institut de Science Economique Appliquée », Serie M, n. 20,
1964, pp. 109-133 (tr. it. in n. 21). 19. Freud et Lacan, « La Nouvelle Criti-
que », 1964-1965, n. 161/162, pp. 88-108 (tr. it. di A. Sabbadini, « Aut-aut », 1974,
n. 141). 20. Note complémentaire sur l'« humanisme réel », «La Nouvelle Cri-
tique », 1965, n. 164, pp. 32-37 (tr. it. in n. 21). 21. Pour Marx, Paris, Maspero,
1965, che comprende, oltre ai nn. 8, 9, 11, 12, 13, 15, 18, 20, una Préface: Aujourd'hui (Marzo 1965) ed un Annexe al n. 11 (tr. it. di F. Madonia, L.A. Per Marx, Roma,
Editori Riuniti 1967, con una Nota introduttiva di Cesare Luporini). 22. Esquisse
du concept d'histoire, «La Pensée », 1965, n. 121, pp. 3-21. Riprodotto nel cap. iv
del n. 23 (tr. it. in « Critica marxista », 1966, n. 1) . 23. Préface: Du « Capital »
à la philosophie de Marx, in Lire le Capital, i, Paris, Maspero, 1965, pp. 9-89. Il volume comprende anche scritti di J. Rancière e P. Macherey (tr. it. di R. Rinaldi e V. Oskian, del solo scritto di Althusser, L.A. e E. Balibar, Leggere Il Capitale, Milano,
Feltrinelli, 1968). 24. L'object du « Capital », in Lire le Capital, ii, cit., pp. 7-
185. Il volume comprende anche scritti di E. Balibar e R. Establet (tr. it. cit. dei soli
scritti di Althusser e Balibar). 25. Théorie, pratique théorique et formation
théorique. Idéologie et lutte idéologique, ciclostilato, Aprile (tr. spag. in « Casa de las
Americas », Habana, 1966, n. 34, pp. 5-31). 26. Matérialisme historique et Maté-
rialisme dialectique, « Cahiers Marxistes-Léninistes », 1966, n. 11, pp. 88-122.
27. Réponse de Louis Althusser ad André Daspre, in Deux lettres sur la con-
naissance de l'art, « La Nouvelle Critique », 1966, n. 175, pp. 141-146. 28. Sur
te Contrat social », «Cahiers pour l'Analyse », 1966, n. 8, pp. 5-42. 29. Crémo-
nini, peintre de l'abstraction, « Démocratie Nouvelle », 1966, n. 8, pp. 105-120 (tr. it. di F. Madonia, in L. CREMONINI, Mostra antologica, 1953-1969, Bologna, Alfa,
1969). 30. Sur le travail théorique. Difficultés et ressources, «La Pensée »,
1967, n. 132, pp. 3-22. 31. Prefazione alla 2' ediz. di L.A., La revolucion teo-
rica de Marx, Mexico, Siglo xxi, 1968. 32. An die deutschen Leser (1967), in
Für Marx, Frankfurt/M, Suhrkamp, 1968, pp. 7-15 (corrisponde alla prefazione anche
delle trad. inglese e svedese di Pour Marx). 33. Avertissement (1967), alla 2'
ediz. di Lire le « Capital », Paris, Petit collection Maspero, 1968 (tr. it. in n. 23). 34. Intervista rilasciata a M. A. Maciocchi, « l'Unità », 1° febbraio 1968 (tr. franc. col titolo La philosophie comme arme de la revolution, « La Pensée », 1968,
n. 138). 35. La filosofia la politica e la scienza, « Rinascita », xxv, 1968, 15
marzo, pp. 23-24. 36. Lénine et la philosophie, « Bulletin de la Société française
de Philosophie », 1968, n. 4, pp. 125-181. Poi, con lo stesso titolo, Paris, Maspero,
1969, 59 pp. (tr. it. n. 49). 37. A magyar olvasöhoz (Al lettore ungherese), in
L.A., Marx - az elmélet forradalma, Budapest, Kossuth, 1968, pp. 9-15 (in S. Karsz, Théorie et politique, Paris, Librairie A. Fayard, 1974, tr. it. di A. Cairoli, Bari, De-
dalo, 1976, pp. 333-339). 38. Comment lire « Le Capital », « L'Humanité »,
21 marzo 1969 (tr. it. in n. 66). 39. Avertissement aux lectures du Livre I du
«Capital », in K. Max,A Le Capital. Livre I, Paris, Garnier-Flammarion, 1969, pp.
5-13 (tr. it. di M. Ciampa e E. Donda, L.A., Introduzione al I libro del Capitale, Parma, Pratiche Editrice, 1977, con una prefazione di M. Ciampa ed in appendice un
saggio di P. Raymond). 40. Lettere a Maria Luisa Maciocchi, in M.L.M., Lettere
dall'interno del P.C.I. a Louis Althusser, Milano, Feltrinelli, 1969, pp. 3-6, 23-26,
53-65, 126-127, 331-361. 41. A propos de l'article de Michel Verret sur « Mai
Etudiant », « La Pensée », 1969, n. 145, pp. 3-14 (affronta gli stessi temi della lettera
del 15 marzo 1969, in n. 40, pp. 338-361).. 42. Idéologie et appareils idéologi-
ques d'Etat (Notes pour une recherche), « La Pensée », 1970, n. 151, pp. 3-38 (tr. it., « Critica Marxista », vin, n. 5, 1970; « Il piccolo Hans », n. 6-7, 1975; Sull'ideologia,
Bari, Dedalo, 1976). 43. Sur le rapport de Marx à Hegel (1968), in JACQUES
D'HONDT (a cura di), Hegel et la pensée moderne, Paris, n.u.F., 1970, pp. 85-111 (tr.
it. in n. 49). 44. Lenin devant Hegel (1969), in W. R. BEYER (a cura di), Hegel-
Jahrbuch 1968-1969, Meisenheim a. Glan, 1970, pp. 45-58 (tr. it. in n. 49). 45.
Lettera al traduttore del 19. Gennaio 1970, in L. A./E. BALIBAR, Reading Capital,
LOUIS ALTHUSSER 441
London, New Left Book, 1970, pp. 323-324. 46. Foreword (1970), in L.A.,
Lenin and Philosophy and other Essays, London, New Left Book, 1971, pp. 7-9 (tr. it.
in S. Karsz, op. cit., pp. 344-347). 47. Lettera al traduttore (di Freud et Lacan)
del 21 febbraio 1969, in n. 46, pp. 177-178. 48. Presentación (1971) alla nuova
edizione di MARTA HARNECKER, Los conceptos elementales del materialismo histórico,
Mexico, Siglo xxl, 19794°, pp. xi-xvi (tr. it. in S. Karsz, pp. 348-354). 49. Lénine
et la philosophie suivi de Marx et Lénine devant Hegel, Paris, Maspero, 1972, 91 pp. Raccoglie i nn. 36, 44, 43 (tr. it. di F. Madonia, L.A., Lenin e la filosofia. Seguito da: Sul rapporto fra Marx e Hegel. Lenin di fronte a Hegel, Milano, Jaca Book,
1972). 50. Sur une erreur politique. Les maîtres auxiliaires, les étudiants tra-
vailleurs et l'aggrégation de philosophie, « France Nouvelle », 1972, nn. 1393 e 1394,
pp. 9-12 e 10-13. 51. Reply to John Lewis (Self Criticism), « Marxism Today »,
xvi, 1972, nn. 10 e 11, pp. 310-318 e 343-349 (tr. it. in n. 53). 52. The con-
ditions of Marx's Scientific Discovery. On the New Definition of Philosophy (1970),
« Theoretical Practice », 1973, n. 7/8, pp. 4-11 (tr. it. in n. 60). 53. Réponse à
John Lewis, Paris, Maspero, 1973, pp. 99, che oltre al n. 51 comprende un Avertissement, p. 7; una Note sur « la critique du culte de la personnalité » (1972), pp. 69-90; una Remarque sur une catégorie: « procès sans Sujet ni Fin(s) » (1973), pp. 91-98 (tr. it. di F. Papa, L.A., Umanesimo e stalinismo, Bari, De Donato, 1973).
54. Intervento nella discussione su « I comunisti, gli intellettuali e la cultura », Festa dell'Humanité (Settembre 1973), ripreso in « France Nouvelle », 1973, n. 1453,
p. 11. 55. Prefazione a DOMINIQUE LECOURT, Une crise et son enjeu, Paris,
Maspero, 1973 (tr. it. D.L., Lenin e la crisi delle scienze, Roma, Editori Riuniti,
1974). 56. Testo ciclostilato del 1' maggio 1970, pubblicato in S. Karsz, op. cit.,
pp. 321-323 (tr. it. cit., pp. 340-343). 57. Lettera a Régis Debray a proposito
di Révolution dans la Révolution, del 1° marzo 1967, in R.D., La critique des armes,
i, Paris, Seuil, 1974, pp. 262-269. 58. Justesse et Philosophie, « La Pensée »,
1974, n. 176, pp. 3-8. Riprodotto in 59 (tr. it. n. 59). 59. Philosophie et Phi-
losophie Spontanée des Savants (1967), Paris, Maspero, 1974, 156 pp. Si tratta, con modifiche, dell'introduzione al Cours de philosophie pour scientifiques diretto da Althusser nel 1967-68 all'Ecole Supérieure (tr. it. di F. Fistetti, L.A., Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati, Bari, De Donato, 1976; in Appendice i nn. 37, 55,
46, 48, già pubblicati in S. Karsz, op. cit.). 60. Eléments d'autocritique, (1972),
Paris, Hachette, 1974, 127 pp. Comprende anche un Avertissement (1974), pp. 7-8; Eléments d'autocritique (1972), pp. 9-101; Sur l'évolution du jeune Marx (1970) che è la tr. franc. del n. 52, pp. 103-126 (tr. it. di N. Mazzini, L.A., Elementi
di autocritica, Milano, Feltrinelli, 1975). 61. Quelque chose de nouveau,
« L'Humanité », 12 ottobre 1974. 62. Les communistes et la philosophie,
« L'Humanité », 5 luglio 1975. 63. Est-il simple d'être marxiste en philoso-
phie? (Soutenance d'Amiens), « La Pensée », 1975, n. 183 (tr. it. in n. 66). 64.
Cartas sobre a revoluçào portuguesa (1975), Lissabon, Seara nova, 1976, 42 pp.
Carteggio con Luiz Francisco Rebello. 65. Histoire terminée, histoire intermi-
nable, prefazione a DOMINIQUE LECOURT, Lyssenko. Histoire réelle d'une « science prolétarienne », Paris, Maspero, 1976, pp. 7-9 (tr. it. di F. Grillenzoni, D.L., Il caso
Lyssenko, Roma, Editori Riuniti, 1977). 66. Positions (1964-1975), Paris, Édi-
tions Sociales, 1976, 173 pp. Comprende, oltre ad una Nota editoriale, i rm. 19, 34, 38, 48, 42, 63 (tr. it. L.A., Freud e Lacan, Roma, Editori Riuniti, 1977, a cura e
con Introduzione di Claudia Mancina) 67. La tran f ormación de la filosofia,
Granada, Propuesta, 1976, 46 pp. Conferenza tenuta alla Facoltà di Filosofia e Let-
tere dell'Università di Granada il 26 marzo 1976. 68. Über Marx und Freud
(1976), in L.A., Ideologie und ideologische Staatsapparate, West-Berlin, VSA, 1977,
pp. 89-107 (tr. it. in n. 75). 69. Anmerkung über die ideologischen Staats-
apparate (1976), in L.A., Ideologie und ideologische Staatsapparate, cit., pp. 154-
168. 70. 22ème congrès, Paris, Maspero, 1977, 71 pp. Conferenza tenuta alla
Sorbona il 16 dicembre 1976 su invito del « Cercle de philosophie de l'Union des
442 GIOVANNI MARI
étudiants communistes » (tr. it. parziale col titolo Il socialismo è la transizione, in
« Transizione », n, febbraio 1977). 71. Finalmente qualcosa di vitale si libera
dalla crisi e nella crisi del marxismo (1977), in Potere e opposizione nella società post-rivoluzionaria. Una discussione nella sinistra, Il Manifesto, Quaderno n. 8, Al-
fani editore, 1978, pp. 222-229. 72. La questione dello stato, oggi e nella tran-
sizione, intervista rilasciata a Rossana Rossanda, « Il Manifesto », 4 aprile 1978. Poi, col titolo, Il marxismo come teoria « finita », in AA.VV., Discutere lo Stato, Bari, De Donato, 1978, pp. 7-21 (tr. franc. col titolo La gauche malade des partis, « Dialecti-
ques », 1978, n. 23). 73. Des intellectuels communistes signent une lettre col-
lective pour réclamer « une véritable discussion politique » dans leur parti, Lettera di L.A., E. Balibar, G. Bois, G. Labica, J.-P. Lefebvre, M. Moissonier, « Le Monde »,
6 aprile 1978 (tr. it., « Il Manifesto », 7 aprile 1978). 74. Ce qui ne peut plus
durer dans le parti communiste: I. La strategie: le tournant dissimulé, « Le Monde », 25 aprile 1978; II. L'organisation, une machine à dominer, « Le Monde », 26 aprile 1978; III. L'idéologie: une caricature, « Le Monde », 27 aprile 1978; IV. Une solu-
tion: sortir de la fortesse, « Le Monde », 28 aprile 1978 (tr. it. in n. 75). 75. Ce
qui ne peut plus durer dans le parti communiste, Paris, Maspero, 1978, 125 pp. Comprende, oltre al n. 74, una Préface: Au lecteur, pp. 5-30 (tr. it. di F. Fenghi, L.A., Quel che deve cambiare nel partito comunista, Milano, Garzanti, 1978, che contiene
anche il n. 76 e la tr. del n. 68). 76. Il marxismo oggi, dalla voce marxismo
dell'Enciclopeda Europea, vol. vil, Milano, Garzanti, 1978, già in n. 75. 77. Al
« punto zero » della teoria, intervista rilasciata a G. Fanti, « Paese sera », 6 maggio
1978. 78. Avant-propos a G. DUMÉNIL, Le concepte de loi économique dans
« Le Capital », Paris, Maspero, pp. 7-26.
SCRITTI SU ALTHUSSER
Si danno qui di seguito solamente alcune indicazioni essenziali rimandando, per una informazione piú ampia alla bibliografia composta da F. Pogliani, Dopo Althusser, per Althusser (Bibliografia 1959-1978), « Materiali filosofici » 1979, n. 1.
Hanno dedicato dei numeri speciali ad Althusser le seguenti riviste: « Aut-Aut », 121, 1971; « Critique de l'économie politique », 9, 1972; « Radical America », 5, 1972; « Quadrangolo », gennaio, 1975; « Dialectiques », 15-16, 1976; « L'Homme et la Societé », 41-42, 1976.
Limitandosi agli scritti su Althusser pubblicati in volume: L. LOMBARDO RADICE, Socialismo e libertà, Roma, 1966; R. ARON, D'une sainte famille à l'autre. Essai sur les marxismes imaginaires (Sartre et Althusser), Paris, 1969 (tr. it., Milano, 1977); AA.VV., Structuralisme et marxisme, Paris, 1970; S. KARSZ ed altri, Lectura de Althusser, Buenos Aires, 1970; A. ROTES, Lectura de Marx por Althusser, Barcelona, 1971; 0. POMPEO FARACOVI, Il marxismo francese fra dialettica e struttura, Milano, 1971; A. SCHMIDT, Der strukturalistische Angriff auf die Geschichte, Suhrkamp Verlag, 1969 (tr. it. Milano, 1972); J. RANCIERE, La leçon d'Althusser, Paris, 1973; Ideologia e politica in Althusser, Milano, 1974; P.A. ROVATTI, Critica e scientificità in Marx. Per una lettura fenomenologica di Marx e una critica del marxismo di Althusser, Milano, 1973; AA.VV., Contre Althusser, Paris, 1974; S. KARSZ, Théorie et politique: L. Althusser, Paris, 1974 (tr. it., Bari, 1976); M. GLUCKSMANN, Structuralist analysis in contemporary social thougth. A comparison of the theories of C. Lévi-Strauss and L. Althusser, London and Boston, 1974; MACINTYRE TRISE, Althusser and Marxist theory, London, 1975; PROJEKT KLASSENANALYSE, L. Althusser, Marxistische Kritik am Stalinismus?, West Berlin, 1975; A. CALLINICOS, Althusser's mar-xism, London, 1976; P. FOUGEYROLLAS, Contre Lévy-Strauss, Lacan et Althusser. Trois essais sur l'obscurantisme contemporain, Paris, 1976; AA.VV., Discutere lo Stato, Bari, 1978; E. MANDEL, Réponse à L. Althusser et J. Elleinstein, Paris, 1979; COT-TEN, La pensée d'Althusser, Paris, 1979; A. SÁNCHEZ VAZQUEZ, Ciencia y revolución, Mexico, 1979.
 
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Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 7 Giorno: 31
Numero 4
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4


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