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da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] L. Gruppi, I rapporti tra pensiero ed essere nella concezione di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Luciano Gruppi
I RAPPORTI TRA PENSIERO ED ESSERE
NELLA CONCEZIONE DI A. GRAMSCI
Bene è affermato nel riassunto della relazione del prof. Luporini che, se « i punti di riferimento essenziali, le costanti, del pensiero di Gramsci rispetto ai classici del marxismo, sono da trovarsi nelle Tesi su Feuerbach
e nella Prefazione a Per la critica dell'economia politica,... il concetto leniniano di " egemonia "... segna la via di svolgimento attuale di questi punti di partenza ».
Gramsci, infatti, trova, il primo termine di distinzione tra quella che egli chiama filosofia della prassi (il marxismo) e le altre filosofie, prima ancora che nell'esame teoretico delle loro proposizioni, della loro coerenza logica e delle loro conseguenze speculative, nel modo in cui esse operano politicamente e sviluppano la loro funzione nella lotta per l'egemonia. Sicché, nelle analisi di Gramsci, si accompagna sempre ai rapporti tra i concetti un rapporto tra uomini, tra classi sociali, tra forze politiche in lotta, non per l'intrusione di elementi extrafilosofici, nel dibattito filosofico, ma per lo svolgimento coerente di un metodo di ricerca.
« Una delle maggiori debolezze delle filosofie immanentistiche in generale corsiste appunto nel non aver saputo creare una unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i " semplici " e gli intellettuali » 1.
Delle conseguenze solipsistiche dell'idealismo, a Gramsci interessa soprattutto e prima di tutto questa, dell'isolamento della teoria d[...]

[...] uomini, tra classi sociali, tra forze politiche in lotta, non per l'intrusione di elementi extrafilosofici, nel dibattito filosofico, ma per lo svolgimento coerente di un metodo di ricerca.
« Una delle maggiori debolezze delle filosofie immanentistiche in generale corsiste appunto nel non aver saputo creare una unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i " semplici " e gli intellettuali » 1.
Delle conseguenze solipsistiche dell'idealismo, a Gramsci interessa soprattutto e prima di tutto questa, dell'isolamento della teoria dalla pratica,
1 M. S,. p. 8.
166 I documenti del convegno
della svalutazione filosofica dell'esperienza, vale a dire dell'incapacità di educare larghi strati umani. Qui, prima di tutto, trova la contraddizione dell'idealismo: nel fatto che esso ha affermato una concezione monistica del mondo, unificato dalla ragione, e poi questa unità non ha saputo realizzare nella vita culturale delle masse. L'astrattezza dell'idealismo è comprovata dalla sua limitata capacità di egemonia.
« La posizione della filosofia della p[...]

[...]so comune, ma invece a condurli a una concezione superiore della vita. Se afferma l'esigenza del contatto tra intellettuali e semplici non è per limitare l'attività scientifica e per mantenere una unità al basso livello delle masse, ma appunto per costruire un blocco intellettuale e morale che renda politicamente possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi intellettuali » 1. Del dualismo della filosofia cattolica, a Gramsci importa prima di tutto criticare l'incapacità di realizzare l'elevamento dei « semplici » al livello di se stessa, vale a dire il limite della sua egemonia.
Del concetto di egemonia, che Lenin per primo trattò e sviluppò nei suoi aspetti politici, di strategia e di tattica rivoluzionaria, di fronte ai compiti pratici della rivoluzione, Gramsci elabora, nei suoi Quaderni del carcere, l'aspetto piú tipicamente filosofico, dell'unità che deve venire a stabilirsi per la forza egemone, quale condizione della sua egemonia stessa, tra la teoria e la pratica, tra il pensiero e l'essere.
La concezione dell'egemonia è il motivo conduttore di tutti gli insegnamenti di Gramsci. Sviluppando la concezione dell'egemonia Gramsci eredita tutta la preziosa lezione del leninismo e, muovendo da essa, supera le concezioni massimalistiche della lotta per il potere che esistono nel movimento operaio italiano. Questo motivo conduttore, questo tema centrale della ricerca gramsciana, esige che si tenti di svilupparne tutti gli aspetti e le conseguenze, non ultime quelle filosofiche, senza la comprensione delle quali, ci pare, qualche cosa dell'insegnamento di Gramsci sfuggirebbe. E Gramsci ce ne avverte: « La proposizione contenuta nell'introduzione alla " Critica dell'economia politica " che gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura sul terreno delle ideologie deve essere
1 M. S., p. 11.
Luciano GrupPi 167
considerata come un'affermazione di valore gnoseologico e non puramente psicologico e morale. Da ciò consegue che il principio teoricopratico dell'egemonia ha anche esso una portata gnoseologica e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporto teorico massimo di Ilic [Lenin) alla filosofia della prassi. Ilic avrebbe fatto progredire effettivamente la fil[...]

[...] l'apporto teorico massimo di Ilic [Lenin) alla filosofia della prassi. Ilic avrebbe fatto progredire effettivamente la filosofia come filosofia, in quanto fece progredire la dottrina e la pratica politica. La realizzazione di un apparato egemonico, in quanto crea un nuovo terreno ideologico, determina una riforma delle coscienze e dei metodi di conoscenza, è un fatto di conoscenza, un fatto filosofico » 1.
Da questa affermazione si scorge come Gramsci faccia, da un lato, dell'unità tra l'essere e il pensiero l'elemento decisivo dell'egemonia e faccia consistere, dall'altro, il valore filosofico dell'egemonia nell'unità che essa deve reali77are tra essere e pensiero, teoria e pratica.
Distaccata dal problema dell'egemonia, la questione dei rapporti tra essere e pensiero diventa per Gramsci, come per tutti i marxisti — ma con una consapevolezza che è in lui estremamente nitida — una questione che si isola dalla pratica, « una questione puramente scolastica » (Marx, Glosse a Feuerbach, glossa II). In Gramsci l'espressione ben nota « i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mu tarlo », si porta con lucida consapevolezza sul solo terreno su cui può diventare realtà: sul terreno della lotta per l'egemonia e dell'organizzazione delle forze politiche necessarie per la sua conquista e il suo esercizio.
Nell'affrontare il problema del rapporto del pensiero con l'essere, « il grande problema fondamentale di tutta la filosofia, e specialmente della filosofia moderna » 2, Gramsci ha di fronte e deve battere le concezioni dualistiche della metafisica tradizionale e l'i[...]

[...]pretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mu tarlo », si porta con lucida consapevolezza sul solo terreno su cui può diventare realtà: sul terreno della lotta per l'egemonia e dell'organizzazione delle forze politiche necessarie per la sua conquista e il suo esercizio.
Nell'affrontare il problema del rapporto del pensiero con l'essere, « il grande problema fondamentale di tutta la filosofia, e specialmente della filosofia moderna » 2, Gramsci ha di fronte e deve battere le concezioni dualistiche della metafisica tradizionale e l'idealismo. Su quest'ultimo egli concentra soprattutto la critica, perché esso rappresenta il « punto cui è giunto il pensiero mondiale piú progredito » 3, sotto la direzione della classe antagonista al proletariato.
Ma ha anche bisogno di sviluppare l'altro lato della propria critica: quello contro il determinismo economico. Infatti, poiché il concetto di
1 M. S., p. 39.
2 E. ENGELS, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Mosca, Ed. in lingue estere, 1947, p. 18.
3 M[...]

[...] il concetto di
1 M. S., p. 39.
2 E. ENGELS, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Mosca, Ed. in lingue estere, 1947, p. 18.
3 M. S., p. 4.
12.
168 I documenti del convegno
egemonia si ricollega a quello dell'unità tra essere e pensiero, questa stessa unità non può che essere concepita in polemica, da un lato, con l'idealismo, e, dall'altro, con il materialismo volgare.
Su questo aspetto della polemica gramsciana contro il materialismo volgare vorremmo soprattutto fermarci, prima di tutto perché la critica all'idealismo ci appare piú scontata e assimilata; in secondo luogo perché la polemica tra marxismo e materialismo volgare è, per molti aspetti, una polemica interna al movimento operaio e i conti, a un certo punto,. bisogna farli in casa; e in terzo luogo perché in genere molte delle critiche che si rivolgono al marxismo andrebbero in realtà indirizzate al materialismo meccanico.
Gramsci non manca di sottolineare la funzione positiva che il determinismo meccanico può svolgere in certe situazion[...]

[...] vorremmo soprattutto fermarci, prima di tutto perché la critica all'idealismo ci appare piú scontata e assimilata; in secondo luogo perché la polemica tra marxismo e materialismo volgare è, per molti aspetti, una polemica interna al movimento operaio e i conti, a un certo punto,. bisogna farli in casa; e in terzo luogo perché in genere molte delle critiche che si rivolgono al marxismo andrebbero in realtà indirizzate al materialismo meccanico.
Gramsci non manca di sottolineare la funzione positiva che il determinismo meccanico può svolgere in certe situazioni. Se egli critica l'idealismo e il determinismo meccanico, non si può tuttavia dire che egli ponga. l'uno e l'altro sullo stesso piano, in modo generale ed assoluto.
« Quando non si ha l'iniziativa nella lotta e la lotta stessa finisce quindi con l'identificarsi con una serie di sconfitte, il determinismo meccanico diventa una forza formidabile di resistenza morale, di coesione, di perseveranza paziente e controllata » 1. Ma questo vale appunto quando non vi è iniziativa nella latta, [...]

[...]stesso piano, in modo generale ed assoluto.
« Quando non si ha l'iniziativa nella lotta e la lotta stessa finisce quindi con l'identificarsi con una serie di sconfitte, il determinismo meccanico diventa una forza formidabile di resistenza morale, di coesione, di perseveranza paziente e controllata » 1. Ma questo vale appunto quando non vi è iniziativa nella latta, quando si deve e si può resistere soltanto. Il determinismo meccanicistico è, per Gramsci, una filosofia di classe subalterna. « Ma quando il " subalterno " diventa dirigente e responsabile dell'attività economica di massa, il meccanicismo appare ad un certo punto un pericolo imminente, avviene una revisione di tutto il modo di pensare, perché è avvenuto un mutamento nel modo sociale di essere » 2.
Il superamento del determinismo meccanicistico è dunque legato al passaggio della classe operaia da un ruolo subalterno ad un ruolo egemonico; e l'esercizio dell'egemonia esige il superamento di ogni residua di materialismo volgare nel modo di concepire il rapporto tra essere e pensier[...]

[...]o tra essere e pensiero, tra teoria e pratica. «... Nei piú recenti sviluppi della filosofia della prassi, l'approfondimento del concetto di unità della teoria e della pratica non è ancora che a una fase iniziale: rimangono ancora dei re
1 M. S., p. 13.
2 M. S., p. 14.
Luciano Gruppi 169
sidui di meccanicismo, poiché si parla di teoria come " complemento ", " accessorio » della pratica, di teoria come ancella della pratica » 1.
Lo sforzo di Gramsci sarà dunque quello di superare agni residuo meccanicistico per riuscire a stabilire la piú profonda unità tra teoria e pratica, essere e pensiero. Questo sforzo gli è necessario, ripetiamo, per portare avanti nel modo piú conseguente il principio dell'egemonia.
Dove trova Gramsci la base per giungere all'unità dell'essere e del pensiero?
Egli la trova nel carattere « creativo » del conoscere.
Ciò esige il superamento della concezione ricettiva e tutt'al piú ordinatrice del conoscere, propria della filosofia precedente all'idealismo z, e il superamento della concezione creativa del conoscere propria dell'idealismo.
« ... Cosa significa " creativo "? Significherà che il mondo esterno è creato dal pensiero?... Si può cadere nel solipsismo e infatti agni forma di idealismo cade nel solipsismo necessariamente »3.
Si tratta per Gramsci di sfuggire al solipsismo, alla co[...]

[...]noscere.
Ciò esige il superamento della concezione ricettiva e tutt'al piú ordinatrice del conoscere, propria della filosofia precedente all'idealismo z, e il superamento della concezione creativa del conoscere propria dell'idealismo.
« ... Cosa significa " creativo "? Significherà che il mondo esterno è creato dal pensiero?... Si può cadere nel solipsismo e infatti agni forma di idealismo cade nel solipsismo necessariamente »3.
Si tratta per Gramsci di sfuggire al solipsismo, alla concezione seconda cui l'affermata creatività del pensiero lo riduce ad essere creativo di se stesso, in un perpetuo circolo vizioso, necessariamente metastorico; si tratta di sfuggire « nello stesso tempo alle concezioni meccanicistiche che sono implicite nella concezione del pensiero come attività ricettiva e ordinatrice » . Per far questo « occorre porre la questione " storicisticamente " e nello stesso tempo porre a base della filosofia la " volontà" (in ultima analisi l'attività pratica e politica)» 4.
Tutta la filosofia di Gramsci tende a superare la con[...]

[...]o di se stesso, in un perpetuo circolo vizioso, necessariamente metastorico; si tratta di sfuggire « nello stesso tempo alle concezioni meccanicistiche che sono implicite nella concezione del pensiero come attività ricettiva e ordinatrice » . Per far questo « occorre porre la questione " storicisticamente " e nello stesso tempo porre a base della filosofia la " volontà" (in ultima analisi l'attività pratica e politica)» 4.
Tutta la filosofia di Gramsci tende a superare la concezione della obiettività come obiettività a sé stante, indipendente dall'uomo, vale a dire al di fuori della storia. Cosí Gramsci afferma che i fenomeni non sono « qualcosa di oggettivo, che esiste in sé e per sé » 5, ma « sono qualità che l'uomo ha distinto in conseguenza dei suoi interessi pratici ». Cosí egli ricava dal carattere sovrastrutturale della nostra conoscenza la conclusione che noi conosciamo nelle cose « niente altro che noi stessi, i nostri bi
1 M. S., p. 12.
2 M. S., p. 22.
3 M. S., p. 22.
4 M. S., p. 22.
5 M. S., p. 40.
I documenti del convegno
sogni e i nostri interessi » j. Così ancora afferma: « " oggettivo " significa proprio e solo questo: che si afferma essere oggettivo, realtà oggettiva,[...]

[...]o, ma quando si afferma che una realtà esisterebbe anche se non esistesse l'uomo o si fa una metafora o si cade in una forma di misticismo » 4.
A questo punto si presenta un problema che non può, a nostro parere, essere eluso piú oltre. Nel suo sforzo per elaborare il concetto leninista di egemonia, per ricavarne tutto il succo possibile — ciò che non può essere fatto senza porlo anche nei suoi termini filosofici di unità di essere e pensiero — Gramsci entra necessariamente in polemica con le posizioni del Bukharin. Ma una parte di questa polemica non giunge anche a toccare una serie di formulazioni filosofiche di Lenin? A noi pare di sì e ci pare che i1 relatore l'abbia riconosciuto là dove ha affermato che per Gramsci sembra esclusa la tesi del conoscere came riflesso. Ci sembra anche che sia; questo l'aspetto della questione che bisogna soprattutto affrontare, poiché qui si tratta non del raffronto delle posizioni di Gramsci con posizioni già superate, come in genere quelle del Bukharin, ma del raffronto del pensiero gramsciano con quanto v'è di piú alto e decisivo nel pensiero marxista; con un momento dal quale Gramsci ritiene di dover trarre una lezione di importanza essenziale.
Eludere tale raffronto significa in realtà evitare un giudizio definitivo sul pensiero gramsciano.
Una affermazione di Lenin — raffrontata a quelle di Gramsci da noi citate — basta a dimostrare la diversità delle posizioni.
i M. S., p. 41. M. S., p. 54. 4 M. S., p. 56. 4 M. S., p. 143.
Luciano Gruppi 171
« Il materialismo è l'ammissione degli " oggetti in sé " ossia fuori dell'intelletto; le idee e le sensazioni sono copie o riflessi di questi oggetti » 1.
Vi è da chiedersi se Lenin, nella sua polemica antidealista, e di questa soprattutto preoccupato, non rinunzi qui ad uno sviluppo conseguente, sul piano strettamente filosofico, della sua concezione dell'egemonia, non attenui e non rinunzi al carattere creativo della conoscenza cosí chiaramen[...]

[...]riocriticismo, Roma, 1953, p. 17.
2 LENIN, op. cit., p. 60.
172 1 documenti del convegno
sce per ridursi ad una aberrazione da buttare in un canto, a un momento del pensiero che è semplicemente da cancellare. Scartato a questo modo l'idealismo, « il rovesciamento della prassi » diventa impossibile, ed è naturale si torni al realismo ingenuo e si affermi che il materialismo lo pone a base della sua teoria della conoscenza. Per dirla in termini gramsciani, il realismo ingenuo, che può essere accomunato al senso comune, non deve piú essere superato criticamente nel « buonsenso » 1.
Posta la conoscenza come riflesso del mondo esterno — ritornati al realismo ingenuo — ci pare che alcuni capisaldi della filosofia marxista vengano meno.
Che ne è ad esempio dell'affermazione:
« Il difetto principale di ogni materialismo sino ad oggi... è che l'oggetto, reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività sensibile umana, come attività pratica, non soggettivamente » ? 2.
Concepito il conoscere co[...]

[...]n. 2.
Luciano Gruppi 173
A parer nostro la ragione di questo indebolimento di alcuni principi fondamentali della filosofia marxista va trovata nel fatto che, prevalendo in Lenin la concezione della conoscenza come riflesso, della idea come .copia, si attenua il principio secondo cui l'obiettività del conoscere è dimostrata dalla pratica.
Il contributo decisivo che Lenin ha dato al pensiero marxista con la sua concezione dell'egemonia e di cui Gramsci sottolinea il significato e la portata filosofica, pare interrompersi quando, dall'elaborazione del concetto di egemonia sul terreno della teoria politica, si passa alla sua formulazione piú strettamente filosofica, la quale esige che si affronti ii problema dei rapporti tra l'essere e il pensiero superando ogni residuo di concezioni dualistiche.
Gramsci si muove, proprio perché leninista, proprio perché gli preme sviluppare il concetto di egemonia in tutti i suoi aspetti — da quello della strategia e della tattica politica a quello della filosofia — nel senso di superare ogni residuo di dualismo, ogni residuo quindi di determinismo meccanico, di metafisica.
La domanda alla quale occorre necessariamente rispondere è se egli non cada, in questo suo sforzo, in posizioni idealistiche.
Ci pare di no. Ci pare che egli si muova nella direzione giusta, ove non si considerino proposizioni staccate (da quelli che sono ancora appunti, redatti per il [...]

[...]d esempio la proposizione — già da noi citata — che può, tra tutte le altre, suscitare piú dubbi: « " Oggettivo " significa proprio e solo questo: che si afferma essere oggettivo, realtà oggettiva, quella realtà che è accertata da tutti gli uomini, che è indipendente da ogni punto di vista che sia meramente particolare o di gruppo » 1.
Non si presenta essa come una proposizione tipicamente idealistica? Si tratta di vedere che cosa significa per Gramsci accertare una realtà, come si compia l'accertamento.
Per Gramsci la realtà è sempre accertata in modo storico. « La formulazione di Engels che " l'unità del mondo consiste nella sua materialità... dimostrata dal lungo, laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze na
1 M. S., p. 54.
174 I documenti del convegno
turali " contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva » .
« L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente [la sottolineatura è di Gramsci) unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di [...]

[...]che " l'unità del mondo consiste nella sua materialità... dimostrata dal lungo, laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze na
1 M. S., p. 54.
174 I documenti del convegno
turali " contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva » .
« L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente [la sottolineatura è di Gramsci) unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana » ... « Ciò che gli idealisti chiamano " spirito " non è un punto di partenza ma di arrivo, l'insieme delle sovrastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario, ecc. » j.
E dunque affermando la storicità del conoscere che Gramsci si distingue dall'idealismo; concependo la coscienza come risultato di tutto un processo storico e non come il presupposto di q[...]

[...]un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana » ... « Ciò che gli idealisti chiamano " spirito " non è un punto di partenza ma di arrivo, l'insieme delle sovrastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario, ecc. » j.
E dunque affermando la storicità del conoscere che Gramsci si distingue dall'idealismo; concependo la coscienza come risultato di tutto un processo storico e non come il presupposto di questo processo.
Va dunque affermata, al tempo stesso, la storicità dell'oggetto, che resta invece al di fuori della storia nelle concezioni del materialismo meccanico e del realismo in genere: « noi conosciamo la realtà solo in rapporto all'uomo e siccome l'uomo è divenire storico anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l'oggettività è un divenire, ecc. » 2.
La contrapposizione del marxismo all'idealismo, tuttavia, compiuta affermando la storicità de[...]

[...]nosciamo la realtà solo in rapporto all'uomo e siccome l'uomo è divenire storico anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l'oggettività è un divenire, ecc. » 2.
La contrapposizione del marxismo all'idealismo, tuttavia, compiuta affermando la storicità del conoscere, resterebbe ancora illusoria poiché anche l'idealismo afferma tale storicità. Bisogna andare ancora piú a fondo per cogliere la distinzione essenziale tra la posizione gramsciana — noi diciamo marxista — e quella idealistica: essa consiste nell'affermare che il processo storico è un processo di azione, in cui teoria e pratica si uniscono, per superare quelle contraddizioni della società che determinano il carattere sovrastrutturale della conoscenza, limitandone quindi la validità obiettiva; per giungere ad una società in cui non essendo piú alienato l'uomo, anche la conoscenza è libera da alienazioni.
Pare a noi quindi che la posizione gramsciana si stacchi da quella idealistica, diventi irriducibile all'idealismo, nello stesso modo in cui il Vico si staccava da o[...]

[...]rxista — e quella idealistica: essa consiste nell'affermare che il processo storico è un processo di azione, in cui teoria e pratica si uniscono, per superare quelle contraddizioni della società che determinano il carattere sovrastrutturale della conoscenza, limitandone quindi la validità obiettiva; per giungere ad una società in cui non essendo piú alienato l'uomo, anche la conoscenza è libera da alienazioni.
Pare a noi quindi che la posizione gramsciana si stacchi da quella idealistica, diventi irriducibile all'idealismo, nello stesso modo in cui il Vico si staccava da ogni possibilità di essere interpretato idealisticamente, quando, nella sua polemica anticartesiana, rifiutava di fare del pensiero il criterio della verità, ma tale criterio trovava nell'esperienza.
I M. S., p. 142.
2 M. S., p. 143.
Luciano Gruppi 175
Gramsci naturalmente va oltre e, dalla reciprocità del « vero » e del « fatto » , trae la fiducia che il pensiero sappia guidare Un azione capace di liberarlo dai limiti che lo stringono e la fiducia che l'azione, liberando il pensiero, tragga da questo nuova capacità creatrice, sicché sempre da un nuovo « fatato » proceda un nuovo « vero » e viceversa, in intima unità dialettica.
La storicità del conoscere è dunque caratterizzata in Gramsci dal suo carattere pratico, dal fatto che essa dimostra la propria validità nella pra tica stessa, la quale fa si che il conoscere si sviluppi sempre di piú nel proprio carattere creativo, e sempre piú si allontani da quel carattere di rifiesso, di copia, che gli era assegnato dal realismo ingenuo è che corrispondeva ad un'epoca in cui il minor sviluppo delle scienze, la minore consapevolezza della capacità trasformatrice dell'azione politica e i limiti reali di questa, avevano certamente messo meno in rilievo il carattere creativo del conoscere, in un'epoca anzi in cui il conoscere (e cosí l'[...]

[...]cere (e cosí l'agire umano) era effettivamente meno creativo. Ciò che caratterizza il marxismo è che in esso giunge a piena maturità la coscienza del carattere creativo del conoscere e dell'agire, e viene superato quanto vi era ancora di astratto, di teologico, nell'affermazione idealistica della creatività del conoscere medesimo. $ in questo senso che « il movimento operaio è l'erede della filosofia classica tedesca D.
Ci pare che il merito di Gramsci stia proprio nell'aver colto questi aspetti decisivi del marxismo e di aver collocato ál punto giusto la storicità della coscienza, collegandola alla lotta per l'egemonia.
« La coscienza di esser parte di una determinata forza egemonica (cioè la coscienza politica) è la prima fase per una ulteriore e progres siva autocoscienza in cui teoria e pratica finalmente si unificano. Anche l'unità di teoria e pratica non è quindi un dato di fatto meccanico, ma un divenire storico, che ha la sua fase elementare e primitiva nel senso di ".distinzione ", di " distacco", di indipendenza appena istintivo,[...]

[...]erente e unitaria » '.
Collegato il processo, per cui teoria e pratica diventano unitarie, alla conquista dell'egemonia, appare tutta la funzione del partito, come guida,.
1 M. S., p. 11.
176 I documenti del convegno
educatore, organizzatore della lotta per l'egemonia e appare qui il significato, il valore filosofico del partito: piú semplicemente la « filosoficità» del partito. Il « moderno principe », l'« intellettuale collettivo », di cui Gramsci parla, può ben essere considerato anche il demiurgo, grazie al quale si compie l'unirà della teoria e della pratica, del pensiero e dell'essere; un demiurgo che esce dalle ombre del mito e si fa corpo nella realtà della storia. Il partito è il filosofo collettivo come è il politico collettivo. È l'azione demiurgica del partito che consente al proletariato « di farsi erede della filosofia classica ».
In tutto ciò consiste essenzialmente la natura filosofica del partito e non solo nel fatto che esso possieda « una concezione del mondo », poiché in questo caso la sua filosoficità sarebbe ancora[...]

[...]ssumere quando ci si muove lungo questa linea di sviluppo del pensiero marxista, ci pare essere una riprova della validità di questa linea medesima. Ci pare invece che ove si insista, conducendo la polemica antiidealistica, prima di tutto sul carattere di riflesso, di copia del conoscere, anziché sul suo carattere creativo, la funzione del partito si appiattisca.
A riprova dell'argomentazione che abbiamo svolto per dimostrare che il pensiero di Gramsci non può essere in alcun modo ridotto all'idealismo, poniamo un altro quesito. Lenin afferma: « unica " proprietà " deIla materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza » 1.
Negare, come fa Gramsci, che l'obiettività dell'essere consista nel suo « esistere fuori della nostra coscienza », significa cadere nell'idealismo?
Si cade nell'idealismo quando si riduce l'essere al pensiero, in modo che ogni storicità, anche se affermata, in realtà si annulla nell'« idea
1 LENIN, Materialismo, cit., p. 243.
Luciano Gruppi 177
assoluta», nello spirito come atto puro e autoctisi — quindi metastorico — a cui inevitabilmente deve giungere l'idealismo portato coerentemente alle sue conseguenze.
Per evitare la conclusione idealistica è indispensabile affermare « una realtà obiettiva, che esiste fuo[...]

[...]pia del reale, perché altrimenti verrebbe a cadere ogni possibilità di una attività pratica, creatrice, trasformatrice che come tale esige sempre il soggetto e l'oggetto, il soggetto trasformante e l'oggetto trasformato, la capacità di obiettivarsi del soggetto, in quanto esso trasforma l'oggetto, e la soggettività dell'oggetto in quanto in esso opera la capacità trasformatrice del soggetto. È nella pratica — ce io dice Engels, come ce lo ripete Gramsci — che si scioglie il noumeno. È dunque l'affermazione della praticità del conoscere, quella che consente di difenderne la storicità, di affermare la storicità della coscienza, e insieme quella della realtà obiettiva, la storicità dell'unità tra teoria e pratica, e di ritrovare nello storicismo conseguente del materialismo, indissolubilmente legata alla praticità del pensiero, il tratto che lo distingue in modo decisivo dall'idealismo.
Insieme alla praticità del conoscere, impedisce ogni assimilazione del
178 I documenti del convegno
pensiero gramsciano all'idealismo, l'affermazione che ess[...]

[...]nte di difenderne la storicità, di affermare la storicità della coscienza, e insieme quella della realtà obiettiva, la storicità dell'unità tra teoria e pratica, e di ritrovare nello storicismo conseguente del materialismo, indissolubilmente legata alla praticità del pensiero, il tratto che lo distingue in modo decisivo dall'idealismo.
Insieme alla praticità del conoscere, impedisce ogni assimilazione del
178 I documenti del convegno
pensiero gramsciano all'idealismo, l'affermazione che esso compie del carattere sovrastrutturale del conoscere, che non è che un modo di definirne e precisarne il carattere pratico.
Affermare il carattere sovrastrutturale del conoscere significa partire dall'esperienza storica, accertare storicamente come la struttura abbia preceduto la sovrastruttura, per poi giungere ad affermare un principio di valore gnoseologico quale è questo del carattere sovrastrutturale del conoscere. Affermare una sovrastruttura significa quindi accertare un fatto obiettivo. Significa attribuire al carattere di « attività » del con[...]

[...]o richiamarci al fatto che l'unità tra essere e pensiero non è data meccanicamente, ma si compie storicamente, per rilevare come, man mano che si sviluppa la capacità egemonica della classe, si attua anche la consapevolezza dei rapporti di produzione e di scambio, delle leggi obiettive che li regolano e quindi la capacità di dirigerli basandosi su quelle leggi.
Naturalmente anche il concetto di materia si evolve e approfondisce nella concezione gramsciana.
Lenin può apparire del tutto vicino al vecchio materialismo meccanico quando afferma che il « pensiero è una funzione del cervello » e nulla piú; quando non si pone la questione del salto qualitativo che pur si compie tra i processi fisiologici del cervello e un processo che è difficilmente analizzabile coi soli mezzi di indagine della fisiologia, quale è il pensiero. Ci pare che il salto dialettico che si compie dai processi fisiologici del cervello al pensiero debba essere ricercato nel fatto che il pensiero è un rapporto. Su questo carattere del pensiero, come rapporto, Gramsci insist[...]

[...] » e nulla piú; quando non si pone la questione del salto qualitativo che pur si compie tra i processi fisiologici del cervello e un processo che è difficilmente analizzabile coi soli mezzi di indagine della fisiologia, quale è il pensiero. Ci pare che il salto dialettico che si compie dai processi fisiologici del cervello al pensiero debba essere ricercato nel fatto che il pensiero è un rapporto. Su questo carattere del pensiero, come rapporto, Gramsci insiste nel suo sforzo di superare ogni residuo di materialismo meccanico. « Che la natura umana sia il " complesso dei rapporti sociali " è la risposta piú soddisfacente, perché include l'idea del divenire: l'uomo diviene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali e perciò nega l'" uomo in generale " » 2.
Lenin afferma che « l'unica "proprietà" della materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la possibilità di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza ». Abbiamo già detto della critica gnoseologica a cui, a nostro parer[...]

[...]e storicamente organizzata per la produzione e quindi la scienza naturale come essenzialmente una categoria storica, un rapporto umano » 1.
La materia viene perciò ridotta all'economia, ai rapporti di produzione e di scambio, ad una realtà storica che è opera dell'uomo, che può essere affermata in quanto l'uomo entra in rapporto con essa e la cui obiettività è dimostrata, nella pratica, dalla lotta per mutarla.
Qui direi si compie lo sforzo di Gramsci per uscire dal materialismo meccanico proprio mentre conduce la sua polemica contro l'idealismo, per sviluppare nel modo piú conseguente la concezione marxista della creatività del conoscere.
Pare a noi che Gramsci si ricolleghi all'elevata temperie filosofica del momento in cui il marxismo ruppe il cordone ombelicale con l'idealismo e con ogni forma di metafisica comunque mascherata. Gramsci si ricollega direttamente al momento altissimo delle Glosse a Feuerbach, la cui validità Marx ed Engels tennero sempre a confermare. Ritorna nella concezione di Gramsci la ricchezza, che pare inesauribile, della prima tesi e che cosí chiaramente afferma che l'oggetto deve essere concepito non solo come tale, ma « come attività sensibile umana, come attività pratica » . L'©g
1 M. S., p. 160.
Luciano Gruppi 181
getto deve essere concepito anche « soggettivamente ». Qui all'idealismo viene chiaramente rivendicato il merito — di fronte al materialismo di Feuerbach — di aver sviluppato il lato attivo del conoscere (mentre si critica naturalmente il carattere astratto che il conoscere mantiene nell'idealismo). Qui Feuerbach viene criticato perché non concepisce[...]

[...]. S., p. 160.
Luciano Gruppi 181
getto deve essere concepito anche « soggettivamente ». Qui all'idealismo viene chiaramente rivendicato il merito — di fronte al materialismo di Feuerbach — di aver sviluppato il lato attivo del conoscere (mentre si critica naturalmente il carattere astratto che il conoscere mantiene nell'idealismo). Qui Feuerbach viene criticato perché non concepisce la attività umana medesima come « oggettiva ».
Nel fatto che Gramsci si mantenga al livello di questo filone del pensiero marxista va ricercata la sostanza leninista della sua concezione, il suo conseguente leninismo. Esso risiede nella capacità di comprendere — aI di là e grazie anche alla sua polemica con una serie di proposizioni filosofiche di Lenin — come il concetto leninista di egemonia consenta di superare radicalmente ogni determinismo economico, in filosofia, come ogni massimalismo, che in politica impacci la funzione egemone della classe operaia. È grazie anche a tutto ciò che Gramsci è riuscito a trarre tanto frutto dalla concezione leninista dell'[...]

[...]a sostanza leninista della sua concezione, il suo conseguente leninismo. Esso risiede nella capacità di comprendere — aI di là e grazie anche alla sua polemica con una serie di proposizioni filosofiche di Lenin — come il concetto leninista di egemonia consenta di superare radicalmente ogni determinismo economico, in filosofia, come ogni massimalismo, che in politica impacci la funzione egemone della classe operaia. È grazie anche a tutto ciò che Gramsci è riuscito a trarre tanto frutto dalla concezione leninista dell'egemonia.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] N. Bobbio, Nota sulla dialettica in Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Norberto Bobbio
NOTA SULLA DIALETTICA IN GRAMSCI
1. Il tema centrale per lo studio del marxismo teorico è pur sempre il tema della dialettica. Che significa « dialettica »? Che significa, in particolare, « dialettica » nel linguaggio marxistico? Ha il termine « dialettica » un significato univoco? Se ha piú significati, qual rapporto vi è tra gli uni e gli altri? Se alcuni significati sono tra loro eterogenei, è legittimo, o almeno opportuno, l'uso di un termine unico? Nonostante il numero incalcolabile di pagine scritte sull'argomento, rimangono pur sempre zone d'ombra, che meriterebbero di essere illuminate con metodo analitico rigoroso.[...]

[...] di un termine unico? Nonostante il numero incalcolabile di pagine scritte sull'argomento, rimangono pur sempre zone d'ombra, che meriterebbero di essere illuminate con metodo analitico rigoroso. Si ha l'impressione che nel linguaggio quotidiano del marxismo il termine « dialettica » abbia eccessiva fluidità, e nasconda tra le sue pieghe significati vari mal connettibili tra loro, che sono poi la maggior fonte di confusione e d'inutili dispute.
Gramsci è uno scrittore marxista. Usa egli il termine « dialettica » e come lo usa? Ha il termine « dialettica » nel suo linguaggio un significato univoco? Quali sono i diversi significati del termine nel linguaggio gramsciano? Tra i diversi significati, quali sono i prevalenti? Ha il concetto di dialettica rilievo nel pensiero di Gramsci? È un concetto centrale o marginale nel suo sistema dottrinale? Quale uso egli ne fa e per risolvere quali problemi? Non mi pare che il tema della dialettica in Gramsci sia stato sinora affrontato con l'attenzione che l'importanza del concetto richiede. Eppure per comprendere la filosofia di uno scrittore marxista è utile cominciare dal concetto ch'egli ha della dialettica e dall'ufficio che gli assegna.
Non pretendo con questa nota di rispondere esaurientemente a
74 I documenti del convegno
tutte le domande che mi son poste, bensí, soltanto, di avviare una ricerca che potrà servire da contributo a quello studio minuto e organico sulla filosofia di Gramsci, che, se non sbaglio, dopo i primi studi esplorativi e alcuni saggi parziali, non è ancora stato scr[...]

[...]one che l'importanza del concetto richiede. Eppure per comprendere la filosofia di uno scrittore marxista è utile cominciare dal concetto ch'egli ha della dialettica e dall'ufficio che gli assegna.
Non pretendo con questa nota di rispondere esaurientemente a
74 I documenti del convegno
tutte le domande che mi son poste, bensí, soltanto, di avviare una ricerca che potrà servire da contributo a quello studio minuto e organico sulla filosofia di Gramsci, che, se non sbaglio, dopo i primi studi esplorativi e alcuni saggi parziali, non è ancora stato scritto. Questa nota consiste semplicemente nella raccolta di passi sulla dialettica, tratti dai Quaderni — raccolta che non presumo completa —, ordinata intorno a tre problemi: 1°. quale importanza Gramsci assegna al concetto di dialettica; 2°. quali diversi significati il termine assume nel discorso gramsciano; 3°. quale funzione il concetto di dialettica esplica nella parte distruttiva e costruttiva del suo pensiero.
2. Si può dire senza esitazione che Gramsci assegna alla dialettica un'importanza fondamentale. Il passo piú significativo si trova là dove, discutendo la svalutazione della tecnica compiuta dal Croce nel campo dell'arte e della logica, esce in questa osservazione: « Anche per la dialettica si presenta lo stesso problema; essa è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, ma è anche perciò una nuova tecnica » 1. Non ci interessa qui la questione della tecnica; ci interessa l'affermazione che per Gramsci la dialettica è un nuovo modo di pensare, anzi una nuova filosofia. In questo senso egli si riallaccia alla nota tesi marxiana ed e[...]

[...]la dialettica un'importanza fondamentale. Il passo piú significativo si trova là dove, discutendo la svalutazione della tecnica compiuta dal Croce nel campo dell'arte e della logica, esce in questa osservazione: « Anche per la dialettica si presenta lo stesso problema; essa è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, ma è anche perciò una nuova tecnica » 1. Non ci interessa qui la questione della tecnica; ci interessa l'affermazione che per Gramsci la dialettica è un nuovo modo di pensare, anzi una nuova filosofia. In questo senso egli si riallaccia alla nota tesi marxiana ed engelsiana, secondo cui il metodo dialettico era stato il lato rivoluzionario di Hegel, e aveva segnato una svolta nella storia della filosofia. Il legame tra dialettica e rivoluzione filosofica compiuta dal marxismo, è ribadito ancor piú esplicitamente in un passo, anch'esso di origine engelsiana, nella polemica con Bukharin: « La funzione e il significato della dialettica possono essere concepiti in tutta la loro f ondamentalitd, solo se la filosofia della prassi[...]

[...]ocietà » 2. Questa « fondamentalità » della funzione e del significato della dialettica diventa uno degli argomenti principali, come vedremo meglio in seguito, contro Bukharin, il quale, nella sua presentazione del
1 M. S., p. 61. Il corsivo è mio.
2 M. S., p. 132. Il corsivo è mio.
Norberto Bobbio 75
materialismo storico, distinguendo la filosofia, come scienza della dialettica, dalla dottrina della storia e della politica, avrebbe, secondo Gramsci, sottovalutato l'importanza della dialettica, facendone una sottospecie della logica formale, mentre essa è una nuova logica, anzi una nuova teoria della conoscenza: « Posta cosí la quistione [come la pone Bukharin), non si capisce piú l'importanza e il significato della dialettica che, da dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica, viene degradata a una sottospecie di logica formale, a una scolastica elementare » 1. 'Il concetto di Gramsci mi par questo: che la separazione del capitolo sulla dialettica dalla trattazione dei problemi stori[...]

[...]ica, facendone una sottospecie della logica formale, mentre essa è una nuova logica, anzi una nuova teoria della conoscenza: « Posta cosí la quistione [come la pone Bukharin), non si capisce piú l'importanza e il significato della dialettica che, da dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica, viene degradata a una sottospecie di logica formale, a una scolastica elementare » 1. 'Il concetto di Gramsci mi par questo: che la separazione del capitolo sulla dialettica dalla trattazione dei problemi storici ed economici impedisce al metodo dialettico di mostrare tutta la sua potenza inventiva e costruttiva. Altrove, infatti, precisa che nella scienza della dialettica o gnoseologia, come lui la intende, « i concetti generali di storia, di politica, di economia si annodano in unità organica » 2; e quindi essa non può essere separata, come teoria del metodo, dall'applicazione del metodo ai problemi dell'interpretazione storica, economica e politica. Ciò gli permette di condannare la « concezione m[...]

[...]pura filosofia, la scienza della dialettica, e che le altre parti sono l'economia e la politica, per cui si dice che la dottrina è formata di tre parti costitutive, che sono nello stesso tempo il coronamento e il superamento del grado piú alto che verso il '48 aveva raggiunto la scienza delle nazioni piú progredite d'Europa: la filosofia classica tedesca, l'economia classica inglese e l'attività e scienza politica francese » 3. Con queste parole Gramsci condanna la disintegrazione dell'unità del materialismo storico; unità che egli ritiene fondata esclusivamente sull'uso del metodo dialettico.
Si osservi che questa insofferenza per la separazione della dialettica « come specie di logica formale », dal corpo delle dottrine marxistiche, è ribadita anche a proposito della Storia del materialismo del Lange. Gramsci ritiene che quest'opera sia stata la causa di alcune grossolane interpretazioni materialistiche del marxismo, le quali hanno fatto del marxismo una dottrina materialistica corretta dalla dialettica, ma, ciò
M. S., p. 132.
2 M. S., p. 129.
3 M. S., pp. 128129.
76 I documenti del convegno
facendo, — qui ritorna il suo concetto principale — si è assunta la dialettica come « un capitolo della logica formale e non come essa stessa una logica, cioè una teoria della conoscenza » 1.
Proprio perché la dialettica è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, è un modo di pensare difficile, non[...]

[...]e difficile, in quanto il pensare dialetticamente va contro il volgare senso comune che è dogmatico, avido di certezze perentorie ed ha la logica formale come espressione » 2. Parlando del dilettantismo filosofico parla « della mancanza di senso storico nel cogliere i diversi momenti di un processo di sviluppo culturale, cioè di una concezione antidialettica, dogmatica, prigioniera degli schemi astratti della logica formale » 3.
L'interesse che Gramsci aveva per il problema della dialettica può anche essere testimoniato dal progetto che egli andava accarezzando di approfondirne lo studio: in un passo bibliografico sono citate, come opere da cercare, la Dialettica dei Padri Liberatori e Corsi, e i due volumi Dialettica di Baldassarre Labanca, oltre al capitolo « Dialettica e logica » nei Problemi fondamentali del marxismo di Plekhanov 4.
3. Quanto all'uso del termine « dialettica » (e derivati), si trovano nella pagine di Gramsci i diversi significati che il termine ha assunto nel linguaggio marxistico. Si possono distinguere almeno due sig[...]

[...]ialettica può anche essere testimoniato dal progetto che egli andava accarezzando di approfondirne lo studio: in un passo bibliografico sono citate, come opere da cercare, la Dialettica dei Padri Liberatori e Corsi, e i due volumi Dialettica di Baldassarre Labanca, oltre al capitolo « Dialettica e logica » nei Problemi fondamentali del marxismo di Plekhanov 4.
3. Quanto all'uso del termine « dialettica » (e derivati), si trovano nella pagine di Gramsci i diversi significati che il termine ha assunto nel linguaggio marxistico. Si possono distinguere almeno due significati fondamentali: il significato di « azione reciproca » e quello di « processo per tesi, antitesi e sintesi ». Il primo significato appare quando l'aggettivo « dialettico » è unito a « rapporto », « nesso », e forse anche « unità »; il secondo, quando è unito a « movimento », « processo », « sviluppo ». È inutile dire che i due significati sono nettamente diversi. Quando parlo, poniamo, del nesso dialettico tra uomo e natura, voglio intendere che l'uomo agisce sulla natura e l[...]

[...]ndo, mi contrappongo a chi sostenesse essere la società borghese il prodotto di un'evoluzione della società feudale. A questi due significati Engels, nella Dialettica della natura, ne aggiunge un altro. Per Engels le leggi della dialettica sono tre, vale a dire, oltre alle leggi della compenetrazione degli opposti (azione reciproca) e della negazione della negazione, anche quella « della conversione della quantità in qualità e viceversa » J.
In Gramsci si trovano tutti e tre i significati. Nel senso di azione reciproca, direi che il termine « dialettica » viene usato, ad esempio, nell'espressione « dialettica intellettualimassa » 2. Il significato dell'espressione è che intellettuali e massa non sono termini senza relazione, e neppure a relazione univoca, ma sono termini a relazione biunivoca, nel senso che, come gli intellettuali influiscono sulla massa dando ad essa la consapevolezza teorica delle sue aspirazioni, cosí la massa in fluisce sugli intellettuali, dando ad essi, con l'espressione dei propri bisogni, una funzione storica reale.[...]

[...] a relazione biunivoca, nel senso che, come gli intellettuali influiscono sulla massa dando ad essa la consapevolezza teorica delle sue aspirazioni, cosí la massa in fluisce sugli intellettuali, dando ad essi, con l'espressione dei propri bisogni, una funzione storica reale. Gl'intellettuali decadono quando il nesso si rompe. Del resto, questo rapporto tra intellettuali e massa non è che un aspetto del rapporto fondamentale per il marxismo e per Gramsci, a cui si applica il principio dell'azione reciproca, voglio dire del rapporto fra teoria e pratica. Parlando di identità di teoria e pratica, Gramsci intende identità dialettica nel senso di teoria che si giustifica praticamente e di pratica che si giustifica teoricamente. Leggo il passo che mi sembra piú significativo: « Se il problema di identificare teoria e pratica si pone, si pone in questo senso: di costruire su una determinata pratica una teoria che, coincidendo e identificandosi con gli elementi decisivi della pratica stessa, acceleri il processo storico in atto, rendendo
1 Dialettica della natura, trad. it., Roma, ed. Rinascita, 1950, . p. 32.
2 M. S., p. 12.
78 I documenti del convegno
la pratica piú omogenea, coerente, effic[...]

[...]ndo
1 Dialettica della natura, trad. it., Roma, ed. Rinascita, 1950, . p. 32.
2 M. S., p. 12.
78 I documenti del convegno
la pratica piú omogenea, coerente, efficiente in tutti i suoi elementi, cioè potenziandola al massimo, oppure, data una certa posizione teorica, di organizzare l'elemento pratico indispensabile per la sua messa in opera » 1. Peraltro, l'uso piú 'frequente del termine «dialettica», inteso come azione reciproca, si trova in Gramsci a proposito del rapporto strutturasuperstruttura, cioè di quel composto o sintesi ch'egli chiama
blocco storico ». 'Si può dire che per « blocco storico » Gramsci intenda il risultato, in una certa situazione storica, del rapporto dialettico di struttura e di superstruttura. In im celebre passo, dove egli dice che « la struttura e le superstrutture formano " un blocco storico " » , e spiega quali sono le condizioni storiche necessarie perché l'ideologia trasformi la realtà, ciò che esprime, in termini hegeliani, dicendo che il razionale si fa reale, conclude: < Il ragionamento si basa sulla reciprocità necessaria tra struttura e superstrutture (reciprocità che è appunto il processo dialettico reale) » 2.
L'uso di gran lunga piú frequente e indubbiamen[...]

[...] " » , e spiega quali sono le condizioni storiche necessarie perché l'ideologia trasformi la realtà, ciò che esprime, in termini hegeliani, dicendo che il razionale si fa reale, conclude: < Il ragionamento si basa sulla reciprocità necessaria tra struttura e superstrutture (reciprocità che è appunto il processo dialettico reale) » 2.
L'uso di gran lunga piú frequente e indubbiamente anche piú importante del termine « dialettica » nel linguaggio gramsciano è quello corrispondente al significato di « processo tesiantitesisintesi ». Aggiungiamo che è anche il significato piú genuinamente hegelianomarxistico; basti pensare che confluisce nel concetto di « divenire » . Proprio a proposito del divenire, della distinzione fra progresso e divenire, ci si imbatte in quest'uso del termine: « Nel " divenire " si è cercato di salvare ciò che di piú concreto è nel " progresso ", il movimento e anzi il movimento dialettico (quindi anche un approfondimento, perché il progresso è legato alla concezione volgare dell'evoluzione) » 3. È chiaro che qui con « m[...]

[...] puramente terminologica, che la dialettica come concezione della storia (e della natura) è legata strettamente all'idea che la realtà storica (e, secondo le interpretazioni del marxismo, anche quella naturale) sia contraddittoria,
e che la dialettica sia lo strumento adeguato per comprenderla, e, cornprendendola, superarne le contraddizioni. Ora, il rapporto fra filosofia
e consapevolezza delle contraddizioni è sempre presente nel pensiero di Gramsci, nel quale il marxismo è, in quanto filosofia, superiore alle filosofie precedenti, e quindi anche allo hegelismo, solo nella misura in cui ha acquistato piú piena consapevolezza delle contraddizioni, e si pone, anzi, da se stesso came un elemento della contraddittorietà della storia. « In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma
e uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente
o inteso come [...]

[...] uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente
o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenze e quindi di azione » 1.
Non manca, infine, in Gramsci il riferimento del termine « dialettica » al principio o legge del passaggio dalla quantità alla qualità. Ne parla ripetutamente nella critica al materialismo volgare di Bukharin. In un passo, lamenta che il Saggio popolare non sciolga uno dei nodi teorici del marxismo, vale a dire, appunto « come la filosofia della prassi abbia " concretato " la legge hegeliana della quantità che diventa qualità » 2. Altrove si vale del principio in funzione polemica contro l'evoluzionismo volgare « che non può conoscere il principio dialettico col passaggio della quantità alla qualità » 3; altrove, ancora, [...]

[...]col passaggio della quantità alla qualità » 3; altrove, ancora, contro la teoria della previsione nella storia, che parte dal presupposto che le forze contrastanti siano riducibili a quantità fisse, mentre cid non accade perché « la quantità diventa continuamente qualità » 4.
1 M. S., pp. 9394. Il corsivo è mio.
2 M. S., p. 163.
3M.S.,p.125.
4 M. S., p. 135.
80 I documenti del convegno
4. La funzione del concetto di dialettica nel pensiero gramsciano è centralissima, ed è legata quasi esclusivamente al secondo significato sopra illustrato che è, come si è detto, il significato genuino hegelianomarxistico. Il concetto di dialettica serve a Gramsci per caratterizzare il marxismo come filosofia nuova, e a dare battaglia, secondo l'interpretazione di Marx piú volte ripetuta da Engels, su due fronti: contro l'idealismo hegeliano, che è dialettico, sí, ma fa un uso speculativo della dialettica, e contro il materialismo volgare che è, sí, antidealistico, ma non è dialettico. Hegel, per Gramsci, ha avuto il merito di presentare tutte in una volta, seppure in un romanzo filosofico, le contraddizioni che prima risultavano soltanto dall'insieme dei sistemi. Ha dialettizzato i due momenti della vita del pensiero, materialismo e spiritualismo, ma in modo speculativo, onde è risultato il famoso uomo che cammina sulla testa.
I continuatori di Hegel hanno distrutto l'unità dialettica, ed è toccato alla filosofia della prassi di ricostruirla, ma questa volta ponendo l'uomo sulle gambe 1. Quanto al materialismo tradizionale, il suo vizio fondamentale è di essere evoluzionistico, cioè, appunt[...]

[...] della prassi è toccato lo stesso destino della filosofia di Hegel, cioè di scindersi, e « dall'unità dialettica si è ritornati da una parte al materialismo filosofico, mentre l'alta cultura moderna idealistica ha cercato di incorporare ciò che della filosofia della prassi le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir » 2, la battaglia su due fronti continua, e spetta ad una ripresa genuina della filosofia della prassi (è il compito che Gramsci si pone) di ricostruire l'unità dialettica perduta.
Com'è noto, nei frammenti gramsciani il fronte materialistico è rappresentato da Bukharin, quello idealistico da Croce. Nei rispetti di Bukharin e di Croce, Gramsci rinnova le critiche che Marx ed Engels avevano mosso rispettivamente al materialismo meccanicistico e alla filosofia di Hegel. Quale rimprovero muove, fra gli altri, Gramsci a Bukharin? Uno dei rimproveri è proprio di aver trascurato la dialettica:
1 M. S., pp. 9394 e 87.
2 M. S., p. 87.
Norberto Bobbio 81
« Nel Saggio manca una trattazione qualsiasi della dialettica. La dialettica viene presupposta, molto superficialmente, non esposta, cosa assurda in un manuale che dovrebbe contenere gli elementi essenziali della dottrina trattata... » 1. Questa mancanza si può spiegare, secondo Gramsci, con due motivi, uno di carattere teorico, l'incomprensione da parte di Bukharin della funzione della dialettica, e l'altro di carattere psicologico, la difficoltà del pensiero dialettico che va contro il senso comune, di fronte al quale Bukharin ha capitolato. La mancanza dunque non è casuale: in realtà il vizio principale del pensiero di Bukharin ,è, per Gramsci, di non essere un pensiero dialettico, e un pensiero non dialettico è un pensiero meccanicistico e pretende di far previsioni storiche al pari di quelle che fa lo scienziato della natura, e cosí facendo ottunde il senso storico, snerva la lotta, ostacola o ritarda ogni forma di intervento attivo nella storia. Analoga critica, si osservi, è rivolta al Bernstein: « L'affermazione del Bernstein secondo cui il movimento è tutto e il fine è nulla, sotto l'apparenza di una interpretazione " ortodossa " della dialettica, nasconde una concezione meccanicistica della vita e del movimento storico: le f[...]

[...]il fine è nulla, sotto l'apparenza di una interpretazione " ortodossa " della dialettica, nasconde una concezione meccanicistica della vita e del movimento storico: le forze umane sono considerate come passive e non consapevoli, come un elemento non dissimile dalle cose materiali, e il concetto di evoluzione volgare, nel senso naturalistico, viene sostituito al concetto di svolgimento e di sviluppo » '2.
Per quel che riguarda l'atteggiamento di Gramsci verso Croce, è noto che per lui fare i conti colla filosofia crociana voleva dire compiere la stessa opera distruttivacostruttiva, di critica e di inveramento, che Marx aveva compiuto con Hegel, anche se talora il novello Hegel gli si presenta piuttosto nelle vesti di un nuovo signor Dühring 3. Chi abbia presenti le pagine che il giovane Marx dedica alla critica della filosofia speculativa di Hegel (pagine che peraltro Gramsci non poteva conoscere), troverà frequenti analogie in alcune pagine che Gramsci dedica a Croce. Il vizio fondamentale della filosofia di Croce è per Gramsci di essere ancora una filosofia speculativa, e in tal modo egli ritorce l'accusa che Croce aveva mosso al marxismo di essere una filosofia teologizzante per
1 M. S., p. 132. Il corsivo è mio.
2 P., p. 190.
3 Si veda, ad esempio, M. S., pp. 44, 200.
82 I documenti del convegno
aver ripresentato nella struttura il principio di un dio ascoso 4. Basterà ricordare un passo fra i molti che si potrebbero scegliere: « La filosofia del Croce rimane una filosofia " speculativa " e in ciò non è solo una traccia di trascendenza e di teologia, ma è tutta la trascendenza e la teologia, appena liberate [...]

[...] scegliere: « La filosofia del Croce rimane una filosofia " speculativa " e in ciò non è solo una traccia di trascendenza e di teologia, ma è tutta la trascendenza e la teologia, appena liberate dalla piú grossolana scorza mitologica » 2. Solo la filosofia della prassi si è liberata da ogni residuo di trascendenza ed è storicismo assoluto. « Lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa » 3. Ma che intende dire Gramsci quando parla della filosofia crociana come filosofia speculativa? Uno dei sensi di questa accusa si ricollega ancora una volta al concetto di dialettica. C'è in Gramsci il sospetto che la dialettica di Croce sia una dialettica concettuale in antitesi alla dialettica reale, cioè una dialettica delle idee e non delle cose. L'accusa viene formulata in questo modo: Croce avrebbe scambiato il divenire con il concetto del divenire, onde la sua storia « diventa una storia formale, una storia di concetti, e in ultima analisi una storia degli intellettuali, anzi una storia autobiografica del pensiero del Croce, una storia di mosche cocchiere » 4. Con altre parole: la storia del Croce è una storia delle idee, e di conseguenza dei portatori e creatori delle idee che so[...]

[...]cepite attraverso le teorie che rispecchiano queste contraddizioni, ancora una volta una storia dell'uomo che cammina colla testa e non coi piedi. L'analogia con alcuni passi dei Manoscritti del '44 di Marx è sorprendente: Marx aveva rimproverato Hegel di aver trasferito il movimento della storia reale nella coscienza e di aver descritto un movimento storico che non era quello dell'uomo reale, ma della coscienza con se stessa.
5. La polemica di Gramsci con Croce ha molti aspetti. Quello che abbiamo sinora toccato è uno degli assalti ch'egli muove alla roccaforte crociana. E da notare ora che il concetto di dialettica è impegnato anche in un'altra critica, che per essere piú volte ripetuta e per il fatto di involgere insieme con Croce una piú ampia tradizione di pensiero,
1 M. S., pp. 190, 230.
2 M. S., pp. 190191.
3 M. S., p. 191.
4 M. S., p. 217.
Norberto Bobbio 83
ritengo sia uno dei punti nodali per l'interpretazione della filosofia gramsciana. Non si tratta piú dell'antitesi di dialettica speculativa e dialettica reale, ma del con[...]

[...]nora toccato è uno degli assalti ch'egli muove alla roccaforte crociana. E da notare ora che il concetto di dialettica è impegnato anche in un'altra critica, che per essere piú volte ripetuta e per il fatto di involgere insieme con Croce una piú ampia tradizione di pensiero,
1 M. S., pp. 190, 230.
2 M. S., pp. 190191.
3 M. S., p. 191.
4 M. S., p. 217.
Norberto Bobbio 83
ritengo sia uno dei punti nodali per l'interpretazione della filosofia gramsciana. Non si tratta piú dell'antitesi di dialettica speculativa e dialettica reale, ma del contrasto nel modo stesso di concepire i momenti del processo e il passaggio dall'uno all'altro; non piú, si potrebbe dire, di una divergenza nel modo di usare la dialettica, ma nel modo di intenderne il meccanismo. Questo punto, che ci accingiamo ad esporre, dà infine la piena misura della parte primaria che il concetto di dialettica rappresenta nel pensiero gramsciano.
Gramsci muove al Croce, come è noto, il rimprovero di essere un ideologo della restaurazione, ovvero un liberale conservatore ricollega[...]

[...]a. Non si tratta piú dell'antitesi di dialettica speculativa e dialettica reale, ma del contrasto nel modo stesso di concepire i momenti del processo e il passaggio dall'uno all'altro; non piú, si potrebbe dire, di una divergenza nel modo di usare la dialettica, ma nel modo di intenderne il meccanismo. Questo punto, che ci accingiamo ad esporre, dà infine la piena misura della parte primaria che il concetto di dialettica rappresenta nel pensiero gramsciano.
Gramsci muove al Croce, come è noto, il rimprovero di essere un ideologo della restaurazione, ovvero un liberale conservatore ricollegantesi alla tradizione dei moderati; e cerca d'inserire la posizione crociana in un vasto disegno storico che dovrebbe risalire sino al neoguelfismo del Gioberti e valersi, come categoria di comprensione storica, dei concetti di rivoluzione passiva del Cuoco e di rivoluzionerestaurazione del Quinet. Ebbene, Gramsci ritiene di poter spiegare l'atteggiamento del Croce mostrando che questi aveva frainteso la dialettica; per Gramsci, il concetto che Croce ha della dialettica non corrisponde alla conoezione genuina hegelianomarxistica, anzi rappresenta « una... mutilazione dell'hegelismo e della dialettica » J. È lo stesso errore che Marx rimprovera a Proudhon in un celebre passo della Miseria della filosofia, cosí spesso citato da Gramsci nei momenti cruciali da farcelo annoverare fra le fonti piú importanti della sua riflessione sul marxismo 2. Marx accusava Proudhon di aver frainteso il significato della dialettica, che è movimento di opposti o passaggio dall'affermazione alla negazione e alla negazione della negazione, dal momento che aveva preteso di distinguere in ogni evento storico il lato buono e il lato cattivo, e conservare il primo eliminando il secondo. E spiegava: « Ciò che costituisce il movimento dialettico è la coesistenza dei due lati contraddittori, la loro lotta e la loro confusione in una nuova categoria. B[...]

[...]si su Feuerbach, mentre la Sacra famiglia è una fase intermedia indistinta di origine occasionale » (Mach.; p. 31, n.).
84 I documenti del convegno
movimento dialettico »1. Altro che eliminare il lato cattivo: « È il lato cattivo — ribadiva Marx — a produrre il movimento che fa la storia, determinando la lotta » 2. Qui Marx metteva in rilievo ciò che è il nucleo del pensiero dialettico, cioè la forza della negatività nella storia. Ed ecco come Gramsci, in polemica con Croce, rileva la stessa difficoltà: « L'errore filosofico (di origine pratica!) di tale concezione consiste in ciò che nel processo dialettico si presuppone " meccanicamente " che la tesi debba essere " conservata " dall'antitesi per non distruggere il processo stesso, che pertanto viene " preveduto " come una ripetizione all'infinito, meccanica, arbitrariamente prefissata. In realtà si tratta di uno dei tanti modi di " mettere le brache al mondo ", di una delle tante forme di razionalismo antistoricistico » 3. Ciò che la posizione del tipo ProudhonCroce (Gramsci pone sempre [...]

[...]iò che nel processo dialettico si presuppone " meccanicamente " che la tesi debba essere " conservata " dall'antitesi per non distruggere il processo stesso, che pertanto viene " preveduto " come una ripetizione all'infinito, meccanica, arbitrariamente prefissata. In realtà si tratta di uno dei tanti modi di " mettere le brache al mondo ", di una delle tante forme di razionalismo antistoricistico » 3. Ciò che la posizione del tipo ProudhonCroce (Gramsci pone sempre accanto a Proudhon anche Gioberti) rappresenta attraverso la pretesa di conservare la tesi nell'antitesi, è proprio la sconfessione di quella forza della negatività che costituisce il nerbo della dialettica. « Nella storia reale, — prosegue Gramsci — l'antitesi tende a distruggere la tesi, la sintesi sarà un superamento, ma senza che si possa a priori stabilire ciò che della tesi sarà " conservato" nella sintesi, senza che si possa a priori " misurare " i colpi come in un "ring " convenzionalmente regolato » 4. Ci troviamo di fronte, indubbiamente, a uno dei nodi, forse al nodo principale del pensiero gramsciano, in quanto erede, interprete, continuatore del pensiero marxista. Qual è il rapporto fra tesi e antitesi? Vi è un pensiero che tenta di mettere l'accento sulla tesi sia che pretenda di conservare nell'antitesi una parte della tesi (il « lato buono » di Proudhon) sia che, come si legge in un altro passo, pretenda di sviluppare tutta la tesi fino af punto di riuscire ad incorporare una parte dell'antitesi stessa 5 : questo pensiero è una falsificazione della dialettica e sfocia nel riformismo. II
Miseria della filosofia, trad. it., Roma, 1949, p. 91. Vedi anche pp. 9899.
2 Op. cit., p. 99.[...]

[...]Che sia l'antitesi a conservare qualche cosa della tesi o che sia invece la tesi ad assorbire parte dell'antitesi, il risultato è identico: l'attenuazione del contrasto fra tesi e antitesi.
Norberto Bobbio 85
pensiero dialettico genuino, invece, è quello che mette l'accento sull'antitesi, che considera l'antitesi come negazione reale e totale della tesi, ed è la consapevolezza teorica della rivoluzione. In altri passi, oltre quelli già citati, Gramsci si esprime in questo modo: « Ogni antitesi deve necessariamente porsi come radicale antagonista della tesi, fino a proporsi di distruggerla completamente e completamente sostituirla » 1;. oppure: « Ogni membro dell'opposizione dialettica deve cercare di essere tutto se stesso e gettare nella lotta tutte le proprie "risorse" politiche e morali, e... solo cosí si ha un superamento reale » z.
Da questa antitesi tra una dialettica del positivo e una dialettica del negativo, Gramsci trae alcune conseguenze decisive per la elaborazione del suo pensiero critico. Due soprattutto mi paiono degne di r[...]

[...] « Ogni antitesi deve necessariamente porsi come radicale antagonista della tesi, fino a proporsi di distruggerla completamente e completamente sostituirla » 1;. oppure: « Ogni membro dell'opposizione dialettica deve cercare di essere tutto se stesso e gettare nella lotta tutte le proprie "risorse" politiche e morali, e... solo cosí si ha un superamento reale » z.
Da questa antitesi tra una dialettica del positivo e una dialettica del negativo, Gramsci trae alcune conseguenze decisive per la elaborazione del suo pensiero critico. Due soprattutto mi paiono degne di rilievo. Anzitutto, l'affermazione che l'antitesi prolunghi e conservi la tesi dà origine alla pretesa, che è carattere permanente e costitutivo di ogni riformismo, di elaborare una storia a disegno, e come tale soffoca ogni volontà rivoluzionaria. Questo concetto dà esca ad uno dei motivi polemici piú persistenti del pensiero gramsciano, la critica della previsione storica 3. « Realmente si "prevede" — dice Gramsci — nella misura in cui si opera, in cui si applica uno sforzo volontario e quindi si contribuisce concretamente a creare il risultato " preveduto ". La previsione si rivela quindi non come un atto scientifico di conoscenza; ma come l'espressione astratta dello sforzo che si fa, il modo pratico di creare una volontà collettiva » 4. 'In seconda luogo, questa falsificazione della dialettica, in quanto conduce ad una ricostruzione puramente teorica della storia,. ad uso dei conservatori e dei moderati che temono sopra ogni altra cosa coloro che fanno la storia, è una prerogativa degli intellettual[...]

[...] in M. S., pp. 135138..
4 M. S., p. 135.
86 I documenti del convegno
nel loro cervello dosandone gli elementi " arbitrariamente" (cioè passionalmente) »'.
Entrambe le conseguenze, di cui la prima si ricollega alla critica del riformismo e alla giustificazione storica del momento giacobino, e la seconda ci introduce alla critica della politica degli intellettuali, sono un'ultima conferma della necessità che una comprensione della filosofia di Gramsci cominci dal concetto di dialettica.
1 M. S., p. 186.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Togliatti, Il leninismo nel pensiero e nell'azione di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Palmiro Togliatti
IL LENINISMO
NEL PENSIERO E NELL'AZIONE DI A. GRAMSCI
(Appunti)
1. — 11 tema di questa relazione è tale che richiede una trattazione per parecchi aspetti differente da quella degli altri temi del convegno. Studiare i1 rapporto di Gramsci col leninismo significa infatti fare oggetto di indagine non soltanto le posizioni da G. elaborate e sostenute nel dibattito filosofico e di dottrina, ma la sua attività pratica, come uomo politico, fondatore e dirigente del partito di avanguardia della classe operaia italiana. La mia opinione è che questo sia, perd, il solo modo giusto di avvicinarsi all'opera di Gramsci e penetrarne il significato. G. fu un teorico della politica, ma soprattutto fu un politico pratico, cioè un combattente. La sua concezione della politica rifugge sia dalla strumentalità, sia dall'astratto moralismo o dalla elaborazione dottrinale astratta. Fare della politica significa agire per trasformare il mondo. Nella politica è quindi contenuta tutta la filosofia reale di ognuno, nella politica sta la sostanza della storia e, per il singolo che è giunto alla coscienza critica della realtà e del compito che gli spetta nella lotta per trasformarla, sta anche la sostanza della sua vita mo[...]

[...]e, e quindi a giustificare storicamente, tanto l'avanzata quanto la ritirata o l'arresto, tanto la vittoria quanto la sconfitta. Alla base di questa comprensione vi è una critica di se stessi e degli altri, che è momento di azione ulteriore.
Errato sarebbe ritenere che, cosí intesa, la politica possa chiudersi in un assieme di norme, buone per sempre e per ogni luogo. Mi sembrano quindi da criticare coloro che in questo modo trattano l'opera di Gramsci, e in particolare il contenuto dei Quaderni, sforzandosi di avvicinare artificiosamente una parte all'altra, quasi per ricavarne, se non un Vangelo, per lo meno un manuale del perfetto pensatore e uomo d'azione comunista. È certo che esiste un filo conduttore di questa opera, ma questo non si può trovare e non si trova se non nell'attività reale, che parte dai tempi della giovinezza e via via si sviluppa sino allo avvento del fascismo al potere, sino all'arresto e anche dopo.
Tutta l'opera scritta da Gramsci dovrebbe essere trattata partendo da quest'ultima considerazione, ma è compito che p[...]

[...]di avvicinare artificiosamente una parte all'altra, quasi per ricavarne, se non un Vangelo, per lo meno un manuale del perfetto pensatore e uomo d'azione comunista. È certo che esiste un filo conduttore di questa opera, ma questo non si può trovare e non si trova se non nell'attività reale, che parte dai tempi della giovinezza e via via si sviluppa sino allo avvento del fascismo al potere, sino all'arresto e anche dopo.
Tutta l'opera scritta da Gramsci dovrebbe essere trattata partendo da quest'ultima considerazione, ma è compito che potrà essere assolto soltanto da chi sia tanto approfondito nella conoscenza dei momenti concreti della sua azione da riconoscere il modo come a questi momenti concreti aderisca ogni formulazione e affermazione generale di dottrina, e tanto imparziale da saper resistere alla tentazione di far prevalere false generalizzazioni dottrinarie al nesso evidente che unisce il pensiero ai fatti e movimenti reali.
Alcune tra le parti piú interessanti, ad esempio, delle sparse note raccolte col titolo di Passato e presen[...]

[...]ottrina, e tanto imparziale da saper resistere alla tentazione di far prevalere false generalizzazioni dottrinarie al nesso evidente che unisce il pensiero ai fatti e movimenti reali.
Alcune tra le parti piú interessanti, ad esempio, delle sparse note raccolte col titolo di Passato e presente sono senz'altro da considerarsi pura elaborazione dei principii di strategia, di tattica e di organizzazione del partito della classe operaia affermati da Gramsci, negli anni dal 1922 in poi, in polemica e lotta contro le tendenze di infantile settarismo estremista che allora erano prevalenti nella direzione di questo partito in Italia. Tali le considerazioni sul rapporto tra spontaneità e direzione consapevole; sul centralismo organico, sul centralismo democratico e sulla disciplina; sul rapporto che passa tra il dirigere, l'organizzare e il comandare; sui rapporti tra la scienza militare e la scienza politica, e cosí via. Non escludo nemmeno che alcune di queste note — che del resto G. non sapeva se :e come avrebbero potuto giungere ai suoi compagni [...]

[...]ttraverso l'azione, nel contrasto tra le classi, nella lotta dei gruppi egemonici per mantenere la propria dittatura e delle classi rivoluzionarie per conquistare il potere, cioè per giungere a conquistarlo attraverso un sistema di alleanze politiche di cui sono le premesse nella struttura e nella storia di ogni società e per mantenerlo e consolidarlo attraverso la costruzione di una società nuova. La conoscenza scientifica alla quale l'opera di Gramsci ci richiama non è dunque quella di una scienza verso la quale si possa evadere, abbandonando o rinviando o guardando dall'alto in basso i compiti della lotta immediata, ma è integrazione e continuazione di un impegno politico che investe tutta la persona, le sue capacità, la sua libertà, la sua esistenza stessa.
Negli scritti carcerari non vi è dunque soltanto la eco delle lotte degli anni precedenti, o la riflessione distaccata sopra di esse, come a prima vista potrebbe sembrare, ma vi è una continuazione di queste lotte, con l'approfondimento di tutti i loro temi e con uno sviluppo di essi[...]

[...]ste tutta la persona, le sue capacità, la sua libertà, la sua esistenza stessa.
Negli scritti carcerari non vi è dunque soltanto la eco delle lotte degli anni precedenti, o la riflessione distaccata sopra di esse, come a prima vista potrebbe sembrare, ma vi è una continuazione di queste lotte, con l'approfondimento di tutti i loro temi e con uno sviluppo di essi che tende a adeguarsi alle condizioni nuove. In questo modo il pensiero politico di Gramsci dà la prova della sua vitalità e verità. Non è legato a una piattaforma politica determinata, quale poteva essere quella su cui venne fondato, nel 1921, il partito comunista; non è legato nemmeno a una determinata serie di movimenti strategici e tattici, dettati da una situazione particolare. La sua verità sta nel metodo
Palmiro Togliatti 19
e il metodo è unito inseparabilmente al contenuto, perché è metodo marxista e leninista, cioè guida all'azione rivoluzionaria nelle condizioni in cui si compie il passaggio dal mondo borghese al mondo socialista. Di qui discende il suo legame col lenini[...]

[...]hal (1916). Neanche in quel momento, però,
e per un paio di anni dopo, non si ha notizia di scritti di Lenin tradotti o anche solo pervenuti in Italia nella loro integrità. Cominciarono invece a essere conosciuti estratti di suoi scritti nei corso del 1917, soprattutto per il tramite di riviste e giornali in lingua francese e di una rivista americana (il Liberator, diretto da Max Eastman). Da questa venne tratto e pubblicato nel 1919, a cura di Gramsci, un ampio studio su Lenin quale « Statista dell'ordine nuovo ». Il profilo di Lenin quale pensatore e uomo politico, che risulta da questo studio, è però parziale. I momenti piú importanti del pensiero, relativi all'analisi dell'imperialismo e quindi alla definizione del periodo storico e delle sue prospettive, sono trascurati, mentre l'attenzione è concentrata sulle caratteristiche originali del sistema sovietico e sul fondamento che esso ha nella sfera della produzione. Lo scritto infatti non è altro che riproduzione e commento di alcuni lavori di Lenin dedicati, dopo la rivoluzione e nei p[...]

[...]taria e il rinnegato Kautsky, le relazioni e le tesi per il I e per il II Congresso dell'Internazionale comunista, quindi l'Estremismo, e i discorsi al III Congresso, che ne sono quasi un commento. Meno noti Che fare?, Due tattiche e Un passo avanti e due indietro. Difficilissimi a trovare e quindi quasi sconosciuti Lo sviluppo del capitalismo in Russia e L'empiriocriticismo 1 . Si può ritenere che nel 1922, quando si recò nell'Unione sovietica, Gramsci già fosse a conoscenza di tutti questi scritti. Da essi risultavano le tesi fondamentali del leninismo, circa l'analisi dell'imperialismo e il carattere del periodo storico aperto dal passaggio a questa fase suprema della economia capitalistica, circa la natura dello Stato borghese e della dittatura proletaria, il carattere della Rivoluzione di Ottobre e dello Stato sovietico e circa le fondamentali questioni della strategia e tattica rivoluzionarie del partito della classe operaia.
Nel 1922, quando Gramsci giunse in Unione sovietica e vi risiedette alcuni mesi, si era tenuto da poco piú di [...]

[...]risultavano le tesi fondamentali del leninismo, circa l'analisi dell'imperialismo e il carattere del periodo storico aperto dal passaggio a questa fase suprema della economia capitalistica, circa la natura dello Stato borghese e della dittatura proletaria, il carattere della Rivoluzione di Ottobre e dello Stato sovietico e circa le fondamentali questioni della strategia e tattica rivoluzionarie del partito della classe operaia.
Nel 1922, quando Gramsci giunse in Unione sovietica e vi risiedette alcuni mesi, si era tenuto da poco piú di un anno il X Congresso del PC russo (b), si era chiusa la discussione sui sindacati e si compiva il passaggio alla Nuova politica economica. Tappa assai importante in cui erano state trattate a fondo alcune questioni decisive per lo sviluppo della rivoluzione. Sono di questo periodo alcuni tra i lavori piú importanti di Lenin relativamente ai problemi della costruzione di una. economia e di una società socialiste. Nel dibattito sulla funzione dei sindacati egli aveva affrontato, in polemica con Trotzki, con B[...]

[...]della dittatura del proletariato.
A partire da quegli anni il contrasto tra il partito bolscevico e Trotzki si fece via via sempre piú profondo. Si venne infatti precisando,. a partire dal 192324, il tentativo, che già era in germe nelle precedenti discussioni, di scardinare tutta la formazione ideale e organizzativa del partito, quale era stata storicamente creata nelle lotte contro le correnti non leniniste. È quindi certo che in quel momento Gramsci acquistò una conoscenza piú profonda di queste lotte, facilitata dalla pubblicazione della prima edizione degli scritti di Lenin, avvenuta in quegli anni, e dalla conoscenza della lingua russa. Nella corrente agitazione politica, subito dopo la rivoluzione, i nomi di Lenin e di Trotzki erano stati sempre uniti, ignorandosi la differenza e distanza enormeche li aveva sempre separati, sia nel pensiero che nell'azione. Piero Gobetti, che aveva cercato di stabilire una distinzione, lo aveva fatto con grande superficialità, prescindendo dall'esame storico dei fatti e sbagliando, quindi, nelle conc[...]

[...]ati, sia nel pensiero che nell'azione. Piero Gobetti, che aveva cercato di stabilire una distinzione, lo aveva fatto con grande superficialità, prescindendo dall'esame storico dei fatti e sbagliando, quindi, nelle conclusioni. Aveva concluso per presentare Trotzki come l'« europeo », mentre l'europeo, tra i due, era invece precisamente Lenin, la cui azione politica assumeva un valore universale, essendo valida per tutto il mondo contemporaneo. A Gramsci la differenza apparve cosí profonda che, per quanto gli fosse possibile occuparsene negli scritti carcerari, egli la inserisce in tutto il sistema del suo pensiero politico. Trotzki diventa « il teorico politico dell'attacco frontale in un periodo in cui esso è solo causa di disfatte » 1; le sue formule politiche mancano di aderenza « alla storia attuale, concreta, vivente », non scaturiscono « da tutti i pori della determinata società che occorreva trasformare »; il suo internazionalismo è una astrazione, che nega i necessari mezzi nazionali.
1 P., p. 71.
22 I documenti del convegno
Nel 1[...]

[...]rontale in un periodo in cui esso è solo causa di disfatte » 1; le sue formule politiche mancano di aderenza « alla storia attuale, concreta, vivente », non scaturiscono « da tutti i pori della determinata società che occorreva trasformare »; il suo internazionalismo è una astrazione, che nega i necessari mezzi nazionali.
1 P., p. 71.
22 I documenti del convegno
Nel 1926, quando la lotta nel gruppo dirigente sovietico era giunta alla rottura, Gramsci fu bensí preoccupato delle eventuali ripercussioni negative che questa rottura avrebbe potuto avere nel movimento comunista internazionale, ma non manifestò alcun dubbio circa la giustezza della linea politica che la grande maggioranza del partito bolscevico sosteneva contro il piccolo gruppo degli oppositori. Vi è nei Quaderni una nota assai esplicita di adesione alla esposizione dei principii fondamentali del leninismo fatta da Stalin 1, e successivamente, quando la rottura si realizzò in pieno e la lotta di Trotzki contro il partito 'bolscevico si sviluppò su altri terreni, da Gramsci furo[...]

[...]e, ma non manifestò alcun dubbio circa la giustezza della linea politica che la grande maggioranza del partito bolscevico sosteneva contro il piccolo gruppo degli oppositori. Vi è nei Quaderni una nota assai esplicita di adesione alla esposizione dei principii fondamentali del leninismo fatta da Stalin 1, e successivamente, quando la rottura si realizzò in pieno e la lotta di Trotzki contro il partito 'bolscevico si sviluppò su altri terreni, da Gramsci furono espressi contro di lui, nel carcere, i piú fieri giudizi di condanna.
Per quanto riguarda la volgarizzazione delle dottrine del materialismo dialettico dovuta a Bukharin e respinta da G. nelle Note critiche a un «Saggio popolare di sociologia », credo sia da escludere che G. abbia avuto conoscenza tanto delle note vivacemente critiche di Lenin allo scritto bukhariniano sulla Economia del periodo di transizione quanto dei Quaderni filosofici (pubblicati solo nel 1936), molti spunti dei quali sarebbero stati di grande aiuto per lo sviluppo di tutte le sue ricerche filosofiche. Non gli e[...]

[...]ica astratta.
Nel carcere non ci risulta che G. avesse a sua disposizione alcuna opera di Lenin, mentre era riuscito a procurarsi parecchi scritti di Marx e di Engels. I riferimenti alle opere di Lenin che si trovano nei Quaderni sono quindi fatti a memoria, oppure sono di seconda mano, tratti da citazioni di scritti leninisti in riviste e libri vari. L'acquisto di libri di Lenin non gli venne mai consentito dalla direzione carceraria.
3. — Da Gramsci venne immediatamente colto il primo, fondamentale elemento costitutivo del leninismo, che è la dottrina della rivoluzione, formulata da Lenin in modo tale da fare piazza pulita di tutte le pedanterie che i riformisti spacciavano per marxismo. La rivoluzione proletaria e socialista non avrebbe potuto compiersi, secondo costoro, se non in quei paesi e in quel momento in cui la economia
1 Mach., p. 114.
Palmiro Togliatti 23
capitalistica avesse toccato il piú elevato punto del suo sviluppo. Lenin respinge questa proposizione e apre a tutto il marxismo la strada di un nuovo sviluppo creativo a[...]

[...]evichi russi, il punto di arrivo di tutta la lotta politica e ideale da essi condotta, dall'inizio del secolo, contro l'autocrazia zarista e contro le diverse varianti dell'opportunismo nel movimento operaio. Per il rimanente movimento operaio e socialista fu una rivelazione, una scoperta di eccezionale portata, le cui conseguenze forse solo oggi possiamo valutare appieno. Si comprende ii grido quasi di liberazione che è nell'articolo scritto da Gramsci il 5 gennaio 1918 e che ha un titolo, senza dubbio errato, ma assai significativo: La rivoluzione contro il « Capitale », e intendeva dire non contro i fondamentali insegnamenti del marxismo che sono la lotta di classe e la necessità morfologica della rivoluzione proletaria, ma contro la degenerazione delle interpretazioni positivistiche del Capitale di Carlo Marx e del marxismo, contro il piatto economismo, contro la pedanteria dei riformisti, e contro le gherminelle ideologiche degli avversari.
Ciò che Lenin fece con la sua dottrina della rivoluzione, fu la restaurazione della dialettica r[...]

[...] di tendenze nel movimento operaio. Si può sostenere che ne faccia parte anche la attesa di una « rivoluzione » che dovrebbe uscire puramente dalla estensione dei processi automatici nella produzione industriale, e non dalle modificazioni dei rapporti di forza tra le classi, e che sono relative tanto a fatti organici isolati,. quanto a fatti di organizzazione, di coscienza e anche di congiuntura. Potrebbe essere ricordata, a questo proposito, in Gramsci, la polemica contro « la dottrina per cui lo svolgimento economico e storico viene fatto dipendere immediatamente da mutamenti di un qualche elemento importante della produzione, la scoperta di una nuova materia prima, di un nuovo combustibile, ecc., che portano con sé l'applicazione di nuovi metodi nella costruzione e nell'azionamento delle macchine » j. In questi casi dal materialismo storico si passa all'economismo storico, che non è piú la nostra dottrina.
Fanno parte, quindi, della grande corrente del pensiero politico leninista, da un lato la insistente polemica di Gramsci contro l'eco[...]

[...] un qualche elemento importante della produzione, la scoperta di una nuova materia prima, di un nuovo combustibile, ecc., che portano con sé l'applicazione di nuovi metodi nella costruzione e nell'azionamento delle macchine » j. In questi casi dal materialismo storico si passa all'economismo storico, che non è piú la nostra dottrina.
Fanno parte, quindi, della grande corrente del pensiero politico leninista, da un lato la insistente polemica di Gramsci contro l'economismo e Ì interpretazioni economistiche del marxismo, (essa è permanente in tutti i Quaderni), dall'altro lato la complessa indagine che fa scaturire le prospettive politiche e rivoluzionarie dalla analisi della struttura economica e dei reciproci suoi rapporti con la sovrastruttura ideale, sociale, politica. La guida delle conclusioni leniniste sulla natura dell'imperialismo fa superare a Gramsci il panto morto cui era giunta, all'inizio del secolo, l'indagine politica di Antonio Labriola e alla quale aveva corrisposto, in sostanza, la impossibilità del movimento operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall'estremismo verbale. La concezione leninista della rivoluzione e la successiva, sempre piú profonda, esperienza della strategia e della tattica leniniste lo illumina sempre meglio nella ricerca delle condizioni di sviluppo della rivoluzione in Italia. È questo il punto di partenza, tanto direttamente (negli scritti del 191926), quanto per via indiretta e per analogia (r[...]

[...]e della tattica leniniste lo illumina sempre meglio nella ricerca delle condizioni di sviluppo della rivoluzione in Italia. È questo il punto di partenza, tanto direttamente (negli scritti del 191926), quanto per via indiretta e per analogia (ricerche storiche dei Quaderni, nuove interpretazioni dei diversi periodi della storia italiana), di tutte le indicazioni di strategia e tattica politiche che sono la sostanza della azione e del pensiero di Gramsci, e principalmente delle sue conclusioni circa la struttura dell'Italia moderna e
1 Mach., p. 32.
Palmiro Togliatti 25
quindi sul sistema di alleanze politiche che dà al proletariato la possibilità di esercitare la sua funzione dirigente e giungere a conquistare il potere.
Nel campo del metodo, strettamente collegate con tutto il contenuto delle ricerche e delle conclusioni, mi sembra debbano essere qui sottolineate alcune grandi conquiste positive. La struttura economica, prima di tutto, non è mai considerata come quella misteriosa forza nascosta da cui dovrebbe meccanicamente scaturire t[...]

[...]eninista circa la natura dello Stato, ma anche negli scritti ultimi, contemporanei o posteriori al passaggio alla Nuova politica economica, e relativi ai compiti della costruzione socialista, ai problemi, ai contrasti, alle difficoltà che sorgono nel corso di questa costruzione e alle funzioni dello Stato (e della politica) in questo nuovo periodo della storia.
Ci troviamo qui di fronte alla affermazione, che è a1 centro di tutto il pensiero di Gràmsci, della storicità assoluta della realtà sociale e politica, e alla definizione del marxismo, quindi, come storicismo assoluto, in quanto sola dottrina capace di guidare alla comprensione di tutto il movimento della storia e al dominio di questo movimento da parte degli uomini associati. In questo ambito vengono risolti i temi della libertà
e della necessità, viene elaborato un criterio per giudicare quali sono i problemi storicamente concreti, cioè tali che possono essere risolti con un rivolgimento delle strutture sociali e quelli che nell'ambito delle strutture esistenti ancora sono da riso[...]

[...]atto proclamare che il mondo va in questa o
26 I documenti del convegno
quella direzione. Le prospettive debbono essere stabilite con una ricerca priva di passione. La realtà, il presente, diventa una cosa dura, su cui occorre violentemente attirare l'attenzione, se si vuole trasformarla. L'intelligenza è pessimista. L'ottimismo incomincia dalla volontà.
4. — Parte essenziale di tutta la dottrina leninista della rivoluzione
e del pensiero di Gramsci è, in questo quadro generale, la determinazione della nuova posizione che la classe operaia viene ad assumere, internazionalmente e in ogni paese, nel momento in cui si apre, per la stessa maturità oggettiva della struttura borghese del mondo (capitalismo, imperialismo, colonialismo), la fase del passaggio a una nuova struttura e a un nuovo ordinamento sociale. La classe operaia diventa classe nazionale, perché esistono le condizioni di un nuovo blocco storico, cioè di un nuovo rapporto tra la struttura e le sovrastrutture. Questo nuovo rapporto è reso necessario dallo sviluppo delle forze st[...]

[...]sere compresa e concepita se si vuole dominarla e dirigerla ». La classe operaia diventerà quindi classe dirigente solo « se interpreterà esattamente questa combinazione, di cui essa stessa è componente e in quanto tale appunto può dare al movimento un certo indirizzo in certe prospettive ».
Nei giudizi sulla Rivoluzione d'Ottobre e nella valutazione della geniale opera di Lenin come capo della classe operaia russa e del nuovo Stato proletario, Gramsci insisterà sempre, dai primi commenti, ancora per molti aspetti imprecisi e frammentari, sino alle ultime note dei
1 Mach., pp. 114115.
Palmiro Togliatti 27
Quaderni, su questo momento. La realizzazione del primo Stato proletario, fatta da Lenin, è stato « un grande avvenimento metafisico » . Essa ha tradotto in pratica la filosofia, l'ha ridotta a « storia in atto », che è la sola filosofia 1. Essa ha trasformato le prospettive della storia mondiale. Ma essa è riuscita a fare tutto questo perché è stata il punto di arrivo necessario della storia nazionale del popolo russo; perché « i bolsc[...]

[...]zione che questa classe occupa nella lotta immediata e nei rapporti con gli altri gruppi sociali, con quelli che apertamente combatte e con quelli dai quali vuole ottenere la collaborazione o la neutralità. Deve essere quindi superato ,il carattere corporativo che la latta di classe del proletariato ha nei primi stadi del suo sviluppo e deve esistere quella che correntemente oggi chiamiamo politica di alleanze. La ristrettezza corporativa è, per Gramsci, caratteristica e limite di tutti quei gruppi sociali che non sono capaci di adempiere una funzione nazionale, come la borghesia comunale nel Medio Evo, o vi riescono a stento, solo sfruttando circostanze esterne, ma senza fare opera di radicale rinnovamento, come le classi dirigenti italiane nel Risorgimento.
Nella pratica, come vennero attuati da Gramsci questi grandi principii direttivi? La politica di alleanze da lui elaborata e proposta, e che fa pernio sulla soluzione della questione meridionale attraverso la unità politica delle masse contadine e popolari meridionali con la classe operaia nella lotta contro il capitalismo e lo Stato borghese, è di diretta derivazione leninista, come tutto il modo di trattare la questione contadina. Non rimane qui traccia alcuna di ristretto strumentalismo corporativo, di puro appoggio reciproco tra due gruppi sociali allo scopo della realizzazione, da parte di ciascuno di essi, di un suo programma di riv[...]

[...]società italiana e crea le condizioni di un nuovo blocco storico dirigente. La formazione di una volontà collettiva nazionalepopolare è riconosciuta impossibile, « se le grandi masse dei contadini coltivatori non irrompono simultaneamente nella vita politica » 1. Viene cosí a essere corretta quella discordanza e persino mancanza di contemporaneità negli sviluppi del movimento operaio e di quello contadino che è denunciata nelle Tesi preparate da Gramsci per il Congresso di Lione del 1926, e che era la conseguenza di impreparazione politica del partito operaio.
Maggiore interesse, nei dibattiti del giorno d'oggi, sembra invece avere il punto, secondo noi invece meno importante e già chiarito piú di una volta, circa la funzione che alla classe operaia era attribuita nel movimento torinese dei Consigli di fabbrica. Priva di qualsiasi valore, indice soltanto di immediata ignoranza dei fatti, è la denuncia delle posizioni allora difese da Gramsci come posizioni sindacaliste. Dalla polemica di alcuni sindacalisti Gramsci poté derivare la critica [...]

[...] era la conseguenza di impreparazione politica del partito operaio.
Maggiore interesse, nei dibattiti del giorno d'oggi, sembra invece avere il punto, secondo noi invece meno importante e già chiarito piú di una volta, circa la funzione che alla classe operaia era attribuita nel movimento torinese dei Consigli di fabbrica. Priva di qualsiasi valore, indice soltanto di immediata ignoranza dei fatti, è la denuncia delle posizioni allora difese da Gramsci come posizioni sindacaliste. Dalla polemica di alcuni sindacalisti Gramsci poté derivare la critica della burocrazia sindacale, del suo chiuso corporativismo, del distacco dalla comprensione della sostanza dei problemi politici e prima di tutto del problema del potere. Tutto questo, però, vi è in Lenin assai piú nettamente che in tutta la letteratura sindacalista. Da Gramsci è, in pari tempo, energicamente sempre respinto il dilettantismo politico che predomina in questa letteratura. Il movimento dei Consigli di fabbrica fu, soprattutto al suo inizio, fino allo sciopero dell'aprile 1920 e anche dopo, strumento di lotta aperta contro la burocrazia sindacale riformista, di limitazione dei poteri di questa burocrazia e anche di rinnovamento delle direzioni sindacali. Gramsci insistette perd sempre anche nel sottolineare la differenza qualitativa tra il Consiglio di fabbrica e il Sindacato, e nella pratica la elezione del Consiglio da parte di tutti gli operai, e non solo degli organizzati, doveva rendere a tutti evidente questa differenza. Ma vi fu in Gramsci la tendenza, nel 191920, a ritenere che il Consiglio come tale, forma di organizzazione degli operai aderente in modo immediato al processo produttivo, contenesse in sé la soluzione del problema del potere, cioè della conquista di esso e della costruzione di un nuovo Stato? Credo che per sostenere questa tesi si possono allegare soltanto alcune proposizioni di scritti del 1919, ma staccandole
t. Mach., p. 7.
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dal contesto e soprattutto staccandole dalla comprensione della complessiva azione che Gramsci svolgeva in quel momento. Questa azione tendeva, essenzialmente e pr[...]

[...]organizzazione degli operai aderente in modo immediato al processo produttivo, contenesse in sé la soluzione del problema del potere, cioè della conquista di esso e della costruzione di un nuovo Stato? Credo che per sostenere questa tesi si possono allegare soltanto alcune proposizioni di scritti del 1919, ma staccandole
t. Mach., p. 7.
Palmiro Togliatti 29
dal contesto e soprattutto staccandole dalla comprensione della complessiva azione che Gramsci svolgeva in quel momento. Questa azione tendeva, essenzialmente e prima di tutto, ad affermare che la classe operaia, come gruppo sociale omogeneo, era in grado di fornire gli elementi necessari a superare la crisi, il disordine, il caos nei quali allora si dibatteva la società nazionale e quindi, come immediata e necessaria conseguenza, tendeva a dare agli operai di avanguardia la coscienza di questo fatto. Era indispensabile che la situazione venisse superata partendo del processo della produzione. Cosí fece del resto anche la classe borghese, che per prima cosa ristabilí nel campo della pr[...]

[...]torinese del 191920 non riuscí a elevarsi sul piano nazionale, per i difetti che parecchie volte già sono stati indicati e che non credo siano da cercarsi nella impostazione generale, ma nei limiti, nelle ristrettezze della realizzazione su una scala che non fosse soltanto cittadina o regionale. Anche, del resto, il problema della alleanza tra le avanguardie operaie settentrionali e le grandi masse contadine meridionali, giustamente impostato da Gramsci sin da allora (si veda l'esempio, da lui citato, dell'azione verso i sardi della Brigata Sassari), non ebbe, attraverso l'azione svolta dal gruppo torinese, alcuna soluzione pratica di grande rilievo. Gli orientamenti errati, riformisti o massimalisti, del partito socialista, erano superati nella critica, non da un'azione di successo nazionale. Ma quello era allora il solo partito, cioè la sola organizzazione politica nazionale, che la classe operaia avesse a sua disposizione. Per questo il movimento torinese si concluse con
30 I documenti del convegno
l'affermazione della necessità che ven[...]

[...]a organizzazione politica nazionale, che la classe operaia avesse a sua disposizione. Per questo il movimento torinese si concluse con
30 I documenti del convegno
l'affermazione della necessità che venisse creato un nuovo partito d'avanguardia del proletariato: il partito comunista.
La permanente polemica dei Quaderni contro qualsiasi forma di economismo dà il colpo di grazia alle errate interpretazioni o volute contraffazioni del pensiero di Gramsci circa il rapporto tra la posizione che la classe operaia ha nel processo della produzione e la sua azione politica. Anche nell'esame dei rapporti strutturali e dei rapporti di produzione, si devono introdurre le necessarie distinzioni. La forza di produzione, la tecnica, il lavoro sono concetti differenti e la differenza sta nella maggiore o minore presenza di elementi che già provengono dalla sovrastruttura. La classe, come tale, si ha ad. un livello .piú elevato, e una politica di classe non si ha se non interviene un elemento consapevole. Valga come esempio lo studio che Gramsci fa del for[...]

[...]e dei rapporti strutturali e dei rapporti di produzione, si devono introdurre le necessarie distinzioni. La forza di produzione, la tecnica, il lavoro sono concetti differenti e la differenza sta nella maggiore o minore presenza di elementi che già provengono dalla sovrastruttura. La classe, come tale, si ha ad. un livello .piú elevato, e una politica di classe non si ha se non interviene un elemento consapevole. Valga come esempio lo studio che Gramsci fa del fordismo, che parte dalle modificazioni della tecnica, ma è un tentativo di analisi della struttura sociale degli Stati Uniti d'America, in un momento del suo sviluppo.
5. Anche l'ampia, complessa e tormentata indagine sulla funzione degli intellettuali, impostata da Gramsci prima dell'arresto (e ciò risulta non solo dal ricordo di conversazioni con lui, ma dallo stesso scritto sulla Quistione meridionale) e condotta a fondo negli anni del carcere, ha un fondamento leninista, che non mi sembra sia stato sinora rilevato a sufficienza, ma deve esserlo, invece.
Né alludo al fatto che questa indagine fa parte delle analisi generali sulla struttura della società, quanto piuttosto alla dimostrazione storica e allo approfondimento della tesi dell'impegno politico e sociale (di classe) degli intellettuali, che è parte essenziale delle dottrine leniniste. Anche di questo[...]

[...]iuttosto alla dimostrazione storica e allo approfondimento della tesi dell'impegno politico e sociale (di classe) degli intellettuali, che è parte essenziale delle dottrine leniniste. Anche di questo impegno si può dare una interpretazione volgare, di tipo economistico, o persino ridurlo a questione di servizio e di stipendio. Anche questo aspetto esiste, ma è quasi sempre il piú facilmente riconoscibile e richiede uno studio particolare, da cui Gramsci non rifugge, quando è necessario, ma non confonde con le altre parti della sua ricerca. Né è a questo lato della questione che si riferisce la tesi di Lenin, come risulta anche solo dagli scritti da lui dedicati all'esame critico delle correnti intellettuali e letterarie del suo tempo. Il problema degli intellettuali e della loro funzione si pone invece su un piano analogo a quello della formazione delle ideologie e delle sovrastrutture. L'errare dell'idealismo e della sociologia volgare sta nel considerare le ideologie
Palmiro Togliatti 31
come semplici strumenti di direzione politica, cio[...]

[...]o autonomo e alla creazione. Se cosí non fosse, l'umanità non darebbe scienziati, pensatori, artisti, ma solo marionette; non si avrebbe progresso scientifico, non creazione di opere d'arte di valore universale, ecc. La superiorità del marxismo sta nel fatto che, essendo capace di fare questa analisi e queste distinzioni, pub diventare una vera scienza dello sviluppo storico delle società umane in tutti gli aspetti della loro vita.
L'analisi di Gramsci non riduce dunque la funzione degli intellettuali a una strumentalità o a un servizio, la studia nella sua realtà effettiva, facendo dell'impegno degli intellettuali un fatto della storia che l'azione umana tende a trasformare. Il terreno della cultura, sul quale sono attivi i gruppi intelleetuali, è teatro di una lotta continua, tra il vecchio e il nuovo, tra la conservazione e la rivoluzione. Gli intellettuali fanno parte di un blocco storico, sono fattore di unità della struttura e della sovrastruttura. Le crisi rivoluzionarie spezzano questo blocco storico. Anche la cultura, quindi, ha le[...]

[...]
6. — Punto di partenza e punto di arrivo di tutto il pensiero leninista è la dottrina del partito e, parallela .ad essa, la dottrina della ditta
1 M. S., p. 236.
2 M. S., p. 217.
32 I documenti del convegno
tura della classe operaia, come condizione per la creazione di una società nuova: senza guida del partito non si giunge al potere e non si organizza il potere nuovo. La stessa necessità risulta da tutto il pensiero e da tutta l'azione di Gramsci. La fondazione e poi la direzione del partito comunista sono gli atti decisivi della sua .attività politica e della sua vita. Ad essi è legato il sacrificio della sua stessa esistenza. Alla dottrina del partito, intellettuale collettivo che dirige la lotta per la conquista del potere, e si serve del potere politico per organizzare una nuova società, mettono capo tutte le sue ricerche storiche, politiche, filosofiche. La grande sua originalità è di avere dato a questa dottrina una forma che la inserisce nella realtà italiana, ne fa im momento dello sviluppo delle dottrine politiche nel nostro [...]

[...]irezione su tutta la vita sociale. Ma lo Stato che essa crea è, nella storia, una formazione del tutto nuova, perché alla sua base vi è una struttura economica che sopprime lo sfruttamento e l'anarchia della produzione. Quindi in questo Stato il ter
Palmero Togliatti 33
mine stesso di democrazia assume un nuovo contenuto, perché vi è superata la contraddizione fondamentale di classe che è nella struttura borghese della società.
Il pensiero di Gramsci si muove, tanto prima dell'arresto quanto nei Quaderni, secondo questa grande linea. È quindi essenziale per lui la distinzione tra id concetto filosofico di libertà e le forme di governo e gli istituti politici concreti del liberalismo e della democrazia. Questo è anzi uno dei capitoli :piú efficaci della sua polemica. La libertà, in quanto iniziativa e attiva creazione umana, non è dote peculiare dei regimi borghesi. La storia è sempre storia della libertà. Il rivolgimento borghese è affermazione di libertà, ma già contiene in sé l'elemento negativo, cioè la cristallizzazione e poi la conse[...]

[...]e, e in ciò si inserisce la formulazione e lo sviluppo di una volontà collettiva. La stessa predicazione della religione della libertà, che trasforma gli istituti del dominio borghese in forme assolute della libertà, è caratteristica di un'epoca, in cui nelle classi dirigenti si forma una coscienza critica, che prima non esisteva, della loro funzione storica 1. Ma della stessa epoca, e via via piú accentuata col procedere del tempo, è quella che Gramsci chiama « standardizzazione di grandi masse della popola
T
1 M. S., p. 195.
34 I documenti del convegno
zione », che è poi un risveglio, un progresso delle menti che rende piú rapida la formazione di un movimento storico e di una volontà collettiva 1. Il regime dei partiti diventa una necessità della storia e l'affermarsi della classe operaia è affermarsi e avanzata del partita politico che la esprime.
Già per Hegel, il partito era una trama « privata » dello Stara, e questa concezione prevede lo Stato parlamentare 2. Il marxismoleninismo non solo estende questa concezione, ma la rinnova.[...]

[...]trumento principale. La consapevolezza della propria funzione storica, trasformatrice del mondo e creatrice di libertà, tocca infatti nella classe operaia il punto piú alto, perché, col possesso della dottrina marxista, essa giunge a conoscere esattamente che cosa vi è, nelle creazioni dei precedenti rivolgimenti storici, di permanente e degno di essere conservato e che cosa invece è caduco, come puro strumento di un dominio di classe.
Vi è per Gramsci una differenza e quale, nello sviluppo di questi concetti, tra il termine di egemonia e quello di dittatura? Una differenza vi è, ma non di sostanza. Si può dire che il primo termine si riferisca in prevalenza ai rapporti che si stabiliscono nella società civile e quindi sia piú ampio del primo. Ma è da tenere presente che per lo stesso Gramsci la differenza tra società civile e società politica è soltanto metodologica, non organica. Ogni Stato è una dittatura, e ogni dittatura presuppone non solo il potere di una classe, ma un sistema di alleanze e di mediazioni, attraverso le quali si giunge al dominio di tutto il corpo sociale e del mondo stesso della cultura, cosí come ogni Stato è anche un organismo educativo della società, negli obiettivi delle classi
1 Mach., pp. 8283.
2 Mach., p. 128.
Palmiro Togliatti 35
che dominano. La società politica può però assumere una forma di estremo rigore dittatoriale, quando, per i contrasti[...]

[...]e la stessa dittatura della classe operaia assume nelle sue diverse fasi e può assumere in paesi diversi. È un nuovo capitolo del leninismo che si discute, quello alla cui elaborazione completa sta oggi lavorando il movimento operaio internazionale.
11 dominio politico della classe operaia tende a creare una società non piú divisa in classi, ma « regolata ». Ma che cosa vuol dire una società regolata e come si giunge ad essa? Occorreranno, dice Gramsci, parecchi secoli. Questo vuol dire che la conquista del potere e la creazione dello Stato socialista non portano alla risoluzione di tutte le contraddizioni. Anche al di fuori di quelle che sono legate al carattere parziale delle prime vittorie, altre ne sorgono e devono essere risolte. Uno dei cavalli di battaglia contro la concezione marxista del mondo e della storia era di chiedere come si concilia la nostra visione dialettica della realtà con la nostra lotta per una società regolata. Quale sviluppo dialettico ci potrà dunque essere in siffatta società? Al che Gramsci ci insegna a risponde[...]

[...]soluzione di tutte le contraddizioni. Anche al di fuori di quelle che sono legate al carattere parziale delle prime vittorie, altre ne sorgono e devono essere risolte. Uno dei cavalli di battaglia contro la concezione marxista del mondo e della storia era di chiedere come si concilia la nostra visione dialettica della realtà con la nostra lotta per una società regolata. Quale sviluppo dialettico ci potrà dunque essere in siffatta società? Al che Gramsci ci insegna a rispondere che il marxismo non è dottrina di profezie, ma dottrina della realtà. Noi conosciamo le contraddizioni del nostro mondo, che è il mondo diviso in classi e lottiamo per superare queste contraddizioni. Profezie sugli sviluppi delle società future, prive di classi, non spetta a noi farne. Ci spetta invece conoscere e lavorare per risolvere, con metodi nuovi, le contraddizioni che anche in questa prima fase delle società socialiste continuano a esistere. Non poteva essere compito di Gramsci addentrarsi in questo terreno.
i Mach., p. 161.

[...]profezie, ma dottrina della realtà. Noi conosciamo le contraddizioni del nostro mondo, che è il mondo diviso in classi e lottiamo per superare queste contraddizioni. Profezie sugli sviluppi delle società future, prive di classi, non spetta a noi farne. Ci spetta invece conoscere e lavorare per risolvere, con metodi nuovi, le contraddizioni che anche in questa prima fase delle società socialiste continuano a esistere. Non poteva essere compito di Gramsci addentrarsi in questo terreno.
i Mach., p. 161.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] S. G. Graziano, Alcune considerazioni intorno all'umanesimo di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Salvatore Giacomo Graziano
ALCUNE CONSIDERAZIONI
INTORNO ALL'UMANESIMO DI GRAMSCI
Nel quadro generale del pensiero gramsciano, nel suo contributo a sviluppare il marxismo come autonoma e integrale applicazione del. marxismoleninismo alla realtà italiana, particolare importanza, nell'attualità di certi problemi, assume la concezione della filosofia della prassi come umanesimo assoluto. Qui si vuol dire: importanza non di una definizione, ma di una concezione coerentemente sviluppata sul piano teorico, come sintesi e come elementi di sintesi, e concretamente inserita e connessa in una realtà storica nazionale: importanza della maniera. attraverso la quale si afferma l'umanesimo di Gramsci: sia come umanesimo assolu[...]

[...]realtà italiana, particolare importanza, nell'attualità di certi problemi, assume la concezione della filosofia della prassi come umanesimo assoluto. Qui si vuol dire: importanza non di una definizione, ma di una concezione coerentemente sviluppata sul piano teorico, come sintesi e come elementi di sintesi, e concretamente inserita e connessa in una realtà storica nazionale: importanza della maniera. attraverso la quale si afferma l'umanesimo di Gramsci: sia come umanesimo assoluto che si risolve nello storicismo assoluto della filosofia della prassi, risultato di tutta la storia precedente; sia come concezione che,. inserita nella storia della società e della cultura italiana, si apre in una. prospettiva concreta e operante. Come concezione che, compenetrata nella realtà, assume significato preciso di fronte ai problemi e agli avvenimenti attuali: prendendo posizione, negando o affermando, difendendo l'importanza della persona umana. Come concezione che non può essere separata dalla particolare azione storica necessaria alla sua realizzazio[...]

[...] concreta e operante. Come concezione che, compenetrata nella realtà, assume significato preciso di fronte ai problemi e agli avvenimenti attuali: prendendo posizione, negando o affermando, difendendo l'importanza della persona umana. Come concezione che non può essere separata dalla particolare azione storica necessaria alla sua realizzazione. Umanesimo, quindi, che nella consapevolezza di una dialettica unità di filosofia e ideologia (in senso gramsciano) trova il suo vero significato, iI suo concreto e vivo valore. 'In Gramsci è presente la società italiana non resa evanescente in generici riferimenti, ma nella sua storia passata. e presente, nei suoi contrasti, nelle sue classi, nei suoi gruppi. Egli « pensa » in riferimento ad una « condizione umana » ben configurata
150 1 documenti del convegno
nelle sue contraddizioni. ipotizzare l'uomo in una condizione umana predeterminata significa farne un feticcio. Affermare in concreto l'importanza della persona umana significa porre e risolvere i problemi della sua concreta libertà, niella consapevolezza dei condizionamenti delle determinate fasi storiche e delle forze[...]

[...]zione umana » ben configurata
150 1 documenti del convegno
nelle sue contraddizioni. ipotizzare l'uomo in una condizione umana predeterminata significa farne un feticcio. Affermare in concreto l'importanza della persona umana significa porre e risolvere i problemi della sua concreta libertà, niella consapevolezza dei condizionamenti delle determinate fasi storiche e delle forze sociali che dialetticamente vi sono impegnate. L'uomo di cui parla Gramsci è ben lungi dall'essere l'uomo in astratto e non soltanto perché considerato entro coordinate non metafisiche né speculative, ma perché considerato nella sua capacità di comprendersi nei suoi rapporti sociali storici divenendone forza modificatrice, nella sua determinata azione, per la reintegrazione di se stesso. Per una reintegrazione in senso marxista. Continua e avvertita è la critica che Gramsci volge contro le astrazioni filosofiche e ideologiche quali: il partito in genere, le classi in geniere, l'umanità in genere. u ... La natura umana è l'insieme dei rapporti sociali storicamente determinati, cioè un fatto storico accertabile, entro certi limiti, coi metodi della filologia e della critica » 1. « Inoltre: l'insieme dei rapporti sociali è contraddittorio in ogni momento ed è in continuo svolgimento, sicché la "natura " dell'uomo non è qualcosa di omogeneo per tutti gli uomini in tutti i tempi » 2. Tutti i problemi sono da Gramsci posti in maniera conseguentemente storicistica. Por[...]

[...]i in geniere, l'umanità in genere. u ... La natura umana è l'insieme dei rapporti sociali storicamente determinati, cioè un fatto storico accertabile, entro certi limiti, coi metodi della filologia e della critica » 1. « Inoltre: l'insieme dei rapporti sociali è contraddittorio in ogni momento ed è in continuo svolgimento, sicché la "natura " dell'uomo non è qualcosa di omogeneo per tutti gli uomini in tutti i tempi » 2. Tutti i problemi sono da Gramsci posti in maniera conseguentemente storicistica. Porre il problema dell'uomo in generale, in generali condizionamenti, è una astrazione. Non si può quindi parlare cli un umanesimo che non sia assoluto storicismo. Come pure non si può parlare di umanesimo senza affrontare alcuni problemi che specie entro il campo del pensiero marxista assumono particolare importanza.
In che senso la filosofia della prassi di Gramsci assume la dimensione di autonoma concezione del mondo: di fronte al pensiero precedente, alle componenti storiche del marxismo stesso e alle formulazioni che esso ha avuto? e con quali nessi con le altre sovrastrutture e con la struttura? con quale connessione con l'azione?
ovvio che marginali annotazioni non possono non rivelarsi inadeguate di fronte a questi interrogativi — e alla molteplicità di questioni che vengono a porre — e non considerarsi tali esse stesse: utili, semmai, per un avvio all'esame e alla ricerca.
1 Mach., p. 8.
2 Mach., p. 200.
Salvatore Giacomo Graziano 151
Per G[...]

[...]zioni che esso ha avuto? e con quali nessi con le altre sovrastrutture e con la struttura? con quale connessione con l'azione?
ovvio che marginali annotazioni non possono non rivelarsi inadeguate di fronte a questi interrogativi — e alla molteplicità di questioni che vengono a porre — e non considerarsi tali esse stesse: utili, semmai, per un avvio all'esame e alla ricerca.
1 Mach., p. 8.
2 Mach., p. 200.
Salvatore Giacomo Graziano 151
Per Gramsci, che il marxismo si sviluppi come « struttura di pensiero completamente autonoma e indipendente », è condizione necessaria alla sua natura di teoria « rivoluzionaria » che si può affermare come tale nella misura in cui è « elemento di separazione e distinzione consapevole dal vecchio mondo » e capacità di esercitare la propria egemonia sulla cultura tradizionale. Operante autonomia che è criterio della stessa ortodossia la quale « non deve essere ricercata in questo o quello dei seguaci della filosofia della prassi, in questa o quella tendenza legata a correnti estranee alla dottrina original[...]

[...]ella prassi non può essere affermata se nel marxismo vengono distinte la filosofia generale dall'economia e dalla politica, considerate parti aggiunte. Né tanto meno se, con un procedimento implicitamente contraddittorio, si ricerchi una filosofia che possa essere assunta a base del marxismo: « la nuova filosofia non può coincidere con nessun sistema del passato comunque esso si chiami » 2 Nelle « Note critiche sul Saggio popolare » di Bukharin, Gramsci confuta con molta energia l'opinione del marxismo distinto in sociologia e filosofia. Da una parte, la sociologia che, in questa distinzione, viene a risolversi in una classificazione schematica di fatti storici e politici, ispirata dall'evoluzionismo, e che, svalutando il principio dialettico (passaggio dalla quantità alla qualità), non è che ïl « tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società in modo da "prevedere" l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia » 3. Dall'altra, la filosofia propriamente detta ch[...]

[...]del pensiero in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali delle vecchie società. Se la filosofia della prassi non è pensata che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime » 1. La radice di tutti gli errori di fondo nel Manuale di Bukharin viene indicata con grande chiarezza da Gramsci nella pretesa di distinguere il materialismo storico dalla filosofia generale e di considerarlo puramente « sociologia » .
Il reale superamento critico e concreto di tutte le filosofie precedenti, di ogni metafisica e di ogni forma di pensiero speculativo, sotto qualsiasi guisa si presentino, è rappresentato dalla filosofia della prassi che nella nuova sintesi con cui si costituisce e in cui la storia stessa converge, si pone « come espressione necessaria e inscindibile di una determinata azione storica, di una determinata prassi » 2, came consapevolezza delle contraddizioni ed elemento stes[...]

[...]essa converge, si pone « come espressione necessaria e inscindibile di una determinata azione storica, di una determinata prassi » 2, came consapevolezza delle contraddizioni ed elemento stesso della contraddizione elevata « a principio di conoscenza e quindi di azione » 3, come momento storico che si identifica con la storia, senza « cadere nello scetticismo e nel relativismo morale e ideologico » 4. Questione, quest'ultima, sulla quale sovente Gramsci ritorna, nei diversi aspetti nei quali si presenta, perché respingere l'obiezione che il marxismo possa esprimersi soltanto came storiografia è necessario sia per dare validità al metodo generale stesso, sia perché questo possa costituirsi come filosofia concreta dal punto di vista della dialettica reale: se « la filosofia della prassi si realizza nello studio concreto della storia passata e nell'attività attuale di creazione di nuova storia », la possibilità di teorizzare i concetti permette di non cadere « in una nuova forma di nominalismo » 5. Il mar
1 M. S., p. 132.
2 M. S., p. 133.
3 [...]

[...]autonoma e integrale concezione del mondo come coscienza concreta della storia, del divenire dialettico, come « scienza della dialettica o gnoseologia, in cui i concetti generali di storia, di politica, di economia si annodano in unità organica » '. « La filosofia della prassi è lo " storicismo " assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia » 2.
Quale rapporto implica l'umanesimo totale di Gramsci con la componente naturalistica del marxismo? Non si tratterà tanto di rilevare, con una considerazione piú facilmente immediata, il rivolgersi preminente del pensiero di Gramsci aile scienze umanistiche e storiche — a quelle cioè che, come scrive Gramsci in una nota 3, « si riferiscono all'attività storica dell'uomo, al suo intervento attivo nel processo vitale dell'universo » — quanto di definire il significato che, in esso, queste assumono rispetto alle scienze naturali, o piú esattamente, quanto le prime si estendono dialetticamente nelle altre nella considerazione del rapporto uomonatura. Si tratterà di esaminare con quale nesso viene considerato quell'« intervento attivo » dell'uomo nel « processo vitale dell'universo », alla luce di uno storicismo integrale, e del significato che viene ad assumere l'attività dell'uomo storicamente e dia[...]

[...]no dialetticamente nelle altre nella considerazione del rapporto uomonatura. Si tratterà di esaminare con quale nesso viene considerato quell'« intervento attivo » dell'uomo nel « processo vitale dell'universo », alla luce di uno storicismo integrale, e del significato che viene ad assumere l'attività dell'uomo storicamente e dialetticamente « creatrice di tutti i valori, anche scientifici » 4. Nell'attività praticasperimentale dello scienziato, Gramsci indica « il primo modello di mediazione dialettica tra l'uomo e la natura », cioè di un rapporto attivo in cui l'uomo attraverso la tecnologia conosce e domina la natura: nell'unità di teoria e pratica. Nel quale nesso storicodialettico si risolve la conoscenza critica del mondo esterno e l'oggettività. Oggettività che non pub essere affermata, senza cadere in un tradizionale realismo, in una qualità extrastorica ed extraumana: « noi conosciamo la realtà solo in rapporto all'uomo e siccome l'uomo è divenire storico, anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l'oggettività è un di[...]

[...]storia e all'uomo per affermare acriticamente l'oggettività. Accettare a base della gnoseologia la convinzione del senso comune, cosí come si è radicata negli uomini praticamente e anche scientificamente, di una realtà indipendente dall'uomo significa accettare un'ideologia, ovvero una certezza che nella propria acriticità non si dimostra ma si perpetua senza porsi la domanda da che cosa sia originata, senza storicizzarsi. L'impostazione data da Gramsci non intende capovolgere le conclusioni del senso comune, ma far acquisire la stessa conclusione materiale ad un rinnovato senso comune: stessa conclusione, ma resa di qualità diversa, non mitologica, ma riconquistata contro il dogmatismo e il realismo religioso, verso una nuova direzione. Non una certezza confermata da una filosofia che assuma come punto di partenza della scienza la credenza del senso comune, ma, nella consapevolezza storica, da una concezione c'he riconosce il suo significato e il suo valore nell'essere ideologia. Il senso comune, affermando l'oggettività del reale, « afferm[...]

[...]ale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario» 4, per
1 M. S., p. 160.
2 M. S., p. 142.
3 M. S., pp. 545.
4 M. S., p. 142.
Salvatore Giacomo Graziano 155
cui lottare per sostituire l'oggettività alle concezioni parziali, ideologicamente riflettenti le contraddizioni delle società, significa lottare per l'unificazione del genere umano, cioè per l'eliminazione delle particolari contraddizioni interne.
Gramsci rivolge una costante critica verso la concezione fatalistica e meccanicistica del marxismo, concezione in cui « le forze umane sono considerate come passive e non consapevoli, come un elemento non dissimile dalle case materiali » 1. Critica dalla quale non è assente una coerente valutazione storicistica. Il marxismo nella sua lotta contro i residui del mondo capitalistico, nella sua azione di penetrazione nelle masse popolari ha dovuto allearsi con tendenze estranee. Come anche, in altre condizioni, il determinismo rispecchia una condizione subalterna: « aroma ideologico », il suo valore cons[...]

[...]smo rispecchia una condizione subalterna: « aroma ideologico », il suo valore consiste nell'essere una ripiegata e contraddittoria forma di fiducia, di resistenza morale, di « perseveranza paziente e ostinata » di certi strati sociali, manifestando, in tal modo, che in questo « fatalismo appassionato » pur sempre esiste realmente « una forte attività volitiva, un intervento diretto sulla forza delle cose » 2. Il determinismo meccanico — aggiunge Gramsci — « spiegabile come filosofia ingenua della massa e, solo in quanto tale, elemento intrinseco di forza, quando viene assunto a filosofia riflessa e coerente da parte degli intellettuali, diventa causa di passività, di imbecille autosufficienza, e ciò senza aspettare che il subalterno sia diventato dirigente e responsabile » 3. E a questo proposito le osservazioni sulla forma necessaria della. volontà delle masse in riferimento al cristianesimo e al calvinismo in particolare, quelle sulla diffusione di una nuova concezione del mondo e sulle forze che mette in moto non sono da considerarsi marg[...]

[...], p. 190.
2 M. S., pp. 134.
3 M. S., p. 14.
4 M. S., p. 23.
156 I documenti del convegno
tica, che non si limita ad interpretare concettualmente ma a trasformare il reale, creativo nel senso di pensiero che « modifica il modo di sentire del maggior numero e quindi la realtà stessa che non può esser pensata senza questo maggior numero 1. La « volontà collettiva » — l'intervento degli uomini nel loro perseguire fini immediati e mediati — è in Gramsci .fattore di sviluppo storico in condizioni date, e non soltanto come « tesi » — « ossia nel momento della resistenza e della conservazione » — ma soprattutto come « antitesi » che con la prospettiva di fini concreti si pone come « iniziativa e spinta progressiva » 2. il fattore umano è protagonista operante entro la storia nella misura in cui sappia e voglia realizzare le conseguenze di premesse obiettive in una giusta connessione del mezzo col fine. Si ricordi come l'oggettività del presente ricercata come studio delle situazioni per lo svolgimento di un programma riceve tale significato sol[...]

[...]eduto " » . Prevedibile è la lotta, non I momenti di essa che sono « risultati di forze contrastanti in continuo movimento » 4. Per cui nelle analisi storicopolitiche la sopravvalutazione delle cause meccaniche quanto l'esaltazione dell'elemento volontaristico sono evitate dalla giusta valutazione del rapporto «tra ciò che è organico e ciò che è occasionale » 5. L'azione politica, rivolta a dare consapevdlezza critica alle moltitudini, ricorderà Gramsci, tende a distruggere « la legge dei grandi numeri ». Nella stessa rivendicazione di una economia diretta, « destinata a spezzare la legge statistica meccanicamente intesa, cioè prodotta dall'accozzo casuale di in
1 M. S., p. 23.
2 P., pp. 1901.
3 Mach., pp. 389.
4 M. S., p. 135.
5 Mach., p. 42.
Salvatore Giacomo Graziano 157
finiti atti arbitrari individuali » , è « la consapevolezza umana che si sostituisce alla " spontaneità" naturalistica » 3.
In Gramsci particolare significato e valore assumono la politicità e la scienza della politica. In generale: « l'efficienza della volontà po[...]

[...]truggere « la legge dei grandi numeri ». Nella stessa rivendicazione di una economia diretta, « destinata a spezzare la legge statistica meccanicamente intesa, cioè prodotta dall'accozzo casuale di in
1 M. S., p. 23.
2 P., pp. 1901.
3 Mach., pp. 389.
4 M. S., p. 135.
5 Mach., p. 42.
Salvatore Giacomo Graziano 157
finiti atti arbitrari individuali » , è « la consapevolezza umana che si sostituisce alla " spontaneità" naturalistica » 3.
In Gramsci particolare significato e valore assumono la politicità e la scienza della politica. In generale: « l'efficienza della volontà politica rivolta a suscitare forze nuove ed originali e non solo a calcolare su quelle tradizionali » 2. Nel quai senso si chiarisce — se non si va errati — l'impostazione data alla morale come « ricerca della condizione necessaria per la libertà del volere», volontà da indirizzare verso quei fini che si presentano storicamente e la cui realizzazione si pone come « dovere » 3. Una morale che affermantesi nell'uomo che realizza i momenti positivi della storia si sottra[...]

[...]ntà da indirizzare verso quei fini che si presentano storicamente e la cui realizzazione si pone come « dovere » 3. Una morale che affermantesi nell'uomo che realizza i momenti positivi della storia si sottrae alle norme dei valori assoluti che in realtà, nel loro contenuto, non superano un ambiente dato. Una morale che attribuisce alla persona il compito di realizzare responsabilmente la propria pienezza in una condotta sociale entro la storia. Gramsci critica la concezione fatalistica anche su questo piano in quanto in essa l'agire dell'uomo è giustificato dall'ambiente dato e ogni singola responsabilità viene dispersa « in una astratta e irreperibile responsabilità sociale» 4. La funzione educatrice è centrale in una concreta concezione dell'uomo. Gramsci scrive: « Se... l'individuo per cambiare, ha bisogno che tutta la società si sia cambiata prima di lui, meccanicamente, per chissà quale forza extraumana, nessun cambiamento avverrebbe mai. La storia invece è una continua lotta di individui e di gruppi per cambiare ciò che esiste in ogni momento dato, ma perché la lotta sia efficiente questi individui e gruppi dovranno sentirsi superiori all'esistente, educatori della società... » 5.
Il continuo richiamo critico di Gramsci contro le velleitarie astrattezze, con una coerenza nella sua vita che colpisce, è umanistica affermazione della ragione[...]

[...]ividuo per cambiare, ha bisogno che tutta la società si sia cambiata prima di lui, meccanicamente, per chissà quale forza extraumana, nessun cambiamento avverrebbe mai. La storia invece è una continua lotta di individui e di gruppi per cambiare ciò che esiste in ogni momento dato, ma perché la lotta sia efficiente questi individui e gruppi dovranno sentirsi superiori all'esistente, educatori della società... » 5.
Il continuo richiamo critico di Gramsci contro le velleitarie astrattezze, con una coerenza nella sua vita che colpisce, è umanistica affermazione della ragione e dell'attività concreta. Ragione non come funzione astratta e volontà come negazione del velleitarismo. « Occorre... violentemente attirare l'attenzione nel presente cosí com'è, se si vuole trasformarlo. Pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà » 6. « L'ot
1 M. S., p. 127.
2 Mach., p. 86.
8 M. S., p. 98.
4 P., p. 203.
5 P., p. 203.
6 P., p. 6.
158 1 documenti del convegno
timismo non è altro, molto spesso, che un modo di difendere la propria pigrizia, [...]

[...]inventiva in iniziative concrete che modificano la realtà esistente » 1. La fiducia nella ragione umana è ricerca in cui la stessa ragione è storicamente acquisita e mantenuta con un pensiero e una azione operanti nella realtà e nella storia: affermazione di una ragione antidogmatica che sappia mostrare la storicità di se stessa e di ciò che irrazionale diviene. Non sono le generalità razionali che costituiscono unità. « Non il pensiero — scrive Gramsci — ma ciò che realmente si pensa unisce o differenzia gli uomini » 2.
La concretezza di un problema oltre che nella natura del problema stesso consiste nella possibilità della sua soluzione, nella misura in cui è concretamente affrontato da coloro che devono trasformarlo in realtà storica. Delineare una concezione, sia pure razionale e organica nella formulazione teorica, è assolutamente insufficiente se nello stesso tempo non viene posto il problema di come. possa divenire vivente realtà, di come possa realizzarsi sostituendosi ad altre concezioni. Nell'opera di Gramsci, entro il problema de[...]

[...]ra del problema stesso consiste nella possibilità della sua soluzione, nella misura in cui è concretamente affrontato da coloro che devono trasformarlo in realtà storica. Delineare una concezione, sia pure razionale e organica nella formulazione teorica, è assolutamente insufficiente se nello stesso tempo non viene posto il problema di come. possa divenire vivente realtà, di come possa realizzarsi sostituendosi ad altre concezioni. Nell'opera di Gramsci, entro il problema dell'egemonia della classe operaia, fondamen tale importanza assume la costituzione di un nuovo ordine morale e intellettuale della società in cui si realizzi una piena corrispondenza tra fatto intellettuale e norma di condotta. « Si può dire che non solo la filosofia della prassi non esclude la storia eticopolitica, ma che anzi la fase piú recente di sviluppo di essa consiste appunto nella rivendicazione del momento dell'egemonia come essenziale nella sua concezione statale e nella " valorizzazione " . del fatto culturale, dell'attività culturale, di un fronte culturale co[...]

[...] « culture » dominanti che hanno esaurito se stesse ed ora pesano nella rigida negatività, incapaci di imporsi se non come rinuncia dei propri presupposti storici. La nuova cultura non può essere una « formula di vita », ma espressione di una attività che abbia radici e validità nella storia, un consapevole posto nello sviluppo degli avvenimenti umani: i soli che possano permettere il riconoscimento di esigenze concrete.
Un concetto centrale in Gramsci è che la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, non può essere distinta dalla creazione di una nuova coscienza nazionalepopolare. Una nuova cultura che si inserisca nello sviluppo storico organico dovrà rendere consapevoli nuove forze e renderle positivamente fattive. Sembra opportuno, in questo senso, collegare ciò che si è andato dicendo alle note di Gramsci sull'Umanesimo, sul Rinascimento, sul Machiavelli e sulla funzione del « moderno principe ». Gramsci diede dell'Umanesimo e del Rinascimento — momenti conclusivi di un vasto movimento che inizia dopo il Mille — un giudizio severo. Qui, ovviamente, non si tratterà di impegnare le vaste questioni che vengono a porsi con tale giudizio che, isolato in sé, ricalca impostazione insoddisfacenti, quanto di notare che in Gramsci esso ritrova efficacia nella contrapposizione UmanesimoRiforma, esemplificazioni storiche di cultura di pochi e di cultura popolare, di concezione che non riesce a farsi ideologia popolare e di concezione che riesce ad influire sullo sviluppo della storia inserendosi nel corso della realtà sociale come attività collettiva. L'Umanesimo, considerato nel quadro del movimento rinnovatore sorto nell'XI sec. e in quello della funzione politicosociale degli intellettuali in Italia, è valutato come espressione di « uno strato di intellettuali che sente e rivive l'antichità e che si allontana sempre p[...]

[...]cati dal popolonazione, non superarono le concezioni universalistiche romana e medioevale in modo particolare. « Classe intellettuale di portata europea » , non caratterizzandosi come forza nazionale, gli umanisti in Italia esercitarono una funzione cosmopolita reazionaria. La funzione progressiva fu dall'Umanesimo esercitata all'estero dove partecipò alla formazione de
Stati moderni 2. il movimento progressivo che inizia dopo il Mille — scrive Gramsci — « proprio in Italia è decaduto e proprio coll'Umanesimo e il Rinascimento che in Italia sono stati regressivi mentre nel resto d'Europa il movimento generale culminò negli Stati nazionali... » 3. E cosí in un'altra nota: « Il contenuto ideologico del Rinascimento si svolse fuori d'Italia, in Germania e in Francia, in forme politiche e filosofiche: ma lo Stato moderno e la filosofia moderna furono in Italia importati perché i nostri intellettuali erano anazionali e cosmopoliti come nel Medioevo, in forme diverse, ma negli stessi rapporti generali » 4. Se è giusto indicare in queste osservazi[...]

[...]i... » 3. E cosí in un'altra nota: « Il contenuto ideologico del Rinascimento si svolse fuori d'Italia, in Germania e in Francia, in forme politiche e filosofiche: ma lo Stato moderno e la filosofia moderna furono in Italia importati perché i nostri intellettuali erano anazionali e cosmopoliti come nel Medioevo, in forme diverse, ma negli stessi rapporti generali » 4. Se è giusto indicare in queste osservazioni il nucleo del negativo giudizio di Gramsci sull'UmanesimoRinascimento, occorre nello stesso tempo mettere in rilievo come ad esso è congiunto il riconoscimento di quello che a giusta ragione Gramsci definisce il « contenuto piú originale e pieno d'avvenire » : l'esigenza di una educazione integrale dell'uomo creatore della propria vita e della storia. Solo che questa concezione non si tradusse in coscienza nazionale, in attività ideologica. Mancando in questa sua funzione nazionale, l'UmanesimoRinascimento fini col negare se stesso, col contribuire alla propria negazione, con l'assumere il « carattere di una restaurazione », appunto perché la sua elaborazione « rimase patrimonio di una casta intellettuale, non ebbe contatto col popolonazione » 5.
Il pensiero di Machiavelli su questa lin[...]

[...]a casta intellettuale, non ebbe contatto col popolonazione » 5.
Il pensiero di Machiavelli su questa linea assume dimensione storica di grandissimo rilievo. Le opere di Machiavelli sono « espressione di una personalità che vuole intervenire nella politica e nella storia del suo
I R., p. 20.
2 R., p. 15.
3 R., p. 13.
4 R., pp. 278.
5 R., p. 27.
162 I documenti del convegno
paese e in tal senso sono di origine democratica » 1. In tal senso Gramsci può parlare di un « neoumanesimo » di Machiavelli basato « sull'azione concreta dell'uomo che per le sue necessità storiche opera e trasforma la realtà» z. Esprimendo la « necessità politica e nazionale di riavvicinarsi al popolo come hanno fatto le monarchie assolute di Francia e di Spagna » 3, il pensiero politico di Machiavelli esprime le questioni di fondo che il mondo moderno ha chiaramente approfondito. « Il Machiavelli è rappresentante in Italia della comprensione che il Rinascimento non può esser tale senza la fondazione di uno Stato nazionale, ma come uomo egli è il teorico di ciò ch[...]

[...]la necessità storica, come protagonista di un reale ed effettuale dramma storico » 5. Il « moderno principe » è l'organizzatore e « l'espressione attiva e operante » di una volontà collettiva nazionalepopolare e di una riforma intellettuale e morale, « ciò che poi significa creare il terreno per un ulteriore sviluppo della volontà collettiva nazionale popolare verso il compimento di una forma superiore di civiltà moderna » s. Nel considerare, in Gramsci, il rinnovamento culturale della società, è fondamentale aver presente la funzione preminente che assume il « mo
1 Mach., p. 119.
2 Mach., p. 90.
3 R., p. 24.
4 R., p. 13.
5 Mach., p. 6.
6 Mach., p. 8.
Salvatore Giacomo Graziano 163
derno principe » come propulsore delle energie storiche nazionali, come avanguardia di ogni movimento progressivo: funzione culturale nello stesso tempo che politica e non perché la cultura venga considerata strumento, ma per la stessa connessione con l'azione politica.
Nel pensiero di Gramsci è di particolare rilievo il senso che esso, attraverso l'anali[...]

[...]one preminente che assume il « mo
1 Mach., p. 119.
2 Mach., p. 90.
3 R., p. 24.
4 R., p. 13.
5 Mach., p. 6.
6 Mach., p. 8.
Salvatore Giacomo Graziano 163
derno principe » come propulsore delle energie storiche nazionali, come avanguardia di ogni movimento progressivo: funzione culturale nello stesso tempo che politica e non perché la cultura venga considerata strumento, ma per la stessa connessione con l'azione politica.
Nel pensiero di Gramsci è di particolare rilievo il senso che esso, attraverso l'analisi della tradizione culturale italiana, acquista come forza operante per la creazione di una società nuova: superando le correnti tradizionali in senso retrivo e sviluppando ciò che la tradizione nazionale contiene di progressivo. Tutta l'opera di Gramsci, nella sua vastità e profondità, è un richiamo alla rigorosa serietà nello studio, nella ricerca, nell'elaborazione del programma politico « per basare su tutto il passato i fini da raggiungere nell'avvenire e da proporre al popolo come necessità cui collaborare consapevolmente »1. Ed è superfluo ricordare la polemica di Gramsci contro le scelte degli elementi del passato fatte sulla carta, contro lo storicismo che si risolve in atto di volontà arbitrario, in una dialettica di comodo per il buon uso dei riformisti: «ciò che del passato verrà conservato nel processo dialettico non può essere determinato a priori, ma risulterà dal processo stesso, avrà un carattere di necessità storica, e non di scelta arbitraria da parte dei cosí detti scienziati e filosofi » 2. In questa prospettiva, la realizzazione di un nuovo umanesimo, di un nuovo ordine morale e intellettuale nazionale, non può non essere « un movimento democrat[...]

[...]'ap
R., p. 63.
2 M. S., p. 220.
3 R., p. 62.
4 M. S., p. 22.
5 M. S., p. 207.
164 1 documenti del convegno
plicazione del metodo di accertamento oggettivo come « universalmente soggettivo »
Una nuova civiltà come non è apparizione all'esterno di un moto operato da un meccanismo che evolve secondo Ieggi « naturali », cosí non è nemmeno gratuita fioritura di belle idee e di fittizi entusiasmi. « Una riforma intellettuale e morale — ricorda Gramsci — non può non essere legata a un programma di riforma economica, anzi il programma di riforma economica è appunto il modo concreto con cui si presenta ogni riforma intellettuale e .morale» 1. Una nuova civiltà si costruisce combattendo su diversi fronti con un concreto confluire di diverse energie storicamente consapevoli dei fini e dei mezzi verso i quali e con i quali bisogna sapere muoversi. Un rinnovamento morale e intellettuale non è questione che possa essere operata né da un gruppo depositario della verità, né attraverso una « fredda e pedantesca esposizione di raziocini » . L'operosit[...]

[...]é da un gruppo depositario della verità, né attraverso una « fredda e pedantesca esposizione di raziocini » . L'operosità intellettuale si fa concreto rinnovamento nella misura in cui rappresenta le fasi avanzate di tutto il popolonazione, nella misura in cui si traduce in cultura vitalmente operante in espansione e in quantità, per essere cosí operante in profondità e in qualità. E in questa direzione non possono essere dimenticate le parole di Gramsci a proposito della filosofia della prassi che bisogna sviluppare «all'altezza che deve raggiungere per la soluzione dei compiti piú complessi che lo svolgimento attuale della lotta propone, cioè alla creazione di una nuova cultura integrale, che abbia i caratteri di massa della Riforma protestante e dell'Illuminismo francese e abbia i caratteri di classicità della cultura greca e del Rinascimento italiano, una cultura che... sintetizzi la politica e la filosofia in una unità dialettica » 2.
1 Mach., p. 8.
2 M. S., p. 199.
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da [Gli interventi] Alberto Caracciolo in Studi gramsciani

Brano: Alberto Caracciolo

Ad un certo punto delila sua relazione l’on. Palmiro Togliatti ha ricordato come Lenin abbia svòlto la propria elaborazione intorno a tre principali punti nodali: quello della Rivoluzione, quello dello Stato e quello del Partito. In questo triplice ordine di problemi strettamente connessi ed interdipendenti, si deve effettivamente svolgere, mi pare, ogni ricerca per stabilire il leninismo di Gramsci, i suoi rapporti con l'esperienza rivoluzionaria ed il pensiero bolscevico.

Io qui desidero fermarmi, però, su di un solo aspetto: quello della teoria dei Consigli di fabbrica e più in generale dei Consigli operai, quale si presenta in Gramsci nel quadro della teoria dello Stato proletario. E non perché io creda, sia chiaro, che in questo solo aspetto si possa conchiudere tutto Gramsci, né perché mi muova qualche mito — per cosi dire — dei Consigli dappertutto ed in tutti i modi, ma perché credo che questo sia uno dei punti sui quali meglio si può misurare il reale leninismo di Gramsci o di chiunque altro su una delle tre grandi questioni prima indicate, cioè precisamente sulla questione dello Stato.

In che senso Gramsci traduce il leninismo o la esperienza rivoluzionaria russa, in rapporto a tale questione ed alla prospettiva di uno Stato operaio in Italia? Negli appunti che ho presentato per iscritto osservavo come, a rileggere gli scritti del periodo fra il ’17 ed il ’19, accanto al consenso entusiastico, si manifesti verso la Rivoluzione russa anche una certa idealizzazione, una certa trasposizione, nei termini del diverso quadro italiano, della stessa realtà di quel rivolgimento, immaginando senz’altro il' nuovo edificio che là si costruiva come « una organizzazione della libertà di tutti e per tutti — c[...]

[...] che ho presentato per iscritto osservavo come, a rileggere gli scritti del periodo fra il ’17 ed il ’19, accanto al consenso entusiastico, si manifesti verso la Rivoluzione russa anche una certa idealizzazione, una certa trasposizione, nei termini del diverso quadro italiano, della stessa realtà di quel rivolgimento, immaginando senz’altro il' nuovo edificio che là si costruiva come « una organizzazione della libertà di tutti e per tutti — cito Gramsci — ohe non avrà nes562

Gli interventi

sixn carattere stabile e definito, ma sarà una ricerca continua di forme nuove, di rapporti nuovi che sempre si adeguino al bisogno degli uomini e dei gruppi, perché tutte le iniziative siano rispettate, purché utili, tutte le libertà tutelate purché non di privilegio ».

Nel testo che ho presentato ho fatto anche menzione di alcuni errori di fatto, in cui sembra cadere Gramsci a proposito di singoli episodi, come per esempio dell’apporto fisico degli operai alla direzione delle fabbriche, che per una serie di ragioni inerenti alla maniera di sviluppo della Rivoluzione era assai meno imponente di quello che Gramsci, in alcuni suoi passi, mostrasse di ritenere. Ho portato anche alcuni elementi che mi hanno indotto a concludere che, a proposito di iniziativa e di gestione operaia, vi siano alcune importanti originalità nel pensiero di Gramsci e negazione dell'Ordine Nuovo e di Gramsci stesso, rispetto a quella sovietica. Sarà da vedere quanto in questo vi sia di residuo delle iniziali teorie sindacaliste o volontaristiche, delle cui letture Gramsci era particolarmente preso, si potrà anche esaminare se non vi sia qui una certa particolare sensibilità verso la concezione marxiana dello Stato comunista, come Stato dei produttori, come palestra di autogoverno, come luogo che rivaluta e torna a far riemergere progressivamente dalla società politica la società civile.

Si tratta comunque, mi pare, di una inclinazione inconfondibile del pensiero gramsciano, che lo distingue per certi aspetti dal pensiero di Lenin e che a sua volta distingue il movimento dell’Ordine Nuovo, tutto generato dal basso, articolato, autogovernato, dal movimento dei Soviet russi, più tendente a forme di centralizzazione.

Ber Gramsci il Consiglio di fabbrica è autentico ed essenziale organo del poterle che non può in alcun modo essere sostituito dal partito politico o dagli organismi eletti con suffragio universale, cioè dagli organismi di tipo parlamentare. « La soluzione effettiva — scrive nella primavera del 1920 — può essere effettuata solo dalla massa stessa e solo attraverso il Consiglio di fabbrica. La massa non si lascerà più lusingare dalle promesse mirabolanti dei capi sindacalisti, quando si abituerà nella pratica dei Consigli, a pensare che non esistono diversi metodi di lotta di classe, ma uno solo: il metodo[...]

[...]capitale deve essere degli organismi rappresentativi delk massa, del Consiglio e del sistema dei Consigli, responsabili dinnanzi alla massa, costituiti di delegati che, se appartengono al Partito Socialista oltre che alle organizzazioni sindacali sono controllati anche dal Partito che segue una disciplina stabilita dai congressi ai quali ha partecipato l’avanguardia rivoluzionaria di tutta la nazione ». Consigli che, secondo un’altra immagine di Gramsci « stanno al Partito Comunista come, nello svolgimento storico tradizionale, lo Stato sta al Governo».

Differenze dunque dalla pratica dei Soviet, che si possono e si devono ancora approfondire, originalità del movimento dei Consigli, suggerimento di sviluppi nuovi, maturati nella speciale temperie di Torino e dell’Itaiia del primo dopoguerra.

Accennato sia pure rapidamente a questo, io devo fare qui, in un certo senso, un passo indietro. Sento il bisogno cioè di riaffermare come il pensiero di Gramsci si muova, a mio avviso, sulla questione dello Stato operaio e dei Consigli ancora semp[...]

[...]torico tradizionale, lo Stato sta al Governo».

Differenze dunque dalla pratica dei Soviet, che si possono e si devono ancora approfondire, originalità del movimento dei Consigli, suggerimento di sviluppi nuovi, maturati nella speciale temperie di Torino e dell’Itaiia del primo dopoguerra.

Accennato sia pure rapidamente a questo, io devo fare qui, in un certo senso, un passo indietro. Sento il bisogno cioè di riaffermare come il pensiero di Gramsci si muova, a mio avviso, sulla questione dello Stato operaio e dei Consigli ancora sempre, precisamente, nel grande alveo del pensiero leninista. Non è vero, come potrebbe apparire dalla relazione di Padmiro Togliatti, Che Gramsci non abbia presente la distinzione organica fra società civile e società politica, come dimostrano moltissime affermazioni; non vero soprattutto, come apparirebbe dalla stessa relazione, che Gramsci abbia della dittatura del proletariato una idea indeterminata, astratta, indifferente alla ricerca di forme istituzionali proprie. Questa era, se mai, precisamente la posizione degli avversari politici di Gramsci in campo socialista, massimalisti, centristi, estremisti, portati a pronunziare ad ogni passo la parola « rivoluzione », molte volte la parola « dittatura del proletariato », non di rado anche la parola « soviet », ma a non andare al di là delle parole.

Per Gramsci, invece, il problema dei problemi era quello di dare forme organiche, reali, nascenti dalTesperiienza di classe e dalle necessità delk produzione ad istituti nuovi di potere operaio. Chi non faccia questo si può ben qualificare, per lui, velleitario, inconcludente o pericoloso interprete della dittatura del proletariato, come dittatura del partito o della burocrazia sindacale. « Il movimento dei Consigli di fabbrica — dice Gramsci — rimane nella storia del movimento operaio italiano il tenta564

Gli interventi

tivo più ardito compiuto dalla parte più avanzata del proletariato per realizzare ia propria egemonia nella lotta per rovesciare il potere delk borghesia ed instaurare la dittatura del proletariato ».

Per questo, grazie a questo impegno del quale ogni atto ed ogni pagina dell'azione sua sono testimoni, mi pare si possa parlare di un Gramsci e di un movimento dell’Ordine Nuovo che si inquadrano con le loro originalità e peculiarità nel grande filone leninista dei problemi dello Stato operaio. E non avrei bisogno di ripeterlo tanto la cosa appare ovvia se non mi avesse colpito, in verità, il fatto che nel testo a noi distribuito defila redazione Togliatti, mentre si parla molto di dittatura e di egemonia, di partito di avanguardia e di intellettuali organici, quesito argomento 'invece si accenna solo di sfuggita per dichiarare inaccettabile la tesi secondo la quale il Consiglio conterrebbe in sé la soluzione del problema del poter[...]

[...]ne Togliatti, mentre si parla molto di dittatura e di egemonia, di partito di avanguardia e di intellettuali organici, quesito argomento 'invece si accenna solo di sfuggita per dichiarare inaccettabile la tesi secondo la quale il Consiglio conterrebbe in sé la soluzione del problema del potere, cioè la conquista di esso e la creazione di un nuovo Stato. Eppure questa è precisamente la tesi che ancora venti anni fa Togliatti sosteneva parlando di Gramsci, quando diceva : « Egli fu il capo del movimento dei Consigli di fabbrica e faceva dei Consigli di fabbrica l’asse della lotta per il potere ». Mi riferisco ad un volumetto che tutti conoscono, commemorativo di Gramsci, che è del 1938.

C’è anzi di più, perché nel discorso sviluppato ieri sono stato colpito, dal fatto che neppure una volta sia stata pronunziata la parola « Consigli di fabbrica », neppure una volta la parola od il concetto dei Soviet, il concetto dei Consigli operai e contadini, ed è mancato quell’accenno che troviamo invece in uno scritto assai noto di Togliatti aH’indomani del XX Congresso sovietico sull'originale significato democratico di un sistema fondato sui Soviet e sui Consigli.

Io mi chiedo, perciò: che cosa è Gramsci senza i Consigli di fabbrica, senza io sforzo suo di compre[...]

[...]o colpito, dal fatto che neppure una volta sia stata pronunziata la parola « Consigli di fabbrica », neppure una volta la parola od il concetto dei Soviet, il concetto dei Consigli operai e contadini, ed è mancato quell’accenno che troviamo invece in uno scritto assai noto di Togliatti aH’indomani del XX Congresso sovietico sull'originale significato democratico di un sistema fondato sui Soviet e sui Consigli.

Io mi chiedo, perciò: che cosa è Gramsci senza i Consigli di fabbrica, senza io sforzo suo di comprensione dei Soviet russi, che cosa, senza di questo, gli resta di leninista nella concezione d'elio Stato operaio? Soltanto una credenza nella dittatura del proletariato, senza forme reali, senza istituzioni, senza garanzie per il dominio della classe e per la sanità stessa del potere.

Certo molte cose sono accadute da allora nel movimento operaio italiano, inella stessa Unione Sovietica, che sembrano avere allontanato di attualità questo ordine di problemi. Ma noi siamo qui per sforzarci di conoscere Gramsci per quello che è stato,[...]

[...]ta di leninista nella concezione d'elio Stato operaio? Soltanto una credenza nella dittatura del proletariato, senza forme reali, senza istituzioni, senza garanzie per il dominio della classe e per la sanità stessa del potere.

Certo molte cose sono accadute da allora nel movimento operaio italiano, inella stessa Unione Sovietica, che sembrano avere allontanato di attualità questo ordine di problemi. Ma noi siamo qui per sforzarci di conoscere Gramsci per quello che è stato, e Gramsci anche su questo punto, io credo, fu leninista, secondo quello che era il leninismo nelAlberto Caracciolo

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suo tempo, naturalmente, non il leninismo di oggi od il leninismo dell’epoca di Stalin.

Allora io accetterei piuttosto l’interpretazione fatta da Togliatti appunto nel lontano 1938, quando dedicava un lungo capitolo di quel suo scritto a giudicare Gramsci « primo leninista italiano anche precisamente perché interprete nel movimento e nella concezione dei Consigli di fabbrica di una forma italiana della idea dei Soviet, della idea del governo operaio». Vorrei che fossero ricordati ancora, come Togliatti li. ricordava in quello scritto, alcuni acutissimi passi nei quali Gramsci ribadisce che « il Soviet non è un istituto solamente russo, è una forma universale, il Soviet è la forma in cui, dappertutto dove esistano proletari, la lotta per conquistare l'autonomia industriale, la classe operaia, manifesta questa volontà di emanciparsi. Il soviet è la forma di autogoverno delie masse operaie ».

Chi torni a sfogliare gli scritti di Gramsci non può che trovare conferma, senza davvero bisogno di accostamenti tendenziosi, di questo solido nucleo leninista nel suo pensiero sullo Stato. Non si tratta che di restituirlo pazientemente alla luce e di valutarlo criticamente.

Frasi come quella sopra ricordata si trovano d’altronde in forme assolutamente analoghe in tutto il discorso del gruppo dirigente bolscevico nell’epoea della Rivoluzione. Sarebbe troppo ovvio e troppo lungo andare in cerca dei punti in cui Lenin si esprime in questo senso, specialmente nel suo scritto contro il rinnegato Kautsky. Mi limiterò ad osservare come que[...]

[...] ribadite con più chiarezza, con più organicità rispetto all'intera teoria del potere. « La Rivoluzione proletaria in Russia — si dice ad un certo punto — ha stabilito le basi della dittatura del proletariato: i Soviet. La nuova divisione fondamentale del movimento operaio, alla quale dappertutto noi andiamo «incontro, è 1) il Partito; 2) i Consigli operai, Soviet; 3) le associazioni di ;produttori sindacali».

L’importante è di osservare come Gramsci ed il gruppo dellYOrdine Nuovo e quindi successivamente il Partito comunista fossero decisamente >i più strenui difensori della tattica proposta dairinternaziomale Comunista in Italia e quindi non potessero che partecipare a questa concezione. « Aderire aliinternazionale comunista — scriveva Gramsci fin dal 1919 — significa ingranare le proprie istituzioni con quelle degli Stati proletari di Russia e di Ungheria. La Internazionale comunista deve essere una rete di istituzioni proletarie che dal loro seno stesso esprimono una gerarchia complessa e bene articolata ».Alberto Caracciolo

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Ed ancora in queirarticolo in polemica con Mondolfo, già citato da Togliatti, si dice che « ... l’essenziale fatto della Rivoluzione russa è l'instaurazione di un tipo nuovo di Stato, lo Stato dei Consigli, ed a esso deve rivolgersi la critica storica. Tutto il resto è contingenza ».

Più cerco d[...]

[...]mplessa e bene articolata ».Alberto Caracciolo

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Ed ancora in queirarticolo in polemica con Mondolfo, già citato da Togliatti, si dice che « ... l’essenziale fatto della Rivoluzione russa è l'instaurazione di un tipo nuovo di Stato, lo Stato dei Consigli, ed a esso deve rivolgersi la critica storica. Tutto il resto è contingenza ».

Più cerco di 'esaminare questa questione e meno riesco a capire come un simile aspetto del leninismo di Gramsci, e direi, del leninismo tout court, possa essere dimenticato. La questione era allora di cosi grande importanza che rappresentava una vera e propria condizione per partecipare al movimento comunista internazionale, e una decisiya discriminante rispetto ad ogni sorta di posizione socialdemocratica.

E si pensi che sia pure a parole e sia pure confusamente e senza nessun principio di applicazione reale l’intero movimento socialista italiano ripeteva allora con maggiore o minore consapevolezza queste cose, ad eccezione appunto dell’ala riformista. Si potrebbero prendere, anche su questo punto,[...]

[...] potere proletario ».

Cosi ancora la risoluzione del successivo Congresso di Bologna (mozione Serrati) : « A tallii organismi parlamentari dovranno essere opposti organi nuovi proletari, Consigli di lavoratori, contadini, soldati, Consigli della economia pubblica, ecc. i quali divengano organismi di trasformazione sociale ed economica, di ricostruzione del nuovo ordine comunista ».

Mi pare che un’attenta e precisa ricerca su quello che era Gramsci negli anni in cui viveva Lenin, ci dimostri il suo leninismo anche su questa questione. Direi che ise non ci fosse in Gramsci questa precisa concezione sviluppata e poi originalmente portata avanti, dei Consigli come strumenti del potere, come forma originale dello Stato operaio, non

37.568

Gli interventi

potremmo dire che Gramsci sia stato leninista, sia stato in quel momento partecipe del pensiero complessivo di Lenin. 'Per questo, mentre nella comunicazione che ho presentato per iscritto avevo creduto di qualche interesse soffermarmi sulle differenze che si possono presentare tra i'1 pensiero di Lenin e quello di Gramsci, ho creduto però anche che fosse opportuno preliminarmente ribadire che queste differenze si svolgono pur sempre meH’ambito di una .generale concordanza, di una generale partecipazione alla esperienza, airinsegnamento, alle linee maestre che da Lenin venivano in quel momento portate, e che cosi si deve rileggere, reinterpretare Gramsci quando si voglia farne un raffronto con il leninismo e con Lenin.

Non voglio insistere di più su questa questione; c’è solamente da osservare, forse con una certa amarezza, come sia difficile per tutti noi ritornare a personaggi molto vivi, come Gramsci, nella polemica politica attuale, senza darne involontariamente una immagine adattata a sviluppi diversi che sono venuti poi. E come quindi sia ancora lungo il cammino per ricostruire la figura ed il pensiero di Antonio Gramsci* secondo uno sforzo non per trovarvi una conferma a quanto si fa oggi, ma per dare il più possibile, con autentico approfondimento di critica storica, l’unica ricostruzione che può anche oggi essere ricca di motivi vitali, la ricostruzione di quello che, nel suo tempo, egli fu veramente;



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] C. Luporini, La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Cesare Leporini
LA METODOLOGIA FILOSOFICA DEL MARXISMO
NEL PENSIERO DI A. GRAMSCI
(Appunti)
1. Negli scritti di Gramsci s'incontrano molti temi che si possono dire « filosofici » nel senso che appartengono all'ambito tradizionalmente riconosciuto alla filosofia (gnoseologia, morale, logica ecc.). Ma l'importanza filosofica di Gramsci non è connessa a questi temi particolari piú che ad altri che si collegano a vari settori di ricerca (economia, storiografia, politica, linguistica, folklore, ecc.) o piú specificamente propri del marxismo (strutturasovrastruttura, ideologia, egemonia ecc.). Essa è piuttosto da ricercarsi nel livello in cui le diverse questioni s'incontrano e tendono ad articolarsi, nell'indirizzo e contenuto d'insieme e nel metodo del suo pensiero.
Il pensiero di Gramsci non è fatto per chi cerchi una sistemazione di formule, un'esposizione dogmatica del marxismo; esso è una ricerca in movimento, orientata [...]

[...] è connessa a questi temi particolari piú che ad altri che si collegano a vari settori di ricerca (economia, storiografia, politica, linguistica, folklore, ecc.) o piú specificamente propri del marxismo (strutturasovrastruttura, ideologia, egemonia ecc.). Essa è piuttosto da ricercarsi nel livello in cui le diverse questioni s'incontrano e tendono ad articolarsi, nell'indirizzo e contenuto d'insieme e nel metodo del suo pensiero.
Il pensiero di Gramsci non è fatto per chi cerchi una sistemazione di formule, un'esposizione dogmatica del marxismo; esso è una ricerca in movimento, orientata su alcuni temi fondamentali, ma che individua e suscita una grande ricchezza di problemi in direzioni e su piani diversi. La sua fecondità e attualità è legata a questo carattere. Questa attualità ha un significato preciso: Gramsci non ha bisogno (o ha bisogno in misura minima) di una traduzione in nuovi termini dei problemi da lui investigad, per esser compreso e divenire intellettualmente utile. Si tratta nelle sue pagine di questioni tuttavia aperte, anche dove siano consunte le circostanze storicoculturali in cui si generarono, una parte delle quali appaiono anzi divenute piú attuali e chiare nel loro significato, attraverso lo svolgimento storico successivo sia della cultura (non solo
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italiana), sia della realtà politicosociale. Sotto questo aspetto potremmo dirlo un pensiero ancora im[...]

[...] storicoculturali in cui si generarono, una parte delle quali appaiono anzi divenute piú attuali e chiare nel loro significato, attraverso lo svolgimento storico successivo sia della cultura (non solo
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italiana), sia della realtà politicosociale. Sotto questo aspetto potremmo dirlo un pensiero ancora immediatamente carico di futuro, per lo sviluppo del marxismo in un orizzonte universale. D'altra parte il pensiero di Gramsci è articolato nella cultura italiana e profondamente radicato nella realtà italiana. Sotto questo riguardo, che non tocca a noi svolgere, Gramsci succede ad A. Labriola nell'aver fatto del marxismo; in una fase storica diversa e piú matura, una corrente fondamentale del pensiero italiano.
2. Lo stato di elaborazione, forzatamente non definitiva, in cui si è fissato e ci è rimasto il suo pensiero, sembra legittimare un criterio d'interpretazione per cui si attribuisca una relativa preponderanza alla proposizione determinata dei problemi, rispetto alle particolari soluzioni, alcune delle quali sono evidentemente rimaste ancora fluide (eventualmente provvisorie), o si presentano esse stesse piuttosto come ulteriori orientamenti di ricer[...]

[...]erca. (Per « proposizione determinata » s'intende un problema posto con quella precisione che ne determina o include una linea di svolgimento, e una serie di articolazioni con altri problemi). E ciò :anche a prescindere dalla questione della forma attuale di pubblicazione dei testi. Tale criterio vale, naturalmente, entro certi limiti: quelli che ci consentano di non perdere nulla della ricchezza di indicazioni positive e nuove che si trovano in Gramsci, e insieme di porre in evidenza, attraverso la grande varietà di argomenti da lui affrontati, gli aspetti centrali, organici, pienamente definiti, del suo pensiero, dai quali ricevono luce le impostazioni particolari. Non si tratta dunque di tentare alcuna sistemazione estrinseca, ma di rimaner fedeli al concetto fondamentale di Gramsci, in cui egli prosegue A. Labriola, della piena autonomia scientifica e originalità filosofica del marxismo.
3. Questo concetto costituisce la persuasione profonda ed il vero filo conduttore di tutta l'elaborazione gramsciana. Il marxismo non è per Gramsci soltanto un metodo, ma è una filosofia in quanto concezione della realtà (« concezione del mondo ») ed indirizzo dell'agire (ideologiapolitica). Il momento metodico e .il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente; non sono separabili
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senza grave deformazione. La metodologia del marxismo, come si presenta in Gramsci, va rilevata non solo dagli elementi espliciti di carattere metodologico (spunti, osservazioni, ecc.) di cui egli è ricco, anche se essi sono indicativi di alcuni tra i suoi interessi piú originali, ma, innanzi tutto, dal procedimento effettivo con cui egli elabora i problemi. L'espressione «filosofia della prassi », usata da Gramsci per ragioni carcerarie in luogo di « marxismo » (tuttavia non sempre), non è una scelta arbitraria o convenzionale, essa è significativa dell'orientamento fondamentale del suo pensiero.
I punti di riferimento essenziali, le costanti, del pensiero di Gramsci rispetto ai classici del marxismo, sono da trovarsi nelle Tesi su Feuerbach (specialmente, per il suo carattere conclusivo, nella XI) e nella Prefazione al Per la critica dell'economia politica. Ossia, nella concezione di una filosofia « per mutare il mondo » (fondata sulla prassi umana sensibile) e nel nesso strutturasovrastrutture. Il concetto leniniano di « egemonia » (direzione politica e culturale; Stato) segna la via di svolgimento attuale di questi punti di partenza. Esso porta in primo piano il problema della situazione di coscienza delle grandi masse, in seno alla lotta economica e p[...]

[...]ento attuale di questi punti di partenza. Esso porta in primo piano il problema della situazione di coscienza delle grandi masse, in seno alla lotta economica e politica, il problema della loro unificazione culturale e, in un orizzonte piú ampio o remoto, quello della unificazione culturale di tutti gli uomini. Il marxismo si presenta cosí come riforma intellettuale e morale di massa dei tempi moderni. La parte forse piú nuova della problematica gramsciana si svolge da questa concezione. L'esigenza di far coincidere storicamente tale aspetto con la soluzione dei compiti teorici, scientifici ecc., piú alti e complessi, cioè l'esigenza di una « culturaintegrale » , che, sulla base della classe rivoluzionaria, possieda un'espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò essenziale alla dinamica del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità irriducibile a tutte le precedenti « filosofie ». L'identificazione dialettica operata da Gramsci di filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia) — che ha aspetti qua[...]

[...]i far coincidere storicamente tale aspetto con la soluzione dei compiti teorici, scientifici ecc., piú alti e complessi, cioè l'esigenza di una « culturaintegrale » , che, sulla base della classe rivoluzionaria, possieda un'espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò essenziale alla dinamica del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità irriducibile a tutte le precedenti « filosofie ». L'identificazione dialettica operata da Gramsci di filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato o proiettata verso il futuro — non è comprensibile senza questa nuova dimensione della considerazione filosofica (non ha nulla a che fare, ad esempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico). La stessa esposizione del marxismo come filosofia si fa astratta (soprattutto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto il problema dell'ege
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monia) se è svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofic[...]

[...]zione del marxismo come filosofia si fa astratta (soprattutto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto il problema dell'ege
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monia) se è svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali (tipizzate ai loro estremi in idealismo e materialismo metafisico) e non coinvolge 1a discussione col « senso comune ». La nozione di « senso comune » diventa perciò centrale.
Essa nel contesto gramsciano è ben piú complessa del consueto riferimento di comodo che sotto tale denominazione serve in generale ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento mentale staticamente contrapposto alla « criticità » della filosofia o alla metodologia scientifica (anche se, eventualmente, lo si consideri, in ultima analisi, con esse conciliabile). Il « senso comune » non è in Gramsci univocamente riducibile, nei suoi contenuti: esso è sempre « prodotto storico » che contiene e cristallizza contraddittoriamente le piú varie eredità passive del passato, oltre, naturalmente, gli elementi attivi da liberare e elaborare. $ il terreno su cui esercitano la loro azione e la loro presa le ideologie dominanti di gruppo e di classe che contrastano ad ogni spinta unificatrice della coscienza umana e realizzatrice della integrale umanità dell'uomo. L'assunto implicito (o in parte implicito, in parte esplicito) reperibile ile in molte esposizioni dogmatiche, piú o meno volgarizzatrici,[...]

[...]na e realizzatrice della integrale umanità dell'uomo. L'assunto implicito (o in parte implicito, in parte esplicito) reperibile ile in molte esposizioni dogmatiche, piú o meno volgarizzatrici, del marxismo di una sua conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che comporta la mancanza di approfondimento di questa nozione nelle sue effettive implicazioni storicosociali) si presenta cosí come inaccettabile al pensiero di Gramsci, tale da frenare lo sviluppo della « filosofia della prassi » e della sua capacità concretamente riformatrice (in senso intellettuale e morale), rivolta alle grandi masse umane, anche se esso è spiegabile (come altri compromessi teorici impliciti nel settarismo e dogmatismo) con una fase ancora egemonicamente arretrata del movimento reale (rivoluzionario) di cui ii marxismo è espressione.
Nella problematica gramsciana del « senso comune », intesa in siffatta complessità (e quindi nell'opposizione, o nesso dialettico, con la rinnovata nozione di « filosofia ») convergono e si articolano serie molteplici di altri problemi. Innanzi tutto quelli relativi al linguaggio (« nome collettivo »...) e ai « linguaggi » (tecnici, specialistici ecc.), che hanno forte rilievo nel pensiero di Gramsci e risonanze filosofiche particolarmente attuali (e si connettono al riconoscimento della varietà delle metodologie
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scientificorazionali, secondo i diversi settori di ricerca, e insieme alla questione dei criteri generali di cid che è « scienza »); e inoltre i problemi relativi alla religione e alla ideologia in generale; quelli pedagogici nel senso piú lato (dalla scuola e istruzione al rapporto governantigovernati, dirigentidiretti) e temi piú particolari come folklore, tradizione culturale ecc. L'insieme di tali questioni e dell'atteggiamento mentale che le sottende ed [...]

[...]i è dato a questa parola » (Engels), della fine (ossia, cessata funzionalità sociale e fecondità spirituale) della figura tradizionale del « filosofo individuale », e insieme caratterizza la nascita, in seno al movimento di elaborazione collettiva, del « filosofo democratico » (che concepisce la propria « personalità » come « rapporto sociale attivo di modificazione dell'ambiente culturale »).
È da mettere in rilievo il fatto che l'impostazione gramsciana di tale complesso di problemi non ha solo valore attivo e programmatico (come teoria dell'azione politicorivoluzionaria della classe operaia nelle sue implicazioni più vaste e rinnovatrici), ma si riflette sul corso storico passato della società, approfondendo e allargando le categorie storiografiche del marxismo. Per es., nella critica alla concezione volgare o tendenziosa delle sovrastrutture come « apparenze », concezione inverata nel concetto della loro specifica storicità all'interno del « blocco storico » reale, ossia del sistema strutturasovrastruttura. Per es., nell'implicita appli[...]

[...]zioni più vaste e rinnovatrici), ma si riflette sul corso storico passato della società, approfondendo e allargando le categorie storiografiche del marxismo. Per es., nella critica alla concezione volgare o tendenziosa delle sovrastrutture come « apparenze », concezione inverata nel concetto della loro specifica storicità all'interno del « blocco storico » reale, ossia del sistema strutturasovrastruttura. Per es., nell'implicita applicazione che Gramsci fa dell'XI Tesi su Feuerbach (fondamento della sua identificazione di filosofia e politica), onde essa, mediatamente, diviene criterio di giudizio storico anche delle filosofie del passato, attraverso l'allargata nozione (o nozione reale) di quella che è la « filosofia di un'epoca » (non riducibile all'insieme delle filosofie dei filosofi individuali, sistematici, ecc.). Concezione quest'ultima che contiene in nuce la soluzione delle odierne aporie relative al nesso storia della filosofiastoria della cultura (della scienza, delle idee ecc.).
4. La concezione marxista della storia (nella dop[...]

[...]toria della cultura (della scienza, delle idee ecc.).
4. La concezione marxista della storia (nella doppia accezione di storia agita o « che facciamo » e storiografia), attraverso la complessa e articolata problematica degli aspetti e momenti inclusi nel nesso struttura
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sovrastrutture (economia, politica, classi, ideologia, egemonia, Stato, Popolonazione, ecc.) è sempre operante in ogni impostazione particolare di Gramsci con l'estrema flessibilità critica propria di un marxismo non schematico, fedele al concetto della fluidità o non rigidità delle categorie, rigoroso in tale metodo e profondamente radicato nell'azione rivoluzionaria.
P centrale in lui la considerazione dell'uomo propria del materialismo storico (nesso uomonatura; uomo come insieme di rapporti sociali; negazione di una generale « natura » dell'uomo) di cui Gramsci svolge in concreto, ossia rispetto a una serie di problemi storicamente dati, e anche in astratto, ossia come discussione di principio, molteplici implicazioni. Centrale nel suo pensiero è i'l materialismo storico stesso (inteso, non occorre dirlo, come materialismo storicodialettico). Questa centralità ha un valore specifico la cui interpretazione può assumere oggi anche un significato polemico all'interno del pensiero marxista. Essa indica, al livello della elaborazione teorica, una presenza operante del marxismo in Gramsci conforme a quella che è stata la sua effettiva genesi storica e a q[...]

[...]ti, e anche in astratto, ossia come discussione di principio, molteplici implicazioni. Centrale nel suo pensiero è i'l materialismo storico stesso (inteso, non occorre dirlo, come materialismo storicodialettico). Questa centralità ha un valore specifico la cui interpretazione può assumere oggi anche un significato polemico all'interno del pensiero marxista. Essa indica, al livello della elaborazione teorica, una presenza operante del marxismo in Gramsci conforme a quella che è stata la sua effettiva genesi storica e a quello che, anche nella prassi sociale politica, è il suo fondamentale elemento propulsore. Non sembra conciliabile con il pensiero di Gramsci una esposizione del marxismo (anche a scopi meramente didascalici) in cui il materialismo storico appaia (secondo un'implicita logica classificatoria) come caso particolare di applicazione di un piú generale « materialismo dialettico » la cui « descrizione » possa, sia pur momentaneamente, prescindere dalla presenza dell'uomo nel mondo. Si ritiene che questa non sia una questione scolastica, bensí sostanziale. Ciò non va frainteso nel senso che Gramsci operi una riduzione della dialettica al solo mondo storicoumano, il che viene escluso, per la stessa integrale dialetticità, dal nesso uomonat[...]

[...] una esposizione del marxismo (anche a scopi meramente didascalici) in cui il materialismo storico appaia (secondo un'implicita logica classificatoria) come caso particolare di applicazione di un piú generale « materialismo dialettico » la cui « descrizione » possa, sia pur momentaneamente, prescindere dalla presenza dell'uomo nel mondo. Si ritiene che questa non sia una questione scolastica, bensí sostanziale. Ciò non va frainteso nel senso che Gramsci operi una riduzione della dialettica al solo mondo storicoumano, il che viene escluso, per la stessa integrale dialetticità, dal nesso uomonatura, che implica tanto l'opposizione e contraddizione, da cui si svolge la storia umana, quanto la identità e continuità I. Ma il fondamento rimane per Gramsci appunto in quel nesso, ossia nella nozione di prassi umana sensibile (anche relativamente alla considerazione delle scienze naturali, dei loro metodi e risultati), senza di che si ricade o nell'idealismo o nel materialismo metafisico. Se è vero che il
Cfr., ad esempio, M. S., p. 145, nota riguardante Lukàcs.
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marxismo come rivoluzione filosofica è coincidenza di naturalismo e umanesimo (che nella loro «compiutezza» si convertano l'uno nell'altro) può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico n[...]

[...]prassi umana sensibile (anche relativamente alla considerazione delle scienze naturali, dei loro metodi e risultati), senza di che si ricade o nell'idealismo o nel materialismo metafisico. Se è vero che il
Cfr., ad esempio, M. S., p. 145, nota riguardante Lukàcs.
Cesare Luporini 43
marxismo come rivoluzione filosofica è coincidenza di naturalismo e umanesimo (che nella loro «compiutezza» si convertano l'uno nell'altro) può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nei marxismo, che gli sottraggono l'autonomia filosofica e ne diminuiscono la capacità egemonicoriformatrice), un'attenuazione dell'istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo senso (il relatore lo ritiene). Del resto è Gramsci stesso, vedremo, ad indicare il punto di ulteriore indagine. Ma cid non va affatto confuso con la questione della validità, o meno, dell'impostazione che si è cercato di mettere in luce (se esatta è la presente interpretazione): questione capitale per lo svolgimento della filosofia marxista e innanzi tutto della sua gnoseologia e epistemologia. Alcune ricorrenti, assai suggestive, considerazioni gramsciane di natura categoriale (per es. relativamente alle nozioni di necessità, di possibilità reale) paiono anch'esse riallacciarsi a tale impostazione di fondo, che è quella poi che consente in gnoseologia l'affermarsi piú conseguente del « criterio della prassi » come criterio fondamentale 1. Ciò, che invece non trova posto, ci sembra, almeno direttamente nel quadro della problematica gramsciana, è la dottrina gnoseologica nota sotto il nome di « teoria del riflesso ».
5. Le questioni ora toccate ricevono luce nel pensiero di Gramsci dalla sua concezione del marxismo come assoluto o integrale storicismo. La energia critica del metodo marxista si manifesta nelle pagine di Gramsci attraverso lo sforzo continuo di discriminare i problemi « reali », liberandoli dagli inganni verbali e dagli ideologismi astratti. Ma la possibilità di identificare i problemi reali non ubbidisce a nessun astratto o estrinseco criterio di « realtà », si presenta bensí sempre come possibilità storicamente data nella prassi sociale. Sorge cioè come giudizio storico inserito e operante nell'azione storicosocialepolitica consapevole. Qui ha la sua radice ultima la complessa, articolata, identificazione gramsciana, a cui si è piú volte fatto cenno, di filosofia e politica. Il
1 Cfr. la II Tesi s[...]

[...]i « reali », liberandoli dagli inganni verbali e dagli ideologismi astratti. Ma la possibilità di identificare i problemi reali non ubbidisce a nessun astratto o estrinseco criterio di « realtà », si presenta bensí sempre come possibilità storicamente data nella prassi sociale. Sorge cioè come giudizio storico inserito e operante nell'azione storicosocialepolitica consapevole. Qui ha la sua radice ultima la complessa, articolata, identificazione gramsciana, a cui si è piú volte fatto cenno, di filosofia e politica. Il
1 Cfr. la II Tesi su Feuerbach, e Lenin, Materialismo e empiriocriticismo, ed. it., pp. 130131.
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metodo di Gramsci è il metodo di tale giudicare storico connesso alla azione, quindi alla lotta, che richiede sempre di porsi in condizioni di comprendere (storicamente) le ragioni d'essere, le radici nella realtà (passatopresente), delle posizioni combattute (e in ciò manifesta la propria superiorità). Tale metodo di storicismo integrale (radicalmente opposto allo storicismo speculativo idealistico, fondato genericamente sulla nozione metafisica di divenire, e tendente a sovrapporre la sintesi ideale al movimento storico reale, cioè a mistificare la dialettica, a metter le « brache al mondo » ...) Gramsci lo [...]

[...]storicamente) le ragioni d'essere, le radici nella realtà (passatopresente), delle posizioni combattute (e in ciò manifesta la propria superiorità). Tale metodo di storicismo integrale (radicalmente opposto allo storicismo speculativo idealistico, fondato genericamente sulla nozione metafisica di divenire, e tendente a sovrapporre la sintesi ideale al movimento storico reale, cioè a mistificare la dialettica, a metter le « brache al mondo » ...) Gramsci lo estende, almeno tendenzialmente, fino alle estreme posizioni teoretiche, indirizzando l'indagine verso una compiuta applicazione ed elaborazione della dottrina delle sovrastrutture, che è uno degli aspetti piú originali del suo pensiero. Di qui la sua conseguente radicale storicizzazione del marxismo stesso (quale « coscienza piena delle contraddizioni » che si pone non al di là di esse ma come elemento del loro sviluppo, « principio di conoscenza e quindi di azione »); di qui la sua concezione praticoumanistica della « oggettività » (identità di oggettivo e « universalmente soggettivo ») [...]

[...]à » (identità di oggettivo e « universalmente soggettivo ») e la sua interpretazione storicizzata del significato di questo problema (« lotta per l'oggettività » come momento del processo storicoreale di unificazione umana), la quale contiene il nesso tra marxismo e scienze della natura (mediatrice la nozione di lavoro).
Attraverso tale interpretazione del problema della oggettività si arriva ad un margine estremo della effettiva riflessione di Gramsci, il cui ulteriore sviluppo egli indicava nella discussione e nell'approfondimento della tesi di Engels che « l'unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e questa è dimostrata da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e delle scienze naturali » (ove Gramsci intanto accentuava e invitava a considerare il carattere storico della prova).
6. L'importanza d'insieme di' questo aspetto della problematica gramsciana è da collegarsi alla lotta contro le intrusioni di materialismo metafisico nel marxismo (svolta da Gramsci piú specificamente nella discussione del « manuale popolare » del Bukharin). Queste intrusioni costituiscono per Gramsci anch'esse una forma di revisionismo, cui è stato sottoposto il marxismo, sebbene con caratteri e radici di classe (relativi a una fase storica ancora immatura del movimento reale della
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classe d'avanguardia nella sua capacità di esprimere una autonoma elaborazione e direzione culturale) profondamente diversi da quelli che si trovano alla origine del revisionismo idealistico (influenza della direzione ideologica borghese).
La battaglia di Gramsci contro l'idealismo e il revisionismo idealistico ha un posto importante nei suoi scritti e penetra, ancor piú della precedente, [...]

[...] forma di revisionismo, cui è stato sottoposto il marxismo, sebbene con caratteri e radici di classe (relativi a una fase storica ancora immatura del movimento reale della
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classe d'avanguardia nella sua capacità di esprimere una autonoma elaborazione e direzione culturale) profondamente diversi da quelli che si trovano alla origine del revisionismo idealistico (influenza della direzione ideologica borghese).
La battaglia di Gramsci contro l'idealismo e il revisionismo idealistico ha un posto importante nei suoi scritti e penetra, ancor piú della precedente, in una serie di problemi determinati (storiografici, economici, letterari, di metodologia critica ecc.), una parte dei quali esula dall'ambito della presente relazione. Essa si svolge fondamentalmente nella discussione dello storicismo crociano e rimane esemplare anche se oggi sono in gran parte esaurite le ragioni di quell'Anticroce che Gramsci auspicava. È una battaglia interna alla cultura italiana, ma che ne oltrepassa i limiti per i suoi risultati e il significa[...]

[...] e il revisionismo idealistico ha un posto importante nei suoi scritti e penetra, ancor piú della precedente, in una serie di problemi determinati (storiografici, economici, letterari, di metodologia critica ecc.), una parte dei quali esula dall'ambito della presente relazione. Essa si svolge fondamentalmente nella discussione dello storicismo crociano e rimane esemplare anche se oggi sono in gran parte esaurite le ragioni di quell'Anticroce che Gramsci auspicava. È una battaglia interna alla cultura italiana, ma che ne oltrepassa i limiti per i suoi risultati e il significato metodologico. Essa conduce, per un lato, a ridurre il crocianesimo « alla sua reale portata di ideologia politica immediata » illuminandone il carattere conservatorereazionario e liberaleriformistico (legami con « la tradizione moderata del Risorgimento », « col pensiero reazionario della Restaurazione », corrispondente « snervamento della dialettica hegeliana » sul piano teorico ecc.). Più in generale vien messa in luce « l'impotenza della filosofia idealistica a dive[...]

[...]scussione con l'idealismo è ritraduzione in termini « realisticamente storicistici » (ossia marxisti) del suo « linguaggio speculativo », ogni volta che esso copra o investa problemi reali; ed è recupero o inveramento di tutti i « valori strumentali concreti » (in senso intellettuale) in esso incorporati, siano questi per origine precedenti al marxismo, o derivati da esso, o svoltisi parallelamente. (Assai nota, ad es., è la riduzione operata da Gramsci del concetto crociano di « storia eticopolitica » a quello leniniano di
« egemonia », che giova all'approfondimento di questo e insieme mette in Luce i limiti del primo. Altro esempio, ricco di piú ampie suggestioni
sia in senso teoretico che storiografico, è la concezione della « teoria delle sovrastrutture » come « soluzione filosofica e storica dell'idealismo soggettivistico » 1).
1 M. S., pp. 230, 191, e passim.
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Qwesto atteggiamento metodico di Gramsci, che proviene dai classici, è da ritenersi, in generale, essenziale a una concezione non chiusa o dogmati[...]

[...]icopolitica » a quello leniniano di
« egemonia », che giova all'approfondimento di questo e insieme mette in Luce i limiti del primo. Altro esempio, ricco di piú ampie suggestioni
sia in senso teoretico che storiografico, è la concezione della « teoria delle sovrastrutture » come « soluzione filosofica e storica dell'idealismo soggettivistico » 1).
1 M. S., pp. 230, 191, e passim.
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Qwesto atteggiamento metodico di Gramsci, che proviene dai classici, è da ritenersi, in generale, essenziale a una concezione non chiusa o dogmatica (settaria) del marxismo, ed essenziale al suo svolgersi e procedere per quella « strada maestra della civiltà mondiale » (Lenin), sulla quale storicamente è sorto.
Del pensiero di Gramsci nella presente relazione si è cercato perciò non tanto una collocazione storica (compito eventualmente di altri) quanto di mettere in evidenza, almeno in parte, quegli elementi fondamentali che ci sembrano piú attuali e attivi in tale senso.



da [Gli interventi] Valentino Gerratana in Studi gramsciani

Brano: Valentino Gerratana

Nella sua relazione Togliatti ha accennato, parlando della metafora gramsciana relativa alla distinzione tra guerra manovrata e guerra di posizione, all'identità che si può vedere, anche su questo problema, tra Ja concezione di Gramsci e quella di Lenin. Su questo stesso tema vorrei fermarmi nel mio breve intervento, non solo perché la concezione di Gramsci della « guerra di posizione» ha grande importanza nello sviluppo del suo pensiero, ma anche perché proprio su questo problema sono state recentemente tentate delle false e tendenziose interpretazioni che sì sforzano di opporre le posizioni di Gramsci a quelle di Lenin.

Il tema è strettamente connesso, come del resto ha rilevato anche Togliatti, alTelaborazione di Gramsci della teoria dell’egemonia e alla sua critica della teoria troschista della rivoluzione permanente. Conviene quindi rifarsi, per chiarire meglio la cosa, al saggio sulla Quistione meridionale, dove Gramsci a un certo punto, usando per la prima volta, — mi pare — il termine di « egemonia del proletariato », afferma che i comunisti torinesi, prima ancora che sul piano teorico si erano posti concretamente il problema dell’egemonia del proletariato affrontando la questione delle alleanze della classe operaia. È da qui, io credo, che bisogna partire: dal nesso pratico tra il problema dell’egemonia e la questione politica delle alleanze.

Non ogni alleanza, però, implica il concetto di egemonia. Non lo implica un’alleanza contingente, provvisoria, puramente strumentale, destinata a sciogliersi appe[...]

[...]un solo paese e vedeva quindi l’unica salvezza dello Stato sovietico nella possibilità di suscitare la rivoluzione negli altri paesi. « Le contraddizioni — scriveva Trotzki — nella situazione del governo operaio di un paese arretrato, con una maggioranza schiacciante di popolazione contadina, potranno trovare la loro soluzione soltanto su scala internazionale, suH’afena delk rivoluzione mondiale del proletariato ».

Per Lenin, invece, come per Gramsci, la soluzione di queste contraddizioni può essere trovata soltanto nella funzione egemonica della classe operaia, nella sua capacità di dirigere questa maggioranza non proletaria delk popolazione. Lenin si rendeva conto che questo compito del proletariato non era facile, e che era d’altra parte più difficile, nelle condizioni particolari delk società russa, dopo la conquista del potere. Ma a questo compito, per quanto difficile, la classe operaia non può sottrarsi né prima né dopo la realizzazione della dittatura proletaria.

A ragione, in questa posizione di Lenin Gramsci vedeva l’opposizi[...]

[...]capacità di dirigere questa maggioranza non proletaria delk popolazione. Lenin si rendeva conto che questo compito del proletariato non era facile, e che era d’altra parte più difficile, nelle condizioni particolari delk società russa, dopo la conquista del potere. Ma a questo compito, per quanto difficile, la classe operaia non può sottrarsi né prima né dopo la realizzazione della dittatura proletaria.

A ragione, in questa posizione di Lenin Gramsci vedeva l’opposizione più radicale ad ogni interpretazione meccanicistica del materialismoValentino Gerratana

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storico, e in particolare alle tendenze « economistiche » ohe affidavano alla spontaneità la realizzazione dei compiti rivoluzionari. Il principio deliegemonia, in quanto implica la ricerca della strada e dei metodi di lotta, economici, politici e culturali, atti a suscitare il consenso, è precisamente l’antitesi della teoria della spontaneità.

In questo senso Gramsci poteva scrivere che Lenin « nel terreno della lotta e deirorganizzazione politica, con terminologia polit[...]

[...] ogni interpretazione meccanicistica del materialismoValentino Gerratana

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storico, e in particolare alle tendenze « economistiche » ohe affidavano alla spontaneità la realizzazione dei compiti rivoluzionari. Il principio deliegemonia, in quanto implica la ricerca della strada e dei metodi di lotta, economici, politici e culturali, atti a suscitare il consenso, è precisamente l’antitesi della teoria della spontaneità.

In questo senso Gramsci poteva scrivere che Lenin « nel terreno della lotta e deirorganizzazione politica, con terminologia politica ha, in opposizione alle diverse tendenze “ economistiche ”, (rivalutato il fronte della lotta culturale e costruito la dottrina deli egemonia' come complemento della teoria dello Statoforza [cioè della dittaUira del proletariato] e come forma attuale delle dottrine quarantottesche della “ rivoluzione permanente ” » \

Il confronto tra la teoria di Lenin e quella di Trotzki è ripresa da Gramsci in un’altra pagina dei Quaderni del carcere, dove il problema è approfondito in altri suoi [...]

[...]a e deirorganizzazione politica, con terminologia politica ha, in opposizione alle diverse tendenze “ economistiche ”, (rivalutato il fronte della lotta culturale e costruito la dottrina deli egemonia' come complemento della teoria dello Statoforza [cioè della dittaUira del proletariato] e come forma attuale delle dottrine quarantottesche della “ rivoluzione permanente ” » \

Il confronto tra la teoria di Lenin e quella di Trotzki è ripresa da Gramsci in un’altra pagina dei Quaderni del carcere, dove il problema è approfondito in altri suoi importanti sviluppi e implicazioni. Si tratta appunto delle pagine in cui Gramsci svolge una serie d’interessanti considerazioni dal confronto tra lotta politica e lotta militare, insistendo sul fatto che, analogamente a ciò che era avvenuto nella strategia militare, anche nella lotta politica la guerra di movimento (o guerra manovrata), cioè, in termini politici, la conquista violenta del potere, non sempre ha valore decisivo, e deve cedere il passo alla guerra di posizione.

Si può osservare a questo proposito che le conclusioni della scienza militare, sulle quali Gramsci svolgeva le sue considerazioni, erano basate suH’esperienza della prima guerra mondiale, mentre ne[...]

[...]oni dal confronto tra lotta politica e lotta militare, insistendo sul fatto che, analogamente a ciò che era avvenuto nella strategia militare, anche nella lotta politica la guerra di movimento (o guerra manovrata), cioè, in termini politici, la conquista violenta del potere, non sempre ha valore decisivo, e deve cedere il passo alla guerra di posizione.

Si può osservare a questo proposito che le conclusioni della scienza militare, sulle quali Gramsci svolgeva le sue considerazioni, erano basate suH’esperienza della prima guerra mondiale, mentre nel secondo conflitto mondiale la guerra di movimento ha riacquistato molto della sua importanza rispetto alla guerra di posizione, sebbene sia stata poi quest’ultima, in definitiva, con le sue riserve strategiche, l’elemento risolutivo del conflitto. L’analisi di Gramsci comunque conserva tutta la sua validità, indipendentemente dal paragone, del resto occasionale, e che non deve essere preso alla lettera, come avverte lo stesso Gramsci, con la strategia militare.

È bene però chiarire che non si tratta di una scelta definitiva tra guerra manovrata e guerra di posizione, tra conquista violenta del potere e conquista graduale, più o meno pacifica. Chi, per contrapporre Gramsci

1 M. S., pp. 201202.588

Gli interventi

a Lenin, interpreta in tal modo queste pagine di Gramsci distorce tendenziosamente il suo pensiero. « La verità è — scrive Gramsci esplicitamente — che non si può scegliere la forma di guerra che si vuole ». Non si tratta quindi di scegliere una volta per sempre una forma o l’altra di lotta politica, ma di vedere quale è la più importante in un dato momento storico. « Gli stessi tecnici militari — scrive ancora Gramsci — che ormai si sono fissati sulla guerra di posizione come prima lo erano su quella manovrata, non sostengono certo che il tipo precedente debba essere considerato come espunto dalla scienza; ma che, nella guerre tra gli Stati più avanzati industrialmente e civilmente, esso deve considerarsi ridotto a funzione tattica più che strategica, deve considerarsi nella stessa posizione in cui era prima la guerra d’assedio in confronto a quella manovrata» \

Su questa base Gramsci critica la 'teoria di Trotzki della « rivoluzione permanente », che, sottovalutando e negando la funzione egemonica dell[...]

[...]issati sulla guerra di posizione come prima lo erano su quella manovrata, non sostengono certo che il tipo precedente debba essere considerato come espunto dalla scienza; ma che, nella guerre tra gli Stati più avanzati industrialmente e civilmente, esso deve considerarsi ridotto a funzione tattica più che strategica, deve considerarsi nella stessa posizione in cui era prima la guerra d’assedio in confronto a quella manovrata» \

Su questa base Gramsci critica la 'teoria di Trotzki della « rivoluzione permanente », che, sottovalutando e negando la funzione egemonica della classe operaia, indicava a tuto il movimento operaio internazionale la sola prospettiva dell’assalto rivoluzionario. È da vedere, scrive Gramsci a questo proposito, se la teoria di Trotzki della « rivoluzione permanente »

« non sia il riflesso politico della teoria della guerra manovrata..., in ultima analisi il riflesso delle condizioni generalieconcmicheculturalisociali di un paese in cui i quadri della vita nazionale sono embrionali e rilasciati e non possono diventare “trincea o fortezza”. In questo caso si potrebbe dire che Bronstein, che lappare come un “ occidentalista ”, era invece un cosmopolita, cioè superficialmente nazionale e superficialmente occidentalista o europeo. Invece Ilici era profondamente nazionale e profonda[...]

[...] riflesso delle condizioni generalieconcmicheculturalisociali di un paese in cui i quadri della vita nazionale sono embrionali e rilasciati e non possono diventare “trincea o fortezza”. In questo caso si potrebbe dire che Bronstein, che lappare come un “ occidentalista ”, era invece un cosmopolita, cioè superficialmente nazionale e superficialmente occidentalista o europeo. Invece Ilici era profondamente nazionale e profondamente europeo » 2.

Gramsci vede dunque in Lenin, proprio in questo suo contrasto con le posizioni di Trotzki, il teorizzatore di una nuova strategia rivoluzionaria, sulle basi del principio di egemonia. « Mi pare — egli scrive poco dopo nella stessa pagina citata — che Ilici aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente [cioèin Russia} nel ’17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente... » 3.

1 Mach., p. 66.

2 Mach., p. 67.

3 Mach., p. 68.Valentino Gerratana

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Se si pensa alle condizioni in cui Gramsci era costretto a lavo[...]

[...] rivoluzionaria, sulle basi del principio di egemonia. « Mi pare — egli scrive poco dopo nella stessa pagina citata — che Ilici aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente [cioèin Russia} nel ’17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente... » 3.

1 Mach., p. 66.

2 Mach., p. 67.

3 Mach., p. 68.Valentino Gerratana

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Se si pensa alle condizioni in cui Gramsci era costretto a lavorare, all’impossibilità in cui egli si trovava di poter consultare la documentazione necessaria, non può sorprendere la forma cauta delle sue affermazioni. «Mi pare», egli scrive, ma non ricordava male; il suo richiamo a Lenin anche in questo punto è del tutto giustificato e possiamo ora controllarlo sui testi stessi di Lenin.

Nel passo citato vi è in realtà un solo termine di riferimento, alla formula — scrive Gramsci — del « fronte unico ». Togliatti nella sua relazione ha chiarito come tale riferimento vada riportato ai dibattiti e alle 'tesi del III Congresso deFIntefnazionale, che è del 1921. Il richiamo è effettivamente illuminante e particolarmente utile oggi, di fronte ai tentativi di presentare la Rivoluzione d’Ottobre come una rivoluzione di minoranza, fatta dall’alto, rispetto al metodo della conquista democratica della maggioranza che sarebbe esclusivo delle società capitalisticamente evolute. Il III Congresso deH’Internazionale rifiuta questa assurda contrapposizione, non perché la seconda tesi[...]

[...]za preoccuparsi della conquista della maggioranza. Insistendo sulla necessità della conquista della maggioranza come premessa indispensabile di ogni rivoluzione socialista, in Occidente o in Oriente, nei paesi industrialmente più avanzati o in quelli più arretrati, il III Congresso elabora la nuova tattica del fronte unico, come necessaria in quel momento, nei paesi occidentali, per la conquista della maggioranza, e giustamente in questa tattica Gramsci vede un esempio di passaggio dalla guerra manovrata alla guerra di posizione.

È possibile però, mi pare, trovare altri riferimenti, per questo richiamo di Gramsci alte posizioni di Lenin, in documenti anteriori al 1921.

1 L’Internazionale comunista, Roma, 1950, pp. 324 e 327.590

Gli interventi

Già infatti in un discorso del 7 marzo 1918, il rapporto sulla guerra e sulla pace al VII Congresso del Partito, Lenin si rendeva conto di questa necessità di passare dalla guerra di movimento alla guerra di posizione, sia in Russia dove si era fatta la rivoluzione, sia nei paesi europei dove la rivoluzione non era incominciata. « Quanto più è arretrato — diceva allora Lenin — il paese nel quale in virtù degli zigzag della storia, 'ha dovuto incominciar[...]

[...] In un paese simile era cosa facile incominciare la rivoluzione, facile come sollevare una piuma. Ma cominciare senza preparazione la rivoluzione in un paese dove si è sviluppato il capitalismo, che ha dato una cultura e il senso dell’organizzazione democratica a tutti gli uomini, sino all’ultimo, sarebbe un errore, un’assurdità » 1.

Si capisce meglio, mi sembra, tenendo presenti queste pagine di Lenin, il senso esatto delle considerazioni di Gramsci, e si può valutare meglio l’importanza delle sue conclusioni. « In Oriente — scrive Gramsci, cioè in Russia — lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; neirOccidente, tra Stato e società civile cera un giusto rapporto,

1 Opere scelte, Mosca, II, 1948, p. 283Valentino Gerratana

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e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale » \

Nello stesso punto Gramsci aveva anche notato che Lenin[...]

[...]società civile cera un giusto rapporto,

1 Opere scelte, Mosca, II, 1948, p. 283Valentino Gerratana

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e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale » \

Nello stesso punto Gramsci aveva anche notato che Lenin « non ebbe il tempo di approfondire la sua formula, pur tenendo conto che egli poteva approfondirla solo teoricamente, mentre il compito fondamentale era nazionale, cioè domandava una ricognizione del terreno e una fissazione degli elementi di trincea e di fortezza rappresentati dagli elementi della società civile, ecc. » 2.

Abbiamo qui, come si vede, la linea teorica di quella prospettiva politica e strategica che sarà poi nota come la linea delle vie nazionali al socialismo.

In gran parte però anche a Gramsci non fu concesso che l'approfondimento teorico d[...]

[...]onto che egli poteva approfondirla solo teoricamente, mentre il compito fondamentale era nazionale, cioè domandava una ricognizione del terreno e una fissazione degli elementi di trincea e di fortezza rappresentati dagli elementi della società civile, ecc. » 2.

Abbiamo qui, come si vede, la linea teorica di quella prospettiva politica e strategica che sarà poi nota come la linea delle vie nazionali al socialismo.

In gran parte però anche a Gramsci non fu concesso che l'approfondimento teorico del problema, che contemporaneamente veniva affrontato e risolto con successo sul piano politico, nonostante incertezze ed errori, dal movimento operaio internazionale. D’altra parte la stessa struttura del terreno, sia in Italia che sull’arena mondiale è mutata profondamente dai tempi in cui Gramsci scriveva, e quindi l’accurata « ricognizione del terreno », di cui Gramsci indicava la necessità, dev’essere fatta di nuovo, tenendo conto dei nuovi elementi emersi nella situazione e dei mutamenti relativi.

Per questo è assurdo isolare, come mi sembra abbia fatto Caracciolo nel suo intervento, un istituto particolare sorto storicamente iin un momento determinato della lotta del movimento operaio italiano, qual è il « Consiglio di fabbrica » nel movimento àélYOrdine Nuovo, e fare di esso il centro del pensiero di Gramsci, la sola ed unica giustificazione del suo leninismo.

Certo non è affatto escluso che forme analoghe ai Consigli di fabbrica sorgano e si sviluppino in altre situazioni storiche, ma sarebbe astratta qualsiasi analisi che si fermasse soltanto alle analogie formali senza approfondire la concreta funziona storica alla quale queste istituzioni

1 Mach., p. 68.

2 Mach., p. 68.592

Gli interventi

rispondono di volta in volta. Solo in questo modo, ad esempio, si possono mettere a confronto, tenendo conto della profonda diversità delle situazioni — come è stato fatto in un recente Conveg[...]

[...]ma sarebbe astratta qualsiasi analisi che si fermasse soltanto alle analogie formali senza approfondire la concreta funziona storica alla quale queste istituzioni

1 Mach., p. 68.

2 Mach., p. 68.592

Gli interventi

rispondono di volta in volta. Solo in questo modo, ad esempio, si possono mettere a confronto, tenendo conto della profonda diversità delle situazioni — come è stato fatto in un recente Convegno indetto a Roma dall’Istituto Gramsci — esperienze cosi diverse e lontane nel tempo come quella dei Consigli operai della moderna Jugoslavia e quella dei Consigli di fabbrica del movimento operaio torinese nel primo dopoguerra.

Situando storicamente questa esperienza dei Consigli di fabbrica, e inquadrando storicamente la sua idea ispiratrice nel pensiero e nell’azione rivoluzionaria di Gramsci, Togliatti ha ricondotto la funzione positiva dei Consigli ial loro valore educativo, suscitatore di capacità rivoluzionarie. Nello stesso senso esistono riconoscimenti precisi dello stesso Gramsci, che Caracciolo ha creduto di poter ignorare, trascurando cosi il legame tra l’esperienza rivoluzionaria nel ’ 1920 con gli sviluppi successivi del pensiero e dell’azione di Gramsci. Ma è solo con questo procedimento vizioso che egli ha potuto sostenere la tesi antistoricistica di una funzione permanente dei Consigli come organismi di potere.. Si tratta in fondo dello stesso procedimento seguito da chi fa della democrazia parlamentare l’unica forma di democrazia, e di chi, al contrario, escludendo ogni utilizzazione dell’istituto parlamentare, assume come modello obbligatorio un determinato modo storico con cui la classe operaia è arrivata al potere.

Ben diverso appare invece, mi sembra, il presupposto fondamentale chiarito dal dibattito di questo Convegno, per scorge[...]

[...]uito da chi fa della democrazia parlamentare l’unica forma di democrazia, e di chi, al contrario, escludendo ogni utilizzazione dell’istituto parlamentare, assume come modello obbligatorio un determinato modo storico con cui la classe operaia è arrivata al potere.

Ben diverso appare invece, mi sembra, il presupposto fondamentale chiarito dal dibattito di questo Convegno, per scorgere l’attualità, la concretezza e l’importanza deU’insegnamento gramsciano. Affermando l’impossibilità di isolare questo o quell momento del pensiero e dell’azione rivoiluzionaria di Gramsci, per farne un paradigma valido per sempre, non si è voluto certo precludere la via a nuovi studi e ricerche, o anche, se si vuole, a un riesame e a nuove interpretazioni deH’opera di Gramsci. Ma se si perde di vista questa esigenza, di ritrovare l’intima coerenza e il ritmo di un pensiero in sviluppo, è inevitabile che il significato dello insegnamento di Gramsci vada smarrito.



da Federico Sanguineti, Varietà e documenti. Caterina Sforza nel "mito" Gramsciano in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]nvegno « Ugo Foscolo fiorentino ed europeo » i cui Atti sono in corso di stampa presso Le Monnier.
Per un'ampia panoramica sul romanzo italiano di primo Ottocento, dr. il fondamentale SERGIO ROMAGNOLI, Narratori e prosatori del Romanticismo, in AA.VV., Dall'Ottocento al Novecento, vol. VIII della Storia della Letteratura Italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Garzanti, 1968, spec. il cap. I.
CATERINA SFORZA NEL « MITO » GRAMSCIANO
Gli studiosi di Gramsci hanno avvertito da tempo che l'opera di Machiavelli costituisce un punto di riferimento concreto di tutta l'evoluzione teorica e politica dell'autore dei Quaderni del carcere. In una lettera lo stesso Gramsci ricorda infatti che il professor Umberto Cosmo fin dal 1917 insisteva perché il suo
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giovane allievo si dedicasse a uno studio sul Machiavelli: « quando vidi il Cosmo, l'ultima volta, nel maggio 1922 (egli era allora segretario o consigliere all'Ambasciata italiana di Berlino), egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »1.
Dopo le ricerche di Renzo Martinelli, sappiamo che Gramsci si interessa al[...]

[...]si dedicasse a uno studio sul Machiavelli: « quando vidi il Cosmo, l'ultima volta, nel maggio 1922 (egli era allora segretario o consigliere all'Ambasciata italiana di Berlino), egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »1.
Dopo le ricerche di Renzo Martinelli, sappiamo che Gramsci si interessa al pensiero del Segretario fiorentino fin dal 1915: in alcune note a penna corrente il giovane Gramsci parla già di Machiavelli come espressione di un effettivo sentimento nazionale, che nulla ha a che fare con espressioni puramente letterarie e retoriche di italianità. Nel giudizio di Gramsci, che sarà approfondito nelle note del carcere, la borghesia italiana acquista coscienza di classe solo dopo la rivoluzione francese. Machiavelli rimane perciò un isolato 2.
Ma già nel 1916 Gramsci ricava dalle pagine di Machiavelli un « mito » stabile e permanente: il « mito » di Caterina Sforza. Com'è noto ai lettori di Machiavelli, l'esempio di Caterina Sforza è ricordato nel xx capitolo del Principe a dimostrazione della conclusione che « la migliore fortezza che sia, è non essere odiato dal populo ». Le fortezze, spiega Machiavelli, non hanno mai giovato a nessun Príncipe, se non Caterina Sforza, e solo durante la congiura del 1488. Nel 1499, le fortezze non bastano a difendere Caterina Sforza dall'assalto del Valentino, « el qual, sotto la insegna de' tre gigli, / d'Imola e Furli [...]

[...]che « la migliore fortezza che sia, è non essere odiato dal populo ». Le fortezze, spiega Machiavelli, non hanno mai giovato a nessun Príncipe, se non Caterina Sforza, e solo durante la congiura del 1488. Nel 1499, le fortezze non bastano a difendere Caterina Sforza dall'assalto del Valentino, « el qual, sotto la insegna de' tre gigli, / d'Imola e Furli si fe' signore / e cavonne una donna co' suo figli », come si legge nel primo dei Decennali.
Gramsci ha in mente soprattutto il vr capitolo del iii libro dei Discorsi:
Ammazzarono, alcuni congiurati Forlivesi, il conte Girolamo loro signore, presono la moglie ed i suoi figliuoli che erano piccoli; e non parendo loro potere vivere sicuri se non si insignorivano della fortezza e non volendo il castellano darla loro, Madonna Caterina (che cosí si chiamava la contessa) promise ai congiurati, che se la lasciavano entrare in quella, di farla consegnare loro, e che ritenessono a presso di loro i suoi figliuoli per istatichi. Costoro sotto questa fede ve la lasciarono entrare; la quale come fu dent[...]

[...]istatichi. Costoro sotto questa fede ve la lasciarono entrare; la quale come fu dentro, dalle mura rimproverò loro la morte del marito e minacciògli d'ogni qualità di vendetta. E per mostrare che de' suoi figliuoli non si curava, mostrò loro le membra genitali, dicendo che aveva ancora il modo a rifarne.
Questa pagina ha posto ai suoi interpreti, a partire dall'Ottocento, il non facile problema della sua verosimiglianza storica; e probabilmente Gramsci non ignora il dibattito critico sull'argomento. Si hanno in breve due opinioni contrastanti: da un lato, nella sua monumentale biografia, il Pasolini considera questa mirabile difesa della rocca di Forlí per opera di Caterina Sforza come una specie di epopea popolare; Vittorio Cian, la cui attività critica è ben nota a Gramsci, proprio recensendo il volume del Pasolini, preferisce invece richiamarsi all'indole della fiera contessa, e ricordando alcuni dei suoi atti storicamente
1 Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Einaudi, Torino 1965, p. 412.
2 R. MARTINELLI, Una polemica del 1921 e l'esordio di Gramsci sull'o Avanti! » torinese, in « Critica marxista », a. X, n. 5, settembreottobre 1972, pp. 1556.
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provati, concludere all'opposto che la narrazione del Machiavelli deve essere considerata di una verosimiglianza innegabile 3.
Possiamo anche pensare che Gramsci (il quale nei suoi Quaderni del carcere si richiamerà nel corso della sua interpretazione di Machiavelli a una pagina dei Ragguagli di Parnaso) debba aver tenuto conto, nel momento in cui utilizza il « mito » di Caterina Sforza, della riduzione operata da Traiano Boccalini dell'episodio machiavelliano a exemplum miticoletterario 4. La pagina di Machiavelli è infatti considerata dal giovane Gramsci come esempio di letteratura « mitologica », dove la verità piú rigorosa dei particolari si accompagna ad un'estrema fantasia nella composizione 5.
Le membra genitali che colpiscono la fantasia di Gramsci diventano La matrice che dà il titolo al corsivo pubblicato nella rubrica Sotto la mole, sull'« Avanti! » torinese del 23 giugno 1916. È evidente che la pagina di Gramsci è una parafrasi del testo machiavelliano:
Raccontano i biografi di Caterina Sforza che quando il duca Valentino volle prendere d'assalto la città di Ravenna, per costringere la donna alla resa, applicò alle macchine d'assedio i figlioli di lei. Ma Caterina di sopra alle mura assisté impassibile allo strazio delle sue creature, e al duca che irrideva beffardo, ella, la madre, la donna castissima, fece un gesto plebeamente eroico. Con una mossa violenta scopri gli organi del sesso, dicendo, che finché lei, la madre era viva, non doveva il nemico menare trionfo, perché chi aveva dato alla luce [...]

[...], fece un gesto plebeamente eroico. Con una mossa violenta scopri gli organi del sesso, dicendo, che finché lei, la madre era viva, non doveva il nemico menare trionfo, perché chi aveva dato alla luce quei giovani, altri ne poteva creare e meglio vigorosi perché avrebbero succhiato col latte materno l'odio per gli assassini 6.
Utilizzata liberamente la pagina di Machiavelli come « mito » morale e sociale, il gesto di Caterina Sforza diventa per Gramsci il simbolo dell'irruzione violenta della classe proletaria nella storia, il simbolo dell'Internazionale. Com'è noto, dall'epoca di Zimmerwald e di Kienthal, Gramsci inizia a porsi il problema di conoscere e di collegarsi colle correnti rivoluzionarie del movimento operaio internazionale 7. Come simbolo dell'Internazionale, Caterina Sforza si contrappone cosí alla figura oleografica dell'Italia come donna con la corona turrita e il peplo classico, di cui gli italiani sono i figli.
Nel « mito » il gesto plebeo è elevato a simbolo del proletariato, secondo
3 P.D. PASOLINI, Caterina Sforza, Loescher, Roma 1893, vol. I, pp. 2345; V. CIAN, Caterina Sforza (A proposito della «Caterina Sforza » di Pier Demetrio Pasolini), in « Rivista storica italiana », a. X,[...]

[...].
Nel « mito » il gesto plebeo è elevato a simbolo del proletariato, secondo
3 P.D. PASOLINI, Caterina Sforza, Loescher, Roma 1893, vol. I, pp. 2345; V. CIAN, Caterina Sforza (A proposito della «Caterina Sforza » di Pier Demetrio Pasolini), in « Rivista storica italiana », a. X, fasc. 4, ottobredicembre 1893, pp. 577610.
4 T. BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso, a cura di G. Rua, Laterza, Bari 1910, pp. 1201.
5 E la ricetta soreliana, alla quale Gramsci si richiamerà esplicitamente nella sua interpretazione del Príncipe di Machiavelli come « mito ». Cfr. G. SOREL, L'Opera di Luciano Jean, in « Divenire sociale », 1 giugno 1910, p. 148.
6 La matrice, in Cronache torinesi (19131917), a cura di S. Caprioglio, Einaudi, Torino 1980, pp. 3978.
7 P. TOGLIATTI, Il capo della classe operaia italiana, in Gramsci, a cura di E. Ragionieri, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 20: « Sin dall'epoca dei convegni di Zimmerwald e di Kienthal, una delle maggiori preoccupazioni di Gramsci era stata quella di riuscire a conoscere e a prendere contatto con le correnti rivoluzionarie del movimento operaio internazionale e in primo luogo del bolscevismo ». Cfr. anche P. Spriano, Storia di Torino operaia e socialista. Da De Amicis a Gramsci, Einaudi, Torino 1958, p. 355.
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lo stesso procedimento per cui il Principe di Machiavelli è innalzato nei Quaderni del carcere a simbolo della volontà collettiva nazionalepopolare. Dal punto di vista formale non esiste quindi una differenza fra l'utilizzazione giovanile di Machiavelli e l'utilizzazione che Gramsci farà di Machiavelli in carcere. Ma il rapporto fra il « mito » giovanile di Caterina Sforza e il piú noto « mito » gramsciano del moderno Principe non si riduce a un'analogia esteriore. Caterina Sforza non rimane infatti il cappello piccante di un articolo scritto alla giornata che deve morire dopo la giornata: dalle iniziali nebbie culturiste questo « mito » resta, attraverso il ritmo del pensiero in sviluppo, come elemento stabile e permanente del pensiero di Gramsci negli anni 19161919. Il simbolo della matrice è applicato direttamente alla storia intesa come catena degli sforzi che l'uomo ha fatto per liberarsi da privilegi e da pregiudizi. La storia, che è la « religione » in senso crociano, cioè la concezione del mondo del giovane Gramsci, è cosi intesa come matrice feconda delle esperienze umane 8. È questo il tema, che rimarrà sempre caro a Gramsci, della storia come matrice di tutto ciò che gli uomini possono conoscere.
In questo modo vediamo che Caterina Sforza è il simbolo della lotta teorica e politica condotta da Gramsci contro la concezione riformista dei socialisti positivisti. Il simbolo gramsciano della matrice si contrappone al simbolo loriano della « scala d'oro ». Ancora nei Quaderni del carcere, Gramsci ricorderà la concezione di Loria degli intellettuali che tengono diritta la « scala d'oro » sulla quale sale il popolo, e gli avvertimenti di Loria a tenersi buoni questi intellettuali. Giudicando la confusa concezione positivistica dei riformisti italiani (Treves, Turati, Loria) come caricatura del marxismo e come causa del ristagno della produzione intellettuale del socialismo italiano, Gramsci inizia a considerare gli scritti teorici di Antonio Labriola come un principio fulgido e pieno di promesse del marxismo italiano.
Secondo lo stesso artificio che induce Gramsci a identificare nel Principe di Machiavelli antropomorficamente il simbolo della volontà collettiva, Caterina Sforza, l'eroica donna romagnola, la fecondissima ed astutissima donna — forte ed astuta donna aveva definito Caterina Sforza l'Oriani 9 — è antropomorficamente assunta a simbolo della Storia. Scrive Gramsci:
la Storia è una fecondissima e astutissima donna, che non si lascia sopprimere né da pugnali né dalle bombe incendiarie né dalle mitragliatrici; non teme il colpo d'audacia degli avventurieri prezzolati, non teme l'azione complessa e sistematica dell'apparato autoritario... la Storia può ben essere assomigliata alla eroica donna romagnola che al nemico implacabile, torturatore dei suoi figli, con gesto grandiosamente osceno, mostra il sesso generatore di nuovi strenui lottatori... la Storia è una fecondissima e astutissima donna che non arretra 10.
8 Socialismo e cultura e Preoccupazioni, [...]

[...]generatore di nuovi strenui lottatori... la Storia è una fecondissima e astutissima donna che non arretra 10.
8 Socialismo e cultura e Preoccupazioni, in Cronache torinesi (19131917) cit., pp. 103 e 678.
9 Fino a Dogali, Gherardi, Bologna 1912, p. 181.
10 Le astuzie della storia, in Scritti 19151921, a cura di S. Caprioglio, Moizzi, Milano 1976, pp. 17880.
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Possiamo quindi meglio comprendere il progetto gramsciano di scrivere in carcere, sul modello del Principe, un libro drammatico nel senso di un dramma storico in atto, in cui le massime politiche si presentano come necessità individualizzata, tenendo presente che per Gramsci la storia è già, nella figura di Caterina Sforza, una necessità individualizzata.
Nel primo editoriale che Gramsci scrive per l'« Ordine Nuovo », La taglia della Storia, Caterina Sforza è definita la sovrana assoluta del destino degli uomini: una dea Storia che Gramsci ormai contrappone alle alcinesche seduzioni idealistiche della dea Libertà di Croce.
Cosa domanda ancora la Storia al proletariato russo per legittimare e rendere permanente le sue conquiste: quale altra taglia di sangue e di sacrifizio pretende ancora questa sovrana assoluta del destino degli uomini?... La Storia domanda per il suo buon riuscimento taglie mostruose come quelle che il popolo russo è costretto a pagare... la Storia è dunque in Russia... la rivoluzione russa ha pagato la sua taglia alla storia, taglia di morte, di miseria, di fame, di sacrifizio, di volontà indomata 11.
Nasce[...]

[...] conquiste: quale altra taglia di sangue e di sacrifizio pretende ancora questa sovrana assoluta del destino degli uomini?... La Storia domanda per il suo buon riuscimento taglie mostruose come quelle che il popolo russo è costretto a pagare... la Storia è dunque in Russia... la rivoluzione russa ha pagato la sua taglia alla storia, taglia di morte, di miseria, di fame, di sacrifizio, di volontà indomata 11.
Nasce cosi lo storicismo assoluto di Gramsci. Con l'esperienza ordinovista, a partire dal 1919, Gramsci ha finalmente modo non solo di teorizzare ma anche di realizzare la sua concezione ormai materialistica della storia. Ponendo il problema della rivoluzione proletaria come realizzazione della dittatura del proletariato in Italia, Gramsci inizia a considerare il proletariato italiano come erede della scienza politica classica del Machiavelli. Nella lotta contro il fascismo i comunisti, essendo la Storia una madre, sono i figli della Storia, eredi — come direbbe Benjamin — di una debole forza messianica su cui il passato ha un diritto 12. Caterina Sforza è adesso la genitrice del nuovo uomo: la madre del nuovo Principe. La contraddittoria accusa, mossa agli ordinovisti, di essere spontaneisti e volontaristibergsoniani, è la prova, non solo della giustezza, ma anche della « fecondità » del movimento torinese: « I `volontaristi' [...]

[...]taristi' non vogliono creare nulla. I `volontaristi' vogliono solo interpretare la storia e non deformare le leggi che ne regolano il processo. Questi `volontaristi', che sarebbero poi i comunisti, non vogliono essere dunque che i figli della storia. Essi non s'inventano, né vogliono inventarsi, una storia che si deve adagiare nelle loro vedute e non rifuggono dall'assumersi le responsabilità che comporta la loro posizione » 13
Si comprende che Gramsci nei Quaderni del carcere definisca la Storia come attività rivoluzionaria che crea nuovi rapporti sociali. Cosi Gramsci ricava da Machiavelli i due simboli, fra loro indissolubili, nei quali è possibile riassumere tutto il suo pensiero: Caterina Sforza è la Storia, il Principe è il Partito.
FEDERICO SANGUINETI
11 La taglia della Storia, in L'Ordine Nuovo (19191920), Einaudi, Torino 1954, pp. 610.
12 Manca ancora un lavoro organico sulla concezione gramsciana della storia confrontata con le Tesi di Benjamin; si veda per ora F. DESIDERI, Il nano gobbo e il giocatore di scacchi. Le «Tesi sul concetto di Storia » di Benjamin, in « Metaphorein », a. I, n. 3, marzogiugno 1978, pp. 4881.
13 Senza uscita?, in Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo (19211922), Einaudi, Torino 1966, p. 303. Cfr. anche Passato e presente. Spontaneità e direzione consapevole, in Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, p. 330.

[...]la storia confrontata con le Tesi di Benjamin; si veda per ora F. DESIDERI, Il nano gobbo e il giocatore di scacchi. Le «Tesi sul concetto di Storia » di Benjamin, in « Metaphorein », a. I, n. 3, marzogiugno 1978, pp. 4881.
13 Senza uscita?, in Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo (19211922), Einaudi, Torino 1966, p. 303. Cfr. anche Passato e presente. Spontaneità e direzione consapevole, in Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, p. 330.



da [Gli interventi] Roberto Battaglia in Studi gramsciani

Brano: Roberto Battaglia

Paimiro Togliatti ha formulato un’osservazione che mi sembra di grande interesse per lo studio del pensiero di Gramsci. Mi riferisco all'osservazione con cui egli ha accennato alla novità del pensiero di Gramsci rispetto a quello di Antonio Labriola.

Cito dalla relazione di Togliatti: «La guida delle conclusioni leniniste sulla natura dteU’imperialismo fa superare a Gramsci il punto morto cui era giunta all’inizio del secolo l’indagine politica di A. Labriola e alla quale aveva corrisposto in sostanza la impossibilità del movimento operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall’estremismo ». Togliatti ha cosi richiamato la nostra attenzione non solo sulla linea di displuvio che corre tra il pensiero di Labriola e quello di Gramsci, ma sulla nuova prospettiva in base alla quale 'Gramsci va elaborando i suoi concetti, la prospettiva dell’età dell’imperialismo.

Affrontare quest’argomento, cioè la concezione di Gramsci dell’età dell’imperialismo, è evidentemente un tema assai vasto e impegnativo ed

10 qui non posso che limitarmi ad enunciarne qualche aspetto più evidente. Mi sembra che sia necessario innanzi tutto chiarire quale sia stato

11 « punto morto » cui arrivò il Labriola; e di qui partire per determinare il pensiero di Gramsci, per comprendere il suo metodo di formazione, il modo con cui egli — diciamo cosi — assimila la concezione leninista.

Il pensiero del Labriola sulletà dell’imperialismo, fino ad oggi è stato poco studiato ed è particolarmente noto attraverso l'interpretazione che ne ha dato Benedetto Croce. Quest’ultimo ha rivolto infatti un elogio di « fedeltà al marxismo » al Labriola, riferendosi agli atteggiamenti che526

Gli interventi

questi avrebbe assunto sulla questione coloniale: «Labriola — dice il Croce — guardò con simpatia all’impresa d’Africa e si manifestò favorevole a'U’impresa di Tr[...]

[...] sollo confusamente le caratteristiche della nuova età, non può additare compiti precisi ai partiti operai. E l'enunciazione in cui attribuisce al movimento socialista una semplice funzione di « contrap528

Gli interventi

peso alla borghesia » è evidentemente una enunciazione lacunosa, tale da rispecchiare le sue incertezze di fondo.

Ora, se questo è il punto morto cui è giunto il pensiero del Labriola, non dobbiamo tuttavia credere che Gramsci abbia potuto superarlo come per una improvvisa illuminazione, ma dobbiamo invece studiare con attenzione nell’opera di Gramsci il lento e spesso difficile processo di formazione del suo pensiero.

Vero è che Gramsci non ci ha lasciato nessuna pagina in cui la sua concezione dell’età dell’imperialismo sia espressa compiutamente, abbia il risalto e la forza sintetica che assumono nei suoi scritti altri argomenti decisivi come la concezione del partito e dello Stato. Ma proprio perciò dobbiamo respingere la tentazione di ricostruire questa pagina che manca nella sua opera attraverso una serie di citazioni, di frammenti, come se si trattasse di ricomporre le tessere di un mosaico. Questo mosaico risulterebbe certamente inerte né ci permetterebbe di capire il pensiero di Gramsci nel suo effettivo sviluppo. De[...]

[...]e, abbia il risalto e la forza sintetica che assumono nei suoi scritti altri argomenti decisivi come la concezione del partito e dello Stato. Ma proprio perciò dobbiamo respingere la tentazione di ricostruire questa pagina che manca nella sua opera attraverso una serie di citazioni, di frammenti, come se si trattasse di ricomporre le tessere di un mosaico. Questo mosaico risulterebbe certamente inerte né ci permetterebbe di capire il pensiero di Gramsci nel suo effettivo sviluppo. Del resto è questo un metodo da respingere, come da respingere l’idea che si debba ricercare in Gramsci, come ha detto Togliatti, il vangelo del perfetto militante marxista.

Se noi desideriamo comprendere come Gramsci abbia acquisito gli elementi fondamentali della concezione della nuova età, dobbiamo invece studiarlo nelle sue esperienze concrete e ben determinate storicamente, dobbiamo porre in rapporto queste esperienze con la loro elaborazione teorica, con l’assimilazioine dei principi essenziali del leninismo.

A me sembra che nell’epoca della prima guerra mondiale Gramsci non avesse ancora una chiara concezione ddl’età dell’imperiaM’smò, Non è solo un problema di maturità politica — egli aveva ventitré anni allo scoppio del conflitto — ma direi che vi era per chiunque la difficoltà obiettiva di constatare in Italia le caratteristiche essenziali dell’imperialismo quali furono enunciate da Lenin. L’Italia nel grande conflitto internazionale è in fondo un campo periferico in cui non è sempre facile cogliere il centro della lotta: nel nostro Paese gli obiettivi imperialistici della borghesia, come l’espansione nei Balcani, s’intrecciano e si urtano con gli obietti[...]

[...]va di constatare in Italia le caratteristiche essenziali dell’imperialismo quali furono enunciate da Lenin. L’Italia nel grande conflitto internazionale è in fondo un campo periferico in cui non è sempre facile cogliere il centro della lotta: nel nostro Paese gli obiettivi imperialistici della borghesia, come l’espansione nei Balcani, s’intrecciano e si urtano con gli obiettivi democratici dell’irredentismo.

La vera, la decisiva esperienza di Gramsci si verifica piuttosto nelrimmediato dopoguerra e si dispiega pienamente nell’opera di direzione dell’Ordine Nuovo. Quando si parla di questa esperienza in genere ci siRoberto Battaglia

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richiama soltanto ai suoi elementi interni, cioè al concetto dei consigli di fabbrica, ai rapporti fra sindacato e partito, ma si dimentica troppo spesso l’avversario contro cui si muove Gramsci. L'avversario è la FIAT, cioè il primo grande monopolio, ed egli acquista un’effettiva concezione dell’età dell’imperialismo lottando e penetrando nella lotta le caratteristiche del 'nemico di classe. Si porrebbe fare molte citazioni a questo proposito. Mi sembra che una delle più interessanti sia quella relativa al modo con cui Gramsci si accorge come nella nuova età il capitale finanziario si stia distaccando dalla produzione, cioè come si renda conto di uno degli elementi essenziali dell’imperialismo e cioè del prevalere del capitale finanziario.

Egli ci dice a proposito della FIAT : « SÌ tratta di un gigantesco apparecchio industriale che corrisponde a un piccolo Stato capitalista, che è un piccolo Stato capitalista e imperialista perché detta legge all’industria meccanica torinese, perché tende con la sua produttività eccezionale, a prostrare e assorbirle tutti i concorrenti: un piccolo Stato assoluto che ha un autoc[...]

[...]o. ÌLI capitalismo annienta i suoi 66 eroi ”, il capitalismo sta annientando il comm. Giovanni Agnelli. Il capitalismo è diventato plutocrazia, è diventato alta banca... In pochi mesi rorganizzazione (o lo sfacelo) capitalistica ha compiuto molti passi in avanti; la plutocrazia siderurgica ansaldiana ha rinnovato l’assalto, è passata sopra il cadavere del capitano d’industria ».

Ora non interessa qui tanto verificare se le indicazioni date da Gramsci a proposito della FIAT siano tutte esatte e se la sua analisi si è compiutamente avverata; interessa piuttosto che egli colga cosi chiaramente la sostanza del processo capitalistico, cioè il fatto che nella nuova età è finita l’epoca dei capitani d’industria, l’epoca del capitalismo industriale produttivo e s’inizia quella del dominio dell’alta banca, delloligarchia finanziaria.

Cosi il modo con cui egli si avvicina a un’altra caratteristica fondamentale deirimperialismo, al problema dell’espansione coloniale, all’esigenza assoluta che il capitalismo ha in questa fase di lottare per la spa[...]

[...]l’alta banca, delloligarchia finanziaria.

Cosi il modo con cui egli si avvicina a un’altra caratteristica fondamentale deirimperialismo, al problema dell’espansione coloniale, all’esigenza assoluta che il capitalismo ha in questa fase di lottare per la spartizione dei mercati nel mondo, non è un modo soltanto teorico; ma nasce da un’esperienza diretta che è la vittoriosa lotta condotta dal proletariato contro l’impresa d’Albania. Io non so se Gramsci avesse già530

Gli interventi

letto in quell’epoca il saggio famoso di Lenin sull’imperialismo, ma certo l’impostazione che egli dà alla questione coloniale e il nesso ch’egli stabilisce tra questa questione e la rivoluzione proletaria sono tipicamente leninisti. Egli scrive : « Le popolazioni colonali diventano cosi il piedistallo di tutto l’apparecchio di sfruttamento capitalistico; esse devono dare 'tutta la loro vita per Ilo sviluppo della civiltà industriale senza ottenere alcun beneficio, ecc. », poi continua : « Le imsurrezioni che si verificano tra le popolazioni soggette al reg[...]

[...], con sempre maggiore precisione, la portata storica reale di queste previsioni energetiche del proletariato internazionale che lotta per la sua emancipazione, consapevole dell’alta missione storica che gl’incombe d’attuare... Il movimento liberatore del popolo lavoratore russo inizia una rivoluzione assoluta e completa che trasformerà radicalmente la configurazione sociale di tutto il mondo».

È evidente che già in queste fomulaziomi del ’20, Gramsci è arrivato a un punto assai avanzato nel giudizio sui rapporti tra l’età dell imperialismo e la rivoluzione proletaria.

L’ultimo suo scritto destinato alla pubblicazione, il saggio sulla" Quistione meridionale, come ha detto giustamente Togliatti, dev’essere interpretato come uno scritto in cui i principi del leninismo hanno contribuito decisamente alla rottura degli schemi salveminiani. E di questo scritto si può sottolineare ancora un altro aspetto: esso spazzava via decisamente le vecchie concezioni borghesi che ponevano la soluzione della questione meridionale nell’espansione coloniale[...]

[...]i può sottolineare ancora un altro aspetto: esso spazzava via decisamente le vecchie concezioni borghesi che ponevano la soluzione della questione meridionale nell’espansione coloniale e che avevano teorizzato sulla esistenza dun imperialismo italiano di natura affatto speciale, il cosidetto « imperialismo democratico ». (Ricordiamo a questo proposito il saggio del Michels e la violenta risposta che ebbe occasione di dargli sul Communist Lenin.) Gramsci nemmeno ricorda o pone in discussione queste teorie, tanto esse gli sembrano ormai superate dalla storia e dalla maturità politica del proletariato. Se noi pensiamo che il saggio del Michels è anteriore di appena nove anni allo scritto di Gramsci sulla Quistione meridionale ci rendiamo conto di come la concezione dell’« imperialismo democratico » sia stata rapidamente e definitivamente liquidata dall’impetuosa ascesa del proletariato nel dopoguerra (anche se posteriormente la demagogia fascista compirà ogni sforzo per riesumarla dalle sue ceneri).

Nei Quaderni del carcere noi troviamo riflessa tutta l’esperienza politica di Gramsci, troviamo quasi il bilancio di quanto egli ha opeRoberto Battaglia

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rato quale dirigente della classe operaia italiana e quale fondatore del Partito comunista italiano. Ma non troviamo solo questo bilancio. Gramsci lanche in carcere mon s;i rinchiude in se stesso, ma compie ogni sforzo per seguire ciò che sta accadendo .nel mondo, al di la delle mura che lo costringono. Né il suo pensiero si ripiega su se stesso, ma continua, con volontà 'eroica, a progredire e a svilupparsi. Cosi si fa sempre più chiara in lui anche la concezione dell’età dell’imperialismo, quale si va determinando nella realtà. Quando inoi insistiamo suH importanza che ha 'nel pensiero di Gramsci il concetto di « egemonia del proletariato », dobbiamo tuttavia ricordare, affinché la nostra analisi non sia parziale, il nesso che lo stes[...]

[...]anche in carcere mon s;i rinchiude in se stesso, ma compie ogni sforzo per seguire ciò che sta accadendo .nel mondo, al di la delle mura che lo costringono. Né il suo pensiero si ripiega su se stesso, ma continua, con volontà 'eroica, a progredire e a svilupparsi. Cosi si fa sempre più chiara in lui anche la concezione dell’età dell’imperialismo, quale si va determinando nella realtà. Quando inoi insistiamo suH importanza che ha 'nel pensiero di Gramsci il concetto di « egemonia del proletariato », dobbiamo tuttavia ricordare, affinché la nostra analisi non sia parziale, il nesso che lo stesso Gramsci stabilisce tra questo concetto e la situazione storica in cui esso si verifica e si evolve, e cioè la situazione in cui la borghesia può ancora conservare il potere politico, può ancora dominare, ma senza più la capacità di esercitare stabilmente la sua egemonia.

Ricordo su questo punto una delle sue citazioni più rapide ed illuminanti, allorché egli afferma che nel periodo del dopoguerra « l’apparato egemonico si sgretola e l’esercizio deU’egemonia da parte della borghesia diviene permanentemente difficile ed aleatorio. Il fenomeno viene presentato e trattato con vari nomi ed in vari aspe[...]

[...]a capacità di esercitare stabilmente la sua egemonia.

Ricordo su questo punto una delle sue citazioni più rapide ed illuminanti, allorché egli afferma che nel periodo del dopoguerra « l’apparato egemonico si sgretola e l’esercizio deU’egemonia da parte della borghesia diviene permanentemente difficile ed aleatorio. Il fenomeno viene presentato e trattato con vari nomi ed in vari aspetti secondari e derivati ». C’è qui la traduzione in termini gramsciani del concetto leninista del capitalismo morente, traduzione che nasce daH’interno stesso deH’esperienza pratica di Gramsci. Egli ha letto infatti gli scritti leninisti suirimperialismo quando già la sua coscienza di militante della classe operala era matura e disposta ad accoglierli, ricavando poi dagli stessi scritti l’impulso per una elaborazione ulteriore, per un successivo passo in avanti compiuto a contatto della realità in continuo sviluppo. Si veda a questo proposito l’acuta e puntuale analisi ch’egli fa dello Stato fascista, ponendo attenzione innanzi tutto a quella compenetrazione fra monopolio e apparato statale cui aveva già accennato Lenin nel suo saggio suH’imperialismo. Gramsci coglie il processo in[...]

[...]ala era matura e disposta ad accoglierli, ricavando poi dagli stessi scritti l’impulso per una elaborazione ulteriore, per un successivo passo in avanti compiuto a contatto della realità in continuo sviluppo. Si veda a questo proposito l’acuta e puntuale analisi ch’egli fa dello Stato fascista, ponendo attenzione innanzi tutto a quella compenetrazione fra monopolio e apparato statale cui aveva già accennato Lenin nel suo saggio suH’imperialismo. Gramsci coglie il processo in uno stadio ben più avanzato, e, ravvisando nel fascismo una delle più vistose manifestazioni dell’età imperialistica, respinge decisamente le tesi del Salvemini sul fascismo quale fenomeno della piccola borghesia : « Da questo complesso di (esigenze non sempre confessate, nasce la giustificazione storica delle cosidette tendenze corporative che si manifestano prevalentemente come esaltazione dello Stato in generale, concepito come qualche cosa di assoluto, e come 'diffidenza ed avversione alle forme tradizionali del capita532

Gli interventi

lismo. Ne consegue ohe [...]

[...]a ed avversione alle forme tradizionali del capita532

Gli interventi

lismo. Ne consegue ohe teoricamente lo Stato pare avere la sua base politicosociale nella piccola gente, nella piccola borghesia degli intellettuali, ma in realtà la sua struttura rimane plutocratica e riesce 'impossibile rompere i legami con il grande capitale finanziario ».

Un’indagine approfondita in questo senso ci permetterebbe non solo di cogliere il pensiero di Gramsci nel suo ininterrotto e continuo sviluppo, ma anche e principalmente di comprendere più chiaramente come il .suo concetto di egemonia non sia, per dir cosi, edificato sul vuoto o come un’ipotesi teorica per un remoto futuro, ma abbia alk propria base l’analisi o la constatazione delle strutture oggettive dell’età contemporanea.

Per concludere, io vorrei portare un ultimo esempio relativo alla consapevolezza che ha avuto Gramsci del suo dissidio di fondo con il Labriola. È la pagina che riguarda « l’educazione del papuano » ; ed è una pagina senza dubbio sorprendente per l’asprezza con cui Gramsci critica il Labriola pur riconoscendo in lui il primo pensatore marxista in Italia. Il punto di partenza è una questione pedagogica, cioè la risposta che il Labriola secondo la testimonianza di Croce avrebbe fornito a chi gli richiedeva come educare moralmente un papuano : « Provvisoriamente lo farei schiavo; e questa sarebbe la pedagogia del caso, salvo a vedere se pei suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia nostra ». Ma l’importanza della pagina di Gramsci va ben al di là della questione pedagogica, e tocca un problema centrale del marxismo, si ricol[...]

[...] primo pensatore marxista in Italia. Il punto di partenza è una questione pedagogica, cioè la risposta che il Labriola secondo la testimonianza di Croce avrebbe fornito a chi gli richiedeva come educare moralmente un papuano : « Provvisoriamente lo farei schiavo; e questa sarebbe la pedagogia del caso, salvo a vedere se pei suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad adoperare qualcosa della pedagogia nostra ». Ma l’importanza della pagina di Gramsci va ben al di là della questione pedagogica, e tocca un problema centrale del marxismo, si ricollega alla questione che abbiamo trattato all’inizio e cioè alla questione coloniale.

Scrive Gramsci : « Il modo di pensare 'implicito nella risposta del Labriola non pare pertanto dialettico e progressivo, ma piuttosto meccanico e retrivo... Nella intervista sulla quistione coloniale il meccanicismo implicito nel pensiero del Labriola appare anche più evidente ». Che l’età dell’imperialismo porti con sé l’espansione coloniale è un fatto, è una conseguenza inevitabile delle sue caratteristiche; ma ciò non significa che il proletariato o gli stessi popoli coloniali debbano assistere passivamente all’espansione coloniale nel nome del progresso della storia. « Può darsi benissimo che sia 44 nec[...]

[...]itù dei papuani non è che una necessità del momento; e che ci si ribelli contro tale necessità è anch’esso un fatto filoisoficoistorieo : 1) perché contribuirà a ridurre al tempo necessario ili periodo di schiavitù; 2) perché indurrà gli stessi papuani a riflettere su se stessi, ad autoeducarsi, in quanto sentiranno di essere appoggiati da uomini di civiltà superiore » , (e mi sembra evidente che gli uomini di civiltà superiore cui si 'riferisce Gramsci sono gli uomini della civiltà socialista); « 3)' perché solo questa resistenza mostra che si è realmente in un periodo superiore di civiltà e di pensiero », (e cioè in un periodo in cui si è avverata la rivoluzione proletaria ed i popoli coloniali tendono alla conquista della loro indipendenza).

Togliatti ha richiamato la nostra attenzione sul fatto che non dobbiamo ricercare in Gramsci pensieri profetici. Quando noi leggiamo pagine come questa, in cui s’intuiscono i nuovi sviluppi dell’età contemporanea, in cui si .afferma cosi recisamente la certezza che l'imperialismo perderà ia sua base d’appoggio nei popoli coloniali, noi possiamo constatare come questa profezia non derivi da qualche misteriosa od occulta facoltà del pensiero di Gramsci, ma dalla sua chiarezza di prospettiva generale, dalla sua piena coscienza dell’età in cui vive e delle sue leggi di sviluppo. Proprio in virtù di tale chiarezza, tanto Lenin quanto Gramsci hanno contribuito a trasformare il mondo, hanno potuto affidare ila sua sorte non a una cosidetta fatalità della storia, ma alla coscienza e alla volontà dell’uomo.



da [Gli interventi] Giorgio Candeloro in Studi gramsciani

Brano: Giorgio Candeloro

Penso che il dibattito potrà riuscire più proficuo se si concentrerà su quegli aspetti dell’interpretazione gramsciana della storia d’Italia che hanno sollevato negli ultimi tempi vivaci discussioni tra gli studiosi. Mi soffermerò pertanto su di un problema soltanto, tra i molti toccati dal prof. Cessi nella sua relazione.

Le osservazioni di Gramsci sull’assenza di un movimento giacobino nel Risorgimento e in particolare sul carattere non giacobino del movimento democratico italiano sono tra quelle che hanno sollevato critiche *da parte di molti studiosi di storia. Si è detto che Gramsci, sotto lo stimolo di preoccupazioni politiche proprie del primo dopoguerra, estranee quindi alla situazione dell’età risorgimentale, avrebbe fatto un uso ingiustificato dell’esempio della Rivoluzione francese per giudicare il Risorgimento elevando il giacobinismo a paradigma ideale e commisurando ad esso movimenti politici sorti in condizioni del tutto diverse. Secondo Walter Maturi1, Gramsci avrebbe capovolto il giudizio comparativo sulla Rivoluzione francese e sul Risorgimento dato dal Manzoni negli ultimi anni della sua vita e avrebbe sostituito al modello ideale di rivoluzione liberalemoderata un modello ideale di rivoluzione giacobina. Secondo Rosario Romeo invece2, l’interpretazione gramsciana è criticabile, non solo perché la situazione italiana del Risorgimento era profondamente diversa da quella francese della Rivoluzione, ma soprat
1 W. MATURI, « Gli studi di storia moderna e contemporanea », in Cinquantanni di vita intellettuale in Italia^ Napoli, 1950, voi. I, p. 273.

2 R. Romeo, « La storiografia politica marxista », in Nord e Sud, agosto 1956.516

Gli interventi

tutto perché una rivoluzione giacobina, se ci fosse stata in Italia, non avrebbe avuto funzione progressiva, poiché avrebbe di molto ridotto, con la creazione di un vasto ceto di piccoli proprietari col[...]

[...]ti

tutto perché una rivoluzione giacobina, se ci fosse stata in Italia, non avrebbe avuto funzione progressiva, poiché avrebbe di molto ridotto, con la creazione di un vasto ceto di piccoli proprietari coltivatori, le possibilità di accumulazione capitalistica già tanto limitate in un paese arretrato commercialmente ed industrialmente. Si può dire insomma che, pur con motivazioni diverse e in parte contrastanti, la critica all’affermazione di Gramsci sull'assenza di giacobinismo nel Risorgimento sia stata finora uno dei punti centrali della discussione provocata tra gli storici dall’opera di Gramsci.

Di fronte a queste critiche si deve dire anzitutto che il pensiero storiografico di Gramsci è indubbiamente un aspetto del suo pensiero politico e al tempo stesso della sua azione politica. Ma si deve anche dire che questa azione fu essenzialmente azione rivoluzionaria, rivolta a mobilitare e a dirigere le forze capaci di risolvere i problemi di fondo della società e dello Stato in Italia. Questi problemi, giunti ad un grado estremamente critico nel primo dopoguerra, hanno però le loro radici in tutta la precedente storia d’Italia, in particolare nella storia dell’Italia unitaria e nel Risorgimento. Gramsci perciò condusse un’indagine storica marxista sul problema della nascita e de[...]

[...]tesso della sua azione politica. Ma si deve anche dire che questa azione fu essenzialmente azione rivoluzionaria, rivolta a mobilitare e a dirigere le forze capaci di risolvere i problemi di fondo della società e dello Stato in Italia. Questi problemi, giunti ad un grado estremamente critico nel primo dopoguerra, hanno però le loro radici in tutta la precedente storia d’Italia, in particolare nella storia dell’Italia unitaria e nel Risorgimento. Gramsci perciò condusse un’indagine storica marxista sul problema della nascita e dello sviluppo della società e dello Stato borghese in Italia cercando di fissarne con chiarezza i caratteri distintivi nell’ambito dello sviluppo generale della borghesia in Europa e nel mondo. Nasce di qui necessariamente il paragone con la Rivoluzione francese, il quale del resto si può ricollegare ad una tendenza tipica del pensiero politico ottocentesco in Italia e in tutta l’Europa. Gran parte del pensiero politico liberale, democratico e in una certa misura anche socialista, del secolo passato, si sviluppò infatt[...]

[...]enni addirittura ossessionato dall’esempio della Rivoluzione. Non si può dire dunque che l’esempio della Rivoluzione sia un paradigma estraneo al Risorgimento, quale esso fu effettivamente; è evidente tuttavia che l’uso di questo paradigma fatto dai pensatori e dagli uomini politici del secolo passato non può più coincidere con l’uso che ne può fare lo storico nel nostro secolo.

Premesso questo, prima di vedere in che consista questo paragone gramsciano e fino a che punto esso possa dirsi propriamente un paragone, è neoessairio soffermarci sulla definizione che Gramsci stesso dàGiorgio Candeloro

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del giacobinimo. « Il termine di66 giacobino ” — egli dice — ha finito per assumere due significati: uno è quello proprio, storicamente caratterizzato, di un determinato partito della Rivoluzione francese, che concepiva lo svolgimento della vita francese in un modo determinato, con un programma determinato, sulla base di forze sociali determinate e che esplicò la sua azione di partito e di governo con un metodo determinato che era caratterizzato da una estrema energia, decisione e risolutezza, dipendenti dalla credenza fanatica nella bontà e di quel progr[...]

[...]rché fanaticamente persuaso delle virtù taumaturgiche delle sue idee, qualunque esse fossero: in questa definizione prevalsero gli elementi distruttivi derivati dall’odio contro gli avversari e i nemici, più che quelli costruttivi, derivati dalTaver fatto proprie le rivendicazioni delle masse popolari; l’elemento settario, di conventicola, di piccolo gruppo, di sfrenato individualismo, più che l’elemento politico nazionale » 1.

È evidente che Gramsci, quando parla di assenza di giacobinismo nel Risorgimento, si riferisce alla concezione positiva e comprensiva del giacobinismo, che egli analizza quando si sofferma in vari punti dei Quaderni del carcere suH’azione dei giacobini nella Rivoluzione francese stessa. Secondo lui, i giacobini francesi spinsero avanti in modo violento la stessa borghesia, che inizialmente era su posizioni moderate, ma rimasero sempre nell’ambito di una rivoluzione boghese. Il giudizio gramsciano si avvicina qui a quello dato in modo più ampio e documentato da alcuni storici della Rivoluzione francese, principalmen[...]

[...]ssenza di giacobinismo nel Risorgimento, si riferisce alla concezione positiva e comprensiva del giacobinismo, che egli analizza quando si sofferma in vari punti dei Quaderni del carcere suH’azione dei giacobini nella Rivoluzione francese stessa. Secondo lui, i giacobini francesi spinsero avanti in modo violento la stessa borghesia, che inizialmente era su posizioni moderate, ma rimasero sempre nell’ambito di una rivoluzione boghese. Il giudizio gramsciano si avvicina qui a quello dato in modo più ampio e documentato da alcuni storici della Rivoluzione francese, principalmente dal Mathiez. È impossibile però stabilire fino a che punto la concezione gramsciana sia stata influenzata dall’opera del Mathiez che Gramsci mi pare citi due sole volte nei Quaderni2.

Ora, secondo Gramsci, non ce stato nel Risorgimento un movimento giacobino, inteso in questo senso, perché nessun partito politico risorgimentale volle far leva sulle masse popolari e trascinarle nel movimento nazionale in vista di una trasformazione radicale della situazione

1 R., p. 75.

2 Mach., pp. 44 n. 2, 48.518

Gli interventi

esistente. Questa trasformazione avrebbe dovuto consistere essenzialmente (ma non esclusivamente) in una rivoluzione agraria. In Francia i giacobini, che avevano nella capitale la loro base principale, poterono assicurarsi con la loro politica agraria l’appoggio delle mass[...]

[...]\ La loro caduta si dovette essenzialmente alla necessità in cui si trovarono, per restare sul terreno della rivoluzione borghese, di rompere il fronte urbano di Parigi e di perdere l’appoggio delle masse popolari, sicché il Termidoro li travolse. In Italia invece mancò una forza democratica che sapesse essere giacobina e svolgere una politica agraria rivoluzionaria, sicché nei momenti decisivi del Risorgimento prevalse il movimento moderato.

Gramsci giunge cosi ad una visione molto chiara dei caratteri e della funzione storica dei due raggruppamenti politici maggiori del Risorgimento: 1 moderati e il partito d’Azione. I moderati ebbero infatti un rapporto organico con vasti settori della borghesia e dell’aristocrazia imborghesita; il partito d’Azione ebbe sempre una base sociale debole e ondeggiarne, perché Mazzini e gli altri democratici non vollero o non seppero porsi il problema di una radicale trasformazione dei rapporti di classe nelle campagne.

Gramsci però non si limita a questa critica, ma ricerca anche le ragioni storiche del[...]

[...]nzione storica dei due raggruppamenti politici maggiori del Risorgimento: 1 moderati e il partito d’Azione. I moderati ebbero infatti un rapporto organico con vasti settori della borghesia e dell’aristocrazia imborghesita; il partito d’Azione ebbe sempre una base sociale debole e ondeggiarne, perché Mazzini e gli altri democratici non vollero o non seppero porsi il problema di una radicale trasformazione dei rapporti di classe nelle campagne.

Gramsci però non si limita a questa critica, ma ricerca anche le ragioni storiche della fondamentale debolezza delle correnti democratiche risorgimentali. Egli ricollega questa debolezza allo sviluppo ritardato e insufficiente delia borghesia italiana in generale, di cui analizza i caratteri risalendo attraverso l’età del dominio straniero al Rinascimento e all’età comunale. In questa ricerca si debbono inquadrare le sue osservazioni sul carattere « economicocorporativo » della borghesia comunale, sulla storia degli intellettuali italiani e sullo sviluppo della tradizione culturale italiana, da secol[...]

[...]to fu un freno potente per tutte le correnti politiche del Risorgimento.

Queste circostanze interne ed esterne fecero si che il Risorgimento si concentrasse sui problemi dell’indipendenza, dell’unità e del regime costituzionale, sicché su questo terreno il partito d’Azione fu abbastanza facilmente rimorchiato dai moderati e in particolare dai gruppi che si strinsero attorno alla monarchia sabauda.

A questo punto però sorge un problema, che Gramsci stesso si pone, quello della possibilità storica di un diverso sviluppo del Risorgimento. Dice infatti Gramsci in un passo parzialmente citato anche da Manacorda : « Se in Italia non si formò un partito giacobino ci sono le sue ragioni da ricercare nel campo economico, cioè nella relativa debolezza della 'borghesia italiana e nel clima storico diverso dell’Europa dopo il 1815. Il limite trovato dai giacobini, nella loro politica di forzato risveglio delle energie popolari francesi da alleare alla borghesia, con la legge Le Chapelier e quella sul maximum, si presentava inel ’48 come uno “ spettro ” già minaccioso sapientemente utilizzato dall’Austria, dai vecchi governi e anche dal Cavour (oltre che da[...]

[...]teri delil’effiettivo processo storico), quanto sul terreno storiografico : è necessario infatti studiare a fondo la struttura economicosociale italiana, vederne con chiarezza l'evoluzione durante il Risorgimento, fissarne con precisione i caratteri diversi nelle varie parti d'Italia, studiarne infine Ì

1 R., pp. 8788.

34.520

Gli interventi

rapporti' con i movimenti politici. Si tratta insomma di proseguire ed estendere il lavoro di Gramsci studiando la storia d’Italia col metodo marxista. Quel metodo che Gramsci peir primo applicò ad essa con grande acume critico e con eccezionale ampiezza di prospettive, anche se, per le circostanze in cui ifu costretto a lavorare, i risultati della sua indagine dovettero assumere spesso una forma frammentaria e talora ebbero il carattere di geniali intuizioni non sufficientemente argomentate.

Non è da escludere che questo approfondimento possa portare a correggere o a limitare talune affermazioni gramsciane, come quella sopra citata sulla possibilità di un diverso sviluppo del movimento risorgimentale nei riguardi dei contadini; ma i risultati fondamentali dell’indagine di Gramsci restano validi e fecondi di ulteriori sviluppi. Essi derivano infatti da un’impostazione metodologica che non sii fonda su fantasiose costruzioni ideologiche, o su pregiudizi moralistici, o sul mito di una conoscenza storica concepita come fine a se stessa, ma nasce dall’esigenza di conoscere scientificamente la realtà per trasformarla. Se si tiene presente questo essenziale carattere marxista dell’indagine gramsciana, allora appare anche pienamente legittimo l’uso della comparazione storica nella forma adottata da Gramsci a proposito del giacobinismo. Infatti per comprendere ciò che il Risorgimento è stato effettivamente è necessario vederne con chiarezza i limiti, vedere quali problemi esso lasciò insoluti; è necessario cioè, in un certo senso, tener conto anche di quello che esso non è stato. Perciò occorre studiarlo tenendo presente sia lo sviluppo successivo della storia italiana, che è condizionato dall risultato del Risorgimento, sia lo sviluppo generale della borghesia in Europa e nel mondo. Quindi la comparazione tra il processo storico con cui la borghesia conquistò il potere in Italia e i vari proces[...]

[...]di la comparazione tra il processo storico con cui la borghesia conquistò il potere in Italia e i vari processi storici con 1 quali essa conquistò il potere in Francia, in Inghilterra o in altri paesi, serve appunto a fissare le caratteristiche dello sviluppo storico che portò in Italia alla formazione di un determinato Stato e di una determinata situazione politicosociale.

D’altra parte, per ritornare al concetto di giacobinismo, mi pare che Gramsci, se da un lato fu probabilmente stimolato alla definizione comprensiva di questo fenomeno storico prima citata dallesempio contemporaneo del bolscevismo e dalla dottrina leninista del partito comunista, dall’altro volle anche affermare che un certo tipo di azione giacobina, o cosidetta giacobina, tendente ad esaurirsi in una prassiGiorgio Candeloro

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insurrezionale, è tipico della rivoluzione borghese e non di quella proletaria. Vi sono nei Quaderni alcuni accenni interessanti, che meriterebbero di essere studiati, sull’origine di quei principi di strategia e di tattica rivoluzionari[...]

[...] prassiGiorgio Candeloro

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insurrezionale, è tipico della rivoluzione borghese e non di quella proletaria. Vi sono nei Quaderni alcuni accenni interessanti, che meriterebbero di essere studiati, sull’origine di quei principi di strategia e di tattica rivoluzionaria, che poi furono teorizzati da Trotzki nella dottrina della « rivoluzione permanente», nella fase storica che va dal 1789 al 1848 e sul loro esaurirsi nel 1870711. Comunque in Gramsci è molto chiara la coscienza della maggior complessità della rivoluzione proletaria rispetto alla rivoluzione borghese, soprattutto per quel che concerne il problema delle alleanze della classe rivoluzionaria. ,

Da un’attenta lettura degli scritti di Gramsci si può trarre infatti questa conclusione, che del resto è tipicamente marxistaleninista : in determinate condizioni storiche, quali erano quelle dell'Italia del Risorgimento in cui prevalsero i problemi essenzialmente politici deH’indipendenza nazionale e dell'unità statale, una rivoluzione borghese è possibile in una forma limitata (ma in tutte le rivoluzioni borghesi c’è sempre un certo limite rappresentato dalla maggiore o minore sopravvivenza di residui del passato), senza l’alleanza con i contadini e in genere con le masse popolari, ma coll’alleanza di vecchie forze preesistenti; invece [...]

[...]e può, anzi deve, fermarsi ad un punto più o meno avanzato del suo sviluppo per far fronte alla nuova classe rivoluzionaria, mentre la rivoluzione proletaria non può fermarsi prima di essere giunta ad una trasformazione completa e definitiva della società. Essa perciò ha una linea di sviluppo complessa che fu sommariamente ma vivacemente delineata da Marx in un famoso passo dello scritto sul Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte.

Ma il concetto gramsciano del giacobinismo può essere chiarito anche dai giudizi che Gramsci dà su tre uomini del Risorgimento, nei quali egli trova degli spunti giacobini: Giuseppe Ferrari, Carlo Pisacane e Vincenzo Gioberti.

Il giudizio su Ferrari mi sembra particolarmente esatto. Secondo Gramsci, il giacobinismo storico neH’opera di Ferrari si è « diluito e astrattizzato ». Giustamente egli nota come le grandi opere del Ferrari

1 Mach., p. 44.522 interventi

siano degli zibaldoni « f arraginosi e confusi » v mentre notevoli intuizioni politiche appaiono negli scritti polemici o d’occasione. Comunque osserva che il Ferrari si rese conto deH’importanza del problema agrario, ma non seppe elaborare in proposito un programma politico vero e proprio, ma solo una utopistica delineazione della necessità della « legge agraria » ; aggiunge che la posizione politica del Ferrari fu indebol[...]

[...]a troppo « infranciosato », cioè troppo

influenzato da certe tendenze caratteristiche della politica francese. Sfuggi imsomma al Ferrari l'importanza dei due problemi dell'unità e dell’in
diipendenza, sicché la sua azione politica rimase praticamente sterile. L’errore di Ferrari fu essenzialmente quello di applicare alla realtà italiana « schemi francesi » che rappresentavano una situazione più avanzata di quella italiana. «Il Ferrari — dice Gramsci — non vedeva che tra la situazione italiana e quella francese mancava un anello intermedio' e che proprio questo anello importava saldare per passare a quello successivo. Il Ferrari non seppe “ tradurre ” il francese in italiano e perciò la sua stessa 64 acutezza ” diventava un elemento di confusione, suscitava nuove sette e scolette ma non incideva nel movimento reale » 1. Mi sembra che queste parole chiariscano bene in che senso Gramsci intende il valore della comparazione tra situazioni diverse.

Gli elementi giacobini del pensiero di Piisacane riguardano essenzialmente, secondo Gramsci, il problema militare, cioè il problema della mobilitazione delle masse popolari per la guerra nazionale rivoluzionaria; a questo spunto .iniziale si sarebbe poi aggiunto un elemento di tipo populista: Gramsci avanza (infatti l’ipotesi di un’influenza diretta o indiretta su Pisacane da parte di Herzen o di altri rivoluzionari russi; comunque nota una somiglianza tra l’impostazione del problema agrario in Pisacane e nei populisti.

Più interessante, complesso, anche se in una certa misura contraddittorio è il giudizio di Gramsci sul Gioberti, che si può ricavare da parecchi passi dei Quaderni. Nelle opere gioberti'ane, soprattutto nel Rinnovamento civile d’Italia, Gramsci nota due importanti spunti di giacobinismo. Uno riguarda la funzione del Piemonte, che è vista dal Gioberti in relazione al problema della « radunata rivoluzionaria », cioè come una

1 R, p. 75.Giorgio Candeloro

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specie di surrogato della funzione che nella Rivoluzione francese ebbe Parigi, come centro di raccòlta e di direzione delle forze rinnovatrici. L’altro riguarda la funzione dirigente degli intellettuali in senso nazionalepopolare, che Gioberti svolge soprattutto nel Rinnovamento quando parla del « primato dell’ingegno » e quando afferma che una letteratura « non può esser[...]

[...]rgio Candeloro

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specie di surrogato della funzione che nella Rivoluzione francese ebbe Parigi, come centro di raccòlta e di direzione delle forze rinnovatrici. L’altro riguarda la funzione dirigente degli intellettuali in senso nazionalepopolare, che Gioberti svolge soprattutto nel Rinnovamento quando parla del « primato dell’ingegno » e quando afferma che una letteratura « non può essere nazionale se non è popolare ». Gioberti, secondo Gramsci, offre qui una soluzione « formale » del problema di una letteratura nazionalepopolare, come contemperamento di conservazione e di innovazione, come «classicità nazionale». Giustamente poi Gramsci osserva che Gioberti non potè sviluppare praticamente questi spunti giacobini, perché non ebbe la possibilità di dirigere un partito e per altre circostanze particolari,

D’altra parte Gramsci nota anche che nella filosofìa giobertiana la dialettica è concepita come contemperamento degli opposti e stabilisce un rapporto tra Gioberti e l’hegelismo di destra, sicché il Gioberti avrebbe avuto in Italia una funzione non molto diversa da quella avuta in Francia dal Proudhon; un elemento giobertiano sarebbe poi sempre rimasto oeU’idealismo italiano. Questo giudizio non appare ben coordinato con l’altro sul giacobinismo giobertiano; la cosa si spiega se si tiene conto che questi appunti di Gramsci appartengono a vari momenti e furono stesi in rapporto a problemi molto diversi.

Comunque[...]

[...]lettica è concepita come contemperamento degli opposti e stabilisce un rapporto tra Gioberti e l’hegelismo di destra, sicché il Gioberti avrebbe avuto in Italia una funzione non molto diversa da quella avuta in Francia dal Proudhon; un elemento giobertiano sarebbe poi sempre rimasto oeU’idealismo italiano. Questo giudizio non appare ben coordinato con l’altro sul giacobinismo giobertiano; la cosa si spiega se si tiene conto che questi appunti di Gramsci appartengono a vari momenti e furono stesi in rapporto a problemi molto diversi.

Comunque è chiaro che Gramsci si rese perfettamente conto della complessità deHopera del Gioberti, politica e filosofica, e comprese che il Gioberti non può essere considerato semplicemente come un rappresentante del moderatismo, poiché presenta degli aspetti radicalmente innovatori accanto a spunti conservatori e quasi reazionari.

Ho indicato questi giudizi gramsciani su uomini del Risorgimento come esempi di problemi che meriterebbero di essere affrontati in modo nuovo allo scopo di raggiungere una più chiara conoscenza del Risorgimento e in generale di tutta la storia d’Italia. Quegli studiosi di storia, che non si appagano del problemismo minuto o delle interpretazioni tradizionali o dell’astratto ideologismo, possono trovare neiropera di Gramsci un insegnamento di grande valore per condurre una ricerca storica animata da uno spirito rigorosamente scientifico e al tempo stesso da una chiara prospettiva di rinnovamento e di progresso politico e sociale.


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Gramsci, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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