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tipologia: Analitici; Id: 1543229


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Tipologia Relazione di Convegno
Titolo [Gli interventi] Valentino Gerratana
Responsabilità
Gerratana, Valentino+++
  autore+++    
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
Valentino Gerratana

Nella sua relazione Togliatti ha accennato, parlando della metafora gramsciana relativa alla distinzione tra guerra manovrata e guerra di posizione, all'identità che si può vedere, anche su questo problema, tra Ja concezione di Gramsci e quella di Lenin. Su questo stesso tema vorrei fermarmi nel mio breve intervento, non solo perché la concezione di Gramsci della « guerra di posizione» ha grande importanza nello sviluppo del suo pensiero, ma anche perché proprio su questo problema sono state recentemente tentate delle false e tendenziose interpretazioni che sì sforzano di opporre le posizioni di Gramsci a quelle di Lenin.

Il tema è strettamente connesso, come del resto ha rilevato anche Togliatti, alTelaborazione di Gramsci della teoria dell’egemonia e alla sua critica della teoria troschista della rivoluzione permanente. Conviene quindi rifarsi, per chiarire meglio la cosa, al saggio sulla Quistione meridionale, dove Gramsci a un certo punto, usando per la prima volta, — mi pare — il termine di « egemonia del proletariato », afferma che i comunisti torinesi, prima ancora che sul piano teorico si erano posti concretamente il problema dell’egemonia del proletariato affrontando la questione delle alleanze della classe operaia. È da qui, io credo, che bisogna partire: dal nesso pratico tra il problema dell’egemonia e la questione politica delle alleanze.

Non ogni alleanza, però, implica il concetto di egemonia. Non lo implica un’alleanza contingente, provvisoria, puramente strumentale, destinata a sciogliersi appena siano raggiunti gli scopi immediati per cui si è formata. Era di questo tipo infatti l’alleanza tra operai e contadini quale era visto da Trotzki nella sua teoria della « rivoluzione perma
38*,586

Gli interventi

nente ». Secondo questa teoria, nel passaggio delk rivoluzione dalla fase democratico-borghese alla fase socialista, l’avanguardia operaia avrebbe dovuto rompere ogni alleanza, ed entrare in conflitto, non soltanto con tutti i gruppi delk borghesia che l’avevano sostenuta nei primi tempi della sua lotta rivoluzionaria, ma anche con le grandi masse contadine, con l’aiuto delle quali era giunta al potere. Abbkmo cosi qui una concezione delle alleanze delk classe operaia che prevede la loro dissoluzione appena vengano in primo piano e si pongano direttamente gli obiettivi delk trasformazione socialista delk società. Ne deriva una concezione della dittatura del proletariato che esclude la possibilità per la classe operaia di dirigere ancora i suoi alleati appena sono raggiunti i compiti della rivoluzione democratico-borghese, che esclude quindi l’egemonia della classe operaia in un’alleanza con altri ceti sociali per la costruzione di una società socialista.

Questa impostazione del problema ha grande importanza per le conseguenze che necessariamente se ne ricavano nella strategia delk rivoluzione socialista, anche sul piano internazionale. Ad esempio, dalla sua teoria delk rivoluzione permanente, con la concezione che abbiamo già ricordato dell’inevitabile dissoluzione delle alleanze che hanno permesso alla classe operaia di conquistare il potere, Trotzki traeva la conseguenza dell’impossibilità della costruzione del socialismo in un solo paese e vedeva quindi l’unica salvezza dello Stato sovietico nella possibilità di suscitare la rivoluzione negli altri paesi. « Le contraddizioni — scriveva Trotzki — nella situazione del governo operaio di un paese arretrato, con una maggioranza schiacciante di popolazione contadina, potranno •trovare la loro soluzione soltanto su scala internazionale, suH’afena delk rivoluzione mondiale del proletariato ».

Per Lenin, invece, come per Gramsci, la soluzione di queste contraddizioni può essere trovata soltanto nella funzione egemonica della classe operaia, nella sua capacità di dirigere questa maggioranza non proletaria delk popolazione. Lenin si rendeva conto che questo compito del proletariato non era facile, e che era d’altra parte più difficile, nelle condizioni particolari delk società russa, dopo la conquista del potere. Ma a questo compito, per quanto difficile, la classe operaia non può sottrarsi né prima né dopo la realizzazione della dittatura proletaria.

A ragione, in questa posizione di Lenin Gramsci vedeva l’opposizione più radicale ad ogni interpretazione meccanicistica del materialismoValentino Gerratana

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storico, e in particolare alle tendenze « economistiche » ohe affidavano alla spontaneità la realizzazione dei compiti rivoluzionari. Il principio deli-egemonia, in quanto implica la ricerca della strada e dei metodi di lotta, economici, politici e culturali, atti a suscitare il consenso, è precisamente l’antitesi della teoria della spontaneità.

In questo senso Gramsci poteva scrivere che Lenin « nel terreno della lotta e deirorganizzazione politica, con terminologia politica ha, in opposizione alle diverse tendenze “ economistiche ”, (rivalutato il fronte della lotta culturale e costruito la dottrina deli egemonia' come complemento della teoria dello Stato-forza [cioè della dittaUira del proletariato] e come forma attuale delle dottrine quarantottesche della “ rivoluzione permanente ” » \

Il confronto tra la teoria di Lenin e quella di Trotzki è ripresa da Gramsci in un’altra pagina dei Quaderni del carcere, dove il problema è approfondito in altri suoi importanti sviluppi e implicazioni. Si tratta appunto delle pagine in cui Gramsci svolge una serie d’interessanti considerazioni dal confronto tra lotta politica e lotta militare, insistendo sul fatto che, analogamente a ciò che era avvenuto nella strategia militare, anche nella lotta politica la guerra di movimento (o guerra manovrata), cioè, in termini politici, la conquista violenta del potere, non sempre ha valore decisivo, e deve cedere il passo alla guerra di posizione.

Si può osservare a questo proposito che le conclusioni della scienza militare, sulle quali Gramsci svolgeva le sue considerazioni, erano basate suH’esperienza della prima guerra mondiale, mentre nel secondo conflitto mondiale la guerra di movimento ha riacquistato molto della sua importanza rispetto alla guerra di posizione, sebbene sia stata poi quest’ul-tima, in definitiva, con le sue riserve strategiche, l’elemento risolutivo del conflitto. L’analisi di Gramsci comunque conserva tutta la sua validità, indipendentemente dal paragone, del resto occasionale, e che non deve essere preso alla lettera, come avverte lo stesso Gramsci, con la strategia militare.

È bene però chiarire che non si tratta di una scelta definitiva tra guerra manovrata e guerra di posizione, tra conquista violenta del potere e conquista graduale, più o meno pacifica. Chi, per contrapporre Gramsci

1 M. S., pp. 201-202.588

Gli interventi

a Lenin, interpreta in tal modo queste pagine di Gramsci distorce tendenziosamente il suo pensiero. « La verità è — scrive Gramsci esplicitamente — che non si può scegliere la forma di guerra che si vuole ». Non si tratta quindi di scegliere una volta per sempre una forma o l’altra di lotta politica, ma di vedere quale è la più importante in un dato momento storico. « Gli stessi tecnici militari — scrive ancora Gramsci — che ormai si sono fissati sulla guerra di posizione come prima lo -erano su quella manovrata, non sostengono certo che il tipo precedente debba essere considerato come espunto dalla scienza; ma che, nella guerre tra gli Stati più avanzati industrialmente e civilmente, esso deve considerarsi ridotto a funzione tattica più che strategica, deve considerarsi nella stessa posizione in cui era prima la guerra d’assedio in confronto a quella manovrata» \

Su questa base Gramsci critica la 'teoria di Trotzki della « rivoluzione permanente », che, sottovalutando e negando la funzione egemonica della classe operaia, indicava a tuto il movimento operaio internazionale la sola prospettiva dell’assalto rivoluzionario. È da vedere, scrive Gramsci a questo proposito, se la teoria di Trotzki della « rivoluzione permanente »

« non sia il riflesso politico della teoria della guerra manovrata..., in ultima analisi il riflesso delle condizioni generali-econcmiche-culturali-sociali di un paese in cui i quadri della vita nazionale sono embrionali e rilasciati e non possono diventare “trincea o fortezza”. In questo caso si potrebbe dire che Bronstein, che lappare come un “ occidentalista ”, era invece un cosmopolita, cioè superficialmente nazionale e superficialmente occidentalista o europeo. Invece Ilici era profondamente nazionale e profondamente europeo » 2.

Gramsci vede dunque in Lenin, proprio in questo suo contrasto con le posizioni di Trotzki, il teorizzatore di una nuova strategia rivoluzionaria, sulle basi del principio di egemonia. « Mi pare — egli scrive poco dopo nella stessa pagina citata — che Ilici aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente [cioè-in Russia} nel ’17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente... » 3.

1 Mach., p. 66.

2 Mach., p. 67.

3 Mach., p. 68.Valentino Gerratana

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Se si pensa alle condizioni in cui Gramsci era costretto a lavorare, all’impossibilità in cui egli si trovava di poter consultare la documentazione necessaria, non può sorprendere la forma cauta delle sue affermazioni. «Mi pare», egli scrive, ma non ricordava male; il suo richiamo a Lenin anche in questo punto è del tutto giustificato e possiamo ora controllarlo sui testi stessi di Lenin.

Nel passo citato vi è in realtà un solo termine di riferimento, alla formula — scrive Gramsci — del « fronte unico ». Togliatti nella sua relazione ha chiarito come tale riferimento vada riportato ai dibattiti e alle 'tesi del III Congresso deFIntefnazionale, che è del 1921. Il richiamo è effettivamente illuminante e particolarmente utile oggi, di fronte ai tentativi di presentare la Rivoluzione d’Ottobre come una rivoluzione di minoranza, fatta dall’alto, rispetto al metodo della conquista democratica della maggioranza che sarebbe esclusivo delle società capitalisticamente evolute. Il III Congresso deH’Internazionale rifiuta questa assurda contrapposizione, non perché la seconda tesi non sia vera, ma perché è falsa la prima. « Quando si dice che in Russia — diceva Lenin — abbiamo vinto quantunque avessimo un piccòlo partito, si dimostra di non aver capito la rivoluzione russa e di non capire niente di come si deve preparare la rivoluzione ». « Noi in Russia, eravamo' un piccolo partito, ma avevamo con noi la maggioranza dei Soviet dei deputati operai e contadini di tutto il paese » \

La polemica è qui rivolta contro i « sinistri » dei partiti comunisti dei paesi occidentali che pretendevano di fare la rivoluzione, con l’assalto audace di minoranze agguerrite, senza preoccuparsi della conquista della maggioranza. Insistendo sulla necessità della conquista della maggioranza come premessa indispensabile di ogni rivoluzione socialista, in Occidente o in Oriente, nei paesi industrialmente più avanzati o in quelli più arretrati, il III Congresso elabora la nuova tattica del fronte unico, come necessaria in quel momento, nei paesi occidentali, per la conquista della maggioranza, e giustamente in questa tattica Gramsci vede un esempio di passaggio dalla guerra manovrata alla guerra di posizione.

È possibile però, mi pare, trovare altri riferimenti, per questo richiamo di Gramsci alte posizioni di Lenin, in documenti anteriori al 1921.

1 L’Internazionale comunista, Roma, 1950, pp. 324 e 327.590

Gli interventi

Già infatti in un discorso del 7 marzo 1918, il rapporto sulla guerra e sulla pace al VII Congresso del Partito, Lenin si rendeva conto di questa necessità di passare dalla guerra di movimento alla guerra di posizione, sia in Russia dove si era fatta la rivoluzione, sia nei paesi europei dove la rivoluzione non era incominciata. « Quanto più è arretrato — diceva allora Lenin — il paese nel quale in virtù degli zig-zag della storia, 'ha dovuto incominciare la rivoluzione socialista, tanto più è per esso difficile passare dai vecchi rapporti capitalistici a rapporti socialisti. Ai compiti della distruzione si aggiungono qui nuovi compiti, di una difficoltà inaudita, i compiti di organizzazione ». Questi nuovi compiti, aggiunge Lenin, non potevano essere assolti con un « attacco alla baionetta », cosi come si era riusciti, a fare per i compiti della guerra civile.

«Per tutti coloro — continua Lenin — che avevano meditato sulle condizioni economiche di una rivoluzione socialista in Europa non poteva non 'essere 'evidente che è infinitamente più difficile cominciare la rivoluzione in Europa e 'infinitamente più facile cominciarla da noi, ma che da noi sarà più difficile continuarla ».

E ancora : « La Rivoluzione non verrà cosi presto come noi speravamo, la storia l’ha dimostrato, e bisogna accettarlo come un dato di fatto, bisogna saper tener conto che la rivoluzione socialista mondiale nei paesi progrediti non può incominciare con la stessa facilità con cui è incominciata in Russia, paese di Nicola e di Rasputin, dove per un’immensa parte della popolazione era indifferente sapere quali popoli abitassero la periferia e che cosa colà avvenisse. In un paese simile era cosa facile incominciare la rivoluzione, facile come sollevare una piuma. Ma cominciare senza preparazione la rivoluzione in un paese dove si è sviluppato il capitalismo, che ha dato una cultura e il senso dell’or-ganizzazione democratica a tutti gli uomini, sino all’ultimo, sarebbe un errore, un’assurdità » 1.

Si capisce meglio, mi sembra, tenendo presenti queste pagine di Lenin, il senso esatto delle considerazioni di Gramsci, e si può valutare meglio l’importanza delle sue conclusioni. « In Oriente — scrive Gramsci, cioè in Russia — lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; neirOccidente, tra Stato e società civile cera un giusto rapporto,

1 Opere scelte, Mosca, II, 1948, p. 283Valentino Gerratana

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e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale » \

Nello stesso punto Gramsci aveva anche notato che Lenin « non ebbe il tempo di approfondire la sua formula, pur tenendo conto che egli poteva approfondirla solo teoricamente, mentre il compito fondamentale era nazionale, cioè domandava una ricognizione del terreno e una fissazione degli elementi di trincea e di fortezza rappresentati dagli elementi della società civile, ecc. » 2.

Abbiamo qui, come si vede, la linea teorica di quella prospettiva politica e strategica che sarà poi nota come la linea delle vie nazionali al socialismo.

In gran parte però anche a Gramsci non fu concesso che l'approfondimento teorico del problema, che contemporaneamente veniva affrontato e risolto con successo sul piano politico, nonostante incertezze ed errori, dal movimento operaio internazionale. D’altra parte la stessa struttura del terreno, sia in Italia che sull’arena mondiale è mutata profondamente dai tempi in cui Gramsci scriveva, e quindi l’accurata « ricognizione del terreno », di cui Gramsci indicava la necessità, dev’essere fatta di nuovo, tenendo conto dei nuovi elementi emersi nella situazione e dei mutamenti relativi.

Per questo è assurdo isolare, come mi sembra abbia fatto Caracciolo nel suo intervento, un istituto particolare sorto storicamente iin un momento determinato della lotta del movimento operaio italiano, qual è il « Consiglio di fabbrica » nel movimento àélYOrdine Nuovo, e fare di esso il centro del pensiero di Gramsci, la sola ed unica giustificazione del suo leninismo.

Certo non è affatto escluso che forme analoghe ai Consigli di fabbrica sorgano e si sviluppino in altre situazioni storiche, ma sarebbe astratta qualsiasi analisi che si fermasse soltanto alle analogie formali senza approfondire la concreta funziona storica alla quale queste istituzioni

1 Mach., p. 68.

2 Mach., p. 68.592

Gli interventi

rispondono di volta in volta. Solo in questo modo, ad esempio, si possono mettere a confronto, tenendo conto della profonda diversità delle situazioni — come è stato fatto in un recente Convegno indetto a Roma dall’Istituto Gramsci — esperienze cosi diverse e lontane nel tempo come quella dei Consigli operai della moderna Jugoslavia e quella dei Consigli di fabbrica del movimento operaio torinese nel primo dopoguerra.

Situando storicamente questa esperienza dei Consigli di fabbrica, e inquadrando storicamente la sua idea ispiratrice nel pensiero e nell’azione rivoluzionaria di Gramsci, Togliatti ha ricondotto la funzione positiva dei Consigli ial loro valore educativo, suscitatore di capacità rivoluzionarie. Nello stesso senso esistono riconoscimenti precisi dello stesso Gramsci, che Caracciolo ha creduto di poter ignorare, trascurando cosi il legame tra l’esperienza rivoluzionaria nel ’ 19-20 con gli sviluppi successivi del pensiero e dell’azione di Gramsci. Ma è solo con questo procedimento vizioso che egli ha potuto sostenere la tesi antistoricistica di una funzione permanente dei Consigli come organismi di potere.. Si tratta in fondo dello stesso procedimento seguito da chi fa della democrazia parlamentare l’unica forma di democrazia, e di chi, al contrario, escludendo ogni utilizzazione dell’istituto parlamentare, assume come modello obbligatorio un determinato modo storico con cui la classe operaia è arrivata al potere.

Ben diverso appare invece, mi sembra, il presupposto fondamentale chiarito dal dibattito di questo Convegno, per scorgere l’attualità, la concretezza e l’importanza deU’insegnamento gramsciano. Affermando l’impossibilità di isolare questo o quell momento del pensiero e dell’azione rivoiluzionaria di Gramsci, per farne un paradigma valido per sempre, non si è voluto certo precludere la via a nuovi studi e ricerche, o anche, se si vuole, a un riesame e a nuove interpretazioni deH’opera di Gramsci. Ma se si perde di vista questa esigenza, di ritrovare l’intima coerenza e il ritmo di un pensiero in sviluppo, è inevitabile che il significato dello insegnamento di Gramsci vada smarrito.
 


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Titoli e responsabilità
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  • Primo convegno Internazionale di Studi Gramsciani tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958
 
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Pubblicazione Roma+++ | Editori Riuniti+++ | Anno: 1958
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