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Il segmento testuale Ciò è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 3816Analitici , di cui in selezione 123 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da (Mito e civiltà moderna) Ernesto De Martino, Mito, scienze religiose e civiltà moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]a coscienza storicoreligiosa moderna, fortemente radicata nel presente e nei suoi problemi anche quando volge la sua attenzione all’arcaico, al simbolico, al mitico, al magico, al sacro*MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

Negli ultimi quarantanni, e più precisamente a partire dalla fine della prima guerra mondiale il dominio delle scienze religiose è senza dubbio entrato in una crisi decisiva. Nell’età precedente le scienze religiose — cioè la filosofia, la storia, la etnologia, la tipologia, la sociologia, la psicologia della religione — nella misura in cui si muovevano al di fuori di presupposti teologici e apologetici mostravano uno spiccato orientamento ad accogliere i temi ermeneutici della eredità illuministica, idealistica, materialistica e positivistica: basterebbe ricordare gli schemi dell’evoluzione religiosa dell’umanità dal Comte in poi, le teorie religiose di Fuerbach e del materialismo storico, la scienza del mito e la storia comparate delle religiosi inaugurate da Max Mùller, la etnologia religiosa di un Tylor e di un Frazer, la psicologia del misticismo di un Janet o di un [...]

[...]nistica, idealistica, materialistica e positivistica: basterebbe ricordare gli schemi dell’evoluzione religiosa dell’umanità dal Comte in poi, le teorie religiose di Fuerbach e del materialismo storico, la scienza del mito e la storia comparate delle religiosi inaugurate da Max Mùller, la etnologia religiosa di un Tylor e di un Frazer, la psicologia del misticismo di un Janet o di un Leuba, la Vdikerpsycholologie del Wundt e la interpretazione sociologica della religione da parte del Durkheim e della sua scuola, la riduzione della religione e sublimazione della sessualità da parte del primo freudismo. Nei vari indirizzi di quest’epoca, per quanto diversi fra di loro per metodi e per risultati, si palesa la innegabile comune tendenza a non riconoscere al rapporto religioso una sua specifica e permanente funzione nella storia culturale deirumanità. In generale, consapevoli o non che ne fossero i singoli autori, la religione e il mito venivano ricondotti ad altro, erano « maschera » di qualche cosa d’altro : di esigenze filosofiche, scienti[...]

[...]inuo riferimento alla concreta varietà dei fenomeni religiosi della storia umana. È un movimento caratterizzato da mutue influenze fra scienze religiose diverse, e da singolari convergenze di orientamento pur nella varietà di indirizzi, di provenienze culturali, di metodi e di prospettive. Etnologi come Frobenius, Jensen, Malinowski, Leenhardt, storici e fenomenologi della religione come R. Otto, Hauer, van der Leeuw, Eliade, W. Otto, Kerényi, sociologi come LévyBruhl, LéviStrauss e Caillois, filosofi come Cassirer, Bergson, Machelard, Gusdorf, psicologi come Jung e Neumann, hanno inaugurato una valutazione della vita religiosa e del mito che, in netto contrasto con l’età precedente, è orientata verso il riconoscimento di profonde motivazioni esistenziali del « sacro », del « mitico », del « simbolico ». Ciò che sorprende di più in questa generale convergenza di indirizzi diversi verso un obiettivo tendenzialmente affine è che ad un certo momento entrano nel movimento, o ne appaiono comunque influenzate, anche tradizioni culturali che, per la loro provenienza e per le loro origini variamente laicizzanti, razionalistiche, idealistiche, materialistiche e positiviste, sembravano più refrattarie ad una problematica del genere. Così, p. es., nel quadro della scuola di Marburgo, tradizionalmente interessata alla ricerca delle condizioni logicotrascendentali della scienza, Ernesto Cassirer dallo studio [...]

[...]o che procedeva da presupposti materialistici e positivistici si volge, soprattutto per opera della secessione junghiana, ad una rivalutazione della vita religiosa e del mito; la tradizione epistemologica francese, che già col Bergson accentua le radici esistenziali della funzione fabulatrice (2), palesa con Gastone Bachelard una netta flessione verso il mondo dei « simboli » (3).

Una analoga vicenda è possibile riscontrare nella tradizione sociologica francese, particolarmente a proposito del LévyBruhl; il quale nei suoi primi lavori sulla mentalità primitiva si muove ancora sul piano

(1) E. Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, II (Das mythische Denken), Berlino 1925.

(2) Bergson, Le deux sources de la morale et de la relìgion, Parigi 1932.

(3) G. Bachelard, La psychanalyse du feuy Parigi 1938; L'eau et les rèves, Parigi 1942; La terre et les rèveries de la volontà, Parigi 1948; La terre et les rèveries du repos} Parigi 1948; L’air et les songes, Parigi 1943.6

ERNESTO DE MARTINO

del « progresso della coscien[...]

[...]a di un movimento così vasto e complesso richiederebbero molto più di un semplice articolo. Ci soffermeremo pertanto solo su alcuni punti nodali relativi al movimento di rivalutazione esistenziale della vita religiosa e del mito nel quadro delle scienze religiose. Si tratta in sostanza di rintracciare nel dominio di queste scienze e per quel che si riferisce al movimento in questione una serie di aspetti salienti, e un ordine di connessioni, fra ciò che, a prima vista, si presenta come coesistenza di motivi indipendenti o casualmente affini. Ne risulterà in tal modo una elaborazione dei dati secondo una particolare prospettiva atta a facilitare alcune osservazioni critiche conclusive.

Se prescindiamo dagli antecedenti e dai prodromi (6bls) il vero e proprio inizio del movimento di rivalutazione esistenziale della religione e del mito si ricollega ad alcuni episodi culturali che ebbero luogo verso la fine della prima guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra : e non senza fondate ragioni si potrebbe indicare il 1917 come una data dec[...]

[...]onen: ihr Werden, ihr Sinn, ihre Wahrheity opera nella quale già affioravano alcuni temi che dovevano poi, una diecina d’anni più tardi, alimentare — come si è già detto — il « movimento della fede tedesca », capeggiato dallo stesso Hauer. Il Sacro, oltre l’ovvio ed esplicito richiamo alla filosofia religiosa dello Schleiermacher, riprende e sviluppa un tema che già era affiorato in due storici delle religioni, il Marett e il Sòderblom: il tema, cioè, di uno specifico carattere dell’esperienza religiosa. In sostanza il « timore religioso » si distingue per qualità dagli altri timori naturali per un suo oggetto specifico, che è il « radicalmente altro » :

... Il religiosamente misterioso, il puro myrum, è — se vogliamo forse coglierlo nella sua più tipica essenza — il « tutt’altro » (Ganz andere), il thateron, l’anyad, l’alienum, Faliud valde, lo straniero e l’estraneo, ciò che è assolutamente al di là della sfera dell’usuale, del comprensibile e del familiare, e per questa ragione « nascosto » ed in opposizione radicale con l’ordinario, e proprio in forza di ciò ricolmante l’animo di sbigottita sorpresa (8).

(7) R. Otto, Das Heilige. tìber das Irrationale in da' Idee des Gòttlichen und sein Verhàltnis zum Rationalen, Breslau 1917. L’opera è. giunta in Germania alla trentesima edizione ed è stata tradotta in dodici lingue: le aggiunte anteriori al 1923 — cioè alla undicesima edizione — formarono un volume a parte col titolo Aujsàtze das Numinose betrefìend, Gotha 1923, che a sua volta fu riedito in due volumi distinti {Das Gejtihl des Ùberweltlichen, Munchen 1931, e Siinde und Urschuld, Mùnchen 1931). La traduzione italiana, del Sacro, com’è noto, fu curata da Ernesto Buonaiuti (Bologna 1926).

(8) R. Otto, Das Heilige, 30a ed., p. 31. Thateron e anyad sono vocaboli che rispettivamente in greco e in sanscrito corrispondono alPagostiniana aliud valde e al ‘tutt’altro’ nel senso di R. Otto. Cfr. R. Otto, Das Gefiihl des Vberweltlichen, 1931, cap.[...]

[...] Thateron e anyad sono vocaboli che rispettivamente in greco e in sanscrito corrispondono alPagostiniana aliud valde e al ‘tutt’altro’ nel senso di R. Otto. Cfr. R. Otto, Das Gefiihl des Vberweltlichen, 1931, cap. Vili {Das Ganzandere in ausserchristlicher und in christlicher Spe\ulation und Theologie), e p. 229 {Das Aliud valde bei Augustin).MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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Ma il numinoso come alterità radicale che atterrisce, cioè come tremendum, è sperimentato al tempo stesso come alcunché di polarizzante, di cattivante, di fascinante, che invita perentoriamente al rapporto (9). Questo « radicalmente altro » e « ambivalente » costituisce il momento irrazionale della complessa categoria del sacro, nella quale i momenti razionali (morali, estetici, conoscitivi) sono senza dubbio argomento di perfezione e di elevatezza, ma non esauriscono mai la fondamentale irrazionalità della esperienza religiosa:

Una religione potrà salvarsi dal razionalismo se manterrà desti e vivi gli elementi irrazionali. D’altro canto saturand[...]

[...]che se in ciascuna formazione storica concreta sta in un diverso equilibrio e assume diversi significati culturali e diversi rapporti col razionale. Ma se deve considerarsi un acquisto sicuro per la scienza della vita religiosa l’aver circoscritto l’esperienza di una alterità sacra qualitativamente diversa dall’alterità profana, e l’aver indicato il tremendum e il fascinans come interna polarità di tale alterità sui generis, resta il problema se ciò che nella sfera cosciente dell’uomo è vissuto come momento irrazionale del Sacro non si configuri per l’uomo di scienza come ulte
(9) R. Otto, Dos Heilige, pp. 42 sgg.

(10) Op. cit.} p. 170 sg.10

ERNESTO DE MARTINO

riormente analizzabile in profondo al di là di ciò che è vissuto dalla coscienza religiosa in atto. Potrebbe infatti darsi che aggredendo il momento irrazionale del sacro con particolari metodi di analisi, quel momento palesi per l’uomo di scienza una sua propria coerenza e razionalità, onde poi il Sacro nel suo complesso appaia in una nuova luce. Il limite della impostazione di R. Otto è di muoversi interamente al livello della coscienza religiosa nella sua immediatezza: R. Otto procede infatti dalla coscienza di una fondamentale irrazionalità del numinoso al cosciente tentativo di aprirsi verso razionalizzazioni più o meno parziali. Con ciò[...]

[...]analisi, quel momento palesi per l’uomo di scienza una sua propria coerenza e razionalità, onde poi il Sacro nel suo complesso appaia in una nuova luce. Il limite della impostazione di R. Otto è di muoversi interamente al livello della coscienza religiosa nella sua immediatezza: R. Otto procede infatti dalla coscienza di una fondamentale irrazionalità del numinoso al cosciente tentativo di aprirsi verso razionalizzazioni più o meno parziali. Con ciò però si ripete la esperienza del numinoso, aggiungendovi solo una descrizione generalizzante: ma si rinunzia senza giustificazione al compito più propriamente scientifico di rigenerare nel pensiero la immediata esperienza del numinoso, la polarità ambivalente del tutt’altro, rivissuta dalla coscienza religiosamente impegnata. Ora questa così grave rinunzia potrebbe essere giustificata solo se l’analisi non riuscisse ad andar oltre l’irrazionalità del numinoso, e solo se mancasse qualsiasi metodo per comprendere come e perché si genera nella vita culturale dell’umanità l’esperienza del tutt’al[...]

[...]rigenerare nel pensiero la immediata esperienza del numinoso, la polarità ambivalente del tutt’altro, rivissuta dalla coscienza religiosamente impegnata. Ora questa così grave rinunzia potrebbe essere giustificata solo se l’analisi non riuscisse ad andar oltre l’irrazionalità del numinoso, e solo se mancasse qualsiasi metodo per comprendere come e perché si genera nella vita culturale dell’umanità l’esperienza del tutt’altro ambivalente: sarebbe cioè giustificata se non fosse proprio possibile risolvere il dato immediato del tutt’altro ambivalente nel risultato di inconsce motivazioni e nel movimento della coscienza verso il mondo dei valori razionali. R. Otto scorgeva molto bene l’aprirsi della coscienza religiosa verso i valori, ma non si chiedeva se anche il nucleo irrazionale del Sacro palesasse le sue « ragioni » in una prospettiva che tenesse conto delle motivazioni inconsce. Aveva luogo così una distorsione esattamente opposta a quella del primo freudismo, che tendeva a ridurre la religione a maschera della sessualità, il tutt’alt[...]

[...]a mineralogia (11): ma nei ri
(11) C. G. Jung, Wcmdlungen und Symbóle der Libido, in.Jahrbuch fùr Psychoanalytische un psychopatologische Forschung, III (1911), p. 126. Allo stesso modo il mitoMITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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guardi di R. Otto sussisteva la obiezione che la esperienza irrazionale del numinoso poteva per l’uomo di scienza riguadagnare coerenza e razionalità se si fossero tenute presenti le « ragioni dell’inconscio ».

D’altra parte nel periodo successivo alla prima guerra mondiale si produssero proprio nel movimento psicanalitico alcuni nuovi orientamenti che in parte dovevano contribuire indirettamente alla rivalutazione esistenziale del sacro, e in parte finirono col ricongiungersi in modo diretto con i risultati della indagine di R. Otto; ricongiungimento che mostra come il moto di convergenza verso tale rivalutazione investisse gradualmente anche quell’orientamento culturale che per le sue origini positivistiche sembrava il meno propenso a muoversi in questa direzione.

Tre anni dopo la pubblic[...]

[...]ontribuire indirettamente alla rivalutazione esistenziale del sacro, e in parte finirono col ricongiungersi in modo diretto con i risultati della indagine di R. Otto; ricongiungimento che mostra come il moto di convergenza verso tale rivalutazione investisse gradualmente anche quell’orientamento culturale che per le sue origini positivistiche sembrava il meno propenso a muoversi in questa direzione.

Tre anni dopo la pubblicazione di II Sacro, cioè nel 1920, Freud pubblicò la sua monografia « Al di là del principio del piacere » (12), che doveva segnare l’inizio di un nuovo corso del movimento psicoanalitico, e che racchiudeva notevoli possibilità ermeneutiche per una interpretazione del sacro e del mito che tenesse conto delle motivazioni inconsce, senza tuttavia incorrere nella riduzione della religione a sublimazione della sessualità. Nelle nevrosi traumatiche, su cui la gran copia di casi offerti dalla prima guerra mondiale aveva reso possibile il moltiplicarsi delle osservazioni cliniche, il malato tende a ripetere nella crisi l’e[...]

[...]cchiudeva notevoli possibilità ermeneutiche per una interpretazione del sacro e del mito che tenesse conto delle motivazioni inconsce, senza tuttavia incorrere nella riduzione della religione a sublimazione della sessualità. Nelle nevrosi traumatiche, su cui la gran copia di casi offerti dalla prima guerra mondiale aveva reso possibile il moltiplicarsi delle osservazioni cliniche, il malato tende a ripetere nella crisi l’episodio traumatizzante, cioè a riviverlo suo malgrado. In modo analogo l’episodio traumatico tende a ripetersi ossessivamente nel corso della vita onirica. D’altra parte la terapia psicoanalitica aveva messo in evidenza la tendenza del nevrotico a rivivere, nel corso del trattamento, gli episodi traumatizzanti del passato e a trasferirli nel presente, in una situazione in cui il medico analista sta al centro : di qui la necessità terapeutica di risolvere il transfert, riconducendo gli eventi rivissuti e ripetuti come attuali a ricordi di episodi appartenenti al passato. Ora Freud osservava che manifestazioni del genere,[...]

[...]920 il fondatore della psicanalisi introduceva la coazione a ripetere e l’istinto di morte nella vita psichica individuale, accanto e oltre al « principio del piacere », che aveva sino allora dominato nella sua concezione teorica. Ma per quel che si attiene più strettamente al nostro argomento ritroviamo nella monografia freudiana l’accenno ad un caso che è di più diretto interesse per lo studioso della vita religiosa e del mito. Un bambino di diciotto mesi cui era stato dato un rocchetto, aveva con esso animato un giuoco che consisteva nel lanciare il rocchetto in modo da nasconderlo alla vista, per poi riprenderlo tirando il filo, e accompagnando con espressioni di disappunto lo scomparire del rocchetto e con espressioni di gioia il suo riapparire: tali espressioni erano le stesse di quelle impiegate dal bambino nella situazione reale quando la madre si assentava o tornava. Qui si ha dunque la ripetizione della situazione traumatica, cioè l’assentarsi della madre a cui seguiva l’ansiosa attesa del ritorno: tuttavia la ripetizione «giuo[...]

[...] con esso animato un giuoco che consisteva nel lanciare il rocchetto in modo da nasconderlo alla vista, per poi riprenderlo tirando il filo, e accompagnando con espressioni di disappunto lo scomparire del rocchetto e con espressioni di gioia il suo riapparire: tali espressioni erano le stesse di quelle impiegate dal bambino nella situazione reale quando la madre si assentava o tornava. Qui si ha dunque la ripetizione della situazione traumatica, cioè l’assentarsi della madre a cui seguiva l’ansiosa attesa del ritorno: tuttavia la ripetizione «giuocata» presenta caratteri specifici rispetto alla semplice ripetizione coatta, poiché nel giuoco del rocchetto la ripetizione non era passivamente subita, ma il passato veniva fatto attivamente tornare, in una vicenda di cui il bambino possedeva la regola della ripetizione. Il jfilo col quale il bambino governava la « madrerocchetto » esprimeva simbolicamente la riappropriazione e la risoluzione della situazione conflittuale della scomparsa e dell’attesa penose. Nella situazione reale l’allontana[...]

[...] di ripetizione attiva e risolvente mediante un simbolismo aperto della rappresentazione e del comportamento, come nel caso del giuoco del rocchetto (14). Ora questo secondo significato della ripetizione accennava in qualche modo al simbolismo miticorituale della vita religiosa. Già nel 1926 il Malinowski, riassumendo i risultati delle sue osservazioni sulla mitologia vivente degli indigeni tobriandesi, sottolineò il fatto che il mito in azione, cioè nella concretezza della esperienza religiosa, significa rivivere, sotto forma di racconto, una realtà dei tempi primordiali (15). Anche un altro etnologo, il Preuss, che era venuto formulando le sue considerazioni sul mito attraverso lo studio della mitologia vivente dei Cora amerindiani, pervenne a conclusioni analoghe (16). Uno studioso del mondo classico, Karl Kerényi, nella Introduzione alla essenza della mitologia — pubblicata in collaborazione con

lo Jung — così ha raffigurato la « vita per citazioni » delPuomo antico :

Prima di agire l’uomo antico avrebbe fatto sempre un passo i[...]

[...]i avrebbe cercato nel passato un modello in cui immergersi come in una campana di palombaro, per affrontare così, protetto e in pari tempo trasfigurato, il problema del presente. La sua vita ritrovava in questo modo la propria espressione ed il proprio senso (17).

Ma lo studioso che più a lungo e con maggiore dovizia di dati storicoreligiosi si è soffermato su questo «passo indietro» del nesso miticorituale è stato senza dubbio Mircea Eliade. Ciò che l’autore chiama « la ontologia arcaica » consisterebbe nella risoluzione del divenire storico nella ripetizione degli archetipi mitici, di eventi primordiali prodottisi una volta per sempre in ilio tempore. Questa ontologia arcaica, dominata dal terrore della storia, investe lo stesso ordine rituale, nel senso che il rito resta definito non soltanto dalla riattualizzazione, dalla iterazione e dal ritorno degli eventi di fondazione dei primordi, ma anche dalla ripetizione di modelli rituali che nei primordi furono fondati, di guisa che l’uomo religioso si configura coinè tendenzialmente
[...]

[...]ivivere il traumatismo psichico e dà integrarlo nella coscienza... L’impresa di Freud era audace: introduceva il tempo e la storia in una categoria di fatti che venivano accostati, prima di lui, dall’esterno, un

r

(18) M. Eliade, Le mythe de Véternel retour, 1949, passim.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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po’ come il naturalista considera il suo oggetto. Soprattutto una scoperta di Freud ha avuto conseguenze considerevoli, cioè quella che esiste per l’uomo un’epoca primordiale in cui tutto si decide: la primissima infanzia, e che la storia di questa infanzia è esemplare per il resto della vita » (19).

La tematica di Le mythe de l’éternel retour di M. Eliade ha avuto una singolare fortuna in Francia nell’ultima decennio, ed anche in domini lontani dalle scienze religiose come tali: così p. es. Robert Volmat non ha esitato recentemente ad interpretare i disegni di un malato mentale secondo i criteri ermeneutici offerti dalPEliade:

M. Eliade ci mostra come l’uomo delle civiltà tradizionali e arcaiche lotta contr[...]

[...]rò si fa valere una prospettiva del tutto inaccettabile. Il Gusdorf infatti fantastica di un’epoca « precategoriale » in cui l’uomo — ancora unità indivisa di coscienza e mondo — starebbe integralmente immerso in condotte di ripetizione rituale di miti primordiali. A trarlo da questo «paradiso degli archetipi e della ripetizione » e da questo gigantesco « déjà vu » senza fine, sarebbe intervenuta a un dato momento la « rottura del patto mitico», cioè la scissione introdotta dal progresso della razionalità, e con la contrapposizione di coscienza e mondo il continuo da capo delle iterazioni avrebbe lasciato posto sempre maggiore alla sfera del profano e della « tecnica » (21). Si ha qui la caricatura e la riduzione all’assurdo di un criterio interpretativo che circola insistentemente nel movimento di rivalutazione esistenziale della religione e del mito, e cioè l’idoleggiamento di un’epoca dell’umanità « tutta » religiosa e « tutta » mitica, non ancora « snaturata dalla tecnica », e « senza storia » nel senso oggettivo

(19) Eliade, Mythes, réves et mysteres, Parigi 1957, p. 55.

(20) M. Volmat, L’art psychopatologìque, Parigi 1955, p. 211.

(21) G. Gusdorf, Mythe et métaphisique, Parigi 1953, passim.16

ERNESTO DE MARTINO

che sarebbe vissuta beatamente nell’assoluto (22). Senonché questo « paradiso degli archetipi e della ripetizione », così come il Gusdorf lo concepisce si basa in sostanza su un equivoco concetto di « storia ». Se inf[...]

[...]. Ora il cangiamento... si traduce spesso in « passaggio » da un sistema a un altro. La uscita e l’ingresso di un elemento rispetto a ciascun sistema costituisce per il primitivo un vero e proprio trauma: p. es. la pairtenza di un uomo per il mondo dei morti, o l’ingresso di un individuo in una nuova famiglia o in un nuovo gruppo. Sono eventi che si subisce. Ma ripetendoli simbolicamente, il primitivo può darsi l’illusione di padroneggiarli. Con ciò egli annulla gli effetti inquietanti che ne derivano, e trasfigura gli eventi stessi: mimando il passaggio, egli se lo rende sopportabile... (Perché

1 riti di passaggio divengano effettivamente riti religiosi) basterà che l’azione simbolica sia considerata come la ripetizione di un atto archetipico, di un modello trascendente: allora, i'1 rifiuto di accettare il mero dato come tale si riplasmerà nella consacrazione dell’evento » (23).

(23) J. Cazeneuve, he rites et la condition humaine, Parigi 1958, p. 122 sg.18

ERNESTO DE MARTINO

Sul tema del « passo indietro » e del ritorno rit[...]

[...]» e del ritorno rituale di una situazione mitica iniziale si è soffermato anche LéviStrauss, che non ha mancato di sottolineare a questo proposito la omologia con la terapia psicoanalitica :

Curando il malato, lo sciamano offre al suo uditorio uno spettacolo. Quale spettacolo? A rischio di generalizzare imprudentemente certe osservazioni, diremo che questo spettacolo è sempre quello di una ripetizione, da parte dello sciamano, della chiamata, cioè della crisi iniziale che gli ha portato la rivelazione della propria condizione di sciamano. Ma la parola spettacolo non deve trarre in inganno. Lo sciamano non si contenta di riprodurre o di mimare certi eventi: egli li rivive effettivamente in tutta la loro vivacità, originalità e violenza. E poiché, al termine della seduta sciamanistica, lo sciamano ritorna allo stato normale, noi possiamo dire, prendendo a prestito dalla psicoanalisi un termine essenziale, che egli abreagisce. Come noto la psicoanalisi chiama abreazione quel momento decisivo della cura in cui il malato rivive intensament[...]

[...]duta sciamanistica, lo sciamano ritorna allo stato normale, noi possiamo dire, prendendo a prestito dalla psicoanalisi un termine essenziale, che egli abreagisce. Come noto la psicoanalisi chiama abreazione quel momento decisivo della cura in cui il malato rivive intensamente la situazione iniziale che è all’origine del suo disturbo, prima di superarla definitivamente. In questo senso

lo sciamano è un « abreagente » professionale (24).

Con ciò si pone in tutta la sua ampiezza il problema della efficacia dei simboli miticorituali, non soltanto nel senso di un tornare e di un riprendere una situazione iniziale, ma anche in quello di raggiungere conflitti e disordini inconsci per la loro natura organica o anche semplicemente meccanica A questo argomento il LéviStrauss ha dedicato una interessante monografia, che prende spunto da un testo magicoreligioso proveniente dai Cuna del Panama, e pubblicato per la prima volta dal Wassen e dall’Holmer nel 1947 (25). L’incantesimo ha una destinazione specifica: viene impiegato esclusivamente per[...]

[...] » rappresentano alla lettera nel pensiero degli indigeni l’utero e la vagina. Lo sciamano ed i suoi assistenti ingaggiano qui la loro lotta diretta a punire l’usurpazione di Muu e a recuperare l’anima della partoriente. Ora la parte dell’incantesimo che narra l’agone sciamanistico contro Muu si mantiene constantemente fra simbolismo mitico e realismo fisiologico, con un continuo passaggio dall’uno all’altro piano, dalla descrizione simbolica di ciò che potremmo chiamare il paesaggio viscerale e il continuo riferimento alla realtà fisiologica del mondo uterino in travaglio. «È come se si trattasse — commenta LéviStrauss — di abolire nello spirito della malata la distinzione che separa (il piano mitico dal piano fisiologico), e di rendere impossibile la differenziazione dei loro rispettivi attributi » (26). L’incantesimo sembra proteso « a rendere chiaro ed accessibile al pensiero cosciente della partoriente la sede di sensazioni e di sofferenze ineffabili e dolorose » (27); lo sciamano « fornisce alla sua malata un linguaggio nel quale p[...]

[...]ella vita religiosa e del mito. Non si tratta più di applicare semplicemente il metodo psicoanalitico di interpretazione alla religione — con tutti i limiti e i pericoli che tale applicazione comporta —, ma di istituire in modo sistematico un paragone fra le condizioni di funzionamento e di successo della terapia psicoanalitica e le condizioni di funzionamento e di efficacia esistenziale del nesso miticorituale nella concreta vita religiosa; con ciò si attinge un punto di vista più alto, che rendendo conto delle differenze non meno che delle omologie promuova una migliore conoscenza della genesi, della struttura e della funzione della religione, e al tempo stesso arricchisca di nuove istanze le prospettive di sviluppo non soltanto della psicoanalisi come tale, ma della scienza dell’uomo nel suo complesso.

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Nel quadro del movimento di rivalutazione esistenziale della vita religiosa il movimento psicoanalitico ha sostenuto una parte non certo marginale o casuale. Fra la coazione a ripetere di carattere nevrotico, l’abreazione ch[...]

[...]a alla situazione primordiale storica di cui era, appunto, la «maschera», nella prospettiva dell’junghismo la riduzione smascheratrice non era più sufficiente sia rispetto alla interpretazione teorica che alla pratica terapeutica, ma si faceva valere l’esigenza di aiutare il malato a convertire i suoi simboli da chiusi in aperti, da cifrati in dichiarativi di una più compiuta realizzazione di sé, da estranei e servili in culturalmente integrati: cioè, in ultima istanza, i simboli si configuravano come vie di accesso al mondo dei valori, e quindi come strumenti vitali per lo sviluppo della personalità. Nella prospettiva dell’junghismo il significato e la efficacia dei simboli non consistevano più nel loro volgersi indietro, verso una fase anteriore, o nel loro volgersi avanti, verso un ulteriore sviluppo, ma scaturivano dalla dinamica dei due momenti, dal loro cruv póXXeiv, dal loro carattere di « totalità » del dinamismo psichico, onde essi mediante la ripetizione di uno stadio inferiore tendevano già ad uno sviluppo più alto, e per ina[...]

[...] In Morte e pianto rituale nel mondo antico, Torino 1958, ho cercato appunto di esplorare, in un concreto esempio storico, il rapporto fra crisi, simbolismo miticorituale e mondo dei valori.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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essere spiegate mediante la trasmissione culturale da un punto alPaltro dello spazio, e da un’epoca ad un’altra. Jung credette di poter spiegare queste imbarazzanti concordanze mediante l’ipotesi di un inconscio collettivo, come deposito di tracce, o disposizioni, o pieghe psichiche, le quali avrebbero determinato certi binari definiti del rappresentare e certe tendenze al parallelismo delle immagini, indipendentemente dalla tradizione cosciente, come anche dai contenuti rimossi dei singoli individui. Questi archetipi, nel loro insieme, assolvevano la funzione dinamica di stimolare il processo di individuazione, cioè l’ideale della totalità del se stesso, in quanto pieno accordo della sfera cosciente e di quella inconscia e in quanto progressiva reintegrazione delle unilateralità dell’io. Quanto alla origine di questi archetipi Jung parla talora di un precipitato di esperienze ancestrali ricorrenti indefinitamente ripetute nei millenni, e di ricorrenti risposte similari a tali esperienze: onde poi, almeno da un certo momento, ne sarebbe risultata una « impronta » psichica, un centro dinamico di orientamento delle immagini e dei simboli. Ogni volta che la coscienza individuale si rilascia, l’inconscio col[...]

[...]ione delle unilateralità dell’io. Quanto alla origine di questi archetipi Jung parla talora di un precipitato di esperienze ancestrali ricorrenti indefinitamente ripetute nei millenni, e di ricorrenti risposte similari a tali esperienze: onde poi, almeno da un certo momento, ne sarebbe risultata una « impronta » psichica, un centro dinamico di orientamento delle immagini e dei simboli. Ogni volta che la coscienza individuale si rilascia, l’inconscio collettivo con i suoi archetipi tende a battere le vie usate e a reagire secondo modi arcaici : la corrente bloccata nel suo corso travalica gli argini e torna a scorrere nel vecchio letto che con infinita pazienza si era scavato nei millenni. Dietro gli archetipi vi sarebbe dunque, in questa prospettiva, una storia arcaica sepolta di cui, non come lo stesso Jung riconosce (33), non sappiamo proprio nulla. Ma in Jung si è fatta più recentemente valere anche un’altra prospettiva. Gli archetipi sono, sì, semplicemente «impronte» che la scienza psicologica deve limitarsi a ipotizzare rinunziando[...]

[...]bbe dunque, in questa prospettiva, una storia arcaica sepolta di cui, non come lo stesso Jung riconosce (33), non sappiamo proprio nulla. Ma in Jung si è fatta più recentemente valere anche un’altra prospettiva. Gli archetipi sono, sì, semplicemente «impronte» che la scienza psicologica deve limitarsi a ipotizzare rinunziando al problema della origine, tuttavia la fede e la teologia potrebbero ricondurre l’impronta a Colui che lascia l’impronta, cioè a Dio.

« Se come psicologo dico che Dio è un archetipo, mi riferisco con questa affermazione a un « tipo » dell’anima, che notoriamente deriva da typos, impronta. Già la parola « archetipo » presuppone un qualcuno che imprime l’impronta. La psicologia come scienza dell’anima deve limitarsi al suo proprio oggetto... Se essa dovesse anche soltanto come causa ipotetica postulare un Dio, avrebbe implicitamente avanzato l’esistenza di una possibile dimostrazione di Dio, oltrepassando così la sua competenza in modo assolutamente inammissibile. La scienza può essere soltanto scienza: non ci sono[...]

[...]one della sessualità infantile e in parte ad una sorta di nevrosi collettiva, Jung si aprì gradualmente al riconoscimento del valore storicoculturale della vita religiosa, pur continuando a considerarla come stadio superabile della evoluzione individuale o collettiva verso la autonomia morale: successivamente la religione gli si configurò non più come una fase preparatoria, ma come il coronamento e il vertice del destino culturale dell'uomo. Ora ciò che lo aiutò a compiere questo ultimo passo fu proprio l’opera di R. Otto, che — come abbiamo visto — inaugura idealmente l’epoca culturale che stiamo analizzando. Jung

(35) Aion, p. 107.

(36) P. Zacharias, Die Bedeutung der Psychologie C. G. Jungs jiir die christliche Theologie, in Zeitschrift fùr Religionund Geistesgeschichte, V, 1953, pp. 13 sgg.

(37) R. Hostie, op. cit., p. 201, nota 98.

(38) Lettera di Jung al domenicano P. V. White, in White, God and thè unconscious, 1944, p. 260.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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potè infatti stabilire una sorprendente conc[...]

[...]timo passo fu proprio l’opera di R. Otto, che — come abbiamo visto — inaugura idealmente l’epoca culturale che stiamo analizzando. Jung

(35) Aion, p. 107.

(36) P. Zacharias, Die Bedeutung der Psychologie C. G. Jungs jiir die christliche Theologie, in Zeitschrift fùr Religionund Geistesgeschichte, V, 1953, pp. 13 sgg.

(37) R. Hostie, op. cit., p. 201, nota 98.

(38) Lettera di Jung al domenicano P. V. White, in White, God and thè unconscious, 1944, p. 260.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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potè infatti stabilire una sorprendente concordanza fra l’esperienza del « vivente rapporto con gli archetipi », quali gli veniva suggeriti dalla sua pratica di psicoterapeuta, e i momenti del numinoso così come R. Otto li aveva indicati nella sua ricerca fenomenologica sul Sacro. Il sentimento di dipendenza, il maestoso, l’efficace per eccellenza, il mistero tremendo e fascinante, il tutt’altro che chiama perentoriamente al rapporto, potevano essere agevolmente tradotti nel linguaggio della psicologia analitica come segno de[...]

[...]omenti del numinoso così come R. Otto li aveva indicati nella sua ricerca fenomenologica sul Sacro. Il sentimento di dipendenza, il maestoso, l’efficace per eccellenza, il mistero tremendo e fascinante, il tutt’altro che chiama perentoriamente al rapporto, potevano essere agevolmente tradotti nel linguaggio della psicologia analitica come segno del rapporto con realtà psichiche non dipendenti dalla coscienza, svolgentisi nell’oscurità dell’inconscio: di un rapporto, cioè, che si identifica in ultima istanza con ciò che la psicologia analitica aveva definito come rapporto con gli archetipi e come processo di individuazione (39). Se poi queste realtà psichiche fossero il riflesso della realtà ontologica di Dio, la psicologia come scienza non era in condizione di decidere, e doveva lasciare il passo alla fede e alla teologia. Una posizione del genere non era più incompatibile con la teologia, ed in sostanza manifestava un sostanziale accordo con le note tesi cattoliche circa i « limiti di competenza » della ricerca scientifica in generale (40).

Attraverso il suo condizionamento inconscio, sottolineato c[...]

[...]ealtà psichiche fossero il riflesso della realtà ontologica di Dio, la psicologia come scienza non era in condizione di decidere, e doveva lasciare il passo alla fede e alla teologia. Una posizione del genere non era più incompatibile con la teologia, ed in sostanza manifestava un sostanziale accordo con le note tesi cattoliche circa i « limiti di competenza » della ricerca scientifica in generale (40).

Attraverso il suo condizionamento inconscio, sottolineato con tanto

(39) Si veda, per questa parte dell’influenza di R. Otto, sulla interpretazione junghiana della religione, Jung, Psychologie and Religion, New Haven, 1938 (Psychologie und Religion, Ziirich 1940).

(40) Cfr. R. Hostie, op. cit.y p. 235. Per un più diretto rapporto dell’junghismo con la concreta documentazione storicoreligiosa si veda: Jung e Wilhelm, Das Geheimnis dcr goldenenen Biute, Miinchen 1929 (19443); Jung e Kerenyi, Einfiihrung in das Wesen der Mythologie, AmsterdamLeipzig 1942; Jung, Psychologie und Alchemie, Ziirich 1944; Jung, Ueber MandalaSymboliin Ges[...]

[...]ni ancora inediti vi è anche un commentaro agli esercizi spirituali di S. Ignazio. Il lettore italiano che voglia formarsi un’idea dei rapporti fra junghismo26

ERNESTO DE MARTINO

vigore dalla psicoanalisi, il simbolo mitico affondava dunque le sue radici nel profondo della vita psichica, e quindi si collegava strettamente col mondo degli istinti e con lo stesso ordine biologico. La teoria junghiana degli archetipi come «organi» dell’inconscio collettivo, richiama — sia pure in via meramente ipotetica — ad una base anatomicofisiologica degli archetipi stessi. Ma il nesso più ardito fra mito e biologia si ritrova in alcune tesi di Roger Caillois, e segnatamente nel suo saggio sulla mantide religiosa. La riplasmazione mitica di questo insetto, attestata in diversissimi ambienti culturali, sarebbe fondata, secondo il Caillois, in parte sul suo aspetto antropomorfo in parte sulle sue abitudini sessuali, caratterizzate dalla indifferenziazione del piacere sessuale e di quello della nutrizione. Ora di tale indifferenziazione vi sono trac[...]

[...]ce Feltrinelli.

(41) R. Caillois, L’homme et le sacre, 19502, p. 39 sg.

(42) JungKerényi, Prolegomeni dio studio scientifico della mitologia, trad. ital. Torino 1948, p. 33 sg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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sione che il mito, nella concretezza della vita religiosa, affonda le sue radici nel rito e nel culto, e che fuori di questo rapporto il mito non è più tale, ma diventa arte, dramma, letteratura, filosofia, scienza, cioè — in generale — opera umana avviata alla consapevolezza della sua umanità e mondanità (43). Ma il vero e proprio atto di nascita di questo indirizzo è segnato da due symposia editi da S. Hooke, nei quali un gruppo di studiosi sottoponevano ad analisi il rapporto fra mito e rito nel vicino Oriente. Poteva sembrare una disputa fra dotti tendente a rivalutare nella religione di Israele, e in genere nelle civiltà delPoriente vicino, il rituale ed il culto, e a rintracciare i modelli miticorituali che operavano in questa vasta area religiosa, soprattutto in rapporto al tema della « regalità divin[...]

[...]he Ritual View of Mith and thè Mythic, in Journal of american Folklore, 68 (1955), n. 270, p. 462 sg.

(44) S. H. Hooke, Myth and Ritual, Oxford 1933 e The Labyrinth, Oxford 1935.

(45) S. H. Hooke, Ritual and Kingship, Oxford, 1958, p. 261 sg.28

ERNESTO DE MARTINO

rituali assunsero un modello adattato ai bisogni di una civiltà urbana e di una struttura sociale di cui il re è al centro (46).

Per quanto la scuola miticorituale si lasciò talora fuorviare da una unilaterale accentuazione del momento rituale della vita religiosa (47), resta come suo merito l’aver energicamente sottolineato che un vero mito, nel quale si crede e che conferisce vita e significato, è inseparabile dal rito e dal culto o almeno dalla prospettiva di un possibile riviverlo, in date e luoghi stabiliti, in una definita vicenda liturgica : i « miti » che operano nella letteratura, nella filosofia, nella scienza senza alcun riferimento a un culto attuale o possibile sono propriamente letteratura, filosofia o scienza, ma non miti vivi, ancorché ne riechegg[...]

[...]nessione così stretta col rito, nel senso che il rito racchiude tratti simbolici che non trovano espressione equivalente sul piano mitico, o che il mito si estende in particolari che non hanno riscontro nel comportamento cerimoniale. Vi sono infine miti secolarizzati, che svolgono una funzione prossima alla nostra « letteratura». Il mito è un sistema di parole simboliche, mentre il rituale è un sistema di oggetti e di atti simbolici: potremmo perciò parlare di un dinamismo simbolico miticorituale, che non può essere disarticolato fin quando ci manteniamo nel quadro della vera e propria esperienza religiosa. Il modello miticorituale assolve la funzione di proteggere gli individui e i gruppi dai rischi della insicurezza connessi col bisogno e con la morte: ogni civiltà è, in una certa misura, un gigantesco sforzo per mascherare il bisogno e la morte e in generale la fondamentale insicurezza della condizione umana, e per far sì che il futuro sia una ripetizione di un identico mito di fondazione:

Il rituale costituisce una garanzia che in[...]

[...]l futuro sia una ripetizione di un identico mito di fondazione:

Il rituale costituisce una garanzia che in determinati comportamenti relativi a ‘sfere di ignoranza’ che costituiscono i punti nevralgici di ogni essere umano, la gente può contare sulla natura iterativa del fenomeno. Rito e mito forniscono quindi punti fissi in un mondo di angoscianti mutamenti e di frustrazioni: essi si occupano di settori dove 'l’insicurezza è massima, ed è perciò qui che si manifesta il massimo di fissità (49).

Questa analisi del Kluckhohn, per quanto condotta con molta incertezza e empiria di prospettiva, fa affiorare di nuovo il problema della ripetizione nel sue duplice significato di « impulso a ripetere » come ritorno mascherato e irrisolvente della situazione traumatica, e di « ripetizione attiva » in un orizzonte miticorituale che assolve la funzione di riprendere il rischio di alienazione, e di riaprirlo al mondo dei valori culturali.

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Il riconoscimento che la ripetizione rituale dei modelli mitici assolve la funzione esistenzial[...]

[...]. Ma anche il Cristianesimo, a prima vista, si fonda su una ripetizione rituale di un modello mitico, su un « antefatto » continuamente « rifatto », su un inizio che giustifica, fonda e dà prospettiva alla condizione umana. Il « qui pridie quam pateretur... » del Canon Missae, considerato dal punto di vista della struttura, sembra infatti riflettere il carattere di ogni simbolo miticorituale, poiché la messa come incruenta ripetizione del sacrificio cruento del Golgota costituisce la riattivazione liturgica e sacramentale del mito di Cristo, o addirittura — come dice van der Leeuw — «la trasposizione dell’evento iniziale dalle origini alloggi » (50). Anzi tutto Tanno liturgico è la ripetizione della vita divina che ha inizio con l’avvento : in virtù del ciclo liturgico ogni anno solare è riassorbito, mese per mese, settimana per settimana, giorno per giorno, nel tempo della liturgia e del mito (51). Non quindi soltanto

i dromena greci illustrati dalla Harrison, o la vita religiosa dei trobriandesi osservati dal Malinowski, o Xakjtu ba[...]

[...]usia. La coscienza di questa contrapposi
(52) G. Hòlscher, Die Ursprtinge der jiidischen Eschatologie, 1925, p. 6.

(53) H. Hommel, Dit alte Arien, 1935, p. 34. Cfr. M. Buber, Kònigtum Gottes, 1932, p. 121: «In Babilonia il calendario liturgico poteva compiere il suo eterno ciclo sull’empirico divenire, mantenendosi indifferente al divenire stesso; in Israele invece era la storia a circoscrivere in esso, di propria mano, i segni portentosi di ciò che accade una sola volta, deirirripetibile ».

(54) O. Culmann, Christus und die Zeit, 1945 (19482).

(55) Op. cit., pp. 43 sgg.32

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zione appartiene già al Cristianesimo dei primi secoli, come mostrano le teorizzazioni di Ireneo sul tempo cristiano come extansio del passato nelPavvenire (56).

Riepilogo e osservazioni critiche

Dall’analisi del movimento di rivalutazione esistenziale della religione e del mito negli ultimi quarantanni risulta innanzi tutto che alcuni temi fondamentali vi ricorrono con particolare insistenza e danno per così dire il tono al mo[...]

[...]rizzazioni di Ireneo sul tempo cristiano come extansio del passato nelPavvenire (56).

Riepilogo e osservazioni critiche

Dall’analisi del movimento di rivalutazione esistenziale della religione e del mito negli ultimi quarantanni risulta innanzi tutto che alcuni temi fondamentali vi ricorrono con particolare insistenza e danno per così dire il tono al movimento stesso. Il primo tema è la rivendicazione di una specifica esperienza del sacro, cioè di una realtà radicalmente diversa dal «mondo» e non risolvibile interamente in termini razionali, per quanto ogni forma di vita religiosa racchiuda un processo di razionalizzazione del suo nucleo irriducibilmente irrazionale. Da quando R. Otto teorizzò il «tuttaltro ambivalente» questo tema è diventato in certo senso d’obbligo nei domini più diversi delle scienze religiose: e l’accordo che si è realizzato su questo punto è, nell’interno del movimento, totale. La opposizione fra sacro e profano si configura in tal guisa come « un vero e proprio dato immediato della coscienza » : si può descr[...]

[...]rcea Eliade, per il quale le realtà del mondo visibile sono ierofanie, manifestazioni del sacro, attraverso le quali si manifestano certi aspetti della realtà divina, la sua potenza attraverso la tempesta, la sua stabilità attraverso il movimento degli astri, la fecondità attraverso la pioggia ed il sole. Le interpretazioni naturalistiche che riducono il contenuto dei simboli ad una semplice sublimazione della stessa vita biologica sono erronee: ciò che i simboli ci fanno conoscere è realmente qualche cosa di Dio (58).

Il secondo tema ricorrente nel movimento di rivalutazione esistenziale della religione è la funzione permanente del mito. L’orizzonte metastorico del numinoso, il tutt’altro ambivalente, si articola nella effettiva vita religiosa secondo figure ed eventi inaugurali, e in azioni rituali tendenti a riassorbire la proliferazione storica del divenire nella rivissuta ripetizione delle origini fondatrici e autenticatrici; ne risultano modelli miticorituali di destorificazione, che instaurano un regime di «esistenza protetta» [...]

[...]o iniziato da Cullmann, Rust, Lowith, Mircea Eliade, a dargli un senso accettabile dal Cattolicesimo e dalla sua Chiesa.

(58) Daniélou, Essai sur le mystère de Vhistoire, p. 132.34

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Il terzo tema ricorrente nel movimento di rivalutazione esistenziale della religione accenna in una direzione diversa. Esperienza del sacro, miti e riti si manifestano sul piano della coscienza, e l’analisi può fermarsi alla descrizione di ciò che appare alla coscienza del credente, p. es. l’incontro col numinoso, l’essere afferrati dal radicalmente altro che respinge e che attrae, il riassorbimento del qui e dell’ora nella ripetizione rituale di un evento metastorico inagurale, l’indissolubile nesso tra figurazione mitica e atto cerimoniale di rapporto nella concretezza della vita religiosa in atto, l’apparire della storicità della condizione umana per entro il simbolo escatologico del Cristianesimo: ma è possibile porsi il problema delle motivazioni inconsce delle strutture religiose consapevoli, il che non significa necessariame[...]

[...]spettiva più ampia di quella del credente scoprendo oltre alle ragioni che il credente sperimenta e sa, anche altre ragioni che alla sua coscienza non appaiono e non possono apparire, almeno sin quando dura l’impegno religioso. Questa più ampia prospettiva offre almeno la possibilità di riguadagnare, al di là dell’irrazionale del numinoso vissuto immediatamente dal credente, una più profonda razionalità della vita religiosa come fatto culturale, cioè una regola della sua genesi, della sua struttura e della sua funzione nel quadro di date condizioni storiche dell’individuo e della società. La psicanalisi si mise appunto per questa via, ma col primo freudismo non andò al di là di una infelice riduzione della vita religiosa e del mito alla sessualità « sublimata », lasciando così nell’ombra proprio ciò che più importava, e cioè la qualità specifica e la funzione dinamica dei simboli miticorituali nella concretezza delle singole civiltà religiose. Sotto la spinta della psicanalisi fu tuttavia scoperta la omologia fra la rivissuta iterazione rituale di un mito delle origini e la abreazione nel corso della terapia psicanalistica, e fu dallo stesso Freud abbozzata una distinzione fra la « coazione a ripetere » e l’attiva ripetizione del giuoco e del rito. Ma fu soprattutto merito dello Jung l’aver messo in rilievo il dinamismo del « simbolo », e cioè il suo carattere di ponte che dischiude il passaggio dalla crisi alla[...]

[...]a concretezza delle singole civiltà religiose. Sotto la spinta della psicanalisi fu tuttavia scoperta la omologia fra la rivissuta iterazione rituale di un mito delle origini e la abreazione nel corso della terapia psicanalistica, e fu dallo stesso Freud abbozzata una distinzione fra la « coazione a ripetere » e l’attiva ripetizione del giuoco e del rito. Ma fu soprattutto merito dello Jung l’aver messo in rilievo il dinamismo del « simbolo », e cioè il suo carattere di ponte che dischiude il passaggio dalla crisi alla reintegrazione, dal passato che torna in modo cifrato e irrelativo al presente che nella decisione responsabile determina il passato e il futuro, dal sintomo chiuso, isolante, e passivamente subito all’apertura verso il mondo dei valori culturali. Tuttavia nel corso della travagliata vicenda del pensiero dello Jung si riscontra, rispetto alla vita religiosa, un graduale mutarsi delle prospettive di partenza: onde la esperienza religiosa finì col configurarsiMITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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come vivente r[...]

[...] la perdita della presenza. L’esserci nel mondo come centro di decisione e di scelta è esposto al rischio radicale di non esserci, di perdersi e di alienarsi, dando luogo a tutta una serie di inautenticità esistenziali, che nei loro modi più compromessi costituiscono le malattie36

ERNESTO DE MARTINO

della psiche. Il « tutt’altro ambivalente », in questa prospettiva, è la segnalazione di una « alterità » che è certamente sui generis perché ciò che qui rischia di diventare altro è la stessa radice dell’identico e del diverso, del soggettivo e delPoggettivo, del pratico e del teoretico, del « psichico » e del « somatico ». Il « tutt’altro ambivalente », in quanto segnalazione di questo rischio radicale si costituisce e funziona innanzi tutto come piano di arresto delle possibili alienazioni, e quindi come esperienza di una alterità radicale che, per un verso, è una forza ostile e schiacciante, lontana e potente per eccellenza, e per un altro verso è una forza fascinante, che invita perentoriamente al rapporto e alla ri appropriazione[...]

[...]rienza di una alterità radicale che, per un verso, è una forza ostile e schiacciante, lontana e potente per eccellenza, e per un altro verso è una forza fascinante, che invita perentoriamente al rapporto e alla ri appropriazione. Sempre nella stessa prospettiva, è possibile dedurre tutti gli altri momenti della dinamica religiosa, in primo luogo il simbolo miticorituale. La presenza in crisi è esposta al rischio di non essere autentica presenza, cioè di patire il ritorno del passato non oltrepassato, in cui si è perduta e a cui è rimasta legata: un ritorno che, in quanto crisi, ha luogo nella forma cifrata e servile del sintomo psichico dal quale « si è agiti ». Il piano dell’àlterità radicale si configura pertanto come piano di ripresa e di risoluzione del simbolismo chiuso e passivamente subito, cioè del rischio che il passato torni nella maschera irriconoscibile del sintomo nevrotico o psicotico. Appunto per questo il tutt’altro ambivalente si articola nella ripetizione rituale di un mito: le varie crisi individuali ricorrenti in un dato regime di esistenza sono tolte dal loro isolamento individualistico e trattate in forma socializzata e istituzionale mediante modelli di risoluzione che attuano la reintegrazione delle alienazioni e la pedagogia del mondo dei valori. L’esempio freudiano della « madrerocchetto », fatta scomparire e tornare dal bambino, illustra molto bene questo momento [...]

[...]cchiare e al morire del re e alle crisi della successione, ai lutti familiari e al rischioso ritorno dei morti, e infine a episodi traumatizzanti che ricorrono nell’infanzia e nelPadolescenza di ciascun individuo. In altri termini la vita storica dell’uomo in società comporta necessariaMITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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mente un continua « distaccarsi » da situazioni, un continuo dover oltrepassare le situazioni che passano : in ciò è però anche incluso il rischio di non poter effettuare il distacco, e di morire con ciò che muore, e di condurre una esistenza inautentica, dominata dal ritorno irrelato e servile del passato che non fu deciso. Il simbolo miticorituale si atteggia come strumento tecnico che, in date condizioni culturali, funziona da dispositivo per segnalare il rischio, per dare un orizzonte figurativo alle alienazioni ricorrenti e per trasformare il ritorno irrelato e servile del passato in una ripetizione attiva e risolutiva, aperta alle regole umane e ai valori culturali.

Ma il simbolo miticorituale è ben lungi dalPesaurire la sua funzione nella ripresa e nella risoluzione del passato crit[...]

[...]mitica fondatrice e autenticatrice, e come se fosse già preordinato secondo un esito immutabile, stabilito una volta per tutte sul piano della metastoria. In virtù di questa funzione protettrice del simbolo miticorituale quel tanto di senso del mondano che ogni civiltà che è al mondo possiede (altrimenti se vivesse interamente nel « mito » non potrebbe mai mantenersi come « civiltà » e sprofonderebbe nel delirio) subisce un continuo refoulement, cioè un occultamento alla coscienza : ma intanto, attraverso questa « pia fraus », si dischiudono di fatto le opere e i giorni che sono connessi al viver civile, e possono anche de jure cominciare ad essere riconosciuti come doni divini e infine nella loro qualità mondana. Il pescatore me38

ERNESTO DE MARTINO

lanesiano, quando affrontava il mare, diventava Peroe mitico Aori e ne ripeteva il viaggio paradigmatico. La storicità del viaggio, con i suoi storici imprevedibili incidenti, era così riassorbita nel modello metastorico, avvenuto nella metastoria una volta per tutte; ma intanto, per [...]

[...]etastoria una volta per tutte; ma intanto, per entro questa destorificazione delle spedizioni marittime, si realizzavano in concreto imprese che erano di interesse vitale per una popolazione di pescatori. I cacciatori Aranda del clan totemico del gatto selvatico attraversavano un territorio sconosciuto portando con sé, sotto forma di palo, il « centro del mondo », e iterando il centro mitico in ogni luogo di soggiorno del loro peregrinare : essi cioè peregrinavano « come se » si mantenessero sempre al centro; ma intanto, per entro questa destorificazione del peregrinare, veniva ridischiusa la possibilità di attraversare una terra incognita, nel quadro delle necessità vitali di una comitiva di cacciatori (58bls). Uakjtu babilonese riassorbiva Tanno trascorso nel periodo mitico della creazione, ripeteva Patto cosmogonico, e prefigurava Panno nuovo: ma intanto, per entro questa ciclica iterazione dell’identico, Panno nuovo era affrontato, col suo storico accadere. E, infine, il qui pridie quam pateretur del Canon Missae ripresenta continuam[...]

[...]raversare una terra incognita, nel quadro delle necessità vitali di una comitiva di cacciatori (58bls). Uakjtu babilonese riassorbiva Tanno trascorso nel periodo mitico della creazione, ripeteva Patto cosmogonico, e prefigurava Panno nuovo: ma intanto, per entro questa ciclica iterazione dell’identico, Panno nuovo era affrontato, col suo storico accadere. E, infine, il qui pridie quam pateretur del Canon Missae ripresenta continuamente il sacrificio esemplare di Cristo, venuto a togliere il peccato del mondo, cioè la macchia che vulnera lo storico divenire : ma intanto, pur attraverso un «come se non fosse», il mondo riacquista prospettiva per il cristiano, ed è in questa prospettiva affrontato. Si ricordi a questo punto il famoso passo di Paolo, Ad Cor. I, 7, 2932: «Il tempo stringe. Non resta altro che coloro i quali hanno moglie siano come se non Pavessero; e coloro che piangono, come se non piangessero; e coloro che gioiscono, come se non gioissero; e coloro che comprano come se non possedessero; e coloro che fruiscono di questo mondo come se non ne fruissero: è sorpassatta infatti l’immagine di q[...]

[...]nte iterativo, cicli
(58 bis) Cfr. il mio studio Angoscia territmiale e reintegrazione culturale nel mito Achilpa delle origini, che può leggersi in appendice alla 2a ed. del Mondo Magico, Torino 1958.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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co, prevedibile nel decorso come l’orbita di un pianeta, instaura negli operatori e nei partecipanti un abbassamento della coscienza di veglia, e una condizione favorevole al rapporto con l’inconscio. Questo aspetto di attiva destorificazione della presenza individuale si fa valere nel rito a tal punto che spesso le tecniche riduttive della coscienza stanno per sé, senza avere necessariamente corrispondenti mitici: fissazioni di un punto, brillante e abbacinante, monotona iterazione di parole o di sillabe, rullio di un tamburo, e quant’altro forma l’apparato esterno delle tecniche mistiche di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ora per questo suo aspetto il simbolo miticorituale appare un dispositivo particolarmente adatto per compiere una catabasi nell’inconscio, per evocare il «passato p[...]

[...]ecniche riduttive della coscienza stanno per sé, senza avere necessariamente corrispondenti mitici: fissazioni di un punto, brillante e abbacinante, monotona iterazione di parole o di sillabe, rullio di un tamburo, e quant’altro forma l’apparato esterno delle tecniche mistiche di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ora per questo suo aspetto il simbolo miticorituale appare un dispositivo particolarmente adatto per compiere una catabasi nell’inconscio, per evocare il «passato perduto», per riaprire passaggi bloccati, per raggiungere memorie sepolte, e per compiere in tal modo l’anabasi verso la coscienza e il valore: ma sia la catabasi che Panabasi trovano nel simbolo miticorituale la loro concreta possibilità e la loro storica disciplina, almeno nella misura in cui il dispositivo protettivo del « sacro » funziona e ubbidisce alla sua intima coerenza. Tale «pedagogia» libera valori, e precisamente gli stessi valori mondani e profani che la crisi esistenziale rischia di compromettere. Nei modi che son propri dell’alienazione e della destori[...]

[...]a sia la catabasi che Panabasi trovano nel simbolo miticorituale la loro concreta possibilità e la loro storica disciplina, almeno nella misura in cui il dispositivo protettivo del « sacro » funziona e ubbidisce alla sua intima coerenza. Tale «pedagogia» libera valori, e precisamente gli stessi valori mondani e profani che la crisi esistenziale rischia di compromettere. Nei modi che son propri dell’alienazione e della destorificazione religiose, cioè per entro l’orizzonte protettivo e reintegratore della metastoria miticorituale, gli individui e i gruppi cercano numi e rapporti con numi, ma ciò che effettivamente essi trovano è in ultima istanza la non eludibile storia umana, le opere variamente qualificabili come economiche, sociali, giuridiche, politiche, morali, artistiche, scientifiche, filosofiche. Il simbolo miticorituale è apertura verso queste opere dotate di valore, è ponte verso il mondo degli uomini, anche se per il momento religioso è unicamente ponte verso il divino. Questa dinamica ha sempre luogo, anche quando — come accade in determinate civiltà religiose — par quasi che tutto il mondano operare viva occultato e protetto nel « come se » della destorificazione miticor[...]

[...] storica nel suo complesso, al di là della esperienza mistica individuale in atto. Un mistico che possa a tutti gli effetti essere considerato nell’isolamento astratto della sua avventura psicologica personale, e che abbia reciso tutti i vincoli che lo legano alla sua propria società e alla sua epoca non è in realtà un mistico, ma un «malato», intorno al quale la psichiatria potrà dirci qualche cosa, ma non la storiografia. Nei « veri » mistici, cioè giudicabili dal punto di vista della storia della cultura, il momento della « malattia » può assumere un rilievo più o meno grande, ma è pur sempre la guarigione che li individua culturalmente, e con la guarigione la loro giudicabilità secondo le « opere », secondo ciò che hanno realmente fatto e che può essere dallo storico espresso e definito. Questo rapporto affiora talora alla coscienza degli stessi mistici, soprattutto cristiani, come p. es. in S. Teresa:

(In S. Paolo) si ammirano gli effetti della vera contemplazione e delle visioni che sono da Dio, non dairimmaginazione o dal demonio. Forse che egli si nascose per non occuparsi che in godere le delizie di queste grazie? Ma lo sapete anche voi: non ebbe riposo di giorno e neppure dovette averne di notte, perché in essa si guadagnava da vivere... Questo è il fine dell’orazione, figliuole mie: a ques[...]

[...]o né di divergere il pensiero per paura di perdere quel po’ di gusto e di devozione che sentono, mi persuado che non conoscono il cammino dellunione. Pensano che consista tutto nel fare così. No, sorelle mie. Il Signore vuole opere. Vuole, per esempio, che non ti curi di perdere quella devozione per consolare un’ammalata a cui vedi di poter esser di sollievo, facendo tua la sua sofferenza, digiunando tu, se occorre, per dare da mangiare a lei: e ciò non tanto per lei, quanto perché sai che questa è la volontà di Dio (60).

Così per entro la destorificazione religiosa (« e ciò non tanto per lei, quanto perché sai che questa è la volontà di Dio ») appare alla coscienza non soltanto la necessità dell’opera mondana, ma la produttività mondana è assunta come vero segno dei favori celesti.

Questi passi di S. Teresa pongono il problema dei valori che il simbolo miticorituale cristiano ha mediato alla civiltà occidentale. La recente letteratura sui rapporti fra Cristianesimo e storia, Cristianesimo e tempo, Cristianesimo e mito ha messo in evidenza che il simbolo miticorituale cristiano ha assolto la fondamentale funzione culturale di mediare per l’occidente il senso d[...]

[...]otezione e reintegrazione dell’umano operare compromesso dalla crisi esistenziale, poiché tutte le religioni, anche le più rozze, operano tale protezione e reintegrazione mediante la destorificazione miticorituale. Effettivamente il Cristianesimc, a differenza delle altre religioni dell’ecumene, fa apparire la coscienza del tempo e della storia nel cuore stesso del suo simbolo miticorituale, e attraverso i temi della « storia santa », del sacrificio dell’UomoDio come evento storico al centro del divenire, e di un processo escatologico che si attua nel tempo, non soltanto dischiude di fatto la storia umana, ma alza il velo sulla storicità della condizione umana e fonda de jure nella prospettiva della fede, il senso dc\Y opera, la coscienza della tensione fra « situazione » e « valore ». Se la civiltà occidentale si è guadagnata nel corso della sua storia una egemonia fondata sulla potenza del mondano operare, se un umanesimo fiducioso ed entusiasta è venuto sempre più intensificando

(60) Castello, V Mans., Cap. III.42

ERNESTO DE MA[...]

[...]ntro del divenire, e di un processo escatologico che si attua nel tempo, non soltanto dischiude di fatto la storia umana, ma alza il velo sulla storicità della condizione umana e fonda de jure nella prospettiva della fede, il senso dc\Y opera, la coscienza della tensione fra « situazione » e « valore ». Se la civiltà occidentale si è guadagnata nel corso della sua storia una egemonia fondata sulla potenza del mondano operare, se un umanesimo fiducioso ed entusiasta è venuto sempre più intensificando

(60) Castello, V Mans., Cap. III.42

ERNESTO DE MARTINO

la sua straordinaria messe di opere economiche, politiche, morali, artistiche, scientifiche e filosofiche, la conquista di questo primato civile è certamente impensabile senza la nuova esperienza del divenire storico inaugurata dal Cristianesimo. Il rapporto fra energia morale mondana della civiltà occidentale e simbolo cristiano assume talora vie molto mediate (si pensi al rapporto fra etica protestante e spirito del capitalismo, secondo la tesi famosa del Max Weber): ma il rap[...]

[...]irtù del suo senso della storia, il laicizzarsi di vasti settori della operosità umana, ma ha mediatamente favorito il costituirsi di una historia rerum gestarum, e il maturarsi di una coscienza storicistica che investe lo stesso simbolo cristiano nella prospettiva di un umanesimo sempre più coerente e consapevole di sé. In questa prospettiva doveva necessariamente apparire, come risultato, il limite di attualità del simbolo religioso cristiano. Ciò che, in virtù del simbolo cristiano, progredisce nella storia è in ultima istanza un piano di annientamento della storia, una promessa di cancellazione del divenire. E la incarnazione è, sì, un evento storico avvenuto « una sola volta », ma il suo privilegio è così « deciMITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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sivo » che nulla di veramente nuovo può accadere « dopo » di esso (61). Per questa via il mito di Cristo al centro della storia torna a configurarsi come un mito delle origini, da iterare nella liturgia e da rivivere nella vicenda sacramentale: e se ciò che viene ripetuto e [...]

[...]a promessa di cancellazione del divenire. E la incarnazione è, sì, un evento storico avvenuto « una sola volta », ma il suo privilegio è così « deciMITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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sivo » che nulla di veramente nuovo può accadere « dopo » di esso (61). Per questa via il mito di Cristo al centro della storia torna a configurarsi come un mito delle origini, da iterare nella liturgia e da rivivere nella vicenda sacramentale: e se ciò che viene ripetuto e rivissuto non è l’epoca inaugurale del mondo, ma un evento che sta al centro della storia santa, l’estremo previlegio di questo evento è tale da riconvertire paradossalmente il centro in origine, l’origine in annunzio della fine, e l’annunzio della fine nel calendario liturgico dominato dalla ripetizione destorificatrice. Nel momento stesso in cui il pensiero occidentale riconosce nel simbolo cristiano la dinamica del suo proprio destino di liberazione come « pensiero della storia umana » non è più possibile, per chi si sia innalzato a questa presa di coscienza, immetters[...]

[...]imo in tormentati compromessi sul tipo della cosiddetta «demitizzazione del Nuovo Testamento», patrocinata dal Bultmann: il quale — nel proposito di restituire al messaggio cristiano un significato accettabile per il mondo moderno — si è adoperato a cernere, avvalendosi degli strumenti analitici offerti dalPesistenzialismo heideggeriano, quanto nel Nuovo Testamento è « mito » e quanto « messaggio », col risultato di conservare come « messaggio » ciò che, per l’uomo moderno, è ancora « mito », e di respingere come «mito» ciò, per il credente, costituisce parte vitale del simbolo religioso cristiano (62).

Del resto, per quanto riguarda il «ritorno alla religione» negli Stati Uniti, ecco che cosa ne pensa J. Milton Yinger, professore di socio* logia e di antropologia all’Oberlin College:

L’aumento degli appartamenti alle Chiese, il fatto,che molti 'libri religiosi sono diventati bestseller, i numerosi articoli religiosi in periodici di massa, la popolarità di films a soggetto religioso, la riaffermazione frequente

— da parte dei nostri leaders politici — della nostra eredità religiosa, l’aumento fra gli studenti di atteggiamenti favorevoli verso la Chiesa e la esistenza di Dio (Public Opinion New Service, 20 marzo 1955), ed altri fatti del genere provano la forza del movimento di « ritorno alla religione »... L!American Inst[...]

[...]cia 1958; G. Miegge, L’evangelo e il mito nel pensiero di Rudolf Bultmann, Milano 1956; F. Bianco, Introduzione al problema dello smitologizzamento, nel voi. « Metafisica ed Esperienza Religiosa », Archiv. di Filosofia, Roma 1956, pp. 265 sgg.; F. Bianco, Mito, simbolo, esistenza, nel voi. « Filosofia e simbolismo », Archiv. di Filosofia, 1956, pp. 289 sgg. e Metodo fenomenologico e interpretazione del mito, ibidem, 1957, pp. 199 sgg.; M. Bendi scioli, Interpretazioni razionalistiche del Cristianesimo primitivo, Padova 1952, pp. 68 sgg.; R. Tucci S. Un nuovo allarme fra i teologi protestanti, in « Civiltà Cattolica », quad. 2562, 16 marzo 1957, pp. 580 sgg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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sere facile spiegare Fattuale interesse per la religione facendo appello alla frustrazione delle speranze che parecchi avevano riposto nella scienza, nell'umanesimo, nei movimenti politici secolari. Avendo sopravalutato il potere della scienza e avendo riposto troppa speranza nei movimenti politici secolari, si ritorna alle vie religi[...]

[...]politici secolari. Avendo sopravalutato il potere della scienza e avendo riposto troppa speranza nei movimenti politici secolari, si ritorna alle vie religiose della salvezza. La grande confusione e ansietà e sofferenza della nostra epoca incoraggia tale orientamento': e la « bomba atomica » — questa terrificante prova del potere autodistruttivo dell’uomo — induce anche il più insensibile alla riflessione e allo sbigottimento. Tuttavia, malgrado ciò, occorre avare cautela nelTinterpretare la situazione presente come caratterizzata dal « ritorno alla religione ». La Bibbia può essere proclamata parola rivelata da Dio, ma il 53% di coloro che così proclamano non saprebbe indicare neanche il primo dei quattro libri del Nuovo Testamento... Il ritorno alla religione può essere compreso solo notando la simultanea secolarizzazione della Chiesa. Ciò che « torna » è una istituzione che pone poche domande relative alla fede... Vi è una tendenza a ritenere che la religione è un bene perché è utile per altri maggiori valori, rovesciando così il rapporto mezzofine secondo il quale la religione è considerata il valore supremo. Ciò è in rapporto col fatto che i principali valori della società americana si esprimono in termini non religiosi, ma secolari e soprattutto nazionali [cioè come esaltazione del «modo americano di vita »] (63).

Da quanto è stato fin qui detto e ragionato affiora un risultato preciso: il sacro è entrato in agonia e davanti a noi sta il problema di sopravvivere come uomini alla sua morte, senza correre il rischio di perdere — insieme al sacro — l’accesso ai valori culturali umani, o di lasciarci travolgere dal terrore di una storia cui non fa più da orizzonte e dà prospettiva la metastoria miticorituale. L’alternativa fra umano e divino, che travaglia tutta la storia delle religioni, e che col Cristianesimo è entrata in un drammatico processo d[...]

[...]gere del « senso della storia » per entro il simbolo religioso cristiano. Tuttavia il movimento di rivalutazione non si è reso conto che proprio il processo in virtù del quale il simbolo cristiano è venuto mediando nella storia della civiltà occidentale il « senso della storia » ha avuto come risultato inevitabile la impossibilità di mantenere in buona fede la struttura e la funzione di un orizzonte metastorico, articolato in miti e in riti. Con ciò il movimento di rivalutazione ha più o meno perdute rapporto con un tema che pur stava al centro della precedente epoca culturale, e cioè la coscienza del destino laico e umanistico della civiltà occidentale. Il movimento di rivalutazione ha sottolineato come nell’au, tentica vita religiosa la coscienza della storia è tendenzialmente refoulée, mentre nel mondo moderno è invece refoulée la coscienza miticorituale : ma da ciò troppo spesso ha tratto spunto per denunziare una stortura del mondo moderno, e per ravvisare proprio nel rejoulement della coscienza miticorituale la ragione fondamentale della crisi. In luogo di analizzare le condizioni storiche e i concreti regimi di esistenza in cui il sacro sorge e funziona, e in luogo di porsi il problema del modo col quale la civiltà moderna può affrontare e risolvere la crisi esistenziale con mezzi che siano in armonia con la eredità umanistica della sua storia, il movimento di rivalutazione ha mostrato una spiccata tendenza a teorizzare l’esperienza del sacro come pe[...]

[...] senza dubbio l’uomo non potrà mai fare a meno di vibranti quadri energetici in cui il passato si ricapitola e l’avvenire si ridischiude in una prospettiva piena di senso che toglie dall’isolamento e dalla dispersione; ma, anche qui, chiamare « mito » questa funzione simbolica che si innesta tra crisi e valore, rischia di favorire l’equivoco che tende ad avallare l’attualità, per il mondo moderno, del simbolo miticorituale della vita religiosa e ciò proprio quando l’esigenza che oggi più si avverte è invece la determinazione di come il simboleggiare possa rendersi compatible con la coscienza umanistica e col senso della storia. Questa ambigua oscillazione ha certamente favorito l’odierno abuso della parola « mito », che è venuto perdendo nell’impiego linguistico corrente il suo riferimento al nesso miticorituale della vita religiosa per designare promiscuamente simboli legittimi e simboli illegittimi del mondo moderno, sopravvivenze arcaiche e neoformazioni di compromesso, e persino mode e infervoramenti passeg48

ERNESTO DE MARTINO
[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]rale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione padovana del 1923 Filologia e filologismo (in Scritti minori, Firenze 1978, rii, p. 1233 ss.: d'ora innanzi indicherò, seguendo il La Penna, questa silloge con SM), al cui esame il La Penna dedica il cap. viii, uno dei piú penetranti del suo libro, Marchesi conduce contro lo « studio delle
IL « MARCITESI » DI ANTONIO LA PENNA 633
fonti » una polemica che, in ciò che ha di giusto, è una battaglia di retroguardia, perché critica un metodo di scomposizione meccanica dell'opera d'arte e di riduzione del poeta a imitatore passivo dei suoi antecessori, che non era stato proprio nemmeno di tutta la filologia positivistica (anche il positivismo aveva avuto, nelle scienze naturali e umane piú ancora che nella filosofia, i suoi uomini d'ingegno e di genio) e che, comunque, era stato già superato proprio dalla migliore filologia tedesca (se con qualche seria ricaduta in un discutibile neoumanesimo e nazionalismo, non importa qui discutere). Di quel ben piú comp[...]

[...]48). Anche nei commenti scolastici a classici latini — pur pregevoli per molti aspetti: cfr. LA PENNA, p. 82 — una manchevolezza, secondo me, è costituita dal fatto che Marchesi si limita per lo piú a tradurre singole parole o brevi frasi, mentre è molto avaro di altre delucidazioni (questo suo modo di commentare è da lui stesso dichiarato e difeso nella prefazione ad APULEIO, Della Magia, Città di Castello 1914; maggiore consapevolezza dell'ufficio di prima approssimazione a cui la traduzione deve limitarsi è nella prefazione al Bellum Catilinae di Sallustio, Messina 1939, p. v.). Su Marchesi mediocre traduttore in versi, ottimo in prosa (e ben presto egli predilesse la prosa, discostandosi dalla linea RomagnoliBignone), cfr. LA PENNA, p. 37 s. e, piú ampiamente, E. PIANEZZOLA nel vol. collettivo La traduzione dei classici a Padova, Padova, Antenore, 1976, p. 23 ss. Fra le poche traduzioni in versi riuscite, giustamente il Pianezzola (pp. 3638) cita e riporta la monodia di Tieste nell'omonima tragedia di Seneca e una parte del coro dell[...]

[...] sull'atteggiamento generale », ed è vero. Ma su un punto la lettura del Leo influí positivamente su Marchesi: sulla valutazione di Plauto, poeta di grande originalità, ma non popolaresco in senso immediato e triviale, bensí dotato di cultura, di raffinato senso ritmico, esprimentesi in una lingua piena di espressività e di forza vitale, ma non « volgare ». Si confronti l'accenno a Plauto nella recensione già citata al Leo (SM, in, p.. 1108) con ciò che nella Storia della letteratura latina (i`, p. 75) si dice di Plauto poeta « ellenistico », non « ignorante di genio », ma « grande poeta » e perciò « uomo di grande cultura: perché l'arte si alimenta di conoscenza e di studio: altrimenti è improvvisazione artistica di breve durata »; si vedano ancora, nella Storia (vol. cit., pp. 7375), i paragrafi sulla lingua plautina (che « non è quella del volgo, com'è mala consuetudine ripetere ») e sulla metrica; e si riconoscerà ben chiaro l'influsso del Leo. A proposito dell'origine dei cantica c'è perfino un accenno alle due teorie del Leo e di Eduard Fraenkel (derivazione dalla lirica ellenistica o dai cantica tragici?): dalla lettura del Leo Marchesi era passato, sia pure nei limiti di una rap[...]

[...]e il compito che La Penna si prefigge in quanto studioso del mondo antico (e non di esso soltanto). Egli ritiene che dovere del critico sia anche esprimere giudizi di valore sull'opera d'arte, contribuire a far partecipi gli altri di quella felicità (la felicità, secondo lui, più profonda e intensa concessa all'uomo) che è data appunto dall'arte, pur con la certezza che il giudizio estetico, come tutti i giudizi di valore, è soggettivo e che ufficio del critico non può essere, quando si arriva alla valutazione, quello di « convincere », ma solo quello di « persuadere ». Che la ricostruzione storica (passibile di trattazione « scientifica », almeno tendenzialmente) e il giudizio valutativo debbano essere condotti in stretto rapporto l'una con l'altro, aiutarsi a vicenda, La Penna lo afferma con forza; ma con altrettanta forza rifiuta di cancellare la distinzione tra discorso teoretico e discorso assiologico: questa sua posizione, già espressa con sferzante vigore in due noterelle che non molti avranno letto (Estetica meretrice e Sono fors[...]

[...] tra le perle. Onoriamo questo amico delle Muse con misura e con rispetto della verità; può darsi che, una volta tanto, lo verità sia piú ricca e affascinante dei miti e delle mistificazioni (p. 96: è la chiusa del saggio).
L'esortazione alla « misura » e al « rispetto della verità » non si riferisce soltanto, credo, alla mancanza di interesse storicoculturale e al misticismo estetico a cui abbiamo già accennato. Si riferisce anche, suppongo (e ciò, forse, andava piú messo in rilievo) alla sicurezza assoluta di giudizio che Marchesi ha sempre mostrato nella sua opera di critico. In Filologia e filologismo (SM, III, p. 1235; cfr. II, p. 544) Marchesi afferma drasticamente: « Noi sappiamo che se i gusti sono tanti, il buon gusto è uno solo » (sua è la sottolineatura). Croce credeva di sfuggire al relativismo del giudizio estetico con la famigerata teoria dell'identità di genio e gusto (Estetica, cap. xvi): dell'atto del giudizio non è protagonista il critico in quanto « individuo empirico », ma il Soggetto assoluto che opera in lui, e che[...]

[...]rché non si videro i limiti (d'indirizzo politico e, connessi con questi, anche di gusto estetico) di una prospettiva storica e critica che tagliava fuori Cattaneo, Pisacane, la prima scapigliatura, e fondamentalmente non capiva nemmeno Leopardi. Tuttavia nello Studio sul Leopardi, l'ultima opera rimasta incompiuta, c'è un'esigenza di ricerca filologicostorica e addirittura di preparazione bibliografica, di metodo
« tedesco ». Che cosa di tutto ciò ereditò Marchesi? Direi nulla, anche a volersi limitare al « gusto », che In Marchesi è sempre collegato con uno psicologismo, con una predilezione per le « anime tormentate » a cui De Sanctis (anche per
638 SEBASTIANO TIMPANARO
ragioni di diversa epoca, di diverso clima socialeculturale) fu estraneo. Io temo che a questo ravvicinamento De SanctisMarchesi abbia contribuito una nozione di « critica romantica » assunta in un senso un po' troppo generico. Ciò che in seguito diremo su Marchesi « tardopositivista » contribuirà forse a distaccarlo ulteriormente dal De Sanctis. Ma anche rimanendo [...]

[...]archesi? Direi nulla, anche a volersi limitare al « gusto », che In Marchesi è sempre collegato con uno psicologismo, con una predilezione per le « anime tormentate » a cui De Sanctis (anche per
638 SEBASTIANO TIMPANARO
ragioni di diversa epoca, di diverso clima socialeculturale) fu estraneo. Io temo che a questo ravvicinamento De SanctisMarchesi abbia contribuito una nozione di « critica romantica » assunta in un senso un po' troppo generico. Ciò che in seguito diremo su Marchesi « tardopositivista » contribuirà forse a distaccarlo ulteriormente dal De Sanctis. Ma anche rimanendo nella cerchia degli eventuali predecessori medioottocenteschi, direi che, pur con la giusta avvertenza di La Penna (p. 37: in Marchesi l'incontro con lo scrittore in quanto uomo « avviene sempre attraverso l'opera: non c'è traccia di curiosità biografiche più o meno futili, alla maniera di SainteBeuve »), l'affinità con SainteBeuve sia piú forte,
o meno debole, di quella con De Sanctis.
3. « Umanità perenne », arte, bisogno religioso. — Abbiamo già accennat[...]

[...]a, al di fuori di condizionamenti politicosociali e culturali. Ma altrettanto giustamente La Penna non nega che in questa concezione vi sia un aspetto positivo importante: la poesia è anche un
« fatto personale », non solo l'elaborazione di un'esperienza « libresca » né di una situazione sociale. C'è, egli dice, un'acquisizione della critica romantica e desanctisiana in particolare (non soffermiamoci piú su questi aggettivi: l'importante sta in ciò che La Penna rivendica) che va considerata come
« un'acquisizione perenne, un ktêma es ad: la critica deve cercare il contatto con lo scrittore in quanto uomo (cioè vita, sensibilità, stati d'animo, nodo piú o meno intricato di bisogni e di problemi morali, cultura ecc.) e cercare nelle forme retoriche l'espressione dell'uomo. L..] L'espressione letteraria passa attraverso l'uomo: non riesco ancora a capire una storia della letteratura senza soggetti, senza persone (la polemica di Althusser contro l'umanesimo ha alcune ragioni valide, ma gli esiti non convincono interamente) L..] ] Credo che anche la biografia, a parte le curiosità futili, sia un passaggio obbligato » (p. 94 s.).
Mi sia lecito, en passant, esprimere la mia gioia nel vedere finalmente i[...]

[...] la biografia, a parte le curiosità futili, sia un passaggio obbligato » (p. 94 s.).
Mi sia lecito, en passant, esprimere la mia gioia nel vedere finalmente in La Penna una « presa di distanza » da Althusser, che in questi ultimi anni egli aveva considerato come il marxista piú originale dei tempi recenti: una presa di distanza, a mio parere, ancora insufficiente, poiché credo che su Althusser vada dato un giudizio ben piú duro (non mi pento di ciò che ho scritto in Sul materialismo, Pisa 19752, pp. 4546, 49, 188191, 250, 258 e altrove). Ma qui importa notare come La Penna abbia individuato uno dei punti piú importanti, direi anzi il punto centrale, della Weltanschauung di Marchesi e della sua opera di critico. All'esame di questo punto centrale egli dedica in particolare il cap. iv, « Homo » e « civis », che è forse il piú penetrante di tutto il volumetto.
In tutti i suoi scritti Marchesi ha profuso dichiarazioni di sfiducia nel potere, che la filosofia e la scienza si arrogano, di dare all'uomo la verità
e la felicità. Nessun filoso[...]

[...] p. 16). L'opera di Tacito « non teme fallimento: perché le idee cadono, solo il dubbio rimane » (Tacito, Messina 1924, p. 252; un po' diverso nell'espressione, ma non nel contenuto, in Tacitoz, 1942, p. 186); e nello stesso Tacito parlerà di « quella superstizione o finzione chiamata volgarmente la verità » (p. 295, cit. anche da La Penna, p. 68). Le citazioni — anche da scritti di varia letteratura e meditazione — si potrebbero moltiplicare.
Ciò che non possono dare filosofia e scienza, può darlo, anche se non interamente, l'arte. A volte (vedi l'accenno, forse troppo fugace, di La Penna, p. 36) sembra che l'arte, per Marchesi, sia dotata di quel potere gnoseologico, unificatore e inveratore di un'esperienza altrimenti caotica e contraddittoria, che una secolare tradizione attribuisce appunto alla filosofia (o alla scienza intesa come antiempirla, antiesperienza comune). La storiografia stessa raggiungerebbe la « verità » grazie alle doti artistiche dello storico, non ai vani sforzi di ricostruzione basati sulla ricerca documentaria.[...]

[...]to alla filosofia (o alla scienza intesa come antiempirla, antiesperienza comune). La storiografia stessa raggiungerebbe la « verità » grazie alle doti artistiche dello storico, non ai vani sforzi di ricostruzione basati sulla ricerca documentaria. Questo concetto è espresso nell'introduzione al Bellum Catilinae di Sallustio (poi in Voci di antichi, Roma 1946, p. 41 ss.: « la voce dell'arte contemplatrice del passato scopre una parte, almeno, di ciò che è vero nella vita degli uomini. Il resto è oscurità e silenzio ») e, con ancor piú recisione, nel saggio su Livio e la verità storica (in Voci di antichi, pp. 119121). Per via d'indagine razionale, dice Marchesi, la storia si frantuma in tante visioni, tutte vere e tutte false; c'è una sola « forza unificatrice: è quella dell'arte: sola infrangibile verità ». Lo storicoartista dischiuderebbe il segreto di una personalità del passato anche attraverso la narrazione di episodi in tutto o in parte inventati; di fronte a un racconto liviano di particolare efficacia rappresentativa, Marchesi es[...]

[...]te la formulazione che piú sembra corrispondere alla prevalente convinzione di Marchesi) un po' diverso da quello tra arte ed eventi storici. La funzione, per cosi dire, caratterizzante e immortalante dell'arte rimane essenziale; tuttavia la « natura umana » non è una realtà disgregata e informe come la storia: è una realtà già ben concreta, che l'artista ha il compito di cogliere nei suoi tratti essenziali, non già di « creare ». L'umanità — di ciò Marchesi è profondamente convinto — ha « caratteri permanenti ». Il dolore, l'angoscia, il senso del mistero e della morte, anche l'amore e il sorriso (ma un sorriso al cui fondo c'è la tristezza, e un amore che è autentico solo quando è fugace) hanno accompagnato l'uomo fin dall'inizio e sempre lo accompagneranno.
Questa visione dell'uomo suscita in Marchesi, ancora una volta, spinte e inquietudini opposte. Da un lato, un incessante « bisogno di Dio » assillò Marchesi per tutta la vita, gli fece ricercare l'amicizia di religiosi, lo spinse piú volte a cercare pace e solitudine in monasteri,[...]

[...]anno.
Questa visione dell'uomo suscita in Marchesi, ancora una volta, spinte e inquietudini opposte. Da un lato, un incessante « bisogno di Dio » assillò Marchesi per tutta la vita, gli fece ricercare l'amicizia di religiosi, lo spinse piú volte a cercare pace e solitudine in monasteri, pur non facendolo mai deflettere dall'ostilità piú fiera per il cattolicesimo politico, per la Chiesa ufficiale alleata degli oppressori e degli sfruttatori. Di ciò hanno scritto ampiamente, con sostanziale veridicità, due studiosi cattolici, Pietro Ferrarino (Religiosità di Marchesi, ora in appendice a SM, III, p. 1331 ss.) ed Ezio Franceschini (C. Marchesi, Padova, Antenore, 1978, pp. 121 ss., 129 ss.). Ma il Ferrarino, piú sobrio e obiettivo pur nella sua chiara professione di cattolicesimo, si è fermato a tempo, non ha voluto dimostrare l'indimostrabile sugli ultimi istanti di vita di Marchesi; il Franceschini, non per quel meschino spirito di speculazione che ha indotto tanti clericali a inventare conversioni all'ultima ora, ma per una sofferta esig[...]

[...] professione di cattolicesimo, si è fermato a tempo, non ha voluto dimostrare l'indimostrabile sugli ultimi istanti di vita di Marchesi; il Franceschini, non per quel meschino spirito di speculazione che ha indotto tanti clericali a inventare conversioni all'ultima ora, ma per una sofferta esigenza di sapere « salvato » il maestro e amico da lui amato con tanta dedizione, ha dato per dimostrata, in piena buona fede, una conversione che, da tutto ciò che sappiamo, non risulta documentabile 2. Ciò ritiene anche il La Penna (p. 52),
2 Va tuttavia notato che il libro di Franceschini non è « a senso unico »: vuol presentare come una certezza la conversione di Marchesi in punto di morte (dando a tutto il racconto dei suoi due ultimi giorni di vita un tono di « miracolo », anzi di intrecciarsi e susseguirsi di coincidenze miracolose, che non regge ad una riflessione pacata e obiettiva); ma nello stesso tempo è animato da una appassionata e dolorosa polemica contro le degenerazioni politicomorali del cattolicismo. Vale la pena di riportare la coraggiosa dedica: « A quei cattolici che con lo[...]

[...]luzioni. E il dolore dell'uomo resta immoto, se anche è rischiarato: se anche una favolosa felicità nella culla del sapiente o del santo faccia brillare le sue luci lontane ». C'è qui l'accenno vago ad una speranza, ma l'esclusione di ogni certezza; e la speranza è cosí debole da lasciare « immoto » il dolore umano (vedi anche Tacito', p. 186). Piú in là di questo punto, per quel che si può sapere, Marchesi non si spinse mai; certo, chi, pur conscio ed esperto dell'infelicità umana, intenda mantener fermo il coraggio della verità di un Leopardi (un poeta e pensatore che Marchesi cita qualche volta, ma con cui non dové consentire mai pienamente), troverà che Marchesi si era spinto già troppo oltre.
D'altra parte (e su questo si è forse sorvolato troppo) il « bisogno di Dio » era in Marchesi contrastato da una persuasione, a tratti riaffiorante, che proprio il dubbio e l'angoscia fossero il prezzo necessario della nobiltà umana, della poesia, di quella senechiana meditazione (ben diversa dall'orgogliosa sicurezza filosofica e scientifica)[...]

[...] sua implicita (e anche esplicita) svalutazione della partecipazione alla vita pubblica con le sue ambizioni e le sue meschinità 3. I poeti augustei, mediocri quando si fanno esaltatori della romanità e del principato, sono grandi quando evadono da queste strettoie: nel saggio su Virgilio del 1930, in polemica con la retorica del bimillenario virgiliano, Marchesi dice: « In un'opera di poesia che voglia essere di celebrazione storica e nazionale ciò
3 Il LA PENNA (p. 75 s.) cita, dalla prima edizione della Storia, un paragone LucrezioVirgilio a favore di Virgilio. E replica: « No: sia per `vastità poetica' sia per intensità lirica Lucrezio non ha confronti nella letteratura latina: i poeti confrontabili bisogna cercarli fra i Greci o fra i moderni ». Ma quel paragone scompare nelle successive edizioni della Storia (non saprei precisare a partire da quale: certo nella quarta non c'è), e tutto ciò che Marchesi ha scritto su Lucrezio, dal saggio marzialiano del 1905 (SM, i, p. 189, cfr. LA PENNA, p. 31 s.) alla già citata conferenza del 19[...]

[...] Il LA PENNA (p. 75 s.) cita, dalla prima edizione della Storia, un paragone LucrezioVirgilio a favore di Virgilio. E replica: « No: sia per `vastità poetica' sia per intensità lirica Lucrezio non ha confronti nella letteratura latina: i poeti confrontabili bisogna cercarli fra i Greci o fra i moderni ». Ma quel paragone scompare nelle successive edizioni della Storia (non saprei precisare a partire da quale: certo nella quarta non c'è), e tutto ciò che Marchesi ha scritto su Lucrezio, dal saggio marzialiano del 1905 (SM, i, p. 189, cfr. LA PENNA, p. 31 s.) alla già citata conferenza del 1950, denota un'ammirazione superiore a quella per Virgilio (sul lucrezianesimo di Marchesi vedi anche qui sotto, paragrafo 6). Nel saggio su Virgilio del 1930 (in Voci di antichi, pp. 1112) il paragone è esplicitamente rovesciato a favore di Lucrezio. D'altra parte, mentre capisco bene come La Penna (ed io con lui, e, per ragioni in parte diverse, già Marchesi) possa collocare Lucrezio al vertice della letteratura latina per l'ideologia, non riesco a ve[...]

[...]ioni su Lucano 5.
Anche le predilezioni di Marchesi sono talvolta pericolose, giacché egli riversa nell'interpretazione degli autori da lui piú amati una carica di autobiografismo che da un lato è preziosa per penetrarne la psicologia e l'arte, d'altro lato è spesso troppo immediata, troppo tendente all'identificazione. Si veda il caso di Marziale: indubbiamente Marchesi ha « ritagliato » un Marziale melanconico, gustatore di amori fugaci e conscio della loro fugacità, osservatore disincantato di una società caotica, precocemente invecchiato e desideroso di pace nella sua città natale; e su tutto ciò ci ha dato, a piú riprese, pagine fra le sue piú felici. Ma non ci ha detto una parola su quanto di pettegolo, di futile, di moralisticamente frusto c'è nei troppi epigrammi di Marziale (di difendere Marziale dall'accusa tradizionale di immoralità Marchesi ha tutte le ragioni; ma anche l'irrisione dell'oscenità è una forma fastidiosa di moralismo; il giudizio di Paratore su Marziale sarà troppo duro, ma ha la sua parte di verità). E d'altra parte non ci ha detto nulla neanche su quell'aspetto di vitalità sorgiva, « al di qua del bene e del male », che è un carattere di alcuni tra i piú vivi e[...]

[...]tarismo e la negazione della provvidenza divina. Ma nella Storia questa intuizione ha scarso sviluppo; e il capitolo su Lucano è oscillante e scialbo.
IL « MARCHESI » DI ANTONIO LA PENNA 645
prima edizione (Messina, Principato, 1920) tale è l'identificazione del critico col suo autore, che la parte sulle opere viene ad essere costituita in misura preponderante da lunghissimi brani tradotti, quasiché non vi fosse pressoché nulla da aggiungere a ciò che Seneca disse (questa caratteristica si attenua nella seconda edizione, che reca il segno di un faticoso rifacimento, anche se il giudizio complessivo su Seneca non muta).
Quanto a Tacito, il La Penna ha, come si è visto, indicato le ragioni per cui questo patriota, imperialista, conservatore in politica interna ha tuttavia profondamente interessato Marchesi. Oserei dire che, per alcuni aspetti (soprattutto per l'acutezza di certi giudizi politici, cfr. La Penna, p. 65 s.), il Tacito è superiore al Seneca proprio perché l'identificazione fra il critico e il suo autore è meno immediata. Fo[...]

[...]tutto il resto di quel discorso) una tale carica di demistificazione dell'impero e della pax Romana che non può non derivare dalla coscienza profonda di Tacito stesso: pare incredibile che Marchesi non se ne sia accorto. E il dire che nella Germania Tacito « lanciava un grido di allarme che era altresí grido di guerra ad oltranza » (p. 163 = 1682) non è falso, ma è parziale. Nella Germania non c'è, sicuramente, amore per i Germani, ma c'è l'angosciosa consapevolezza che la « corruzione » porterà l'impero romano alla decadenza e alla rovina, e che la salvezza può ormai venire piú dalle discordie intestine dei barbari che dalla forza militare romana (Germ. 33). In questa « cruda compiacenza » (Tac.2, p. 132) c'è molta angoscia pessimistica: meglio che nel Tacito, Marchesi la vide o intravide nelle ultime edizioni della Storia. Urgentibus imperii fatis (Germ., ivi) non sono parole di un imperialista fiducioso; e d'altra parte le considerazioni ben note sulla sanità morale dei Germani in contrapposto all'immoralità romana divenuta ormai cons[...]

[...]olezza che la « corruzione » porterà l'impero romano alla decadenza e alla rovina, e che la salvezza può ormai venire piú dalle discordie intestine dei barbari che dalla forza militare romana (Germ. 33). In questa « cruda compiacenza » (Tac.2, p. 132) c'è molta angoscia pessimistica: meglio che nel Tacito, Marchesi la vide o intravide nelle ultime edizioni della Storia. Urgentibus imperii fatis (Germ., ivi) non sono parole di un imperialista fiducioso; e d'altra parte le considerazioni ben note sulla sanità morale dei Germani in contrapposto all'immoralità romana divenuta ormai consuetudine rivelano ben altro che puri intenti artistici o retorici.
5. L'individuo e la cosmopoli. — Ancora qualche riflessione ci suggerisce il contrasto homocivis. Che l'arte diventi angusta quando si prefigge scopi « civili » anziché « umani » non è certamente, secondo Marchesi, un principio valevole per la sola letteratura latina. Marchesi stesso si richiama a Heine come modello di poeta « umano » accostabile a Marziale, dichiara
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[...]n da una regione — come la letteratura ellenica — ma da un mondo che si estendeva dal Mediterraneo all'Atlantico ». Presa alla lettera, nella sua prima parte, questa asserzione è, sia detto senza venir meno al rispetto per la memoria di Marchesi, una vera assurdità; e assurdità non minori vi sono nelle righe che abbiamo omesso, indicando l'omissione con punti sospensivi. Parrebbe che Marchesi non abbia saputo, sulla funzione del teatro in Atene, ciò che sa ogni studente di liceo. Lascia soprattutto sconcertati (anche per
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chi ricordi l'insistente e, in parte, poco fondata difesa della retorica che Marchesi ha già fatto nella Storia, if, pp. 3537) quell'accenno alle « sale di recitazione »: le declamazioni dei retori dell'età imperiale sarebbero state piú « vicine al popolo » che le orazioni di Demostene! Ma la vera motivazione di questa pur distorta idea della maggiore popolarità e modernità della letteratura latina è nelle ultime parole: la letteratura latina è il prodotto di una cosmopoli: la « m[...]

[...] concetto è espresso con molta chiarezza).
Dal passo della Storia che abbiamo citato, e da altri che si potrebbero citare, risulta che la cultura e la letteratura romana sono « un ponte » anche verso « tutte le nuove letterature » occidentali: medievali e moderne. Questa è una verità ovvia, anche se la nozione di « modernità » a cui Marchesi la connette in contrasto con la letteratura greca, può creare equivoci. Non credo, però, che in Marchesi ciò implichi un'ammirazione per le « nuove letterature » paragonabile a quella per la letteratura latina. Si possono certo raccogliere qua e là, negli scritti di Marchesi, espressioni di ammirazione per poeti moderni; ma poche, e, ciò che piú conta, molto fuggevoli. Anche le letterature medievali e moderne soffrivano in varia misura, per Marchesi, di quelle angustie « civiche » di cui la cultura romana si era liberata. Di qui proviene, fra l'altro, la sua tenace battaglia, dopo la caduta del fascismo, per l'insegnamento del latino esteso a tutti i ragazzi, o quanto piú possibile esteso (cfr. La Penna, p. 84 s.). In uno degli ultimi scritti dedicati a questo problema (ora in Umanesimo e comunismo, Roma, Editori Riuniti, 19742, p. 389) ribadiva: « Lingua morta, dunque, la lingua latina: ma in questa lingua parla al mondo una[...]

[...] nella scuola dell'obbligo? E infine è alquanto sforzato il ricorso a questa tesi da parte di un critico che, come si è detto, tranne eccezioni rarissime, citò sempre brani latini tradotti!
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uomo di Stato fu il fondatore dell'impero romano quale organismo politico universale »7. In confronto a Cesare, Augusto, osserva il La Penna (p. 76),
« non riscuote un'ammirazione neppure lontanamente paragonabile ». Ciò mi sembra vero soltanto in parte. Certo Marchesi non ha attribuito ad Augusto la genialità di Cesare, né lo poteva; ma non ha nemmeno accentuato, come altri studiosi, il contrasto fra la mediocrità dell'uno e la grandezza dell'altro. Anche ad Augusto è tributata una viva lode per quel punto che piú importa a Marchesi: « Con uguale risolutezza procede la politica unitaria provinciale che tende ad associare l'Italia alle provincie
e a costituire il grande impero romano al posto di quello Stato cittadino che vedeva nelle provincie un semplice campo di sfruttamento » (Storia, i', p. 356). E in u[...]

[...]er la morte »!
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vano e dicevano che per opera dei Romani la terra era divenuta patria comune ».
Certo, sarebbe non troppo difficile raccogliere dalle pagine di Marchesi un controflorilegio di passi di condanna del dispotismo, di rivendicazioni libertarie e vagamente sociali. Ma in complesso prevalse in lui l'idea che la creazione di questa « patria comune » valesse il prezzo del dispotismo piú o meno illuminato, perché ciò che si era perduto in libertà politica si era guadagnato in libertà interiore. « Il principato aveva soppresso le lotte di fazione e le libertà politiche, ma aveva stimolato la libertà individuale. L'individuo che prima viveva per le fazioni, ora vive per se stesso e sente di piú se stesso, ed è meno cittadino e piú uomo » (Storia, II', p. 37).
6. La formazione tardoottocentesca di Marchesi. — Anche per un nemico della filosofia come Marchesi non si può rinunciare a chiedersi in quale clima culturale e ideologico si sia formata (e poi, eventualmente, sviluppata e mutata) la sua visione della[...]

[...] furono effettivamente in Marchesi. Io credo, tuttavia, che l'interpretazione di La Penna sia troppo sforzata in senso idealistico, e che Marchesi abbia non soltanto assorbito da giovane, ma sostanzialmente conservato fino all'ultimo un'impostazione ideologica e culturale (e, piú largamente, « umana », psicologica) tardopositivistica. Credo, anche, che di questo tardo positivismo a cui Marchesi appartenne non si debba mettere in risalto soltanto ciò che è, in qualche modo, preidealistico (o meglio prespiritualistico), ma anche ciò rispetto a cui il successivo idealismo e spiritualismo rappresentò una frattura e una svolta. E, pur riconoscendo ovviamente che il tardo positivismo ebbe connotati suoi propri, non dimenticherei che certi aspetti che si trovano nella Weltanschauung di Marchesi sono presenti in alcuni notevoli filoni del positivismo fin dall'inizio.
Sarò costretto a ricordare cose che non costituiscono alcuna novità (fra l'altro, c'è attualmente un rifiorire di studi sul positivismo, e il poco che rammenterò apparirà, ad un tempo, scontato e troppo generico); ma il mio scopo è soltanto di dare alcuni punti d[...]

[...]ostituiva un'apertura a vaghe speranze religiosizzanti.
Ebbene, a me sembra che qui troviamo la matrice di quella concezione dell'uomo « angosciato » che Marchesi visse in prima persona e rivisse negli autori antichi a lui piú cari. La scienza alla quale egli si riferisce è la scienza materialistica, a cui egli non muove propriamente un rimprovero di « falsità » (ché, altrimenti, se in questo mondo lo Spirito regnasse, il dolore e il senso angoscioso di finitudine dell'uomo non avrebbero ragion d'essere), ma di orgoglio ottimistico, di pretesa di fugare il « mistero ». Ancora nel 1956, un anno prima della morte, diceva (Umanesimo e comunismo, p. 32): « Sappiamo che oltre la realtà tangibile e sperimentabile c'è l'ignoto e l'inconoscibile, c'è la favola e il sogno ». Questo, in pieno secondo Novecento, è ancora Graf o Pascoli o addirittura Spencer, non certamente Croce né Bergson. Anagraficamente piú giovane di Croce e di Gentile e, piú ancora, di Bergson, Marchesi restò sempre ancorato a una formazione spirituale anteriore.
Alcuni di q[...]

[...]nni scrisse, accanto a banalità antisocialiste, parole dignitose di replica a chi lo sollecitava a una conversione. Ma in verità, se si confrontano gli scritti dei
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convertiti (per esempio il famoso Per una fede di Arturo Graf) con quelli dei non convertiti, si vede che non c'è quasi nessuna differenza: anche i convertiti continuarono a sentire piú il mistero, con le sue ansie, che la fede o la certezza. E ciò conferma quanto abbiamo già detto, sulle orme del La Penna, riguardo alle forzature dell'interpretazione cattolica della personalità di Marchesi.
In tale atmosfera tardoottocentesca una parte importante la ebbe un modo particolare di intendere Lucrezio, come seguace di un materialismo che avrebbe dovuto liberare l'anima dalle ansie e dai timori, esaltatore del suo maestro Epicuro proprio per questa azione liberatrice, eppure soggiacente esso stesso a una visione desolata della vita e ad un'angoscia che costituirebbe il piú verace motivo ispiratore della sua poesia. Questa interpretazione — i[...]

[...]hesi.
Pur con tutti i nessi fra tardo positivismo e neoidealismo, uno spartiacque rimane abbastanza netto: la filosofia e, piú in generale, la visione del mondo che prevale nel primo Novecento rappresenta una rivincita dell'antropocentrismo e una tendenza alla dissoluzione della materia come limite alla libertà e al « potere » dell'uomo. In Croce e in Gentile, la natura è ridotta a mero oggetto di conoscenza (o di conoscenzaazione) umana; tutto ciò che nell'uomo vi è di debole e di effimero è attribuito all'« io empirico », pura astrazione, mentre l'Io assoluto riassume tutti i caratteri della divinità; in Bergson (come nei suoi piú mediocri precursori francesi) permane, anzi da ultimo si accentuerà, la trascendenza, ma la natura è smaterializzata, investita di vitalismo, cessa quindi di ergersi di fronte all'uomo come forza ostile. Rispetto a questo spartiacque, Marchesi rimase « al di qua ». La filosofia antipositivistica del Novecento era trionfalistica: negava la scienza ottocentesca, ma negava anche il « mistero », e disprezzava il[...]

[...] sempre contemporanea, né verso l'Atto puro di Gentile. Croce e, con molto maggiore nettezza e coerenza, Gentile sapevano che una filosofia che pone come unica realtà il Soggetto assoluto deve distruggere anche la nozione empirica di tempo: non esiste un prima e un dopo cronologico, ma soltanto logico, una « storia ideale eterna » che è il ritmo dialettico dell'eterno Presente. A tutta questa costruzione Marchesi rimase estraneo (e per la verità ciò non fu un danno: a volte la debo
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lezza filosofica, che in sé è certo un limite, salva dai cavilli e dalle mistificazioni della filosofia). Il « presente del passato » e il « presente del futuro » sono per Marchesi l'eterno ripetersi della vicenda umana, costituita di infelicità e, per la maggior parte degli uomini, di meschinità ed egoismo, di sopraffazioni compiute
e di sopraffazioni sofferte. Nel Tacito (2a ed., p. 244), dopo una delle tante allusioni a quel passo di Agostino, aggiungeva a commento: « In verità la storia è il continuo e sempre rinno[...]

[...]costerei Marchesi — come, sia pure cautamente, fa il La Penna, p. 56, cfr. 36 — a un irrazionalismo vitalistico di tipo nietzschiano
o bergsoniano. Le ragioni le ho in parte già dette; aggiungerei che una cosa è la valutazione del « sapore immediato della vita » espresso dall'arte, quale Marchesi ritrovava nei suoi amati Petronio e Marziale, un'altra è il vitalismo affermatosi tra fine Ottocento e prime) Novecento. « Volontà di potenza », « slancio vitale » sono concetti e sentimenti estranei a chi sentiva tutta la propria vita dominata da « ansietà e sazietà », a chi diceva: « le cose, appena le tocco, mi diventano vecchie » (cfr. Franceschini, op. cit., p. 21), a chi si identificava soprattutto in Seneca (in quel Seneca cosí poco amato da Nietzsche), ossia in un « preparatore alla morte ». Con molte riserve parlerei anche di estetismo, perché Marchesi non ha mai pregiato l'arte per l'arte, ma ha visto in essa, come s'è detto, un modo di rappresentare il dramma umano e di consolare (parzialmente) dall'infelicità. Chiamerei estetizzanti[...]

[...]ratterizzazione capolavori come il Virgilio nel Medio Evo del Comparetti; ma non vi si sottrae del tutto il Carducci (a
9 Specialmente negli ultimi anni, e in scritti di argomento estraneo alla letteratura latina, l'accenno ai « tre presenti » compare piú volte, anche senza che Agostino sia nominato: cfr. Umanesimo e comunismo, pp. 30, 45, 182, 342; ma in una forma estremamente generica, per significare l'intero corso della storia umana, oppure ciò che è sempre attuale. Si ha l'impressione che Marchesi si fosse innamorato della formula in quanto tale (nel terzo dei passi ora citati la usa addirittura in senso ironico) piú che del suo significato filosofico o teologico.
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SEBASTIANO 'TIMPANARO
parte la « retorica civile » estranea a Marchesi), e meno ancora tutta la schiera degli eruditiletterati carducciani; e non vi si sottrae, malgrado la grande diversità di temperamento dal Carducci, il Graf, uno dei fondatori del severo « Giornale storico della letteratura italiana » e, nello stesso tempo, troppo artista e troppo psicologista c[...]

[...]stica prevalgono, come quantità e anche come valore, sulla filologia classica, seguendo l'esempio di Remigio Sabbadini, anche lui, malgrado le cure date al testo di Virgilio, migliore studioso dell'umanesimo che della letteratura latina antica. Di questa produzione giovanile di Marchesi tratta in modo eccellente il La Penna nel cap. ir del suo saggio, e io non ho nulla da aggiungere; qualcosa, piú oltre, dirò del Marchesi filologo classico.
Con ciò non intendo certo sostenere che Marchesi abbia trascorso la maggior parte della sua vita intellettuale chiuso dentro una corazza tardopositivistica, insensibile ad ogni influsso del neoidealismo e dell'irrazionalismo novecentesco. La condanna del filologismo (quale appare specialmente nella prolusione del 1923, per poi attenuarsi), la preferenza per la critica letteraria monografica o per la storia come « collezione di monografie », erano aspetti della sua personalità che — uso una felice espressione del La Penna, p. 78, a proposito della Storia della letteratura latina — « convergevano con u[...]

[...]risulta dal libro stesso di Franceschini, ebbe vivi rapporti di affetto con Primo Mazzolari (un prete a cui la Chiesa rese difficile la vita), e, ormai al di fuori dell'area cattolica ma sempre entro il cristianesimo, con l'eretico Ernesto Buonaiuti (oltre la testimonianza coraggiosa di Franceschini, vedi anche, per i rapporti intellettuali fra i due a proposito della versione del1'Apologeticum di Tertulliano, l'introduzione di E. Paratore a Minucio Felice, Ottavio, Bari, Laterza, 1971, e a Tertulliano, Apologetico, trad. di E. Buonaiuti, ivi, 1972; ed E. Buonaiuti, La vita allo sbaraglio, a cura di Ambrogio Donini, Firenze 1980, p. 469 e n. 5). Tra gli idealisti il suo amico piú intimo fu Valgimigli (vedi ora Giorgio Valgimigli, C. Marchesi amico di casa Valgimigli, « Belfagor » xxxv, 1980, p. 202 ss.), certo molto piú vicino a Croce di quanto fosse Marchesi, ma non tanto crociano da rinunciare alla fedeltà a Carducci (anche al Carducci critico) e a Pascoli, e a un tipo di critica che era anch'essa « arte sull'arte », benché con uno sti[...]

[...] »; ma quella polemica aveva pure un suo valore difensivo non disprezzabile); la sua stessa passionale difesa di Stalin all'viiz Congresso del Pci nel 1956, politicamente aberrante, non mancò di una certa dignità di fronte ai destalinizzatori italiani dell'ultima ora (e destalinizzatori solo in superficie), i quali, a cominciare da Togliatti, avevano pronunciato all'indirizzo di Stalin vivo e potente, o appena morto, le piú vergognose piaggerie. Ciò forse andava ricordato a p. 87 del libro del La Penna, pur tenendo fermo che non è attraverso le nostalgie staliniste (o stalinisteumaniste) che si può ricreare una prospettiva socialista. Ma certo il suo prestigio di grande umanista dovette, con ragione, apparire prezioso a Togliatti: di qui quelle parole troppo ditirambiche (in un uomo intelligente e, al tempo stesso, freddo e privo di senso dell'amicizia) per essere sincere.
7. Marchesi socialista nel primo Novecento. — Avendo accennato al Marchesi politico, siamo ancora una volta (l'ultima) ricondotti al clima tardoottocentesco della sua[...]

[...]ntesi che nel cap. i del suo libro il La Penna ricava dai documenti a nostra disposizione (io ho soltanto dei dubbi su un presunto legame tra il socialismo di Marchesi e l'esaltazione, che in lui riaffiorò poi sempre, del libero amore e il suo senso di fastidio per l'amore coniugale: il libero amore come lo concepisce Marchesi è troppo collegato al disprezzo per la donna, vagheggiata solo come oggetto di fugace piacere, come etèra: una Anna Kuliscioff, una Anna Maria Mozzoni non sarebbero piaciute affatto a Marchesi) .
Con l'umanitarismo e con un pessimismo di fondo coesisteva, in molti di codesti intellettuali, una convinzione nella « fatalità » dell'avvento al potere del proletariato. Questa convinzione era, com'è noto, tipica del marxismo della Seconda Internazionale (e del resto non era stata affatto estranea, seppure in forma meno schematica, agli stessi Marx ed Engels; e il volontarismo dei marxisti occidentali novecenteschi produsse poi, e tuttora produce, aberrazioni ben peggiori). Ma in chi si sentiva legato tuttora, per molti [...]

[...] Graf a Turati. Ancora nel 1956, un anno prima della morte, rievocando in un discorso la sua adesione al socialismo, la attribuiva da un lato a un profondo senso di giustizia offeso per la miseria dei contadini siciliani, dall'altro (dopo brevi fasi di proudhonismo e di mazzinianesimo) alla lettura del Manifesto: una lettura in cui il momento « fatalistico » e avalutativo acquistava uno spicco preponderante. « Quell'opuscolo [ ... ] non parla di ciò che è bene e di ciò che è male, ma di ciò che avviene e diviene nella società umana; non parla in nome del diritto naturale o della ragione suprema, ma in nome di una realtà che, piaccia o n o , bisogna riconoscere nel fluire stesso delle cose E...]. Diceva ciò che è, non ciò che dovrebbe essere, ciò che accade, non ciò che dovrebbe accadere: ciò che accade necessariamente. E qui sentivo la forza di quelle parole, in questo imperativo della necessità » (Umanesimo e comunismo, p. 30 s.).
Qui ancora la necessità è vista come qualcosa che dà incentivo alla lotta; e quel « piaccia o no » non autorizza certo a pensare che al giovane Marchesi degli anni Novanta (e tanto meno al Marchesi vecchio che rievocava quel lontano se stesso) la prospettiva del socialismo « non piacesse ». Ma in un articolo del 1908 su Orazio (SM, ii, pp. 545561) la concezione fatalistica conduce Marchesi a enunciazioni che vanno assai al di là della lettera di Graf [...]

[...]anto, negli ultimi anni —, qui mi sembra che si assista a un vero momento di acuta crisi. Marchesi proprio in quell'anno era consigliere comunale socialista (eletto in una lista democratica) a Pisa; e i suoi pochi interventi, per lo piú
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dedicati a problemi amministrativi, ma comunque non deroganti da una linea politica socialista (e uno, anche, pacatamente ma nettamente contrario alla degenerazione del patriottismo in sciovinismo guerrafondaio), sono
stati pubblicati recentemente, purtroppo senza adeguato corredo di notizie sull'attività politica piú generale da lui svolta in quel periodo (C. Marchesi, Interventi al Consiglio comunale di Pisa, Pisa, Amministrazione provinciale, 1978).
_ Eppure, in quell'articolo Marchesi separa nel modo piú crudo l'idea dell'ineluttabilità del socialismo (una ineluttabilità che tuttavia non esclude un periodo ancora non breve, e altrettanto necessario, di dominio dei borghesi, « portentosi dominatori di due epoche e fattori straordinari di due civiltà », p. 561) dalla sua eff[...]

[...], di dominio dei borghesi, « portentosi dominatori di due epoche e fattori straordinari di due civiltà », p. 561) dalla sua efficacia benefica. Anzi, l'avvento del socialismo è preveduto chiaramente, almeno nella sua prima fase, come un disastro: « Si può essere socialisti per sincerità di dottrina economica e per buona notizia di procedimenti sociali; cosí come il geologo può prevedere una eruzione e il fisico una tempesta: senza che affermi perciò il beneficio o la bellezza del fenomeno naturale che si compirà » (p. 558). Di fronte a questo nuovo ordine sociale, in cui « chi piú lavora si affermerà su chi meglio lavora » (ibid.: cioè il bruto e inintelligente lavoro manuale avrà il sopravvento sul meno faticoso ma piú « meritevole » lavoro intellettuale!), Marchesi afferma il proprio diritto ai « sorrisi amari » e a « reclamare sempre [ ... ] il divorzio spirituale dalle moltitudini ». E per le « moltitudini », per la « plebe », per la « folla » (parole con cui Marchesi designa, indifferentemente, ora le classi subalterne dei tempi di Orazio, ora il proletariato del secolo xx) lo scrittore ha insieme un disprezzo « spirituale » e un odiotimore fisico. Parla (riportando, con forzature, espressioni oraziane, e condividendo[...]

[...]546). Afferma sarcasticamente (ibid.) che « nessun liber uomo del popolo » si è mai battuto per la tutela dei « diritti individuali » (quando, poi, Stalin fece quel che fece dei « diritti individuali », Marchesi plaudi).
Passata la fase violenta della rivoluzione, sarà la « moltitudine » capace di creare una nuova civiltà? Marchesi sembra negarlo: « Niuno può raddrizzare le gambe agli storpi »; volere « far migliore » la moltitudine è pazzia; e ciò vale per la società in assoluto, « tutta quella che fu e sarà sempre » (p. 555). Il finale dell'articolo accenna vagamente ad una maggiore giustizia sociale (molto vagamente, perché la nozione stessa di giustizia sociale svanisce se si ritiene che il proletariato sia una marmaglia inguaribilmente inferiore), ma si sofferma sul terribile prezzo che ciò costerà: perdita dell'« amore », vuoto « al posto di Dio che irraggiava di beatitudine le anime delle sue creature e dell'imperadore che movea oste per la sua gente » (curioso, sul finire di questo articolo oraziano, questo rimpianto « medievale »). Che avremo al posto di tutto ciò? « I nuovi
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canti del lavoro? Oh forse, no. » L'unica speranza è che « noi » (noi intellettuali umanisti) riusciamo a far rivivere, « con i canti della Georgica immortale, il sorriso e lo scherno della sapienza oraziana » (p. 561). Si noti il dilemma: o una poesia populistica e retorica, o la reviviscenza della grande poesia antica. Una cultura, una poesia nuova che si innalzi un po' al di sopra dell'Inno dei lavoratori è esclusa a priori da Marchesi.
Il 1908 cade in un periodo in cui gran parte dell'intelligencija italiana, che si era accostata al soc[...]

[...] che si prevede ». E quanto alla cultura del mondo futuro (socialista o no), si dimostrava piú progressista di Marchesi: « Quanto a noi, adoriamo con razionale ossequio e il buon Virgilio e lo scettico Orazio [ ... ] ; ma non possiamo credere che essi rappresentino, oltreché il passato, anche l'avvenire della civiltà; crediamo, anzi, che anch'esso il mondo avvenire troverà il suo appropriato verbo poetico ». Marchesi si era messo in un bell'impiccio; e nella sua risposta (Senza amore, senza Dio, senza arte?, « Giornale d'Italia », 30 luglio 1908) cercò, bisogna dirlo, di cambiare le carte in tavola. Da un lato affermò di aver voluto, quanto ad Orazio, « fare soltanto opera di divulgazione », sfatando la diceria di Orazio poeta cortigiano; dall'altro dichiarò: « Sono socialista, tutto d'un pezzo, e sul serio », e finse di essersi battuto soltanto contro certi fraintendimenti della dottrina socialista. Dei propri insulti alla « moltitudine » non fece parola (mentre essi occupavano gran parte dell'articolo oraziano); e dopo aver deplorato i[...]

[...]iuste. E rimane ovvio che per la sua indole stessa di criticoartista, per la sua polemica contro il « filologismo » che assieme al filologismo tendeva a svalutare la filologia, Marchesi non poteva riuscire un filologo di prima grandezza: il centro della sua personalità e dei suoi interessi era altrove.
Su due punti, tuttavia, mi sembra necessaria una precisazione. Per quel che riguarda il primo periodo dell'attività criticotestuale di Marchesi (cioè fino all'Arnobio escluso), mentre le edizioni dell'Orator, del De magia e dell'Ars amatoria vanno abbandonate senza rimpianti al giudizio negativo del La Penna — si potrà sempre discutere su qualche singolo passo, ma il quadro d'insieme non muta —, quella del Tieste di Seneca è un'edizione che presenta alcune imprecisioni di metodo nella trattazione sui codici, alcune scelte di varianti erronee o discutibili, purtroppo anche un terribile manes in fine di trimetro giambico (al v. 93: fra i « guasti » segnalati dal La Penna a p. 27 manca questo, che è certamente il piú spiacevole, tanto più in[...]

[...]t, 255 modum, 302 preces. movebunt, 326 patri cliens, 740 ac, 833 et ignes, 890 implebo patrem, 994 abdidit, 1008 te nosque, 1084 haec) la lezione prescelta dal Marchesi è oggi accolta (cfr. anche i « fartasse recte » del Giardina a 180 e 322). In alcuni casi si tratta di scelte a favore di A, nelle quali il Marchesi precorse il Carlsson o altri studiosi, in uno di scelta a favore di E (v. 26: qui il Leo e il Richter avevano preferito ne di A, e ciò dimostra che Marchesi non aveva pregiudizi uniláterali contro l'Etrusco), in molti altri di conservazione della lezione di tutti i mss. Il La Penna, mentre enumera (p. 27) alcuni passi in cui il Marchesi ha sicuramente o probabilmente torto, non fa cenno (tranne che per il v. 302) dei casi, tutto sommato piú numerosi, in cui ha ragione contro Lea e Richter (talvolta la lezione giusta era stata già prescelta da vecchi filologi; ma è pur sempre un merito del Marchesi l'averla rivalutata contro le edizioni allora piú recenti e accreditate). Al v. 715 tantum scelus di A (preferito dal Marchesi co[...]

[...]ni anteriori a quella di Arnobio (il che non esclude, come si è visto, che in parecchi casi, a proposito del Tieste di Seneca, egli avesse ragione): sia pure con minore virulenza di un Romagnoli, aveva anch'egli accolto la connotazione patriottica del proprio indirizzo criticotestuale: nell'introduzione al Tieste il Leo e il Richter sono chiamati, in contesti polemici, « gli studiosi tedeschi », « gli editori tedeschi » (pp. 29, 38), e di « pernicioso influsso germanico », di « metodiche aberrazioni della cultura germanica » a cui gli italiani devono opporre « una cultura latina [ ... ] fondata sul "buon senso" ch'è sapientia » si parla con insistenza — riferendosi anche alla critica testuale — in Filologia
e filologismo (SM, in, pp. 1237, 1241; cfr. La Penna, p. 54). Ben diverso, anche se ebbe i suoi occasionali eccessi, era il conservatorismo criticotestuale della scuola svedese. Esso partiva dallo studio dei testi latini tardi, dai fatti lessicali e sintattici che da un lato anticipavano molti sviluppi delle lingue romanze, dall'altr[...]

[...]i anni 190418, quando Marchesi non aveva ancora quel gusto per la filologia « puntuale » che gli venne piú tardi. Io suppongo, diversamente da Franceschini (op. cit., p. 157), che sia stata questa svolta a non fargli ripubblicare in alcuno dei suoi volumi piú tardi la prolusione Filologia e filologismo, e, aggiungo, a fargli apprezzare lavori di filologia « arida » come gli Studi sui Topici del Riposati (dr. Franceschini, p. 44). Ma, detto tutto ciò, vorrei ancora pregare di non frainten
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dermi: anche nell'ultimo Marchesi la filologia, pur tanto meglio apprezzata e praticata, rimase un'attività marginale.
9. Tommaso Fiore e gli « intellettuali disorganici ». — Se ora, dopo essermi soffermato cosí a lungo sul Marchesi di La Penna (mettendo a dura prova la pazienza dell'eventuale lettore), non mi soffermo sul piú breve saggio su Tommaso Fiore interprete di Virgilio (pp. 107131), non è perché non lo consideri degno del precedente, ma soltanto perché lo spazio ormai manca e perché in questo caso non [...]

[...]anto il titolo prometta: il La Penna non parla soltanto del saggio di Fiore su Virgilio, ma anche di quelli su SainteBeuve e su Tommaso Moro, e delle dispense di un suo corso universitario su Ovidio. Su Virgilio e su SainteBeuve le pagine del La Penna sono preziose anche per l'interpretazione diretta di questi autoli, non soltanto per comprendere e valutare il giudizio che ne dette Tommaso Fiore (del quale, d'altronde, il La Penna traccia di scorcio una caratterizzazione viva e convincente, di crociano forse troppo ortodosso, ma ricco anche di fermenti moralistici e antigiustificazionistici che fuoriescono dal crocianesimo). Convinto come sono da tempo che il concetto di « intellettuale organico », già non immune da forti pericoli in Gramsci stesso, è divenuto fuorviante da quando lo si è esteso ad ambiti e a problemi diversi da quelli in funzione dei quali Gramsci lo aveva ideato, ho letto con particolare gioia queste parole (p. 113 s.):
Anche nell'interpretare Virgilio forse egli [Fiore] guardava a quella catena di intellettuali disor[...]

[...]a, attualmente minoritaria ma non disposta a capitolare, Antonio La Penna è oggi un rappresentante di primo piano, non solo in Italia. Nelle sue opere (nelle maggiori che ben conosciamo e ammiriamo, e in questa che soltanto per la mole, non per la forza dell'ingegno, è « minore ») l'obiettività della ricostruzione e del giudizio storico e la partecipazione a una battaglia politicoculturale non si contraddicono mai, ma si potenziano a vicenda. Perciò mi piace, al di là di episodiche divergenze su punti particolari, esprimergli ancora una volta il mio sostanziale accordo.
SEBASTIANO TIMPANARO



da Francesco Cataluccio, Il Congo Belga nel nazionalismo africano in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]te e dello sviluppo politico e culturale delle diverse società africane, che impegna governi partiti movimenti associazioni, e che si snoda in una fitta catena di incontri convegni e congressi. Non tutto — s'intende — é modello organizzativo e chiarezza di metodo, senso del reale e coerenza dottrinale, ma nel dinamismo delle iniziative e nel calore, non sempre disciplinato, dei contatti, c'è costante il segno di una sicura vitalità, e il preannuncio di una feconda maturazione di 'propositi, di direttive d'azione.
Se il tema dell'emancipazione dalla dipendenza coloniale, con lo scambio delle esperienze di lotta e con la ricerca dei mezzi per coordinare i singoli sforzi e dare concretezza di espressione alla
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reciproca solidarietà, sta il più spesso al centro di tali contatti, non meno viva si rivela la preoccupazione di non risolvere tutto il problema africano nel dato dell'indipendenza, ma di affrontare i problemi organizzativi del continente africano dal punto di vista sia della struttura interna dei nuovi organismi statali sia dei limiti e delle premesse ideologiche d'una unità africana. L'impegno in questa seconda direzione tende ad accentuarsi a misura che si prospetta più chiaramente lo sbocco positivo della lotta nazionale africana, come é dimostrato dal fatto che a porlo in primo pian[...]

[...]di esperienze compiute durante il regime coloniale, particolari valutazioni degli interessi collettivi connessi alla. origine sociale dei gruppi politici impegnati nella discussione, certa differenziata impostazione dei problemi derivante dalla situa zione economica e dal grado di sviluppo culturale di ciascuna popolazione.
Sotto gli aspetti culturale sociale politico, non è possibile immaginare area più frazionata e caotica di quella africana. Ciò può dare l'illusione che ci si possa muovere con maggiore libertà di iniziative, come un urbanista che non trovi al giuoco della sua fantasia ostacoli di valori storici da rispettare, ma toglie d'altra parte ogni punto di riferimento sicuro per il successo politico delle iniziative da prendere, rende problematico l'innesto di idee moder, ne sulla vecchia organizzazione di vita, minaccia continui trabocchetti a costruzioni statali o nazionali che pur rispondono a premesse e impulsi di genuina validità. La realtà é che, a differenza del continente asiatico, in Africa, specie nell'Africa nera, h[...]

[...]ritrovarsi dopo una latta assai aspra contro la potenza coloniale — talvolta resa più aspra dalla resistenza psicologica e sociale di parte dello stesso gruppo nazionale — con problemi politici economici di estrema complessità e persino col problema di definirsi nazionalmente.
A tre dei molti congressi riunitisi di recente conviene accennare, come a quelli che meglio hanno puntualizzato i due aspetti dell'attuale evoluzione africana, la rottura cioè del vincolo di dipendenza coloniale e la organizzazione politica dell'Africa divenuta arbitra della sua vita.
Il primo si è svolto a Accra capitale del Ghana dall'8 al 13 dicembre 1958 sotto la presidenza d'una forte personalità dell'odierno nazionalismo africano, il kenyese Tom Mboya. Preceduto (1522 aprile), nella stessa Accra, da una conferenza degli stati già giunti all'indipendenza, e definito « conferenza panafricana » in effetti vi hanno preso parte, attraverso duecento delegati, venticinque paesi del continente — il congresso ha presentato un netto obiettivo anticoloniale, ha mirat[...]

[...]del Ghana dall'8 al 13 dicembre 1958 sotto la presidenza d'una forte personalità dell'odierno nazionalismo africano, il kenyese Tom Mboya. Preceduto (1522 aprile), nella stessa Accra, da una conferenza degli stati già giunti all'indipendenza, e definito « conferenza panafricana » in effetti vi hanno preso parte, attraverso duecento delegati, venticinque paesi del continente — il congresso ha presentato un netto obiettivo anticoloniale, ha mirato cioè a preparare, secondo l'espressione del suo promotore, il primo ministro ghanese Kwame Nkrumah, « l'assalto finale all'imperialismo e al colonialismo ». La dichiarazione conclusiva della conferenza è perentoria nell'atto di accusa contra il regime coloniale: « La conferenza condanna e addita al disprezzo il sistema del colonialismo e dell'imperialismo nei territori coloniali britannici e francesi, che ha raggiunto le forme più acute e disumane in Algeria, Camerun, Africa centrale, Kenya, Sudafrica, nei territori portoghesi di Angola, Mozambico, isole Principe e San Tommaso, dove la popolazion[...]

[...]tannici e francesi, che ha raggiunto le forme più acute e disumane in Algeria, Camerun, Africa centrale, Kenya, Sudafrica, nei territori portoghesi di Angola, Mozambico, isole Principe e San Tommaso, dove la popolazione indigena vive sotto un regime di fascismo coloniale; denuncia lo sfruttamento delle risorse nazionali e della manodopera di questi territori; denuncia la violazione dei diritti umani e democratici proclamati
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dalla Carta delle Nazioni Unite; denuncia la segregazione razziale, il sistema delle riserve e delle altre forme di discriminazione razziale e la barriera del colore; denuncia il lavoro schiavistico nei territori di Angola, Mozambico, Congo belga, Africa meridionale e sudoccidentale; denuncia la politica svolta nell'Africa centrale e nell'Unione Sudafricana, dove la dominazione della minoranza sulla maggioranza é basata sulla dottrina razziale della discriminazione; denuncia la confisca delle terre migliori degli africani a vantaggio dei colonialisti europei; denuncia la militarizzazione del[...]

[...]tà dell'ovest africano, sotto l'egida del Congresso per la libertà della cultura. Il tema di studio della riunione, « Governo rappresentativo e progresso nazionale », consente di esaminare, tra gli altri, i problemi della tribù, della nazione e della federazione. Universitari e uomini politici, partendo dalla
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constatazione che i nuovi stati africani sorgono da una geografia politica arbitraria artificiosa, dettata in gran parte dal giuoco di spartizione e di equilibrio di potenza dei governi coloniali nel sec. XIX, si sforzano di individuare l'entità dell'ostacolo creato dalle diverse esperienze politiche e dalle diverse situazioni linguistiche e culturali al raggruppamento dei nuovi organismi nazionali. Lo studio del problema porta al tentativo di definire la « personalità africana », al confronto tra la teoria del panafricanismo di Giorgio Padmore, la teoria della negrità di Leopoldo Senghor e del gruppo che fa capo alla rivista Présence africaine, e le posizioni di Nkrumah e altri gruppi [...]

[...] non è solo liberazione della presenza coloniale ma anche liberazione totale dello spirito del colonizzato. Messo fuori della storia, lo scrittore
e artista africano tende e spersonalizzarsi sotto l'influenza della cultura occidentale e a lungo andare egli si trova isolato nel suo stesso ambiente naturale di fronte a contadini, artigiani restati immuni da ogni timore o complesso ed estranei a cultura abitudini
e valori del regime coloniale. Perciò, nella costruzione della società dei paesi liberati dal colonialismo, l'intellettuale deve rifarsi alla cultura del popolo, alla vita reale; perciò la decolonizzazione deve avere contenuto rivoluzionario, senza indipendenza « per gradi » e senza « tappe verso l'indipendenza ».
Osservando che il congresso é « un congresso di ladri di lingue », il poeta malgascio J. Rabemananjara mette in rilievo il dato obiettivo più importante per spiegare la difficoltà degli scrittori
e degli uomini di cultura negri ad avere una visione unitaria dei. problemi della loro civiltà. Al termine dell'incontro però essi riescono a trarre fuori taluni elementi positivi d'azione suggeriti dall'urto stesso di tendenze e di valutazioni che ha dominato le discussioni. La risoluzione finale suggerisce di: ristudiare scientificamente la storia dell'Africa; formare gruppi di storici; istituire archivi e biblioteche; riprendere in esame i sistemi associativi di base e soprattutto[...]

[...]cono a trarre fuori taluni elementi positivi d'azione suggeriti dall'urto stesso di tendenze e di valutazioni che ha dominato le discussioni. La risoluzione finale suggerisce di: ristudiare scientificamente la storia dell'Africa; formare gruppi di storici; istituire archivi e biblioteche; riprendere in esame i sistemi associativi di base e soprattutto la democrazia comunitaria per elaborare forme nuove di vita comune; orientarsi nel grande intreccio di oltre seicento lingue e dialetti dell'Africa, scegliendo per i suoi elementi
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comuni quella lingua (swaili, bambara, ulof, malgascio, senegalese) che possa diventare in breve lingua continentale attraverso l'insegnamento obbligatorio in tutte le scuole africane; curare il passaggio dalla forma orale a quella scritta delle opere letterarie; sviluppare il dialogo ai fini d'una comprensione reciproca tra le religioni cattolica, protestante, musulmana e animista prevalenti in Africa. In definitiva il congresso dice agli africani: siate cattolici, siate marxisti, siate fedeli a qualsiasi ideologia che soddisfi le vostre esigenze intellettuali e morali, ma africanizzate la vostra ideologia, adattatela alla realtà culturale polit[...]

[...]sua personalità originale, la sua capacità di universalizzarsi, di portare un contributo autonomo alla soluzione dei grandi problemi dell'umanità.
***
Dibattiti e discussioni e polemiche sui problemi relativi al proprio sviluppo nazionale, ad opera dei circoli politici e culturali del continente nero, si svolgono nel vivo di un processo di trasformazione del mondo africano del quale sono oggi individuabili alcune caratteristiche fondamentali.
Ciò che più salta agli occhi é l'impetuosità del movimento verso l'autonomia delle popolazioni sottoposte a regime coloniale. Non vi é dubbio che il mondo coloniale africano, ch'era il più compatto e vasto alla fine della seconda guerra mondiale, tende a disgregarsi ogni giorno più facendo posto a stati autonomi o allentando i suoi vincoli in misura tale da rendere inevitabili ulteriori concessioni, a breve scadenza, all'impulso di autonomia delle popolazioni indigene. Risveglio economico e culturale e quindi politico degli indigeni, indebolimento della capacità espansiva delle potenze coloniali,[...]

[...]le e quindi politico degli indigeni, indebolimento della capacità espansiva delle potenze coloniali, preponderanza nello scacchiere internazionale di stati anticoloniali quali l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti, attiva solidarietà di governi affrancatisi di recente dalla amministrazione coloniale, presenza sollecitatrice dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, convergono verso l'identico obiettivo di porre in crisi il
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regime coloniale. Non tenendo conto dell'Egitto e dell'Africa settentrionale francese (Tunisia Marocco Algeria, quest'ultima tuttora in lotta di riconquista della propria individualità nazionale), dove il dominio coloniale aveva particolare carattere, né della breve parentesi coloniale dell'Etiopia dal 1936 al 1941, nell'ultimo decennio sono usciti dal mondo .coloniale Libia, Sudan, Eritrea, Costa d'Oro (Ghana), Guinea francese; mentre sono alla soglia dell'indipendenza la Somalia sotto amministrazione fiduciaria italiana, íl Camerun sotto amministrazione fiduciaria in parte francese e in pa[...]

[...]ica equatoriale francese, Congo belga e colonie portoghesi). « Col vostro voto », afferma il presidente dell'assemblea costituente a Dakar Modibo Keita il 17 gennaio 1959 all'atto della proclamazione della Federazione del Mali, « voi avete gettato le fondamenta dell'unità africana. Voi siete gli architetti della Federazione dell'Africa occidentale. Ora dovete diventare i crociati e gli evangelizzatori dell'unità politica
e accettare ogni sacrificio per la realizzazione dell'unità africana ». Il primo ministro del Niger Hamani Dior così puntualizza a sua volta l'esigenza federalistica: « L'aspirazione all'indipendenza non potrà essere soddisfatta compiutamente che in un quadro federale. Noi intendiamo superare immediatamente la fase dell'indipendenza per raggiungere uno sviluppo nuovo corrispondente al sorgere nel mondo dei grandi raggruppamenti ».
L'Africa, che ha realizzato in passato soltanto parziali esperienze statali ed ha conosciuto invece come preponderante organizzazione politica quella tribale, consente, come ho detto, più d'o[...]

[...] federale. Noi intendiamo superare immediatamente la fase dell'indipendenza per raggiungere uno sviluppo nuovo corrispondente al sorgere nel mondo dei grandi raggruppamenti ».
L'Africa, che ha realizzato in passato soltanto parziali esperienze statali ed ha conosciuto invece come preponderante organizzazione politica quella tribale, consente, come ho detto, più d'ogni altro continente, mobilità ed elasticità di suddivisioni territoriali; esiste cioè un largo margine entro il quale sia possibile attuare concentramenti territoriali senza turbare l'equilibrio nazionale delle parti componenti, ma accrescendone anzi l'attitudine ad evolvere verso forme moderne di vita. Il difficile sta nel trovare la formula costitutiva adatta a far coesistere in uno stesso organismo popolazioni con tradizioni evoluzioni interessi spesso in nessun modo comparabili. Il regime federale è in ogni senso il più adatto a coordinare la vita di territori con disuguale maturazione politica economica sociale, adattandolo nelle infinite gradazioni in cui può realizzars[...]

[...]. Il difficile sta nel trovare la formula costitutiva adatta a far coesistere in uno stesso organismo popolazioni con tradizioni evoluzioni interessi spesso in nessun modo comparabili. Il regime federale è in ogni senso il più adatto a coordinare la vita di territori con disuguale maturazione politica economica sociale, adattandolo nelle infinite gradazioni in cui può realizzarsi a ciascuna situazione; ma anche un raggruppa
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mento federativo, per essere vitale, non deve avère carattere arbitrario, bensì essere sollecitato da un concreto vantaggio delle parti interessate. La parola d'ordine del « raggruppamento », dominante oggi in Africa, non si presenta dunque di facile attuazione e, laddove l'entusiasmo momentaneo lo crea, non sono improbabili movimenti inversi volti al frazionamento.
Quest'ultima previsione appare molto più fondata in quei casi di federazione che sono determinati da un evidente sottofondo coloniale. La si vede già attuarsi per la Federazione della Rhodesia e del Niassa, imposta dalla minoran[...]

[...] coloniale. È probabile che la stessa sorte abbia la Comunità francoafricana, forse in atmosfera meno violenta per la clausola che Parigi ha opportunamente inserito nella costituzione, relativa al diritto di ogni stato della comunità a uscirne quando lo creda conveniente.
Ma anche dove non esiste la spinta anticoloniale, sono frequenti i segni di movimento centrifugo, che investe del resto le stesse federazioni per così dire « primarie », sorte cioè come tali e non costituitesi in fase posteriore all'indipendenza. Fenomeno opposto al raggruppamento è infatti, in alcuni settori africani, quello della secessione, dovuto in gran parte alla innaturale divisione territoriale del continente africano al momento della sua spartizione nel sec. XIX, eseguita con la sola preoccupazone dell'equilibrio di potenza tra gli stati che vi parteciparono. Sintomi di secessione, più o meno intensi, sono constatabili in Libia e in Etiopia, nel Sudan e nel Ghana, in Mauritania e nel Sudafrica. Si tratta di un processo normale di assestamento, facente perno ta[...]

[...]ù distinguendo dagli interessi di stretto ordine coloniale della Francia, e alla fine ha preteso — ed ottenuto —, con la rivolta del 13 maggio 1958, la assoluta identificazione dei due interessi, sul piano dei coloni: « l'Algerie c'est la France ». Tanto più agevole è stata l'identificazione per il fatto che la ricchezza mineraria del sottosuolo sudalgerino, ognora più ampia di promesse positive, ha dato solidi puntelli al patriottismo algerino. Ciò però interessa la formulazione d'una politica della Francia per l'Algeria, indica il sopravvento preso in Francia dalle correnti più avverse al nazionalismo arabo, ma non imposta una soluzione valida anche per l'altra parte, o meglio, prospetta una soluzione opposta agli obiettivi degli algerini arabi, lasciando quindi alla prova di forza la decisione del problema. « C'est que l'Europe », osservava J. Amrouche durante l'assemblea della Società europea di cultura a Parigi nel settembre 1953, « hors d'Europe est l'antiEurope; elle est contre l'Europe, renie l'Europe ».
Negli stessi termini, so[...]

[...]tivi degli algerini arabi, lasciando quindi alla prova di forza la decisione del problema. « C'est que l'Europe », osservava J. Amrouche durante l'assemblea della Società europea di cultura a Parigi nel settembre 1953, « hors d'Europe est l'antiEurope; elle est contre l'Europe, renie l'Europe ».
Negli stessi termini, sostanzialmente, il gruppo etnico bianco del Sudafrica pone il problema della minoranza bianca in una so
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cietà di colore in espansione. La differenza dall'Algeria è che qui ìl problema è affrontato nella fase finale dell'evoluzione politica indigena ed ha il carattere della caotica e pur puntigliosa reazione a un destino imminente — reazione che é incapace di scorgere e tentare un piano di compromesso —, mentre nel Sudafrica l'impegno della minoranza bianca è rivolto a stroncare in sul nascere ogni velleità nazionalistica della maggioranza negra, a bloccare tutte le vie capaci di portare alla maturazione d'una coscienza politica degli indigeni di colore. L'apartheid o separazione delle razze è [...]

[...]iorno in cui sono costretto a lasciarla, ebbene, essa va molto lontano anche dalla parte opposta » —, la Gran Bretagna si é sforzata di avviare i suoi territori dell'Africa centrale e orientale, anche su sollecitazione di notevoli correnti di opinione pubblica e di associazioni (esempio, la Capricorno Africa Society), ad una esperienza di collaborazione interrazziale, di partnership. Al tentativo di conciliazione di interessi hanno nociuto e nuocciono, tuttavia, certa tendenza delle autorità locali britanniche a considerare la partnership come un mezzo di prolungamento del governo coloniale e l'evidente impulso di alcuni settori di coloni a trasformarla in uno strumento avente gli stessi fini dell'apartheid, la permanente supremazia della minoranza bianca. Se perciò il nazionalismo africano è in aperta lotta contro le posizioni di indubbio contenuto colonialistico, quali si affermano a Algeri e a Pretoria, diffida di un interazzismo che non ha rotto con tutte le velleità colonialistiche. Nella sua autobiografia Kwame Nkrumah oppone a Aggrey, il cui insistente messaggio politico è la collaborazione tra le razze bianca e negra, la tesi che tale collaborazione e può esistere soltanto quando la razza negra tratta su un piede di uguaglianza con la razza bianca » e che « soltanto un popolo con un governo proprio può pretendere uguaglianza, razziale o di altra [...]

[...] rotto con tutte le velleità colonialistiche. Nella sua autobiografia Kwame Nkrumah oppone a Aggrey, il cui insistente messaggio politico è la collaborazione tra le razze bianca e negra, la tesi che tale collaborazione e può esistere soltanto quando la razza negra tratta su un piede di uguaglianza con la razza bianca » e che « soltanto un popolo con un governo proprio può pretendere uguaglianza, razziale o di altra natura, con un altro popolo ». Cioè « indépendence d'abord ».
Al problema della formazione di stati interrazziali si collega l'ultimo degli elementi che condizionano l'attuale evoluzione politica del continente africano: la posizione delle potenze occiden tali, oscillante tra la volontà di non perdere le residue posizioni di governo coloniale, sia pure adattandole alle nuove situazioni di fatto, e la esigenza, alla quale sono più sensibili i governi come lo statunitense che non hanno in Africa posizioni coloniali da difendere, di non compromettere i futuri rapporti di collaborazione
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con la comunità [...]

[...]ano l'attuale evoluzione politica del continente africano: la posizione delle potenze occiden tali, oscillante tra la volontà di non perdere le residue posizioni di governo coloniale, sia pure adattandole alle nuove situazioni di fatto, e la esigenza, alla quale sono più sensibili i governi come lo statunitense che non hanno in Africa posizioni coloniali da difendere, di non compromettere i futuri rapporti di collaborazione
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con la comunità di stati africani, e di non lasciare che si convoglino vieppiù verso i governi comunisti interessi e simpatie del nazionalismo africano già fortemente influenzato dall'aperta solidarietà comunista alle sue aspirazioni e dalla dottrina marxista circa la lotta nazionale dei popoli oppressi dall'imperialismo. Della volontà conservatrice, adattata alla mutata situazione dell'equilibrio delle forze, sono manifestazioni, oltre all'impegno di riforme delle singole potenze coloniali — che ha negli accennati programmi federativi e nella recente creazione della Comunità francoafricana [...]

[...]itica africana sembra ridursi a un puntiglioso tentativo di contrastare il più possibile i mutamenti dello status quo, a una tenace negazione di quanto è ritenuto in contrasto col proprio interesse. Essi sono fermi su una. valutazione polemica dell'Africa che, sia pur lentamente, si affaccia al mondo moderno, e se sono disposti a concessioni di principio, si mostrano riluttanti a convertire in politica concreta le generiche ammissioni. Oppongono cioè a una politica africana teorica una politica africana reale, del tutto diversa. Le poche iniziative opportune che sono attuate hanno per lo più carattere marginale, e il loro benefico effetto psicologico . è compromesso dal non essere frutto di un orientamento tempestivo ma tardivo adattamento a situazioni non altrimenti controllabili. D'altra parte, ad aggravare la frattura politica tra negri e bianchi, anche il gros so dell'opinione pubblica dell'Europa occidentale continua ad essere ancorata a formule africaniste assai pericolose per gli interessi africani dell'Europa, non è aliena da pos[...]

[...] ma tardivo adattamento a situazioni non altrimenti controllabili. D'altra parte, ad aggravare la frattura politica tra negri e bianchi, anche il gros so dell'opinione pubblica dell'Europa occidentale continua ad essere ancorata a formule africaniste assai pericolose per gli interessi africani dell'Europa, non è aliena da posizioni mentali e da impulsi politici che in qualche modo ricordano gli obiettivi di supremazia che giuocavano fino a ieri. Ciò non serve sicuramente a smantellare le stratificazioni di diffidenze di sospetti, talvolta di odio, che il passato ha accumulato sull'animo degli africani. Il problema, per l'Europa, non è di constatare e proclamare l'arbitrarietà o l'ingiustizia di simili stati d'animo, ma di convincere che vuole e sa fare una politica su altre basi, a carattere bilaterale, di uguaglianza, nell'interesse di entrambe le parti.
Evidentemente il problema non si esaurisce nel solo atteggiamento verso gli ideali di emancipazione dei popoli africani; si estende invece all'atteggiamento verso le difficoltà d'ordin[...]

[...]ropa, non è di constatare e proclamare l'arbitrarietà o l'ingiustizia di simili stati d'animo, ma di convincere che vuole e sa fare una politica su altre basi, a carattere bilaterale, di uguaglianza, nell'interesse di entrambe le parti.
Evidentemente il problema non si esaurisce nel solo atteggiamento verso gli ideali di emancipazione dei popoli africani; si estende invece all'atteggiamento verso le difficoltà d'ordine raz
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ziale politico economico che l'emancipazione porta seco. Feconda politica africana significa, in larga misura, assistenza cauta e disinteressata nel faticoso avvio dei nuovi stati africani alla vita autonoma, e soprattutto rinunzia a impegnare questi nuovi stati in un serrato giuoco di rivalità internazionali nel quale si sentirebbero in certo modo posti ancora in una posizione di inferiorità e di dipendenza. Non presenta prospettive utili il tentativo di trasferire in blocco sul territorio africano l'apparato della guerra fredda, come ha rilevato anche l'exambasciatore statunitense Chester [...]

[...]azione di en= tità federali, problemi di coesistenza razziale con i coloni europei, perplessità politiche e psicologiche dello stato colonizzatore nel passare da una politica di puro governo coloniale a un riconoscimento degli interessi preminenti indigeni, sono oggi individuabili nel Congo belga nella fase di avvio, di prima maturazione. La problematica di questi aspetti di vita è meno vivace e perentoria che in altri territori africani, ma per ciò stesso può essere colta nella sua più umana e logica radice.
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Forse in nessun altro territorio africano, quanto nel Congo, il regime coloniale ha trovato un ambiente più comodo e adatto per insediarsi e svilupparsi. Il Congo appariva davvero come un vastissimo « territorium nullius », isolato dall'esterno coi suoi appena sessanta chilometri di costa rispetto agli oltre novemila chilometri di frontiere terrestri, frazionato politicamente con la sua serie di tribù sparse in grandi spazi e divise da migliaia di chilometri di fitta foresta equatoriale[...]

[...]ionamento umano e politico. La scarsa popolazione — oggi 11.500.000, di cui 60 mila bianchi, in un'area di 2.344.000 Kmq. —, appartenente a tre diverse razze (bantù veri e propri nelle regioni di savana sudorientale, bantù della foresta nella zona di nordovest e sudanesi nelle regioni di nordest), non poneva problemi particolari d'ordine politico, mentre la ricchezza agricola di alcune regioni e mineraria di altre non addossava sacrifici al bilancio metropolitano e offriva vantaggiose prospettive d'impiego di capitali. Anche per quanto riguarda la sicurezza esterna, tutto fu risolto rapidamente, prima ancora che una apposita conferenza internazionale riunita a Berlino consa crasse (23 febbraio 1885) la nascita dello Stato indipendente del Congo, attraverso una serie di accordi di confine con la Francia (14 aprile 1884), con la Gran Bretagna (15 maggio 1884), con la Germania (8 novembre 1884) e col Portogallo (durante la conferenza di Berlino). In più, la clausola della porta aperta, stabilita alla conferenza di Berlino e ribadita dalla s[...]

[...]adita dalla successiva conferenza di Bruxelles (Atto generale del 2 luglio 1890), neutralizzò in gran parte l'interesse di terze potenze a provocare occasioni che inde bolissero la posizione coloniale belga.
Allorché il 18 agosto 1908 si apre a suo favore la successione stabilita da re Leopoldo col testamento del 2 agosto 1889, il Belgio entra in possesso di un patrimonio di tutto riposo e attivo sotto ogni angolo visuale.
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Le direttive di politica indigena che il Belgio subito attua, e che rimarranno immutate nei decenni successivi sono, da una parte l'assoluta esclusione degli africani da ogni responsabilità di governo, — come, dei resto, dei coloni bianchi, il che è fatto notare dai belgi come prova dell'inesistenza di discrimazione razziale —, dall'altra l'impegno paternalistico di migliorare gradatamente le condizioni di vita degli africani, evitando però che educazione e contatti con l'esterno suscitino in loro esigenze politiche, insofferenza dello status quo. La « carta coloniale » emanata nello stesso [...]

[...] del governo centrale del Congo; i poteri legislativo ed esecutivo sono nelle mani del re, rappresentato nella capitale congolese Leopoldville dal governatore generale e assistito da un Consiglio di governo con funzioni consultive. I quattro quinti della popolazione indigena sono organizzati in centres coutumiers, retti ciascuno da capi sotto il controllo d'un amministratore territoriale belga; il resto vive in centres extracoutumiers, aggregato cioè alle comunità bianche e amministrato anch'esso da capi nativi ma sotto la legge belga. Gli indigeni partecipano anche ai Consigli di ciascuna delle sei province (Leopoldville, Equatore, Provincia orientale, Kivu, Katanga e Ksai), a carattere consultivo, con membri di nomina governativa. A un piccolo gruppo di africani — nel 1955 non superavano i cento —, man mano che raggiungono un particolare livello culturale, viene riconosciuta la qualifica di matriculés cioè uguaglianza di diritti con gli europei. Tutto qui, per diversi decenni.
Fino al 1° gennaio 1958, con la concessione dello statuto [...]

[...]à bianche e amministrato anch'esso da capi nativi ma sotto la legge belga. Gli indigeni partecipano anche ai Consigli di ciascuna delle sei province (Leopoldville, Equatore, Provincia orientale, Kivu, Katanga e Ksai), a carattere consultivo, con membri di nomina governativa. A un piccolo gruppo di africani — nel 1955 non superavano i cento —, man mano che raggiungono un particolare livello culturale, viene riconosciuta la qualifica di matriculés cioè uguaglianza di diritti con gli europei. Tutto qui, per diversi decenni.
Fino al 1° gennaio 1958, con la concessione dello statuto comunale alle città di Leopoldville, Elisabethville e Jadotville alle quali seguono un anno dopo Bukavu, Stanleyville, Coquilhatville e Luluaburg — nessun cambiamento viene apportato alla situazione costituzionale. Il Congo è come pietrificato, politicamente; i marosi che agitano, con due guerre mondiali e rivoluzioni, le acque europee e coloniali, si frantumano sulle dighe massicce che sembrano circondare il grande spazio umano del Congo. Entro il loro recinto i[...]

[...]ali, é giudicato da tribunali speciali che emettono per lui pene speciali. Per definizione é insolvibile: secondo la consuetudine, non può essere citato in giudizio da un europeo per un'azione di carattere civile. Gli spetta un prezzo ridotto negli spettacoli sportivi e nelle manifestazioni artistiche alle quali sia stato autorizzato di assistere. Pochi sono gli svaghi che gli sono consentiti di condividere con europei e il
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più spesso organizzati dal suo imprenditore o su iniziativa del governo o delle missioni. Nell'ambito riservato alla sua attività economica — salariato, impieghi d'ordine, piccolo commercio, artigianato —, l'autorità lo protegge dalla concorrenza degli europei. L'immigrazione bianca é stata sistematicamente scoraggiata. Fino a cinque anni or sono il negro del Congo belga non aveva accesso all'insegnamento universitario. Al di fuori dei seminari non poteva frequentare che le scuole professionali o scuole secondarie con programma ridotto rispetto alle scuole per i ragazzi europei. Tale situazione sussiste ancora per la grande maggioranza. Prima di essere ammesso a frequentare una scuola per ragazzi europei, il ragazzo negro é sottoposto a una speciale visita medica, é compiuta un'[...]

[...]do dal principio che il negro ha tutto da avvantaggiarsi dall'essere educato nel suo ambiente, tra i suoi fratelli di razza, mantenendo in tal modo il contatto con la tribù e rendendosi conto dell'arretratezza della massa. Si evita così che lo studente sia corrotto da dottrine sovversive e turbi poi con la sua condotta il cauto sviluppo del piano fissato. Quanto all'europeo che sbarca al Congo belga, egli si sente, si crede, si attribuisce d'ufficio un compito di educatore. Quale che sia la sua professione, quale che sia il suo lavoro. Un libraio apre un nego zio? Egli censura la lettura della clientela negra. Il commerciante, il droghiere, il macellaio educano la loro clientela negra in reparti appositi. Le banche hanno preparato dei cassieri negri col compito di illuminare i risparmiatori ».
Meno spettacolare e irritante che nel Sudafrica, e senza quel gusto della teoricizzazione del proprio programma politico che allarma gli osservatori e scuote psicologicamente i « pazienti », l'orientamento di governo nel Congo belga é una forma di[...]

[...]rciante, il droghiere, il macellaio educano la loro clientela negra in reparti appositi. Le banche hanno preparato dei cassieri negri col compito di illuminare i risparmiatori ».
Meno spettacolare e irritante che nel Sudafrica, e senza quel gusto della teoricizzazione del proprio programma politico che allarma gli osservatori e scuote psicologicamente i « pazienti », l'orientamento di governo nel Congo belga é una forma di apartheid. Suscita perciò uno scandalo interno la pubblicazione nel 1957, ad opera di Van Bilsen, professore all'università cola niale di Anversa, di un Piano trentennale per l'emancipazione del
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Congo; e costituisce uno scandalo internazionale la decisione dell'Assemblea generale dell'ONU, durante la sessione del 1952, di raccomandare al Comitato per le informazioni sui territori non autonomi — creato nel 1949 col compito di esaminare i dati forniti dalle potenze amministratrici sulle condizioni economiche sociali e culturali dei territori loro sottoposti — di raccogliere[...]

[...]tinente africano, il Congo mantiene il suo ritmo di vita placido operoso, fatto di conciliazione tra gli interessi dei colonizzatori e degli indigeni.
A chi chiede informazioni sul progresso « politico » del Congo, il Belgio risponde con informazioni sul progresso « economico » ; a chi insiste per aver cifre sull'evoluzione culturale e sociale degli indigeni, Leopoldville ribatte con indici di produzione, con dati su nuove industrie o sul commercio. La politica può creare illusioni su una maturazione nazionale di là da venire, mentre il lavoro la disciplina l'insistenza sui valori morali getta le basi di una società che in futuro potrà anche addossarsi responsabilità amministrative.
I tre pilastri che sostengono l'edificio di questo rigido rapporto coloniale sono l'autorità politicomilitare, le missioni e il ceto industriale, reciprocamente solidali e operanti armonicamente. Il governo protegge l'azione missionaria e lascia alle missioni il compito di diffondere l'istruzione in confini ben bloccati (soltanto scuole elementari e professionali fino al 1955, allorché é aperta a Kimuenza, nei pressi di Leopoldville, una università intitolata a Lovanio e fornita di poche facoltà); le 470 missioni cattoliche
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con 4430 missionari — cui si affiancano 258 missioni protestanti
con 1170 missiona[...]

[...]ilitare, le missioni e il ceto industriale, reciprocamente solidali e operanti armonicamente. Il governo protegge l'azione missionaria e lascia alle missioni il compito di diffondere l'istruzione in confini ben bloccati (soltanto scuole elementari e professionali fino al 1955, allorché é aperta a Kimuenza, nei pressi di Leopoldville, una università intitolata a Lovanio e fornita di poche facoltà); le 470 missioni cattoliche
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con 4430 missionari — cui si affiancano 258 missioni protestanti
con 1170 missionari controllano in maniera capillare orientamenti ed esigenze delle masse indigene, scoraggiando spiritualmente e suggerendo di scoraggiare politicamente qualsiasi indizio di eversione (« un vero potere nel Congo » le definisce J. Pirenne); l'industria, soprattutto mineraria, nella quale per legge il 50% delle azioni spetta allo stato belga in veste peró di capitalista privato, condiziona l'intera vita della colonia ed é arbitra delle direttive di governo. Non é, il Congo, colonia di popolamento, non serve per [...]

[...] dodici anni — che trasferisce a questi ultimi l'intera disponibilità della produzione di uranio :del Congo, la più alta del mondo. Conviene infatti potere avere, in una fase di sempre più vivace anticolonialismo, la solidarietà di una potenza, come Washington, assai incline ad assecondare lo sfaldamento della costruzione coloniale europea, in Africa come in Asia.
In un Congo visto soltanto come una unica enorme azienda di produzione e di commercio, la popolazione indigena non interessa che come massa di manodopera alla quale assicurare un graduale miglioramento di vita ma non una libertà capace di turbare l'ordinato ritmo produttivo. Tutti sono imbarcati su una stessa nave e tutti hanno il solo dovere di produrre sempre più e sempre meglio. E in effetti gli indici di produzione agricola e industriale del Congo mostrano un progresso costante. Se in agricoltura 14 mila coloni
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coordinano il lavoro di 350 mila negri, con forti produzioni di cotone caffè gomma cacao essenze pregiate, nell'in[...]

[...] con la Société générale). Dalla Société générale dipende anche la Compagnia marittima del Congo, mentre in campo agricolo il grosso delle aziende fa capo alla Societé Congolaise de Hévéa, alla Cultures equatoriales, alla Agri f or (fusa nel 1948 con la compagnia statunitense Plywood Corporation).
Gradatamente sorge e si sviluppa anche l'industria di trasformazione: raffinerie di rame, fabbriche di tessuti, cementerie, bir
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rerie. E anche in questo settore é il capitale statunitense a raggiungere le posizioni di maggior rilievo.
Tale capitale fa sentire il suo peso nell'indurre Washington a largheggiare in aiuti finanziari allorché nel 1950 il governo di Bruxelles decide di attuare, con un piano decennale, un vasto sforzo di ammodernamento delle infrastrutture congolesi e di potenziamento dell'economia della colonia: due grossi prestiti sono concessi nel 1950 e nel 1951 direttamente al governo belga, mentre altri prestiti sono dati a singole società operanti nel Congo. Il piano prevede una spesa straordinaria [...]

[...]in ferrovie — linea da Kabalo a Kamina di 444 km. — e in edilizia ospedaliera e scolastica; ma anche i maggiori centri urbani ricevono una notevole spinta a rafforzarsi economicamente con la creazione di complessi industriali e ad attrezzarsi in senso moderno. Leopoldville in dieci anni passa da 96 a piú di 300 mila abitanti, si arricchisce di un sobborgo industriale (Limete), é fornita di uno dei migliori aeroporti africani, con una pista di lancio lunga 4 km.; il porto di Matadi viene ingrandito e adattato ad un traffico intercontinentale; da nuove strade o ferrovie sono valorizzati i centri di Stanleyville, Ponthierville, PortFranqui, Kindu, Costermansville.
Il viaggio di re Baldovino nel maggiogiugno 1955 ha l'obiettivo di consacrare, esaltandolo, questo panorama di operosità e di crescente benessere, che ha il suo corrispettivo politico nella stabilità sociale, nella concordia razziale, nella collaborazione degli indigeni. Al pesante sgretolamento dell'edificio coloniale per ogni dove in Africa, viene contrapposto l'armonioso cammi[...]

[...] intercontinentale; da nuove strade o ferrovie sono valorizzati i centri di Stanleyville, Ponthierville, PortFranqui, Kindu, Costermansville.
Il viaggio di re Baldovino nel maggiogiugno 1955 ha l'obiettivo di consacrare, esaltandolo, questo panorama di operosità e di crescente benessere, che ha il suo corrispettivo politico nella stabilità sociale, nella concordia razziale, nella collaborazione degli indigeni. Al pesante sgretolamento dell'edificio coloniale per ogni dove in Africa, viene contrapposto l'armonioso cammino congolese. Soltanto i fatti contano, e il Congo é li a smentire chi corre dietro a idee di ineluttabilità del dissolvimento coloniale. Il Congo prospera perché non vi sono teste calde politiche, e le teste calde politiche non germinano perché la potenza coloniale sa tenere l'am
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biente disinfestato moralmente e sa rendersi conto che occorre assicurare a tutti lavoro e dare graduali soddisfazioni alla esigenza di miglioramento materiale e spirituale degli indigeni.
Concentra[...]

[...] verifichino, come già avviene, decisi movimenti di opinione pubblica in senso nazionale. L'osmosi di idee di impulsi tra le popolazioni congolesi e quelle vicine, soprattutto con quelle sotto amministrazione francese — la capitale dell'Africa equatoriale francese Brazzaville e Leopoldville sono sulle due sponde del fiume Congo separate da soli 4 km. — ha precedenti sintomatici: l'unica rivolta di una certa proporzione
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scoppiata nel Congo prima della seconda guerra mondiale, quella del 192021, ha avuto a protagonista un carpentiere, Simone Kimbangu, che era membro di una setta religiosa fondata al di là del fiume Congo, nel 1948, da Zéphyrin Lassy. L'osmosi ha, oltre tutto, una base etnica: il gruppo etnico dei Lari infatti é stato disperso dal giuoco delle spartizioni coloniali tra il Congo francese, il Congo belga, il Cabinda e l'Angola portoghese. La stessa osmosi, sempre sulla base delle affinità etniche, é in atto ai confini con l'Angola, con la Rhodesia, con l'Uganda e col Sudan, dove non è raro [...]

[...]l'irrequietudine nazionalista africana. Non resta al governo belga che dare una prova, sia della sua volontà non di escludere una evoluzione politica del Congo ma soltanto di graduarla sulla base di una educazione amministrativa della popolazione, sia del fatto che nell'attuale malcontento per lo status quo non sono implicati che sparuti gruppi di persone mossi più da spirito di rivalità tribale che da avversione al regime coloniale. Annuncia perciò, il 26 marzo 1957, la concessione dello statuto municipale alle principali città congolesi, dando per altro ad esso un contenuto assai complicato, tale da lasciare poco margine di responsabilità agli indigeni eletti. Tra l'altro, le città sono divise in parecchi « comuni » (in 11 Leopoldville, in 5 Elisabthville e in 3 Jadotville), ciascun comune avrà un sindaco o borgomastro non eletto ma nominato dal governatore, e sopra i vari borgomastri d'ogni città starà un primo borgomastro, di nazionalità europea. Più minuziosa ancora è la procedura di preparazione delle liste elettorali, allo scopo d[...]

[...]indigeno, accorso compatto alle urne (85%), riversando il 77% dei suoi suffragi sui candidati bakongo, dà ragione a chi ha manifestato perplessità anche dopo che sono state messe in atto tutte le precauzioni per spoliticizzare l'avvenimento. Sorprende e allarma, in particolare, il fatto che l'alta maggioranza riversatasi sui candidati bakongo non provenga soltanto dalla popolazione dei Bakongo, che rappresenta la metà delle liste elettorali; con ciò infatti viene meno il luogo comune più diffuso negli ambienti colonialistici, che non vi possa essere nel Congo schieramento politico su base diversa di quella tribale. Le elezioni indicano
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che c'è un fattore di avvicinamento tra gli africani capace di far superare lo spirito tribale, ed è la solidarietà di interessi nazionali. Finiscono per riconoscerlo anche i Bangala che, per sperare di contrapporsi in futuro con successo ai rivali Bakongo, si decidono a scendere con maggiore impegno sul terreno delle rivendicazioni nazionali e cambiano subito tono in tal senso.
Ma sono soprattutto i Bakongo a sfruttare la piattaforma della vittoria elettorale per una più intensa attività propagandistica e organizzativa. La loro associazione Abako utilizza al massimo la forza che deriva dal[...]

[...]na nota di biasimo, ma la vita congolese non cessa di svolgersi in un'atmosfera di eccitazione, politica che ha quale protagonista l'Abako. Tanto più che l'amministrazione coloniale può contare meno sull'atout suo più forte, la « politique du ventre plein », ora che l'economia congolese è in fase di recessione nel settore minerario, la disoccupazione africana tende a ingrossarsi (50 mila nella sola capitale congolese, nel dicembre 1958), il bilancio congolese per la prima volta è in deficit e si manifesta la tendenza a minori investimenti di capitali e persino al rimpatrio di capitali verso il Belgio. D'altra parte, come suole accadere, il campanello d'allarme del risultato elettorale non spinge il governo belga ad abbandonare la politica dello struzzo e a valutare obiettivamente la realtà al di fuori dei luoghi comuni di comodo e della naturale pigrizia conservatrice, ma accresce perplessità e suggerisce piuttosto propositi di più ferma resistenza, non bene mascherati dagli accenni ai necessari adattamenti della politica indigena (dichi[...]

[...]ico all'Africa. « Io stesso sono nato congolese » — afferma denunziando « l'errore geografico degli esploratori » e chiedendo una revisione della frontiera dell'Africa centrale — « e sono divenuto ubanguiano. Una parte della mia tribù si trova nel Congo belga, un'altra nell'antico territorio dell'Ubangui e un'altra ancora al Ciad. Ma è la lingua francese e la nostra comune cultura latina che costituiscono per noi dei legami fondamentali. Ed è perciò ch'io credo fermamente all'avvenire di quella che si dovrà chiamare Africa latina, così come si parla di America latina ».
È problematico che possa avere eco fra i nazionalisti congolesi un progetto del genere, come anche del resto quello Lari del
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Youlou, ma costituisce ugualmente una manifestazione dell'esigenza di avvicinamento, di collaborazione tra le diverse forze politiche di questo settore africano. Se è soltanto frutto della tendenza belga ad attribuire a influenze esterne la perdita della « buona salute » del Congo, l'affermazione di un ministro di Bruxelles relativa alla responsabilità dell'abate Youlou nell'evoluzione dello stato d'animo congolese, è certo però che frequenti divengono i contatti nella seconda metà del 1958 tra gli esponenti dell'Abako e il mondo nazionalista extracongolese. E sono contatti che servono a[...]

[...]ena distinta e opposta alla volontà dello stato colonizzatore, e capace di porre sul tappeto il problema dell'autonomia del Congo. L'urto violento con l'amministrazione coloniabelga serve anche a consacrare l'Abako come il nucleo organizzativo più efficiente, per il momento, nel tenere vivo e incanalare lo sforzo autonomistico. Il suo prestigio ne esce rafforzato, e più ancora si rafforza per la malaccorta decisione di Bruxelles di ordinarne lo scioglimento e di arrestare i suoi capi J. Kasabuvu, D. Kanza e S. Nzeza (insieme ad un gruppo di altri esponenti politici, tra i quali Diomi e Pinzi). Uomini politici di altri movimenti, come ad esempio il presidente del Movimento nazionale congolese Lumumba, si compromettono, fino ad incorrere nell'arresto (10 marzo), nel promuovere agitazioni in favore della liberazione di Kasabuvu e compagni. L'obiettivo belga di spezzare ogni possibilità di vita dell'Abako viene neutralizzato dall'identificazione che l'opinione pubblica indigena del Congo tende sempre più a fare tra Abako e indipendenza congo[...]

[...]nizzazione la cui esistenza é sconosciuta alle associazioni etniche che in teoria ne fanno parte.
Al fermento congolese, che trae spinta dall'arresto dei capi dell'Abako per accentuare i motivi di lotta nazionale, il 18 gennaio offre piena solidarietà una dichiarazione del Consiglio afroasiatico del Cairo, che si sforza di allargare internazionalmente l'eco avuto dagli avvenimenti del 45 gennaio: « L'orrenda carneficina di
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Leopoldville, dove centinaia di abitanti inermi sono stati uccisi, ha completamente smentito le menzognere affermazioni dei belgi nel loro tentativo di convincere il mondo intero che essi sono i « colonizzatori ideali » e che il Congo é una colonia « soddisfatta ». Il Belgio ha sfruttato spietatamente il ricco territorio congolese, la cui popolazione é oggi inferiore ai 12 milioni, mentre nel 1900 era di 20 milioni. I1 regime belga é costato al popolo congolese 58 milioni di vite umane. Le retoriche dichiarazioni del Belgio sulla sua missione civilizzatrice nel Congo si sono volatilizzate co[...]

[...]ll'alimentare lo spirito di rivolta « La commissione sottolinea la necessità che le autorità militari eseguano senza criticarle le decisioni delle autorità civili che rappresentano il potere esecutivo nel Congo. La commissione sottolinea lo stretto dovere di tutti i comandanti militari di attenersi scrupolosamente ai loro compiti ed evitare qualsiasi apprezzamento sulle decisioni che spettano alle sole autorità civili ».
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I due fermenti opposti, africano e bianco, s'influenzano reciprocamente; non poco il primo contribuisce a far prevalere un orientamento di puntigliosa resistenza tra i bianchi, determinante è il secondo nel togliere ogni prospettiva agli africani sulla possibilità di evoluzione dell'animus coloniale belga.
Da ciò ne resta compromesso lo sforzo che il governo di Bruxelles imposta all'indomani degli incidenti allo scopo di riprendere in mano la situazione, attraverso una energica svolta alla sua tradizionale politica indigena. Le sue prime decisioni sono quelle consuete in simili circostanze; da una parte tenta, come si è visto, di scoraggiare con aspri mezzi coercitivi la corrente estremista e toglierle la possibilità di raccogliere le fila della sua organizzazione, dall'altra mira a soddisfare talune esigenze economiche e sociali degli indigeni che, secondo la sua diagnosi degli avvenimenti, hanno pes[...]

[...]ologici verso la distensione degli animi che il programma governativo si propone, sia perché quei capi sono i soli validi interlocutori, capaci di dare col loro consenso efficacia pratica al programma stesso. Durante la sua visita nel Congo, il ministro Van Hemelrijk, dopo la ricordata esperienza con i rappresentanti dell'Interfédérale, va a chiedere in carcere a Kasavubu il parere sul programma governativo e gli propone un
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piano in vista dell'indipendenza. Il capo dell'Abako si dichiara favorevole in linea di principio ma fa osservare che prima di pronunziarsi definitivamente ha bisogno di consultarsi con i suoi amici. A metà marzo i capi indigeni sono liberati e si recano spontaneamente — almeno secondo le affermazioni del ministro del Congo — a Bruxelles per trattare sul programma di evoluzione politica del Congo.
Il Congo si trova ora in questa fase fluida di contatti, di polemiche, di prese di posizione, di gesti d'intransigenza, di sforzi di compromesso, nella quale gli interessi in giuoco tentano di pre[...]

[...] esprimere le forze politiche più valide nazionalmente e gli uomini più adatti a esserne guida. E interesse del Belgio con siderare il passaggio da un ordine di cose all'altro non come un tracollo delle sue fortune ma come una evoluzione, per nulla arbitraria, che può consentire l'ulteriore sua presenza, vantaggiosa per i suoi interessi, ove sia posta in atto una politica intelligente e flessibile, chiara e senza doppi giuochi.
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da Vittorio Lanternari, Religione, società, politica nell'Africa Nera avanti e dopo l'indipendenza in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]illaggi », che dei progressi tecnicoorganizzativi soffre (si pensi alla detribalizzazione e ai suoi effetti funesti!) più che godere e un sottoproletariato urbano figlio del primo, dall'altra parte alcune élites minoritarie per lo più così profondamente europeizzate, anzi « abbagliate dagli splendidi orpelli della civiltà occidentale... da essere del tutto stornate dalla tradizione come da una cosa perfettamente marcia e ,spregevo'le» (1): tutto ciò rischia — se non prevaranno le forze interne ed esterne più democratiche e sagge, che pure non mancano — di travolgere l'Africa sulla scia dei dispotismi coloniali, sulla via dello strumentalismo politico di gruppi interni che noi definiamo «autocolonialisti », sulla via dell'opportunismo classista, fino all'abdicazione totale della propria civiltà e dei valori originali. « Sarebbe vera ironia
(1) TURNBULL, 1962, p. 251.
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— cosi un intelligente etnologo inglese, il Turnbull, conclude il suo stimolante libro di biografie africane —, sarebbe vera ironia se l'ultimo a[...]

[...]reparata con tanta cura sebbene inconsciamente dalle potenze coloniali, dovesse venire dagli Africani stessi, per non saper valutare essi la loro immensurabile eredità u (2).
Poiché l'Africa Nera è terreno di uno dei fenomeni più interessanti e attuali dell'antropologia sociale e religiosa — precisamente il fenomeno dei movimenti socialreligiosi —, ed essa offre ampio materiale per lo studio di alcuni problemi fra i più attuali della storia e sociologia religiosa, presentiamo per sommi capi alcuni di questi principali problemi, cioè : 1) i rapporti tra movimenti religiosi e sviluppo socioculturale; 2) il rapporto fra religioni nuove e movimenti politicosociali; 3) i rapporti fra politica e re
nei paesi di recente indipendenza.
La prima parte del nostro discorso riguarda sincretismi
e messianismi. Essa appare a suo modo più agevole e matura, perché la letteratura esistente è cosi vasta, sia per settori etnografici particolari sia per la parte comparativa, che ci sembra giunto il momento di trarre alcune conclusioni. La seconda parte riguarda il neotriadizionallismo d'età post,coloniale. Quest'ultimo presenta problemi complessi d'interpretazione sociologicostorica.
Precisiam[...]

[...]ecente indipendenza.
La prima parte del nostro discorso riguarda sincretismi
e messianismi. Essa appare a suo modo più agevole e matura, perché la letteratura esistente è cosi vasta, sia per settori etnografici particolari sia per la parte comparativa, che ci sembra giunto il momento di trarre alcune conclusioni. La seconda parte riguarda il neotriadizionallismo d'età post,coloniale. Quest'ultimo presenta problemi complessi d'interpretazione sociologicostorica.
Precisiamo che per neotradizionalismo intendiamo convenzionalmente la tendenza a riprendere tratti della tradizione religiosa nativa in parte già abbandonati, indipendentemente da espliciti influssi delle grandi religioni occidentali. Il neotradizionalismo cosi inteso si distingue dal sincretismo, intendendo per sincretismo restrittivamente la tendenza a fondere con tratti religiosi nativi altri elementi religiosi di provenienza occidentale. Tali distinzioni, come tutte quelle di carattere terminologico, hanno un valore convenzionale e relativo: lato sensu non esiste alcuna rel[...]

[...]ntemente da espliciti influssi delle grandi religioni occidentali. Il neotradizionalismo cosi inteso si distingue dal sincretismo, intendendo per sincretismo restrittivamente la tendenza a fondere con tratti religiosi nativi altri elementi religiosi di provenienza occidentale. Tali distinzioni, come tutte quelle di carattere terminologico, hanno un valore convenzionale e relativo: lato sensu non esiste alcuna religione che non sia sincretista, e cioè non possieda tratti d'origine più o meno eterogenea, cosi come per converso nessun tradizionalismo né neotradizionali
(2) TURNBULL, lOC. Cit.
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 145
smo può escludere in maniera assoluta elementi innovatori e stranieri. Sottolineiamo che dunque sia il sincretismo sia il neotradizionalismo sono tendenze (e non formazioni rigide), tuttavia ben distinte sul terreno concreto dei dati. Esse possono coesistere nell'ambito d'una medesima società e simultaneamente, con significati socioculturali complementari e perfino convergenti. Sincretismi e neotradi. zionalismi[...]

[...]er converso nessun tradizionalismo né neotradizionali
(2) TURNBULL, lOC. Cit.
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 145
smo può escludere in maniera assoluta elementi innovatori e stranieri. Sottolineiamo che dunque sia il sincretismo sia il neotradizionalismo sono tendenze (e non formazioni rigide), tuttavia ben distinte sul terreno concreto dei dati. Esse possono coesistere nell'ambito d'una medesima società e simultaneamente, con significati socioculturali complementari e perfino convergenti. Sincretismi e neotradi. zionalismi spesso rappresentano altrettante risposte di valore protestatario e anticonformista, elaborate dalle società africane sotto l'urto della civiltà occidentale e sotto l'oppressione coloniale. Pur nella loro intonazione differente — conservatrice nei neotradizionalismi, innovatrice nei sincretismi — le due tendenze hanno spesso un fondo comune di polemica autonomista antioccidentale. In altri casi e in certe fasi di sviluppo di alcune società africane, il neotradizionalismo si contrappone a un precedente sincretismo[...]

[...] comparativo richiede che tutte queste manifestazioni vengano collocate entro il quadro più generale delle varie risposte — culturali, sociali, politiche oltreché religiose — che le società indigene hanno dato alla civiltà occidentale nella « situazione coloniale » che ha caratterizzato il corso della loro storia per lunghi decenni. Per quel che riguarda i più recenti sviluppi religiosi d'epoca postcoloniale, si richiede soprattutto un'analisi sociologica dei compor
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tamenti religiosi degli abitanti dei villaggi e della popolazione negra urbana, e d'altra parte un'analisi della politica culturale delle élites urbane e delle risposte e reazioni religiose delle popolazioni rurali. In tal senso l'ipotesi che i neotradizionalismi d'ambiente rurale siano una spontanea risposta alla politica deculturatrice promossa dalle élites occidentalizzate d'ambiente urbano assume una certa consistenza. Roger Bastide, il quale già ha posto in modo acuto il problema dei rapporti fra élites dirigenti e comportamenti religiosi indige[...]

[...]a i santuari ingerivano medicine magiche (bevande di cola) che avrebbero rafforzato la resistenza degli individui contra gli effetti delle stregonerie. I fedeli osservavano certe norme di comportamento eticosociale prescritte dal profeta.
Tutti gli elementi di questi culti rientrano in pieno nel quadro della tradizione magica indigena, senza che si possa parlare d'un vero rinnovamento di tale tradizione. Eppure in qualche modo sono culti nuovi, cioè nuove combinazioni di arcaici elementi magici. Sono nuovi gli spiriti tutelaci, gli oggetti di culto, le norme eticosacrali indicate per chi cercasse salvezza efficace contro malanni e stregonerie. Inoltre chi fosse sospettato come autore di malefici, spinto a confessare dinanzi al san tuario, non avrebbe potuto trattenersi — se colpevole — dall'ammettere la sua colpa.
Questi culti magici antistregonisti recenti rispondono al senso d'insicurezza, di malessere e rischio portato dall'occupazione dei bianchi. I culti nuovi sono una «risposta pagana ai nuovi bisogni umani» di protezione, di fro[...]

[...]. Non c'è più felicità per il nostro villaggio. Noi lavoriamo duramente ma senza frutto. I1 suolo si fa sempre più sterile per l'accresciuta popolazione; le lumache, no stro cibo prediletto e già oggetto di scambi, vengono a mancare perché .molti infrangono i tabu che vietano di raccoglierle in certe stagioni. Meno figli nascono e più ne muoiono per le malattie veneree. I morbi infieriscono su di noi: specie la tbc, introdotta dai biànchi. Tutto ciò non può esser dovuto che a stregoneria, e perciò io ho invitato il f etis'hman a individuare i colpevoli mediante le ordalie» (16). Così l'esperienza dominante d'oppressione e frustrazione, proiettata nello specchio della tradizione magica, offre uno schema d'interpretazione rigido e univoco, alla mente indi
(8) FIELD, 1948, 171189; FIELD 1960, 87133.
(9) WARD 1956.
(10) MORTONWILLIAMS 1956.
(11) PAULME 1962, 180193; HOLAS 1954, 6164; HOLAS 1957, 155158.
(12) VANSINA 1959.
(13) RICHARDS 1935.
(14) MARWICK 1950.
(15) FERNANDEZ 1961, 251252. Per altri culti magici, cfr. BOUCHAUD 1956, 9399.
(16) DEBRUNNER 1961, 6667.
RELIGIONE, SOC[...]

[...]la presenza dei bianchi.
Dunque sia i culti nuovi antistregonisti, sia i movimenti sincretisti e messianici, sia infine la lotta attiva antibianchi, vanno posti tutt'insieme in una situazione coloniale caratterizzata, per l'Africa nera, da uno stato di oppressione politicasociale e da uno stato di inferiorità culturale, con il senso di frustrazione che ne consegue.
Talora anche il cristianesimo introdotto dai missionari, per quanto paradossale ciò possa sembrare, ha prodotto un incremento di fiducia nella magia e nei poteri magici. Tra i Fang del Gabon il caso studiato dal Fernandez è eloquente. I bisogni e le aspettative del processo di colonizzazione sono rimasti inappagati. ll cristianesimo, nel nome d'un nuovo organismo universale, la chiesa, ha sfaldato gli aggruppamenti sociali entro i quali ciascun individuo trovava per sé un equilibrio fra diritti e responsabi'l'ità, ma esso non ha sostituito quegli aggruppamenti e quelle solidarietà con altre altrettanto accettabili per i nativi. Disgregati in tal modo i puntelli dell'antica o[...]

[...] cultura nativa scanvolta dai bianchi:
(19) SCHLOSSER 1958; BAFFA 1961, 131.
(20) BOHANNAN 1958; LANTERNARI, 5MSR. 32.2.
(21) GODY 1957.
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1) riaffermare sé stessa revivificando la tradizione religiosa locale. E' questo l'elemento tradizionalecontinuativo.
2) rinnovarsi per salvaguardarsi dalla crisi indotta dal colonialismo, di fronte al fallimento del sistema religioso tradizionale che non è valso a (( salvare ». Perciò la tradizione é selezionata, in parte abbandonata, in parte sostituita. E' questo l'elemento tradizionalerinnovato. In realtà non v'è alcun movimento nativista che comporti una ripresa integrale e passiva della tradizione: questa, in virtù della selezione, é trasformata.
3) impadronirsi della «potenza» insita nella cultura cristiana a proprio vantaggio — secondo la filosofia della ((forza vitale» propria della tradizione —, per resistere all'egemonia europea, reinterpretando quei tratti esterni in senso pagano, nativista o — in altri momenti — autonomista. E' questo l'elemento rinnovatore es[...]

[...], come altrettante manifestazioni particolari del ((nativismo », nel senso oggi comunemente ammesso, di o rivivificazione e rinnovamento polemico dei valori nativi di fronte agli Europei» (22).
Se queste sono le tendenze originarie dei sincretismi africani, i fattori storicosociali preposti alla loro genesi sono almeno tre, c'ioé:
1) un contatto non fuggevole con il cristianesimo come esponente d'una civiltà conquistatrice e deculturatrice, perciò superiore — in senso pratico — a quella nativa. I nativi non acquistano coscienza d'una superiorità spirituale del cristianesimo se non tardi, 'panda cioè società e cultura siano pervenute ad intense trasformazioni del proprio assetto, e bisogni « spirituali » di tipo cristiano possano allignare.
2) l'emergere d'una o più personalità carismatiche, come interpreti ed esponenti dell'intera cultura, sensibili, per 'la propria formazione culturale (contatto personale con missioni) ad
(22) Vedi ancho, per il nativismo, MÜHLMANN 1963, 165166.
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alcuni tratti cristiani ch'essi reinterpretano. E' vero: alcuni profeti hanno fondato culti asincretisti: ciò vuol dire che ad essi é mancata l'esperienza delle mission[...]

[...]ogni « spirituali » di tipo cristiano possano allignare.
2) l'emergere d'una o più personalità carismatiche, come interpreti ed esponenti dell'intera cultura, sensibili, per 'la propria formazione culturale (contatto personale con missioni) ad
(22) Vedi ancho, per il nativismo, MÜHLMANN 1963, 165166.
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 153
alcuni tratti cristiani ch'essi reinterpretano. E' vero: alcuni profeti hanno fondato culti asincretisti: ciò vuol dire che ad essi é mancata l'esperienza delle missioni, o personalmente l'hanno respinta. Altri culti asincretisti sono stati introdotti senza necessariamente l'azione di profeti. P. es. 'il culto asye dei Bete è stato acquistato per pagamento, ad opera d'un gruppo di esponenti locali, da un pruppo Baulé vicino. Si possono citare analoghi casi di culti nuovi introdotti per pagamento tra gli Ascianti e gli Akim (23). Ma i m.oviment+i sincretisti nascono sempre per l'azione individuale d'un fondatoreprofeta. Ciò comparativamente si comprende, perché solo una forte personalità carismatica, [...]

[...]onalmente l'hanno respinta. Altri culti asincretisti sono stati introdotti senza necessariamente l'azione di profeti. P. es. 'il culto asye dei Bete è stato acquistato per pagamento, ad opera d'un gruppo di esponenti locali, da un pruppo Baulé vicino. Si possono citare analoghi casi di culti nuovi introdotti per pagamento tra gli Ascianti e gli Akim (23). Ma i m.oviment+i sincretisti nascono sempre per l'azione individuale d'un fondatoreprofeta. Ciò comparativamente si comprende, perché solo una forte personalità carismatica, col suo prestigio di guaritoretaumaturgoindovino, é in grado di « rivoluzionare» la tradizione rendendo accettabile una via religiosa non più conformista.
3) scardinamento o sconvolgimento della cultura nativa operato dalle istituzioni occidentali. Questo punto é strettamente legato al I, ma in particolare si riferisce al crollo dei valori religiosi tradizionali e al bisogno di nuove « garanzie »religiose.
Tali i fattori generali di genesi dei sincretismi africani. Ma conviene guardarli, questi sincretismi, nel lo[...]

[...]possessione con danze, canti, manifestazioni acrobatiche. Questa sintesi di tradizione e d'innovazione, il Kimbangismo, ha un tono
(24) JADIN 1961.
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 155
decisamente emancipazionista. Lo mostrava i1 profeta scegliendo dalla Bibbia i passi che più si prestavano a reintepretazioni antioccidentali; tipico l'episodio di David e Golia divenuto allegoria della lotta dei negri coi bianchi. Lo indicava anche con l'annuncio dell'imminente liberazione (pacifica secondo il profeta) dai bianchi.
L'emancipazionismo del movimento Kimbangista doveva poi trovare ulteriore alimento nelle persecuzioni, nella prigionia del fondatore. Il profeta, mitizzato, divenne un messia e si attese che egli tornasse e instaurasse il millennio o età daPoro. La morte di Matsua, altro «eroe» Kimbangista, avrebbe alimentato tali aspettazioni messianiche.
Fin qui la fase emancipazionista d'un movimento che ha un seguito ben diverso e più recente. Se si guarda infatti all'attuale filiazione del Kimbangismo, «l'Eglise de Jesus Christ sur l[...]

[...]e del culto (eliminazione del feticismo, dei sacrifici, di feste orgiastiche ecc.) in sieme con un rinnovamento della mitologia e della concezione del mondo tradizionale. Basti dire che, nella religione Deima, Gesù è ritenuto figlio di Dio e contemporaneamente é reinterpretato come una specie di trickster o eroebuffone, autore di quell'« errore» primordiale che diede origine alla morte e alle malattie, insomma quasi d'un «peccato originale ». In ciò si può forse vedere una reinterpretazione della «situazione coloniale ». Georges Balandier ha sottolineato il significato ideologico e politico della mitologia sincretista (26).
Siamo in grado ora di trarre una conclusione. Vi sono autori, come il Guariglia, che seguono un metodo tipologico astratto, cioè uniscono e dividono comparativamente fra loro :i movimenti religiosi prendendoli in blocco senza distinguere fasi e sviluppi, a seconda che in essi sia presente od assente il «sincretismo»
sic et simp&iciter. autori, così facendo, non aiutano
a capire la storia di tali movimenti, ma confondono case ed idee. Con qual criteria si può infatti affermare, come fa il Guariglia, che i1 sincretismo in sé é «una tendenza appoggiata sul culto del passato? » (27). Ciò significa ignorare la continua dinamicità, la trasformabilità e l'ambivalenza stessa del sincretismo, situato tra passato e futuro, fr[...]

[...] dividono comparativamente fra loro :i movimenti religiosi prendendoli in blocco senza distinguere fasi e sviluppi, a seconda che in essi sia presente od assente il «sincretismo»
sic et simp&iciter. autori, così facendo, non aiutano
a capire la storia di tali movimenti, ma confondono case ed idee. Con qual criteria si può infatti affermare, come fa il Guariglia, che i1 sincretismo in sé é «una tendenza appoggiata sul culto del passato? » (27). Ciò significa ignorare la continua dinamicità, la trasformabilità e l'ambivalenza stessa del sincretismo, situato tra passato e futuro, fra tradizione e innovazione. Il caso surriferito del Kimbangismo è un esempio fra molti altri movimenti africani. Questi nascono come nativisti ed emancipazio
(26) BALANDIER 1961, 8990.
(27) GUARIGLIA, in: «Devant les sectes nonchrétiennes », p. 20.
VITTORIO LANTERNARI
nisti nella fase di più accesa tensione fra le due culture — quella indigena e quella occidentale —, ma poi man mano che questi rapporti progrediscono verso un regime di mutua simbiosi ed int[...]

[...] una progressiva integrazione anche nel campo religioso.
Sincretismo formale, nativista, autonomista: sono le fasi dei movimenti religiosi più durevoli e di cui conosciamo intera la storia. Ma conosciamo molti movimenti di breve durata, talvolta coevi e territorialmente vicini, altre volte successivi, indipendenti e fondati da personalità differenti. Come sempre, la tendenza fondamentale di ciascuno di questi è legata ai fattori storicosociali, cioè anzitutto alle condizioni dei rapporti fra indigeni e bianchi nel momenta in cui la nuova religione è fondata. Dall'altro lato dipende da un fattore di natura differente: la personalità del profeta. La quale ultima, specie nei movimenti locali privi di lunga preparazione, può determinare il tono e l'indirizzo del movimento.
Quantunque l'emergere stesso di un profeta e la sua efficacia tra le masse indigene siano elementi — come noto — legati a un chiaro determinismo sociale e ad una funzione anch'essa sociale (un profeta si afferma nella misura in cui esprime i bisogni del gruppo), non si d[...]

[...]'innocenza originaria, con riunioni notturne e promiscue. Invece il grande movimento rhodesiano coevo della profetessa Lenshina (1954), antistregonista e antifeticista, di guarigione, antimissionario, deve molte sue caratteristiche alla formazione presbiteriana della fondatrice, alla sua esperienza personale di «morte» e resurrezione, alla visione di Dio da lei ricevuta (29). Inoltre i movimenti e i profeti possono influenzarsi fra loro: per es. ciò é avvenuto per le (( sette spirituali » del Ghana e della Nigeria (30).
Altre volte noi conosciamo movimenti religiosi che si pre
sentano come effervescenze solitarie: questo può anche dipendere da insufficienza di notizie, se mancano studi storici dettagliati e
locali circa i precedenti e gli eventuali sviluppi. Ignoreremmo
gli importanti precedenti delle attuali chiese separatiste del Nyassa se non avessimo lo studio fondamentale di Shepperson;
ignoravamo i precedenti delle attuali chiese separatiste del Kenya prima che Welbourn non ce ne avesse reso nota in dettaglio la storia.
Come [...]

[...]n aspetto particolare e complementare di una situazione religiosa più complessa, nella quale trovano posto, accanto a un culto neotradizionale, movimenti cristianizzati d'adattamento. Nel Ghana stesso, in Nigeria, accanto a culti neotradizionalisti di guarigione fioriscono chiese o sette nativiste. Sarebbe importante stabilire se vi sia un qualche rapporto di complementarità fra gli uni e le altre, e quali siano le differenze d'ambiente (anche sociologico) che le caratterizza. Il culto Yakan o Dede fiori fra il Sudan e l'Uganda dal 1890 al 1920 sotto influenza mahdista. E' una religione di guarigione, per la quale bevendo un'acqua magica si guariva dalle malattie. Ma insieme, ad opera del profeta Rembe, il culto ha ricevuto un'impronta emancipazionista, gli iniziati al culto credevano di rendersi immuni, con quell'acqua magica, dalle pallottole nemiche; essi attendevano messianicamente il ritorno dei morti, la liberazione dagli Europei, la pace, l'immortalità. Il profeta fu mitizzato come un messia. Oggi il culto Yakan sopravvive, ridott[...]

[...] culto ha ricevuto un'impronta emancipazionista, gli iniziati al culto credevano di rendersi immuni, con quell'acqua magica, dalle pallottole nemiche; essi attendevano messianicamente il ritorno dei morti, la liberazione dagli Europei, la pace, l'immortalità. Il profeta fu mitizzato come un messia. Oggi il culto Yakan sopravvive, ridotto a un culto magico di guarigione, ed ha perduto i suoi aspetti millenaristi, messianici: uno sviluppo « a rovescio ». Yakan é divenuto sinonimo, per i Lugbara, di (( potenza» che entra nell'uomo tramite l'acqua magica, che fa tremare e guarisce da certi mali, dà fertilità ai campi (31).
L'antropologo John Middleton informa che nei tempi recentissimi alcune chiese separatiste dell'Uganda hanno raggiunto i Lugbara: è da vedere fino a che punto l'involuzione del culto Yakan e l'adesione alle chiese separatiste non siano fenomeni che si completano a vicenda. Come dice E. Ward a proposito degli Ascianti della Costa d'Oro, i negri hanno scarsa consapevolezza della contraddizione e dell'incoerenza per noi esist[...]

[...] magiche, insomma reintroducono i tratti più elementari della tradizione precristiana, mentre i gruppi « sionisti » ed «etiopisti» sono «un ponte verso una nuova cultura » (34). Quali sono le differenze d'ambiente?
Come si scorge dalle differenti fasi dei movimenti sincretisti, ciascuna società nei singoli momenti della sua storia sociale e culturale mostra verso il cristianesimo un margine variabile d'accettazione spontanea; ed é un problema sociologico non poco comOlcsso individuare quali elementi determinino volta per volta il differente grado di accettazione. Diremo soltanto, in proposito, che un fattorechiave é certamente dato dal grado a cui sia giunto il processo di modernizzazione delle strutture economicosociali e politiche. Il Sundkler ha dimostratò che il più recente sviluppo delle chiese indipendenti etiopiste e sioniste va di pari passo con un avanzato processo di ammodernamento e d'industrializzazione della società. D'altra parte le stesse chiese in questa fase di «sincretismo» particolarmente avanzato, divengono centri pr[...]

[...]onomicosocialepoliticoculturale, specie in ambiente urbano, (Africa meridionale e occidentale, Congo exbelga, Kenya, Uganda ecc.) aumentano di vigore le chiese separatiste e autonomiste, con un indirizzo sempre più integrista.
Messianismi.
Fin qui del sincretismo africano. Anche per il messianismo si dovrebbe ripetere un discorso parallelo, che accenno solo di
(34) SUNDILER 1961, 302.
(35) SUND%LER 1961, 307310.
162 VITTORIO LANTERNARI
scorcio. Esistono, come visto, nuovi movimenti religiosi «amessianici ». Fra quelli messianici poi si danno le forme di messianismo più varie. In quelle «classiche» (del filone cristianoislamico) si attende il ritorno del fondatore con ruolo di salvatore divino. E' il caso del Kimbangismo, della chiesa Nazarita di Isaiah Shembe, del movimento di J. Chilembwe nel Nyassa (36), dei gruppi messianici suldafricani. Talara si attende un'immediata salvezza ad opera del fondatoremessia: così nel movimento Lassyista (37) del territorio di Cabinda e del Congo nel 1946. Altre volte l'atteso salvatore è un condo[...]

[...], e il ritorno all'Africa assume l'aspetto e l'ansia di una salvezza messianica (40). Fra i negri del Brasile durante il periodo schiavista era diffuso il messianismo del «ri
(36) SHEPPERSON 1962, 146.
(37) Sectes nouvelles en Angola, 1961.
(38) LANTRRNARI, Messianism.
(39) SEEPPERSON 1962, 147.
(40) SIMPSON 1962.
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC, 163
torno all'Africa ». Esso si fondeva con l'attesa di un mondo escatologico dopo morte. Perciò frequenti erano i casi di suicidio fra i negri. Il suicidio era per essi un mezzo per ritornare in Africa, attraverso il ricongiungimento della propria anima col mondo dei morti, che é dall'altra parte dell'Oceano. L'attesa del «ritorno)) si proietta, in questo caso, nell'aldilà (41).
Di fronte a tanti messianismi differenti, un problema fondamentale per noi é di verificare possibilmente se questo o quel tipo di messianismo corrisponda ad un terreno storicoculturale suo proprio differente dagli altri, e quale sia questo terreno. Per esempio in altra sede mi é parso d'identificare l'origine s[...]

[...]ori ambientali e psicologicosociali avviino quel processo di mitizzazione della figura del profeta, per cui costui é trasformato in un messia che risorge. In altri termini, quando e perché un movimento sincretista diventa messianico? Infatti s'è visto che il messianismo é sempre secondario rispetto al sincretismo nativista. Al fondamento del messianismo c'é una esigenza di salvezza da realizzarsi tramite un ente ed un evento sovrannaturali: e perciò esso é carico di significato escatologico. Ora, la genesi del messianismo come fatto storicoreligioso sarà da porsi in rapporto con le esperienze esistenziali concrete e le esigenze che derivano dalla particolare situazione storica di un dato gruppo umano. Ma in particolare avranno importanza fat
(41) BASTmf 1952.
(42) LANTERNARI, Messianism 1962; La grande festa, Milano 1959.
164 VITTORIO LANTERNARI
tori speciali come la personalità del profeta (p. es. Harris, Shembe s'imposero per una forte personalità), il suo annuncio di pros
sima rigenerazione; il destino subito dal profeta martirio[...]

[...] fatto storicoreligioso sarà da porsi in rapporto con le esperienze esistenziali concrete e le esigenze che derivano dalla particolare situazione storica di un dato gruppo umano. Ma in particolare avranno importanza fat
(41) BASTmf 1952.
(42) LANTERNARI, Messianism 1962; La grande festa, Milano 1959.
164 VITTORIO LANTERNARI
tori speciali come la personalità del profeta (p. es. Harris, Shembe s'imposero per una forte personalità), il suo annuncio di pros
sima rigenerazione; il destino subito dal profeta martirio e la
persecuzione hanno creato dei messia come Kimbangu, Matsua); l'annuncio della propria immortalità (Masowe fonda il movimento Hosannah promettendo di essere immortale). Vi sono casi speciali: per Paulo Nzuza, il messia zulu morto nel 1959, l'annuncio della resurrezione é udito in transe da un fedele presso la sua tomba, e quel tale diventa il «testimone» del messia Nzuza. Tra i fattori d'ambiente e culturali, oltre l'esperienza d'insicurezza, di malessere, di frustrazione e oppressione, che sono comuni al nativismo (di cui il messianismo é una forma), é necessario considerare la presenza di eventuali elementi messianici nella mitologia tradizionale, per comprendere come essi si siano rinnovati ed abbiano assunto una nuova funzione. Infine é da valutare l'influenza del messianismo cristiano o islamico (mahdismo).
Questi vari elementi cult[...]

[...]l'azione irredentista. La fase ecclesiastica autonomista viene dopo la fase insurrezionale e comunque é aliena da atteggiamenti di rivolta, avviando un crescente processo d'integrazione. Ma di ciascuna azione insurrezionale bisogna considerare sia i presupposti sia le ripercussioni nel campo religioso. Considerandola solo in se stessa si finirebbe per falsarne il significato reale.
Quali sono i rapporti tra i movimenti religiosi e lo sviluppo socioculturale? E' questo un problema particolarmente attuale che non possiamo qui analizzare. Certo l'impulso al rinnovamento economico e sociale diminuisce quando un movimento religioso s'istituzionalizza e il processo di decolonizzazione avanza: o meglio, quell'impulso generalmente prende una via autonoma, non più legata alla religione. « Il messianismo passa dalla rivoluzione alla conservazione », ha ben scritto Roger Bastide (48). Comunque, conviene esaminare ciascuna nuova re ligione in rapporto a tutti gli aspetti della cultura e delle trasformazioni culturali, e — come dice lo stesso Bastid[...]

[...] e rinnovamento sono i poli su cui si reggerà ogni cultura africana: poiché tradizione è storia nel suo senso retrospettivo, rinnovamento é storia nel suo senso prospettico: e la storia passata non può essere rinnegata neppure nei momenti di massimo impegno rinnovatore (51).
Quanto alle nuove religioni in rapporto all'indipendenza politica, giova in conclusione ripetere — per ben porre il problema su cui torneremo — quel che osserva il BaStide, cioè che «le nuove éliteS non fanno altro che sostituire un colonialismo a un altro, il colonialismo culturale — quello delle idee occidentali — al colonialismo amministrativo... La vera funzione delle religioni sincretiste è di salvare le vecchie strutture etniche minacciate dalle nuove forme politiche» (52). Dunque le religioni
(50) BASTIDE 1959, 435436.
(51) HERSKOVITS 1962, 451478.
(52) BASTIDE 1959, 440.
168 VITTORIO LANTERNARI
sincretiste sono l'estremo rifugio di società che rischiano di perdere, nel processo d'europeizzazione, la propria identità culturale (53), la loro «personalità [...]

[...]d'europeizzazione, la propria identità culturale (53), la loro «personalità ».
A questo proposito ricordo che, oltre alle religioni nuove ed alla rivolta attiva, c'é un'altra possibile risposta delle culture native alla civiltà occidentale, la quarta risposta (54). Alludo ai movimenti d'imitazione indiscriminata della civiltà occidentale da parte indigena, con ripulsa della propria. Questa reazione, la più precaria di tutte, é anche la più perniciosa. Sekou Touré ha parlato, a questo proposito, di una « mentalità da colonizzati (esprit colonisé) e di perdita della personalità (55).
Il caso degli Anang della Nigeria sudorientale, studiato dal Messenger (56), é eloquente. Fra gli Anang (prov. di Calabar) si diffuse nel 1930 il movimento degli Spiritualisti, i quali, ispirati dallo (( Spirito Santo», entravano in convulsione, si rotolavano in terra, parlavano lingue. Lo Spirito Santo derivante dal cristianesimo era reinterpretato magicamente come potenza capace di guarire i malati, di assicurare benessere, longevità e ogni altro bene a ch[...]

[...]Dopoché numerose calamità si abbatterono sugli Anang nel 193637, il nuovo culto fu abbandonato e il gruppo si divise in due tendenze opposte. Gli anziani tornarono alla tradizione integrale, convinti che averla parzialmente abbandonata fosse la causa dei malanni e della collera di Ata Abassi (l'Essere supremo). Le giovani generazioni all'opposto, per influenza missionaria e per reazione al fallimento del culto spiritualista, si volgevano con slancio frenetico al cristianesimo.
(53) BASTIDE 1962, 4041.
(54) Lasciamo da parte i casi rari e transitori di « rigidità culturale», come quello dei Masai, dei Pakot e altri gruppi nilotici, che sono rimasti inerti di fronte alla civiltà occidentale, ligi alle loro forme di vita tradizionali (HERsxovrrs 1962, 477).
(55) S. TouRÉ 1959.
56) MESSENGER 1959; 1960.
RELIGIONE, SOCIETÀ, POLITICA ECC. 169
Imitavano fanaticamente la cultura occidentale, considerata co. me forma unica di civiltà; denigravano la tradizione nativa. Ora, se ben si guarda alle conseguenze di questo atteggiamento, il fanati[...]

[...]la cultura tradizionale e la incondizionata imitazione, puramente esteriore, di una cultura superiore, è una reazione possibile e reale delle culture negre africane al contatto europeo: ma è una reazione distruttiva ed effimera, perché in essa non v'é creazione « endogena » di nuovi valori. Oggi gli Anang aderiscono con uno spirito autonomo al cristianesimo dei missionari ed hanno le loro chiese autonomiste,
(57) Altri casi di disintegrazione socioculturale conseguente all'imitazione indiscriminata della cultura occidentale da parte di società o gruppi indigeni sono stati da me raccolti nella comunicazione presentata al VII Congresso Internazionale di Scienze antropologiche ed etnologiche, Mosca, Ago. 1964, col titolo: Crise et désintégration culturelle dans le processus d'acculturation.
170 VITTORIO LANTERNARI
principale la Christ Army Church. Essa é fondata sul culto di guarigione dei malati, sull'antistregonismo, sull'attesa millenarista del trionfo finale di Dio su Satana (Ata Abassi degradato), con liberazione dalla paura e dalla[...]

[...]origini soggettive nella vocazione profetica. Altri come la Mead hanno sottolineato la perenne capacità delle folle, o di una porzione di qualsiasi società, di farsi convertire e convincere da un leader religioso dalla forte personalità (60). In questo concetto però non si considera sufficientemente l'influenza della società sulla formazione e Sull'efficacia del leader, e si rischia di riavvicinarsi ad un determinismo psicologico generico. Tutto ciò non esclude che praticamente i movimenti profetici africani ed extraafricani che noi conosciamo sono in relazione con fasi di malessere particolare, di mutamenti profondi della cultura. Del resto la natura fortemente emotiva delle loro manifestazioni, con franse,
(58) SUNDKLBR 1961, 302.
(59) BABTA 1961, 4, 67.
(60) MBAs 1959, 326327.
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 171
convulsioni, profezie, visioni, riti di possessione, glossolalia, é l'indice di un violento conflitto fra bisogni e realtà. Non si reclama salvezza se uno non si sente perduto. D'altra parte non si può pensare che delle[...]

[...]350353; HUNTER 1961, 56365; LANTERNART, op. cit., 3748.
(63) DAUEECFUES 1961; TAYLORLEHMANN 1961, 227247; KAUFMANN 1964, 69101.
(64) LANTERNARI, Op. Lit., 2728.
RELIGIONE, SOCIETÀ, POLITICA ECC. 173
Il padre Gravrand c'informa che la predicazione cristiana, iniziata nel Senegal nel 1950, produceva l'effetto imprevedibile di far convertire via via all'islamismo tutti gli uomini maturi, mentre solamente i giovani aderivano al cattolicesimo. Perciò si produceva una preoccu pante frattura tra padri e figli. Rispondendo al missionario cristiano, un indigeno si esprimeva casi : «'Noi abbiamo ascoltato le tue prediche ed ora siamo persuasi che occorre avere una religione. Non si può morire senza religione. La via del cattolicesimo sarebbe la migliore, ma bisogna essere giovani per intraprenderla. Noi andremo a Dio per la via dell'Islam o (65). E' questo un modo particolare con il quale si esprime l'autonomismo indigeno — più forte presso gli anziani, detentori della tradizione — di fronte alla chiesa occidentale. La facilità d'adesione dei [...]

[...] dei negri africani (67).
Il panorama delle reazioni religiose dei negri alle grandi religioni portate dall'occidente varia seriamente se si considerano le città o i villaggi. In realtà — come diremo — si 'delinea una tensione sociale oltre e più che religiosa, fra ambienti urbani e ambienti rurali. Nelle città il panorama comprende; una ripresa di antiche tradizioni religiose rinvigorite in senso supertribale; una spinta alle grandi religioni, cioè il giudeocristianesimo, l'islamimismo, l'induismo; la nascita di vere religioni di stato; il permanere d'una religiosità generica depauperata dei vecchi contenuti; la spinta alla secolarizzazione con declino della vita religiosa. Nei villaggi si va dai sincretismi ai neotradizionalismi, alla spinta verso le grandi religioni moderne, sia in senso ortodosso
(65) GRAVRAND 1961, 102.
(66) PARKINDER 1959, 136141; FROELICH 1962, 101121; RoucH 1960, 1317; vedi anche HODGSON 1961, 177197 (quest'ultimo autore si riferisce a una caratterizzazione fenomenologica e strutturale dell'islamismo, tuttavia[...]

[...]ika, Braunschweig 1948; HERS%OVITS 1962, 17797, 417421.
174 VITTORIO LANTERNARI
sia in senso eterodosso o separatista (sincretismi) (68). Se si confronta un panorama con l'altro, é chiaro che mentre la vita urbana verte alla caduta della religione in genere, e di quella tradizionale in ispecie, in ossequio alla crescente tendenza europeizzante, nei villaggi v'è la tendenza a conservare, in forme autentiche o rimodernate, le vecchie tradizioni. Ciò in ottemperanza ad uno spirito conservatore e misoneista proprio dei ceti rurali in quanto poco o nulla inseriti nel processo di trasformazione economicosociale, anzi lasciati ai margini d'essa (vedi oltre). Il riflesso nel campo religioso d'una tale situazione è che perdurano le tendenze già maturate in clima coloniale, caratterizzate da due fondamenti comuni: un bisogno religioso, anzi un « bisogno della Bibbia » originato dallo shock subito al confronto dei bianchi e dallo stato d'inferiorità conseguente, e — in una direzione opposta — una resistenza parte consapevole parte inconscia alle [...]

[...]e, caratterizzate da due fondamenti comuni: un bisogno religioso, anzi un « bisogno della Bibbia » originato dallo shock subito al confronto dei bianchi e dallo stato d'inferiorità conseguente, e — in una direzione opposta — una resistenza parte consapevole parte inconscia alle istituzioni religiose ufficiali portate dall'occidente. Tale resistenza ha le sue radici nelle precise esperienze che i negri hanno avuto dei portatori del cristianesimo, cioè nelle «contraddizioni fra il comportamento abituale dei cittadini bianchi e i principi cristiani predicati dai missionari; il blocco della colonizzazione con l'evangelizzazione,... il fatto che l'acculturazione della chiesa tende (o tendeva) a ottundere il senso dei valori autonomi » (69).
Ora, se ben si guarda, i motivi originari a cui s'ispirano molte sette moderne auroamericane (incluse quelle dei secc. XIX e XX, fra cui la Watch Tower) sono perfettamenti paragonabili a quelli dei movimenti religiosi africani, e cioè: superare le contraddizioni fra comportamento e principi, sgomberare la[...]

[...]i e i principi cristiani predicati dai missionari; il blocco della colonizzazione con l'evangelizzazione,... il fatto che l'acculturazione della chiesa tende (o tendeva) a ottundere il senso dei valori autonomi » (69).
Ora, se ben si guarda, i motivi originari a cui s'ispirano molte sette moderne auroamericane (incluse quelle dei secc. XIX e XX, fra cui la Watch Tower) sono perfettamenti paragonabili a quelli dei movimenti religiosi africani, e cioè: superare le contraddizioni fra comportamento e principi, sgomberare la religione dagli interessi istituzionali, riguadagnare il senso di religiosità autonoma dell'individuo: tutto ciò mediante un «ritorno alle origini» variamente interpretato caso per caso.
C'è dunque, nella nascita dei movimenti indigenisti e delle sette moderne occidentali, un parallelismo di condizioni storiche. Sarebbe interessante estendere l'esame di questi paralleli
(68) SEIEPPERSON 1963, 150.
(69) CTIENu 1962, 534.
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smi anche ai movimenti profetici del mondo antico. Come vari autori hanno osservato, il cristianesimo stesso, ai suoi inizi si pre
senta come un movimento profetico e millenarista profondamente
legato alle speranze d'un miglioramento immedi[...]

[...]esti paralleli
(68) SEIEPPERSON 1963, 150.
(69) CTIENu 1962, 534.
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smi anche ai movimenti profetici del mondo antico. Come vari autori hanno osservato, il cristianesimo stesso, ai suoi inizi si pre
senta come un movimento profetico e millenarista profondamente
legato alle speranze d'un miglioramento immediato delle condizioni della popolazione. «Dopo tutto — scrive il Koebben — il
cristianesimo cominciò come movimento profetico» (70). E Norman Cohn aggiunge: «Per numerosi suoi primi seguaci, il cristianesimo era un movimento millenarista. Qualunque fosse il significato che Gesù poteva dare quando parlava di ' Regno di Dio', certo molti cristiani nei primi quattro secoli, compresi certi padri della Chiesa come Papia, Irene°, Lattanzi°, aspettavano una profusione di beni per cui la terra senza coltivarla avrebbe prodotto vino e grano e latte in una misura mai prima udita, e in cui gli infedeli sarebbero caduti in schiavitù dei fedeli» (71). D'altra parte a un osservatore attento appare che le [...]

[...]i primi secoli cristiani, secondo l'interpretazione immanentista e materialista del «millennio» annunciato dall'Apocalisse„ cfr. KAUFMANN 1964, 1213.
(72) DESROCHE 1960, 31321.
(73) SHEPPERSON 1958, 134135.
(74) L'identificazione e la confusione del ruolo delle missioni con quello delle amministrazioni coloniali proviene dai negri stessi, a causa della natura solidale e organica delle esperienze storiche, da loro subite, dell'u uomo bianco ». Ciò non esclude che per molti altri rispetti i missionari assunsero la protezione dei negri contro il colonialismo, e i negri mostrarono più volte di riconoscere nelle missioni un ruolo distinto da quello degli amministratori coloniali. Per il problema della politica missionaria e delle sue trasformazioni, cfr. LANTERNARI, 4 Ulisse r 1962.
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ferenze. Soprattutto, all'origine dei profetismi indigeni si trova una tensione culturale d'origine esterna; al contrario all'origine degli altri profetismi si ha una tensione d'origine interna fra società e istituzioni oppressive. A q[...]

[...]loniale.
I sincretismi, profetismi, messianismi rappresentano, a uno sguardo d'assieme, una importante risposta delle culture africane all'introduzione della civiltà occidentale nel periodo estremo e più acuto del colonialismo europeo. La raggiunta indipendenza risolve certo alcune delle urgenti istanze che si espressero nei movimenti religiosi preparatori del processo d'emancipazione. Tuttavia altre pressanti esigenze, altri fattori di crisi socioculturale gravano sulle società indipendenti. Numerosi sono i riflessi religiosi di una situazione sociale e culturale tutt'altro che equilibrata.
I sincretismi nati in periodo coloniale continuano e si sviluppano, senza rinunziare agli aspetti religiosi tradizionali più radicati. Anche i profetismi talora continuano ad avere vigore, e mutano indirizzo: da innovatori e progressisti, quali erano nelle fasi iniziali e rivoluzionarie, diventano conservatori e misoneisti. Il dualismo religioso, nelle combinazioni più varie, sussiste e si sviluppa (75): gli individui e i gruppi «cristianizzati» no[...]

[...]ù varie, sussiste e si sviluppa (75): gli individui e i gruppi «cristianizzati» non hanno difficoltà di ricorrere, quando é necessario, al « fétisheur » o «medicine man» per curare le malattie. Anche in clima cristiano sono salvaguardati vari tratti tradizionali. Per di più in genere si
(75) Per esempio, nel movimento Jamaa del Katanga (Ttrauws 1960).
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tratta d'un cristianesimo più apparente che reale, per ciò che riguarda specialmente le masse rurali.
In questo quadro di generico tradizionalismo ci pare bene esaminare alcuni episodi di natura socialreligiosa, che sembrano particolarmente significativi del clima postcoloniale. La chiesa matsuista di Kinzonzi nel Congo exfrancese continua, contro il governo indipendente indigeno del paese, la stessa politica di scioperi già adottata contro il governo coloniale francese, come se l'indipendenza non fosse reale. I fedeli della setta rifiutano di aderire al censimento, di pagare le imposte, di accedere agli ospedali. Il governo congolese si é visto costretto a prendere contro i « ribelli » le stesse misure (arresti, carcere) che già il governo coloniale francese prendeva contro i matsuisti (76).
E' una forma di resistenza socialculturale contro il processo di occidentalizzazione promosso dai dirigenti indigeni, a loro volta «occidentalizzati ».
La resistenza diventa rivolta violenta nell'episodio di cui é [...]

[...] una seria minaccia per i governi locali e per l'amministrazione centrale. Egli la definiva una potente centrale d'attrazione dei nativi contro il proselitismo missionario, ed una forte organizzazione religiosa.
Alice Lenshina Mulenga, della tribù Bemba, moglie d'un funzionario della missione presbiteriana, abbandonò la missione nel 1953 allorché, in seguito a una malattia, cadde in transe e ricevette la visione di Dio e degli angeli. Ella annunciò di essere morta e rinata. Iniziò poco dopo, come emissaria e interprete di Dio, la predicazione della nuova religione, e cominciò a «bat
(76) BASTIDE 1961, 8.
(77) RETIF 1959, 191. Il nome Lumpa può significare « che va lontano n, « l'eccellente a che salva * (TAYLORLEHMANN 1961, 253).
178 VITTORIO LANTERNARI
tezzare» le folle che venivano a lei dai territori vicini e lontani, in sacro pellegrinaggio, facendo del villaggio di Kasomo (distretto di Chinsali) la (( nuova Sion », il centro della setta. Fondò, con il marito Petro, una forte organizzazione, formata di discepoli, di diaconi, e di un clero devoto. Il movimento si estese fino al Tanganyka e al Nyasaland. Ella predicava il rinnovamento della religione tradizi[...]

[...]i come (( leggi » ufficiali, prescritte da Alice ai fedeli «cristiani ». Il rituale dá larga importanza al canto corale di inni creati da Alice su forme tradizionali: essi sono cantati durante il servizio religioso nelle apposite « cappelle » e nel corso delle processioni. Oltri i tratti d'influsso cristiano vi sono tratti di derivazione tradizionale e di significato autonomista. Deriva dalla tradizione l'elemento centrâle della nuova religione, cioè l'esperienza visionaria e liberatrice della profetessa; hanno sapore nativista l'esclusione della Bibbia dei bianchi e l'atteggiamento autonomista verso le missioni. In realtà, nonostante lo spirito moderato e per nulla antieuropeo di Alice e delle «leggi» da lei imposte ai fedeli, il movimento diventa ben presto fortemente antimissionario, xenofobo, emancipazionista; i proseliti attendono la liberazione dal giogo coloniale. Le missioni protestanti e cattoliche vedono passare alla setta la maggioranza dei negri già fedeli ad esse. E' una setta sincretista (78), volta con
(78) Anche nei nomi[...]

[...] profetico, come uno dei tre personaggi prescelti da Dio per la salvezza del popolo: lui é stato scelto per la cura delle cose politiche, il primo ministro per le cose amministrative, il profeta per la guarigione dei malati.
La tensione socialreligiosa che si va manifestando fra la «brousse » e la città, fra tradizione e europeizzazione, si esprime dunque in due tendenze distinte e contrapposte. Da un lato si ha un processo di «ruralizzazione» (cioè d'integrazione su un piano puramente mitologico e religioso) della civiltà urbana con i suoi esponenti più lontani e « distaccati ». D'altra parte, molti personaggi e gruppi politici dirigenti tendono a operare lo sfruttamento politico della religiosità della ` brousse » a sostegno del roprio potere. Nascono in tal modo delle vere «religioni di stato », formate da elementi delle religioni tradizionali mescolate con altri delle religioni superiori, intorno a figure individuali (presidente della repubblica, capipartito), oligarchie o partiti che hanno interesse a mobilitare le masse rurali e u[...]

[...]un meridionale padre René Bureau ha fatto una analisi della situazione religiosa, allarmante d'al punto di vista teologico e missionario, per lo sfrenato rigurgito di religiosità tradizionale che s'accompagna con il rifiuto o il declino del cristianesimo precedentemente accettato dalla popolazione locale. Dopo una prima fase d'incontro infruttuoso col cristianesimo missionario fra il 1890 e la I Guerra Mondiale, la popolazione sudcamerunese cominciò dopo la I Guerra Mondiale ad essere attratta ad esso non tanto — come osserva il Bureau — per effetto di proselitismo religioso, quanto per accedere all'istruzione impartita nelle scuole missionarie. Infatti l'istruzione era diventata una fonte nuova di prestigio nel villaggio, e apriva, nella speranza dei giovani, la possibilità di nuovi sbocchi e impieghi in città. L'incremento della cristianizzazione é rapido e giunge, subito dopo la II Guerra Mondiale, al culmine massimo: il 95% della popolazione risulta ufficialmente cattolica, circa 900.000 individui. Il Camerun raggiunge il primato del[...]

[...]re che «forse la massa era stata convertita, ma non la coscienza comane» (87).
Piú che ricorrere a distinzioni di quest'ultimo genere, é opportuno, per spiegare un fenomeno così caratteristico, riferirsi
(87) BUREAU 1964, 107112; BUREAU, in: LANTERNARI 1963, 225226.
184 VITTORIO LANTERNARI
all'esperienza di vuoto creatosi nel dopoguerra e cresciuto dopo raggiunta l'indipendenza, fra le comunità dei villaggi — già integrate nel loro sistema socioculturale e religioso — e una classe dirigente europeizzata, da poco formata, e disintegrata nel dominio sociale oltreché culturale dalla società da cui originariamente proviene.
Altre società africane contemporanee riaffermano un ritorno alla tradizione e rifiutano il cristianesimo precedentemente accettato. Nel 193637 il Ruanda ebbe un movimento di conversioni così esteso come in pochi altri casi si ritrova nella storia delle missioni. Ma oggi i missionari stessi ammettono che erano conversioni fittizie, dettate da fini interessati. Sia i Tutsi che gli Hutu del Ruanda s'aspettavano dall'ade[...]

[...]ncremento di prestigio, di potenza e di sicurezza personale nel campo sociale. Oggi il cristianesimo é in piena crisi a causa del processo di secolarizzazione, specie negli ambienti intellettuali e inurbati, a causa delle lotte fra gruppi, a causa del ritorno alle feste e ai riti tradizionali, mentre si estromettono le influenze occidentali (88).
Vi sono parecchi casi nei quali un precedente sincretismo si sviluppa — come già si é detto a rovescio, indietreggiando da una fase ricca di elementi cristiani a un vero neotradizionalismo per nulla cristiano. Così i molti movimenti neoharristi dell'Africa occidentale derivano storicamente dal sincretismo ricco di elementi cristiani fondato da Wade Harris nel 1914; ma oggi l'antico harrismo é ridotto a una serie di culti di guarigione, e ha perduto gli elementi millenaristi, innovatori della fase iniziale. Nella setta dei Water Carriers degli Nzema (Ghana) — come ci indica Ernesta Cerulli — abbiamo l'esempio d'uno di questi culti di guarigione neoharristi. Si fa uso di acqua battesimale, della[...]

[...]solidali con esso.
In conclusione, pur nelle differenti situazioni dei vari paesi, l'indipendenza politica, più che determinare un mutamento radicale dell'atteggiamento socialreligioso, ha spostato all'interno della società le forze promotrici degli antichi contrasti, e che precedentemente agivano su di essa dall'esterno. Neila maggior parte dei paesi, dal colonialismo socialpoliticoeconomico imposto dagli europei si é passati al colonialismo socioculturale imposto dalle élites dirigenti. In tale quadro sembrano spiegarsi le suaccennate manifestazioni di rivolta socialreligiosa, di tradizionalismo e neotradizionalismo, di reinterpretazione mitologica del «potere» politico. Esse direttamente o indirettamente denunciano il «vuoto » socioculturale creatosi nella maggioranza delle nuove nazioni africane fra la classe dirigente che ha fatto proprio il mondo mentale, la secolarizzazione della vita, lo spregiudicato individualismo degli occidentali, e il proletariato rurale o il sottoproletariato urbano, che da un lato sono spinti dal contatto a uscire dall'antica cultura in crisi e d'altra parte rimangono ai margini della cultura nuova, anzi spesso sono strumentalizzati in funzione di interessi particolari di gruppi e persone. C'é un «autocolonialismo» africano dunque, alleato del neocolonialismo euroamericano.
In tale quadro, i[...]

[...]e riguarda il «paternalismo politico» delle élites, vedi
RELIGIONE, SOCIETA, POLITICA ECC. 187
mo a un bisogno d'integrazione di quei valori che finora la civiltá occidentale ha «esportato)) nell'Africa Nera senza riuscire a integrarli nel background culturale delle società indigene.
Vrrroiuo LANTERNARI
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* Con l'eccezione di poche voci, comprendiamo in questa bibliografia opere e articoli che non erano compresi nel nostro volume Movimenti religiosi (1960) o che non erano ancora usciti all'epoca della sua pubblicazione nell'originale italiano.
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188 VITTORIO LANTERNARI
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da Cesare Luporini, La metodologia del marxismo nel pensiero di Antonio Gramsci in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: LA METODOLOGIA DEL MARXISMO
NEL PENSIERO DI ANTONIO GRAMSCI
Questo titolo — « la metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci » — potrebbe dar luogo ad un equivoco che è bene eliminare subito. Si potrebbe, cioè, essere indotti ad attribuirci l'intento di ricostruire ciò che è essenziale, filosoficamente, nel pensiero di Gramsci, quale uno sforzo di intendere e interpretare il marxismo alla stregua di una pura o mera metodologia (salvo, naturalmente, a vedere di che cosa esso sarebbe la metodologia).
Tentativi di questo genere, nei riguardi del marxismo, furono fatti, com'è noto, nel passato ed hanno tutta una storia che non sarebbe punto lecito giudicare e tanto meno liquidare in blocco e in astratto, cioè indipendentemente dal contesto di problemi e di indirizzi ideali, e dalle concrete situazioni culturali, in cui sorgevano. Si tratta, apparentemente, di una questione vecchia, ed a qualcuno verrà fatto di ricordare come il Croce, nei suoi scritti intorno al marxismo della fine del secolo, addirittura negasse che il marxismo, o più esattamente il « materialismo storico » (con la quale designazione si tendeva allora a comprendere tutta la dottrina) fosse da considerare un « metodo », nel mentre che gli toglieva anche il carattere di « teoria », riducendolo a empirico « canone d'interpretazione[...]

[...]e tutta la dottrina) fosse da considerare un « metodo », nel mentre che gli toglieva anche il carattere di « teoria », riducendolo a empirico « canone d'interpretazione storica » (1). Ove, allo storico delle idee, soprattutto interessa la convergenza delle due negazioni, che appare sintomatica di un certo atteggiamento di pensiero in formazione. Infatti più tardi il Croce verrà identificando la « teoria », anzi, la filosofia (tutta la filosofia, cioè la sua filosofia) con la « metodologia della storia ». Quell'abbassamento del marxismo da « metodo » a « canone » conteneva, a fortiori, anche la negazione (con
(1) B. CROCE, Materialismo storico ed economia marxistica, Bari, 19275 (Cfr. particolarmente le pp. XI, .9, 13, 15, 79, 86, 111).
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tro il Labriola con cui Croce era in discussione) che esso fosse una « filosofia », ossia una autonoma concezione delle realtà (2).
Nel clima filosofico odierno la parola « metodologia » si presenta carica di nuove suggestioni e riferimenti determinati a dottrine e tendenze filosofi[...]

[...]e una « filosofia », ossia una autonoma concezione delle realtà (2).
Nel clima filosofico odierno la parola « metodologia » si presenta carica di nuove suggestioni e riferimenti determinati a dottrine e tendenze filosofiche che erano ancora poco sviluppate negli anni di Gramsci e comunque, allora, inoperanti in Italia. Si tratta di interessi sorti su un terreno diverso da quello della ricerca storica e delle scienze umane (politica, economia, sociologia, psicologia ecc.), anche se oggi essi tendono in qualche modo ad investirle: e precisamente delle indagini di carattere logico e «linguistico» intorno alle strutture intime e ai procedimenti delle scienze matematiche e fisiche. Tali indagini sembrano comportare un atteggiamento mentale diametralmente opposto a quello ora indicato nel Croce della maturità, per cui tutta la filosofia si risolve in un'unica metodologia (la metodologia, almeno in assunto, della conoscenza del concreto, ossia della « storia »). Se queste tendenze filosofiche rimasero, in quelli che erano allora i loro inizi ([...]

[...]iche e fisiche, di cui Gramsci non aveva esperienza), ed é di lui l'affermazione che « ogni ricerca ha un suo determinato metodo e costruisce una sua determinata scienza » (3). Farli oggetto di studio e di svolgimento non vi é dubbio che sarebbe cosa da incoraggiarsi e, voglio aggiungere, quel clima filosofico odierno in cui respirano, anche nel nostro paese, buona parte delle giovani generazioni degli specialisti di filosofia, dovrebbe essere a ciò particolarmente favo
(2) Op. cit., p. 90.
(3) A. GRAMSCI, II materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, p. 136. II passo è, caratteristicamente, citato da Ludovico Geymonat nel saggio Caratteri e problemi della nuova metodologia (in Saggi di filosofia neorazionalista, Torino, 1953, pp. 7374).
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revole. Indubbiamente quegli spunti sono indicativi di alcuni fra gli interessi più originali di Gramsci (4). Essi tuttavia non sono isolabili, se li si vuole intendere e non fraintendere, se non si vuole commettere cioè una sopraffazione intellettuale, d[...]

[...]to Croce, p. 136. II passo è, caratteristicamente, citato da Ludovico Geymonat nel saggio Caratteri e problemi della nuova metodologia (in Saggi di filosofia neorazionalista, Torino, 1953, pp. 7374).
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 183
revole. Indubbiamente quegli spunti sono indicativi di alcuni fra gli interessi più originali di Gramsci (4). Essi tuttavia non sono isolabili, se li si vuole intendere e non fraintendere, se non si vuole commettere cioè una sopraffazione intellettuale, dalla metodologia del marxismo come vive ed opera in Gramsci: cioè del procedimento effettivo con cui egli elabora i concreti problemi di cui si occupa. Rilevare questa effettiva, esplicita o implicita, metodologia, é il primo compito; ed é ciò a cui qui si cerca di recare un contributo.
Ora, proprio a questo punto potrebbe sorgere l'equivoco a cui mi riferivo in principio. Conviene perciò dichiarare subito che il marxismo non è per Gramsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » (5). Il momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente, nel pensiero di Gramsci, e non sono separabili senza grave deformazione. Non si tratta solo della prova che di ciò si può ricavare da innumerevoli passi citabili, ma del nesso profondo, organico, del suo pensiero. [...]

[...]amsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » (5). Il momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente, nel pensiero di Gramsci, e non sono separabili senza grave deformazione. Non si tratta solo della prova che di ciò si può ricavare da innumerevoli passi citabili, ma del nesso profondo, organico, del suo pensiero.
Vorrei richiamare qui, per un momento l'attenzione su un punto che, almeno per i filosofi « specialisti », ma forse non solo per loro, credo non indifferente. Questa posizione di Gramsci comporta l'idea che la filosofia sia sempre, anche, in qualche modo, « concezione del mondo ». Ciò non era per Gramsci oggetto di discussione. Che si possa proporre l'idea di una filosofia quale
strenge Wissenschaft », scienza rigorosa, proprio in quanta contrapposta alla Weltanschauung, e in certo modo svuotata di essa, era tesi che ancora non aveva avuto, praticamente, risonanza in Italia, negli anni in cui scriveva Gramsci (e del resto, se non erro, neppure in Francia). Essa era stata affacciata dallo Husserl nel
(4) Penso, in modo particolare, alle riflessioni e osservazioni di Gramsci intorno ai problemi del linguaggio e dei linguaggi (tecnici, specialistici ecc.).
(5) Cfr. A. LABR[...]

[...]lare, alle riflessioni e osservazioni di Gramsci intorno ai problemi del linguaggio e dei linguaggi (tecnici, specialistici ecc.).
(5) Cfr. A. LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, Bari, 19444, p. 10 e passim.
184 CESARE LUPORINI
1911, in uno scritto che credo di grande interesse per la storia. filosoficoculturale europea di questo secolo (6) (di quell'ideale lo Husserl veniva da tempo elaborando e applicando il metodo). Ricordo ciò perché quella tesi ci appare storicamente annunciatrice di tanti successivi indirizzi e procedimenti concettuali (penso non solo alla fenomenologia husserliana, ma alle correnti, di assai diversa origine, che appunto amano chiamarsi «metodologiche») (7) che si sono immensamente dilatati, che oggi campeggiano largamente nel mondo filosofico e coi quali il marxismo non può non trovarsi in discussione.
Ora è interessante notare, mi sembra, che in Gramsci si trova, e tutt'altro che accidentalmente, una concezione del filosofo la quale contiene una risposta a quell'atteggiamento. Si tratta propri[...]

[...]fino a lui, del punto in cui vanno ripresi, come accade, o dovrebbe accadere, per ogni specialista. Ma il suo compito più specifico appare la riduzione dei procedimenti del pensiero a « omogeneità », « coerenza gicità ». Sotto tale riguardo, osserva Gramsci, «non sarà esatto
(6) Philosophie als strenge Wissenschaft, in «Logos» I (191011). E interessante notare che lo Husserl svolge la sua posizione attraverso una discussione con lo Historismus, cioè con un certo tipo di storicismo. Di ciò che compone la Weltanschauung egli accentua l'elemento « saggezza » (Weisheit, Weltweisheit),
(7) Cfr. I. M. BOCHENSKt, Europäische Philosophie der Gegenwart, Bern 1951, p. 32. « Sowohl die mathematische Logik als auch die Phänomenologie sind vor allem Methoden, nicht inhalhiche Lehren. Beide sind aus einer Besinnung auf die Grundlagen der Wissenschaften hervorgegangen und versuchen, diese durch eine rationale Methode neu zu begründen ».
(8) Il materialismo storico ecc., cit., p. 24.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 185
chiamare filosofia ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale e[...]

[...]p. 24.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 185
chiamare filosofia ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni concezione del mondo e della vita ». Siamo sul terreno, potremmo dire, almeno come atteggiamento di
fondo, delle odierne filosofie metodologiche. « Tuttavia aggiun
ge Gramsci — c'è una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvicina più agli altri uomini di ciò che avvenga per gli altri specialisti. L'aver fatto del filosofo specialista una figura simile, nella scienza, agli altri specialisti, é appunto ciò che ha determinato la caricatura del filosofo. Infatti si può immaginare un entomologo specialista, senza che tutti gli altri uomini siano "entomologhi" empirici, uno specialista della trigonometria, senza che la maggior parte degli uomini si occupino di trigonometria ecc. (si possono trovare scienze raffinatissime, specializzatissime, necessarie, ma non perciò "comuni"), ma non si può pensare nessun uomo che non sia anche filosofo, che non pensi, appunto perché pensare é proprio dell'uomo come tale ».
Questo richiamo di Gramsci non ha nulla a che fare con una certa, nota, tesi idealistica. O, se vogliamo, é la traduzione di essa dal cielo speculativo ai suoi termini reali, che saranno sempre, per Gramsci, termini « storicistici ». « Non il pensiero, ma ciò che realmente si pensa unisce o differenzia gli uomini » (9), egli dice altrove.
Ora, « ciò che realmente si pensa » non é per Gramsci semplicemente ciò che si crede di pensare, ma quanto si manifesta nella pratica, nel pratico operare: tuttavia l'uno aspetto e l'altro, ciò che si crede di pensare e ciò che effettivamente si pensa operando, costituiscono, tutt'insieme, quella « concezione del mondo » per cui tutti gli uomini sono « filosofi ». La quale può essere dunque quanto mai disgregata, contraddittoria (in quanto non é ancora affrontata criticamente) e costituisce il contenuto di quel che si chiama «senso comune ». Ma in tale immanente e sempre presente « concezione del mondo » — che appare in tal modo legata per un
(9) Op. cit., p. 31.
Amomme
verso alle idee, comunque ricevute, e per un altro al pratico operare — non siamo mai punto isolati, ma apparteniamo sempre a un raggrumento [...]

[...] un livello superiore, quello appunto della coerenza e consapevolezza critica, prodotte dall'analisi dei rapporti storici e sociali in cui si opera. E' molto interessante il modo in cui Gramsci collega questi concetti con l'intento educativo che aveva presente. Quei rapporti « importa conoscerli geneticamente, nel loro modo di formazione, perché ogni individuo non solo é la sintesi dei rapporti esistenti ma anche della storia di questi rapporti, cioè il riassunto di tutto il passato. Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare é ben poco, in rapporto alle sue forze. Ciò é vero fino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e se questo cambiamento é razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che a prima vista può sembrare possibile » (12).
Mi sono fermato su queste parole, così semplici, perché in esse é come l'a b c dell'educazione rivoluzionaria della classe operaia, nel suo aspetto teorico, ma esse coincidono rigorosamente con un'introduzione alla filosofia. Così Gramsci avrebbe potuto iniziare un suo « saggio pop[...]

[...], si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso dei rapporti di cui egli è centro di annodamento. In questo senso il filosofo reale non può essere altri che il politico, l'uomo attivo che modifica l'ambiente, inteso per ambiente l'insieme dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte ». In queste parole troviamo presentata nella sua forma, se vogliamo, più brusca ed elementare (ma che ce ne fa comprendere, proprio perciò, con grande immediatezza, tutta la portata realistica) quella identificazione di filosofia e politica che in altri passi è da Gramsci ben altrimenti elaborata e arricchita di anelli e processi di mediazione; e in cui si trae la più conseguente conclusione della XI tesi su Feuerbach: « I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo ».
Gramsci poneva in relazione questa tesi col detto famoso del « proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca », detto che, naturalmente, ha assunto un significato estensivo, generale, per il proletariato rivo[...]

[...] ossia questo legame fra la coscienza in trasformazione di
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 189
grandi masse umane e la criticità filosofica (che naturalmente ha molteplici gradi ed elementi di mediazione) è un fatto assolutamente nuovo e rivoluzionario nella storia, il quale modifica le dimensioni stesse del filosofare (introducendo in esso quello che potremmo dire un nuovo parametro, un coefficiente ulteriore che muta i precedenti rapporti) e con ció trasforma anche la figura tradizionale del filosofo individuale, per dar luogo a quello che Gramsci chiama « il filosofo democratico », cioè al « filosofo convinto — com'egli dice — che la sua personalità non sia limitata al proprio individuo fisico, ma è un rapporto sociale attivo di modificazione dell'ambiente culturale » (13). Sono da porsi in relazione a questo concetto le indagini di Gramsci intorno agli intellettuali, alla loro funzione nella società, e alla loro storia, e, più in particolare, la domanda che egli si pone sulla funzione che ancora possa spettare al « grande intellettuale » nel mondo moderno. La risposta di Gramsci mi sembra importante e tale da far riflettere. Quella funzione, egli dice, « permane intatta, t[...]

[...], governanti e governati, educatori ed educati, su cui egli ripetutamente ritorna.
Ma quella nozione gramsciana del marxismo come a riforma intellettuale e morale » di massa ha anche un altro campo di validità. Essa collega idealmente il comunismo, inteso appunto come movimento reale, ad altri fenomeni storici di un certo tipo, consentendo di cogliere gli elementi di analogia e di segnare nello stesso tempo le radicali differenze (essa serve perciò tanto alla metodologia storiografica quanto alla 'prospettiva o previsione del futuro, nella cui elaborazione entriamo come parte attiva e volontaria). Vi sono state infatti nella storia altre riforme intellettuali e morali di massa, che avevano profonde radici sociali e furono accompagnate, seguite e anche precedute, da particolari e varie elaborazioni concettuali, filosofiche, metafisiche. Gramsci ha sempre presente il cristianesimo e soprattutto, in un contesto storico più vicino a noi, la riforma protestante e l'illuminismo (nei caratteri e ripercussioni di massa di quest'ultimo; e Gramsc[...]

[...]unificazione culturale di tutti gli uomini. E l'orizzonte, virtualmente universale, di svi
(15) II materialismo storico ecc., cit., p. 80.
(16) Cfr. op. cit., p. 86.
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luppo e di dilatazione della società socialista e comunista, onde Lenin aveva scritto (1913) che « il punto essenziale della dottrina di Carlo Marx è l'interpretazione della funzione storica mondiale del proletariato come creatore della società socialista ».
Ciò riguarda, in modo non estrinseco ma intimo, la natura della filosofia marxista, che è prima di ogni altra cosa, la teoria rivoluzionaria della classe operaia e si rivolge innanzi tutto ad essa (Marx, Engels, Lenin, si preoccuparono sempre molto dell'educazione « teorica » degli « operai coscienti » e ne curarono attentamente i progressi, anche di piccoli gruppi), ma che assegna nel medesimo tempo alla rivoluzione proletaria un significato universale di riscatto dell'integrale umanità dell'uomo, dilacerata dalla divisione della società in classi antogoniste, le quali fondano la loro esistenza [...]

[...] di vista marxista, — attraverso questa negazione dell'uomo in generale — la domanda « che cosa è l'uomo » ? All'opposto, possiamo dire: essa acquista un significato concreto che è un significato di movimento, o svolgimento consapevole, e come tale essa, potremmo aggiungere, è indirizzante, pratica, regolativa. « Se ci pensiamo — scrive Gramsci — vediamo che ponendoci la domanda che cosa è l'uomo, vogliamo dire: che cosa l'uomo può diventare, se cioè l'uomo può dominare il proprio destino, può ' farsi', può crearsi un vita ». Quella domanda « è nata da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri e vogliamo sapere, in rapporto a ciò che abbiamo riflettuto e visto, cosa siamo e cosa possiamo diventare, se realmente ed entro quali limiti, siamo ' fabbri di noi stessi ', della nostra vita, del nostro destino (18). E ciò vogliamo ' oggi' nelle condizioni date oggi, della vita ' odierna ' e non di qualsiasi vita e di qualsiasi uomo » (19).
Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell'uomo in storia (« l'uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti »), sia pure intesa la storia, come si è visto, in un senso « non formale », vada perduta la componente naturalistica del marxismo. E tuttavia questa sarebbe un'interpretazione assai unilaterale, perché incompleta (e diverrebbe tendenziosa), del pensiero di Gramsci. Una volta egli, trovandosi ad adoperare l'espressione « genere umano [...]

[...]iosarla, osservando: « fatto che si adoperi la parola ' genere', di carattere naturalistico, ha il suo significato » (20). Che cosa intendeva qui dire Gramsci ? Egli ha respinto risolutamente, nel medesimo contesto, l'idea che « l'unità del genere umano » possa esser « data
(18) Ma nello stesso tempo Gramsci ne esamina subito anche le radici storiche (e il significato storico di massa). « La domanda è nata, riceve il suo contenuto, da speciali, cioè determinati modi di considerare la vita e l'uomo. Il più importante di questi modi è la "religione" ed una determinata religione, il cattolicismo ».
(19) Op. cit., p. 27. Queste ultime parole di Gramsci potrebbero richiamare alla mente il « wir fragen jetzt, hier, für uns » dello Heidegger. Anche eisgenze presentate in forma speculativa e unilaterale nell'esistenzialismo possono trovare il loro luogo concreto nell'umanismo marxista.
(20) Op. cit., p. 31.
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dalla natura ' biologica ' dell'uomo ». Gramsci osserva che « le dif ferenze dell'uomo che contano nella storia non[...]

[...]i astratte e ideologiche » che essi mettono fuori « non appena si arrischiano al di là della loro specialità »). Questa é anche la posizione di Gramsci: «L'umanità che si riflette in ogni individualità é composta di diversi elementi: 1) l'individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e 3° elemento non sono così semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Così l'uomo non entra in rapporti con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica » (23).
A chi ben guardi questa posizione (che abbiamo riscontrato in Marx e in Gramsci) comporta la centralità del materialismo storico nella filosofia marxista. Ossia, la centralità della considerazione dell'uomo nel suo nesso permanente e attivo con la natura (dal cui svolgersi e complicarsi storico si sviluppa tutta la storia sociale umana), come dell'unico[...]

[...]e non scolastica e formale, ma di sostanza. Solo quell'atteggiamento mentale, ci sembra, che serba come costante punto di riferimento la prassi umana sensibile, può garantire il marxismo dalle intrusioni di materialismo metafisico (che non basta respingere a parole). Siffatto atteggiamento mentale, che fu proprio dei fondatori della dottrina, ci sembra l'unico che consenta la possibilità di permanente ricostruzione e svolgimento del contenuto di ciò che si é venuti chiamando « materialismo dialettico » in forma tale che questo rimanga sempre aperto ai nuovi resultati e ai metodi in trasformazione delle scienze della natura, verificandoli e discutendoli in un'adeguata concezione filosofica. Esigenza, se non erriamo, che fu proprio posta dai classici, in particolare dallo Engels, il quale si occupò più da vicino di tali questioni. E ciò contro ogni contrazione scolasticodogmatica del marxismo stesso.
La metodologia marxista di Gramsci, che si affinò, sotto questo riguardo, nella discussione critica ciel manuale del Bukharin (24), ed ha come filo conduttore la persuasione profonda della integrale autonomia filosofica del marxismo (senza perciò tagliare i fili che storicamente lo congiungono alla precedente tradizione di pensiero), ci tiene ben lontani dal rischio suddetto. Qui é necessario aggiungere che, se é vero che il marxismo come rivoluzione filosofica é coincidenza di naturalismo e umanismo (i quali nella loro compiutezza si convertono l'uno nell'altro), può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, soprattutto per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nel marxismo), una certa attenuazione dell'istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo sens[...]

[...]ra e « filosofia della natura » (26).
(25) Op. cit., p. 142.
(26) « ... sono le opposizioni diametrali, rappresentate come irreconciliabili ed insolubili, le linee di demarcazione e le differenze fra le classi fissate violentemente quelle che hanno dato alla moderna scienza teorica della natura il suo ristretto carattere meta
198 CESARE LUPORINI
Il giro del discorso sembra averci allontanato dal punto principale intorno a cui esso verteva, e cioè dall'interpretazione gram sciana del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma intellettuale e morale », « riforma popolare dei tempi moderni ». E tuttavia è un allontanamento solo apparente, perché il contenuto critico del marxismo non é concepito da Gramsci come indifferente o superiore e distaccato rispetto alla concretezza del movimento reale di cui esso é la teoria.
L'esigenza di far convergere storicamente l'aspetto di « filosofia di massa » del marxismo con la soluzione dei compiti teorici e scientifici più alti e complessi, cioè l'esigenza di una « cultura integrale[...]

[...]ale e morale », « riforma popolare dei tempi moderni ». E tuttavia è un allontanamento solo apparente, perché il contenuto critico del marxismo non é concepito da Gramsci come indifferente o superiore e distaccato rispetto alla concretezza del movimento reale di cui esso é la teoria.
L'esigenza di far convergere storicamente l'aspetto di « filosofia di massa » del marxismo con la soluzione dei compiti teorici e scientifici più alti e complessi, cioè l'esigenza di una « cultura integrale », che sulla base della classe rivoluzionaria, possegga una espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò in Gramsci essenziale alla dinamica stessa del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità. Anche l'identificazione dialettica operata da Gramsci fra filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia ecc. ) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato (come criterio di interpretazione storiografica) (27) o proiettata verso il futuro — non é comprensibile senza
fisico. Il riconoscimento che queste opposizioni e queste differenze in verità sono presenti nella natura, ma con una validità solo relativa, e che invece quella rigidità o quella assolu[...]

[...]ditato dall'empirismo inglese ». (F. ENGELS, Antidühring, trad. it., Roma, 1950, pp. 1819).
(27) Importante, ad esempio, a questo riguardo la nozione gramsciana di quella che è la filosofia di un'epoca: a Dal punto di vista che a noi interessa, lo studio della storia e della logica delle diverse filosofie dei filosofi non è sufficiente. Almeno come indirizzo metodico, occorre attirare l'attenzione sulle altre parti della storia della filosofia; cioè sulle concezioni del mondo delle grandi masse, su quelle dei più ristretti
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 199
quella dimensione nuova del filosofare (non ha nulla a che vedere, ad esempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico).
Anche la polemica contro l'idealismo, che si svolge in Gramsci attraverso una serie estremamente differenziata di motivi (legati in gran parte a circostanze della cultura italiana, e special mente alla discussione cól crocianesimo), e conduce a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello[...]

[...] parte a circostanze della cultura italiana, e special mente alla discussione cól crocianesimo), e conduce a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, é innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo » (28), valida per tutti gli uomini, nella realtà di oggi; cioè fede e senso comune non di gruppi ristretti, legati al privilegio sociále, ma dell'intiera umanità associata. Per converso, la polemica di Gramsci contro le penetrazioni nel marxismo di materialismo volgare o metafisico, benché si svolga su un piano strettamente teorico, comporta anche la relativa giustificazione storica di quelle penetrazioni, come caratteristiche di una fase ancora arretrata del movimento reale (rivoluzionario) di cui il marxismo è espressione. (29).
All'una e all'altra polemica è costantemente sottesa la persuasione della autonomia critica e originalità filosofica del ma[...]

[...]utto il pensiero di
gruppi dirigenti (o intellettuali) e infine sui legami tra questi vari complessi culturali e la filosofia dei filosofi. La filosofia di un'epoca non è la filosofia di uno o altro filosofo, di uno o altro gruppo di intellettuali, di una o altra grande partizione delle masse popolari: é una combinazione di tutti questi elementi che culmina in una determinata direzione, in cui il suo culminare diventa norma d'azione collettiva, cioè diventa « storia » concreta e completa (integrale). La filosofia di un'epoca storica non é dunque altro che la « storia » di quella stessa epoca, non è altro che la massa di variazioni che il gruppo dirigente è riuscito a determinare nella realtà precedente: storia e filosofia sono inscindibili in questo senso, formano « blocco ». Possono però essere « distinti » gli elementi filosofici propriamente detti, e in tutti i loro diversi gradi: come filosofia dei filosofi, come concezioni dei gruppi dirigenti (cultura filosofica) e come religioni delle grandi masse, e vedere come in ognuno di ques[...]

[...] termini polemici e in quelli costruttivi, l'intiero ambito in cui si muove, sotto il riguardo teorico e metodologico, il pensiero di Gramsci. Vi è da fare anche un'altra osservazione, che credo assai caratterizzante: quella «indipendenza e originalità filosofica del marxismo » è vista da Gramsci non semplicemente come un data, come una cosa già fatta, ma come un elemento di svihippo e di conquista continua delle sue più profonde implicazioni. E ciò nel quadro di una lotta ideale in cui sono presenti non solo e non tanto astratti termini ideologici (schematizzati
(30) Ció vale soprattutto nei confronti dell'idealismo, o « neohegelianesimo », italiano del Croce e del Gentile, che prese l'avvio, alla fine del secolo, dalla discusssione col marxismo ed a quella é' sempre rimasto, in qualche modo, legato.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 201
ai loro estremi in idealismo e in un certo tipo di materialismo),
ma concreti portatori di essi, da un lato gli « intellettuali ' puri elaboratori delle ideologie delle classi dominanti », dall'altro le masse popolari, in certo modo depositarie del « senso comune ». Quella lotta ideale in cui il marxismo esplica e sviluppa, di f[...]

[...]utto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto alla classe rivoluzionaria il problema dell'egemonia (direzione politica e culturale sull'insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col « senso comune ». La nozione di « senso comune » diventa perciò fondamentale.
Essa, nel contesto gramsciano, é ben più complessa del convenzionale riferimento che sotto tale denominazione serve molto spesso ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento staticamente contrapposto alla «criticità» della filosofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima analisi, con essa conciliabile). Il « senso comune » non é per Gramsci univocamente rappresentabile e riducibile nei suoi contenuti, come se fosse l'espressione di un atteggiamento naturale. Esso é sempre, per lui, « prodotto storico » che contiene, stratifica e c[...]

[...]o del Manzoni (Passato e presente, p. 216). Alcune riflessioni di Gramsci potrebbero essere confrontate con il capitolo dedicato dal Cattaneo al « senso comune » nella sua Logica. (v. C. CATTANEO, Scritti filosofici letterari e vari, Firenze, 1957, p. 186 e seg).
202 CESARE LUPORINI
presa le ideologie dominanti di gruppi e di classi (in cui, per esempio, la loro « verità » s'impone alle classi subalterne come superstizione) (32). E' il terreno cioè in cui si producono e mantengono, in funzione della divisione della società in classi antagonistiche, le resistenze a ogni spinta unificante della coscienza umana. L'assunto implicito, reperibile in molte esposizioni dogmatiche del marxismo, di una propria conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che comporta la mancanza di approfondimento di questa nozione nella sua effettiva realtà storicosociale) si presenta così come inaccettabile al pensiero di Gramsci, tale da frenare Io sviluppo della « filosofia della prassi » nella sua capacità riformatrice delle coscie[...]

[...]abile al pensiero di Gramsci, tale da frenare Io sviluppo della « filosofia della prassi » nella sua capacità riformatrice delle coscienze di grandi masse umane. (E giova qui ricordare che tale assunto non fu mai proprio dei classici del marxismo).
Questa presentazione della posizione di Gramsci potrebbe anche venir fraintesa unilateralmente. A Gramsci, che si era formato e aveva lottato in continuo contatto con le masse lavoratrici, non sfugge ciò su cui Lenin aveva richiamato l'attenzione, scrivendo: « Sarebbe il più grande errore e il peggiore che possa commettere un marxista, quello di credere che le masse popolari, costituite da milioni di esseri umani (e soprattutto dalla massa dei contadini e degli artigiani) condannati alle tenebre, all'ignoranza e ai pregiudizi da tutta la società moderna, possano uscire da queste tenebre solo seguendo la retta via di un'istruzione puramente marxista » (33). È, anzi, proprio un problema di tale natura che guida la sua ricerca. La discussione col « senso comune », che egli prospetta come element[...]

[...]ssano uscire da queste tenebre solo seguendo la retta via di un'istruzione puramente marxista » (33). È, anzi, proprio un problema di tale natura che guida la sua ricerca. La discussione col « senso comune », che egli prospetta come elemento essenziale dello sviluppo costruttivo e della diffusione del marxismo, accanto alla lotta politica e sociale (e a chiarimento di essa), non é mai concepita come frattura con quel medesimo « senso comune ». E ciò non solo per ragioni di opportunità o concretezza politica ed educativa, ma per quel che il « sen
(32) «... per le grandi masse della popolazione governata e diretta la filosofia o religione del gruppo dirigente e dei suoi intellettuali si presenta sempre come fanatismo e superstizione, come motivo ideologico proprio di una massa servile ».
(33) LENIN, Il significato del materialismo militante (trad. it. in MarxEngelsmarxismo, Roma, 1952, p. 445).
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 203
so comune » racchiude di positiva esperienza storica delle masse subalterne (la « cultura democratica » in esse[...]

[...]nque dei contenuti ereditari del « senso comune » si appoggia, dialetticamente, su di esso e muove non alla sua distruzione, che sarebbe proposito insensato, ma alla sua riforma e sostituzione con una concezione più coerente, che divenga fede, ossia norma intrinseca dell'agire. Il che non avviene né in un giorno, né in astratto, ossia come educazione astratta, verbale e libresca, bensì in connessione con la lotta politica e di classe. Occorre perciò, dice Gramsci, che la « nuova concezione si presenti intimamente fusa con un programma politico e una concezione della storia che il popolo riconosca come espressione delle sue necessità vitali » (34). E aggiunge: « Non é possibile pensare alla vita e alla diffusione di una filosofia che non sia insieme politica attuale, strettamente legata all'attività preponderante nella vita delle classi popolari, il lavoro, e non si presenti pertanto, entro certi limiti, come connessa alla scienza. Essa concezione nuova magari assumerà inizialmente forme superstiziose e primitive come quelle della religio[...]

[...]e bisogno di ulteriori chiarimenti. Ma essa guadagna la pienezza del suo significato se la proiettiamo in un contesto concettuale più largo. Scrive altrove Gramsci: « La proposizione contenuta nella Introduzione alla ' Critica dell'Economia politica' che gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura sul terreno delle ideologie deve essere considerata come un'affermazione di valore gnoseologico, e non puramente psicologico e morale. Da ciò consegue che il principio teoricopratico dell'egemonia ha anch'esso una portata gnoseologica e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporta massimo di Ili' [Lenin] alla filosofia della prassi » (36).
Un imponente gruppo di problemi teorici, metodologici, sto
(35) Op. cit., p. 75. Ove anche si legge: «La fondazione di una classe dirigente (cioè di uno Stato) equivale alla creazione di una Weltanschauung. L'espressione che il proletariato tedesco è l'erede della filosofia classica tedesca come deve essere intesa? Non voleva indicare Mari l'ufficio storico della sua filosofia divenuta teoria di una classe che sarebbe diventata Stato? Per Ilie' questo è realmente avvenuto in un territorio determinato ». Cfr. op. cit., p. 32 e passim.
(36) Op. cit., p. 39.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 205 I
riografici, che si è costretti a tralasciare, si collega a questa affermazione. Sono i problemi relativi alla realtà e storicità delle soprastrutture (la discussione di Gramsci con lo storicismo idealistico è in gran parte legata a questo tema), alla eredità storicoculturale, al nesso fra ideologia, scienza, filosofia, e, ancora una volta, fra filoso[...]

[...]viene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie non universali concrete ma rese caduche immediatamente dall'origine pratica della loro sostanza. C'é quindi una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta é la stessa lotta per l'unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano ' spirito' non é un punto di partenza ma d'arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario ecc. La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione... » (37).
È un modo di considerare le cose che pone immediatamente il problema del marxismo come soprastruttura. Ma vi è, dice Gramsci, « una differenza fondamentale tra la filosofia della prassi e le altre filosofie: le altre ideologie sono creazioni inor[...]

[...]he perché dirette a conciliare interessi opposti e contraddittori; la loro ' storicità' sarà breve perché la contraddizione affiora dopo ogni avvenimento di cui sono state strumento. La filosofia della prassi invece non tende a risolvere pacificamente le contraddizioni esistenti
(37) Op. cit., p. 142.
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nella storia e nella società, anzi è la stessa teoria di tali contraddizioni... » (38). La filosofia della prassi non tende cioè a mettere le « brache al mondo », come le filosofie idealistiche (anche se diversa fu la loro pretesa) (39), a presentarsi come sintesi ideale illusoriamente risolutiva dei contrasti reali, All'opposto, essa è « la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione » (40).'
Qui è il nocciolo del modo in cui Gramsci intende la dialettica, secondo che egli aveva a[...]

[...] se diversa fu la loro pretesa) (39), a presentarsi come sintesi ideale illusoriamente risolutiva dei contrasti reali, All'opposto, essa è « la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione » (40).'
Qui è il nocciolo del modo in cui Gramsci intende la dialettica, secondo che egli aveva appreso, congiuntamente, dalla sua strenua esperienza di lotta e dalla lezione dei classici (si pensi, in particolare, al metodo con cui Marx svolse la polemica contro Proudhon nella Miseria della filosofia, considerata da Gramsci un momento essenziale della formazione della « filosofia della prassi ») (41). Così, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l'irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità »), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta[...]

[...]cità (o « mondanità » o « terrestrità »), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare un'asserzione del Graziadei, che presentava Marx « come unità di una serie di scienziati » Gramsci commenta: « Errore fondamentale: nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettualmente un'età storica, che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all'avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata » (42).
CESARE LUPORINI
(38) Op. cit., p. 237.
(39) L'espressione a .mener le brache al mondo » ripresa da Gramsci contro Croce per indicare il moderatismo della sua filosofia, era stata dal Croce stesso adoperata nella introduzione al primo fascicolo de La Critica.
(40) Op. cit., pp. 9394.
(41) Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, p. 31 (in nota).
(42) 1l materialismo storico ecc., p. 75.



da Elemire Zolla, Antropologia negativa [Il borghese progenitore dell'uomo di massa, L'uomo massa come Prospero, La memoria dell'uomo massa è eccezionale,Il gusto dell'uomo massa è sicuro, L'uomo massa sa di essere tale,L'uomo massa pensa intensamente, L'uomo massa è poetico, L'uomo massa moltiplica il linguaggio. L'uomo massa è diabolico, Ciò che annoia diverte e viceversa,Ciò che è comico ha dignità e viceversa, Ciò che si pensa seriamente si finge scherzoso e viceversa, Chiama gioioso ciò che è torturan... in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]ntenere i brandelli delPamor di patria, poiché di fatto la civiltà borghese aveva distrutto le comunità naturali o almeno le aveva corrose, sostituendole con un’amministrazione meccanica dinanzi alla quale l’uomo non stava con il prossimo suo, ma isolato; il nome poi di patria, che bene designava una comunità a misura d’uomo, fu applicato allo Stato nazionale ovvero al complesso della sua burocrazia, ereditata dalPassolutismo e rafforzata. Tutto ciò è noto. Ma meno si pone attenzione alla conseguenza psicologica: se oggettivamente gli antichi corpi mistici divennero strumenti in mano alla società, si può davvero pensare che soggettivamente il borghese potesse trovarsi immerso in essi in buona fede? Prendiamo a esempio Julien Sorel: la sua lucidità dovrebbe garantire la buona fede (che di certo non può riposare sulla confusione che si lasci trarre in inganno), ebbene, si veda come il suo sentimento civile napoleonistico non è che una manovra psicologica: egli abbisogna di energia pura, visto che i sentimenti non gli sono concessi che con [...]

[...]re né poteva vedere le cose per le quali doveva mettere a repentaglio la sua esistenza, e marciava a fianco di sconosciuti stretto in ranghi fisicamente compatti e spiritualmente dispersi, poiché il nemico sul quale doveva puntare il fucile poteva essere in verità suo prossimo, per sensibilità ed educazione, mentre il compagno d’arme poteva essere l’incarnazione del Nemico. Egli doveva sacrificarsi per una società che escludeva l’idea del sacrificio fra persone, mantenendo soltanto quella del sacrificio delle persone.

Lo stesso valga per il borghese che recitasse la parte del buon padre di famiglia o dell’uomo devoto (con misura). Talvolta egli appariva raggiante di entusiasmo: per disperazione dinanzi all’opacità della sua situazione. Lo dimostrava, senza equivoci, la sua incapacità di esprimersi altro che per redolenti stereotipi.

La storia non avviene invano, non si scorda, tutt’al più si104

ELÉMIRE ZOLLA

reprime. Furono accesi i lumi, e non solo ad opera dei philosophes ma anche degl’inventori di nuove macchine. Da allora non si può ammettere che un uomo sia immerso in una t[...]

[...]e fuso in una tradizione. Se resta attaccato alla sua religione avita, è perché l’ha scelta, e come borghese la sceglie perché è vantaggiosa all’ordine borghese od al suo interesse economico o psichico (gli dà conforto o pace o tranquillità o altro bene, il ché è segno di calcolo e non certo di spontanea vita religiosa). Allo stesso modo sceglie di aderire alla sua nazione così come è retta, tanto che, se dissente, va in esilio; infatti il commercio internazionale fonde i popoli e la vita cosmopolita dei ceti più ricchi o degli artisti oggettivamente abolisce le antiche barriere, che la lucida mente del borghese doveva essere comunque tratta a criticare. Eppure in guerra il borghese fingeva di ignorare che i lumi erano stati accesi, recitava la parte del barbaro incontaminato dalla ragione. Magari, per dimostrarci la sua buona fede, nella valle di Giosafat si difenderà citando i sacrifici sofferti per bene interpretare la parte. Dovremo prestargli ascolto? Nella stessa misura in cui prestiamo ascolto alle isteriche sterili, quando simula[...]

[...]

Il proletariato, specie tedesco, si prestò alla strage che era assai più crudele di quelle celebrate dagli Atzechi, i quali vivevano in un mondo dove il sole voleva tributi, mentre nel 1914 nessuno credeva seriamente che Dio volesse benedire le insegne. Le élites si mostrarono incapaci di reggere le fila del loro stesso destino, nonostante fossero bene state avvertite che la nuova guerra non poteva recare vantaggio a nessuno dei partecipanti; cioè anche la ragione della forza denunciava la loro incapacità e inutilità. L’avatar del borghese è l’uomo massa, che è senza antagonisti, ed assai più raffinato del suo progenitore. L’uomo massa si divide in ceti, ma non conosce altro da sé in tutto il mondo. Per la prima volta la classe è superata; il direttore d’azienda ed il fattorino guardano gli stessi spettacoli, pensano le stesse cose.106

ELÉMIRE ZOLLA

L’uomo massa come Prospero

L’uomo massa è l’uomo sbarcato dai secoli oscuri in un’isola che egli domina appieno. Lo si è scambiato per un Calibano indurito nell’idiozia, incapace[...]

[...]ndarsi: — perché mi danno ordini gli ufficiali, con quale diritto umano? Il metodo serviva a dimostrargli che gli ordini erano di fatto antiumani, e che quindi era inutile porsi la domanda. Così l’uomo massa a furia di inzeppare notizie inutili nella sua mente evita di prendere sul serio la domanda: — perché debbo fare come vuole l’industria? Se impara a riverire un annunciatore della televisione o una cantante di canzonette o un giocatore di calcio, sarà talmente allenato ad accettare tutto senza mai domandarsi quid jurisì, che eviterà domande come: — perché mi vogliono far credere che l’azienda dove lavoro è una famiglia o una squadra sportiva dove tutti si vogliono bene, quando è evidente che è un’azienda e basta? Perché debbo credere agli esperti che sbagliano nel calcolare gli effetti dei vaccini, nel predire gli effetti delle esplosioni atomiche, che mutano di anno in anno le loro opinioni su ciò che giova e ciò che danneggia? Perché in particolare debbo adattarmi lietamente ad essere sottoposto a superiori evidentemente idioti? Pe[...]

[...]lmente allenato ad accettare tutto senza mai domandarsi quid jurisì, che eviterà domande come: — perché mi vogliono far credere che l’azienda dove lavoro è una famiglia o una squadra sportiva dove tutti si vogliono bene, quando è evidente che è un’azienda e basta? Perché debbo credere agli esperti che sbagliano nel calcolare gli effetti dei vaccini, nel predire gli effetti delle esplosioni atomiche, che mutano di anno in anno le loro opinioni su ciò che giova e ciò che danneggia? Perché in particolare debbo adattarmi lietamente ad essere sottoposto a superiori evidentemente idioti? Perché devo fare come suggeriscono gli agenti pubblicitari e i giornalisti? Perché debbo tenere un’automobile dell'ultimo tipo, rassegnandomi alla servitù delle rate?

Nell’Inghilterra borghese, durante la prima rivoluzione industriale, i fanciulli erano sottoposti ad ogni sorta di sevizie al fine di cavarne un reddito secondo l’impiego più razionale: quali costretti a scopare i camini, essendo più economico sacrificare taluno di loro nella cappa che rifare gli impianti, qu[...]

[...]sciare per i cunicoli con l’assistenza di macine per preghiere.

Così istupiditi i ragazzi vengono poi costretti a studiare quel che studiavano i loro progenitori, sicché gemono di fatica; forse presto li si libererà, non dal gravame dell’immondizia, ma dall’eccessivo peso dello studio. Appunto, come i giovani minatori inglesi venivano liberati non già dall’infame lavoro, ma dalla scomoda crescita del loro corpo.

L’uomo massa fa a se stesso ciò che erano un tempo i riranni a fare ai loro sudditi. Egli reprime sitematicamente nella sua memoria così ampia e tenace il ricordo di tutto ciò che possa avere un umano interesse. Un uomo massa giunge a punti di altissima raffinatezza nell’eseguire l’operazione: egli ricorda la lista d’attori d’un film, ma non c’è verso che ricordi il nome del regista. Perché non è visibile? No, tanto che egli ricorda il nome della casa produttrice. E’ chiaro che egli intuisce il pericolo di poter interrompere, grazie all’associazione dei caratteri personali della regìa di varii film, la serie dei film che egli vede, di far apparire un’opera umana, imprevedibile, nella serie dei prodotti intercambiabili.

La memoria dell’uomo massa seleziona, ma pe[...]

[...]ie dei prodotti intercambiabili.

La memoria dell’uomo massa seleziona, ma per respingere tutto quanto possa parlargli dell’uomo e dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri.110

ELEMIKE ZOLLA

Il gusto dell’uomo massa è sicuro

Nel secolo andato i popolani leggevano a caso tutte le opere narrative che capitassero fra le loro mani, purché colorite e avventurose e a basso prezzo, sicché una volta educati si poteva sperare che giungessero a sciogliere l’oro dalla ganga. Così i villici analfabeti imparavano tanto il Calloandro fedele come il Bovo d’Antona, tanto il Guerrin Meschino come la Gerusalemme Liberata. Educati, avrebbero saputo scegliere.

Tutt’altro l’uomo massa, che appare perfettamente educato, sapendo discernere e scartare. Mai darà la palma di bestseller ad un’opera d’arte, anzi mai concederà la sua presenza ad uno spettacolo sospetto di espressività artistica, ancorché avvincente. Mai vedrete stipato di clienti il caffè fornito di televisione quando si trasmetta un dramma non filisteo; in Italia perfino un’opera liric[...]

[...]ando a stroncare fin dalle prime note una musica che non sia irrimediabilmente volgare, segno che sa discernere il grano dal loglio. All’uomo massa è tuttavia offerta un’amplissima scelta; egli può frequentare teatri, se li preferisce agli stadi, può comprar libri, se li preferisce ai rotocalchi, può frequentare concerti invece di azionare macchinettegiradischi, ma di fatto la sua scelta obbedisce alla legge di Gresham, opta per la moneta falsa. Ciò significa che sa distinguere al suono la falsa dalla buona. Per un’intuizione di natura animalesca, o non piuttosto perché la sua intelligenza ne fa un Prospero lucido e saggio? Valga un esempio.

Capitò a chi scrive di soffermarsi in una locanda e di avvicinare alcuni uomini massa i quali, dopo aver spostato sul quadrante della radio il bottone di comando, si fermarono udendo una certa musica consistente di sette note non accompagnate da veruna armonia, a distanze e rapporti pressoché invariati per cinANTROPOLOGIA NEGATIVA

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que minuti primi, con un ritmo uguale, inflessibile come[...]

[...]ndona all’ebetudine di chi ha scoperto che nulla di nuovo accade e può accadere. Dal patire la nostra vita ci scampi Dio, ovvero l’industria, nella specie, dei dischi.

Resta una conclusione: l’uomo massa sa discernere l’armonia, quando diventi complessa e quando resti elementare, il ritmo, quando si modelli su sentimenti autentici e quando obbedisca ad uno schema astratto di sincopi obbligatorie, sa distinguere melodia e mero motivo, sa tutto ciò e opta per il peggio. Egli vuole che il motivo (e nel suo linguaggio opportunamente lo degrada ancor più, bamboleggiando, chiamandolo motivetto) sia la cosa più importante e insieme la più trascurabile, corvéable à merci, serva dello schema ritmico. Così vi si riflette la sua personalità di uomo massa: sconfinatamente presuntuoso e modesto fino all’autoannientamento, tutt’insieme (egli dice, se vuole colpire un’opera senza pietà: — non ci capisco niente —, ed è la sua formula di condanna più severa: se manca la sua comprensione, come può osare qualcuno affermare che l’opera è comprensibile? E[...]

[...] qual è conferito da un’educazione, nella specie, musicale, e insieme la sua modestia autoannientatrice, onde adora a occhi sgranati il suo idolo o stella o come altrimenti designi l’esecutore infantilmente impreparato di monotoni motivi. La vera massima segreta dell’uomo di massa risulta: Io so di essere un verme, ma debbono esserlo tutti; sono disposto ad adorare un altro verme purché si riconosca tale e purché si presenti sotto gli auspici di ciò che trascende il mondo dei vari vermi, del Creatore del mondo dei vermi, dell’industria.

Avete mai visto un pianista educato che tenti di suonare un motivo sincopato? È fra gli spettacoli più martoriami, simile è quegli all’uomo adulto e adusato ad un nobile portamento il quale s’industri a muoversi con la goffaggine dei fanciulli radunati in un cortile d’asilo o dei dementi a spasso per il cortile d’una clinica. Talvolta vi riesce, gli occhi allora ci si chiudono e le mani ci corrono alle orecchie.

L’uomo massa sa di essere tale

Parrebbe di primo acchito, che di tutte le proprietà d[...]

[...]inica. Talvolta vi riesce, gli occhi allora ci si chiudono e le mani ci corrono alle orecchie.

L’uomo massa sa di essere tale

Parrebbe di primo acchito, che di tutte le proprietà dell’uomo una manchi all’uomo massa, l’autocoscienza. Ma, come l’avo borghese recitava le varie parti di buon padre di famiglia, di amante appassionato, di pattriota fervente, restando scettico come esigeva il mercato (che era il suo sagrato e la sua chiesa), e perciò abusando dei mezzi scenici, così l’uomo massa sa bene che cosa è e che cosa fa a sé stesso, ma invece di fingere recitando di non saperlo, assai più raffinatamente, svaluta la coscienza stessa. Il borghese pretendeva di essere buon patriota e a chi avesse osato ricordargliantropologia negativa

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che proprio i più ferventi pattrioti preferivano lo straniero al proprio popolo (così al tempo della Commune), nei casi più plateali gli avesse mostrato i suoi dividenti d’azioni di fabbriche d’armi, o, nei casi più squisitamente spirituali, avesse esibito la cartella clinica della simulazion[...]

[...]i cosa... tutto poggia su un equivoco e grazie ad esso andiamo in rovina.

In Die Sorge des Hausvaters Kafka descrisse un essere inaudito: Odradek, nome d’etimo sfuggente, che indica un congegno mobile. Forse Odradek ebbe in passato uno scopo? No: IL TUTTO È SENZA SENSO MA NELLA SUA NATURA COMPIUTO. Odradek si può anche interpellare, gli si può domandare

— come ti chiami? — ed egli o esso risponderà : — Odradek.

Può esso morire? Ma tutto ciò che muore ha avuto dapprima una sorta di scopo, una specie di attività, e questo l’ha consumato; ciò non vale per Odradek... Non danneggia nessuno scopertamente, ma l’idea che mi debba sopravvivere, mi è quasi dolorosa.ANTROPOLOGIA NEGATIVA

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Favole? Basta uscir di casa per incontrare i nomadi del nord apparentemente inoffensivi e gli Odradek apparentemente innocui. Sostiamo dinanzi a questo bar: ecco uomini massa con facce corrugate intenti attorno ad un bigliardino a provocare l’accensione di lampadine elettriche girando una manovella; è un gioco puro, senza infingimenti di interessi, perché non si può ricavare alcun guadagno facendolo, un gioco del tutto idiota, e infatti uomini [...]

[...]ione, verso lo schermo, e avvinto senza che se ne avveda, si posa su di esso, non perché vi sia qualcosa da osservare che non sia un’immagine quando non degradata superflua e filistea della realtà, ma perché si è indotti a rivolgere a Odradektelevisione la stolida domanda:

— chi sei? —, per ottenere la stolida risposta: — Odradek, quasi fosse un canto di sirena. Così si viene irretiti da un banco di sirene che al contrario delle antiche, minacciose perché tutto rammentavano della guerra di Troia, tutto fanno scordare: lobotomizzano; poi altro banco ancora di tali creature sollecita muto il nostro sguardo: in mano ad altri uomini massa scorgiamo rotocalchi cosparsi di figure che, a furia di ricomparire esigono imperiosamente un cenno di riconoscimento, e seppure paiopo persone (attori, calciatori, annunciatori), non sono in verità che nuove apparizioni di Odradek. O ancora vedi, uscendo da codesto antro di tentazioni del non tentante, di allettamenti del non attirante, per la strada gruppi d’uomini massa contemplanti, fermi attorno ad [...]

[...]ronde assai semplice, del loro gergo. Così un commentatore sportivo esibisce una tale serqua di parole straniere e termini italiani distorti, che venirne a capo significa dover pazientare di nuovo attorno ad un cifrario, d’altra parte anch’esso grottescamente semplice. Si tratta di maschere che si indossano per lavorare, dove le improprietà d’italiano si mescolano a neologismi superflui e a conii grecolatini, e tali maschere sono soltanto d’impaccio.

Invece della lingua unica ne sorgono tante quanti sono i rami di specializzazione degli studi. Ma quando l’uomo massa non lavora, quale lingua usa? Come sul lavoro parla una lingua grottesca, comicissima con volto serissimo, così nel tempo libero parlaANTROPOLOGIA NEGATIVA

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una lingua mortalmente triste con volto sempre scherzoso. Il suo linguaggio quotidiano è triste perché non è né scelto né ereditato, ma raccattato, subito per disattenzione e conformismo; esso si compone di termini « lanciati » dall’industria dei giornali, dai programmi di varietà e di canzonette. Esiste una [...]

[...]i canzonette. Esiste una formazione costante di termini nuovi superflui, a parte i neologismi necessari per nuove realtà. L’utilità dei nuovi termini sta nell’essere adeguati alla mentalità di massa, ovvero indeterminati e tuttavia perentori. Sono come segnali di traffico, frecce indicative, sono involucri senza un contenuto metaforico vivo. Possono anche essere termini del linguaggio tradizionale, che l’uomo massa manipola in modo che appaiano sciolti da ogni connotazione sensibilerazionale, e sempre hanno in sé il momento della svalutazione del sentimento espresso, la sua riduzione a banalità vuota.

Questo slang proviene spesso dall’esercito ed ha tono sessuale, se invece proviene dalle famiglie ha tono bamboleggiante. Col tempo il tono sessuale, che forse resta vivo nel subconscio, diventa inavvertito alla superficie della conversazione così come il bamboleggiare cessa di sostituire la tenerezza mancante.

Un esempio: il termine pignolo. Esso offre il vantaggio dell’indeterminatezza, potendo significare: pedante, esigente, formalista, meticoloso, indifferentemente; esso soddisfa un bisogno di aggressione a contenuto irrazionale e incerto e insieme il bisogno di non prendere sul serio la propria irritazione. E’ un vocabolo senza forza, eppure all’uomo massa appare assai più incisivo dei suoi sinonimi della lingua italiana. Ancora, un termine tradizionale, come vigliac[...]

[...] per chi riesce a mantenersi in equilibrio o il paragone ritenuto elogiativo a strumenti meccanici.

Il dileggio non ha bisogno di designare un fatto condannabile: nel linguaggio politico il fascista dei comunisti o il comunista dei fascisti non hanno alcun rapporto con l’ideologia di chi viene colpito, ma indicano semplicemente — non è dei nostri.

Quanto al fondo sessuale dello slang corrente, esso è per lo più associato all’idea che tutto ciò che riceve approvazione è simile a chi ha la parte virile nel coito e viceversa tutto lo spregevole è simile a chi ha la parte femminile. Non è più il turpiloquio antico, che Freud a ragione attribuiva al desiderio di provocare la classe superiore o ad una coalizione dei maschi per scalfire il pudore femminile. Si tratta solo di un modo di svalutare la realtà designata in termini d’origine sessuale: una fregatoria è meno seria, più scherzosa di una sconfitta o uno smacco o un torto o ima frode subita, che possono tutti confluire nel grigiore anonimo che

li confonde. L’invito coperto a pens[...]

[...]uole dunque comunicare, e infatti evita la conversazione, e quando mai debba affrontarla la ridurrà a notiziario deH’industria culturale ed a luoghi comuni. Egli è estremamente discreto perché non potrebbe mai vedere in altri qualcosa che non sia la « simpaticità » o « l’antipaticità », alla stregua degli idioti. Tutto poggia su un equivoco, affermava Kafka. Ma l’equivoco è voluto dall’uomo massa, il quale ha stabilito le seguenti inversioni.

Ciò che annoia diverte e viceversa

Sarà dunque divertente un romanzo poliziesco, la sosta micidiale sotto il sole in una pubblica spiaggia, un film triviale, un programma televisivo di domande, una partita sportita, e via enumerando, mentre un poema, una conversazione saranno tediosi, (o barbosi) termine slang di origine forse scolastica con cui l’uomo massa vuole mostrare di non prendere sul serio la sua reazione e che dovrebbe svalutare e quindi bloccare l’inchiesta che si tenti di istituire.120

ELJiMIRE ZOLLA

Ciò che ha dignità è comico e viceversa.

L’automatismo comico con cui l’[...]

[...]esco, la sosta micidiale sotto il sole in una pubblica spiaggia, un film triviale, un programma televisivo di domande, una partita sportita, e via enumerando, mentre un poema, una conversazione saranno tediosi, (o barbosi) termine slang di origine forse scolastica con cui l’uomo massa vuole mostrare di non prendere sul serio la sua reazione e che dovrebbe svalutare e quindi bloccare l’inchiesta che si tenti di istituire.120

ELJiMIRE ZOLLA

Ciò che ha dignità è comico e viceversa.

L’automatismo comico con cui l’uomo massa abbrustolisce le sue membra, la sua perdita del pudore una volta entrato nel recinto balneare ed il pronto riacquisto appena fuori di esso, l’automatismo con cui compra fingendo di trarne spunto di facezia ciò che l’annunciatore della radio gli raccomanda di comprare, gli sempra naturale. Al contrario egli trova comico un linguaggio articolato e ritmato o il gesto della tragedia classica.

Ciò che si pensa seriamente si finge scherzoso e viceversa

Quando mai si prendono sul serio i film imperniati sulle attricette o le vicende delle attricette ? Si osservano ironicamente e se ne parla facetamente, fino al punto che non si riesce più a vedere senza delusione le donne di carne alle quali si sovrappongono di continuo quelle ingrandite, «reclamizzate», lustre sullo schermo e sulle riviste.

Quando mai si fa il tifo seriamente? A furia di scherzare, magari con il tono dell’esperto, lo stesso atteggiamento impuntato, gratuito quanto eccitato, sarà adottato verso la lotta politica, c[...]

[...]o atteggiamento impuntato, gratuito quanto eccitato, sarà adottato verso la lotta politica, che ne verrà svalutata.

Quando mai si seguono seriamente i fumetti? Ma a furia di parlarne facetamente, si otterrà che i giornali perpetuino i contratti con i fumettisti. Così, chi piglia sul serio l’idiozia organizzata, come le parole incrociate o la raccolta di francobolli ? Eppure ne nasce un costume e se ne impadronisce con mortale serietà il commercio.

Quando mai si piglia sul serio la rubrica astrologica? Ma poco alla volta si faranno certi atti dettati da quella, si obbligheranno, a furia di enunciare il proprio oroscopo scherzosamente,

i giornali a rinnovare i contratti con i fornitori internazionali di rubriche.

Quando mai si crede che un talismano eviti gli scontri automobilistici? Ma a furia di scherzare sui pericoli scampati grazie a qualche ripugnante giocattolo, esso diventa assolutamente indispenANTROPOLOGIA NEGATIVA

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sabile. Analoga è l’impuntatura isterica dell’uomo massa italiano sulla jettatura.

Quando m[...]

[...]tici? Ma a furia di scherzare sui pericoli scampati grazie a qualche ripugnante giocattolo, esso diventa assolutamente indispenANTROPOLOGIA NEGATIVA

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sabile. Analoga è l’impuntatura isterica dell’uomo massa italiano sulla jettatura.

Quando mai una persona decente ha creduto alla congiura ebraica ? Ma a furia di scherzare sugli ebrei (l’antisemitismo è sempre scherzoso, salvo per pochissimi psicopatici) non si prese neanche sul serio ciò che veniva fatto agli ebrei. Si sa benissimo che la pubblicità non garantisce la genuinità del prodotto, e si scherza citando le frasi pubblicitarie, eppure si compra di fatto il prodotto meglio appoggiato dalla pubblicità.

Chiama gioioso ciò che è torturante e viceversa.

Vedi gli uomini massa, reputatamele stanchi del lavoro quotidiano, stiparsi la domenica in corriere onde recarsi a sciare per orridi monti. Vedili sottoporsi lietamente alle torture che li faranno somigliare a macchine ben funzionanti: idea lacrimevole per un uomo, sottoporsi a controlli sanitari simili a verifiche di macchinari (overhaulings o chec\ups), o considerare il cibo non più benedizione celeste ma lubrificante e carburante da correggere con additivi, ritenere la propria persona non già immagine di Dio ma sagoma (il gergo italiano ha sostituito a pers[...]

[...] dall’ansia. Meno evidente è la schiavitù che l’uomo massa ha internato in se stesso, quella che lo lega all’esperto. L’esperto dell’uomo massa è diverso dall’istrionesco (non necessariamente tale, però) professionista borghese, il quale doveva acquistare la fiducia dei clienti. L’uomo massa per lo più non ha facoltà di determinare quale esperto debba comandarlo, anzi, per lui tutti gli esperti sono livellati, sono mera incarnazione del loro ufficio entro una burocrazia aziendale dalla quale scende sulla persona la consacrazione. L’esperto è uno specialista, ovvero un uomo limitato ad una sfera dove agisce sempre più meccanicamente a furia di restringerla; sul lavoro indossa la maschera stregonesca del gergo che lo apparta dal beneficiario del suo intervento, il quale necessariamente gli si presenta come cosa e non persona (mai come prossimo per lontananza necessaria che lo proibisce): la cartella clinica o la fiche segnaletica sostituiscono il volto umano. L’esperto comanda in quanto per suo tramite comanda l’azienda alla quale appartie[...]

[...] macchine cibernetiche; il direttore supremo o il Capo è la sembianza d’una testa per creature acefale. L’uomo massa preferisce che tale sia un deficiente con tutti i caratteri dell’uomo massa. Ai supremi posti di comando non è corrispettiva alcuna specialità, questo è uno dei misteri della fede dell’uomo massa.

Eppure nel secolo scorso Hegel nella Filosofia del diritto affermava che «per uomini colti si deve intendere coloro che possono fare ciò che fanno gli altri » e Marx si augurava sparisse la specializzazione, massima jattura per l’uomo, sua riduzione a verme. « Dopo aver sperimentato che sono atto a qualsiasi lavoro, io mi sento meno mollusco e più uomo» diceva in una lettera un operaio immigrato nella California, e Marx lo citava, aggiungendo: «Ne sutor ultra crepidam! Questo nec plus ultra della saggezza del mestiere e della manifattura è diventata demenza e maledizione il giorno che l’orologiaio Watt scopre la macchina a vapore, il barbiere Arkwright il telaio continuo e l’orefice Fulton il battello a vapore».

Gli esempi [...]

[...]televisione, ed essere a contatto con loro attraverso la «macchina» del partito renderà distinti gli uomini di massa.

Ma l’uomo massa ha anche un altro mezzo per distinguersi, per sentirsi diversamente di massa, attraverso l’imitazione più pronta di certi stereotipi o attraverso l’adozione di trovate, nella vita o nel vestiario o nei gusti. Così i frequentatori di luoghi turistici particolari, gli esseri contrassegnati dalla personalità artificiosa in serie acquistata grazie al rovesciamento dell’uniformità di massa. Essi hanno un linguaggio simile allo slang prevalente, ma con storpiature di parole o abbreviazioni o nuovi conii

o soltanto con pronunce particolari che essi affettano non perché le ritengano miglioramenti ma perché rispondono allo schema astratto e generico deU’affettazione in se stessa e quindi escludono ogni movente serio, quale poteva esserci nell’antico snobismo, che era un tentativo maldestro di attingere forme di vita più alte. Essi accolgono la musica delle masse, ma prediligendo bande ancora poco note, sofist[...]

[...]fra sports vili e nobili oppure occupandosi appunto dei più diffusi con un tono che insinua — ce ne occupiamo, ma in modo diverso dagli altri — al modo di certe rubriche sportive su periodici di cultura italiani. E’ gente assai più volgare della comune proprio per la sicumera con cui sotterraneamente proclama: — la massa sono gli altri —, così come piùANTROPOLOGIA NEGATIVA

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volgari degli « uomini col vestito grigio » sono quelli in camiciole non ancora «lanciate» sul mercato e scimmiette o pappagalli appollaiati sulle spalle o iene al guinzaglio, come più volgari dei bruti che urlano sugli spalti dello stadio sono i silenziosi giocatori di golf con la pipa stretta fra le labbra, più desolanti dei lettori comuni di fumetti quegli intellettuali americani che pregiano Al Capp, più irritanti dei soliti patiti di automobili gli snobs per lo più inglesi che cercano automobili di foggia antiquata. Le varianti di codesti cultori della trovata che differenzia accomunando, sono numerose: gli adoratori di prodotti industriali non più util[...]

[...]na dinanzi alla nudità (come pensare che non sia goduta l’angoscia di chi vive in un minimum habitabile nudo, essenzializzato, con quadri astratti alle pareti ?). Applicare il criterio della nudità che sveli lo scopo essenziale alle arti signiANTROPOLOGIA NEGATIVA

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fica distruggerle. Mentre i maestri dell’avanguardia laceravano la forma per manifestare la loro disperazione, gli accademici dell’avanguardia ed i loro protettori si compiacciono a vuoto dei brandelli della distruzione ottusamente riprodotti. A vuoto; così come i membri del partito si compiacciono della ripetizione ottundente d’una propaganda prevedibile e monotona. L’uomo massa non può evadere dunque attraverso lo snobismo d’una o d’altra sorta, che gli consente soltanto il tetro divertimento del prigioniero che nella sua cella si spoglia della casacca a strisce per avere un’illusione di libertà.

L’uomo massa non si sa difendere

L’uomo massa non può difendersi, non perché manchi di sofismi ma perché lo pungola internamente un senso di colpa; così Oreste, creatura della civiltà patriarcale era perseguitato dalle Furie, divinità del mondo matriarcale crollante.

Quanto a prete[...]

[...]mente un senso di colpa; così Oreste, creatura della civiltà patriarcale era perseguitato dalle Furie, divinità del mondo matriarcale crollante.

Quanto a pretesti, a mezzi di difesa d’ogni sorta, l’uomo massa ne sfodera in copia, confermando ancora di essere non già un Calibano, ma un Prospero. Anzitutto l’uomo massa solleverà un’eccezione alla competenza di chi lo giudica: «Con quale diritto si mescolano psicologia, letteratura, filosofia, sociologia per dare un quadro necessariamente falso della società e dell’uomo che in essa vive ? Si tratta di specialità da lasciare ai singoli esperti, e non è un’analisi sociologica seria quella che interpreta i fatti psicologicamente e non è psicologia seria quella che usa di una dialettica speculativa». Si stagliano in questa difesa l’irrazionale paura della mescolanza delle specialità che ha sostituito per l’uomo massa l’orrore della mescolanza di sangue dei primitivi, e l’idea del valore (scientifico) come dolorosa serietà di mutilato.

Ma, venendo al merito: l’uomo massa si difenderà sfoderando un nominalismo radicale, affermando che uomo massa (o eterodiretto) è un concetto di comodo, una etichetta che l’epistemologia avverte di non scambiare per una realtà[...]

[...]stemologia avverte di non scambiare per una realtà. Il che è inu130

ELEMIRE ZOLLA

tilmente vero e ovviamente falso, perché anche un tavolo è ùn concetto di comodo per la sottostante realtà di particelle atomiche o subatomiche, e ancora queste sono un concetto di comodo, un’ipotesi senza sostanza. Esaurita tale arma, l’uomo massa ricorrerà alla metafisica che lo difenda dalla storia: «l’uomo resta immutato a dispetto di tutte le vicende, e ciò che par nuovo non è che la veste di una sostanza inalterabile nel tempo». Ma se mai si volesse concedere che l’uomo fondamentalmente non muta, bisognerebbe anche aggiungere che dei suoi fondamenti importa assai poco, perché immutevoli appunto, e ciò che preme di scoprire è la diversa «accidentalità» del presente.

L’uomo massa ricorrerà poi al pragmatismo, ribattendo che, una volta individuati i mali della società, affermato che la vita di massa è degradante, se questa verità non serve a nulla è una non verità, poiché la verità è uno strumento per modificare il mondo. Se non si ha una terapia per massa, inutile fare diagnosi. La terapia invece è pronta: basta che ci si persuada di non poter uscire dalla caverna platonica a tre per tre ma solo a uno a uno, o, al massimo, come Lara Fédornovna ed il dottor Zivago, a due a due.

Esaurite[...]

[...]oiché la verità è uno strumento per modificare il mondo. Se non si ha una terapia per massa, inutile fare diagnosi. La terapia invece è pronta: basta che ci si persuada di non poter uscire dalla caverna platonica a tre per tre ma solo a uno a uno, o, al massimo, come Lara Fédornovna ed il dottor Zivago, a due a due.

Esaurite le prime frecce, l’uomo massa altre saprà scovare. Anzitutto invocherà l’interiorità pura, l’impossibilità di giudicare ciò che avviene nel foro interno: « sapete voi con quale spirito io guardo il programma televisivo? Oh, non già quello comune, io non sono vittima, ma padrone; ho scelto di guardare la televisione, per fini che vi sfuggono». E’ una difesa sofisticata che si trova soltanto presso certi intellettuali americani, e rientra nello snobismo di massa. Sarebbe come sostenere che l’uomo massa può anche amare, per quel che ne possiamo sapere noi, che possano in lui sobbollire sublimi amori benché il suo linguaggio inevitabilmente o oggettiva e neutralizza l’amore con il gergo medico, scientifico oppure lo v[...]

[...]nuove queste, di cui si discorre, in tutti i tempi ci sono stati gli analfabeti e le epoche esaltate come esempio di perfetta integrazione nascondono orrori ben peggiori dei nostri, siano essi thè age of thè Antonines cantata da Melville,

o il medioevo posto sotto il suo segno di Vergine, o l’Atene perielea o la Cina confuciana ».

Ma invero non si accusa la civiltà di massa d’essere più crudele, ma sì più smorta e squallida, meno viva e perciò, quando crudele, sconfinatamente e tecnicamente tale. Ancor meno si tenta di fomentare nostalgia per tempi andati: se mai si ricorda che in Atene le menti non erano ipnotizzate dai cocchi, ciò serve a chiaroscurare il quadro del momento attuale, non è assurdo invito a marciare a ritroso nella storia; è all’idea del bene quale è pur concepibile nelle attuali condizioni che si vuole semmai indirizzare. « Ma perché occuparsi di simili banalità ? » è l’intervento adesivo che tenterà il letterato d’antico stampo o il filosofo accademico, che desiderano tenersi nel limbo della vuotezza e quindi disarmati dinanzi alla realtà come è.

Se invano avrà tentato di rassicurarsi contro la sua colpa con codesti argomenti alti, l’uomo massa si difenderà con una fuga nella nevrosi, recitando una [...]

[...] nella nevrosi, recitando una scena isterica: chiederà l’assoluzione per incapacità d’intendere. Per coazione alla succubanza: «Ma

lo fa anche Tizio», e il nome invocato sarà cinto di prestigio sociale (l’uomo massa è del tutto incapace di giudicare senza ricorrere all’argomento d’autorità). Per narcisismo: così capita che criticando una certa istituzione di massa, il foot ball o i bigliardini o le canzonette, si sia aggrediti da un «Ma lo faccio anch’io! », con la variente civettuola: « io guardo la televisione, m’interesso di sport e tuttavia non potete dire che questo mi impedisca di gustare l’arte o di amare o di cogliere la singolarità d’ogni momento ddl’esistenza » dove si vuole ignorare che l’usura del Kitsch è lenta e se ci è voluto del tempo perché i popolani italiani devoti all’opera lirica nazionale diventassero degli uomini132

ELÉMIRE ZOLLA

massa fischiettanti canzonette sincopate o giulebbose, sull’individuo l’usura potrà essere quasi inavvertibile (ma facendo attenzione non sarà difficile reperire i segni clinici [...]

[...]o della verginale scoperta delle cose mediante un contatto per associazioni di sensazioni con quel tempo, con il paradiso perduto della percezione incorrotta. Ma quel paradiso perduto sta sotto il segno di una particolare aggressione da parte degli adulti, che percuotono non con schiaffi ma con smancerie e sdilinquimenti obbligatori, con il baby tal\ (non necessario al bambino e nemmeno gradito, poiché il bambino deve ancora imparare a conoscere ciò che gli aggrada a parte la soddisfazione della fame e del bisogno di affettuosa attenzione). Tali smancerie sono necessarie all’adulto, che così simula l’amore e si finge infante e finge che il bambino sia l’essere demente cui egli cupamente vorrebbe ridurlo.

Il bambino deforma per incapacità, gli adulti lo imitano per desiderio di somigliargli, ed essere come lui esentati dalle fatiche e dalle responsabilità, il bambino allora li imita a sua volta, imANTROPOLOGIA NEGATIVA

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parando il vezzo e l’ipocrisia: ottiene i primi successi come conformista con il pappo e il dindi di second[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Zanardo, Il «manuale» di Bukharin visto dai comunisti tedeschi e da Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...], quando esce la traduzione tedesca1. La traduzione inglese esce a New York nel ’25 2, quella francese a Parigi nel ’273, ed è verosimile che anche intorno a queste si sia sviluppato un insieme di reazioni4.

1 Theorie des historischen Materialismus. Gemeinverstàndliches Lehrbuch der marxistischen Soziologie. Hamburg, Verlag der kommunistischen Internationale, 1922. È la traduzione di cui ci serviamo.

2 Historical Materialism. A System of Sociology. New York, International Publishers, 1925.

3 La théorie du matérialisme historique. Manuel populake de sociologie marxiste. Paris, Editions sociales internationales, 1927.

4 Per l’Italia sono note le pagine di EUGENIO CURIEL in Classi e generazioni nel secondo Risorgimento, Roma, 1955.Aldo Zanardo

339

In Germania il libro non trovò molta attenzione da parte socialista. Le grandi riviste del socialismo tedesco e austriaco, attente per altro alle esperienze economiche e politiche sovietiche, non ne parlarono. Mancava, in campo socialista, lo stimolo a fare un’analisi particolareggiata di un’opera russa di marxismo filosofico, sia perché l’interesse per le questioni filosofiche era scarso ed [...]

[...]imitato ad alcuni esponenti di tendenze neocriticiste, sia perché delle cose sovietiche stavano in primo piano i problemi politici della rivoluzione, dello Stato, dell’economia, sia infine perché la socialdemocrazia aveva un altissimo concetto del livello del suo sviluppo teorico. La discussione con il comuniSmo sovietico, soprattutto dopo la conquista del potere da parte dei bolscevichi (fra i menscevichi cerano Plekhanov, Axelrod, la Sassulic, cioè coloro che avevano avuto rapporti strettissimi con i tedeschi), si articolò essenzialmente fra i due poli di democrazia o dittatura; di socialismo che viene quando sono maturate le sue condizioni economiche e sociali, quando il proletariato è già una maggioranza ed è ideologicamente compatto, e socialismo che viene prima delle sue condizioni, riflusso di quel bakunismo che Marx ha combattuto, potere violento di una minoranza non dissimile dal regime prussiano o zarista; socialismo che tiene conto dell’intero sviluppo della dottrina e socialismo fermo alle posizioni astratte del Manifesto. Ri[...]

[...]è in Die Gesellschaft,

1929, pp. 149169.

5 2a ediz., 1929, I, pp. 15, 19, 20.

6 Ibidem, p. 41.Aldo Zanordo

341

È rintracciabile, in questa distinzione, soprattutto nel modo in cui l’ha formulata Schifrin, la presenza di un’esigenza di criticismo, di antimetafisica, propria degli JungMarxisten austriaci Otto Bauer e Max Adler. Le poche cose di filosofia che ha scritto Bauer (in Der Kampf) e le molte che ha scritto Adler sono forse ciò che di più interessante, moderno, sistematico, è stato scritto da parte socialdemocratica. È rintracciabile ancora in quella distinzione la continuazione della originalità che ha sempre, anche se non apertamente, caratterizzato il marxismo tedesco rispetto a quello russo. Si pensi alle argomentazioni filosofiche di Plekhanov contro Bernstein e Konrad Schmidt nel ’98’99 e al contenuto essenzialmente politico della polemica della Luxemburg contro il revisionismo. Si pensi alle perplessità di Kautsky rispetto al materialismo filosofico, dalla corrispondenza con Plekhanov e dalla nota, lettera a [...]

[...]ismo tedesco rispetto a quello russo. Si pensi alle argomentazioni filosofiche di Plekhanov contro Bernstein e Konrad Schmidt nel ’98’99 e al contenuto essenzialmente politico della polemica della Luxemburg contro il revisionismo. Si pensi alle perplessità di Kautsky rispetto al materialismo filosofico, dalla corrispondenza con Plekhanov e dalla nota, lettera a Friedrich Adler del 1909 fino alla Concezione materialistica della storia. Si pensi a ciò che scrive Bernstein a Victor Adler : « Per me la dottrina non è sufficientemente realistica, è per cosi dire rimasta indietro rispetto allo sviluppo pratico del movimento. Può ancora andar bene forse per la Russia... ma in Germania nella sua vecchia forma è qualcosa di sopravvissuto » 1. Si pensi infine al materialismo storico esclusivo di Mehring. Qui da noi, in Italia, Antonio Labriola, in alcune lettere a Kautsky, critica Plekhanov perché concepisce il marxismo come Allweisheit, come scienza che ha risolto in anticipo tutti i problemi. Si tratta del resto di motivi noti. La pubblicistica [...]

[...]iche proprie, nella articolata unità del marxismo.

Essa è un aspetto della totale interruzione di continuità fra due parti del movimento operaio. La socialdemocrazia tedesca si trovava poi già. sulla via di diventare un movimento strettamente politico afilosofico..

1 VICTOR Adler, Brìefwechsel mìt August unà Karl Kautsky, Wien,. Verlag der Wiener Volksbuchhandlung, 1954, p. 289 Lettera del 3 marzo 1899342

I documenti del convegno

Perciò rimasero in ombra gli evidenti elementi teorici comuni, in genere di natura positivistica, che si incontrano per esempio in Plekhanov, in Kautsky e in Bukharin. Anzi, come si è visto, si tese più a sottolineare il « filosofismo », il « dottrinarismo » del marxismo sovietico, e non soltanto un particolare contenuto dottrinale.

Per la socialdemocrazia la frattura non significò una riorganizzazione teorica, bensì l’accelerazione del processo, già iniziato, di accantonamento delle concezioni generali. I giovani intellettuali diventavano comunisti; i vecchi quadri intellettuali, prima quelli po[...]

[...]tellettuali diventavano comunisti; i vecchi quadri intellettuali, prima quelli positivistici e poi quelli neokantiani, scomparivano senza essere capaci di rinnovarsi e neppure di riprodursi; la filosofia era considerata una specie di Primtmeimmg; e, soprattutto, invece di avanzare sulla strada della democratizzazione e della socializzazione, si andò a finire nella catastrofe.

Non era molto e non era certo qualcosa di coerente e di concentrato ciò che, sul piano filosofico, si poteva utilmente trattenere del marxismo socialdemocratico tedesco, ma qualcosa, specialmente dagli ultimi tentativi di combinazione col kantismo e da una giusta interpretazione del problema della Erganzung, si poteva cavare e poteva essere fatto valere contro il marxismo sovietico. Non è vero che, fra la concezione del socialismo come completamento di un processo e quella del socialismo che deve in parte creare le sue condizioni, non ci potesse essere, sul piano filosofico, uno scambio utile. La posizione del problema gnoseologico, alcuni elementi di criticismo,[...]

[...]azione del problema della Erganzung, si poteva cavare e poteva essere fatto valere contro il marxismo sovietico. Non è vero che, fra la concezione del socialismo come completamento di un processo e quella del socialismo che deve in parte creare le sue condizioni, non ci potesse essere, sul piano filosofico, uno scambio utile. La posizione del problema gnoseologico, alcuni elementi di criticismo, l'accentuazione dello storicismo materialistico, sociologico, un certo senso di distinzione fra politica e filosofia, il senso storico che permea anche gli scritti più divulgativi di Engels, potevano ben servire a moderare il materialismo metafisico di alcuni sovietici e lultrasoggettivismo di alcuni tedeschi. Qualcosa dell’eredità filosofica della socialdemocrazia si ritroverà certo negli intellettuali comunisti che noi consideriamo. Ma saranno solo aspetti secondari in uno sviluppo ideologico a cui la rivoluzione, la rottura con la socialdemocrazia, il legame con una nuova fase della cultura europea, imprimono un corso particolare.

Questa, s[...]

[...]ticolare.

Questa, sommariamente, la situazione in campo socialista, l’ambiente in cui il libro di Bukharin parve probabilmente la trascurabile espressione di un mondo del tutto diverso. Comuni in alcuni punti con quelle socialiste, ma in genere più complicate, sono le posizioni dei grandi intellettuali tedeschi verso il marxismo alla Bukharin. Per Sombart, perAldo Zanardo

343

esempio, Bukharin dà una nchtige Darstellung del marxismo 1, cioè si tende in genere a concepire il marxismo come qualcosa di compatto, qualcosa che, da Marx ai bolscevichi, è e rimane materialismo volgare, economicistico 2.

Ma, se si escludono alcuni che esagerarono questa tesi, che parlarono di BebelBolschewikiSocidismus, la distinzione fra marxismo filosofico sovietico e marxismo filosofico europeo, nel senso che si è indicato, diventa da allora un dato permanente della storiografia filosofica non comunista, o per lo meno di quella parte di essa più preparata e libera da preconcetti verso il marxismo nel suo complesso.

II

Le recensioni a Bukhar[...]

[...]li anni : il concetto di un comuniSmo tedesco o anche occidentale, il concetto di un modo occidentale della rivoluzione proletaria, tutto il nodo di questioni che si raccolgono intorno ai problemi della rivoluzione mondiale e del collegamento fra la Rivoluzione russa e quella tedesca. Sono questi, mi sembra, per gli anni che vanno dal ’18 al ’22, e soprattutto dal ’19 al ’21, alcuni dei problemi di primo piano del movimento comunista tedesco.

Ciò a cui l’esame delle recensioni che abbiamo detto ci permette di arrivare non sono tanto delle indicazioni su questi fatti generali e nep
1 Der proletarische Sozialismus, Jena, 1924, I, p. 127.

2 É chiaro che da parte socialdemocratica (per es. BERNSTEIN, Der Sozialismus eifist und jetzt, Berlin, 1923, p. 125, ma anche Bauer, Kautsky...) si preferisce sottolineare l’eterogeneità del bolscevismo rispetto al marxismo, presentarlo come qualcosa di squisitamente russo o asiatico e risolubile nel blanquismo, nel sindacalismo, nell’anarchismo ecc.

23.344

I documenti del convegno

pure s[...]

[...]opeo occidentale ». Purtroppo questo abbozzo di analisi politica non viene sviluppato e si passa, creando un distacco, all’esame dell’opera sotto l’aspetto scientifico. Bukharin rende troppo facile il marxismo, lo appiattisce e mantiene al tempo stesso l’illusione che non ne venga sacrificato cosi il senso profondo. Riesce a dare il contenuto più che il metodo della dottrina. Il suo punto di vista è quello del materialismo

1 Ma si legga anche ciò che scrive Lenin nel Testamento : « Dei giovani membri del comitato centrale vorrei dire alcune parole su Bukharin e Pjatakov. A mio parere questi sono le forze più capaci fra i giovani, ma non si può dimenticare riguardo a loro questo fatto : Bukharin è non solo il più valoroso e più robusto teorico del partito, ma può anche essere considerato apertamente il suo prediletto. Ciononostante le sue concezioni teoriche si possono considerare pienamente marxiste soltanto con le più grandi riserve, perché in lui fa capolino lo scolastico e non ha mai imparato la dialettica (io credo che non l’abbia mai capita) ». Il testo è stato ormai pubblicato in vari luoghi. Cito da Ruth FISCHER, Stalin und der deutsche Kommunismus, Frankfurt a. M., 1948, pp. 2945.

2 Arbeiterliteratur, 1924.

3 Die rote Falone, 1922, 19 nov.Aldo Zanardo

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delle scienze della natura, cioè un punto di vista invecchiato rispetto alla moderna conoscenza della filosofia e della natura. Il prim[...]

[...]ssono considerare pienamente marxiste soltanto con le più grandi riserve, perché in lui fa capolino lo scolastico e non ha mai imparato la dialettica (io credo che non l’abbia mai capita) ». Il testo è stato ormai pubblicato in vari luoghi. Cito da Ruth FISCHER, Stalin und der deutsche Kommunismus, Frankfurt a. M., 1948, pp. 2945.

2 Arbeiterliteratur, 1924.

3 Die rote Falone, 1922, 19 nov.Aldo Zanardo

347

delle scienze della natura, cioè un punto di vista invecchiato rispetto alla moderna conoscenza della filosofia e della natura. Il primato della materia sullo spirito affermato da Bukharin è un semplice rovesciamento della metafisica spiritualistica ed è già stato criticato da Marx nelle Tesi su Veuerbach. Merito di Marx è non di avere fissato il primato metafisico di qualche cosa, bensì di avere relativizzato le cose in sé, creato quel « relativismo metodico » che è il corrispondente della moderna teoria della relatività. Oggetto unico della scienza sociale sono i rapporti sociali, le funzioni, le relazioni, non le cose in[...]

[...] » che è il corrispondente della moderna teoria della relatività. Oggetto unico della scienza sociale sono i rapporti sociali, le funzioni, le relazioni, non le cose in sé. È poi positivo che Bukharin prenda in considerazione i risultati della odierna scienza borghese, gli studi di Max e Adolph Weber, di Simmel. « Buon marxista è colui che non ignora e non respinge acriticamente i risultati utili della scienza borghese, ma li inserisce nell’edificio della dottrina marxista ».

Ancora più complessa, anche se forse ancora più limitata agli aspetti scientifici, è la posizione di Lukàcs. Nella recensione che fa a Bukharin nel Grunbergs Arcbiv 1 sottolinea fortemente che si tratta di un manuale, di un tentativo di popolarizzazione e di sistemazione e, dentro questi limiti, fa alcune considerazioni positive. Ma il resto è prevalentemente critico. Anche proprio in quanto popolarizzazione il Manuale rompe la tradizione di Plekhanov e Mehring che avevano mostrato come si può unire popolarizzazione e scientificità. La posizione filosofica di Buk[...]

[...]in a Cunow, ma viene ad escludere dal metodo marxista tutti gli elementi che provengono dalla filosofia classica tedesca e in particolare quella dialettica che sola rende intelligibile il processo storico. Bukharin trasforma la dialettica, un metodo, in una Science oggettivistica, positivistica; ammette una cosalità irrisolta, una oggettività a sé, feticistica. Essenziale al marxismo è invece « ricondurre tutti i fenomeni dell’economia e della sociologia a rapporti sociali degli uomini fra loro ». Tipico deH’impostazione oggettivistica, materialisticovolgare, è il fatto che Bukharin affermi la tecnica come determinante dei rapporti di lavoro. È invece l’economia,

1 Archiv f. Geschkhte des Sozialismus u. der Arbeiterbewegung, XI, 1923, pp. 216224.348

I documenti del convegno

la struttura economica della società, cioè i rapporti sociali degli uomini fra loro nel processo produttivo, l’elemento ultimo e decisivo delle trasformazioni tecniche, e solo secondariamente queste influiscono sulla struttura. L’argomentazione si vale del noto capitolo sul feticismo della merce, un testo essenziale allora per Lukàcs (e non solo per lui), e che egli interpreta come negazione delloggettività storica, apparente, del tipo della merce, e delloggettività più generale propria del materialismo filosofico. Altro motivo centrale della posizione di Lukàcs (come di quella di Gramsci) è la critica della dottrina della previsione[...]

[...]rxismo (Marx, Engels, Mehring, Plekhanov, la Luxemburg): invece di criticare le scienze della natura col metodo del materialismo dialettico, applica il metodo di quelle scienze, il materialismo volgare, allo studio della società.

Alcuni concetti di queste due recensioni hanno un risalto immediato : il proletariato tedesco ed europeo come qualcosa di specifico, l’esclusione di Bukharin dalla tradizione maestra del marxismo, la sottolineatura sociologica, materialisticostorica, non gnoseologica e non economicistica che ha il marxismo (insistenza sul relativismo, sulla correlazione dei fenomeni, sulla « totalità », non sul condizionamento dell’economia), il legame con la grande cultura. Ma ci sono anche altri punti importanti: la struttura di possibilità della realtà e tutto ciò che essa comporta, la dialettica, l’attività umana, la posizione verso le scienze della natura, l’accento umanistico.

Questi motivi teorici e quei rilievi critici verso Bukharin, in Lukàcs, si inquadrano ormai in una elaborazione sistematica, in una ideologia articolata. Anche di Korsch si può forse dire che motivi analoghi mettano capo a un organismo intellettuale analogo. Non si tratta insomma di qualcosa di fuso in un’atmosfera, ma di processi culturali che hanno una direzione determinata e dimensioni notevoli.

È da dire però che nel farsi complesse, nel maturare di queste unità ideo[...]

[...]nsioni considerano essenzialmente il solo aspetto scientifico, dal fatto che manca l’idea di cosa sia realmente un manuale di divulgazione. Le cose scritte da Lukàcs (la cui biografia intellettuale è più documentata) fin verso il ’20 non sono che la rappresentazione del modo in cui un intellettuale ripensa in base alle premesse della sua formazione culturale le nozioni generalissime di classe, di proletariato, di coscienza di classe, di libertà, cioè i concetti elementari del Manifesto.

Siamo dunque di fronte a un processo di transizione, al distacco, determinato dalla situazione rivoluzionaria e dall’esperienza leninista, di alcuni intellettuali dalla cultura filosofica e umanistica tedesca, alla loro prospettiva di diventare intellettuali della classe operaia tedesca introducendo nel patrimonio ideale del proletariato le cose migliori della cultura europea, portandovi tutti i valori impliciti nellambito mentale dei grandi intellettuali, dotando quella classe operaia di un gruppo di intellettuali di prestigio universale.

Ma la lor[...]

[...]tto con la classe operaia si esprime nel risalto isolato che ricevono la trattazione scientifica e l’attivismo rivoluzionario, soggettivistico. In Lenin l’attività è attività rivoluzionaria di una certa classe che occupa una certa posizione nella storia e nelle strutture economiche. Osserva Lukàcs, in una specie di intervista del ’33 \ che uno dei motivi dei suoi lavori del 19091911 era la separazione, fatta dietro suggestione di Simmel, della sociologia dai fondamenti economici concepiti ancora molto astrattamente. Ma questa separazione si trova anche dopo, ed è in sostanza essa la premessa teorica del soggettivismo, cioè la mancanza del senso delle radici essenziali che ha la classe operaia nel mondo economico, nella realtà in generale. Si rimane cosi come bloccati nell’opposizione astratta alla Seconda Internazionale (di cui è caratteristica appunto quest’ultima tesi), nell’incapacità di assimilarne i movimenti positivi.

1 Internationale Literatur, 1933, n. 2, pp. 1857. È stata ripubblicata recentemente col titolo « Mein Weg zu Marx » (Lukàcs zum siebzigsten Geburtstag, Berlin, 1955).350

I documenti del convegno

Che esistesse la possibilità di uscire sia pure lentamente da questo intellettualismo [...]

[...]oni di destra e di tendenze conciliatoristiche) ».352

I documenti del convegno

zioni eccezionali, si è potuto compiere. E si è potuto compiere in modo che nel punto di arrivo si ritrova trasfusa tutta la ricchezza dei due termini del processo, in modo che nessuna campagna contro il materialismo metafisico e contro l’idealismo e tanto meno la riorganizzazione teorica che si inaugurò verso il ’31, ne poterono turbare il normale svolgimento. Ciò che gli permise di resistere a queste sollecitazioni (e furono ben pochi a non capitolare, interamente o a metà) fu, oltre, alla situazione straordinaria in cui visse, il legame stretto e immediato col suo movimento^ operaio, il fatto che capi e accettò le direzioni di sviluppo implicite a questo determinato movimento operaio e a questo determinato paese (onde certe concezioni del partito, della propaganda...) e non le impose dal di fuori. Non che questo complicato processo non sia in parte viziato dall’isolamento in cui è avvenuto, dalla conseguente scarsa — mi sembra — elaborazione dei temi[...]

[...]esso non sia in parte viziato dall’isolamento in cui è avvenuto, dalla conseguente scarsa — mi sembra — elaborazione dei temi internazionali della politica del proletariato, dall’accento posato forse unilateralmente sui momenti umanistici della cultura. Ma fu anche un isolamento in cui poterono essere sviluppate, nel modo logico, radicale e imperturbato con cui avviene in un laboratorio, le esperienze accumulate in un momento incomparabile, e perciò denso di cose, della storia di questo secolo.

Le pagine su Bukharin, scritte in questa fase di raggiunta maturità, non solo, nel loro contenuto filosofico, rappresentano una posizione più complessa rispetto a quelle dei tedeschi, ma ci dànno finalmente una analisi politica del Manuale, cioè l’esplicazione consapevole dei problemi politici di propaganda, di educazione ideologica, di condizioni per lo sviluppo di una concezione del mondo, che sono impliciti in qualunque tentativo di popolarizzazione di una dottrina. Nostro proposito è illustrare brevemente la critica politica e la critica filosofica al Manuale e cercare di tirare alcune conclusioni.

Cominciamo dalla critica politica. È dalla discussione sul senso comune che emerge netta la contrapposizione di due modi diversi di concepire il marxismo, il proletariato, il socialismo. Per Bukharin il marxismo si sviluppa in cont[...]

[...]ofica al Manuale e cercare di tirare alcune conclusioni.

Cominciamo dalla critica politica. È dalla discussione sul senso comune che emerge netta la contrapposizione di due modi diversi di concepire il marxismo, il proletariato, il socialismo. Per Bukharin il marxismo si sviluppa in continuità con il senso comune, con gli elementi materialistici, realistici, acritici del senso comune; viene a essere una forma di sistemazione del senso comune. Ciò che a lui sembra importare è ridurre lo scarto fra il senso comune e il marxismo: dei due termini che ispirano la parte migliore dell’azione politica della Terza Internazionale — le masse e il livello intellettuale a cui vanno innalzateAldo Zanardo

353

(cioè la nozione di cosa è civiltà, cultura) — Bukharin sembra tener conto solo del primo. Queste masse, spontaneamente, nelle loro concezioni disgregate, sono giudicate vicine al marxismo. È chiaro che non va dimenticata la situazione particolare e generale del paese in cui Bukharin scrive. L’osservazione che egli fa nella prefazione — essere « il bisogno di una rappresentazione sistematica della teoria del materialismo storico» a cui* il suo Manuale viene a soddisfare rispondente alla fase presente della rivoluzione e non ai « momenti acuti » 1 — non significa che le necessità pratiche fossero m[...]

[...]litico, di aiutare a elaborare criticamente il pensiero. Bisogna portare i semplici al livello dei colti. Bisogna arrivare alle coscienze perché l'adesione a una causa ha da essere individuale e convinta. Si tratta di « riformare intellettualmente e moralmente strati sociali culturalmente arretrati » 5. Non bisogna trattare i semplici come « persone rozze e impreparate che si convincono 66 autoritativamente ” o per via emozionale ” » 6. Soltanto ciò che è interiormente educativo è ispiratore di vere energie7. Infine (si

1 Theorie des hìstonschen Materialìsmus, p. V.

2 Sulla teoria ancella della pratica, vedi M. S., p. 12,

3 M. S., p. 11.

4 AL S. p. 137.

5 M. S., p. 68.

6 M. S., p. 137.

^ M. S., pp. 1456.354

I documenti del convegno

pensi ai due termini cultura e masse indicati prima) il marxismo è « risultato e coronamento di tutta la storia precedente » 1; e per l’altro verso, le masse popolari organizzate in partiti hanno il compito di costruire una nuova società, di produrre una trasformazione materiale e i[...]

[...] È interessante che Lenin, proprio alla vigilia di scrivere uno dei suoi testi meno liberali o che per lo meno è tale sotto alcuni aspetti, ammettesse, in alcune lettere a Gorki, che orientamento di partito e orientamento filosofico non fossero, sic et simpliciter, un’identità immediata, ma che il loro rapporto era articolato, problematico, era diverso e da stabilirsi secondo

a M. S., p. 105.

2 « Non c’è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti, cioè senza che l’aspetto teorico del nesso teoriapratica si distingua concretamente in uno strato di persone specializzate ncH'elaborazione concettuale e filosofica» : M. S., p. 12.Aldo Zanardo

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ì tempi e le circostanze1, Gramsci scrive: «Pare necessario che il lavorio di ricerca di nuove verità e di migliori, più coerenti e chiare formulazioni delle verità stesse sia lasciato aH’iniziativa libera dei singoli scienziati, anche se essi continuamente ripongono in questione gli stessi principi che paiono i più essenziali» 2. Istituti e accademie debbono mediare il rapporto fra questi intel[...]

[...]pare essere la via, che è anche la via di Lenin, del superamento mediatore della Seconda Internazionale. Bukharin, se per certi aspetti è fuori della socialdemocrazia, finisce con il rimanervi dentro per la sua concezione positivistica e in sostanza subalterna del marxismo. Lukàcs, come si è visto, finiva, in. quegli anni, col rimanervi fuori astrattamente.

Il grosso della critica filosofica di Gramsci si intreccia intorno ai problemi della sociologia e del materialismo filosofico con tutte le loro implicazioni (previsione, regolarità degli accadimenti, determinismo, scienze naturali...) e intorno al problema della collocazione storica del materialismo di Bukharin.

Il Manuale parte dalla distinzione rigida fra generale e particolare, fra teoria e storiografia, e vuol essere un’indagine di ciò che è generale prima nella realtà naturale e umana, poi nella vita della società e in particolare della società moderna. Prima vengono trattati i principi universali, i concetti metodologici della sociologia: regolarità, causa, libertà, necessità, caso, trasformazione; poi viene costruita la sociologia vera e propria: la società, gli stati di equilibrio, squilibrio e riequilibrio fra: la società e la natura, fra i vari elementi della società. La sociologia è per Gramsci una indebita estensione dei metodi delle scienze naturali alla scienza della società, « un tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da prevedere l’avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia », « un tentativo di descrivere e classificare sistematicamente fatti storici e politici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali » 1. Si pretende di concepire la realtà con un’astrazione schematica, con una metodologia e una logica « esistente in sé e per sé » 2. Cr[...]

[...]tici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali » 1. Si pretende di concepire la realtà con un’astrazione schematica, con una metodologia e una logica « esistente in sé e per sé » 2. Criticare questa posizione non significa rinunciare alla comprensione intellettuale, cadere in forme di nominalismo nella concezione della

1 M. S., p. 125.

2 M. S., p. 62.Aldo Zanctrdo

357

realtà o della conoscenza1, bensì porre fra sociologia e storia, schema e attività concreta, tecnica e pensiero in atto, assoluto e relativo (secondo la forma in cui il problema volta a volta si presenta a Gramsci) un rapporto articolato, dialettico2. Implicite a questa impostazione storicistica sono, per un verso, la tesi che il mondo umano è qualcosa di specifico, di vivente, di originale rispetto alla natura, tale che con il suo trasformarsi rende a lungo andare vuoti gli schemi che se ne traggono, per altro verso,, la tesi che il marxismo è una metodologia della storia, un conoscere che aderisce alla realtà che si modifica, un conoscere [...]

[...]i originale rispetto alla natura, tale che con il suo trasformarsi rende a lungo andare vuoti gli schemi che se ne traggono, per altro verso,, la tesi che il marxismo è una metodologia della storia, un conoscere che aderisce alla realtà che si modifica, un conoscere che ha un rigoroso aspetto sperimentale.

Ma non ci si ferma a questa critica teorica, a questo storicismo elementare. Si ha anche un’analisi storicoconcreta. La schematizzazione sociologica è tanto più grave oggi perché oggi le leggi statistiche, empiristiche, valide entro certi limiti «fino a quando le grandi masse della popolazione rimangono essenzialmente passive » 3, sono venute a perdere la loro verità relativa. Ora le masse sono organizzate in grandi partiti,, si muovono in modo critico e consapevole, e si sottraggono alla standardizzazione e alle previsioni del loro comportamento. Nella « vita economica moderna », poi, « i fatti particolari sono impazziti » 4, e per un altro* verso si hanno i piani, anch’essi elementi soggettivi estranei agli schemi. È più che mai i[...]

[...]amento. Nella « vita economica moderna », poi, « i fatti particolari sono impazziti » 4, e per un altro* verso si hanno i piani, anch’essi elementi soggettivi estranei agli schemi. È più che mai indispensabile in questo nuovo periodo storico che la conoscenza sia concreta, dialettica, mobile come è mobile il suo contenuto..

Non pare che nella Terza Internazionale, se non in Lenin, sia possibile trovare una critica altrettanto radicale della sociologia, del positivismo, dello scientismo, e, di conseguenza, uno sforzo cosi notevole di mediazione fra idee e cose. Non pare che il marxismo russo o tedesco o francese abbiano vissuto un’esperienza storicistica cosi intensa.. È noto che nell’Unione Sovietica il termine sociologia non ha in genere l’accezione negativa che può avere in italiano5. Certo in Lukàcs si

1 M. S., p. 126.

2 M. S., pp. 6162.

3 M. S., p. 127.

4 M. S., p. 100.

5 Sulla singolarissima storia della sociologia in Russia vedi l’articolo « Die russische Soziologie im zwanzigsten Jahrhundert » di P. SOROKIN in Jahrbuch fùr Soziologie, 1926, p. 462 sgg. Racconta fra l’altro: « Fino al 1909 nelle Università e nei colleges russi la sociologia non era ancora insegnata come una disciplina358

I documenti del convegno

trovano gli stessi motivi antiscientistici e umanistici di Gramsci, ma lo svolgimento sembra diverso. Si pensi al percorso intellettuale della maturità di Lukàcs: ha respinto la sociologia di Bukharin e di Kautsky ed ha assimilato quella di Lenin. Lukàcs lavora sulle generalizzazioni delle esperienze di Lenin. Non è passato, come è passato Gramsci, attraverso la percezione diretta della vita delle masse, della vita della realtà; la sua strada è stata più facile, ma accanto al vantaggio di essere rimasto a contatto col filone centrale, classico, della teoria del movimento operaio, va indicato lo svantaggio che spesso le categorie con cui lavora hanno il sapore dell’applicazione rigida, dell’estrinseco. In Gramsci il contatto col filone classico del marxismo teorico, forse a[...]

[...]e, della vita della realtà; la sua strada è stata più facile, ma accanto al vantaggio di essere rimasto a contatto col filone centrale, classico, della teoria del movimento operaio, va indicato lo svantaggio che spesso le categorie con cui lavora hanno il sapore dell’applicazione rigida, dell’estrinseco. In Gramsci il contatto col filone classico del marxismo teorico, forse anche col leninismo formale, è meno visibile. Le cose che scrive sulla sociologia echeggiano posizioni idealistiche e sembrano generalizzare esperienze di ricerca limitate alla sfera politica. Di fatto però la sua percezione della realtà si coordina in analisi in cui confluiscono gli elementi prospettiva, periodo, economia. Sono impostazioni leniniste che nascono dal basso.

A questa forte accentuazione storicistica non fa tuttavia riscontro, come forse si potrebbe pensare, una elaborazione teorica manchevole della generalizzazione. Non è insomma che in Gramsci non riceva trat
scientifica autonoma. La causa principale di questo era di natura politica, il governo za[...]

[...]ealtà si coordina in analisi in cui confluiscono gli elementi prospettiva, periodo, economia. Sono impostazioni leniniste che nascono dal basso.

A questa forte accentuazione storicistica non fa tuttavia riscontro, come forse si potrebbe pensare, una elaborazione teorica manchevole della generalizzazione. Non è insomma che in Gramsci non riceva trat
scientifica autonoma. La causa principale di questo era di natura politica, il governo zarista cioè pensava che sociologia significasse una dottrina rivoluzionaria e socialista. Perciò confiscò perfino la Dynamic So dolo gy di L. Vard, perché la ritenne uno scritto propagandistico del terrorismo e del socialismo... Dal 1909 la sociologia viene formalmente introdotta come una disciplina autonoma nel piano di insegnamento dell’Istituto psiconeurologico e di P. F. Lesgaft di Pietrogrado... Nelle Università tuttavia la sociologia fu riconosciuta sotto il nome di sociologia soltanto nel 1917... Il governo comunista, dopo la rivoluzione bolscevica, ebbe verso la sociologia un atteggiamento molto benevolo perché credeva che la sociologia e il manifesto comunista di Karl Marx, che sociologia e comuniSmo, fossero cose identiche... Ben presto tuttavia i capi comunisti compresero il loro errore e che la sociologia, cosi come era insegnata nella maggior parte delle Università, era qualcosa di molto differente dal dogma comunista. Ciò portò a un .grande e improvviso mutamento nella politica seguita in questo settore e già nel 1922 fu proibito di fare corsi di sociologia nelle Università e nei colleges. Erano permessi solo il “ marxismo ”, la “ teoria del comuniSmo ” e la ” concezione materialistica della storia ”, materie che potevano essere insegnate esclusivamente da professori comunisti ». Sono notizie da controllare e integrare. Sorokin venne esiliato nel ’22. Ha fatto un’ampia analisi del Manuale di Bukharin in L’economista russo, 1922, che non ho potuto vedere.Aldo Zanardo 359

tazione il nucleo teorico che regge quella « sociologia », queir insieme di schemi che è il patrimonio di esperienze del movimento operaio. Non solo « non vuol dire... c[...]

[...] colleges. Erano permessi solo il “ marxismo ”, la “ teoria del comuniSmo ” e la ” concezione materialistica della storia ”, materie che potevano essere insegnate esclusivamente da professori comunisti ». Sono notizie da controllare e integrare. Sorokin venne esiliato nel ’22. Ha fatto un’ampia analisi del Manuale di Bukharin in L’economista russo, 1922, che non ho potuto vedere.Aldo Zanardo 359

tazione il nucleo teorico che regge quella « sociologia », queir insieme di schemi che è il patrimonio di esperienze del movimento operaio. Non solo « non vuol dire... che la ricerca delle leggi di uniformità non sia cosa utile e interessante e che un trattato di osservazioni immediate di arte politica non abbia la sua ragion d’essere »x, ma anche i concetti di regolarità, di premessa e di conseguenza hanno un loro valore 2. Lo stesso si dica dei concetti di analogia, di ipotesi, di correlazione3. Inoltre il fatto che l’insieme delle forze materiali di produzione sia l’elemento meno variabile nello sviluppo storico permette di costruire « un [...]

[...] che un trattato di osservazioni immediate di arte politica non abbia la sua ragion d’essere »x, ma anche i concetti di regolarità, di premessa e di conseguenza hanno un loro valore 2. Lo stesso si dica dei concetti di analogia, di ipotesi, di correlazione3. Inoltre il fatto che l’insieme delle forze materiali di produzione sia l’elemento meno variabile nello sviluppo storico permette di costruire « un robusto scheletro del divenire storico » 4, cioè permette anticipi di conoscenza. Va insomma combattuta la cattiva generalizzazione, ma si ammette quella concreta, storica, ipotetica. Va combattuto l’esperantismo, la concezione del generale come assoluto, astorico, buono per tutti i casi, ma va mantenuta la tecnica del pensiero che « non creerà certo grandi filosofi, ma darà criteri di giudizio e di controllo e correggerà le storture del modo di pensare del senso comune » 5.

Meno compatta e forse meno maturata, ma anche più multiforme e riproducente in parte la polemica contro la sociologia è la critica alla riduzione del materialismo s[...]

[...]ette quella concreta, storica, ipotetica. Va combattuto l’esperantismo, la concezione del generale come assoluto, astorico, buono per tutti i casi, ma va mantenuta la tecnica del pensiero che « non creerà certo grandi filosofi, ma darà criteri di giudizio e di controllo e correggerà le storture del modo di pensare del senso comune » 5.

Meno compatta e forse meno maturata, ma anche più multiforme e riproducente in parte la polemica contro la sociologia è la critica alla riduzione del materialismo storico a materialismo metafisico e volgare. Questa dottrina appare volta a volta risultato di una elaborazione della filosofia « scissa dalla teoria della storia e della politica » 6, come la

1 M. S., p. 125.

2 M. S., pp. 98100.

3 P., p. 214: «È da esaminare se il principio della correlazione sia utile, esatto e fecondo nella sociologia, oltre la metafora. Pare sia da rispondere nettamente di si. Ma occorre intendersi : per la storia passata, il principio della correlazione (come quello dell’analogia) non può sostituire il documento, cioè non può dare altro che storia ipotetica, verosimile ma ipotetica. Ma diverso è il caso dell’azione politica e del principio di correlazione (come quello di analogia), applicato al prevedibile, alla costruzione di ipotesi possibili e di prospettive. Si è appunto nel campo dell’ipotesi e si tratta di vedere quale ipotesi sia più verosimile e più feconda di convinzioni e di educazione. È certo che, quando si applica il principio di correlazione agli atti di un individuo o anche di un gruppo, c’è sempre il rischio di cadere nell’arbitrio : gli individui e anche i gruppi non operano sempre ” logi[...]

[...]la realtà esiste solo « in rapporto storico con gli uomini che la modificano » 5. « Quando si afferma che una realtà esisterebbe anche se non esistesse luomo o si fa una metafora o si cade in una forma di misticismo. Noi conosciamo la realtà solo in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è divenire storico, anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l’oggettività è un divenire » 6. « Oggettivo significa sempre 66 umanamente oggettivo ”, ciò che può corrispondere esattamente a “ storicamente soggettivo ”, cioè oggettivo significherebbe “ universale soggettivo ” » 7. « Senza l’attività dell’uomo, creatrice di tutti i valori anche scientifici, cosa sarebbe l’oggettività? » 8. Gramsci esclude che si possa chiedere alla scienza « la certezza deH’esistenza obiettiva della cosiddetta realtà esterna » 9.

Motivi analoghi a questi abbiamo già visto a proposito di Lukàcs e di Fogarasi, il relativismo, lo storicismo, l’eliminazione della cosa in sé, la natura specifica del mondo umano, i nessi dialettici che stringono tutti i

1 M. S., pp. 556.

2 M. S., p. 54.

3 M. S., pp. 1412.

4 M. S., p. 138[...]

[...]
5 M. S., p. 23.

6 M. S., p. 143.

7 M. S., p. 142.

8 M. S., p. 55.

9 M. Sp. 54.Aldo Zanardo

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termini della totalità. È indubbio che queste posizioni di Gramsci si collocano nel solco della tradizione antipositivistica, umanistica, storicistica. Ma se è chiaro l’ambiente intellettuale in cui ci si muove, e sono chiare le implicazioni elementari di queste posizioni, non pare sia chiaro il loro significato filosofico preciso, cioè cosa esse implichino sul piano gnoseologico e ontologico. Sono in genere proposizioni che vengono avanzate in modo interrogativo o ipotetico e appaiono come il punto di approdo di una serie di critiche svolte invece con estrema sicurezza: la critica air« ideologia » che risolve le idee in sensazioni e poi in impulsi fisiologici, la critica al monismo che appiattisce l’uomo, i soggetti, le ideologie, contro le forze materiali e la natura. Fra queste premesse e quelle conclusioni è tuttavia avvertibile un certo stacco. Premesse di questo tipo vengono più o meno soddisfatte anche dalla elaboraz[...]

[...]mbra che possano collegarsi con queste concezioni generali.

In direzione non meno polemica contro la continuità, affermata da Bukharin, fra le scienze della natura e le scienze dell’uomo, contro la mutuabilità, se non l’identità, dei due metodi, è orientata anche la concezione gramsciana della scienza della natura. Anche se non mancano spunti di interpretazioni diverse, questa viene in genere considerata una tecnica di conoscenza particolare, cioè il metodo compilatorio, empirico; viene come bloccata nell’identificazione con questo metodo, resa incapace di trascendere se stessa e diventare vera conoscenza2. Non sembra di poter trovare, in Gramsci, tracce del motivo secondo cui « nelle scienze naturali, per il loro proprio sviluppo, è divenuta impossibile la concezione metafisica» (Engels). I risultati sempre superati e mutevoli e i metodi delle scienze naturali non rappresentano un caso generale della filosofia della prassi. Questa anzi è completamente indipendente, è la scienza autonoma del mondo umano, e ha da respingere rigorosamen[...]

[...]ssi. Questa anzi è completamente indipendente, è la scienza autonoma del mondo umano, e ha da respingere rigorosamente ogni intromissione delle scienze naturali3, ogni pretesa di sussumerla a una teoria generale del materialismo o deiridealismo 4. Anche in merito a questi problemi tuttavia ci sono serie difficoltà di interpretazione: sia per le esitazioni di Gramsci, sia perché è chiara la tendenza generale del pensiero, ma non la consistenza di ciò che intanto

1 Per esempio in M. S., p. 28.

2 M. S., p. 54.

3 M. S., pp. 54, 56, 162.

4 M. S., pp. 1589. Uno spunto di interpretazione forse diversa della scienza della natura si ha a p. 142 di M. S... : « La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione: essa è stato l’elemento di conoscenza che ha più contribuito a unificare lo spirito... ». Cioè la scienza della natura è un elemento della « lotta per l’oggettività », per la conoscenza vera. È da leggere tutto il contesto.Aldo Zanardo

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si è raggiunto. Per di più, qui, queste difficoltà si cumulano con l’altra dovuta alla scarsezza delle ricerche sul modo (e anche il tempo) in cui si è passati dal materialismo storico a quello dialettico e sulle sollecitazioni ideali che hanno mediato questo passaggio.

Quello che prima, a proposito della sociologia, si è detto mancanza di contatto con il leninismo formale, qui è aperta divergenza di tradizioni intellettuali e politiche. G[...]

[...]la natura è un elemento della « lotta per l’oggettività », per la conoscenza vera. È da leggere tutto il contesto.Aldo Zanardo

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si è raggiunto. Per di più, qui, queste difficoltà si cumulano con l’altra dovuta alla scarsezza delle ricerche sul modo (e anche il tempo) in cui si è passati dal materialismo storico a quello dialettico e sulle sollecitazioni ideali che hanno mediato questo passaggio.

Quello che prima, a proposito della sociologia, si è detto mancanza di contatto con il leninismo formale, qui è aperta divergenza di tradizioni intellettuali e politiche. Gramsci ha alle spalle la cultura storicistica e idealistica e di fronte, come obiettivo polemico essenziale, le combinazioni di marxismo e kantismo di rilievo filosofico e politico 1. Né dall’Italia forse si avvertiva l’importanza di tendenze di questo tipo nel marxismo tedesco e russo. Gramsci le considera di poco conto e le attribuisce a gruppi ristretti di intellettuali e di professori2. Fu appunto questo fatto, il rilievo politico e filosofico delle combinazion[...]

[...]idealismo, che dette vigore al materialismo filosofico russo, che mantenne elementi di continuità filosofica fra Plekhanov e Lenin. Fin dal 1909 3 Lenin indicava i termini della differenza filosofica fra marxismo e revisionismo nel materialismo e nella dialettica. Il binomio poi si conservò, con varia accentuazione e giustificandosi con altre lotte intellettuali e politiche, nel marxismo della Terza Internazionale.

Queste posizioni verso la sociologia, il materialismo volgare, le scienze della natura, si trovano riflesse e chiarite nel quadro che Gramsci ha dello sviluppo passato del marxismo filosofico e nella prospettiva che traccia per il futuro.

Il punto da cui dipende, per Gramsci, lo svolgimento generale di questi problemi è la rivoluzione teorica rappresentata dalla filosofia classica tedesca e soprattutto da Hegel, è il momento in cui sono stati immessi nella storia del pensiero i concetti di creatività e di dialettica. « È certo che la concezione soggettivistica è propria della filosofia moderna nella sua forma più compiut[...]

[...]ono venute assumendo nel quadro della filosofia della prassi di un quasi feticismo, anzi della sola e vera filosofia o conoscenza del mondo » 2. Questa deviazione non è altro che la forma positivistica, scientistica, materialistica in senso tradizionale, del marxismo. Da questo angolo visuale Kautsky e Bukharin sembrano trovarsi sullo stesso terreno, rappresentare lo stesso momento dello sviluppo teorico. Gramsci in sostanza dice degli ortodossi ciò che dice di Bukharin 3.

Particolari ragioni « didattiche » hanno obbligato il marxismo a combinarsi con queste forme di cultura ancora arretrate e tuttavia superiori aH’ideologia media delle masse popolari 4. La forma positivistica del marxismo non è altro che la sua fase economicocorporativa 5, è « una deviazione infantile » 6, « significa che si attraversa una fase storica relativamente primitiva » 7. Essa è stata « 1’44 aroma ” ideologico immediato della filosofia della prassi, una forma di religione e di eccitante... resa necessaria e giustificata storicamente dal carattere subalterno [...]

[...]l’avere trovato completamento nelle integrazioni positivistiche, il marxismo è « una dottrina che è ancora allo stadio della discussione, della polemica, dell’elaborazione » 4. Si hanno le idee chiare su singoli gruppi di questioni filosofiche, si è al livello della scienza, non ancora a quello del sistema.

Da sviluppare, da portare a compimento — ma non è opera a cui basti un solo libro o un solo uomo — è la filosofia implicita nel marxismo, cioè un modo originale specifico, nuovo, di risolvere i problemi filosofici. Esiste cioè una filosofia del marxismo fuori dei prestiti dalla sociologia e dalle scienze naturali. L’esperienza intellettuale più indicativa per questo sviluppo è quella di Labriola. « In realtà il Labriola, affermando che la filosofia della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica, è autosufficiente, è il solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della prassi » 5. Il marxismo deve diventare « una totale e integrale concezione del mondo, una totale filosofia e teoria delle scienze naturali » 6; « deve trattare tutta la parte generale filosofica, deve svolgere quindi coerentemente tutti i concetti generali di una metodolo[...]

[...], p. 131.

5 Ai. S., p. 79.

6 Al. S.f p. 157.

7 M. S., p. 128.366

I documenti del convegno

Questo sviluppo non può avvenire fuori della storia della cultura e della filosofia. Sono da respingere le sommarie e presuntuose valutazioni negative che Bukharin fa delle altre filosofie. Un pensiero che vuol diventare « l’esponente egemonico dell’alta cultura » 1 non può porsi che in una posizione di critica inveratrice, soprattutto verso ciò che di più importante e riassuntivo c’è nella storia della filosofia. Non si tratta tuttavia di rivivere meccanicamente la situazione in cui nacque e si formò il pensiero di Marx. « È da porre [la ricerca] riguardante l’atteggiamento della filosofia della prassi verso l’attuale continuazione della filosofia classica tedesca rappresentata dalla moderna filosofia idealistica italiana di Croce e Gentile. Come occorre intendere la proposizione di Engels sull’eredità della filosofia classica tedesca? Occorre intenderla come un circolo storico ormai chiuso, in cui l’assorbimento della parte vitale [...]

[...]tta contro l’idealismo soggettivo, elaborato in connessione con lo sviluppo delle scienze fisiche, che ha trovato la sua definizione classica in Materialismo ed empiriocriticismo. Lenin scrive che Marx ed Engels, che si erano formati alla scuola di Feuerbach, « rivolsero naturalmente la maggiore atten
1 M. S., p. 139.

2 M. S., p. 91.

3 Op. cit., p. 54.Aldo Zanardo

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zione al completamento della filosofia del materialismo in alto, cioè non alla gnoseologia materialistica, ma alla concezione materialistica della storia. È per questo che Marx ed Engels nelle loro opere mettono l’accento sul materialismo dialettico più che sul materialismo dialettico ». Oggi invece, « in un periodo storico del tutto diverso », si tratta di mettere l’accento sul materialismo dialettico \ Gramsci invece scrive : « Si è dimenticato in un’espressione molto comune [«materialismo storico»} che occorreva posare l’accento sul secondo termine 44 storico ” e non sul primo di origine metafisica. La filosofia della prassi è lo 44 storicismo n assoluto, l[...]

[...]o scienzaazione 3. Noi viviamo nella stessa amplissima epoca culturale di Marx e in cui, oggi, il marxismo ha da rifare la sintesi fra idealismo e materialismo, ha da entrare nella lotta contro la metafisica e il positivismo condotta dal pensiero europeo più avanzato, portare il marxismo filosofico alla completezza e all’egemonia culturale.

Se si ripensa ai motivi che abbiamo messo in luce, il concetto del partito educatore, la critica alla sociologia e al materialismo metafisico, la fase infantile del marxismo, la sua incompiutezza, l’importanza di Hegel e del neohegelismo, non pare possano sussistere dubbi sull’ambiente intellettuale che Gramsci respira.

È anche certo che da questa cultura storicistica e umanistica dipendono alcune deficienze, la sottovalutazione della tradizione illuministica, la concezione per lo più negativa delle scienze naturali, la considerazione scarsa, benché contenente spunti di grande rilievo, della logica, della metodologia, della problematica del materialismo. Sembra tuttavia che una ricerca orientata[...]

[...]re a quello dei comunisti tedeschi che noi abbiamo visto. Nel quadro di questo controllo, di questa correzione, potevano avere sviluppo anche quei motivi di superamento dei limiti umanistici che già ci sono.

L’essenziale sembra essere questo spregiudicato, critico, inserimento del marxismo nella grande cultura europea, questa nozione di un marxismo che ha da completarsi a contatto della parte più progressiva della cultura mondiale. Si pensi a ciò che è accaduto al marxismo della Terza Internazionale. La critica a Feuerbach, il ritorno a Hegel, la dialettica, che avevano caratterizzato il suo slancio iniziale, persero terreno davanti alla necessità di criticare l’espandentesi neohegelismo e le sue complicità politiche. L’argomentazione filosofica della lotta su due fronti, i due episodi filosofici che si indicano coi nomi di Bukharin e Deborin e la loro fine, sembrano poi essere stati i motivi di ordine intellettuale che introdussero l’idea della raggiunta perfezione, della classicità del marxismo. In una elaborazione sistematica in cui erano rappresentati gli elementi intellettuali più diversi, si pensò di avere qualcosa che. fosse l’eredità, l’assorbimento adeguato di tutto il pensiero [...]



da Giancarlo Bergami, Partito e prospettiva della rivoluzione comunista in Bordiga in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]nta dalla maggioranza del proletariato, o alla crisi storica delle forze capitalistiche nazionali e mondiali.
La stessa opposizione bordighiana alla guerra si intona, nella forma di un deciso antimilitarismo di classe, all'agitazione antibellicistica del massimalismo di sinistra, piuttosto che identificarsi con la linea leniniana, emersa negli incontri di Zimmerwald e di Kienthal, mirante a trasformare la guerra imperialistica in guerra civile, cioè nella lotta di classe generalizzata: la sola guerra della classe operaia. Si deve convenire che l'elaborazione di Bordiga, anche quando il dirigente socialista napoletano accentua la propria fedeltà all'internazionalismo proletario e prende le distanze dall'inconcludenza di certo massimalismo rumoroso, resta nel complesso « troppo inarticolata per poter essere collocata sullo stesso piano di quella di Lenin »
All'esperienza bolscevica non è invero assimilabile la visione del partito quale interprete dogmatico delle leggi di sviluppo della società capitalistica.
1 A. DE CLEMENTI, Amadeo Bor[...]

[...]ntralismo lo è indubbiamente, poiché i caratteri essenziali del
2 A. BORDIGA, Partito e classe, « Rassegna Comunista », Milano, I, n. 2, 15 aprile 1921, p. 63; dr. anche A. BoRDIGA, Il Partito Comunista, « l'Ordine Nuovo », Torino, I, n. 120, 1° maggio 1921, p. 1.
PARTITO E PROSPETTIVA DELLA RIVOLUZIONE COMUNISTA IN BORDIGA 265
l'organizzazione del partito devono essere l'unità di struttura e di movimento »3. Il rilievo, coerente con un approccio subordinante la tattica a un corpus di verità allergiche alla verifica dei fatti, è la spia di un dissenso di fondo tra la direzione del PCD'I e il Komintern, dissenso che si manifesta a proposito del modo di intendere e applicare la serie di 25 tesi sul fronte unico operaio divulgate nel dicembre del 1921 dall'Esecutivo dell'Internazionale comunista.
Mentre nella direttiva approvata al III Congresso del Komintern per la conquista della maggioranza del proletariato si riflette l'orientamento di rendere assai stretto il collegamento del partito con il movimento di massa nella sua storicità, d[...]

[...] in cui Bordiga fa dell'isolamento del PCD'I un valore da perseguire a ogni costo, riemerge l'incompatibilità con l'analisi leniniana e bolscevica delle funzioni del partito (i principi, il programma, la tattica), e delle questioni teoriche e metodologiche legate all'applicazione della dottrina marxista. E il PCD'I delimita la portata dell'appello del Komintern per il fronte unico operaio nell'ambito del fronte unico sindacale (e non politico).
Ciò non impedisce di affermare — come è detto nel Progetto di tesi presentate dal PCD'I al iv Congresso mondiale — che i comunisti propongono un'azione comune delle forze proletarie organizzate, salvo subordinare l'attuazione di questa tattica al compito fondamentale del partito comunista: la diffusione nella massa operaia della coscienza che solo il programma comunista e l'inquadramento diretto dal partito comunista la condurranno alla sua emancipazione. Di qui l'interpretazione strumentale della politica del fronte unico, attraverso la quale deve essere precisata e intensificata la campagna con[...]

[...]lità o se queste dovessero elevarsi a sistema, si presenterebbe con estrema gravità il pericolo di una ricaduta nell'opportunismo (La tattica dell'Internazionale Comunista nel progetto di tesi presentate dal P.C.I. al IV Congresso mondiale, « Lo Stato Operaio », Roma, II, n. 6, 6 marzo 1924, p. 6).
Per Bordiga l'aggregazione al partito comunista di altri partiti, o di parti staccate di essi, indebolisce le potenzialità dell'organismo cosí artificiosamente composto, e paralizza l'opera di inquadramento e di radicalizzazione delle masse che in maggioranza seguono i socialdemocratici. La lotta per l'unità proletaria va condotta con la medesima energia con cui si affronta la politica dei riformisti, scontato che per la borghesia il metodo socialdemocratico valga quanto quello fascista. Anzi, l'acutizzarsi della pressione rivoluzionaria indurrà la classe borghese a dispiegare al massimo i due dispositivi ai quali essa si affida per la propria salvezza: « Essa ostenterà la piú audace politica democratica e socialdemocratica mentre sguinzaglie[...]

[...]uramente parassitaria della borghesia. È chiaro, per converso, che non si può definire il fascismo come il movimento indipendente d'una parte sola della borghesia, come l'organizzazione degli interessi agrari in quanto siano contrapposti a quelli capitalistici industriali'. Non si deve del resto trascurare che esso ha formato la propria rete politica e militare nelle grandi città, anche in quelle province in cui restrinse l'azione alle campagne. Ciò premesso, viene del pari ribadito che, sebbene disponga di « un'organizzazione solida e di capi di grande abilità politica », il fascismo non possiede una dottrina e un programma nuovi e originali. Senonché, la previsione ottimistica che il fascismo sarà liberale e democratico non aiuta a porre la necessità di una controffensiva proletaria efficace, giacché Bordiga esclude l'opportunità di convergenze atte a bloccare il fascismo, non credendo alla possibilità di un colpo di stato di destra, né di quella che chiama una rivoluzione a rovescio, ossia lo spauracchio troppe volte agitato da demago[...]

[...]pi di grande abilità politica », il fascismo non possiede una dottrina e un programma nuovi e originali. Senonché, la previsione ottimistica che il fascismo sarà liberale e democratico non aiuta a porre la necessità di una controffensiva proletaria efficace, giacché Bordiga esclude l'opportunità di convergenze atte a bloccare il fascismo, non credendo alla possibilità di un colpo di stato di destra, né di quella che chiama una rivoluzione a rovescio, ossia lo spauracchio troppe volte agitato da demagoghi di ogni colore e appunto perciò poco plausibile.
Egli non intende decampare dai fondamenti dottrinari del comunismo rivoluzionario, né egli ammette che ai partiti comunisti, sorti dalla rottura con l'opportunismo riformista e menscevico, spetti di dar vita a vasti schieramenti per fronteggiare l'assalto reazionario. Ogni intesa con altri partiti operai è bandita a livello di fronte unico politico: « Il Partito comunista — sostiene nella prima riunione del Comitato centrale alla fine dei lavori del Congresso di Roma del PCD'I (marzo 1911) — sta alla rivoluzione come il Partito socialista alla controrivoluzione ». Equazione [...]

[...]da la ripresa di una controffensiva del movimento di classe. Nell'analisi dei margini di manovra concessi al sistema produttivo della borghesia il massimo dirigente del PCD'I si richiama a parametri luxemburghiani, come risulta dall'annotazione per cui i « mercati vergini si restringono sempre piú e d'altra parte le popolazioni coloniali non si mostrano piú disposte a restare passive sotto le ventose dello sfruttamento imperiale » 10. Tale approccio, che trovava conferme nel crack della Banca di sconto oltre che nel ricorso — cui il regime liberale monarchico era sollecitato in modo sistematico — alla violenza e all'aperta illegalità contro il proletariato, « era data dalla convinzione dell'incapacità del capitalismo di risolvere la crisi organica in cui l'aveva gettato il conflitto mondiale » (A. De Clementi, Amadeo Bordiga, cit., p. 147).
Prende forma allora la previsione che la situazione italiana si sarebbe evoluta secondo il modello sperimentato dalla socialdemocrazia tedesca, ripetendo i socialisti nostrani la parabola riformistic[...]

[...]to le rivalità tra gli altri colossi e ha fatto rialzare la testa all'America e al Giappone che con minori sacrifici hanno attraversata la guerra » (ibidem).
270 GIANCARLO BERGAMI
portata della minaccia fascista e del tragico errore commesso dalle vecchie caste dirigenti liberali nel secondare la conquista del potere da parte delle bande mamertiniche all'assalto della macchina statale, si fonda e risolve nella deficienza di una salda analisi socioeconomica, carenza comunque ascrivi bile al bilancio passivo della elaborazione bordighiana.
3. Bordiga e la tradizione bolscevicointernazionalistica. — Alla luce del contrasto, che via via si acutizza con il Komintern, sulla questione del fronte unico si comprende meglio la funzione assegnata da Bordiga alla dialettica del partito di classe con le masse operaie, dialettica che si porrà in termini di divergenza rispetto al centrismo gramsciano. Il diverso modo, da parte di Bordiga e di Gramsci, di impostare e risolvere il problema dell'eredità ideale e storica del socialismo italiano si riflette sul tipo di collocazione internazionalistica che[...]

[...]si fugge soltanto la propria ombra, si chiudono soltanto gli occhi davanti alle difficoltà e si cerca soltanto di disfarsene con le parole ». Obiezione che, tradotta in termini generali, permette di scorgere il ritardo nell'educazione marxista di chi, appagato dall'estremismo, non vuole prendere atto che il comunismo « deve introdurre (e non vi riuscirà senza un lavoro lungo, perseverante, ostinato) quanto vi è di nuovo sul terreno dei principi, ciò che rompe radicalmente con le tradizioni della ii Internazionale (conservando e sviluppando al tempo stesso ciò che la ii Internazionale ha dato di buono) » II. Vale il sospetto che gli astensionisti e gli antiparlamentaristi, nel loro attaccamento alla ripetizione di pregiudiziali e schemi rivoluzionari, non avvertano che puntare sempre e unicamente sul fine dell'abbattimento della borghesia e della conquista del potere politico da parte del proletariato sposta solo in avanti il problema di fare i conti con le influenze borghesi diffuse nel movimento operaio, poiché le medesime difficoltà della lotta per sradicarle, in seguito si presenteranno aggravate in misura mag giore.
Ai rilievi leniniani, che [...]

[...] alle tesi sulla tattica redatte da Bordiga e Terracini per il ii Congresso del PCD'I. Lungi dal determinare gli obiettivi transitori in vista dei quali i comunisti conducono
« fin d'ora le masse alla lotta: ora che non si tratta, purtroppo, d'impadronirsi del potere ma di conquistare una minoranza della classe operaia », le tesi di Roma
diminuiscono, banalizzano la necessità della lotta per la conquista della maggioranza della classe operaia, cioè relegano in secondo piano il compito piú impor'
II V. I. LENIN, Opere complete, vol. xxxi, Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 1045.
PARTITO E PROSPETTIVA DELLA RIVOLUZIONE COMUNISTA IN BORDIGA 273
tante che incombe ad un partito giovane come il Pcd'I. Invece di dire al partito: lotta per ogni singolo operaio, tentativo di conquistarlo, tentativo di conquistare la maggioranza della classe operaia, le tesi forniscono pretesti dottrinali intesi a provare che il problema non è cosí urgente. Vi è in questo un grave pericolo, di cui l'Esecutivo, senza indietreggiare davanti ad alcun mezzo, avvert[...]

[...]e nel recidere le parti malsane del corpo del partito, colui
PARTITO E PROSPETTIVA DELLA RIVOLUZIONE COMUNISTA IN BORDIGA 275
che discrimina tra le forze protagoniste del divenire della rivoluzione o sa solo distribuire piombo agli avversari, ma che egli è, secondo le notazioni di Alfonso Leonetti, « soprattutto l'unificatore; l'uomo che sa unire non solo gli operai tra loro, che è primordiale, ma unire gli operai con i loro alleati naturali e cioè i contadini e i popoli dei paesi oppressi e infine non disdegna affatto gli intellettuali » (in A. Bordiga, Lenin, cit., p. 9).
Ï limiti nella comprensione del ruolo di Lenin non inficiano il merito bordighiano di denunciare con prontezza e lucidità l'involuzione staliniana e i pericoli della bolscevizzazione zinovievista, intesa quale subordinazione delle sezioni dell'Internazionale alla logica e agli interessi dello stato sovietico, con la conseguente paralisi di qualsiasi alternativa rivoluzionaria al burocratismo. Quella bordighiana si qualificherà sempre meglio come una battaglia per l[...]

[...]etico, con la conseguente paralisi di qualsiasi alternativa rivoluzionaria al burocratismo. Quella bordighiana si qualificherà sempre meglio come una battaglia per la rigenerazione dell'Internazionale, presentando, a paragone con le incertezze e l'atteggiamento talvolta ambiguo e contraddittorio dello stesso Trotsky, connotati di maggiore coerenza, sia per i contenuti e il terreno di scontro prescelto, sia per la rivendicazione all'indisciplina. Ciò non impediva di realizzare un collegamento con le tesi trotskyste nel giudizio sulla genesi della crisi attuale del Komintern. Bordiga individua nei vizi di fondo inerenti ai metodi di direzione del comunismo mondiale, e nelle incrinature interne al partito russo, i motivi della propria indisponibilità a scorgere nel bolscevismo la via maestra ed esclusiva della rivoluzione proletaria:
La conclusione piú importante che emerge, a nostro parere, dalla efficace analisi cui Trotsky sottopone la preparazione e la effettuazione della lotta di ottobre in Russia, è che la riluttanza della destra non[...]

[...]ffermato al iv Congresso (A. Chiarini, Le « Bordiguisme », « L'Internationale Communiste », Paris, n. 2, août 1925, p. 120).
A. Leonetti dal canto suo denuncia le incongruenze teoricopratiche e i feticci dell'estrema sinistra italiana, alla quale ricorda il compito assorbente del partito rivoluzionario della classe operaia: intervenire in ogni situazione per spostare i rapporti di forza esistenti in vista del rovesciamento del potere borghese:
Ciò spiega la distinzione leninista di tattica e di strategia, distinzione che non si trova in nessun passo delle tesi della estrema sinistra e per la cui incomprensione l'estrema sinistra è condotta a muovere il rimprovero all'Internazionale di non avere una linea tattica precisa e di subire troppo le suggestioni delle situazioni (I dissensi con l'Internazionale ovvero i feticci dell'estrema sinistra italiana, « l'Unità », Milano, zr, n. 213, 13 settembre 1925, p. 3).
Is Cfr. l'intervento di Bordiga in « La Correspondance Internationale », Vienne, 4e a., n. 53, 5 août 1924, p. 553. Nel medesimo[...]

[...]lte, dell'impossibilità di dare una seria valutazione del complesso fenomeno che fu il bordighismo, se non si risalga alla formazione del socialista napoletano e non si riesamini il tipo di azione e di strumenti propagandistici e organizzativi con cui Bordiga diffonde principi di rigore classista e di netta differenziazione rispetto alle demagogiche enunciazioni del socialismo tradeunionista. Si tratta ora di verificare alla luce di questo approccio il significato e i limiti dell'esperienza bordighiana, al confronto con le contemporanee vicende del movimento rivoluzionario comunista internazionale e con l'elaborazione bolscevica leniniana.
GIANCARLO BERGAMI



da [Le relazioni] P. Togliatti, Gramsci e il leninismo in Studi gramsciani

Brano: Paimiro Togliatti

GRAMSCI E IL LENINISMO

Ritengo che l’ampiezza delle note che sono state distribuite, come trama di questa relazione, mi esima deH’appesantire ora il convegno con un’esposizione troppo estesa, e ciò faccio anche allo scopo di lasciare maggiore possibilità di intervento, nel dibattito, ad uomini che non siano, come me, cosi direttamente impegnati nella lotta politica.

Entrambi i relatori, all’inizio delle loro relazioni, hanno giustamente sottolineato le indicazioni che Gramsci stesso ha dato circa il metodo che si deve seguire nello studio del pensiero di chi non abbia sviluppato in modo sistematico le proprie idee, allo scopo di attribuire un giusto significato e peso ad ogni affermazione, di essere in grado di criticarla nella misura in cui deve essere criticata, e Gramsci stesso avrebbe a[...]

[...]le di precedenti indirizzi politici, e questa esigenza non partiva da una pura critica dell’intelletto, bensì da una critica che era sgorgata dai fatti ed era quindi diventata, per l’avanguardia della classe operaia,. i.n quel momento, quello che Gramsci chiamava « senso comune », verità diffusa, generalmente accettata, sentita in modo diretto, che si cerca di realizzare nella pratica perché da essa non si può prescindere.

L’errore conteneva, cioè, un impulso di ordine passionale, di ordine morale e di ordine politico, senza il quale è probabile che il partito comunista o non si sarebbe creato o non si sarebbe creato nel modo come si creò, ricevendo anche da quell’impulso qualche cosa che nel seguito degli sviluppi risultò essere largamente positiva. È vero, ci fu un errore. Gramsci sentiva, però, che a quell’impulso si doveva aderire, per riuscire a trasformarlo in un elemento che non fosse più puramente di negazione, ma positivo, costruttivo. L’errore stette nel modo della adesione e nella rapidità della correzione; ma anche in esso[...]

[...]msci stesso in una pagina che voi trovate airinizio del volume Passato e presente, dove parla di processi vitali « ... che sono caratterizzati dal continuo tentativo di superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era

proprio dice — di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi

un modo di vivere e di pensare non più regionale e da “ villaggio ”, ma nazionale, e tanto più nazionale, (anzi nazionale appunto per ciò) in quanto cercava di inserirsi in modi di vivere e di pensare europei, o almeno il modo nazionale confrontava con i modi europei, le necessità culturali italiane confrontava con le necessità culturali e le correnti europee (nel modo in cui ciò era possibile e fattibile nelle condizioni personali date, è vero, ma almeno secondo esigenze e bisogni fortemente sentiti in questo senso) » 1.

È evidente, qui, la nota autobiografica e la nota critica, direi persino animata da una vena di ironia, di simpatia ironica per questo sardo che avanzava sulla scena della vita nazionale e sulla scena della storia europea» di questo che egli chiamerà in un altro passo « il triplice e quadruplice provinciale » venuto dalla Sardegna all’Università di Torino e che nell’Università di Torino accoglieva quegli insegnamenti che conosciamo, e nella vita e[...]

[...]itale industriale, quale allora si organizzava e si affacciava alla direzione della vita nazionale, veniva formando se stesso.

Il punto di arrivo è assai lontano da questo. È un politico di portata nazionale e internazionale il quale si è cimentato, in tutta la sua esistenza, nella conoscenza, nello studio e nella soluzione dei più gravi problemi del momento storico nazionale ed internazionale, fondatore quindi di un partito e Capo comunista, cioè uomo che esprime e realizza con la ;sua azione una tendenza, un processo che egli stesso dichiarerà che era. nelle cose e tale era effettivamente nelle cose, ma che la sua azione porta a una manifestazione più elevata, cioè educa, organizza, dirige.

Quali sono stati i fattori di questo sviluppo, per cui si passa dal « triplice e quadruplice provinciale » al Capo di un grande partito politico ed a un Capo di tale levatura, che gli avversari dovettero trattare in quel modo per toglierlo dalla scena ed essere tranquilli?

1 P., p. 3.422

Le relazioni

La ricerca è assai ampia, né vi è dubbio che da essa risulta che una grande parte deve essere fatta alla tradizione politica e culturale italiane. Gramsci è un politico italiano. Si collega alle più vitali correnti del pensiero politico e deH’azione politic[...]

[...]l modo per toglierlo dalla scena ed essere tranquilli?

1 P., p. 3.422

Le relazioni

La ricerca è assai ampia, né vi è dubbio che da essa risulta che una grande parte deve essere fatta alla tradizione politica e culturale italiane. Gramsci è un politico italiano. Si collega alle più vitali correnti del pensiero politico e deH’azione politica del nostro paese. Però questo non basta! La sola tradizione italiana non avrebbe fatto di Gramsci ciò che egli è stato come politico, e come politico nel quale non vi è più traccia del provincialismo nostrano. Alla tradizione del pensiero italiano si accompagnarono lo studio del marxismo, il contatto con la classe operaia e con la realtà della vita internazionale e nazionale quale gli apparve dai primi anni della esistenza e poi, via via, gli episodi di una lotta che si faceva sempre più aspra. In questo quadro spetta un posto a parte come fattore, io credo, decisivo, di sviluppo ideale e pratico, a Lenin e al leninismo.

Riconoscono oggi anche coloro che non aderiscono al giudizio nostro, [...]

[...]gli uomini cambia. Dopo Lenin noi pensiamo tutti in modo diverso da come pensavamo prima. Parlo dei politici, prima di tutto, ma non parlo soltanto dei politici; parlo di tutti gli uomini i quali cercano di formarsi una coscienza critica della realtà che li circonda e anche delle grandi masse umane a cui le nuove scoperte del pensiero e dell’attività creatrice degli uomini arrivano nella forma della fede o dell’informazione lontana. Non escludo, cioè, coloro che non sono politici pratici e non escludo coloro i quali non sono in grado di arrivare a una consapevolezza critica del corso degli avvenimenti. Un rivolgimento, — e questa è una delle tesi fondamentali di Gramsci — che assume un valore metafisico, quale fu la grande Rivoluzione socialista portata alla vittoria da Lenin, crea anche un nuovo « senso comune », un nuovo elemento di coscienza quasi religiosa, nuove forme di giudizio generale, una nuova fede.

Dopo Lenin noi operiamo tutti diversamente, perché abbiamo compreso in modo nuovo la realtà che sta davanti a noi, ne abbiamo [...]

[...]n Lenin almeno tre capitoli principali, che determinano tutto lo sviluppo della azione e del pensiero : una dottrina deirimperialismo, come fase suprema del capitalismo; una dottrina della rivoluzione e quindi dello Stato, del potere e una dottrina del partito. Sono tre capitoli strettamente uniti, fusi quasi 'l’uno nell’altro, e ciascuno di essi contiene una teoria e una pratica, è il momento di una realtà effettuale in isviluppo, una dottrina, cioè, che non solo viene formulata, ma messa alla prova dei fatti, dell’esperienza storica e che nella prova dell’esperienza storica si sviluppa, abbandona posizioni che dovevano essere abbandonate, conquista posizioni muove, e crea, quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al marxismo questo suo carattere creativo, lo libera dalla pedanteria delle interpretazioni materialistiche, economicistiche, positivistiche delle dottrine di Carlo Marx, fa del marxismo, in questo modo, ciò che deve essere: la guida di un’azione rivoluzionaria.

Ritengo che l’apparizione e lo sviluppo del leninismo sulla [...]

[...]ata, ma messa alla prova dei fatti, dell’esperienza storica e che nella prova dell’esperienza storica si sviluppa, abbandona posizioni che dovevano essere abbandonate, conquista posizioni muove, e crea, quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al marxismo questo suo carattere creativo, lo libera dalla pedanteria delle interpretazioni materialistiche, economicistiche, positivistiche delle dottrine di Carlo Marx, fa del marxismo, in questo modo, ciò che deve essere: la guida di un’azione rivoluzionaria.

Ritengo che l’apparizione e lo sviluppo del leninismo sulla scena mondiale sia stato il fattore decisivo di tutta la evoluzione di Gramsci come pensatore e come uomo politico di azione. È il fattore che determina il ritmo del movimento, dà un carattere lineare agli sviluppi ideali e pratici, consente di giustamente valutare anche gli errori, il loro valore e la critica di essi, e di inserirli in un complesso unitario.

Negli scritti giovanili di Gramsci — che è da dolere non abbiamo potuto essere pubblicati, come sarebbe stato deside[...]

[...] concetto fondamentale, il concetto stesso di rivoluzione. Che cos’era la rivoluzione per un socialista italiano della fine dell’ ’800, del primo decennio del ’900? Non lo sapeva! Si svolgevano interminabili dibattiti sulla differenza che potesse passare tra la semplice rivolta, l’insurrezione e una « vera », « effettiva » rivoluzione, tra un sommovimento armato e un movimento non armato e gli eventuali rapporti tra di loro. Si discuteva se uno sciopero generale potesse metter capo a una rivoluzione e questa era già, del resto, una forma più concreta della ricerca. Oppure si confondeva, identificandoli, il concetto di rivoluzione « permanente » — come ha detto uno dei relatori — conPaimiro Togliatti

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il concetto di sviluppo storico, che è un’altra cosa. Una precisa visione di che cosa fosse l'arrovesciarnento rivoluzionario dei rapporti sociali non vi era.

Vorrei ricordare una osservazione scherzosa di Gramsci, che forse consente di precisare meglio questa deficienza. È una osservazione fatta in polemica con i riformisti. Eg[...]

[...]oniale dell’imperialismo.

In quegli appunti che dopo una certa rielaborazione, credo, sono stati presentati come un « quarto saggio » sulla concezione materialistica della storia, con il titolo Da un secolo all’altro, Antonio Labriola affronta questo problema, il problema dell'imperialismo. La sua ricerca, egli dice, tende a « illuminare la scena attuale del mondo civile, tratteggiarla nei suoi contorni, nel suo interiore aspetto e nell’intreccio delle forze che la configurano e la sorreggono ». Sono termini che indicano tutta la consueta complessità del pensiero del Labriola. E cosi egli parla, venendo al concreto, della politica imperialistica degli Stati di quella fine di secolo, della guerra del Transvaal, della espansione della Russia nell’Asia, che rifà a rovescio l’invasione mongolica. Egli tenta quindi anche una definizione del periodo precedente. Vuol dire che cos’è il secolo che si chiude, e cosi lo definisce: «Il secolo precedente non è cominciato nel 1800, è cominciato, chissà mai, il 14 luglio 1789, o un dipresso, o come altro piaccia di datare il vertiginoso erompere dell’èra liberale. Il secolo che si chiude è 1’“ èra liberale ” ».

Ma che cosa potrà essere il secolo che si apre? Mancano, al vecchio marxista italiano, gli elementi di analisi, di dimostrazione e di convinzione che gli consentano di affermare che il secolo che si apre è l’èra [...]

[...]saggio dal capitalismo al socialismo, dall’èra liberale all’èra socialista.

Di questa mancanza di una decisa prospettiva storica aveva sofferto, in sostanza, tutto il movimento operaio italiano, sin dagli inizi. Ne soffri particolarmente nel primo decennio del secolo, quando il movimento della classe operaia, che aveva oramai passato le prove delle classi eiePaimiro Togliatti

All

mentari, doveva affrontare le prove superiori, le prove, cioè, della organizzazione di una lotta politica la quale avesse delle prospettive rivoluzionarie precise, adeguate alla situazione di quel momento. Le lotte immediate sindacali cerano state e c’erano, amplissime, travolgenti, nell’industria e nelle campagne. Cerano pure state e cerano le lotte politiche per la libertà e contro la politica deliimperialismo. Basti rievocare l’opposizione delle avanguardie della classe operaia e delle masse contadine alla guerra di Libia. Un legame evidente, però, tra questi grandi movimenti e una lotta rivoluzionaria per il potere non lo si trovava. Questa fu la t[...]

[...] anche peggio. Neanche su un terreno riformistico, di collaborazione con gruppi borghesi, essi riuscivano a eie, varsi al di sopra delle agitazioni immediate. Questo ebbe la conseguenza che non abbandonarono il campo del movimento socialista, come invece fecero i riformisti di altri paesi. Vi rimasero, attaccati come rémore alla chiglia della nave, ma incapaci essi pure di dare a se stessi obiettivi e prospettive che fossero evidenti e chiari, e ciò dette al riformismo italiano un aspetto anche più meschino, contradditorio in se stesso e stentato che in altri luoghi.

Tutte queste erano, in sostanza, le conseguenza negative di una concezione pedantesca, meccanicistica del marxismo e del processo stesso del movimento operaio. Mancava la concezione dello sviluppo storico, che non può essere inteso soltanto come evoluzione oggettiva dei rapporti economici attraverso alle trasformazioni della tecnica e aH’accrescimento delle forze produttive, sviluppo delle lotte parziali economiche e politiche dei lavoratori e a coronamento di quella evol[...]

[...] affermazioni che non possiamo accettare e non sono accettabili. Mi riferisco particolarmente al famoso articolo intitolato « La rivoluzione contro il “ Capitale ” » 1 dove il « Capitale » è il libro di Carlo Marx, e la rivoluzione è quella dei bolscevichi russi neH’Ottobre 1917. L’impostazione, come si vede, è errata ed errati sono alcuni giudizi. Ma da questo scritto mi pare emerga quasi un grido di liberazione del giovane Gramsci che, vedendo ciò che è avvenuto in Russia, finalmente sente che ci si può liberare dal (pesante e ingombrante involucro dell’interpretazione pedantesca, grettamente materialistica e positivistica che era stata data del pensiero di Marx in Italia, e che era stata data anche da grandi e ben noti agitatori del socialismo.

Il Capitale in Russia era diventato — si legge in questo articolo — « il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’èra capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale, [...]

[...]ni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche ». Anche questa è una affermazione da noi oggi non accettabile. Non in Marx era avvenuta la contaminazione, ma nei trattatelli e opuscoli di propaganda quintessenziale, dove il pensiero marxista era stato ridotto a ciò che non era e non poteva essere.

« Questo pensiero — continua Gramsci — pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l’uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro volontà... Marx ha preveduto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuto la durata e gli effetti che ha avuto. Non [...]

[...]essaria guida, a liberarsi dalle interpretazioni pedantesche, grettamente materialistiche ed economistiche del marxismo. In tutti i commenti, dei successivi due o tre anni, agli avvenimenti di Russia dopo la conquista del potere, sempre meglio viene elaborato e precisato questo momento da un lato, mentre dall’altro lo studio è vólto430

Le relazioni

a cogliere il nesso tra il momento internazionale e il momento nazionale della rivoluzione. Ciò che i bolscevichi russi sono stati in grado di fare è conseguenza di una trasformazione qualitativa della situazione internazionale. La catena deirimperialismo si è rotta. Si è aperto un nuovo periodo della storia mondiale. Ma la vittoria della classe operaia e dei bolscevichi è stata possibile perché questi sono stati x migliori interpreti di tutto lo sviluppo storico della società nazionale russa di cui hanno saputo trarre, con la loro azione, le conseguenze. In questo modo viene a determinarsi la funzione nazionale della classe operaia nello sviluppo del movimento internazionale. Le condiz[...]

[...]le forze motrici del Rinascimento italiano per l’assenza di giacobinismo. Mi sembra però che un momento particolarmente importante non sia stato messo nellaPaimiro Togliatti

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giusta luce da chi è intervenuto su questa questione. Non è che Gramsci incolpasse i ceti borghesi di non aver fatto quello che potevano fare. Esulava dalla sua metodologia questo modo di intendere la storia. Quello che egli cerca è invece un’esatta definizione di ciò che questi ceti hanno fatto, il che gli deve servire per dare una definizione esatta della struttura della società italiana, quale esce dalla rivoluzione nazionale. Né si può negare che, nei momenti critici della storia, le classi dirigenti possono fare cose diverse. Lenin applicò questo criterio alla analisi dello sviluppo del capitalismo in Russia, e del modo come avrebbe potuto venire risolta, in particolare, la questione agraria, quale era posta dallo sviluppo secolare dell’economia russa, dalla sopravvivenza del regime feudale. Erano possibili due strade; quale avrebbero scelto le classi[...]

[...]lasse operaia oppone la sua alleanza con le masse contadine per lottare sia contro l’autocrazia, sia contro il capitalismo e crea cosi le condizioni della sua vittoria rivoluzionaria. In questo modo si sviluppano l’analisi storica e l’azione di Lenin, e il pensiero di Gramsci si colloca sullo stesso piano.

La borghesia italiana ha preso il potere ed ha organizzato la società e lo Stato alleandosi a determinate forze e non a determinate altre. Ciò è stato conseguenza della sua natura ed è il fatto di cui bisogna tener conto. Perciò la società italiana, del Risorgimento e postrisorgimentale, ha assunto quel particolare suo carattere. Si è creato un « blocco storico », e quindi particolari condizioni in cui la classe operaia incomincia a organizzarsi, combatte, acquista coscienza di se stessa e della propria funzione e attua questa sua funzione attraverso l’azione politica del partito che la dirige. È questo processo che Gramsci cerca di definire nel modo più esatto con tutta la sua indagine politica e storica, la quale muove dalle condizioni concrete della politica e della cultura nel momento in cui egli dà inizio al pro[...]

[...]tica del partito che la dirige. È questo processo che Gramsci cerca di definire nel modo più esatto con tutta la sua indagine politica e storica, la quale muove dalle condizioni concrete della politica e della cultura nel momento in cui egli dà inizio al proprio lavoro.

Eravamo nel primo decennio del ’900. periodo di profonda crisi nello sviluppo della società italiana. Le scelte che vennero fatte in quel periodoebbero una efficacia fatale su ciò che è avvenuto in seguito. Negli indirizzi,.432

Le relazioni

ideali e pratici che in quel periodo maturarono e presero consistenza, sono presenti i germi di parecchi dei mali che più tardi si abbatterono sopra, di noi e che non fu difficile denunciare e respingere quando si manifestarono nel ventennio fascista, ma non era facile intuire^ criticare e respingere quando si presentarono, nel loro germe, in quel periodo lontano.

Risale a quegli anni l’inizio della decomposizione del vecchio blocco politico risorgimentale. E la crisi venne dalle cose, dagli sviluppi economici che spingono[...]

[...], il nome di Gaetano Salvemini, per quanto la polemica di Gramsci con Salvemini sia stata continua dall’inizio della prima guerra mondiale in poi.

In Salvemini l’elemento positivo della visione storica e politica si disperdeva in frammenti. Lo sforzo di sintesi politica era d’altra parte soggetto alla influenza di elementi di ordine passionale non sempre meditati, alle volte moralistici, oppure dipendenti da una visione parziale della realtà. Ciò portò Salvemini a compiere atti politici che Gramsci non poteva non giudicare come errori, e che tali furono. Non ostante questo, Salvemini rimane un grande maestro del pensiero storico e politico italiano, da cui Gramsci molto apprese, a cui di molto egli è debitore.

È necessario però osservare, a questo punto, che relativamente ad uno degli aspetti fondamentali dell’applicazione e dello sviluppo dei leninismo, che Gramsci fece in relazione con la storia italiana e con la situazione del nostro paese, cioè nella formulazione della necessità di un’alleanza tra la classe operaia e le grandi [...]

[...]eva non giudicare come errori, e che tali furono. Non ostante questo, Salvemini rimane un grande maestro del pensiero storico e politico italiano, da cui Gramsci molto apprese, a cui di molto egli è debitore.

È necessario però osservare, a questo punto, che relativamente ad uno degli aspetti fondamentali dell’applicazione e dello sviluppo dei leninismo, che Gramsci fece in relazione con la storia italiana e con la situazione del nostro paese, cioè nella formulazione della necessità di un’alleanza tra la classe operaia e le grandi masse lavoratrici contadine del Meridione nella lotta contro il loro nemico comune, che è il regime capitalistico e il suo Stato accentratore e tiranno, Gramsci prende le mosse dalla polemica salveminiana, ma decisamente se ne stacca nelle conclusioni. Il concetto di alleanza elaborato da Gramsci è qualitativamente diPaimiro Togliatti

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verso, dal punto cui anche Salvemini era giunto nella sua agitazione politica. Non si tratta più, infatti, di qualche cosa di strumentale. Non è che l’operaio attenda[...]

[...] alleanza elaborato da Gramsci è qualitativamente diPaimiro Togliatti

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verso, dal punto cui anche Salvemini era giunto nella sua agitazione politica. Non si tratta più, infatti, di qualche cosa di strumentale. Non è che l’operaio attenda un aiuto dal contadino, e il contadino, a sua volta, dall’operaio, per combattere quel sopruso o realizzare quella rivendicazione. No, si tratta di una alleanza di classe secondo il concetto leninista, cioè di un nesso fondamentale, organico, il quale diventa la base di un nuovo blocco storico. Si tratta di una nuova unità di forze di classe la quale si afferma nella lotta contro l’attuale classe dirigente e si realizza con la presa del potere da parte della classe operaia alleata delle grandi masse contadine.

In questo modo si passa organicamente dalla protesta contro il sopruso e dalla lotta rivendicativa immediata alla lotta rivoluzionaria: gli obiettivi rivoluzionari servono di guida anche nelle lotte immediate che orientano e illuminano, cosi come le lotte immediate servono a scoprire e[...]

[...]orni e le frese, o agiscono le macchine a catena e gli apparecchi automatici del giorno d’oggi. Il progresso tecnico, come abbiamo veduto, è sempre il risultato di uno sviluppo che viene da molte direzioni e dove l’educazione ha la sua parte, e il carattere stesso che ha il lavoro dell’operaio nella fabbrica davanti alla macchina di ieri e di oggi e alla macchina di domani, non si afferra se non si indaga e non si svela il rapporto di proprietà, cioè il rapporto tra le classi, la relazione tra chi è il proprietario dei mezzi di produzione e chi non possiede che la propria forza di lavoro, cioè se non si esce dall’ambito della fabbrica per proiettare il rapporto che si stabilisce nella fabbrica in una visione generale di tutti i rapporti sociali.

Questa fu la ricerca di Gramsci negli anni dal 1918 al 1920. Egli intendeva fare uscire dalla fabbrica moderna capitalistica di Torino, luogo più avanzato dello sviluppo industriale italiano, una forza adeguata alla soluzione dei problemi nazionali che in quel momento si ponevano, capace di superare la crisi terribile provocata dalla guerra e dalla distruzione delle forze produttive, di eliminare il disordine e il caos, di vincere il pr[...]

[...]a distruzione delle forze produttive, di eliminare il disordine e il caos, di vincere il profondo scoraggiamento che regnava nei ceti dirigenti e nelle masse. Tutto questo poteva essere fatto dalla classe operaia se, partendo dalle questioni che si ponevano nella fabbrica, fosse riuscita ad acquistare una giusta coscienza dei grandi problemi nazionali e del modo di risolPalmiro Togliatti

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verli. Nessun culto, quindi, della spontaneità; cioè nessuna tendenza a. idealizzare le forme delazione operaia nella fabbrica e chiudersi in esse, ma sforzo consapevole per portare la classe operaia ad una più elevata, coscienza del proprio compito nazionale.

Gramsci stesso ci ha dato e la critica e la definizione delle sue posizioni in quel periodo. «L’accusa contraddittoria [volta al movimento torinese di essere contemporaneamente spontaneista e volontarista o bergsoniano] analizzata, mostra — egli scrive — la fecondità e la giustezza della direzione impressagli. Questa direzione non era 64 astratta non consisteva nel ripetere meccanicam[...]

[...]plicava a uomini reali, formatisi in determinati rapporti storici, con determinati sentimenti, modi di vedere, frammenti di concezione del mondo, ecc., che risultavano dalle combinazioni 64 spontanee” di un dato ambiente di produzione materiale, con il 44casuale” agglomerarsi in esso di elementi sociali disparati. Questo elemento di'. 44 spontaneità ” non fu trascurato e tanto meno disprezzato : fu educato, fu indirizzato, fu purificato da tutto ciò che di estraneo poteva inquinarlo, per renderlo omogeneo, ma in modo vivente, storicamente efficiente, con la teoria moderna. Si parlava dagli stessi dirigenti di 44 spontaneità ” del movimento; era giusto che se ne parlasse : questa affermazione era uno stimolante, un energetico, un elemento di unificazione in profondità, era più di tutto la negazione che si trattasse di qualcosa di arbitrario, di avventuroso, di artefatto e non di storicamente necessario. Dava alla massa una coscienza 44 teoretica ”, di creatrice di valori storici e istituzionali, di fondatrice di Stati. Questa unità della [...]

[...]va non mettere capo alla fondazione del partito rivoluzionario della classe operaia...

1 p. 57.438

Le relazioni

Il partito rivoluzionario della classe operaia. Questo è l’altro elemento essenziale della dottrina leninista che Gramsci fa propria, dabora, approfondisce, avvicina alla realtà del nostro paese, traduce in un’azione, in una pratica di lavoro, di lotta, ed anche più che di lavoro e di lotta, di dedizione totale sino al sacrificio della propria esistenza.

Il partito è un « intellettuale collettivo », perché una classe subalterna, la quale vuole affermare la propria egemonia e giungere alla conquista del potere non vi giunge spontaneamente, senza una direzione. « Una massa umana... non diventa indipendente 44per sé”, senza organizsarsi (in senso lato) e non c’è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti».

Qui il nucleo e l’originalità del pensiero di Gramsci circa la dottrina del partito. Dallo sviluppo di questi concetti egli deriva le norme fondamentali della vita del partito stesso: la fedeltà, la disciplina, la unità interna, il carattere, in pari tempo, internazionale e nazionale del movimento, che egli, in una nota che ho citato negli « Appunti » per la mia relazione, particolarmente sottolinea, per derivarne da un lato la necessità dell’demento unitario fondamentale e dall’altro per derivarne la eguale necessità delie variazioni, oggi diremmo delle [...]

[...] quella società in quel momento poteva e doveva compiere.

Anc^he la dottrina del partito fa parte di quello sviluppo creativo del marxismo che da Lenin ha ricevuto un impulso fondamentale. Anche questa dottrina respinge le pedantesche e fatalistiche concezioni dello sviluppo storico attraverso le quali il genuino pensiero marxista era stato contraffatto, reso inerte, impotente alla creazione storica.

Al prof. Mondolfo si potrebbe ricordare ciò che già gli faceva osservare Gramsci nel 1919, recensendo un opuscolo dello stesso Mondolfo dedicato alla Rivoluzione russa. « Si racconta — scrive Gramsci — che un professore tedesco di scuole medie, riuscito stranamente a innamorarsi, cosi combinasse insieme la pedagogia e la tenerezza: —Mi ami tu, tesoretto mio? — Si. — No, nella risposta deve essere sempre ripetuta la domanda, in questo modo: Si, ti amo, topolino mio! ».

Nella risposta che Lenin ha dato ai problemi della Rivoluzione russa non era contenuta la domanda che Rodolfo Mondolfo crede si debba fare al politico a seconda del mo[...]

[...]militaresco, privo di una propria vita, vivacità e dialettica interna, e quindi incapace anche di adempiere a quelle funzioni cui deve adempiere il partito nel contatto con le masse che hanno bisogno della sua direzione.

Di qui le indicazioni assai interessanti, — anche se forse non siano in grado di cogliere tutte le sfumature coloro che non abbiano pratica di vita politica, — che egli dà, soprattutto nelle note di Passato e presente,, circa ciò che il partito deve essere, quale deve essere la sua disciplina e quale la sua democrazia interna, che cosa significa nel partito la centralizzazione, e come il partito non può, nella vita sua normale, venire ridotto a un’organizzazione militaresca, e quando e come e per quali difetti può diventarlo, e cosi via.

« Come deve essere intesa la disciplina, se si intende con questa parola un rappono continuato e permanente tra governanti e governati che realizza una volontà collettiva? Non certo come passivo e supino accoglimento di ordini, come meccanica esecuzione di una consegna (ciò che per[...]

[...]alizzazione, e come il partito non può, nella vita sua normale, venire ridotto a un’organizzazione militaresca, e quando e come e per quali difetti può diventarlo, e cosi via.

« Come deve essere intesa la disciplina, se si intende con questa parola un rappono continuato e permanente tra governanti e governati che realizza una volontà collettiva? Non certo come passivo e supino accoglimento di ordini, come meccanica esecuzione di una consegna (ciò che però sarà pure necessario in determinate occasioni, come per esempio nel mezzo di un’azione già decisa e iniziata), ma come una consapevole e lucida assimilazione della direttiva da realizzare. La disciplina pertanto non annulla la personalità in senso organico, ma solo limita l’arbitrio e l’impulsività irresponsabile, per non parlare della fatua vanità di emergere. Se si pensa, anche il concetto di “ predestinazione ”, proprio di alcune correnti del cristianesimo, non annulla il cosiddetto 66 libero arbitrio ” nel concetto cattolico, poiché l’individuo accetta u volente ” il volere divin[...]

[...]attolico, poiché l’individuo accetta u volente ” il volere divino... al quale, è vero, non potrebbe contrastare, ma a cui collabora o menoPaimiro Togliatti

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con tutte le sue forze morali. La disciplina pertanto non annulla la personalità e la libertà: la quistione della “ personalità e libertà ” si (pone non per il fatto della disciplina, ma per 1’“ origine del potere che ordina la disciplina ”. Se questa origine è 64 democratica ”, se cioè l’autorità è una funzione tecnica specializzata e non un 44 arbitrio ” o un’imposizione estrinseca ed esteriore, la disciplina è un elemento necessario di ordine democratico, di libertà. Funzione tecnica specializzata sarà da dire quando l’autorità si esercita in un gruppo omogeneo socialmente (ó nazionalmente); quando si esercita da un gruppo su un alttro gruppo, la disciplina sarà autonoma e libera per il primo, ma non pèr il secondo » 1.

La questione, però, ha anche un altro aspetto, più generale, e che ha assunto un grande rilievo nello sviluppo del movimento operaio internazionale de[...]

[...]sunto un grande rilievo nello sviluppo del movimento operaio internazionale degli ultimi anni: l’aspetto della validità dei concetti formali di democrazia e libertà, in rapporto con le necessità della edificazione storica di un nuovo regime, della sua difesa, del suo passaggio dall’uno all’altro stadio dello sviluppo. Qui si entra in un campo che è il più attuale, nel quale per muoverci il pensiero di Gramsci è una guida è richiede uno sviluppo. Ciò che interessa soprattutto è il modo come Gramsci considera il problema del potere, cioè dell’esercizio dell’autorità dirigente da parte di determinati gruppi sociali. Qui egli introduce il concetto di egemonia, ma questo concetto mon può essere formalmente opposto al concetto di dittatura, allo stesso modo che non si possono formalmente opporre i concetti di società civile e società politica come se indicassero cose organicamente diverse. La differenza non è organica, ma di metodo.

Una classe dirigentè realizza la propria direzione in modi diversi* a seconda non soltanto della diversità delle situazioni storiche, ma anche delle differenti sfere della vita sociale. Analogamen[...]

[...]tte le situazioni la sostanza del nuovo regime è più democratica di quella di tutti i regimi precedenti. Quanto alle forme, tutto dipende dalle condizioni storiche e dalla lotta stessa Che attorno ad esse si svolge. L’azione che le forze progressive e il partito stesso della classe operaia svolgono prima della conquista del potere, conduce a distinguere, nella organizzazione politica della società quale risulta dallo sviluppo storico precedente, ciò che è valido e ciò che non è valido, ciò che può essere conservato, ciò che deve essere modificato e ciò che deve essere distrutto.

Senza entrare in troppi particolari, è evidente che in questa luce deve essere visto il problema del parlamentarismo. Era assurdo chiedere alla rivoluzione proletaria di dare vita a un regime parlamentare, proprio in un paese dove non era mai esistito un parlamentarismo. Ma in altri paesi, dove il Parlamento sia riuscito ad avere un contenuto di democraticità, come forma di consultazione ed espressione della volontà popolare, anche a mezzo di esso si può risolvere il problema di far accedere le masse lavoratrici, non solo all’espressione della loro volontà, ma ad[...]

[...]iverse vie di sviluppo del movimento rivoluzionario della classe operaia, in differenti situazioni storiche. Anche qui, la guida è Lenin. Colui che è andato più avanti e si è mosso con più coraggio, nella individuazione delle diversità storiche444

Le relazioni

oggettive e nell’affermare la necessità di adeguarsi ad esse, è stato proprio il Capo della Rivoluzione bolscevica. Basta ricordare come scrivendo, nel 1921, ai comunisti georgiani, cioè di un paese che era parte della Russia, ma diverso per la struttura economica e politica, egli raccomandava di non attenersi allo schema russo, ma di seguire una diversa via per risolvere i problemi dell’organizzazione della produzione, dei rapporti con la piccola e media borghesia produttrice e con le sue formazioni politiche. Basta ricordare come Lenin giungeva a parlare di variazioni nelle forme del potere, quando fossero entrate in azione le grandi masse umane deirOriente, come oggi sta avvenendo.

Il pensiero di Gramsci si è mosso per questa via, che è la via dello sviluppo creativo d[...]

[...]isolvono le contraddizioni antagonistiche del mondo capitalistico.

Ma giunti a questo punto è necessario fermarsi. L’esame delle questioni nuove, che oggi nella lotta politica quotidiana ci si presentano, esige nozioni concrete di fatto che non possiamo trovare nell’opera di Gramsci. Egli rimane però la luce che illumina il nostro cammino. Egli è andato avanti fino che ha potuto. Ha conosciuto la realtà che stava davanti a lui, ha fatto tutto ciò che stava in lui per modificarla con un’azione consapevole. La creazione del partito della classe operaia è, quindi, non azione secondaria o parallela, ma il culmine di tutta la sua attività intellettuale e di tutta la sua azione.

In una delle sue lettere, egli parla con amarezza, ma con fierezza, della propria esistenza. « Io non parlo mai — dice — dell’aspetto negativo della mia vita, prima di tutto perché non voglio essere compianto; ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata, e i combattenti non possono e non devono essere compianti, quando essi hanno lottato non[...]



da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Orgosolo antica [e appunti di Ernesto De Martino sul pianto rituale sardo] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...] compare all’improvviso, misterioso, chiuso; visibile centro, e inconsapevole, di una vita non mutata da millenni, di uni antica, superstite civiltà.

È la più arcaica « città » di tutt’Italia, probabilmente di tutto il Mediterraneo.

Entrando per la via principale, che attraversa come un serpente tutto Orgosolo, l’abitato si stende in salite scoscese ed in ripide discese, attraversato da viuzze impraticabili scavate nella roccia o fatte con ciottoli taglienti, veri sentieri di capre e di pecore. In alto

lo sbarra un ammasso di pietre di granito frantumato in breccia, ed in basso una scarpata di pietra di calcare ridotta a pietrisco e sabbione. L’abitato non segue alcun disegno per l’altezza e per la larghezza : le case compaiono a livello e sotto e sopra la strada.

Sotto i tetti, fatti a tegole di ardesia o di legno, a primo sguardo sembra che non vi sia differenza alcuna tra abitazioni, se non nei piani che sono di solito uno, raramente anche tre. Eccezion fatta per alcune costruzioni più moderne, tutti i muri sono edificati [...]

[...]n poco rustici, con occhi neri, vellutati, che, per profondità, sembrano avere una doppia pupilla. Lo sguardo delle donne orgolesi è cupo, intenso, ardente : sembra venire da una forza strana, ignota e primitiva. Predisposte nel corpo ad una certa rozzezza e nel volto a un certo declino, sui trentanni le orgolesi si fanno dure e legnose; il viso si copre di rughe, si devasta come avviene tra le giovani in Africa : più che ad un fattore climatico ciò è dovuto, piuttosto, al lavoro sfibrante di casa e di campagna che, dalla più tenera età, sono costrette a subire.

Nel modo di vestire di ogni giorno le donne orgolesi non si differenziano più da tutte le pastore di Sardegna, ma le distingue sempre ima cura maggiore nel vestito, una dignità di sé scomparsa ormai tra uguali categorie del continente; un portamento severo, un’andatura maestosa. Portano, di solito, una gonna scura marrone

o nera che a diecine di pieghe discende sino ai piedi, come è uso in Spagna; una camicia più chiara abbottonata al collo e ai polsi; larghi mantelli in la[...]

[...]color marrone o nero, oppur scure mantiglie a larghe frangie, come è uso in Spagna; piedi scalzi, quasi sempre, o sandali; e un fazzoletto che copre sempre il capo e, discendendo per il viso, viene rigirato sotto il naso come tra le donne africane, a ricoprire il labbro e il mento. Il modo di saper restare immobili, pur stando in movimento; il modo di guardare, con impassibile dignità; il modo di camminare sènza gesti scomposti, con classicità, sciolte, eleganti eppur solenni, le fa sembrare quasi statue viventi, monumenti di un antico mondo.

Se vi capita di vedere una donna di Orgosolo nell’antico, ora poco usato, costume del paese, troneggiante al sommo di una scala,

o accoccolata davanti ad una porta, il paese vi si rivela allora, conINCHIESTA SU ORGOSOLO

5

sgomento direi, in tutta la sua misteriosa, millenaria profondità. È un costume fastoso, teatrale, quasi irreale e pauroso, per i ricordi che evoca.

Su una larga gonna marrone, lunga sino ai piedi, son sovrapposti tre grembiali : uno, di orbace rosso, che si chiude [...]

[...]n nastro di seta verde; un altro, uguale; un terzo, più piccolo, di orbace rosso, che sormonta i primi due, ma ricamato in seta con fili d’oro, di rosso, di blu, di verde, a contrasto violento, drammatico, con disegni di fiamma, di braccia vegetali, che ricordano, stilizzati,

i contorni degli antichi candelabri Ebraici. Sopra i grembiali vi è una camicia bianca, pronunciata sul petto, chiusa con grandi bottoni d’oro a forma di una grande chiocciola, che sormontano due giubbotti: uno, di orbace rosso, con maniche larghe, ricamato con quegli stessi fili di policrome sete, con fregi di foglie, di alberi, che ricordano le tavolette di Babilonia; l’altro, funereo, stretto alla vita e senza maniche, che rinchiude il primo.

Il pezzo più singolare di tutto il costume è, però, un rotolo di seta rigida, tessuta a grana grossa, di colore giallo scuro — una specie di papiro di antichi Egiziani — che si pone sul capo e si avvolge intorno al volto, sì che — come da una remota profondità — ne spuntano solo gli occhi, e il naso (1).

Malgrado l’[...]

[...]è un indice impressionante, forse il più basso d’Italia, che la densità è di 13,5 ab. per km2.

La sua superficie territoriale, che raggiunge 40 km. circa di estensione nei punti più distanti, è tenuta quasi tutta a pascolo e a foresta.

I dati esatti della superficie tenuta a pascolo mancano. Si possono aggirare, per calcoli approssimativi sul 55 / 100 del totale. La superficie forestale — secondo i dati gentilmente fornitimi dal locale ufficio forestale — con non meno di 800.000 piante — quasi tutte quercie di leccio, poche di rovere, e perastri — è di h. 6800 (2000 Demaniali, nelle regioni Funtana Bona, Vallone, Supramonte; 4000 Comunali, nelle regioni Fundales, Sulittu, su Pradu, Murgugliai, Mariuzza, Supramonte; 800 privati, nelle regioni Gattoré, Lenardeddu, Monte Pertusu). Purtroppo quasi metà di tutto il patrimonio è intaccato nel frutto ghiandatico e nelPincremento — e senza alcuna misura di provvidenza da parte della Regione e dello Stato — dal bruco « Limantria dispari ». I dati esatti della superficie tenuta a coltivato, in generale orti, mancano. Si possono aggirare, per calcoli approssimativi,[...]

[...]MENTI UFFICIALI

Stato sotto il quale si è svolto il censimento

Regno d’Italia

o

Ss 81 <s

1908

1930

rt

P «

16.313

15.892

O

102

177

Asini

21

37

Muli

Bovini

1809

1235

Suini

4156

1935

Ovini

6424

9891

c

a,

rt

o

3801

2617

N.B. — I dati dei due censimenti sono riportati dalle relative pubblicazioni ufficiali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio e dell’istituto Centrale di Statistica. Sono da ritenersi molto al di sotto del numero effettivo di bestiame esistente in Orgosolo se si tiene presente che qui è abitudine generale evitare la denunzia poiché si tiene in sospetto ogni operazione statale.INCHIESTA SU ORGOSOLO

11

che lo hanno arrestato. Perché gli hanno trovato un fucile qui vicino che non era il suo. Ha visto Nuoro solo nel carcere. Il Continente ? E chi lo conosce ? Non sa nemmeno che cosa è. Sta a pascolare le galline. Prima pascolava le pecore. La mattina si sveglia come le galline, alle 5, alle 6. Prima si svegliava [...]

[...]e è la vita di questi pastori di Orgosolo nelle campagne?

Chi non conosce, ad esempio, la classica montagna di Orgosolo — il Supramonte — nella quale ogni orgolese che eserciti la pastorizia più di una volta nella vita è costretto a soggiornare, a fare un’esperienza che non ha paragoni con il pastore di altri paesi, non può dire, in verità, di conoscere bene il paese di Orgosolo.

E conoscere a fondo il paesaggio, il territorio — conoscere, cioè, le condizioni naturali in cui si svolge la vita del pastore — è, in Orgosolo più che ovunque, condizione indispensabile per conoscere i pastori, per comprendere il paese.

Con la guida del pastore Salvatore Marotto, del barbiere Alberto Goddi, dello studente Domenichino Muscau, di Orgosolo, dal

1 al 3 luglio 1954 mi portavo per due giorni ed una notte sulla montagna del Supramonte.

Le possibilità di accesso al Supramonte, a dire il vero, sono alquanto particolari: da centinaia di anni il Supramonte è noto non solo per la vita dei pastori, ma come il covo dei banditi del paese. Raram[...]

[...]n esisteva ancora il Continente — il mare, invadendo questa terra, ne aveva distrutto ogniINCHIESTA SU ORGOSOLO

15

cresta, la aveva spianata. Restano i segni di alte rupi, superstiti, di antichi isolotti, come il colle tabulare o «tacco» di S. Giovanni, alto 1316 m. Ritiratosi lentamente nel Tirreno, il mare, poi, — agevolato da quella piana forma di tettoia — aveva disseminato il fondo, a vista d’occhio, di un caos di massi, di sassi, di ciottoli di detrito.

Nel più tardo periodo pleistocenico, nell’epoca quaternaria — quando tutte le superfici emerse erano coperte da nevi eterne — anche un ghiacciaio doveva essersi deposto sull’altopiano, come dimostrano le alte pareti laterali, lo scavo ad U che, nella parte superiore, compare quasi al centro.

Ma solo inoltrandosi, scendendo nel pianoro, il Supramonte comincia a rivelare il suo mondo strano e tenebroso, il suo segreto.

Tutta la superficie della roccia — come un immenso pavimento di pietra — compare formato di piccole scanalature, di lunghi solchi, di sottilissimi crepa[...]

[...]disterru ». Cadaveri di pastori assassinati si trovano in queste buche e qualcuna prende nome da loro, come, per esempio quella « Matteo Grua », ucciso nel 1917.

Sono le « nurre », le misteriose cavità del Supramonte, così antiche che sembrano nella denominazione ricordare i Nuragici, i primi abitatori della Sardegna.

Non vi è dubbio che si tratta di un paesaggio tipico del calcareo: di un carso.16

FRANCO CAGNETTA

Il carbonato di calcio, di cui è costituito il terreno, alla caduta delle pioggie, al contatto con l’anidride carbonica che vi è contenuta, si scioglie, si fora in tutte quelle crepe, quelle voragini, in un processo che è in corso dalle origini, da 100 milioni di anni.

Tutto il sottosuolo deve essere forato in un sistema di ranali, di fiumi sotterranei, di grotte naturali. Si conosce il fiume di « Gorropu », che si inabissa di un tratto nella terra, con gorgoglìi paurosi, spumeggiando in una voragine, di cui non si vede il fondo, in onde nere. Si conoscono le grotte di « sa pruna » e di « capriles », nascoste da vegetazione nelle imboccature, ma nelle quali, penetrando a lume di rami di ginepro accesi come è l’uso dei pastori, si scop[...]

[...] dell’altopiano è molto scarsa, o quasi inesistente: macchia bassa, ginestre e arbusti di ginepro — ma dell’altezza quasi di un uomo — questi, con le radici affondate sulla nuda roccia e le braccia dei rami, secche, tese in alto come per disperazione.

Al centro dell’altopiano, invece — dove il calcare è più duro e resistente, e lo scolo delle acque ha trascinato anche argille — si distendono grandi, immense foreste con piante di quercia di leccio, quasi tutte, e dell’altezza di 2030 m.: foreste vergini, e inconsuete per uguale densità — probabilmente — in ogni altra regione di Europa, dalle quali, quasi, non meraviglierebbe veder spuntare un mostro preistorico. Fitti intrichi di rami — quasi simili a liane — e fogliame tutto distrutto dai bruchi, sono di tanto in tanto, interrotti solo da spianate di enormi quercie spiantate dal fulmine. Per intere stagioni qui i fulmini dominano con il loro fuoco elettrico, e di piante secolari fanno, di tratto in tratto, solo grandi mucchi di ceneri.

In tutto il territorio d’intorno, su quel cupo[...]

[...]lli di pecora per letto, e mazze, e borse di pecora alle pareti.

Mi mettevano davanti tutto quello che avevano, in recipienti di sughero: pane; latte cagliato, formaggio di pecora; una borraccia di vino.

— Mangiate! — gridava uno minacciandomi con il coltello.20

FRANCO CAGNETTA

— Bevete! Mangiate! — gridavano tutti e mi riempivano le mani.

Dovevano essere così gli ospiti dell’antico mondo, così dissimili dai molli, corrotti Trimalcioni dei nostri tempi. Si è perso ovunque, se non in queste regioni, quel rapporto di banchetto di tribù in cui l’ospitante gode, tripudia nel veder mangiare il suo ospitato, si sazia con la sua fame poiché, una volta entrato in qualche modo nella tribù, lui e l’altro sono ormai come una unità comune, quasi un solo corpo.

— Quanto tempo restate al Supramonte?

— Sei, sette mesi. Da giugno a novembre.

— E l’inverno?

— Non si può stare. Ci stanno solo i disperati. Quelli che non trovano pascolo.

Vivevano in questo paese in condizioni più dure, più tristi dei pastori di ogni altra zon[...]

[...]grotte. Se non potevano, restavano all’aperto, bruciavano immense quercie, che con i venti bruciavano intere, e sotto la pioggia, in poco tempo.

— E l’estate?

— L’estate è un poco meglio. Ma vedete che bella strada per venire. Vedete che caldo, che vento? Paghiamo un tanto per capo, al Comune, per starci!INCHIESTA SU ORCOSOLO

21

— Quante volte scendete al paese?

— Una volta al giorno, uno per turno, se portiamo il latte al caseificio e per questa strada. Una volta anche ogni tre mesi se restiamo a fare il formaggio.

Facevano chilometri e chilometri per andare a cercare un poco d’acqua, nelle grotte. Scendevano a queste con le pecore, verso le pozze, e qualche volta sulle spalle dovevano portare le bestie per i cunicoli, ad una ad una. L’acqua era una ossessione, l’ossessione del pastore: parlavano di continuo di quando dovevano prenderla, di dove dovevano prenderla.

— Vedete che vestiti, che barba; che razza di vita!

— Che mangiate, ogni giorno?

— Mezzo litro di latte, mezzo chilo di « frue ».

— E perché?
[...]

[...] con le pecore, verso le pozze, e qualche volta sulle spalle dovevano portare le bestie per i cunicoli, ad una ad una. L’acqua era una ossessione, l’ossessione del pastore: parlavano di continuo di quando dovevano prenderla, di dove dovevano prenderla.

— Vedete che vestiti, che barba; che razza di vita!

— Che mangiate, ogni giorno?

— Mezzo litro di latte, mezzo chilo di « frue ».

— E perché?

— Tutto il latte se ne va per il caseificio, o per fare il formaggio.

— E il formaggio?

— Quello serve per pagare la terra. E se ci avanza si vende.

— Ed il pane?

— Qualche poco.

— E la carne?

— Se ci muore qualche pecora.

— Bevete il vino?

— Quello sì. Ma alle feste, se ce lo offrono... Qualche cicca, un sigarro. E niente altro.

— Dite un po’: e denaro ne avete mai?

— I soldi. Eh, i soldi! — dicevano sorridendo.

— Quelli ci pensa a levarceli il padrone della terra, l’industriale del latte... I soldi ce li hanno solo i Signori. E i Signori Preti.

— Ce ne avrete bisogno per un cappotto, per un vestito[...]

[...]gosolo, in modo diverso dal consueto: il pastore, a gambe aperte, e con in mezzo un secchio, lascia passare sotto le pecore madri ad una ad una e, trattenendole con le gambe, le munge per il tempo necessario, lasciandole poi passare.

11 latte, raccolto in « malunes » (recipienti di sughero), in otri cuciti di pelle di pecora, o in recipienti di metallo — se non è portato a piedi o a cavallo, e per chilometri e chilometri, al più vicino caseificio — si deve lavorare subito.

Per prima, generalmente, si fa « sa frue » (= il latte acido), che è l’alimento tipico e principale di tutti i pastori di Sardegna.

Si pone il latte in un recipiente a fuoco e lo si fa tiepido a 4045 gradi. Poi si prende «su ’agar’u» (= il caglio) — che è un pezzo di duodeno dell’agnello — e, staccatane la quantità di un cucchiaino circa per 4 litri di latte, riposto in uno straccio di lino, si inumidisce col latte e si spreme, in qualche goccia, nel recipiente.

Il dosaggio è operazione molto delicata: se poco, il latte non si quaglia, se troppo si inacidisce. Bisogna scuotere subito questo con una mano, perché il quaglio non si depositi tutto in una parte. Ben presto lasciato ora a freddo il latte comincia a rapprendersi: in 20 minuti si ottiene una pasta gelatinosa e consistente, la cui durezza si saggia con un dito. Appena questa lo permette, si taglia la pasta a larghe fette, e si lascia riposare per 2430 ore. « Sa frue » è pronta ed è una sorta di Yogurth, di qua[...]

[...]nta una tavoletta quadrata) si fa a poltiglia e, po26

FRANCO CAGNETTA

stolo in recipiente sul fuoco, a 4045 gradi, si agita lentamente, continuamente, perché non si attacchi sul fondo. Dopo mezz’oraun’ora si tira, coagulato, e si getta in « sa forma » (== una forma di legno di perastro a scodella tonda, forata nella base). Questa si poggia su « sa ’annitta » (= due assi di legno tenute sospese) e si lascia che « su soru » (= il siero) sgoccioli, in altro recipiente. Per fare prima, e meglio, si comprime il quagliato nella forma con « sa scrimatrice » (= una tavoletta piatta di legno). Divenuta consistente come una pasta, questa si rivolta dall’altra parte, e così più volte, perché assuma da ambo i lati forma tonda. Quando la pasta ha la consistenza voluta — che si saggia con un dito — si toglie dalla forma e si lascia a riposare 1012 ore su una tavola. Si affonda infine in « sa tina » (una mastella) con « sa salamuja » (= acqua satura di sale), e si lascia riposare ancora 24 ore. Il formaggio « fiore » è fatto. Se si vuole preserv[...]

[...]osatura). E questa avviene come altrove, ma tosando la pecora sino alla pelle.

Di tanto in tanto necessita «sa mazzadura)) (la castrazione) che si fa, dopo legata la bestia, rompendo lo scroto con una mazza arroventata, o tagliandolo con un colpo di coltello.

L’« irgannare » (= la macellazione) avviene anche con una tecnica cruentemente primitiva. Legata la pecora o l’agnello bisoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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gna cc ispoiolare », colpire cioè con un colpo nella gola recidendo la carotide, sì che ne sgorghi una fontanella di sangue (il « fodiolu » latino). Molte volte accade, nelle annate « de fatigu » (— cattive) che bisogna uccidere tutti gli agnelli, perché poppando e facendo deperire le madri, non le uccidano. Si passa ad « incurare », a squartare cioè la pelle della pancia lungo una linea verticale sì che, affondando la mano, la pelle si possa asportare. Un altro modo di asportare la pelle è « a su buffare », cioè facendo un foro in una gamba dell’animale e soffiando così forte che tutta la pelle si sollevi.

Lavoro del pastore è anche quello di far da rudimentale veterinario. Ed al vero veterinario quasi mai si ricorre. Pratiche mediche empiriche si alternano a pratiche di magia, a « presuras » o formule. Le pecore in Orgosolo hanno, generalmente, queste malattie :

sa prummonita = la polmonite

sa gaddinosa = il capogiro per verme nel cervello

su aflenau = malattia del polmone con essudato

sas ranas o male dissu

i ’adu o dessa figu = malattia del fegato

su eie arterau = il fiele al[...]

[...]lla carne, delle pelli, estremamente gravoso per la concorrenza estrema tra pastori e per il dominio completo che ha il compratore sul pastore. Ecco ad esempio gli « Usi e consuetudini commerciali» di Orgosolo per la vendita più importante di Orgosolo: il latte, tra pastori e caseifici (e si intenda qui baraccamenti che raccolgono il prodotto, a conto di industriali, per spedirlo a lavorare in continente). Cito da un foglio della Camera di Commercio di Nuoro (valido per tutta la provincia):

«5) La consegna avviene nel luogo indicato dal compratore. Abitualmente il caseificio.

6) Il latte viene consegnato nei mesi freddi una volta al giorno, nei mesi caldi due. r28

FRANCO CAGNETTA

7) Le spese di trasporto sono a carico del venditore.

13) La determinazione del prezzo è chiusa, preventivamente stabilita o aperta se si conviene quello di mercato.

14) Si paga ordinariamente ogni quindicina, anche mensilmente ».

E il prezzo, chiuso, lo fa sempre l’industriale. Mai il pastore.

Unico « vantaggio » nella vendita che fa il pastore è una caparra che anticipano i caseifici (che se ne va tutta, o quasi tutta, per il pagamento dell’affitto dei pascoli), i[...]

[...]otto, un paio di scarpe all’ingaggio, 56 pecore a fine d’anno, o — oggi — 100400 lire giornaliere. Suo il lavoro più grave, sua la più grave privazione.

Questa la vita dei pastori del Supramonte, dei pastori medii, dei più giovani nelle campagne di Orgosolo. Paurosa per condizioni naturali, penosa per gravità di lavoro.

Per conoscerla sempre meglio bisogna, ora, scendere in paese.

su mere su cumpanzinu su terraccu

= il padrone = il socio = il servo.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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# * #

Il paese di Orgosolo presenta per l’etnologo un terreno di osservazione che, per primitività di strutture sociali e per manifestazioni di mentalità e cultura proprie solo alle civiltà primitive, è difficile trovare ancor oggi, forse, in qualsiasi altro paese d’Italia e d’Europa. Per una convergenza di motivi ambientali estorici (che cercheremo poi di indicare tutt’insieme) il paese si presenta come uno di quei piccoli mondi quasi perfettamente isolati e con una sto ria abbastanza semplice che sembrano destinati alla specifica ricerca dell’et[...]

[...]ripartizione generale della sua proprietà.

I beni di famiglia (greggi, casa, orti, mobili, oggetti, denaro) restano generalmente indivisi (= proprietà « famigliare ») e regolamentati dal padre più anziano « su mannu » (= proprietà « paterna »). Esiste un termine in Orgosolo che indica indifferentemente la proprietà famigliare patriarcale e la famiglia patriarcale proprietaria ed è: s’ereu (dal catalano, = l’eredità).

Si tenga presente come ciò è dettato dalla necessità fondamentale di aumentare il potenziale delle greggi, e non frammentarle con divisioni.

La divisione dell’« ereu » non avviene, generalmente, neppure con la morte del padre più anziano, « su mannu », e passa automaticamente al primogenito o, tra i suoi fratelli, al padre più anziano, che, automaticamente assume la funzione di nuovo « su mannu ». Quando la divisione avviene per varie ragioni (e questo raramente) invale il criterio gerarchico secondo cui il primogenito,

0 il padre più anziano tra i suoi fratelli, riceve quasi tutto; seguono

1 maschi secondo la[...]

[...]ricazione dello speciale pane di Orgosolo che si fa per molti chili, per quintali a volte, e che serve in campagna, per uno, due tre mesi, agli uomini.

Merita un cenno particolare questo lavoro, che non è specifico di Orgosolo, e comune, invece, a tutti i paesi della Barbagia.

Una volta ogni 715 giorni, o un mese, 1015 donne si riuniscono in cucina o, a volte, in una piccola stanza costruita apposta fuori della casa, dal pavimento di terriccio e dal tetto bassissimo. Alcune di esse, le più robuste, con le braccia nude impastano farina, acqua, lievito in larghi e quadrati impastatoi di legno poggiati per terra. Ottenuti alcuni comuni panelli li spianano con un matterello in larghe schiacciate rotonde e, raccoltele, le pongono a riscaldare appena qualche istante in un forno rudimentale a cupola, acceso con frasche e legna. Subito ritrattele le chiudono in strette strisce di tela, lunghe sino a 45 metri (decorate, a volte, con linee trasversali azzurre, nere, marrone) e le lasciano a riposare, o lievitare, per qualche tempo. Quindi le[...]

[...]o nei larghi cesti sardi di asfodelo, che sono fatti per quésta conservazione.34

FRANCO CAGNETTA

In Orgosolo questo pane ha vario nome, secondo più tipi :

Carta ’e musica = il pane ili generale (« carta di musica »

perché croccante)

o « limpidu » o « carasau »

sas ispianadas = il pane di grano

sas tondinas = il pane di orzo

su orgathu = il pane più tondo e più lavorato.

La coabitazione di uomini e di donne nella casa, ciò che in modo completo avviene raramente — se si considera la necessità degli uomini di stare nelle campagne, di migrare — si manifesta altrettanto in carattere collettivo (famigliare) e gerarchico (patriarcale). Non vi è divisione vera e propria di uomini e di donne in due parti ma una tendenza accentuata. Il padre più anziano, <( su mannu », dorme nel letto con la propria moglie, e così fanno abitualmente tutti i figli più anziani sposati; i giovani dormono abitualmente per terra, su una stuoia, in cucina; le donne giovani in una stanza con un letto per una, se possibile, o uno per più.

An[...]

[...]zione dei propri figli che il carattere arcaico e patriarcale della famiglia pastorale si manifesta a pieno. In generale, il piccolo orgolese va alla scuola pubblica per 2, 3 classi elementari, poi viene ritirato e messo subito in campagna: e qui dimentica tutto quello che ha imparato. L’analfabetismo in Orgosolo, ufficialmente, è nella proporzione del 6070 per cento, ma, tenuto conto di questo « ritorno all’analfabetismo » è del 9095 per cento, cioè quasi generale. La famiglia all’educazione pubblica, di cui diffida, preferisce una sua propria educazione famigliare: questa consiste solo nella educazione pratica alle greggi, al lavoro pastorale. Il bambino povero orgolese già1 vestito da adulto con i pantaloni lunghi ed i gambali, con il viso chiuso sempre in un sentimento di timore, di odio contro tutti, è il vero volto del pastore orgolese. A 78 anni, per mangiare, egli è costretto a lasciare la famiglia, a partire lontano. Gran parte del lavoro di sorveglianza delle bestie, marce interminabili, notti passate tra temporali, volpi, ladr[...]

[...]ua ad essere il pilastro e il baluardo di tutta la vita e civiltà orgolese. Da « grandi famiglie » e da rapporti propri allo sviluppo di questa forma si può dire, infatti, che sia costituito tutto

il paese di Orgosolo: un insieme, una «tribù» di «grandi famiglie ».

E una tribù di « grandi famiglie » legate tra di loro in modo molto stretto è, in un certo senso, Orgosolo.

I matrimoni che qui avvengono di frequente in modo « endogamico », cioè in famiglia (tra cugini, tra zìi e nipoti ecc.) si mescolano a quelli « esogamici » più frequenti, cioè fuori della famiglia.

Questa parentela tra due « grandi famiglie » distinte crea una « alleanza » che viene considerata — e lo è per un verso uno sviluppo interno di « sangue » della grande famiglia. I nuovi mariti — i cognati — entrano a far parte come parenti di « sangue » e

lo sono. Tutti i di loro famigliati, impropriamente, vengono consiinchiesta su orgosolo

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derati anche parenti di « sangue ». Si viene a creare una sola, e più vasta « grande famiglia » che si considera unita « ab antiquo ».

Una forma più avanzata di questa parentela artificiale ritenuta anche parentel[...]

[...]omparatico possono prendere parte gli uomini e le donne, ma divisi. I comparatici misti sono eccezionali. Le famiglie dei « compari » entrano a far parte l’una nell’altra come una sola e più estesa « grande famiglia ».

Le maggiori tra le « grandi famiglie » abbracciano un ventesimo, un decimo del paese, ed in alcuni periodi speciali, come i Cossu e i Cornine della famosa « disamistade », dal 1905 al 1926, quasi metà del paese.

Esse non si sciolgono se non con la morte, e, solo più modernamente, per dissidi vari economici, coniugali, politici, ecc.

L’elemento che contribuisce non già all’accrescimento e allargamento di questi grandi gruppi, bensì al loro restringimento e divisione discende, altrettanto, in Orgosolo, dalla « grande famiglia ». Esso è insito nella distribuzione interna della ricchezza e nell’interna subordinazione.

I fratelli minori, i celibi, i giovani, le donne, con il corso degli anni, e dei secoli, vengono a costituire man mano una società patrimonialmente più povera e che, nella divisione del lavoro, adempi[...]

[...]so della mia inchiesta, per evitare la rivelazione di verità, alcuni di loro hanno osato farmi minacce di morte, se non sgombravo, minacce che hanno avuto il solo effetto di dimostrarli tra i più incivili e i più disprezzabili gruppi sociali di Sardegna.

La classe di « sos poveros » o « sos terraccos » ha, nei riguardi della classe superiore un atteggiamento anche troppo paziente, controllato, seppur astioso e, direi, invidioso.

In fondo a ciò sta la opinione primitiva che, poiché il modo quasi unico di arricchirsi rapidamente in una sola vita è qui la rapina, l’appropriazione, l’usura, occorrono pur per questo qualità da

(4) Lascio il testo sardo scorretto, secondo lo scrittore. Eccone la traduzione:

Per descriverti la gente villana seminatrice di oscurantismo vi è in paese la razza Monniana che col potere dà l’ostracismo.

E sono contro al comuniSmo con la democrazia cristiana e sfruttano e condannano e confinano e rubano ed uccidono e rapinano.INCHIESTA SU OSGOSOIO

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« uomo ». Esiste un termine particolare in Orgosolo per indicare questo uomo esecrato, eppur stimato : « su abile » (l’abile), « su baiente » (il valente). La miseria con tutto quello che comporta è profondamente disprezzata. Il termine che d[...]

[...]ioso che lo guardi da un punto di vista statico della «odierna» economia. Poiché la spiegazione si può trovare solo, a mio parere, in una economia (struttura e cultura) che c’è stata e non si vede in Orgosolo se non in numerosi e reperibili elementi che sono sopravvissuti e come incastrati nell’attuale « ciclo culturale » dei pastori

o della « grande famiglia ».

Si tratta di mettere in luce struttura e culture di un « ciclo » precedente: e ciò è desumibile soltanto, oggi, da uno studio della mentalità e del carattere degli orgolesi (le soprastrutture sono le più lente a trasformarsi), dal soccorso di notizie archeologiche e storiche sul paese, e dallo studio di ancor esistenti, fondamentali ma apparentemente secondari istituti locali.

11 pastore di Orgosolo, se lo si osserva attentamente, è certa44

FRANCO CAGNETTA

mente diverso da quello di tutti i vicini paesi. Il pastore di questi o il pastore tradizionale e proprio della « grande famiglia » (quale

lo Huntington, ad esempio, ha individuato nei suoi lineamenti general[...]

[...]« ciclo » precedente a quello pastorale (al più antico che si conosca in tutta la storia dell’Europa), il « ciclo culturale » che l’etnologia classica chiama dei « cacciatori e raccoglitori » o delle « orde ».

Molti dati di osservazione storica e sulla mentalità e il carattere posso qui avanzare per convalidare questa tesi, ma, soprattutto, varrà a convincere il lettore uno studio dei due principali e particolari istituti sociali del paese, e cioè la « vendetta » e la razzia.

Si tenga conto, innanzitutto, che Orgosolo, tra tutti i paesi della Barbagia, è ancora oggi il solo che conservi nel proprio territorio foreste quasi vergini, e sterminate, a differenza di tutti i paesi vicini che nel secolo scorso (come in tutta la Sardegna) ne sono stati spogliati da una speculazione privata.

La selvaggina (diminuita fortemente in tutta la Barbagia) è più facile a trovarsi ancor oggi nel territorio di Orgosolo, e specie per razze zoologiche preistoriche, come i mufloni.

Nel corso della mia gita effettuata sul Supramonte ho avuto la for[...]

[...]one privata.

La selvaggina (diminuita fortemente in tutta la Barbagia) è più facile a trovarsi ancor oggi nel territorio di Orgosolo, e specie per razze zoologiche preistoriche, come i mufloni.

Nel corso della mia gita effettuata sul Supramonte ho avuto la fortuna di fare un ritrovamento archeologico di una certa importanza : in località « sas baddes » (le valli), ai limiti di un bosco che confina con un largo prato di terra alluvionale, e cioè un’antica palude, ho rinvenuto i resti di un abitato del neolitico (epoca della pietra levigata), costituito da una officina litica con frammenti di pugnali e punte di frecce; resti calcificati di ossa di animali, tra cui un teschio ben conservato di scimmia antropoide, bacini di bue e frammenti di animali da individuare; e numerosi residui di abbozzi statuari, tra cui, ben conservati, una testa di cinghiale e due di bue. Su questo ritrovamento (per il quale mi riservo, effettuati gli studi, di dare una comunicazione integrale) mi limito qui ad osservare

IINCHIESTA SU ORGOSOLO

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c[...]

[...]u questo ritrovamento (per il quale mi riservo, effettuati gli studi, di dare una comunicazione integrale) mi limito qui ad osservare

IINCHIESTA SU ORGOSOLO

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come possa darci un elemento per congetturare la esistenza in Orgosolo, nel neolitico, di un popolo di cacciatori. L’etimologia stessa del nome del paese, secondo il più autorevole studioso di lingua sarda, Max Leopold Wagner, significa «guado, terreno acquitrinoso » palude (5). Ciò, presumibilmente, fa pensare ad un abitato di cacciatori.

Notizie storiche sugli abitanti di Orgosolo quali cacciàtori sono numerose ma di tradizione soltanto orale. Allo stato attuale non esiste più nel paese un solo individuo che viva della sola caccia, ma sino a 50 anni fa, e specialmente tra i banditi, secondo notizie avute da quasi tutti gli abitanti, esistevano cacciatori abituali, di mestiere.

L’abitante di Orgosolo è conosciuto in tutta la Sardegna come un meraviglioso cacciatore. Abile, astuto, paziente, testardo in modo eccezionale egli si sopraeleva su tutti gli altri sardi, [...]

[...]olarità vale qui a lungo ricordare era la caccia tra l’uomo e l’avvoltoio, da cui discendeva anche una sorprendente forma particolare di gioco. Questo antico gioco, di cui non ho qui più trovata traccia alcuna, ma che è assai vivo ancora nel ricordo di qualche vecchio orgolese era la « lotta » tra l’uomo e l’avvoltoio : non l'uccisione di un ani
(5) « Il guaio è che non conosciamo il significato delle radici palcosarde se non in rarissimi casi, cioè quando esistono appellativi analoghi. Un tale caso è quello di Orgòsa, che proprio a Orgosolo si usa, come potetti verificare sul posto, per designare un terreno umido: l’uscita osa appare in numerosi toponimi (Ollosa, Malosa, Pesurtosa ecc.).

Così pare che orgosa sia un derivato da org(a), ad ogni modo, siccome il significato di orgosa è accertato, abbiamo il diritto di credere che il nome del paese Orgosolo sia in diretta dipendenza da orgosa, e così lo saranno altri toponimi simili disseminati nel cuore dell’isola. Proprio vicino ad Orgosolo vi è Badu Orghe, dunque un « guado » (teiren[...]

[...] usi civici — avere le sue più lontane radici in una consuetudine propria a « raccoglitori ». Naturalmente avanzo questa ipotesi in modo solo dubitativo e non credo che si potrà mai effettuarne la comprova, mancando del tutto i documenti di tradizione ed i residui culturali che potrebbero certificarne quella origine.

Ma per indicare i caratteri probanti (e non soltanto ipotetici come i precedenti) di una origine dai cacciatori e raccoglitori (ciò che serve a chiarire il problema specifico strutturale e culturale della « turbolenza » di Orgosolo) vale qui studiare soprattutto e innanzitutto l’istituto della « vendetta », negli innesti e nelle proprie forme che ha preso nella società contemporanea dei pastori o nell’attuale ciclo culturale della « grande famiglia ».

L’istituto della vendetta, più che ogni altro, ha reso celebre Orgosolo negli ultimi anni non solo in tutt’Italia, ma in tutt’Europa. Per il numero dei reati ad essa connessi, e per la continuità e spettacolarità che essi presentano, si deve ritenere che, in questo settor[...]

[...]endenti e legati) in una singola unità il cui elemento comune è considerato ideologicamente il sangue in primo luogo, e, secondariamente, altro elemento ideologico come il totem in antico, l’amicizia modernamente ecc., all’atto in cui viene intaccata dall’esterno, da altri uomini (e nelle società « chiuse » da un altro gruppo analogo) la propria comune unità con spargimento di sangue od altra offesa, sentendo minacciata la comune esistenza e con ciò la propria e singola sentono la necessità di intervenire con un atto che in qualche modo tenga lontano ed elimini il pericolo e, al tempo stesso, protegga e reintegri la propria comune unità e, con ciò, la propria e singola esistenza. In generale questo atto di « vendetta » si configura con un altro atto uguale a quello ricevuto: spargimento di sangue contro spargimento di sangue, offesa contro offesa.

L’etnologia ha cercato lungamente di ritrovare quale è la necessità culturale che spinge alla « vendetta » e sino ad ora sono state avanzate sempre ragioni generali, ragioni che prescindendo da una particolare economia, si limitano ad una spiegazione religiosa, ad una « ideologia » staccata da ogni particolare società. Il problema è rimasto « astratto » : si fa ricorso a un « uomo » uguale[...]

[...]la vita e del mondo, il sangue, anch’egli, avendolo in comune, è posto di fronte all’esperienza decisiva del rischio della esistenza, della vita di fronte alla morte. Nel momento della caccia, quando il cacciatore perde il sangue ed è in pericolo di vita, colpito dalla bestia, il solo modo che ha di non continuare a perder sangue e non morire è quello di far perder sangue alla bestia e farla morire. L’unico modo proprio di difendersi e salvarsi, cioè, si configura come il solo modo di ferire e far morire. L’estensione di questa esperienza della caccia a tutta la vita, al mondo totale — secondo la generalizzazione propria del primitivo — conduce alla applicazione generale anche nella sola società umana, ai rapporti tra soli uomini, nella lotta tra uomo e uomo. Si ingenera la « vendetta ».

La « vendetta », nasce e non può nascere che da una società di cacciatori; la sua estensione può avvenire solo quando questa attività sia preminente: cioè in un «ciclo culturale» di cacciatori che è, appunto, noto all’etnologia come « ciclo dei caccia[...]

[...] morire. L’estensione di questa esperienza della caccia a tutta la vita, al mondo totale — secondo la generalizzazione propria del primitivo — conduce alla applicazione generale anche nella sola società umana, ai rapporti tra soli uomini, nella lotta tra uomo e uomo. Si ingenera la « vendetta ».

La « vendetta », nasce e non può nascere che da una società di cacciatori; la sua estensione può avvenire solo quando questa attività sia preminente: cioè in un «ciclo culturale» di cacciatori che è, appunto, noto all’etnologia come « ciclo dei cacciatori e raccoglitori ».

Rimane il problema della sua persistenza in un qualsiasi ciclo che gli si sostituisca, e, per esempio, nel ciclo dei pastori della « grande famiglia », nel quale l’« esperienza fondamentale », il lavoro principale non è più, certamente, la caccia ma la domesticazione e l’allevamento.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Secondo gli studi del Mòdlig, Schmidt, Montandon, Menghin, è nota la tendenza, suffragata da numeroso materiale, a far discendere il ciclo dei pastori della « g[...]

[...]atica la « vendetta ».

Alla « vendetta » in Orgosolo partecipano tutti i membri ma54

FRANCO CAGNETTA

schi delle « grandi famiglie » implicate (i congiunti più prossimi, i famigliati, gli affiliati come compari amici, ecc.) dall’età puberale sino a tarda vecchiaia. La limitazione al solo mondo maschile (non ho notizie di « vendette » eseguite da donne) discende certamente dall’essersi l’istituto originato in ima società di cacciatori, e cioè una società già organizzata in una divisione di lavoro maschile e femminile, riprodotta e ribadita nella successiva società dei pastori.

Secondo il modo della « vendetta » riscontrabile in tutte le forme di società divise in grandi gruppi « di sangue » a questa partecipano tutti gli interessati con una « solidarietà attiva » (colpire il responsabile o uno del suo gruppo) ed una « solidarietà passiva » (accettare la responsabilità del colpevole in tutto il gruppo da cui sia uscito).

I moventi della « vendetta » sono in Orgosolo, legati come ovunque ad un danno «economico», in primo luog[...]

[...] del sospetto, sul modo di punire. Una sentenza viene emessa dall’individuo maggiormente colpito o dal membro più autorevole del consesso con il consenso di tutti gli altri.

Indicherò qui, dapprima, quel tipo di sentenza che si chiude sempre con la decisione di uno spargimento di sangue. Per i reati minori viene di solito stabilito che si cominci con mio spargimento di sangue animale, sgozzamento di pecore o sgarrettamento più abitualmente (e cioè taglio dei tendini di una gamba, così che l’animale diventi inservibile). Per i reati più gravi — e sempre per l’omicidio — viene abitualmente comminata sentenza capitale.

L’imputato non viene ammesso al giudizio e, tenuto all’oscuro, non gli si dà la possibilità di difendersi, adducendo prove, testimoni e avvocati rudimentali.

Esiste però in Orgosolo una sorta di « citazione » che consiste in alcuni segni simbolici premonitori, legati in generale a una simbologia di sangue, come lo sgozzamento o lo sgarrettamento di una pecora davanti alla casa od all’ovile di chi ha offeso, la deposi[...]

[...]on ad un solo individuo ma sempre aINCHIESTA SU ORGOSOLO

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più di uno poiché l’antico diritto sardo, abitualmente, non conosce altra forma. L’uso locale dell’esercizio collettivo della giustizia era così invalso ed è ancor oggi così radicato che tutti i governi, da quello spagnolo a quello italiano, lo hanno dovuto elevare in Sardegna a proprio istituto. Nel periodo di dominio spagnolo e piemontese l’istituto locale era l’« incarriga » e cioè l’imposizione ai maggiorenti di un paese di ricercare, catturare od uccidere il responsabile di un reato grave, pena, nell’insuccesso, una punizione collettiva, generalmente una multa. Era indispensabile poiché la forza pubblica statale poteva considerarsi ;— come oggi — impotente a tenervi la giustizia, poiché estranea e nemica di queste popolazioni. In tutto il periodo del dominio italiano, dal 1849 al 1954, questo istituto ha avuto sempre vita e vive ancora, sia pure in forma non importante come in passato, ma solo parallelo alla forza pubblica statale, ed è conosciuto sotto il nome di « [...]

[...]racellato » in Sardegna — un istituto diffuso d’altronde nel medioevo in tutta Europa con nomi e forme varie — è molto lunga e complessa, con continua soppressione e restaurazione, poiché quasi sempre si trasforma in vere associazioni a delinquere, ma è pur sempre necessario per sostituire la forza pubblica statale qui impotente ed inadeguata. In Orgosolo in quest’anno non esisteva la «compagnia baracellare» poiché due o tre anni fa si è dovuta sciogliere per delitti da essa compiuti e non si è potuta riattivare per un collettivo rifiuto della popolazione a farne parte.

L’applicazione della sentenza avviene con il momento della « esecuzione ». In generale in Orgosolo prima della esecuzione avviene anche una specie di « notificazione » della sentenza.

Al giustiziando gli esecutori, a viso aperto o mascherato, ripetono in breve le ragioni che lo hanno portato alla morte e, immantinente, lo uccidono.

I modi di assassinio in Orgosolo (e si potrebbe farne un Grand58

FRANCO CAGNETTA

Guignol) sono di ogni tipo, in ogni luogo, in[...]

[...]ripartizione si può fare per le imprese contro luoghi di dimora e per imprese sulle strade.

Le imprese contro individui sono rivolte, in generale, contro « ricchi » locali. Secondo una mentalità primitiva (che va sempre più scomparendo) sono rare le imprese contro uno « straniero ».

Il ricco colpito può essere orgolese ma, più generalmente, dei paesi vicini. È più facile, naturalmente, nel paese esser individuati come colpevoli, e, oltre a ciò, è più facile non essere riconosciuti e sparire dal territorio vicino. I reati contro individui condotti in luogo di dimora, sono, in generale, furto di pecore (il più diffuso e un vero flagello), di prodotti agricoli, di denaro, di valori, con assalto allo ovile o all’abitazione; ed il sequestro di persona a fine di ricatto. E ancora sgarrettamenti, e danni e incendi a colture ed alberi. I reati contro individui, condotti sulla strada, sono la gassazione del passante isolato, dal pastore al signore in auto con valori e denaro; e, preferito a quello in casa, il sequestro di persona.

Le imp[...]

[...]o dei vecchi orgolesi. L’intero paese, armato, a piedi e a cavallo, scendeva a torme per battersi ogni tanto con quello di Locoe in vere e proprie battaglie. Il territorio, a poco a poco conquistato dagli orgolesi, era militarmente presidiato, e si accendevanoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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continuamente conflitti con diecine e diecine di morti. Dopo tanto sangue, il 1845 Locoe veniva completamente spopolata e distrutta e la tradizione vuole che ciò sia avvenuto per avvelenamento di tutte le acque ad opera di orgolesi.

Il saccheggio di tutte le case di un vicino paese, è uno dei feno meni più impressionati della storia di Sardegna. Per darne un esempio vivo darò qui la descrizione di uno assai celebre compiuto in Tortoli il 13 novembre 1894, che contiene tutti gli elementi di questa forma classica di « bardana ».

A mezzanotte, da 100 a 500 grassatori orgolesi a cavallo, armati di moschetti, erano penetrati, silenziosi, in quel paese. Circondata la caserma dei carabinieri, e dispostisi nelle vie in modo da poter controllare tutte le[...]

[...]gli Uffici postali.

La più audace e frequente « bardana » è fatta contro caserme di carabinieri, di p. s., a fine di « vendette » e per svaligiarne gli stipendi.

Le « bardane » più frequenti sono oggi sulle strade.

L’assalto ai treni, al treno CagliariArbatax, con svaligiamento di tutti i viaggiatori, è avvenuto ancora, l’ultima volta, il 1922.

L’assalto alle corriere è, ancor oggi, reato frequente. Negli ultimi anni, dopo la guerra, ciò era divenuto un flagello. Per rendersi conto ancor oggi basta viaggiare sotto la scorta, da FarWest, che fa la polizia. Non solo viaggiano carabinieri armati di mitra nelle corriere e staffette motocicliste armate di mitra che seguono a distanza, ma, lungo le strade, ci sono, da due o tre anni, posti radio che Comunicano il passaggio cronometrico delle corriere: ogni ritardo che venga segnalato è segno di rapina e motociclisti e geeps corrono incontro per soccorso. Ma anche ciò è sventato dai predoni, poiché basta fermare un istante la corriera, svaligiarla durante la corsa e quindi scendere [...]

[...] rendersi conto ancor oggi basta viaggiare sotto la scorta, da FarWest, che fa la polizia. Non solo viaggiano carabinieri armati di mitra nelle corriere e staffette motocicliste armate di mitra che seguono a distanza, ma, lungo le strade, ci sono, da due o tre anni, posti radio che Comunicano il passaggio cronometrico delle corriere: ogni ritardo che venga segnalato è segno di rapina e motociclisti e geeps corrono incontro per soccorso. Ma anche ciò è sventato dai predoni, poiché basta fermare un istante la corriera, svaligiarla durante la corsa e quindi scendere senza provocare alcun ritardo.

L’assalto di macchine che conducono le paghe di operai è statoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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frequente dopo la guerra. L’ultima « strage » di Villagrande ne è un esempio grave.

Le stesse macchine di carabinieri e di p. s. se portano paghe vengono fermate e sono assaltate. L’ultima strage di « sa verula » ne è una prova.

L’abilità di scomparire dei predoni, senza lasciar traccia, in un territorio che totalmente li favorisce, la velocità co[...]

[...]hiano la vita e la libertà per pochi soldi, sol fidandosi in quello spirito di fede reciproca, di solidarietà fra essi che ancora permane

(13) Ib. p. 50.70

FRANCO CAGNETTA

incorrotto, nelle rudi popolazioni montane » (14). Per delinquere l’orgolese esce dalla propria famiglia, dal proprio gruppo di « sangue », entra in un altro più largo, in uno Stato. E la « bardana », in vero, si può dire, in certo modo, il solo Stato di Orgosolo.

Ciò fa pensare che questo istituto, con questo istinto associativo, possa nascondere ancora un residuo di società, di organizzazione sociale precedente a quello attuale della « grande famiglia » : la organizzazione in «orda», che è la più propria e più frequente delle società di « cacciatori e raccoglitori ».

Dopo gli studi dello Elkin sopra le « orde » in Australia sappiamo esattamente che cosa si debba intendere per « orda » : questa è una piccola comunità di individui di ambo i sessi, distinti in nuclei famigliari, dimoranti in un proprio territorio, esercitanti gli uomini la caccia, le don[...]

[...]i individui di ambo i sessi, distinti in nuclei famigliari, dimoranti in un proprio territorio, esercitanti gli uomini la caccia, le donne la raccolta; su ogni singola famiglia che si unisce in « orda » non esiste una comune autorità superiore se non in cerimonie dirette dai più anziani; su ogni singola « orda » non esiste una superiore autorità comune e ^'insieme delle orde, la tribù, riconducibile solo a una identità linguistica, non esiste perciò come unità attiva, che per es. fa la guerra, allarga il territorio ecc.

Ciò che distingue l’« orda » dalla famiglia — ed è il suo carattere specifico, determinante — è che mentre in quest’ultima gli individui si ritengono legati per il « sangue », nella prima gli individui si ritengono legati per « antenati comuni », per i « padri che occuparono il territorio ».

Non possiamo pertanto parlare di « orda » nello stadio culturale presente degli orgolesi né possiamo dire — mancando qualsiasi residuo di quell’elemento ideologico decisivo, determinante — che essi in antico, già « cacciatori e raccoglitori » costituissero anche « orde » vere e proprie. Ce lo fanno pensare[...]

[...] le nazioni e le regioni che prima l’hanno perduto sono quelle che prima hanno fatto il loro ingresso nella moderna civiltà industriale : così l’Inghilterra e la Germania occidentale fin dal 1600, più tardi l’Irlanda che arriva sino alle soglie dell’800 ; la Francia sembra averlo perduto nelle regioni più arretrate durante il secolo scorso, e così pure l’Italia settentrionale e centrale; il lamento persiste ancora nelle cosiddette aree depresse, cioè in quelle che non sono pie72

FRANCO CAGNETTA

namente entrate nel processo di industrializzazione, come l’Europa balcanica e danubiana, qualche zona della Spagna, e — per l’Italia

— la Puglia, la Lucania, la Calabria, qualche settore anche abbastanza a nord della catena appenninica (come la Sabina) e, infine, la Sardegna. Nella sua forma generale il lamento funebre è un sistema organico tradizionale e rituale di espressioni foniche (verbali e musicali) e mimiche, sistema che si inserisce nel cerimoniale funerario in momenti critici particolari, e che per il suo interno meccanismo de[...]

[...]ne e che ha la funzione di essere la guida del lamento: ma anche le parenti che sappiano eseguire il lamento partecipano col canto al cordoglio. La funzione del coro sembra limitata ad alcune brevi interiezioni stereotipe come ‘fradi meu’, ‘fizu meu’, ‘ziu meu’, ‘tattaiu meu’ » e simili che o sono ripetute all’unisono con la lamentatrice o riempiono gli intervalli nei quali la lamentatrice si riposa. Vi sono moduli letterari, musicali e mimici : cioè delle forme stereotipe tradizionali che consistono in immagini, interi versi, melopea, gesti.

In particolare, secondo i dati elaborati da Diego Carpitella, gli « attitos » registrati in Orgosolo per la parte musicale hanno particolare importanza. Essi, infatti, si basano su tre sole note: la loro struttura, estremamente elementare, appartiene indubbiamente, alle forme musicali più arcaiche che si conoscano. È difficile dire se le tre note in cui gli attitu si articolano fanno parte di una scala « modale » o di un scala pentatonica ridotta. E, data la frequenza del lamento funebre pentaton[...]

[...]ossa tornare in Sardegna. Se hai preso ferma non possa tornare in caserma. Se hai preso calamaio non possa tornare al quartiere. Fratello mio Michele, di lusso carta. La ho ora nel campo rotta, questa carta di lusso).

La chiesa in Sardegna ha combattuto il lamento, come ne fanno fede i canoni dei concili diocesani. Negli stessi lamenti si ritrova talora una eco di questa lòtta, poiché in dati casi la resistenza dei preti a seguire il loro ufficio ha dato argomento alla lamentatrice di esprimere il suo disappunto.

A Orgosolo qualche anno fa un corteo funebre aveva luogo, accompagnato dal lamento tradizionale: il parroco volle impedire alle lamentatrici di assolvere il loro compito e, allora, una di esseINCHIESTA SU ORGOSOLO

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conclusali suo lamento con questi quattro versi che sono ancora ricordati :

Si ischiada su dolore pranghiada su Rettore si su dolore ischiada su Rettore pranghiada.

(Se provasse dolore attiterebbe il parroco, se il dolore provasse, il parroco attiterebbe).

Il testo impiega il verbo pranghere pe[...]

[...]te accelerati e quasi frenetici, intramezzati da saltelli, ma mai deformanti e scomposti. I balli a circolo, diffusi in tutto il bacino mediterraneo (Kolo montenegrino ecc.) tradiscono la loro arcaica tradizione nella forma di circolo, sempre legata a ragioni di magia il cui significato è oggi difficile determinare e ricostruire. Altra caratteristica fondamentale di questo ballo è che esso non è danzato su musica strumentale ma su musica vocale, cioè sulla poesia cantata: « su tenore ». Gli scarti ritmici di questo nel caso specifico del ballo (secondo le osservazioni che mi fornisce l’amico Carpitella ascoltando le registrazioni da me effettuate) sono qui più evidenti e si passa, attraverso una vivace accelerazione, da un ritmo di80

FRANCO CAGNETTA

ottava ad un ritmo di quarta —t — j. E il ritmo è sottolineato,

molto spesso, dal battito sincrono dei piedi, interrotto da grida, fischi, interiezioni. L’unione di poesia, musica e danza risale alle più antiche manifestazioni culturali che si conoscano, diffuso tra tutti

i popol[...]

[...]ubbliche e private, in archivi di quasi tutt’Italia.

Origini

L’origine delle popolazioni di Orgosolo (come, in generale, di quelle di tutta la Barbagia) si perde nella notte dei tempi. Si può ritenere ipoteticamente, sulla scorta delle notizie storiche generali eINCHIESTA SU ORGOSOLO

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sugli elementi su ricavati dalle ricerche di etnologia, che potrebbe trattarsi di popoli venuti dall’Asia attraverso l’Africa, e per terra, quando '"Cioè la Sardegna, nel paleolitico, con le Baleari ed il Marocco formava un solo continente: la Tirrenide.

Storia antica. (Epoca nuragica e romana)

L’estensione di tutto il territorio di Orgosolo è disseminata da monumenti primitivi, tipici della prima civiltà della Sardegna, e databili, di volta in volta, in un ciclo che va dall’VIII al II sec. a.C.

Si trovano 2 « Perdas fittas » (cioè blocchi di pietra monolitici eretti verticalmente) di destinazione ancora dubbia; di datazione incerta, in loc. : Galamòli e Orùlu.

■ Si trovano 5 gruppi di « Domus de janas » (cioè grotticelle scavate nel granito) di destinazione cemeteriale; di datazione incerta, in loc.: Oreharva, Guspine, Soràsi, sas Molas, sas Vaddes (al Supramonte).

Si trova una « Sepultura de Gigantes » (cioè un lungo corridoio circondato da muro basso e chiuso, in testa, ad abside) di destinazione cemeteriale; di datazione incerta, in loc. : Gorthine.

I « Nuraghi » di Orgosolo (cioè le classiche torri mozze e circolari di tutta la civiltà protosarda) di destinazione ad abitatofortezza per famiglie e tribù di pastori; di datazione dall’VIII al

III sec. a.C., sono 22, in loc.: Ilole, Donori, Ruju, Dovilinò, Dulivìli, Funtana fritta, Larthiò, Des’ena, Sirilò, Talasuniai, Maninturtiò, Ilodèi, Lopàna, Olài, Delàcana, Su puthu, Orghe, Filihaì, Gortòthihe, Manurriè; e Mereu e Intro de patenti (al Supramonte). Sono, in generale, in stato di rovina ed abbattuti da pastori.

I meglio conservati sono i primi citati.

Non si sono trovati bronzetti.

Ruderi e oggetti preist[...]

[...]iche e 16 monete romane (imperiali) di cui si dà descrizione (15).

Nel corso della mia gita al Supramonte ho avuto anch’io occasione di fare, come ho accennato, scoperta di un abitato neolitico che può essere di una certa importanza. Aggiungo qui che la località è vicino al pozzo di « su disterru » — secondo il classico culto degli antichi sardi presso le fonti —, ed ha alle spalle un complesso cemeteriale di <j Domus de janas ». Potrebbe, perciò, essere stato un altro luogo di culto.

Per l’epoca romana, alcuni oggetti e monete, oggi dispersi, si sono trovati solo, oltre che nella cit. località di Orulu, nella loc. Galanòli.

(15) Notizie degli scavi di antichità comunicate alla Regia Accademia Nazionale det Lincei, ecc.; 1932, voi. Vili f., pp. 52836.INCHIESTA SU ORGOSOLO 83

V \ ....

Storia medioevale. (Epoca dei Giudicati e spagnola)

Il primo documento scritto in cui si ricordi Orgosolo — ed il solo per tutto il periodo del regno dei Giudici sardi, nell’alto medioevo, è l’atto di pace stipulato tra Eleonora, Giudiches[...]

[...]ui si ricordi Orgosolo — ed il solo per tutto il periodo del regno dei Giudici sardi, nell’alto medioevo, è l’atto di pace stipulato tra Eleonora, Giudichessa di Arborea e Don Giovanni, Re di Aragona, il 24 gennaio 1388, pubblicato nel « Codice Diplomatico di Sardegna » di Pasquale Tola. In questo documento, firmato da tutti i Comuni del Giudicato di Arborea, tra i firmatari risultano per la «villa» di Orgosolo tali Mariano Murgia, « Majore » (e cioè capo della polizia); Petto de Cori, Joanne de Ferrari, Petro Merguis, Mariano Pina « jurati » (suoi aiutanti); Petro de Oscheri, Oguitto de Martis, Petto Seche, Arcocho Lafra e Joanne Sio « habitantes » (abitanti), convenuti tutti in Orani il 12 gennaio 1388 davanti alla chiesa di San Pietro ed al notaio Arcocho Salari fu Nicolaus per accettare (16).

Le notizie su Orgosolo, nel medioevo, sono formali e concernono la sua dislocazione in una ripartizione amministrativa.

Con la conquista spagnola dell’ex Giudicato di Arborea (1428) e col regime feudale Orgosolo appare dapprima nella Curat[...]

[...]e penetrazione tra le plebi rustiche.

Il 1799 Orgosolo compare citata nella Bolla del papa Pio VI: « Eam inter ceteras » del 21 luglio, con la quale si istituiva la nuova Diocesi di NuoroGaltelly, di cui il paese faceva parte come Rettoria (25).

Dal padre BrescianiBorsa S.J., nella celebre opera « Dei costumi dell’isola di Sardegna » si ha notizia su Orgosolo che : « I Gesuiti che avevan stanza in Oliena visitarono quel popolo in sullo scorcio del sec. XVII e con la santa parola il mansuefecero; ma, cessati i Padri, tornò all’antica rustichezza. Lasciaron essi tuttavia di sé orma indelebile, poiché, introdotti per opera loro i gelsi e i bachi da seta, in quella grossa terra le donne del villaggio vi tesson drappi » (26).

(23) Legendariu ( de Santas / Virgines, et Martires / de lesu Christu / hue fi contennen exemplos admirabiles, necessarios ad ogni forte de persones, qui pretenden falvare sas animas insoro / vogadas de Italianu in Sardu, par Joan Mattheu / Garipa Sacerdote Or gole su prò utile / dessos denoto s deffa natione fu[...]

[...]tle de Sardaigne. cita un episodio avvenuto in Orgosolo, in data imprecisata — che può comprendersi tra il 1831 ed il 1844 :

« Sul Monte Novo si trova la cappella di San Giovanni e non lontano, ai suoi piedi, una regione detta Fontana bona, nella quale vi è qualche capanna di pastori quasi tutti banditi del villaggio di Orgosolo : così per raggiungerla bisogna prendere certe precauzioni e, soprattutto, avere guide che conoscano questi uomini. Ciò che

io feci e, malgrado ciò, fui ricevuto da loro con più di dodici fucili puntati sulla mia persona, con ingiunzione di non fare un passo verso tali uomini disposti in atteggiamento così poco ospitale e, ancor meno, bendisposto; infine, dopo molti discorsi ed una infinità di questioni sul vero scopo del mio viaggio tra di loro — che era solo quello di portarmi sulla cima del Monte Novo con i miei strumenti geodesici — fui ricevuto in modo più cortese; ciò che significa che le punte dei fucili diretti contro di me si abbassarono; ma questa cortesia non era scevra da un certo sentimento di sospetto sul vero oggetto della mia visita.

Bisogna dire che i banditi di Orgosolo sono, in generale, della peggiore specie; sono continuamente in guardia contro la forza armata che vorrebbe sorprenderli in quei ripari quasi inaccessibili, dove si rifugiano dopo aver fatto le loro rapine; queste rapine consistono quasi tutte in furti di bestiame e, qualche volta, rubano ai proprietari dei villaggi vicini — di cui sono il terrore — greggi intere e gli stessi[...]

[...]tinéraire de Vile de Sardaigne pour faire suite au Voyage en cette contrèc par le Conte Albert de La Marmora, ci devant Commandant Militaire de Vile de Sardaigne, Làeutenant generai, Sénateur du Royaume etc. Chez les frères Bocca libraire du Roi. Turin, 1862, voi. I, pp. 41920. La traduzione è mia.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Orgosolo, è il primo scrittore che dia ampie notizie sul paese, la popolazione, l’agricoltura, la pastorizia, il commercio, la religione e le antichità (28).

'Il 1848, voce: Nuoro provincia di Sardegna. Carattere morale di questi provinciali orgolesi, scrive:

« Gli orgolesi sono una popolazione assai sfavorevolmente conosciuta per lo spirito di vendetta, per le rapine e per l’animosità che spiegano i banditi contro i militari. Contrariamente alla pratica degli inquisiti che, quando si incontrano con la truppa si mettono solo in guardia e non osano alcuna offesa se vedano non essere assaliti o ricercati, gli orgolesi, che molto ancora conservano del carattere degli antichi barbaricini prendono l’offensiva. U[...]

[...]valore possiam rapirne alcun centinaio, soccorriamo almeno in parte alla giustizia distributiva.

L’Arcivescovo mostrò loro questa esser logica da Beduini di Arabia, e da corsali di mare, e non da cristiani.

Costoro potrebbero anzi tener cattedra di ComuniSmo in certe università d’Europa...

Ma, per venire al proposito nostro, Monsignore vide a sua gran meraviglia quel popolo così strabocchevolmente unto, che il grasso stillava loro dalle ciocche dei capelli e dai lucignoli della barba in guisa che scorreva giù per le spalle ed il petto. E le donne gocciolavano dalle trecce, e aveane sì unta la faccia, che il viso luccicava loro, e il grasso colava per gli orecchi e pel mento giù nel seno, di che la finissima camicia era tutta inzuppata; e i pepli ch’avean di seta bellissimi e grandi, eran conditi di grasso per modo che traspareano e brillavano al sole come oro. L’Arcivescovo richiese i preti del villaggio che nuova fosse questa; e gli venne risposto: essere immemorabile usanza di lor antenati, ché, nei dì delle sacre feste e nozze e di balli, gli uomini si ugnessero capelli, faccia e barba, e le donne colla faccia e le trecce ugnessero i pepl[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Ciò, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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