Brano: IL TRIANGOLO DELLA DECISIONE
La stampa di tutto il mondo ha analizzato ampiamente il significato degli avvenimenti cinesi. Minore attenzione ha destato l'impulso che l'evoluzione cinese ha impresso agli altri paesi asiatici: e in particolare a due tra le più importanti nazioni confinanti, l'India e il Giappone. Eppure la Cina, con questi due importantissimi vicini, costituisce una specie di triangolo entro il quale vive una percentuale decisiva della popolazione mondiale, ed entro il quale potrà decidersi, con tutta probabilità, il destino politico del mondo.
Nel complesso la popolazione attuale del Giappone, dell'India e della Cina ammonta a circa 1.150 milioni; vale a dire ad oltre il 40 per cento di tutto il pianeta. Sappiamo che questa percentuale aumenterà. Nel 1975, per esempio, con 1.600 milioni, rappresenterà circa il 45 per cento. E se diamo ascolto alle previsioni demografiche, nell'A.D. 2000 — cioè tra non più di quarant'anni — in questi paesi vivranno oltre tre miliardi di uomini, ossia più della metà dei sei miliardi di cui si prevede composta, per quell'epoca, l'umanità.
E queste cifre formidabili non dicono tutto. In primo luogo gli esperimenti sociali che si svolgono in questi tr[...]
[...]ografiche, nell'A.D. 2000 — cioè tra non più di quarant'anni — in questi paesi vivranno oltre tre miliardi di uomini, ossia più della metà dei sei miliardi di cui si prevede composta, per quell'epoca, l'umanità.
E queste cifre formidabili non dicono tutto. In primo luogo gli esperimenti sociali che si svolgono in questi tre paesi è probabile influenzino l'evoluzione di_altre importanti masse asiatiche, africane e dell'America Latina. Inoltre il Giappone, l'India e la Cina presi insieme influenzano tutto il resto dell'Asia sudorientale, la quale contiene altri 200 milioni di uomini. In realtà l'Asia sudorientale, il Giappone, la Cina e l'India presi insieme potranno contare, entro un quarantennio circa, quasi due terzi della popolazione totale del globo.
Si pub dunque ritenere interessante esaminare quale possa essere il probabile sviluppo del Giappone e dell'India nei prossimi dieci o quindici anni; come questi paesi possano influenzare l'evo
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luzione dei paesi asiatici minori, e come il triangolo CinaIndiaGiappone possa influire sulle relazioni di questa massa enorme di popolazione col mondo occidentale.
Partiamo, dunque, dal Giappone.
Il Giappone: all'ombra della Cina.
Durante il mio recente soggiorno in Giappone un amico mi condusse in un piccolo bar, il Donzoko. Tokio ha quattro quartieri di divertimento, in ognuno dei quali centinaia di insegne luminose al neon segnano gli ingressi a simili locali. Il Donzoko se ne differenziava per il nome. Significa « Bassifondi », e le parole russe scarabocchiate sui muri non lasciavano dubbio sul fatto che il nome fosse stato mutuato da Massimo Gorki.
Come migliaia dì simili bar e caffé minimi delle città giapponesi, anche il Donzoko aveva un sotterraneo, ed era male illuminato. I clienti sedevano in solitaria meditazione o preferivano accalcarsi negli angoli più bui. Dopo un certo numero di bicchieri tendevano a prorompere in canti corali: in genere canzoni francesi o russe. C'erano riviste di sinistra sui tavoli, e la conversazione che si poteva cogliere si aggirava su argomenti di filosofia, di letteratura o di politica. La differenza del Donzoko da consimili' posti a Montmartre o al Greenwich Village consisteva unicamente nel fatto che gli ospiti sembravano prendere le proprie parti troppo sul seri[...]
[...] fatto che gli ospiti sembravano prendere le proprie parti troppo sul serio. Tutto — il fumare a catena, il meditare a occhi chiusi, le discussioni appassionate — si svolgeva come se ognuno desiderasse contribuire in proprio alla grande, ossessiva ricerca di qualche cosa in cui credere.
« Molti tra quelli con cui lei ha parlato sono attivisti delle Zenkarungen, l'ala di estrema sinistra della federazione universitaria » — mi spiegò il mio amico giapponese dopo una serata di discussioni. « Vengono qui e cantano canzoni russe, citano Marx e pretendono di essere contro tutto ciò che ha legami col passato, ma in conversazioni più intime ridiventano spesso nazionalisti alla vecchia maniera. Vanno fieri delle gesta militari giapponesi durante la guerra e alla televisione i drammi di samurai sono i loro
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favoriti. In loro l'eccitazione, in realtà, serve a compensare il vuoto ideologico. Ne ho conosciuti molti — continuò — che, appena trovato un lavoro consistente, tornavano immediatamente nazionalisti e conservatori. Rimosso il terrore del futuro, ricadono subito nella mentalità tradizionale ».
Pensai: queste osservazioni riassumono con notevole esattezza i problemi non soltanto dei giovani ma della maggioranza dei giapponesi d'oggi.
È vero che Tokio ha semafori a comando elettronico, [...]
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favoriti. In loro l'eccitazione, in realtà, serve a compensare il vuoto ideologico. Ne ho conosciuti molti — continuò — che, appena trovato un lavoro consistente, tornavano immediatamente nazionalisti e conservatori. Rimosso il terrore del futuro, ricadono subito nella mentalità tradizionale ».
Pensai: queste osservazioni riassumono con notevole esattezza i problemi non soltanto dei giovani ma della maggioranza dei giapponesi d'oggi.
È vero che Tokio ha semafori a comando elettronico, ma molti di più sono i metropolitani che dirigono il traffico con una lanterna di carta in mano. Possiamo restare sbalorditi dalla spettacolare pubblicità luminosa, ma tornando a casa si passa per strade senza marciapiedi e senza un barlume di luce elettrica. Le riviste di spogliarello sono gremite, ma ho dovuto fare ore di coda per un biglietto del teatro classico. Sullo schermo televisivo del ristorante vedevo programmi di tipo americano, ma molto maggiore é la richiesta di canzoni antiche sui soliti fiori di ciliegio ,e sul cic[...]
[...]ipo americano, ma molto maggiore é la richiesta di canzoni antiche sui soliti fiori di ciliegio ,e sul ciclo inesauribile dei samurai. Chi ha i mezzi per scegliere tra un appartamento moderno e una casa tradizionale infallibilmente sceglie quest'ultima, di legno, col piccolissimo giardino intorno ornato di schegge di roccia. I contributi volontari per la riparazione delle antiche cappelle scintoiste superano ogni previsione. Cioè, per milioni di giapponesi le ore passate in ufficio o in fabbrica costituiscono ancora un contatto spiacevole col ventesimo secolo. Li si può vedere dopo le sei di sera — come fossero guidati da una qualche atavica urgenza collettiva — indossare il chimono e i sandali di legno e passeggiare lungo i bagni municipali, proprio come facevano, con gli stessi abiti, le generazioni prima di loro. E se anche alcuni quotidiani hanno avuto la temerità di definire il Palazzo imperiale un ostacolo alla circolazione, chiedendone la rimozione dal centro di Tokio, ho visto migliaia di persone attendere per ore, nell'aspro gelo del[...]
[...] attendere per ore, nell'aspro gelo della notte di Capodanno, di vedere affacciarsi un istante l'Imperatore al balcone di quello stesso Palazzo.
Evidentemente il pendolo, nel dopoguerra, ha compiuto una oscillazione troppo spinta. Qualcosa di nuovo è stato assaporato,
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con le sue libertà e i suoi pericoli, e inevitabilmente lascerà traccia; ma l'ombra del passato é sempre preponderante. Le dure realtà di base della vita giapponese non sono mutate. E si moltiplicano anzi i segni che già il pendolo stia oscillando sulla via del ritorno.
La gente che affolla ogni natte il Donzoko non é che un campione di un popolo in cui la continuità del modo di pensare é stata rotta repentinamente. Assomigliano un poco ai passeggeri di una nave che improvvisamente abbiano perduto ogni fede nella propria bussola. Per metà lieti della subitanea libertà dall'antica rotta obbligata, e per metà terrorizzati dai pericoli della deriva, cercano la giusta direzione.
Perfino nelle piccole città mi sono stupito del gran numero di giovani donne[...]
[...]gata, e per metà terrorizzati dai pericoli della deriva, cercano la giusta direzione.
Perfino nelle piccole città mi sono stupito del gran numero di giovani donne che si conformano ai dettami più bizzarri dell'ultima moda parigina. Un giovane pittore americano specializzato in inintelligibili macchie di colore, che viaggiava nello stesso mio aereoplano, fu ricevuto all'aeroporto di Tokio da una folla delirante che agitava bandierine americane e giapponesi. Alloggiando insieme ad una modesta famiglia giapponese in una cittadina meridionale, con somma meraviglia trovai che, mentre si nutrivano miseramente a base di riso, facevano qualunque sacrificio al culto degli elettrodomestici. Il bagno era la solita cassa di legno; ma in cucina avevano un frigorifero e una macchina per frullare, il padre (bibliotecario) usava il rasoio elettrico, e di sera tutta la famiglia si raccoglieva davanti al televisore. Nelle librerie stavo sempre in mezzo a una folla che sfogliava avidamente le ultime traduzioni della narrativa occidentale d'avanguardia, e le riviste letterarie di massa analizzano nei minimi dettagli[...]
[...]ettrico, e di sera tutta la famiglia si raccoglieva davanti al televisore. Nelle librerie stavo sempre in mezzo a una folla che sfogliava avidamente le ultime traduzioni della narrativa occidentale d'avanguardia, e le riviste letterarie di massa analizzano nei minimi dettagli le tendenze letterarie occidentali più insignificanti.
Tutte queste non sono che manifestazioni superficiali del vuoto spirituale determinato dal collasso delle concezioni giapponesi prebelliche. E un vuoto grave, e una cosa lo sottolinea: l'universale terrore del futuro.
Come vede immediatamente qualsiasi visitatore del Giappone, la popolazione ha un senso estetico sviluppato su un piano straordinariamente generale. Ne deriva la possibilità di mascherare le brutture della povertà, rendendole così meno umilianti e, entro
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questo limite, piú tollerabili. Pure, malgrado sia meno offensiva, la povertà é reale in Giappone. 93 milioni di persone si accalcano in quattro isole la cui superficie totale supera appena la metà della Francia. Il paese é povero di materie prime e solo un quinto del suolo é coltivabile. Già il venti per cento del fabbisogno alimentare dev'essere importato, e l'incremento demografico é di oltre un milione di unità all'anno.
Malgrado ciò il Giappone gode di una prosperità senza precedenti. Molti vivono assai meglio di prima della guerra. Gli aiuti americani, la modernizzazione degli impianti e l'abolizione dei grandi investimenti nell'industria di guerra ne sono la causa. Ma anche se il Giappone esporta più di quanta abbia mai esportato, il suo commercio incide sul commercio mondiale in proporzione minore di quella prebellica. Perciò l'orario di lavoro é lungo e i salari bassi; il lavoro é scarso e gli aspiranti a qualsiasi posto sono migliaia. È del tutto comune che i laureati svolgano attività manuali; moltissimi studenti devono lavorare duramente per mantenersi agli studi. Perdere il lavoro può significare anni di miseria: è la causa principale dell'alta percentuale di suicidi.
Le statistiche parlano di un reddito medio individuale pari a circa un terzo di quello dell'Europa occi[...]
[...]asi posto sono migliaia. È del tutto comune che i laureati svolgano attività manuali; moltissimi studenti devono lavorare duramente per mantenersi agli studi. Perdere il lavoro può significare anni di miseria: è la causa principale dell'alta percentuale di suicidi.
Le statistiche parlano di un reddito medio individuale pari a circa un terzo di quello dell'Europa occidentale, e un recente Libro Bianco ha rivelato che almeno una su dieci famiglie giapponesi deve vivere con un'entrata mensile di 8.000 yen, ossia molto al disotto del livello minimo di sussistenza.
Ma la miseria e l'incremento demografico non bastano a spiegare questa generale paura del futuro; essa ha cause più profonde.
Una tra esse è l'artificiosità del commercio asiatico d'esportazione nel dopoguerra. Prima della guerra, quando era alla testa di un impero, il Giappone importava dall'Asia per il cinquanta per cento ed oltre, e vi esportava per oltre due terzi del proprio totale. Era uno schema commerciale naturale, che ha subito mutamenti drastici in seguito alla perdita dell'impero e alle restrizioni commerciali con la Cina imposte dagli Americani. Il commercio estero giapponese si concentra oggi sugli Stati Uniti, sull'Asia sudoccidentale, e su altre aree lontanissime, sparse per tutto il globo. Oggi le materie prime che giungevano dal vicino continente de
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vono essere trasportate attraverso gli oceani: di conseguenza il costo aumenta, e spesso per pagarle é necessaria moneta forte.
Il Giappone é costretto ad affidarsi a una rete commerciale sempre piú vulnerabile, mentre aumentano tanto la popolazione che l'istanza sociale a un migliore tenore di vita. Complicazioni politiche in Estremo Oriente, un regime di concorrenza piú aspro nell'Asia sudorientale, o un fenomeno di recessione economica prolungata negli Stati Uniti — e tutto il precario edificio può crollare. Il che significherebbe piú disoccupati, ancor minore probabilità di trovare lavoro, ancor più basso tenore di vita e, con ogni probabilità, la fine delle ancor fragili istituzioni politiche del dopoguerra. E comprensibile [...]
[...] negli Stati Uniti — e tutto il precario edificio può crollare. Il che significherebbe piú disoccupati, ancor minore probabilità di trovare lavoro, ancor più basso tenore di vita e, con ogni probabilità, la fine delle ancor fragili istituzioni politiche del dopoguerra. E comprensibile che qualunque teoria che prometta di riempire il vuoto ideologico e simultaneamente garantisca la sicurezza economica abbia ottime probabilità di sedurre il popolo giapponese.
Come é facile capire i comunisti sostengono di offrire esattamente questa medicina. Hanno un'ideologia disponibile e trasmis sibile. La sicurezza economica sta nel commercio con la Cina. Eppure il comunismo non ha in Giappone reale forza politica. È vero che i comunisti hanno un ruolo notevole nei sindacati, ma l'elettorato praticamente li" ignora. Solo un settore limitato della gioventù li segue con entusiasmo. Ora la spiegazione di questo insuccesso sorprendente sta senza dubbio nel « complesso cinese » del popolo giapponese.
Sui planisferi degli uffici e delle aule nipponiche il Giappone compare al centro del mondo. A destra, oltre l'immenso oceano, gli Stati Uniti : un grosso problema. Ma subito sulla sinistra, con la sua sterminata macchia rossa che seppellisce le minuscole isole del Giappone, si estende la Cina: quasi un'ossesione. In realtà i giapponesi contemporanei concepiscono la Cina in modo abbastanza simile a un iceberg. Solo una piccola parte di essa é alla superficie, accettata e discussa; ma la sua massa naviga minacciosa sotto qualsiasi problema di rilievo e potrebbe far naufragare qualunque piano che tenti di ignorarne la presenza.
È sia con incredulità che con ammirazione che i giapponesi assistono alla trasformazione cinese. Molti sono abbacinati dalla
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scoperta che la Cina coloniale che avevano conosciuto può presto superarli sul piano produttivo; la recente spinta del commercio cinese verso l'Asia sudorientale ha costituito uno shock. E alquanto sorprendente che in tale occasione i giornali giapponesi gridassero al <c dumping ». Nel frattempo nascono come funghi società per il progresso del commercio cinogiapponese le quali promettono prosperità e sicurezza non appena il carbone e i minerali metallici cinesi possano essere scambiati con le macchine giapponesi. E coloro che sostengono che la rapida industrializzazione cinese non consentirà eccedenze di materie prime per l'esportazione, vengono ridotti al silenzio dall'argomento che i geologi cinesi hanno scoperto grossi giacimenti nuovi. Sia come sia, a Pechino vanno in pellegrinaggio, oltre ai simpatizzanti politici, rispettabili industriali, e tutti ne ritornano con promesse vaghe ma spettacolose.
Cresce il fascino della Cina, qualunque siano le possibilità reali. Il terrore del futuro e la propaganda di Pechino valgono a incoraggiarlo. E impressione generale che in Asia stiano succedendo cose[...]
[...]ento che i geologi cinesi hanno scoperto grossi giacimenti nuovi. Sia come sia, a Pechino vanno in pellegrinaggio, oltre ai simpatizzanti politici, rispettabili industriali, e tutti ne ritornano con promesse vaghe ma spettacolose.
Cresce il fascino della Cina, qualunque siano le possibilità reali. Il terrore del futuro e la propaganda di Pechino valgono a incoraggiarlo. E impressione generale che in Asia stiano succedendo cose decisive e che al Giappone, potenza asiatica, sia interdetto parteciparvi. E ansiosamente avvertita la possibilità che il Giappone si trovi tagliato fuori dalle idee e dai risultati di questa grande trasformazione. E soprattutto si profila il pericolo che un giorno o l'altro la Cina possa soppiantare il Giappone sugli essenziali mercati asiatici.
Quest'ansia é aggravata da due ulteriori fattori.
In ottant'anni, e mentre la sua popolazione triplicava, il Giappone si é trasformato da società per 1'80% agricola in una società nella quale solo il 40% é legato all'agricoltura; che è il sogno di molti paesi asiatici. È più che naturale che l'orgoglio nazionale giapponese sia stato lusingato dalla convinzione che il suo sistema di modernizzazione costituiva un esempio per tutto il resto dell'Asia. Ma questa stessa posizione é rivendicata oggi da un altro sistema, che sembra offrire risultati ancor più rapidi e che appare perfino più adatto alle condizioni che prevalgono in Asia e fuori.
Inoltre, a questa sfida ideologica se ne accompagna un'altra di portata ancora maggiore.
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Si sa che la Cina, come la Russia prebellica, sta costruendosi una struttura formidabile di quadri scientifici e che sta già sfor nando su scala impressionante tecni[...]
[...]da un altro sistema, che sembra offrire risultati ancor più rapidi e che appare perfino più adatto alle condizioni che prevalgono in Asia e fuori.
Inoltre, a questa sfida ideologica se ne accompagna un'altra di portata ancora maggiore.
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Si sa che la Cina, come la Russia prebellica, sta costruendosi una struttura formidabile di quadri scientifici e che sta già sfor nando su scala impressionante tecnici e scienziati. Quanto al Giappone, esso ha raggiunto la supremazia industriale in Asia attraverso uno sviluppo industriale che si potrebbe definire « imitativo ». Per mantenere la posizione di testa dovrebbe muoversi verso una industria « inventiva »: in altre parole oggi dovrebbe sempre più esportare, anziché quantità industriale, qualità tecnologica. Ma a questo fine erano necessari investimenti su amplissima scala nel campo dell'educazione e della ricerca. Per contro c'è ancora penuria di tecnici altamente qualificati, e l'industria giapponese é legata sempre più a tecniche importate. Lo stesso Presidente del Consiglio Gia[...]
[...]verso uno sviluppo industriale che si potrebbe definire « imitativo ». Per mantenere la posizione di testa dovrebbe muoversi verso una industria « inventiva »: in altre parole oggi dovrebbe sempre più esportare, anziché quantità industriale, qualità tecnologica. Ma a questo fine erano necessari investimenti su amplissima scala nel campo dell'educazione e della ricerca. Per contro c'è ancora penuria di tecnici altamente qualificati, e l'industria giapponese é legata sempre più a tecniche importate. Lo stesso Presidente del Consiglio Giapponese delle Scienze mi ha detto sconfortatamente che gli stanziamenti del governo per la ricerca scientifica costituiscono soltanto un terzo di ciò che si spendeva prima della guerra.
Non é un dilemma invidiabile, senza dubbio, quello del Giappone. Un alto funzionario me lo ha riassunto così: « È vero che una stretta cooperazione economica con la Cina potrebbe offrirci la sicurezza economica per molti anni a venire: ma al posto dell'interferenza americana rischieremmo il dictat cinese; e non vogliamo diventare una seconda Cecoslovacchia ».
Tuttavia la necessità economica e la pubblica opinione spingono i giapponesi a liberarsi dal « complesso cinese ». Finché perdura la prosperità presente si può rimandare la decisione. Ma dopo?
« Non potremo negoziare veramente con la Cina finché saremo tanto malsicuri di noi stessi » : così un amico giapponese impostava la questione. Quando gli domandai come, in fin dei conti, l'avrebbero risolta, ebbi una risposta rivelatrice: « La logica storica impone il ritorno a un governo forte e i mutamenti del dopoguerra non hanno messo radici tali da poter fermare questo processo. Solo questo tipo, un regime di che ristabilisca la fiducia in noi stessi, potrebbe discutere con i cinesi ». E alla mia domanda se, a lungo andare, il Giappone avrebbe potuto resistere all'attrazione gravitazionale del suo gigantesco vicino, rispose senza esitare: « Come in passato, possiamo assorbire e adattare alle nostre esigenze molto di
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quanto fa la Cina. Ma non sarà mai comunismo. Sarà qualche cosa di forte, e di giapponese ».
Questa potrebbe essere una soluzione.
Altri ritengono che, una volta fatto il primo passo, il Giappone non saprebbe fermarsi sulla china, o che la Cina non accetterebbe l'accordo se non in base alla contropartita di un Giappone comunista. Secondo loro l'incremento demografico e la pressione economica potrebbero piuttosto spingere il Giappone, una volta ancora, all'avventura dell'espansione territoriale. La debolezza cronica dell'Asia sudorientale, a loro modo di vedere, é una grossa tentazione. E sebbene a mio parere l'avventura della guerra sia ,l'ultima cosa che i giapponesi desiderano dopo le recenti esperienze, sarà prudente non scartare del tutto questa possibilità.
Per fortuna per), sembra che esista pure una terza alternativa.
Essa si fonda sull'ammissione, da parte dei paesi non comunisti, del proprio comune interesse nella reciproca sopravvivenza in quanto stati non comunisti. Si fonda sul ragionamento che, per mantenere il controllo dei problemi economici e delle tensioni sociali in Giappone, si dovrebbe garantire qualunque concessione onde assicurare la continuità dell'attuale, per quanto modesta, prosperità. Ciò implicherebbe un commercio libero con la Cina; e inoltre esigerebbe che l'Occidente moltiplicasse i propri sforzi per assicurare al Giappone una parte ragionevole sui mercati mondiali. Da un lato ciò dissolverebbe la carica emotiva del « complesso cinese » del Giappone, e gli consentirebbe di mostrare dove può arrivare senza mettere a repentaglio la propria libertà d'azione. D'altro lato lo sviluppo del commercio col mondo non comunista indebolirebbe l'assorbimento economico da parte del blocco comunista. « Sarebbe troppo attendersi che i due blocchi mondiali collaborino per assicurare la nostra prosperità. Eppure ambedue potrebbero guadagnarci », per citare uno dei principali sostenitori giapponesi di questa politica. « E possibilissimo che l'insistenza della Cina sulla nostra neutralità sia dettata meno da tenebrosi motivi politici che da un genuino timore che noi si sia di nuovo indotti ad assalirla ». E continuava: «Con un Giappone neutrale gli americani perderebbero forse un alleato recalcitrante, ma guada
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gnerebbero un amico fidato. Quanto ai cinesi, ne guadagnerebbero, oltre alla sicurezza, vantaggi economici notevoli. Quanto a noi, ciò potrebbe aiutarci a difendere le libertà che abbiamo appena conquistato e a restaurare il nostro orgoglio nazionale, non come conquistatori, ma come il paese neutrale asiatico più influente ».
Non sarebbe, questa, una soluzione facile: non vi è dubbio. Essa sarebbe condizionata a un delicatissimo equilibrio di forze da ognuna delle parti; e, principalmente, i giappon[...]
[...] guadagnerebbero, oltre alla sicurezza, vantaggi economici notevoli. Quanto a noi, ciò potrebbe aiutarci a difendere le libertà che abbiamo appena conquistato e a restaurare il nostro orgoglio nazionale, non come conquistatori, ma come il paese neutrale asiatico più influente ».
Non sarebbe, questa, una soluzione facile: non vi è dubbio. Essa sarebbe condizionata a un delicatissimo equilibrio di forze da ognuna delle parti; e, principalmente, i giapponesi stessi dovrebbero vegliare affinché non venisse rovesciata. Pure a lungo andare questa soluzione può dimostrarsi la migliore che l'Occidente possa sperare. E non il minore dei suoi vantaggi sarebbe il fatto che essa corrisponderebbe al desiderio della grande maggioranza del popolo giapponese.
Tanto per il Giappone. L'altro paese decisivo ai confini della Cina é l'India. Sebbene meno sviluppato del Giappone sul ,piano industriale, esso ha una popolazione che é la seconda del mondo, dietro la Cina. Mentre il Giappone é stato la prima nazione extraeuropea ad attuare la rivoluzione industriale, l'India é soltanto agli inizi. Inoltre l'India — in una sintesi originale della propria tradizione culturale e dei metodi di governo e politici dell'Occidente — svolge il suo piano di sviluppo entro una struttura di democrazia politica. Quali possibilità offre questo esperimento?
L'India: la tentazione della scorciatoia
La diga di Bhakra é uno dei documenti principali dello sforzo indiano di sollevarsi al livello del ventesimo secolo. Per raggiungerla ho dovuto anzitutto arrivare a Chandigarh, la nuova capitale del[...]
[...]e regionali.
Ovviamente tutto ciò é pura supposizione. Con certezza si può solfanto affermare che un certo numero di fattori misurabili — primo fra tutti l'incremento demografico — porrà fra breve l'India di fronte a decisioni gravi; e che le omissioni di questi ultimi dieci anni rendono improbabile che la democrazia parlamentare, nella sua forma attuale, possa sopravvivervi.
Un atteggiamento nuovo verso il cinquanta per cento dell'umanità
Il Giappone e l'India, unitamente alle nazioni minori poste fra l'uno e l'altra, sono influenzati, ciascuno a suo modo, da ciò che accade in Cina. Le forze che li trasformano dall'interno diventeranno sempre più forti; esse determineranno la necessità di mutamenti sempre più rapidi. Nel complesso questi mutamenti daranno un volto nuovo all'Asia orientale, entro i prossimi dieci o quindici anni. E le relazioni dell'Occidente con l'Asia orientale,. ossia con la metà del genere umano, saranno di importanza deci siva per l'evoluzione del nostro stesso mondo occidentale.
Quali considerazioni generali sono po[...]
[...]paesi comunisti. Annunci pubblicitari nei giornali indiani offrono voli a Parigi e Londra via Tachkent, osservando che oggi é quella la via più breve. E, parlando dei problemi economici delle aree depresse, il più influente economista indiano mi ha assicurato che il mondo comunista era più genuinamente interessato dell'Occidente ad aiutarli, se non altro per indebolire l'influenza occidentale in quelle regioni.
È difficile aprire un giornale in Giappone senza trovare articoli dettagliati sulle ultime realizzazioni cinesi. Ogni giorno par
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tono delegazioni per Mosca e Pechino. Ho incontrato infermiere che avevano visitato gli ospedali cinesi e studenti che erano stati invitati dai loro colleghi cinesi. Il presidente di una delle società per lo sviluppo del commercio cinogiapponese mi invitò a pranzo e parlò delle impressioni entusiastiche riportate in frequenti viaggi a Pechino. Dopo di che le sue segretarie mi fornirono la documentazione concernente le possibilità di scambi commerciali tra i due paesi.
Viaggiando sulla transiberiana da Pechino alla Manciuria, ho visto in ogni stazione delegazioni di operai cinesi salutare tecnici russi che avevano terminato il servizio in Cina. Di solito c'erano mazzi di fiori e lacrime e strette di mano, e le scene sembravano piuttosto autentiche. Nella biblioteca dell'Università di Pechino ho visto studenti che leggevano testi un[...]
[...]oni. Le cose accadono più rapidamente di quanto mai sia avvenuto. E nella scia di questi cambiamenti é probabile emergano nuove configurazioni di potere politico.
Per tre secoli, grazie alla propria industriosità al proprio spirito inventivo, un pugno di nazioni occidentali ha dominato il mondo. Dal 1918 questa superiorità é sfidata ogni giorno di piú. Le tecniche che hanno assicurato all'Occidente quella supremazia si sono anzitutto diffuse in Giappone, poi in Russia, e oggi stanno
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trasformando la Cina. Concentrato una volta sulle due sponde dell'Atlantico, il potere mondiale si é esteso oggi in tutta la fascia temperata settentrionale del globo. Ed é questo triangolo, tra le masse dell'Asia orientale, che lo sviluppo in atto può turbare definitivamente l'equilibrio a danno dell'Occidente. Ed é qui, inoltre, che può venir perfezionato il modello di sviluppo che il resto degli asiatici, se non anche gli africani, può giungere a considerare il più conveniente per conseguire la propria emancipazione. Ma gli Oc[...]
[...]di essere isolati dalla nuova tendenza che va sviluppandosi in quel triangolo della decisione? Non vengono tagliati fuori ogni giorno di più dal flusso principale del mutamento del mondo e dell'interesse popolare ?
Le nostre possibilità di azione sono già limitate. In Cina siamo puri osservatori. Possiamo solo sperare che il compito gigantesco dell'autoemancipazione terrà tanto occupata la Cina, da impedirle avventure fuori dei suoi confini. In Giappone l'Occidente può soltanto sperare di contribuire a mantenere il progresso e la prosperità in modo da impedire che il paese rigeneri il suo spirito di conquista. Quanto all'India, l'Occidente potrà trovarsi fra breve di fronte ad alternative penose. Potrebbe assistere passivamente allo scoppiare del caos. O, quale che sia l'influenza che ha potuto conservare, può impiegarla a far si che il regime autoritario prevedibile dopo Nehru affronti i problemi di base, per garantire una continuità.
Il Giappone é già un paese industrializzato. Ciò che gli occorre é commercio internazionale, così da mante[...]
[...]e a mantenere il progresso e la prosperità in modo da impedire che il paese rigeneri il suo spirito di conquista. Quanto all'India, l'Occidente potrà trovarsi fra breve di fronte ad alternative penose. Potrebbe assistere passivamente allo scoppiare del caos. O, quale che sia l'influenza che ha potuto conservare, può impiegarla a far si che il regime autoritario prevedibile dopo Nehru affronti i problemi di base, per garantire una continuità.
Il Giappone é già un paese industrializzato. Ciò che gli occorre é commercio internazionale, così da mantenere la modesta prosperità attuale. Ma in India il problema é ancora trovare un metodo di sviluppo conveniente, e poi, nei limiti delle nostre possibilità, sostenerlo. Quest'azione da parte dell'Occidente potrebbe ancora avere un valore decisivo. E attraverso l'esempio indiano, potrebbe influenzare la politica delle altre nazioni dell'Asia sudorientale. Perciò l'India é veramente l'ultima carta importante che sia rimasta all'Occidente in Asia.
Con quache esitazione circa i mezzi, la necessità di aiu[...]