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tipologia: Analitici; Id: 1472458


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Enrica Pischel, Considerazioni sulla nuova fase della politica asiatica
Responsabilità
Pischel, Enrica+++
  • Pischel [in Collotti], Enrica
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
CONSIDERAZIONI SULLA NUOVA FASE
DELLA POLITICA ASIATICA
Molti problemi e molte situazioni si sono trasformati in Asia dalla conferenza di Bandung in poi. I mutamenti verificatisi negli ultimi tre anni non sono stati di carattere drammatico o spettacolare come quelli susseguitisi in questa zona del mondo a ritmo incalzante dal 1945 al 1955: nessun impero é crollato nella disfatta, nessuna rivoluzione di centinaia di milioni di uomini si è verificata, non è stata data l'indipendenza a nessun grande paese, né alcun conflitto internazionale ha attirato sull'Asia l'attenzione ed il timore dei popoli del mondo.
I fatti verificatisi recentemente in Asia ed i nuovi fenomeni dei quali bisogna tener conto non sono tali da attirare imme-
diatamente l'attenzione. I oblemi di attualità » oggi sona al
di fuori dell'Asia: vertono sulla recessione e sul disarmo, sul-
-.. _ ---- ... __
l'equilibrio tra le due maggiori potenze nucleari e sulle nuove tecniche. A pochi anni di distanza già sembra possibile a più di un occidentale domandarsi che cosa mai abbia indotto il mondo nell'età dell'automazione e dei missili a considerare per un momento le vicende dei prigionieri coreani o le azioni dello scalzo esercito di Ho Chi Minh elementi decisivi nel determinare il corso dell'attuale processo storico e le sorti della pace mondiale.
E2pure_.è chiaro ad una riflessione più profonda che l'attuale situazione internazionale é stata determinata strettamente dal l'enorme oso obiettivo rappresentato dagli eventi, del ..mondo asiatico ed africano dalla fine della guerra in poi e che la presenza delle nuove nazioni indipendenti è un fattore decisivo in ogni sviluppo. Ancor più decisivo di questo elemento ormai acquisito è il processo attualmente in corso in Asia sul piano delle scelte politiche, sociali ed economiche per il problema dello sviluppo e dell'industrializzazione. Queste scelte, assai più di altri
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fattori, sono il banco di prova della capacità dei due sistemi sociali in lotta nel mondo di offrire soluzioni verso un avvenire stabile e progressivo ai paesi ora entrati nella dialettica della storia mondiale. Non si tratta di un problema di aiuti dall'esterno o di pressioni politiche e militari esercitate parimenti dall'esterno: si tratta della possibilità di esprimere soluzioni nuove, dinamiche e particolari per problemi che prima non si erano presentati; e di esprimere queste soluzioni dall'interno delle nuove società e in base alle forze sociali esistenti sul posto.
Un esame generale della situazione è tanto più difficile in quanto essa si evolve a ritmo assai più lento che nel periodo 1945-1955, in settori più occulti ed imponderabili, modifica di fatto le situazioni consolidate sia dal punto di vista economico sia da quello psicologico, batte vie a volte inaspettate e divergenti e lascia per molto tempo intatte le apparenze esteriori, precipitando poi su fatti che sono assolutamente incomprensibili senza un'analisi particolareggiata delle situazioni locali. Inoltre la teorizzazione e la stessa esposizione dei fenomeni in corso incontrano difficoltà perché gli osservatori esterni sono spesso ispirati dall'interesse politico e sociale del mondo dal quale provengono o non riescono a sottrarsi all'influenza di luoghi comuni assunti ad assolute verità sull'Asia, mentre le forze locali, oltre ad essere impegnate nella fase iniziale di una nuova esperienza non sempre possono fare esplicitamente il punto della situazione, sottoposte come sono alle esigenze della lotta e della polemica con i loro avversari.
Alcuni giudizi ed elementi che valsero per la situazione asiatica fino all'epoca di Bandung sembrano poter rimanere tuttora base della nuova indagine: ad esempio appare sempre valida la asserzione di carattere marxista che il processo in corso in Asia. è un processo di liberazione dalla dipendenza economica e sociale imposta dell'imperialismo, cioè non solo dalla colonizzazione diretta e formale delle vecchie potenze europee, ma anche dalla nuova ed indiretta dominazione statunitense, che é oggi la più forte influenza esterna che preme contro la liberazione completa dell'Asia. Altrettanto valido appare il giudizio
i
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sullacorrelazione tra le trasformazioni interne sociali ed econo- miche soprättüttó quelle riguardanti il regime di proprietà terriera) e l'effettiva concretezza dell'emancipazione dal dominio straniero, nonché quello sull'obiettiva utilità, per il fronte rivoluzionario socialista di tutti i paesi, di qualsiasi indebolimento dell'influenza imperialista in Asia.
Il problema che oggi è in gioco in Asia consiste nell'indivi duare se ed in quale misura le forze borghesi si stiano effettiva mente dimostrandöincapaci di' dar vita ad una società indipendente e in sviluppo in Asia; se la permanenza del governo nelle mani della borghesia nazionale nei paesi nuovi implichi una menomazione dell'indipendenza economica verso il mondo esterno o l'incapacità di condurre a termine la rivoluzione antifeudale nelle campagne; se i princi î_ ele soluzioni elaborati da Mao-Tse-tung sulla base dell'esperienza della rivoluzione cinese, debbano o passano avere validità fuori dell'ambito della Cina; quali possano essere in ogni paese le forze ed i modi, _per trasformare gradualmente e pacificamente il regime borghese-nazionalista (diverso da luogo a luogo a seconda del rapporto sul quale ciascuna borghesia si trova sia con le forze feudali sia con gli elementi rivoluzionari agrari o urbani) in una società sostanzialmente socialista; se e fino a che pinto i tentativi progressivi condotti dalle forze borghesi più avanzate rimangano nell'ambito del nazionalismo borghese progressista e dove divengano invece una nuova e quanto mai « diversa » via al socialismo; come possa essere conciliata la denuncia del « revisionismo » da parte del mondo marxista-leninista con il tentativo di operare pacificamente il trapasso dai regimi nazionalisti progressisti a quelli socialisti.
Chi scrive non presume di dare risposte a questi problemi, ma intende soltanto esaminare alcuni fenomeni ed alcune indicazioni che possano rendere più facile lo sforzo di interpretare in futuro gli sviluppi tuttora in corso in Asia. Molto si é scritto da Bandung in poi sul problema dei paesi sottosviluppati ed in particolare sul contributo e le soluzioni che dovrebbero fornire le potenze o le forze sociali che fanno parte del mondo capitalista
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per consentire ai paesi asiatici di ottenere il miracolo dello sviluppo senza passare attraverso le trasformazioni sociali che al= trove sono state la base ed il costante accompagnamento dello sforzo di industrializzazione: in realtà non sembra di poter con-cÏú~ére che queste discussioni abbiano portato ad alcun risultato concreto e, sia che la cosa si debba attribuire alla logica del sistema capitalistico, sia che si tratti invece di cause contingenti, gli Stati Uniti ed i loro alleati non hanno saputo per ora attuare arcuna farina di reale—ált rnativa alta ""piáriiñ_cazione di tipo socialista. D'altra parte per quest'ultima, anche dando per concessa -la continuazione della politica sovietica di aiuti ai paesi sottosviluppati e l'intensificazione dell'aiuto cinese in questo senso, sono le forze interne ed il loro dinamismo a rappresentare l'elemento decisivo e non l'azione compiuta sull'Asia dall'esterno dall'URSS o da altri paesi a governo comunista.
Proprio sul piano interno ed economico si é verificata dalla conferenza di Bandung in poi l'evoluzione della situazione asiatica: il mero anticolonialismo politico e formale é stato sostituito dal tentativo di risolvere il problema dello sviluppo come principale movente di interesse comune nei paesi asiatici. Questa sostituzione fu l'elemento innovatore e stimolatore suscitato dalla conferenza di Bandung che mostrò, attraverso il confronto della situazione che si veniva creando nei paesi socialmente più progrediti con quella sussistente negli altri, la gravità delle conseguenze implicite nella stasi economica, nell'acquiescenza al permanere del dominio economico imperialistico e nel mantenimento (soprattutto nel regime di proprietà della terra) di residui di una struttura sociale totalmente superata e incapace di consentire un qualsiasi sviluppo moderno. In questo senso la conferenza di Bandung ha costituito, pur con le sue dichiarazioni necessariamente anodine su tutti i problemi che implicassero una discussione del regime sociale interno, una tribuna di accusa contro le classi reazionarie dell'Asia, che avevano imposto ai paesi da loro dominati e in parte continuano ad imporre una scelta conservatrice.
Il problema dello sviluppo economico, soprattutto di uno
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sviluppo economico organico mirante a dare l'autosufficienza all'economia, implica di per sé, non appena venga affrontato da un paese, un'influenza di carattere rivoluzionario sia sulla situazione interna, sia sui rapporti con le potenze che conservino . o . sviluppino interessi di tipo imperialistico. In questo senso Bandung segnò il punto di passaggio tra due fasi della storia asiatica dal 1945 in poi: tra la fase della generica e limitata solidarietà contro il colonialismo inteso come dominazione politica formale e quella dello sforzo per lo sviluppo e delle scelte politiche e sociali imposte dalla lotta contro l'arretratezza.
Un'apparente unità era più facilmente raggiungibile tra i vari paesi asiatici nella prima fase che nella seconda: un atteggiamento comune esteriore e superficiale contro la dominazione politica straniera poteva essere raggiunto, almeno in larga misura, indipendentemente dagli interessi e dalle forze predominanti nelle varie zone e senza presupporre una concorde analisi della situazione, delle sue cause e delle sue implicazioni interne, mentre le alternative oggi aperte pongono in gioco direttamente interessi e posizioni che da luogo a luogo sono diversamente costituiti e che possono essere eliminati soltanto dall'azione di forze progressive locali. Ciò provoca una diversificazione di atteggiamenti e reazioni sia dei gruppi al potere sia dei gruppi di opposizione nei vari paesi. Questa è appunto la principale caratteristica dell'evoluzione verificatasi da Bandung in poi.
***
Vi é in primo luogo la trasformazione dei dati fondamentali del problema cinese. Fino alla conferenza di Bandung il problema che appariva rivestire importanza fondamentale a proposito della Cina era quello del consolidamento della rivoluzione al potere e dell'accettazione da parte del resto del mondo del nuovo equilibrio creato dalla rivoluzione cinese. Le iniziative diplomatiche e militari delle quali la Cina era stata parte fino allora, quali la difesa contra l'attacco militare degli Stati Uniti (a Formosa ed in Corea), l'appoggio alla rivoluzione vietnamita,
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l'agitazione contro il tentativo di creare in Asia una psicosi an-ticinese del tipo di quella antisovietica creata in Europa e sfociata nella formazione della NATO, avevano avuto per scopo precipuo di ottenere un riconoscimento internazionale, almeno di fatto, dell'esistenza e dell'insapprimibilità della nuova Cina.
Anche l'attività economica e sociale svolta dal regime rivoluzionario cinese all'interno in quegli anni — e non se ne vuole qui sminuire in alcun modo l'essenziale importanza — aveva mirato soprattutto al consolidamento della rivoluzione al potere ed al rafforzamento interno della Cina sulle basi della « Nuova democrazia » e cioè della latta contro i residui feudali e contro le infiltrazioni e le minacce esterne. In questo senso avevano operato la riforma agraria nella prima fase (spartizione della terra ai contadini) la politica di ricostruzione industriale, il primo piano quinquennale per l'industrializzazione « di base », la collaborazione tra le forze rivoluzionarie e la borghesia « nazionale », la formulazione della Costituzione.
Dal 1955 in poi il principale problema cinese non é più stato quello del consolidamento della rivoluzione come fattore permanente nella società cinese e nella politica mondiale: questo era un dato acquisito già nel 1955 e proprio la conferenza di Bandung offri a tutti i paesi asiatici e africani la dimostrazione che la Cina nuova non aveva più ragione di dubitare della sua capacità di difendere la propria sicurezza e la propria stabilità. Il nuovo problema della Cina divenne quello di accelerare il ritmo delle trasformazioni economiche e sociali, di elaborare la linea e le soluzioni particóIari per il trapasso della Cina alla fase socialista (e non più soltanto neo-democratica) di attuare un rapido sviluppo industriale su larga scala. Dal 1955 in poi sono avvenute le grandi modifiche della società cinese, soltanto iniziate in prece; denza: la formazione delle cooperative agricole; l'eliminazione del settore industriale e commerciale privato; l'inaugurazione (con la fine del primo e la formulazione del secondo piano quinquennale) di nuove industrie e di nuovi settori industriali atti a sanare le strozzature dell'economia cinese ed a fare di essa una economia autosufficiente, espansivá e capace di portare in pochi

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decenni la Cina al livello dei paesi di antica industrializzazione; la trasformazione dei rapporti ideologici e politici del partito comunista coni gruppi non comunisti e non marxisti.
Si tratta ovviamente di fenomeni che esigono un'analisi particolareggiata: comunque é possibile, anche solo in linea generale, indicare come i problemi dello sviluppo e dell'industrializzazione, le trasformazioni interne della società e la direzione da dare ad esse siano oggi il problema principale per la Cina e come il gruppo dirigente del paese, che (a differenza dei gruppi piú o meno borghesi che sono" olia testa dei paesi asiatici non comunisti) non si é mai rassegnato ad accettare l'ipotesi che la Cina debba rimanere indefinitamente un paese più o meno ar- retrato rispetto alle potenze industriali, abbia avvertito Ta T necessità di affrettare ad ogni costo i tempi del processo di industrializzazione prima che l'avvento di nuove tecniche nel resto del mondo renda per la Cina incolmabile il divario dei livelli di produzione industriale pro capite con i paesi industrializzati.
Il trasferimento della priorità degli interessi dal campo po-liticoá qúèlIó ` ëcónömico (anzi allo specifico problema dello sviluppo industriale) non é avvenuto soltanto per coloro che dirigono o vivono direttamente le sorti della Cina, ma anche nel giudizio degli altri popoli asiatici che volgono il loro sguardo alla Cina come ad un esperimento di avanguardia nella risoluzione di problemi affini ai loro. In questa prospettiva si spiega l'attenuazione dell'attività diplomatica cinese per ttetr ~il-ricotïtigemên-to americano 'e l'ammissione all'ONU: il governo cinese é certa ormai che il mancato riconoscimento statunitense alla nuova Cina non può costituire piú un fattore di obiettiva menomazione per il paese, il cui peso internazionale, in Asia e all'interno della compagine degli Stati socialisti, si misura in base al successo della politica di sviluppo e delle trasformazioni della società, non in base alla partecipazione a questo o a quell'organismo internazionale.
Ormai il « non riconoscimento » ha cessato di isolare la Cina ed isola invece gli Stati Uniti bloccando tutta la loro politica asiatica; mina il potere morale e l'efficienza dell'ONU ed inficia
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con il marchio dell'anticomunismo colonialistico ogni iniziativa dell'ONU per i paesi arretrati, in quanto l'ONU si trova non soltanto a dover escludere dal suo raggio d'azione e dalla sua esperienza il più vasto ed energico sforzo di sviluppo ora in corso, ma anche a porsi come un'alternativa polemica alla politica economica cinese che va sempre più diventando (anche per l'espansione commerciale cinese e la politica di aiuti di Pechino nell'Asia sudorientale) uno dei fattori determinanti della situazione economica asiatica.
***
Il completo consolidamento interno della Cina, la sua palese volontà di non impegnarsi in qualsiasi tentativo di provocare dall'esterno mutamenti nel regime sociale dei paesi asiatici ed il volgersi delle forze rivoluzionarie asiatiche più dinamiche alla lenta trasformazione del loro potenziale economico hanno posto in crisi la politica dei patti militari perseguita dagli Stati Uniti in Asia, riducendola ad un apparato pronto a bloccare quel tipo di iniziative che la Cina chiaramente non intende attualmente intraprendere (se mai volle farlo) ed a sostenere quelle misure che gli Stati Uniti ora non possono più per ragioni interne ed internazionali adottare, ma incapace di arginare o di menomare l'azione diplomatica economica e propagandistica che la Cina sta invece compiendo ed intensificando.
Da tempo é data per concessa la completa inutilità, anche dal punto di vista della politica americana, dei patti bilaterali degli Stati Uniti in Asia: essi sono l'eredità della politica americana di violenta sovversione anticinese tipica della fase più acuta della guerra fredda. Salvo il caso del Giappone, essi furono concepiti quale sostegno "sT btt rmäñcñte dei regimi oltranzisti anticomunisti incapaci di reggersi da soli (Kuomintang a Formosa, Syngn n Rhee in Corea), ma ritenuti, in quel periodo, il più solido e utile strumento della politica statunitense in Asia e ridotti invece ora ad essere pericolosi ed inutili parassiti dell'economia americana e paralizzante causa di remore *e di discredito a tutta l'azioñe«diplomatica del Dipartimento di Stato.
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I rigidi patti difensivi con Seul e Taipeh e la presenza di solidi interessi statunitensi organizzati a favore di Chiang e di Rhee espongono qualsiasi azione diplomatica americana al ricatto di questi regimi che sono tenuti dagli aiuti statunitensi in uno stato di fittizia solidità, sufficiente a far si che rappresentino una minaccia contro il mantenimento dello statu quo in Asia, mentre non sono più un reale e stabile avamposto delle linee strategiche americane. Essi hanno infatti dimostrato negli ultimi anni, con una ripresa di nazionalismo antistatunitense, di non essere disposti a rimanere per sempre le abbandonate sentinelle avanzate di quella politica di immediata aggressione anticinese che avevano sperato di veder giungere rapidamente al successo con il rovesciamento di Mao ed una generale guerra anticomunista, ma che ora é stata accantonata dagli Stati Uniti.
Proprio sul terreno economico, la politica statunitense verso Formosa e la Corea meridionale (e per quest'aspetto le medesime considerazioni valgono in sostanza anche per il Viet Nam meridionale) implica le_ più_ gravi ipoteche sulla generale capacità degli Stati Uniti ad affrontare in modo vitale il problema dei paesi sottosviluppati: essa dimostra che l'attuale apparato per gli aiuti americani all'estero é concepito prevalentemente come sostentamento improduttivo a regimi ritenuti politicamente utili, non come appòggio ad una cluatiasiTolitica'zt abtreomä"' upl po eçó mic e tanto meno come aiuto libero`da' cohctiziona-mento politico.
Formosa, la Corea ed il Viet Nam meridionali hanno ricevuto dal 1955 al 1957 quasi un miliardo e mezzo di dollari in aiuti economici e militari (gli aiuti americani all'estero sotto tutte le voci furono complessivamente 4 miliardi di dollari circa nel 1957): si tratta di somme enormi che scompaiono nelle pieghe della corruzione e dell'inefficienza di tre regimi che finora non hanno fatto nulla o quasi per intraprendere qualsiasi tentativo di sviluppo razionale ed espansivo della loro economia. L'improduttività dell'aiuto americano ed anzi la funzione sterilizzatrice dell'iniziativa economica autonoma, pubblica o privata che sia, in questi tre paesi, la sempre maggiore dipendenza della loro
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sussistenza dal cordone ombelicale dell'aiuto americano e l'instaurazione di sempre più larghi interessi finanziari e capitalistici 'äméncani, attráversö investimenti, controlli ed enti di vario tipbi el-un targo monopolio del commercio estero, non soltanto bloccano le possibilità di collaborazione americana allo sviluppo di altri paesi più dinamici ed indipendenti, ma costituiscono anche un forte indizio per sostenere la tesi she_ una società .del tipo di quella americana non ha interesse per la sua propria struttura e non e disposta per il suo atteggiamento politico a dare un reale aiuto di- sviluppo ai paesi arretrati senza condizioni poli siche:
Anche l'economia giapponese, che pure ha potuto recuperare lo svantaggio della sconfitta e ha rappresentato per la sua ripresa un fenomeno che trova paralleli soltanto nella Germania occidentale, si trova a dipendere dall'economia americana ed ha relativamente scarsa solidità strutturale. Pur lasciando da parte le considerazioni che si potrebbero fare sul particolare carattere della ripresa industriale nipponica (e cioè sulla crescente spere- quazione tra l'aumento della produzione industriale e del suo
1 livello qualitativo e l'aumento, parecchie volte più lento, del te-
nore vitae dei salari li), fatto che i Giappone u-
sa di di condizioni geografiche particolari è costrettol a ricorrere a ca al
commercio estero per gran parte delle sue importazioni vitali e per l'assorbimento di una percentuale anche maggiore della sua produzione e che questo movimento commerciale è largamente controllato dagli Stati Uniti, nei quali il Giappone acquista un terzo delle sue importazioni e vende un quarto delle sue esportazioni, oltre a dover ricorrere all'intervento statunitense per. coprire la totalità delle sue esportazioni invisibili, che sole possono tenere in equilibrio la bilancia dei pagamenti.
Questa situazione non ha soltanto gravi ripercussioni politiche, quali l'imposizione di seguire la medesima linea degli Stati Uniti nei confronti della Cina, sia pure in contrasto con i più immediati e sentiti interessi economici nipponici, la difficoltà nello stringere contatti con i paesi neutrali e in via di sviluppo (e quindi potenzialmente interessati ad estendere le relazioni eco-
CONSIDERAZIONI SULLA NUOVA FASE DELLA POLITICA ASIATICA 27
nomiche con il Giappone purché su una base di parità), il rafforzamento dei gruppi militaristi e parafascisti all'interno e l'arresto degli sviluppi democratici apertisi nel paese dopo il 1945: questa dipendenza economica rende inoltre il Giappone più sensibile di qualsiasi altro paese ad ogni ondata di recessione o di crisi negli Stati Uniti, senza renderlo tuttavia ugualmente partecipe dei periodi di prosperità dell'economia americana.
* * *
Se il sistema dei patti bilaterali mette ora in difficoltà la politica asiatica degli Stati Uniti, non maggiore é l'efficienza dei patti plurimi, come il SEATO. Questo si é rivelato, sia ai suoi sostenitori sia ai suoi avversari, assai più vuoto e sterile di quanto avessero potuto ritenere anche coloro che ne avevano sostenuto fin da principio l'inutilità.
Esso si trova svuotato come patto difensivo dal fatto che nessuna minaccia militare cinese all'Asia sudorientale si è concretata, che la temuta attività sovversiva dei comunisti nei paesi aderenti é venuta meno o si è totalmente trasformata e che la pretesa o reale solidarietà tra i membri del patto non ha potuto essere trasferita dal terreno militare e poliziesco a quello diplomatico ed economico. Inoltre due dei membri più importanti del SEATO, la Francia e la Gran Bretagna, hanno cessato di avere un'importanza reale in Asia: la prima ha perduto tutti i suoi territori e la sua influenza nell'Asia sudorientale; la seconda controlla ancora Singapore e il Borneo settentrionale, ma ha dimostrato in occasione della concessione dell'indipendenza alla Malesia e della conclusione di un patto militare bilaterale con questo Stato, che gli sviluppi nuovi nella zona avvengono al di fuori dell'apparato del SEATO.
Sussiste così soltanto l'altro aspetto del SEATO: esso fu considerato dai tre membri asiatici (Pakistan, Filippine e Thai-landia), o piuttosto dalle classi dirigenti di questi paesi, come una garanzia al mantenimento della loro situazione sociale interna contro qualsiasi evoluzione democratica e progressiva, anche non
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violenta o comunque non effettuata attraverso la sovversione. Né la casta militare thailandese, né i proprietari fondiari spagnoleschi delle Filippine, né i grossi latifondisti del Pakistan, aderirono al SEATO per considerazioni attinenti prevalentemente alla politica estera, bensì per ottenere il palese e formale avallo degli Stati Uniti alla difesa dei loro interessi. Ne risulta che i tre membri asiatici del SEATO sono oggi (salvo forse la Thailandia, na-turaTmente prospera) 1a zona éconamicamente_ e politicamente più stagnante di tutta l'Asia, dove gran parte dei~biland— statali órdina— Cedé Ii aiuti americani) viene inghiottita dalle spese militari, precludendo ogni possibilità di sviluppo economico.
Anche partendo dal punto di vista statunitense, l'alleanza si é quindi rivelata un fallimento, perché ha un'efficienza militare nulla (mancando dell'apparato militare che, nonostante tutto, il NATO ha e non essendo sostenuta da un potenziale industriale e produttivo quale quello dei paesi europei), non ha creato un nuovo e più efficiente equilibrio sociale nei paesi interessati necessario per costituire il sostegno stabile di un eventuale sforzo militare ed ha anzi bloccato quelle riforme di struttura, la riforma agraria soprattutto, che gli americani stessi erano in teoria propensi ad attuare (ritenendole un necessario passo per togliere le basi all'azione rivoluzionaria) ma che non hanno poi potuto sostenere per il timore di alienarsi l'appoggio delle uniche classi loro favorevoli e di suscitare fattori obiettivamente rivoluzionari. Anche qui inoltre si è verificato il fenomeno, già constatato nel caso dei patti bilaterali, della sempre crescente dipendenza economica dagli Stati Uniti manifestatasi attraverso l'indispensabilità degli aiuti americani nelle loro molteplici forme, attraverso gli investimenti privati statunitensi nei vari settori dell'economia e attraverso la concorrenza dei prodotti americani, privilegiati da un regime doganale di preferenza, di fatto o di diritto.
Nonostante questo carattere vincolante dei patti per le loro conseguenze economiche non è affatto esclusa la possibilità che gli alleati asiatici sfuggano gradualmente od improvvisamente al controllo americano e si mostrino sensibili all'azione soprat-
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tutto economica svolta nei loro confronti dalla Cina e dall'URSS per persuaderli della «scarsa convenienza » pratica della politica da loro seguita a paragone dei vantaggi ottenuti dai neutrali: si tratta di argomenti che, nelle attuali condizioni, possono avere una presa assai maggiore che all'epoca di Bandung, e non soltanto sui gruppi di opposizione o sulla opinione pubblica generica.
Le incertezze che hanno cartterizzato le elezioni filippine del 1957 ed il colpo di Stato in Thailandia contro Pibul possono essere interpretati in questo senso. Ma ancor più profondo é lo sfaldamento del regime politico pakistano: nel Pakistan la mancata trasformazione democratica del paese su linee parallele á quella dell'India ha portato al potere una casta legata ai più retrivi interessi terrieri, presentati come un baluardo a difesa della religione islamica e come un elemento a favore della politica occidentale, Negli ultimi mesi tuttavia l'aumento delle difficoltà politiche ed economiche ha scatenato in tutti i gruppi politici un'ondata di risentimenti antioccidentali, tanto che ormai. é stata formulata dal primo ministro stesso l'ipotesi di un «rovesciamento delle alleanze » del Pakistan qualore gli Stati Uniti non aumentassero il prezzo della fedeltà dell'alleato.
In queste condizioni la funzione del SEATO e la sua efficienza quale strumento della politica anticomunista degli Stati Uniti risultano grandemente indebolite e ciò rende una revisione della politica di Washington ancor più indispensabile di quanto lo fosse all'epoca di Bandung, quando la tesi statunitense della « difesa collettiva anticomunista ed anticinese » incontrava l'appoggio della maggioranza dei gruppi conservatori asiatici. E' sintomatico inoltre che le tendenze ad un avvicinamento agli Stati Uniti mostrate da alcuni dirigenti di paesi neutralisti all'epoca di Bandung non si siano concretate o siano state travolte da una ripresa di neutralismo. A Ceylon é caduto Kotelawala, l'uomo politico più filostatunitense esistente nell'Asia neutralista, in Birmania non vi é stata un'intensificazione dell'anticomunismo ed un avvicinamento a Washington.
Lo stesso vale per il caso del Cambogia e del Laos: all'epoca
JU ENRICA PISCHEL
di Bandung erano due Stati protetti dagli Stati Uniti, impegnati in un'azione repressiva anticomunista all'interno e schierati contro la Cina ed a favore del SEATO, dal quale erano indirettamente coperti. Due anni di azione diplomatica ed economica cinese e sovietica, la stabilizzazione della situazione indocinese ed alcuni sbagliati interventi di pressione statunitensi, ne hanno fatto due paesi neutrali, e il Laos anzi é l'unico paese non socialista retto da una coalizione a cui partecipano i comunisti. Naturalmente si tratta in questi casi di un neutralismo assai più labile e tatticistico di quello indiano e sensibile alle fluttuazioni internazionali: tuttavia anche in questo settore si sono avuti mutamenti profondi dall'epoca di Bandung e si é radicata la concezione che la stabilità e la possibilità di attuare una politica di sviluppo non passano né attraverso la garanzia militare statunitense, né attraverso la dipendenza dai soli aiuti americani.
Con ciò non si vuol negare che il SEATO e gli altri patti militari continuino a costituire una minaccia per la Cina e an-. cor più per i neutrali costringendo questi ultimi a gonfiare il bilancio delle spese militari a danno di quello per lo sviluppo, in modo da contrastare la minaccia rappresentata dai vicini che potrebbero sempre invocare l'aiuto statunitense per i loro interessi particolari (e ciò vale soprattutto nel caso dell'India, sulla quale il Pakistan fa gravare attraverso la rivendicazione sul Kashmir, il pericolo di un intervento del SEATO o appoggiato dal SEATO, al quale il Pakistan ha aderito solamente in funzione • anti-indiana), oppure suscitare nel loro interno movimenti sovversivi a carattere reazionario (come sta avvenendo in Indonesia).
A quest'ultimo proposito é tuttavia interessante notare che il caso della ribellione indonesiana, nel quale alcuni gruppi reazionari hanno creduto di poter contare come elemento decisivo nella loro azione di sovversione contro il governo legittimo neutralista e progressivo, sull'appoggio palese, aperto e totale degli Stati Uniti e del SEATO, ha svelato anche i limiti della capacità del SEATO stesso di risolvere .a favore dell'aperta reazione situazioni contradditorie e complesse. Il mancato successo dei ri-
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CONSIIIERAZIONI SULLA NUOVA FASE DELLA POLITICA ASIATICA 31
belli indonesiani, ad onta dell'appoggio diplomatico e propagandistico degli Stati Uniti e di quello militare e strategico delle Filippine e di Formosa, ha dimostrato che il SEATO é in grado di mantenere una tensione negativa contro i neutrali e di minare la loro stabilità, non di insediare al potere, sia pure illegalmente e con la forza, un'efficiente e stabile alternativa al neutralismo.
Anche questi aspetti della politica delle alleanze contribuiscono a concentrare sugli sviluppi interni l'interesse. Proprio la situazione interna dei paesi neutrali è quella che maggiormente é mutata nel panorama asiatico dal 1955 in poi.
Va premesso in linea generale che la trasformazione ha toccato soltanto in modo marginale, o non ha affatto toccato, la po- litica estera e che questi paesi sono oggi tanto neutralisti quanto lo erano tre anni fa, cosí come costanti sono le tesi e gli atteggiamenti che contraddistinguono la loro politica estera. Mutata é invece la situazione in cui questa politica estera si inserisce, che oggi é tale da dare al neutralismo asiatico un peso assai minore di quello che aveva ad esempio nel 1953 o nel 1954, quando l'area di maggior frizione internazionale era in Asia e quando la funzione dei neutrali era necessaria per mantenere tra le varie potenze quel minimo di dialogo che permettesse di evitare la trasformazione della guerra fredda in guerra generale. Oggi un contatto diretto tra Stati Uniti ed Unione Sovietica é possibile anche senza intermediari e se può sussistere una notevole funzione per posizioni di tipo neutralista, il problema non é più quello di potenziare il neutralismo asiatico (che é un fatto ormai acquisito, almeno nella zona più vitale dell'Asia sudorientale), bensì di gettare le basi per una fascia neutrale in Europa o comunque di creare soluzioni di tipo nuovo nelle aree dove i due blocchi sono a contatto o dove esistono particolari ragioni di tensione. Ciò non implica un giudizio negativo per il neutralismo asiatico, né come fenomeno storico (essenziale nell'aver determinato l'attuale atmosfera internazionale e nell'aver impedito
32 ENRICA PISCHEL
il precipitare della guerra fredda), né come forza politica tuttora valida e consolidata nella propria area, anche se non più nuova e tale da attirare attenzione e polemiche.
In particolare é necessario precisare che il nuovo carattere economico dato al neutralismo dell'ingresso dell'URSS nella gara con gli Stati Uniti per lo sviluppo delle aere depresse non ha affatto modificato i principi base della politica dei neutrali asiatici (come é stato affermato da alcuni osservatori statunitensi), bensì li ha confermati. I paesi neutrali avevano infatti chiesto fin dall'inizio a tutte le grandi potenze industriali aiuti per il loro sviluppo, purché non condizionati a concessioni politiche e non cóhtr'ollàti dall'esterno in modo tale da minare l'indipendenza economica delle nazioni riceventi. Alcuni dei paesi che oggi accettano ed apprezzano la politica degli aiuti sovietici (che in sostanza dal 1955 in poi sono giunti a controbilanciare globalmente — cioè compresi gli utili del commercio — gli aiuti americani all'Asia sudorientale) avevano accettato gli aiuti eco-
nomici statunitensi nell'immediato dopoguerra e rifiutarono
poi nel 1951 e nel 1952, quando organismi con scopi prevalentemente economici (UNRRA, ECA) furono sostituiti da un ente esplicitamente ispirato a moventi politici, come la MSA, nella distribuzione degli aiuti economici statunitensi e quando questi furono condizionati a impegni di carattere ideologico e strategico.
Anche in questo caso non la politica dei neutrali é mutata, bensì quella delle grandi potenze: in particolare dell'URSS che prima del 1955 non poté, per ragioni strutturali, economiche, ed anche politiche mettersi in gara con gli Stati Uniti per lo sviluppo moderno dei paesi arretrati ed operare quella trasformazione del problema degli aiuti all'estero nettamente aperta dal suo intervento. L'accusa di aver sostituito un filosovietismo più o meno accentuato al neutralismo può essere ed é mossa ai neutrali asiatici soltanto dai gruppi oltranzisti statunitensi che ritengono tuttora che gli aiuti debbano essere dati solo « in premio» agli alleati fedeli e che la sfida sovietica per la « pacifica competizione » nell'aiuto ai paesi arretrati debba senz'altro essere lasciata cadere e battuta sul terreno della forza e della rigidità.
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Che poi l'aiuto sovietico o cinese costituisca un obiettivo fattore a favore di uno sviluppo progressivo in Asia, favorendo il continuo espandersi della politica di industrializzazione e di trasformazione sociale e che quindi l'intervento di un aiuto economico da parte dei paesi socialisti sposti di fatto l'equilibrio sociale in Asia e metta le potenze occidentali in una condizione di inferiorità, è certamente un fatto probabile, ma ad esso non possono opporre alcuna resistenza sostanziale le economie dei paesi capitalisti, a meno di ricorrere ad interventi di carattere violento contro l'indipendenza politica oltre che economica dei paesi asiatici. Lo sviluppo industriale dell'Asia è di per sé un processo contrario alle posizioni economiche e politiche del mondo capitalista. L'aiuto sovietico ai neutrali, in quanto veramente svincolato da controlli vessatori dall'esterno, non può quindi che avvicinare il giorno in cui gli interessi capitalistici stranieri saranno interamente esclusi dall'Asia meridionale o sudorientale in seguito al raggiungimento della sufficienza e dell'indipendenza da parte delle economie locali.
Il problema che molti economisti e rappresentanti degli interessi c economici statunitensi si pongono oggi, e cioè quello dei modi più adatti ad arrestare o a controbilanciare l'influenza tra- sformatrice (o sovversiva' che dir si voglia) dell'"aiüto dei paesi comunisti all'Asia sudorientale, non appare quindi risolubile per chi assuma come necessaria la difesa —senza limiti di tempo dei « mercati » dell'Asia quale area di prevalente influenza economica dei paesi capitalistici e per chi consideri preminente il compito di bloccare le trasformazioni economiche d ell'Asia verso forme di più o meno sostanziale socialismo. Se gli Stati Uniti si asterranno dal dare il loro aiuto, l'Unione Sovietica e la Cina avranno vinto per mancanza di avversari la gara per la « competizione pacifica nello sviluppo dei paesi arretrati », se invece gli Stati Uniti daranno il loro aiuto essi favoriranno di fatto il processo di indipendenza economica dei paesi asiatici. L'altra soluzione, quella cioè di dare bensì l'aiuto ma di condizionarlo a legami politici ed economici è stata ed é tuttora tentata dagli Stati Uniti in alcuni paesi a loro vincolati da alleanze militari,
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ma i risultati economici sono stati tali da escludere, come si é ac-cenato sopra, questi paesi stessi dal reale movimento di sviluppo.
Resta inoltre il fatto che gli Stati ad organizzazione socialista sono in grado, per la loro propria esperienza in materia e per la loro struttura sociale particolare, di dare ai paesi arretrati un tipo di aiuto che mai i paesi ad iniziativa privata ed a carattere capitalistico potranno dare: non si tratta soltanto della disponibilità di materiali e di uomini che nell'organizzazione centralizzata delle economie di tipo socialista può più facilmente e rapidamente essere orientata in modo da sopperire alle esigenze dei vari paesi sottosviluppati a seconda che la situazione politica generale lo richieda, quanto del metodo di pianificazione e di mobilitazione delle masse che l'URSS sperimentò, che sta sperimentando la Cina e che fa parte integrante del processo di
costruzione socialista ».
Anche se l'URSS e la Cina smentiscono che esista da parte loro l'intenzione di fornire ai neutrali insieme all'aiuto un modello di soluzione sociale per la pianificazione, é pressocché inevitabile che i metodi di organizzazione sociale e politica della pianificazione di—tipo sovietico vengano- impiegati in ogni caso ï cïii stano realizzati un cantiere od un'impresa attraverso l'aiuto di un paese socialista. Anche un solo cantiere (come ad esempio l'acciaieria di Bhilai in India) dove i tecnici sovietici creino il ritmo e l'atmosfera collettiva di entusiasmo per il compimento del piano e la trasformazione delle sorti materiali del paese, può bastare a costituire un metro di paragone con l'economia arretrata di tutta una nazione e rappresentare una spinta a più radicali trasformazioni sociali. E' chiaro inoltre che per la relativa piccolezza di queste imprese, per il loro carattere isolato e per il finanziamento esterno ricevuto, il metodo sovietico di sviluppo é in grado in questi casi di provare le sue migliori qualità senza rivelare i1 peso che per un paese intero può rappresentare lo sforzo generale e continuato di creare un'industria pesante a rapido ritmo e con le sole risorse interne.
Assai più difficile é dire se l'irrigidimento della politica sociale all'interno della Cina nell'ultimo anno e l'accantonamento
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del gradualismo che fino a due anni fa era parso contraddistinguere la « via cinese al socialismo » possano rafforzare le simpatie dei paesi neutrali verso la politica di pianificazione a seguito della constatata forte espansione della produzione cinese avvenuta in concomitanza con l'adozione della nuova politica sociale, o se invece possano irrigidire le tendenze delle nazioni asiatiche non socialiste contro ogni tentativo di trasformazione industriale pianificata. Anche in questo caso la scelta non é di politica estera, di allineamento all'uno o all'alto blocco, bensì una scelta di politica interna: se cioè si debbo scegliere ,benefici , della pianificazione anche a rischio di dover ricorrere..: a. radicah trasfor-
rt_.
..n,
mazioni sociali o se si debba preferire, quale ne sia il costo in termini umani immediati, uno sviluppo economico che bruci le tappe ed assottig-liprimä che diventi incolmabile, il fossato che separa l'Asia dalle potenze industriali.
Proprio sul problema dei metodi e dei ritmi dello sviluppo e sui riflessi di esso sull'órgánizzazioñe sociale e politica si é manifestata da Bandung in poi la più profonda trasformazione nei paesi asiatici neutrali. Dal punto di vista politico il corso verificatosi negli ultimi tre anni in India, Indonesia e Birmania é stato caratterizzato soprattutto dallo sfaldamento del _gruppo_ socialmente eterogeneo che, guidò la lo ta per indipendenza e che ora si trova, per procedere alle scelte necessarie per*`Ic`sviluppo, a mettere a nudo le componenti sociali contrastanti che la lotta per la mera indipendenza politica aveva invece fuso e fatto apparire affini. D'altra parte — fenomeno parallelo ma non meno decisivo — i partitiicomurústi di uestiy Eaesi vanno mutando loro posizioni, e cercano di inserirsi, come rttore indispensabile ar proseguimento della politica di indipendenza e sviluppo, nella dialettica in corso nei dominanti raggruppamenti nazionalisti-borghesi. Questo tentativo di rendere indispensabile l'appoggio comunista per il proseguimento della pianificazione viene portato innanzi su due piani: da un lato come appoggio dall'esterno al settore progressivo dell'attuale gruppo dirigente, in modo da consentirgli di premere da posizioni di forza per attuare il programma rinnovatore, dall'altro come formazione di un'alternativa ca-
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pace di dirigere quella stessa politica di sviluppo che i movimenti nazionalisti fossero costretti a lasciar cadere.
Il paese dove lo sfaldamento del vecchio gruppo dirigente nazionalista potrà avere conseguenze più importanti per la situazione mondiale è naturalmente l'India, L'India di oggi é assai diversa dall'India di Bandung e più avanzata di allora sulla via dell'industrializzazione e della democrazia progressiva, comunque più lontana dal passato feudale e dal fanatismo religioso: tuttavia l'urgenza di certe scelte sociali fondamentali é oggi in India assai più pressante di quanto fosse tre anni fa ed il rinvio nelle decisioni da prendersi potrebbe implicare, ora come non mai, un pericoloso arresto per il paese ed il ritorno di situazioni e forze considerate superate.
Il gruppo al quale incombe la maggiore responsabilità nelle scelte da compiere é il partito del Congresso, non soltanto perché esso detiene il potere con maggioranza assoluta al parlamento e controlla attraverso una vasta rete di interessi le strutture economiche e politiche del paese, ma perché rappresenta la formazione politica nella quale si esprime la borghesia indiana, intesa nel senso più lato. Quindi la scelta del Congresso é la scelta delle classi non feudali e non proletarie indiane; inoltre il Congresso è, a differenza del Kuomintag cinese nel 1927, in grado di tenere i contatti anche con vaste masse contadine. Finora Nehru, che all'epoca di Gandhi fu l'anima di sinistra del nazionalismo indiano, e più spesso un oppositore ideologico e politico delle tesi sociali del Mahatma che un pedissequo seguace, é riuscito a dominare la macchina del Congresso, questa informe federazione di movimenti diversi che ha coperto con un vago interclassismo la predominanza nel suo seno dapprima dei proprietari terrieri, poi dei rappresentanti degli interessi capitalistici e che ora si trova impegnata nella costruzione di una società che si pretende avviata al socialismo.
Nehru ha costretto il Congresso e la borghesia indiana che ne rappresenta il gruppo dirigente ad adottare in teoria e ad attuare almeno parzialmente in pratica una serie di principi e di misure che hanno provocato un'effettiva trasformazione ed
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hanno fatto compiere all'India buona parte della rivoluzione democratico-borghese: in India esistono oggi tutti gli strumenti giuridici e costituzionali per creare una società moderna, pro-gressivá, Iaica ed-egualitaria ed anche per avviarla attraverso una pianificazione gradualista a certe forme di organizzazione di ti- po socialista.
Questa situazione era già stata raggiunta tuttavia all'epoca di Bandung: l'attuale classe dirigente aveva già fin da allora accettato in termini generali ed in teoria la trasformazione della società indiana secondo i principi democratico - progressivi o perché questa trasformazione era ideologicamente consentanea al proprio pensiero ed economicamente favorevole ai propri interessi (e ciò vale soprattutto per le forze borghesi, sia della borghesia capitalistica sia di quella intellettuale o burocratica) o perché il moderato gradualismo sostenuto da Nehru era considerato un male minore rispetto ad una più violenta rivoluzione, oltre che un processo di cui si sarebbe potuto sabotare in pratica la continuazione (e ciò vale soprattutto per i grandi proprietari terrieri e le altre forze sopravvissute del passato semifeudale).
In particolare va notato chela litica di sviluppo non é
di per sé in India in contraddizione con gli interessi della borg hesiä ma anzi é favorevole ad essi ed inoltre che, àrrieTña—fino a che la borghesia controlla esclusivamente l'apparato economico ed amministrativo dello Stato, essa può anche vedere con favore una certa misura di pianificazione e di estensione dell'economia statale, per coprire i settori di minor reddito e di più gravosi investimenti nello sforzo di sviluppo. Con ciò si spiega l'adesione di forti gruppi della borghesia alla politica di pianificazione di Nehru ed anche l'adozione — per quanto paradossale ciò possa parere — di « principi socialisti » per lo sviluppo della società indiana, deliberata dal partito del Congresso nel 1955.
Ma in questi tre anni la situazione si é trasformata sotto più di un aspetto: il secondo piano quinquennale orientato sull'industria e non più, come il primo, sull'agricoltura ed i lavori pubblici, ha incontrato presso il settore finanziario e industriale della borghesia assai minor favore del primo ed é stato accettato
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soltanto da una parte della classe dirigente, cioè da quei gruppi che possono trarre ancora dal piano vantaggi superiori al nocumento loro arrecato dall'espansione del settore statale nell'industria. Benché accettato in teoria, pur essendo formulato su basi sostanzialmente modeste e comunque tali da non sovvertire il carattere della società indiana, in pratica il piano è stato in gran parte ed in modo sempre più evidente sabotato dalle classi abbienti: la resistenza ad ogni modifica radicale della politica fiscale (tuttora la grande maggioranza degli introiti statali deriva da dogane, dazi ed altre imposte indirette mentre_ le imposte sulle entrate e sul patrilboniä, Y sóltänto leggermente progressive
e frequentemente q esente evase, non danno che un gettito secondario), il rallentamento della formazione del risparmio o comunque del suo incanalamento a scopi produttivi, l'intensificarsi della speculazione sui beni di prima necessità, con la richiesta di assegnare al settore privato una posizione di priorità nella fornitura di merci e nell'importazione di macchine e materie prime che per la loro scarsità dovrebbero essere riservate al settore pubblico, sono tutti sintomi di questa sabotaggio.
Di conseguenza Nehru si è trovato nell'alternativa tra alienarsi, con una politica di sinistra e di rottura, l'appoggio di buona parte del suo partito e delle classi sociali che esso rappresenta o di limitare gravemente il piano. Non avendo potuto, anche per mancanza di sufficienti forze sociali e politiche, dentro e fuori il Congresso, disposte ad appoggiare in pieno il perseguimento e l'irrigidimento della politica pianificatrice, scegliere chiaramente e definitivamente una delle due alternative, Nehru si trova ora a sopportare le conseguenze negative di entrambe le scelte. Ha dovuto cioè decurtare ufficialmente il piano, già tanto modesto, di almeno un 15 per cento, e non ha potuto trovare soluzioni per innestare un movimento di rapida espansione della economia anche a scadenza più lontana.
D'altra parte contro di lui si è scatenata (con quel rispetto per le forme esteriori che l'enorme popolarità del primo ministro richiede pur sempre) un'ondata di attacchi da parte di gruppi politici e sociali che finora si erano schierati con il Con-
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gresso ma che si rivelano ormai come un'opposizione di destra a Nehru, all'interno o al di fuori del partito di governo. Si tratta in genere di un'intensificata attività di gruppi regionalistici e se-
paratisti che giocano su risentimenti locali spesso giustificati
dal centralismo inefficiente di Nuova Delhi — a sulle reazioni create dal burocratismo assai diffusa in tutti gli enti statali, per risuscitare e lanciare contra la politica di pianificazione (che deve ricorrere ad un certo grado di autoritarismo) quelle forze centrifughe che caratterizzarono in senso negativo tutta la storia dell'India e che dal 1947 in poi erano state tenute a freno proprio dal fattore unitario ed unificatore rappresentato dalla politica progressiva e dallo sforzo per lo sviluppo.
Un altro aspetto della lotta contro Nehru (anche più del precedente subdolo e difficile da combattere) é il rafforzarsi entro il Congresso, soprattutto nei governi regionali controllati quasi dovunque dal Partita, di consorterie locali, spesso largamente corrotte e legate ad interessi semifeudali o monopolistici. Nehru ha dovuto e potuto intervenire ad epurare i dirigenti del suo stesso partito nei casi di più grave scandalo, quando le posizioni del Congresso stavano già per precipitare sotto i colpi delle opposizioni e di personalità uscite dal Congresso proprio per denunciarne la corruzione su base locale. Nella maggior parte delle situazioni però, il primo ministro non ha potuto — per ovvie esigenze di lotta politica e per salvaguardare il suo partito contro gli avversari — porre argine ad uno stato di cose che, senza raggiungere l'aperta violazione della legge, mina la efficienza del partito di governo e lo mette comunque fuori gioco come strumento progressivo. Il gruppo di sinistra del Congresso, al quale grosso modo fa capo Nehru, pur controllando in una certa misura la politica del governo centrale, si trova cosí a dipendere su base locale da gruppi e consorterie che sono quanto mai lontani, per i loro interessi sociali diretti, dalla linea sostenuta dal primo ministro, che risulta quindi inevitabilmente compromessa e legata da queste connivenze.
Una situazione di questo tipo implica una contraddizione fondamentale in quanto le tendenze centrifughe e le minacce di
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un ritorno alla stasi rendono più che mai indispensabile ed urgente l'attuazione, e l'attuazione integrale, del piano, che viene a costituire l'elemento decisivo per rafforzare l'unità nazionale, mentre indeboliscono le stesse possibilità che a Nehru si presentano di premere sul paese per ottenere da esso il compimento del piano. Le difficoltà nelle quali si trovano il primo ministro e la sua corrente non sono casuali e inducono ancora una volta a chiedersi se la politica di pianificazione innovatrice sia affatto possibile senza essere stata preceduta da un basilare compimento della rivoluzione sociale e senza un'integrale mobilitazione delle masse che consenta, volontariamente o con un certo grado di coazione, di sfruttarne tutte le energie e di molplicarne le iniziative.
A questo proposito bisogna tener presente che in un paese arretrato come l'India e povero in senso assoluto di capitali liquidi, caratterizzato dall'estrema ristrettezza della classe borghese e comunque abbiente, l'accumulazione dei capitali per lo sviluppo può essere effettuata soltanto sfruttando e potenziando l'unico fattore produttivo liberamente -disponibile e sostituibile (entro certi limiti ovviamente) alla deficienza del « fattore capitale » e del « fattore materie prime »: la capacità di lavoro delle masse. Sia i primi piani sovietici, sia i piani cinesi furono e sono attuati con la mobilitazione di" queste energie produttive delle masse e còn la larga sostituzione del « fattore lavoro » a molti altri fattori produttivi, 'che sono bensì eccedenti o disponibili nelle società 'capitaliste sviluppate ma che i pianificatori indiani (allievi in gran parte degli economisti progressivi britannici e seguaci di molte delle loro teorie) sperarono invano di veder intervenire nella società indiana. Certamente la sostituzione del «fattore lavoro » ad altri fattori produttivi é in contraddizione con la tesi finora sostenuta dal Congresso di poter pianificare ed edificare un'economia sviluppata senza sofferenze e rotture, soprattutto senza rivoluzione sociale.
E' probabile che la sinistra del Congresso si sia resa conto da tempo che la pianificazione e l'industrializzazione implicherebbero un costo umano e, ad un tempo, una serie di trasforma-
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zioni sociali assai maggiori di quelle che la borghesia indiana è disposta ad accettare e tollerare, e che quindi si attendesse l'attacco del quale ora è fatta oggetto da destra. Comunque essa ha inteso come il successo del piano sia condizionato ad una larga mobilitazione delle masse e come quest'ultima sia possibile soltanto se le masse stesse sentono che il patrimonio creato con il gravoso sforzo collettivo viene destinato ad un beneficio del pari collettivo e non corre il rischio di essere monopolizzato, ora o nel caso di un'involuzione di destra, da un gruppo ristretto di proprietari terrieri, burocrati o capitalisti privati.
Proprio in questo punto sta il maggiore scoglio per la politica progressiva del Congresso, perché nelle campagne indiane, dove vivono i quattro quinti della popolazione, non é ancora avvenuta quella rottura che recide definitivamente i legami con il vecchio mondo semifeudale del proprietario, dell'usuraio e dell'esattore: non solo non é stata attuata in India una riforma agraria che sopprima del tuttola conduzione indiretta della terra, ma neppure sono state applicate integralmente quelle leggi moderate e graduali (del tipo della « legge stralcio » italiana) da tempo decise ma poi rimaste in parte lettera morta o per le pastoie burocratiche e la collusione tra le amministrazioni locali ed i proprietari, o per l'alto livello degli indennizzi ai proprietari fissati al di là della capacità del governo di sopportarne l'onere. Nonostante l'attenzione dedicata da Nehru alle campagne, nonostante il tentativo di risolvere il problema della terra attraverso sistemi gandhiani di donazione volontaria di lotti poderi e interi villaggi e nonostante i risultati positivi dati dalla pianificazione nel settore agricolo (con un notevole aumento della produzione), non é possibile in India contare sulla mobilitazione politica ed economica delle campagne attorno ad una pianificazione progressiva, se non iniziando un processo di trasformazioni sociali assai più profonde e probabilmente anche più violente di quelle attuate finora. E' dubbio se la sinistra del Congresso saprà e vorrà dare un colpo decisamente rivoluzionario alla situazione nelle campagne, che resta il termine decisivo per il successo o l'insuccesso della lotta di ogni forza progressiva in Asia.
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Considerazioni affini potrebbero essere fatte anche per ció che concerne la popolazione urbana, tanto nei ceti operai quanto in quelli intellettuali. Cosicché in ogni settore della vita nazionale indiana la possibilità di continuare la politica di progressismo democratico e di industrializzazione perseguita da Nehru é subordinata alla creazione di un nuovo rapporta di condizionamento reciproco tra le forze sociali necessarie a dare propulsione allo sviluppo e le forze detentrici del potere. In questa situazione il maggior problema consiste nel veder se la sinistra del Congresso abbia la capacità di determinare un siffatto nuovo condizionamento dei vari fattori o se invece essa si trovi bloccata dalla destra del partita dominante e costretta ad accettare una stasi che non sarebbe che la preparazione ad un regresso. Qualora si ravvisi una possibilità di sopravvento degli elementi progressivi su quelli conservatori del Congresso é necessario vedere anche se essi potranno giungere al successo da soli o se invece sarà necessaria una spinta a loro favore di forze per il momento escluse dal potere.
Si tratta evidentemente di un problema che non si poneva all'epoca di Bandung, quando tutti gli osservatori erano concordi sulla stabilità e l'unità del Congresso dietro a Nehru e si ponevano semplicemente interrogativi sul possibile successore di Nehru « entro il Congresso » e nel quadro della politica di questo ultimo. Fino ad ora Nehru é riuscito a mantenere nella politica condotta a livello centrale dal partito dominante una certa unità nella formale adesione alla sua linea progressiva. Ma questa formale unità é lungi dal bastare in un periodo in cui sarebbero invece necessarie chiare ed energiche prese di posizione di rottura. Inoltre anche questa fittizia coesione é per ora consentita, oltre che dalla presenza della personalità di Nehru, .dalle concessioni che il primo ministro ha ritenuto di dovere e poter fare a certi gruppi di destra su piano regionale e nazionale, sperando di ovviare poi ad esse con manovre interne di partita e con la sua consumata abilità di capo-frazione.
Ora tuttavia questo equilibria di mosse e di interessi tenuto in piedi personalmente dal primo ministro (che accentra sulla
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sua persona più poteri ed in settori più vari che qualunque altro capo . politico) sembra avere un limite nel tempo: non tanto il limite della vita naturale di Nehru, quanto il limite dell'unità e del potere del Congresso, oppure quello della presenza di Neh-xu alla testa del partitio e del governo. L'attacco pressante a Nehru da destra apre nuove prospettive: da un lato quella del possibile accantonamento di Nehru e della sua sostituzione con uomini di second'ordine graditi alle forze conservatrici, dall'altro quella di una scissione nel Congresso con la formazione di un partito conservatore, antistatalista, antisocialista e regionalista in funzione di opposizione alla politica progressiva. Mentre non è da escludere l'ipotesi che Nehru stesso accetti di attenuare e di moderare la sua politica sociale, pur nella coscienza delle gravi con-j seguenze implicite in questa decisione.
Infine, anche nell'ipotesi del mantenimento dell'unità del Congresso, l'apparato del partito governativo, assai macchinoso ma intaccato dall'intrinseca posizione contraddittoria di gruppi sociali e politici sui quali si basa, regge sempre più difficilmente alle spinte divergenti che lo influenzano, tanto che le ultime elezioni locali o parziali hanno rivelato un processo di sgretolamento assai più rapido e profondo di quanto ci si potesse aspettare uno o due anni fa. Il fatto più grave in questa situazione é che i benefici dell'indebolimento del Congresso sono andati più a vantaggio dei partiti della destra confessionale indù, messasi alla testa delle rivendicazioni separatistiche e conservatrici, che del partito comunista o di altri gruppi di sinistra.
La battaglia dei comunisti indiani per presentarsi come una forza capace di costituire una reale ed efficiente alternativa al Congresso, oppure di divenire un alleato in funzione propulsiva per la politica di Nehru, é ancora quindi incerta, lunga e dura._; Essi hanno potuto registrare nelle ultime consultazioni elettorali, generali o parziali, una sensibile avanzata, che li ha fatti diventare il secondo partito del paese e li ha portati per la prima volta al potere nella regione di Andhara. Tuttavia va scartato il concetto semplicistico della propaganda di certi ambienti americani in base alla quale una sconfitta di Nehru e del suo metodo
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di « pianificazione democratica » implicherebbe ipso facto l'ascesa al potere dei comunisti: la probabilità assai più imminente e concreta è che la situazione' indiana scivoli a destra, e proprio per` evitare quest'ipotesi i comunisti stanno cercando di elaborare ex novo il loro programma e di inserirsi nel processo storico attuale dell'India come una forza che partecipi dall'interno alla dialettica democratica del paese.
La trasformazione del peso e delle posizioni dei comunisti indiani é stata uno degli sviluppi più importanti e meno notati verificatisi da Bandung in poi. Tre anni fa la maggioranza degli osservatori occidentali riteneva che il partito comunista in India fosse un fattore completamente superato, eliminato dal gioco per il semplice fatto che Pechino e Mosca avevano dimostrato di essere disposte a riconoscere la funzione positiva di Nehru e ad appoggiare la sua politica senza porre condizioni di ordine interno. Indubbiamente la storia del partito comunista indiano é stata delle più agitate ed incerte e, nei primi anni susseguenti all'indipendenza, la lotta estremista contro il regime di Nehru
e la tattica insurrezionale (delle quali non si saprebbe dire facilmente se sia stata ispiratrice una generale linea politica adottata da tutti i partiti comunisti asiatici o piuttosto un'incauta adesione del partito allo stato d'animo esasperato di masse povere
e primitive) contribuirono certamente ad isolare il partito, ad indebolire le forze progressive in India, ivi compreso il gruppo di Nehru, ed ha mettere in difficoltà la politica estera generale del blocco socialista.
Ora comunque quest'atteggiamento é stato completamente rivisto e, al termine di un processo durato parecchi anni, il par- tito comunista indiano ha adottato nel suo recente congresso dell'aprile scorso, una linea politica basata sull'attuazione pacifica
e democratica del socialismo, attraverso la conquista della maggioranza parlamentare alla periferia ed al centro. Contemporaneamente esso ha deciso di appoggiare con sempre maggiore energia le misure progressive, lo sforzo di industrializzazione ed i tentativi di aprire in senso socialista la società indiana, pur continuando a denunciare i casi di involuzione conservatrice del
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Congresso. I comunisti indiani da un lato offrono così a Nehru un appoggio dall'esterno alla sua politica, dall'altro si mantengono pronti a succedere eventualmente al Congresso: quali siano tuttavia le loro prospettive di giungere a dirigere un fronte di sinistra comprendente il Congresso e come essi prevedano di po- ter trasformare in un'economia socialista la molteplice struttura di settori sociali a carattere diverso attualmente alla base della economia indiana è difficile dire.
La vecchia prospettiva della « collaborazione con i movimenti nazionalisti borghesi per dirigere la loro lotta contro le forze feudali ed imperialiste » non è necessariamente in contraddizione con le esigenze che i comunisti indiani si trovano ad affrontare: essa anzi sembra si possa considerare tuttora la radice delle loro posizioni. Tuttavia le tesi che furono usate in Cina nei confronti del Kuomintang nel 1925-27 (ed anche in quel caso è assai discutibile il successo ottenuto) sono ovviamente insufficienti oggi nei confronti del Congresso che ha ottenuto, proprio nella lotta per attuare la fase borghese-democratica ed antimperialista della rivoluzione successi assai maggiori di qualsiasi altro movimento nazionalista. Sotto una certa prospettiva il problema della collaborazione con la sinistra del Congresso presenta quindi una certa affinità con quello della collaborazione dei comunisti con i movimenti socialisti non marxisti. Data la particolarità della situazione indiana (cioè dato il livello al quale è giunta qui più che in qualsiasi altro paese emerso dal dominio coloniale, l'eliminazione dei residui del colonialismo e del feudalesimo) il problema che devono fronteggiare i comunisti in- I diani non può essere risolto puramente entro gli schemi elabo-1 rati in Cina da Mao per una società « semicoloniale e semifeudale »: l'India oggi è un fenomeno assai più complesso, perch' in essa coesistono residui semicoloniali e semifeudali, con vast settori borghesi ed altri semisocialisti.
Come potranno i comunisti indiani inserirsi nel gioco e portare gradualmente alla prevalenza il settore semisocialista ? A questo proposito bisogna tener presente che l'atteggiamento contro il « revisionismo » e contro tutti i tentativi di organizzare
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società di tipo socialista su basi sostanzialmente diverse da quelle dell'URSS, assunto nell'ultimo anno dai partiti comunisti e primo fra tutti dal partito comunista cinese, non sembrano consentire ai comunisti indiani di nutrire eccessive illusioni — se mai ne ebbero — sul carattere socialista o semisocialista della politica di Nehru. Essi quindi per ora limitano la positività della « linea Nehru » ed il loro appoggio ad essa con un giudizio derivato in generale dalle tesi della « Questione nazionale e coloniale » e della « Nuova democrazia » : essi giudicano cioè la linea di Nehru una politica « borghese » assai progressiva, obiettivamente utile e tale da essere portata fino in fondo, ma la considerano pur sempre come una fase, per quanto avanzata, di un più lungo processo rivoluzionario, il cui coronamento sarà attuato solo sotto la direzione dei comunisti.
Sotto certi aspetti la situazione indiana attuale differisce essenzialmente da quella cinese del 1927 per il fatto che, mentre nel Kuomintang le forze di carattere feudale e legate agli interessi stranieri avevano preso il sopravvento costringendo i comunisti alla lotta armata contadina, in India il prevalere degli elementi borghesi ormai delineatosi, consente l'adozione di una tattica democratica, legalitaria ed elettorale come quella finora fatta propria soltanto dai partiti comunisti dei paesi borghesi democratici, quali ad esempio l'Italia o la Francia. Resta da vedere, se entro questa prospettiva, i comunisti indiani possano giocare sulla particolare situazione del loro paese per evitare di essere bloccati per lungo tempo su una posizione di minoranza costituzionale e legalitaria come nei due paesi europei.
Al momento attuale essi sembrano voler inserirsi nelle contraddizioni esistenti tra Nehru ed i suoi avversari, in modo da sventare l'ipotesi di un reflusso a destra e di un rafforzamento delle forze semifeudali (che potrebbe creare una situazione affine a quella della Cina dopo il 1927) e da presentarsi al primo ministro come una forza indispensabile al successo delle sue tesi. Finora Nehru (che verso i comunisti indiani ha un atteggiamento più conciliante che in passato, lodandone l'evoluzione in senso democratico) non si é mai trovato nella necessità di contare sui
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comunisti come su un gruppo indispensabile per salvare la sua politica: egli ha sempre proceduto a concertare entro il Congresso soluzioni di compromesso da far adottare poi con criteri unanimistici dalle varie frazioni, sicché il vero gioco della politica indiana si è sempre concluso al di fuori delle sedi parlamentari e senza decisioni di stretta misura nelle quali l'appoggio comunista potrebbe essere necessario a Nehru. Ma se l'attacco da destra continuerà il primo ministro potrebbe essere costretto a scegliere tra l'appoggio dei comunisti e la rinuncia al piano e al progresso.
Ad ogni modo l'evoluzione dei rapporti tra Nehru ed i comunisti indiani presenta notevole interesse per i problemi generali, riguardanti sia le trasformazioni sociali nei paesi sottosviluppati, sia la politica dei partiti comunisti nei paesi non socialisti ma non ostili all'URSS. Da un lato l'esperimento indiano dimostrerà fino a che punto è possibile per un governo non comunista attuare una politica di trasformazione senza dover ricorrere a quelli co o io,. e c n i._,comunisti c1 carats erizzó l'Europa uscita dalla Resistenza e che poi fu accantonata n ll'E„~ u paa occidentale proprio çöñtemporaneamente alla politica di rinnova-eenfö áperta—dalla Resistenza stessa.
D'altro lato il caso dell'India è nuovo nei rapporti tra il movimento comunista considerato come fenomeno mondiale generale ed uno Stato nazionale particolare. Benché i comunisti indiani siano all'opposizione e comunque esclusi dall'elaborazione attiva della politica del paese, l'URSS ha collaborato dal 1955 in poi con Nehru rafforzandone la posizione e, quali che siano le obiettive conseguenze sociali dello sviluppo in India, l'aiuto sovietico non è mai stato criticato da alcuno come un contributo alle mire del partito comunista indiano, né mai sono risultate particolari « connivenze sovversive » tra l'URSS ed i comunisti indiani. Lo stesso sembra valere per la Cina e, se vi sono stati in India timori e diffidenze verso Pechino, essi si sono sempre concentrati più sull'eventualità di pressioni ed interferenze esterne dello Stato cinese su quello indiano, che su infiltrazioni dell'influenza cinese attraverso i comunisti indiani.
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!tra lo Stato sovietico ed uno Stato estero siano sostanzialmente (e non solo formalmente) separati dai rapporti tra il partita comunista dell'URSS ed il partito comunista dello Stato stesso. È pro-i babile che a determinare questo fatto contribuiscano fino ad un certo punto elementi tattici e come tali non duraturi, tuttavia sembra esservi da parte sovietica una certa considerazione della particolarità dei rapporti con l'India quale principale potenza del mondo afro-asiatico. Così pure è certo che l'attacco al neutralismo di Tito non vuole essere da parte sovietica (anche se vi possono essere e vi sono stati riflessi politici negativi da parte di Nehru) un attacco al neutralismo indiano, perché è evidente che la denuncia del « revisionismo » riguarda il movimento jugoslavo in quanta si voglia presentare come membro del « mondo socialista » e membro « diverso ».
Ma ciò non vale nei confronti di un movimento borghese progressista come quello di Nehru, il cui neutralismo viene consi- derato rientrante nel fenomeno dell'antimperialismo dei paesi che furono soggetti a dominazione coloniale. Mentre Tito viene accusato quale transfuga dal blocco dei paesi ad organizzazione socialista, Nehru viene giudicato come un fenomeno « obiettivamente positivo » di incrinazione del mondo borghese, attraverso la lotta anticolonialista. Almeno questa è la situazione finché Nehru non vuole veramente presentare l'India come uno Stato socialista, per quanto « diverso ». Né i comunisti indiani né quelli sovietici o cinesi sembrano, tuttavia, aver mai dato molto peso alle tesi socialiste del Congresso e non ne daranno finché esse non saranno state attuate.
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Diverso è il processo che caratterizza lo sfaldamento della unità delle compagini nazionaliste-borghesi in Indonesia ed in Birmania. La borghesia di questi paesi è stata ed è assai più debole di quella indiana, soprattutto ne è- debole il settore capitalistico finanziario. Manca un capitale nazionale privato, mancano i ceti inferiori della borghesia mercantile o commerciale
Quello dell'India è quindi il primo caso nel quale i rapporti
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ed il settore esistente di economia moderna (per lo più rappresentato da piantagioni di prodotti agricoli pregiati, da aziende per l'estrazione di materie prime o piccole fabbriche di beni di consumo immediato) é tuttora controllato in gran parte dal capitale straniero. In questi due paesi é avvenuta puramente la fase anticoloniale e politica della rivoluzione e si é ben lungi dal poter parlare, come in India, di avanzato compimento della intera fase borghese-democratica di essa.
Il carattere prevalente della società é quello semicoloniale, sa prattutto per ciò che riguarda le strutture economiche essenziali, mentre in India questa prevalenza é cessata; come in India, sopravvivono invece residui economici ed ideologici del regime feudale, in particolare nelle zone lontane dal centro, ma essi assumono più il carattere di movimenti separatisti e particolaristici che quello di palese oppressione sulle masse contadine; infine il settore moderno dell'economia che non é sotto il controllo straniero ha un certo carattere collettivistico-statalista, che sarebbe difficile definire « socialista », anche assumendo il termine nel senso più generico, e che ha invece affinità con un dominio burocratico. A differenza dell'India inoltre lo sforzo di sviluppo in questi paesi non si é ancora avviato in modo deciso e continuo ed in certi casi é stato stroncato sia da quelle forze retrive che ora lo minacciano in India sia dalle interferenze straniere.
Tuttavia l'Indonesia e la Birmania non sono neppure nelle condizioni dei paesi dell'Asia dominati da classi reazionarie, disposte a scendere a qualsiasi compromesso con gli Stati Uniti pur di conservare il loro dominio semifeudale sulla terra o il loro monopolio sul modesto settore di economia moderna. L'attuale gruppo dirigente nei due paesi, quello che ha guidato la lotta per l'indipendenza politica, collaborando con i comunisti fino al 1948 e rompendo poi con essi attraverso una repressione violenta che li estromise dall'attiva elaborazione della politica di governo e, in Birmania, li esclude tuttora ufficialmente dalla legalità, é un grupo borghese-nazionalista a tendenze progressive e stataliste. La ragione sociale di questo progressismo va probabilmente ricercata nel fatto che i movimenti nazionalisti bir-
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mano e indonesiano sono stati espressi non da una borghesia capitalistica, bensì da quei gruppi di burocrati, di intellettuali e di piccoli borghesi, in gran parte spostati, che il dominio cola-niale ha creato ovunque e che furono spinti al radicalismo politico proprio dalla lotta contro il colonialismo.
Di qui la possibilità di fondere, durante la lotta per l'indipendenza politica, questi gruppi borghesi con forze genericamente « popolari », benché non proletarie (perché il proletariato era nei paesi asiatici minori tanto esiguo quanto l'industria moderna, mentre numerose erano le schiere del sottoproletariato urbano e rurale, privato della terra e di altri mezzi di produzione a seguito della rottura delle strutture sociali tradizionali operata dal dominio coloniale). Ad una classe di borghesi poveri e spostati corrispondeva così una serie di categorie popolari non inserite in stabili rapporti sociali. Di qui l'instabilità e le incertezze nella vita di questi paesi, la capacità di condurre una violenta lotta anticoloniale, ma di perdere poi la partita all'atto di strappare concessioni concrete. Dato che le classi di tipo borghese furono quelle che si trovarono al potere all'atto del raggiungimento dell'indipendenza, furono particolarmente evidenti la loro debolezza economica, la conseguente instabilità politica, la mancanza di chiarezza _ sulle soluzioni da dare ai problemi pressanti, il prevalere degli aspetti politici su quelli economici nel processo storico, la priorità al gioco dei partiti, delle frazioni e dei compromessi rispetto al tenace e concreto sforzo
per risolvere le questioni pendenti.
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f Questo « politicismo » si spiega del resto anche tenendo con-
to che la vita politica ed il controllo dello Stato sono per la classe borghese di questi due paesi il mezzo di detenere una. fonte di potere, non soltanto politico ma anche economico. Lo Stato, con le sue strutture semi-collettivistiche e burocratiche, il « mezzo di produzione » che questa classe controlla, così come altre borghesie controllano il capitale e le imprese private. Ma proprio sul piano politico si sono recentemente create le diflicol tà per i nazionalisti progressivi indonesiani e birmani: per salvarsi dall'attacco dei loro avversari di destra, che riel caso della.
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Indonesia sono forze confessionali legate ad interessi particolaristici e semifeudali e nel caso della Birmania sono semplicemente il settore più abbiente della nuova borghesia burocratica, essi hanno dovuto rinunciare a tenere al bando dalla gestione degli affari e dalla vita politica le forze comuniste e filocomuniste, che nel 1948 gli stessi nazionalisti avevano ritenute superflue per la loro vittoria e pericolose per i loro interessi.
Né in Indonesia né in Birmania questa reimmissione dei comunisti nell'attiva direzione degli affari del paese è ancora avvenuta pienamente. In Indonesia, dove vige in linea di principio un'effettiva democrazia politica, limitata finora soltanto localmente dalle interferenze delle forze reazionarie poi impegnatesi nella secessione antinazionale, il governo attuale é una compagine nazionalista orientata a sinistra che ha l'appoggio dei comunisti e che ha anche stroncato con la forza il tentativo della destra confessionale (appoggiata in questo e per questo dagli Stati Uniti) di provocare la repressione anticomunista e di orientare a destra il movimento nazionalista. I comunisti non partecipano tuttavia al governo (ché comunisti non sono tre ministri indipendenti filocomunisti) e finora sono stati vani gli sforzi del presidente Sukarno per sancire con la loro partecipazione alla direzione del paese un'alleanza di tipo fronte popolare tra. forze nazionaliste e forze comuniste.
Ora che la secessione armata della destra é stata sconfitta per l'azione tempestiva ed energica dell'esercito, ma anche per le resistenze opposte alla secessione dai gruppi socialmente e politicamente più avanzati dei lavoratori di Sumatra e di Giava, si presenta per i nazionalisti indonesiani la necessità di una scelta a breve scadenza: se essi non consolideranno rapidamente la loro politica progressiva, accantonando i personalismi ed i giochi di partito che sono stati fin qui causa di tante incertezze nella politica economica e sociale indonesiana, il sopravvento potrebbe andare ai militari, la cui fedeltà a quegli ideali di democrazia laica, repubblicana ed unitaria (che sono sempre stati la base delle tesi ideologiche dei nazionalisti indonesiani) si è rivelata assai scarsa proprio in occasione delle secessione separatista di Sumatra
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alla quale hanno partecipato numerosi militari. Più sintomi inoltre sembrano indicare che la prima vittima di un « potere forte » dei militari sarebbero proprio i gruppi nazionalisti e gli interessi che ad essi fanno capo.
Per evitare la dittatura militare e il conseguente accantonamento di tutte le forze progressive che hanno finora guidato l'Indonesia, i gruppi nazionalisti devono impegnarsi più a fondo per rendere efficiente e stabile l'organizzazione democratica del paese, per iniziare una politica economica di sviluppo che ora è più urgente che mai per colmare i danni economici causati dalla secessione e dalla guerra civile. Ma da questa conferma del metodo democratico e della politica di sviluppo potrebbe trarre vantaggio soprattutto il partito comunista che guarda già alle elezioni che dovrebbero essere tenute nel 1959 come alla grande occasione di un successo di sinistra da ottenersi o attraverso la lotta dei partito comunista da solo, o attraverso un fronte tra nazionalisti e comunisti. Rinviando le elezioni il partito nazionalista si troverebbe alla mercé di quei gruppi musulmani di centro destra, che, pur avendo sostenuto e fomentato la secessione, si sono poi astenuti dal parteciparvi sperando di poter agire come arbitri e mediatori tra un governo incapace di reprimere la rivolta ed i ribelli incapaci di ottenere una vittoria decisiva; indicendole esso deve assicurarsi un successo a sinistra in modo da non rinnovare il paralizzante equilibrio di forze opposte emerso dalle elezioni del 1955.
i' Il problema dei rapporti tra il gruppo nazionalista progres-r sivo ed i comunisti é quindi in Indonesia in uno stadio assai I più avanzato che in India, dove le concessioni e la mediazione di Nehru e soprattutto la forza coesiva rappresentata dalla sua 1 personalità hanno finora rinviato quella rottura con le forze 1 di destra, che invece il radicalismo di sinistra e l'atteggiamento politico di Sukarno hanno favorito. Un appoggio da sinistra, anche a prezzo di concessioni politiche e sociali è quindi più urgente ed indispensabile (e forse anche ideologicamente più accettabile) per i nazionalisti indonesiani che per Nehru.
A differenza di quanto avviene in India, la collaborazione
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tra nazionalisti e comunisti indonesiani, (se non sarà stroncata da uria dittatura militare) non sembra destinata a porre problemi ideologici nuovi al movimento comunista nel suo complesso: questa collaborazione rientra infatti nelle vecchie tesi sulla necessità di unire comunisti e nazionalisti nella lotta contro le so-pravvivenze economiche del dominio coloniale (siano esse controllate dai decrescenti interessi olandesi o dai nuovi interessi delle compagnie petrolifere americane) e contro i residui delle forze confessionali e separatiste semifeudali. La debolezza economica e ideologica del nazionalismo indonesiano e l'atteggiamento di sinistra delle nuove leve nazionaliste permettono inoltre di prevedere la possibilità di un'effettiva direzione comunista in un'alleanza di questo genere, secondo le tesi di Stalin e di Mao. La probabilità di portare al successo un'alleanza nazionalista-comunista attraverso una vittoria elettorale anziché attraverso la lotta armata non costituisce di per sé un nuovo elemento nella teoria dei fronti popolari per i paesi semicoloniali e si inserisce logicamente nell'evoluzione di tutti i movimenti comunisti asiatici a favore del metodo democratico per la conquista del potere.
Più incerta é la situazione birmana e più recente la collaborazione tra filocomunisti e gruppi nazionalisti di sinistra (che tali sono le forze della Lega antifascista per la libertà del popolo, nonostante le loro professioni di fede in un socialismo più o meno fabiano). La rottura del gruppo, che fin qui resse la Birmania con un regime che in sostanza potrebbe essere definito di partito unico, é stata consumata soltanto all'inizio di giugno e solo allora, fratturatosi il potere monopolizzato in precedenza dalla Lega e dalla rete delle sue organizzazioni di massa, é stato necessario per i nazionalisti progressivi ricorrere ai voti dei filo-comunisti fino allora tenuti al bando. L'aspetto principale della nuova situazione consisterà probabilmente nella definitiva liquidazione della lotta armata infierita dal 1948 in poi tra governo e partito comunista ufficiale, nel ritorno del partito comunista stesso alla legalità e nella sua fusione con le forze filo-comuniste rimaste nella legalità ed ora alleatesi con i nazionalisti progressivi.
Questo mutamento nelle posizioni dei comunisti birmani,
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nonostante la scarsa entità che l'evento riveste rispetto alla situazione mondiale, è il più recente e sintomatico coronamento del processo svoltosi in Asia da Bandung in poi attraverso il prevalere degli sviluppi e degli interessi interni sulle ripercussioni di fatti e situazioni verificatisi fuori dello spazio di ciascun Stato asiatico. La rivolta dei comunisti birmani e la guerra ci- vile da essi mossa al regime nazionalista progressivo di . Rangoon non era i atti giustificata dalla situazione interna, né dalla po-lihca estera del governo birmano: ma rappresentò il tentativo estremo e più irrazionale di risolvere con la violenza e ëonfi-dandö in~úñ `ä ütö esterno (che nel caso della Birmania 'non fu concesso ai comunisti locali né dell'URSS né della Cina proprio per salvaguardare la loro collaborazione con i neutrali) i problemi sociali ed economici di un paese asiatico e di rompere fa collaborazione tra i -Comunisti e i gruppi democratico-progressivi della borghesia. Ora, spostatasi sui problemi interni e concreti dei paesi asiatici l'alternativa a lunga scadenza tra i diversi sistemi di organizzazione sociale, l'insurrezione armata e la divisione tra le forze comuniste e quelle nazionaliste sono state relegate tra gli strumenti ed i fenomeni di una fase precedente e superata.
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1958 Mese: 7 Giorno: 1
Numero 33
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33


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