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tipologia: Analitici; Id: 1465205


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Enzo Collotti, Noterelle e schermaglie. Lo straordinario Goethe-Institut di Lisbona 1969-1976
Responsabilità
Collotti, Enzo<Messina, 1929->+++
  autore+++    
Area della rappresentazione (voci citate di personaggi,luoghi,fonti,epoche e fatti storici,correnti di pensiero,extra)
Nome da authority file (CPF e personaggi)
Goethe-Institut di Lisbona+++   Titolo:oggetto+++   
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
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Mi piace citare questi versicoli di Scialoja raccolti da Porta perché piú di tanti altri altamente intonati mostrano come sia possibile far emergere dall'analisi del mezzo espressivo una critica non solo negativa delle sue possibilità; l'ambiguità, il sempre presente « altro senso » del nostro parlare è messo in rilievo attraverso un'intenzione comica, umilmente ma tanto piú in modo significativo (è necessario ricordare che anche il nonsense ha delle regole e non significa semplicemente « privo di senso »?).
Fuori di polemica, mi sembra che le capacità che si intravedono, che la magari caparbia fiducia nella forza della propria parola che è presente in tanti poeti meritino di essere indirizzate a mete forse piú ardue ma certo meno illusorie. Altrimenti, per tornare ai termini del discorso di Antonielli, si avrà davvero piú una « corporazione » che una « società di poesia », e sarà ancora lecito parlare della nuova Arcadia nel vecchio senso desanctisiano.
EDOARDO ESPOSITO
LO STRAORDINARIO GOETHE-INSTITUT DI LISBONA, 1969-1976
Un libro straordinario, un grande scrittore, un letterato colto e raffinato, esperto di letteratura e della civiltà lusitana, con alle spalle una lunga esperienza brasiliana, traduttore e mediatore di culture. Cosí si rivela nei suoi Diari portoghesi Curt Meyer-Clason, che dal settembre del 1969 alla fine del 1976 ebbe la ventura di dirigere il Goethe-Institut di Lisbona [Portugiesische Tagebücher (1969-1976), Königstein/Ts. Verlag Autoren Edition im Athenäum Verlag, 1979, pp. 417]. Un capitolo quindi della politica culturale all'estero della Repubblica federale tedesca. E bisognerebbe aggiungere un capitolo assai felice, se il Goethe-Institut non avesse ritenuto opportuno, allo spirare del contratto, privarsi della collaborazione di un uomo che nel panorama della politica culturale esterna della Bundesrepublik ha rappresentato certamente un'eccezione. Errore del Goethe-Institut? Esperimento? Calcolo? Forse tutti questi elementi insieme portarono alla nomina di Meyer-Clason, insieme probabilmente alla sottovalutazione della personalità dell'interessato, refrattario a farsi ridurre al rango della gestione burocratica e soprattutto ad assimilare gli stereotipi della concezione dell'ordine e della politica culturale come pura gestione dell'esistente iscritti nei regolamenti e nelle istruzioni della casa-madre, costruite sull'esercizio costante di censura e autocensura, appena coperte dall'ipocrisia (dopotutto, si trattava di gestire fondi del contribuente tedesco...) del servizio pubblico e del rispetto per la collettività.
Non fosse servito ad altro, l'errore del Goethe-Institut ha dato a Meyer-Clason la possibilità di offrirci con questo libro una testimonianza di grande civiltà e di grande umanità, di uno spirito di indipendenza e di libertà che certo non rifletteva i valori e le istruzioni che un direttore del Goethe avrebbe dovuto
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rappresentare a Lisbona. Un valore di testimonianza doppiamente significativo in quanto Meyer-Clason si è trovato a dirigere l'istituto di cultura di un paese della Comunità economica europea nel Portogallo a cavallo tra la dittatura e la rivoluzione dei garofani del 25 aprile del 1974. È singolare come attraverso le pagine di questo libro la frattura tra Meyer-Clason e i suoi superiori, anziché ricomporsi, dopo il 25 aprile finisca per allargarsi: non ultimo motivo d'interesse della sua testimonianza e motivo per riflettere anche sul modo in cui il mondo ufficiale occidentale, e in particolare della Bundesrepublik, ha vissuto la rivoluzione dei garofani, nella quale invece la nuova sinistra europea uscita dal 1968 fini per investire in parte le sue frustrazioni, in parte, la reale speranza che dalla periferia dell'Europa, da una posizione piú vicina al terzo mondo che all'Europa, potessero nascere i germi di un processo di trasformazione di tipo nuovo, non legato a nessuna delle vecchie ipotesi rivoluzionarie, non solo una rivoluzione senza violenza, fatta da soldati che non sparavano ma che inalberavano i garofani rossi sulla bocca dei fucili, ma la rivoluzione di un popolo intero, uscito sulle strade e sulle piazze di Lisbona invasa dalla « trasparenza leggendaria della luce lusitana », che è uno dei connotati, quella luce, quel colore, dell'atmosfera carica e insieme sonnolenta (non è un caso che uno degli interlocutori privilegiati di Meyer-Clason sia José Cardoso Pires, l'autore de Il delfino tradotto da noi l'anno scorso dagli Editori Riuniti) dalla quale l'A. legge i segreti e i pensieri nascosti di un popolo schiacciato e represso dalla dittatura e da una secolare letargia, una sorta di introversione (l'encoberto) , un'altra faccia della sua malinconia piú che della sua solitudine (la saudade), due concetti chiave della civiltà e della società portoghesi, ma animato anche da una infinita e costruttiva pazienza, da una volontà di emancipazione piú forte di quel lungo lavoro di interiorizzazione delle proprie frustrazioni cui sembrava averlo costretto la pratica dell'autocensura, esercitata per decenni anche solo per sopravvivere.
Le reazioni di Meyer-Clason, catapultato a Lisbona nella fase calante della dittatura di Salazar, colpita a morte dalla guerra coloniale che ha letteralmente dissanguato il paese, interessano certo per l'atteggiamento dell'intellettuale democratico (quanti direttori di istituti di cultura della Bundesrepublik citano Rosa Luxemburg?) che rappresenta una delle potenze egemoni dello schieramento atlantico in un paese in cui la dittatura è tollerata dagli alleati anche perché il Portogallo è una base Nato di importanza strategica insostituibile, una testa di ponte verso l'Atlantico e verso l'Africa. Ma interessano soprattutto per la dicotomia che rivelano tra ciò che i suoi superiori si attendono da lui e il modo in cui egli interpreta i suoi compiti; tra l'atmosfera del mondo delle ambasciate e degli istituti dl cultura stranieri (l'italiano compreso), vera enclave all'interno della società portoghese, preoccupata solo di superficiali funzioni di rappresentanza o tutt'al piú animata da spirito di colonizzazione nei confronti del paese che la ospita, e il tipo di legame che egli tende viceversa a stabilire con la società locale, si direbbe proprio con la gente, abbattendo gerarchie e separatezze volute piú che dai regolamenti da una tradizione fatta di superiorità non certo culturale (il marco pesante non è solo un fatto di oggi) da una parte
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e di aspettative di subalternità dall'altra; tra il disinteresse dei suoi superiori per il terreno sul quale egli deve operare e la curiosità che egli ha di conoscere a chi deve rivolgersi (un paese con il reddito piú basso d'Europa, meno di metà di quello italiano, il 33 per cento del reddito proveniente dall'agricoltura, con il 3 per cento del latifondo che controlla il 61,3 per cento della superficie coltivabile, con il 30-40 per cento di analfabeti), perché, è la sua convinzione incrollabile ribadita contro il sabotaggio dei suoi collaboratori, « il lavoro culturale comincia con il modo di trattare la gente ».
Si può vedere il libro di Meyer-Clason appunto come la testimonianza di un democratico, ma anche come il documento di ciò che non deve essere una politica culturale, prima ancora di quello che essa può essere. Tutte le istruzioni che egli riceve parlano il catalogo delle cose proibite: la censura e l'autocensura, che nel caso specifico regnano nel Portogallo di Salazar e di Caetano, sono anche la legge della burocrazia del Goethe-Institut. Non cercare rischi, non correre pericoli, non sfidare nessuno, non cercare cattive compagnie, non esportare autori tedeschi non conformisti (ma perché proprio Mitscherlich?), non fare tante altre cose, non dare nell'occhio, farsi i fatti propri tra tedeschi, siamo un istituto tedesco e programmiamo solo iniziative in lingua tedesca. Il congedo dal vecchio direttore: « Quando nel villaggio arriva un nuovo parroco, se è saggio per due anni lascia tutto come prima ». « Per favore, niente Spiegel, niente letteratura progressista, niente edizioni Suhrkamp, in particolare poi niente letteratura marxista... Brecht e Grass sotto chiave... Lei sottostà all'ambasciata! È l'ambasciata che decide sul suo programma... ». Non fare attività politica, non contravvenire ai « bene intesi interessi tedeschi » dice il contratto: ma che cosa sono questi « bene intesi interessi »? L'ambasciatore: attenzione, la cultura non è politica. Il responsabile della Sprachabteilung: bisogna piacere non dispiacere, andare incontro, non urtare, adattarsi...
Meyer-Clason per fortuna pensa tutto il contrario. E soprattutto non pensa affatto di farsi avvolgere dall'atmosfera di un paese « che vive fuori dal mondo », nel quale pertanto non si può « fare altro che sciupare il tempo, dato che qui non lo si può mettere all'unisono con il fare... ». Che cosa fare dell'istituto germanico? « Un club privato per iniziati di lingua tedesca? ». Assecondare i consigli paternalistici? Ascoltare cerimonie ufficiali delle quali non vale serbare una sola parola? Ascolta e pensa: « In me avrete uno sul quale non potrete costruire ». E incomincia il suo paziente e tenace lavoro muovendo non dalle esigenze di rappresentanza della grande potenza che lo ha mandato a Lisbona ma ponendosi il problema di quali siano i bisogni da soddisfare del Gastland, proponendosi di ricercare il pubblico giusto nonostante i quaranta anni di dittatura. Gli intellettuali d'opposizione lo sollecitano, ricercano sedi esterne in cui discutere dei loro problemi, del loro futuro. Che cosa fare non per accrescere il credito della Bundesrepublik, ma per rispondere a ciò che interessa a voi, portoghesi: che cosa voi volete che la Bundesrepublik vi dia? Il rapporto rispetto alle prescrizioni ufficiali è rovesciato: « Lavoro culturale come movimento, come progresso nel senso letterale della parola, come mezzo di comprensione, come promozione di conoscenza ». Attraverso il contatto con la stampa,

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nella quale sono rifugiati gli intellettuali dell'opposizione, attraverso il tentativo di programmare insieme agli intellettuali del luogo, trasformare la sede in occasione di incontro, punto di riferimento di discussione, dare prestigio agli intellettuali del luogo presso un istituto straniero e quindi dare loro risonanza all'estero e all'interno, appoggiare in altre parole l'opposizione senza provocare apertamente le autorità ufficiali. « Imparare dall'astuzia contadina dei portoghesi », dice Meyer-Clason, cui probabilmente basta l'astuzia brechtiana della sua cultura.
Lungi quindi dal chiudersi nel proprio guscio, che pure pagherebbe, lungi dal portogallizzarsi (v. a p. 342 quanti diversi significati si possono attribuire a questa espressione, uno dei tanti esempi della sensibilità linguistica e letteraria, oltre che politica, dell'A.), Meyer-Clason assume anch'egli qualcosa della « seconda lingua del Portogallo », del linguaggio degli eufemismi, una delle poche cose forse che accomuna il regime e l'opposizione, e senza preoccuparsi delle velleità di controllo dell'apparato diplomatico contro le « eventuali mene sovversive » o della paralisi cui rischia di ridurlo la situazione (« Portogallo, una spugna che toglie mordente ai miei denti ») dà inizio alla sua politica dei « piccoli passi »: il 1969 non sarà anche l'anno della vittoria di Willy Brandt nella Bundesrepublik? Importa le nuove tendenze del cinema tedesco, deciso a proseguire con proiezioni private e inviti personali di fronte a un intervento della censura; organizza una conferenza di Walter Jens, che nell'ambiente dell'ambasciata viene considerata una provocazione; quando gli chiedono un parere per l'esecuzione a Lisbona di una messa di Bach espone i pro e i contra, ma l'ambasciatore fa sapere che al ministero degli esteri si trasmette solo il positivo, il negativo deve essere sfumato; quando il rettore dell'università, per punire gli studenti proibisce un concerto beethoveniano che doveva svolgersi nell'Aula magna, aderisce alla richiesta degli organizzatori di ospitarlo nel Goethe, che si affolla di centinaia di studenti: segue la protesta del rettore. Questa è la politica della « porta aperta » con la quale ci si confronta direttamente con la realtà portoghese: si offrono espressioni culturali che attraverso la produzione tedesca permettono di leggere la realtà portoghese. Brecht, Peter Weiss — l'autore del Mostro lusitano, particolarmente inviso al regime al punto che il suo nome circola tra l'opposizione come Pedro Branco —, Hochhuth, Kipphardt, l'intellighenzia critica tedesca (contro Böll l'ambasciatore e l'addetto militare si esprimono come si sarebbero espressi i nazisti: « Fäkaliensprache ») aiuterà i portoghesi a scrollarsi di dosso la dittatura piú delle conferenze di Otto d'Asburgo nei clubs ufficiali. L'ambasciatore protesta contro l'intervento di Werner Herzog a un seminario sul cinema tedesco; risposta di Herzog: « il mio nuovo film si chiama Ciascuno per sé e Dio contro noi tutti ». Meyer-Clason deve lottare contro la dittatura, ai cui occhi il Goethe appare ora una « cellula segreta del partito comunista portoghese illegale », ma piú ancora contro i rappresentanti della Bundesrepublik. « Perché vedere sempre tutto in chiave cosí critica? » si domanda l'ambasciatore e forse è anche sincero nel suo tranquillo conformismo.
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Che cosa cambia la rivoluzione del 25 aprile? Accresce la sintonia di Meyer-Clason con l'ambiente locale, la sua volontà di prestare gli strumenti dei quali dispone al servizio dell'emancipazione di un popolo da un incubo cinquantennale, registra acutamente stati d'animo e attese, risponde positivamente a tutte le sollecitazioni della gente del luogo, concede l'istituto persino per l'assemblea di una formazione politica incorrendo ancora una volta nella censura dell'ambasciata. Perché quello che non sembra cambiare è appunto l'atteggiamento delle autorità ufficiali della Bundesrepublik. Una rapida annotazione sul Portogallo nuovo:
Parole d'ordine della stampa per il primo maggio: 'Il popolo non ha piú paura. Le nostre armi sono i fiori. La poesia sulla strada. L'esercito portoghese è anche popolo. La grande sfilata a braccia conserte'.
Scolaro portoghese della Scuola tedesca: `Gli insegnanti tedeschi se la fanno nelle brache'.
La stampa tedesca: `La rivoluzione portoghese ha sgomentato il mondo occidentale' (p. 276).
In questi casi l'A. non commenta neppure, la vecchia arma dell'ironia ha pur sempre una sua forza dirompente. Il doporivoluzione si presenta ancora piú difficile del prima e non solo per le difficoltà reali che la rivoluzione deve affrontare, ma anche perché sono presto all'opera i suoi nemici. Nell'ottobre del 1974, Willy Brandt, non piú cancelliere ma pur sempre presidente della SPD, è a Lisbona circondato dalle insidie di un ambiente interessato a denigrare la rivoluzione: « Chissà se W. Brandt avverte in quale inadatto ambiente è costretto a parlare? ». Meyer-Clason registra con sensibilità assai pronta il processo attraverso il quale la rivoluzione ristagna mentre la minoranza silenziosa diventa mag-
gioranza. L'attività del Goethe-Institut diventa un barometro sensibile del rapporto tra lo sviluppo della rivoluzione e quello dei suoi appoggi esterni: pochi
mesi prima della rivoluzione l'unità dell'opposizione portoghese si era misurata intorno alla presenza di Tankred Dorst, ora la sua divisione è dimostrata dalle reazioni all'esecuzione del Mockinpott di Peter Weiss ad opera di attori portoghesi cui si rimprovera di fare gratuita pubblicità all'istituto di cultura di un paese che si presenta contro la rivoluzione, con uno dei tanti volti (la socialdemocrazia) della società capitalistica. Paradossalmente, quello che faceva scandalo prima della rivoluzione diventava dopo anche piú scandaloso. Portare in Portogallo il meglio della cultura impegnata tedesca — da Schlöndorff a P. Weiss, a Böll, a Franz Xaver Kroetz — era piú pericoloso di prima. Ancora un dialogo brechtiano: « Crede davvero che Le possa servire invitare Martin Walser... Da un impiegato del Goethe ci si attende un atteggiamento positivo nei confronti della Bundesrepublik... Acriticamente o criticamente positivo? ». Né sorte migliore procura la presenza nell'Alentejo di Günter Wallraff, impegnato nella cooperativa agricola promossa con fondi raccolti nella Bundesrepublik: Wallraff, proprio lui, un agitatore indesiderato, un « autore sotto processo in Germania ». E poi « la riforma agraria è in contrasto con le idee del governo portoghese ». Un esempio sopraffino di mistificazione e insieme del modo in cui viene trasmesso il messaggio conservatore delle potenze della NATO, non interessate a modificare
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i rapporti di classe e di potere, dopo avere condiviso le responsabilità della guerra coloniale del regime fascista.
Quando alla fine del 1976 Meyer-Clason dovette lasciare il suo posto, il processo di svuotamento della rivoluzione portoghese era già in pieno svolgimento. Oggi i garofani del 25 aprile sono quasi totalmente appassiti. Questo bellissimo libro non racconta solo la vicenda personale di un intellettuale tedesco a contatto con una funzione pubblica; non interessa soltanto la politica culturale della Bundesrepublik, aiuta anche a comprendere che cosa la « democrazia » occidentale poteva dare al Portogallo e che cosa non ha dato. Aiuta a capire i limiti posti all'autogoverno e alla volontà di trasformazione di un piccolo popolo dalla logica di potenza di opposti schieramenti di ben altre dimensioni. Perché anche il Portogallo vive sulla sua pelle l'ipoteca che gli è imposta dalle esigenze di una strategia che non gli appartiene ma alla quale viceversa appartiene il Portogallo. Perché l'ordine tornasse a regnare a Lisbona dovevano accadere molte cose e probabilmente anche il ritorno di Meyer-Clason in Germania rientrava tra queste condizioni.
ENZO COL LOTTI
 
Trascrizione secondaria non visualizzabile dall'utente 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31354+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 11 Giorno: 30
Numero 6
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6


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