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tipologia: Analitici; Id: 1465115


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Emilio Franzina, Noterelle e schermaglie. Gli smarrimenti di Clio
Responsabilità
Franzina, Emilio+++
  autore+++    
Area della rappresentazione (voci citate di personaggi,luoghi,fonti,epoche e fatti storici,correnti di pensiero,extra)
Nome da authority file (CPF e personaggi)
Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia+++   Titolo:oggetto+++   
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
346 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
GLI SMARRIMENTI DI CLIO
Disagio metodologico e malessere conoscitivo, intrecciandosi con altre cause di smarrimento piú contingenti, non attraversano da oggi le file della storiografia italiana. Ma la crisi che sembra aver investito da ultimo il mondo degli studi storici non è di quelle passeggere, e poiché dà luogo a polemiche e a beghe scientifico-accademiche puntualmente rimbalzate sulle pagine dei maggiori giornali, merita di essere segnalata qui se non proprio, cosa impossibile, di essere analizzata in tutti i suoi dettagli.
Nell'ambito di un interessante seminario promosso dall'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, si è giunti da piú parti a riconoscere che « i problemi del mutamento quali si pongono oggi, in maniera radicalmente diversa, e senza confronti o continuità possibili » t hanno messo in crisi la « funzione sociale del passato » studiata da Eric Hobsbawm 2 e tutte le ricostruzioni tese a una meccanica legittimazione del presente: « Le inadeguatezze e le usure che si scontano in questo presente, rispetto ai problemi posti dal mutamento e alle incognite che lo accompagnano, ci fanno misurare, tutta intera, una crisi della conoscenza storica, che corrisponde a quella piú generale dei rapporti politica-cultura-società, e rispetto alla quale è davvero difficile lavorare sulla base di ipotesi che presuppongono formulazioni di sintesi... » (Storia nazionale cit., p. 103).
A confermare il fatto che le inquietudini e la graduale trasformazione d'interessi di parte non piccola della critica si muovono in sintonia con un mutamento « antropologico » in atto dentro alle strutture della società italiana di questi ultimi anni, basterebbe l'elencazione dei nuovi oggetti d'indagine privilegiati da molti ricercatori e assecondati, o esaltati, dalle scelte d'una editoria ritrovatasi anch'essa in grandi affanni.
Storia sociale ed oral history, etnostoria e storia della mentalità o, piú nebulosamente, « microstoria » e storia delle classi subalterne, si manifestano come i campi d'intervento preferiti da intere leve di studiosi (giovani per lo piú), che non sembrano intenzionati a ingrossare solo le file della nostra gonfiata contemporaneistica. Sebbene non manchino i segni di continuità con un passato recente, nemmeno in tema di storia orale, infatti, l'assunzione di argomenti e di angoli di visuale inusitati prevede il rafforzamento meccanico della tendenza, un po' dannosa, a congestionare con lavori di discutibile fattura l'ambito di discorso relativo al '900 3.
Storia nazionale e storia locale a confronto. Il seminario degli Istituti, Intervento di Ignazio Masulli, in « Italia contemporanea », xxxi, luglio-settembre 1979, n. 136, p. 103.
2 E. J. HOBSBAWM, La funzione sociale del passato, in « Comunità » gennaio 1974, n. 171, pp. 13-27.
3 Cfr. B. BERNARDI, C. IONI, A. TRIULZI (a cura di), Fonti orali. Antropologia e storia, Milano, Angeli, 1978, passim.
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Persino se considerata da un tale punto di vista, dunque, la « conversione » al sociale e al particolare di non pochi storici rispecchia qualcosa di piú di una semplice moda e mette a nudo la provvisorietà di certe affrettate riaffermazioni di « autonomia del politico » 4 o almeno la strumentalità di quelle che si portano addosso le stimmate di un parziale disegno restauratore 5.
Agli sbocchi finali della lunga crisi che ha indebolito e sfibrato in Italia lo storicismo, non si contrappongono, però, proposte alternative convincenti sul piano del pensiero e della teoria che pur devono continuare a guidare la mano di ogni storico desideroso di dare un senso alla sua ricerca e al suo rapporto con il passato e con il presente. Ponendosi sul piano del metodo e rivendicando produttività ed efficacia ai procedimenti d'indagine induttivi imperniati sugli scarti e sui dati marginali « rivelatori », Carlo Ginzburg rivaluta ora l'importanza delle « tracce » infinitesimali che' consentirebbero (e in molti casi consentono), « di cogliere una realtà piú profonda, altrimenti inattingibile » 6, ma non offre, quale che sia la portata dei suoi « rischiaramenti » epistemologici, una risposta soddisfacente alle domande fondamentali di orientamento teorico e al bisogno generalizzato e crescente di « pensiero storiografico ».
Certo un paradigma « sintomatologico » cosí suggestivo come quello di Ginzburg rilancia la prospettiva della storia sociale « dal basso » e ne nobilita
i termini, ma appunto perché già « largamente operante di fatto » (anche se mai sin qui « teorizzato esplicitamente »), esso non può costituire la scorciatoia che consentirà al sapere storico di uscire piú in fretta dal suo attuale stato di crisi. Dati alcuni margini di ambiguità, anzi, esso potrebbe contribuire ad approfondirla confortando quei critici che in modo risentito e quasi fisiologico combattono da sempre le pretese un po' totalitarie della storiografia quantitativa eretta senza troppe perifrasi a modello del « nuovo » modo di fare storia da studiosi, si dice, come Edoardo Grendi (o come lo stesso Ginzburg) e da riviste, si rincalza, come la fortunata eppur semiaccademica « Quaderni storici » 7.
Sulle diatribe giornalistiche che li hanno avuti a protagonisti B e che hanno permesso a Furio Diaz di riprendere, con vigore polemico addirittura eccessivo, i termini d'un suo memorabile intervento intorno alle « stanchezze di Clio » 9, non pensiamo sia il caso adesso di soffermarsi. Sta di fatto, però, che
4 Cfr. G. QUAZZA, Storia della Repubblica e autonomia del politico, in « Belfagor », xxxlI, 30 novembre 1977, n. 6, pp. 716-722.
5 B. FAROLFI, Storiografia marxista e restaurazione storiografica, in « Quaderni Piacentini », XVIII, ottobre 1979, n. 72-73, pp. 118-125.
6 C. GINZBURG, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in A. GARGANI (a cura di), Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane, Torino, Einaudi, 1979, p. 65.
7 F. DIAZ, E cosí la Storia finisce in Crusca, in « L'Espresso », n. 6, 10 febbraio 1980.
8 Cfr. l'intervista a C. GINZBURG, La storia con la s minuscola, ivi, n. 31, 5 agosto 1979, e l'intervento, nella stessa sede, di E. GRENDI, In Italia, invece, sono tutti maiuscoli.
9 F. DIAZ, Le stanchezze di Clio. Appunti su metodi e problemi della recente storiografia della fine dell'Ancien Régime in Francia, in « Rivista storica italiana » Lxxxly, settembre 1972, fasc. Iu, pp. 683-745.
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anch'esse costituiscono una « spia », un « sintomo », ecc., del profondo malessere che pervade oggi in Italia le strutture della ricerca e quanti, a titolo diverso, le fanno funzionare. Strutture della ricerca e « sacerdoti di Clio » ossia
(anche) cattedre e istituti universitari, case editrici e riviste, finanziamenti pubblici e CNR.
Mettendosi su un terreno di questo genere, come si sa prosaico e « basso », riesce forse piú facile intravedere alcuni motivi marginali del contendere e
risalire da essi (siccome da « orme nel fango, rami spezzati, pallottole di sterco, ciuffi di peli... ») ai risvolti pratici e alle ragioni storiografiche del piú generale disagio.
Dinanzi alla crisi dello storicismo o, piú banalmente, dinanzi alla crisi .di una concezione del lavoro storico avvezza e rassegnata a fare i conti coll'immediatezza della politica (e verificatasi quindi a ridosso d'una crisi dell'« impegno » politico), gli storici italiani piú avvertiti non sembrano tenere in serbo, per il momento, altri antidoti che non siano quelli della « preventiva » scelta di campo tematico. Al posto della « vecchia » histoire-bataille tutta giocata sui livelli alti della diplomazia, delle istituzioni, degli avvenimenti politico-militari clamorosi, una storia sociale sensibile ai problemi dei generi di vita, dei comportamenti, dei condizionamenti materiali, degli atteggiamenti mentali ecc. e aperta agli influssi d'oltralpe; nel tentativo, si afferma, d'instaurare un rapporto proficuo coll'antropologia culturale, colla sociologia, col folklore. Al posto, quindi, della storia generale (la « grande » storia), una storia spazialmente sotto-dimensionata (piccole comunità, casi individuati e particolari...) o meglio una storia fondata sulle « microanalisi »; nella speranza, si pensa, che sia possibile ottenere maggiori informazioni dalla modificazione e dal restringimento degli oggetti d'indagine (e quindi rilancio della storia locale, nesso spontaneo colle tecniche e coi problemi della storia sociale suddetta, attenzione rilevata, in ambiti particolari, per le forme di protagonismo collettivo, per i soggetti sin qui emarginati, esclusi e via commiserando). Al posto infine dell'eccessivo impegno in direzione degli ultimi cinquanta, cento anni, un ritorno all'arco cronologico d'ancien régime o, tutt'al piú, una cauta ripresa d'interesse per la stessa storia contemporanea, ma col filtro di analisi che tengano conto, par di capire, del bisogno di ricreare un tessuto connettivo della ricerca rapportabile alle spinte attuali verso il privato, il soggettivo, l'extra-istituzionale ecc. (e quindi molta storia orale, collegamenti piú stretti fra ricerca e didattica, maggiore spazio concesso agli outsiders e agli storici « selvaggi »1° e di complemento).
Nessuna di queste proposte, sovente fra loro intersecate, è in grado di risolvere, come si vede, il problema centrale di tipo euristico e conoscitivo, ma il modo in cui ciascuna di esse, articolandosi nella realtà concreta, risulta formulata, minaccia di sconvolgere, e già rimescola, i piú consolidati equilibri di « scuola » e di « corrente », di spartizione degli spazi editoriali e di accesso
10 Per la definizione dr. M. ISNENGHI, Nascita degli storici «selvaggi»?, in « Schema », I, 1979, n. 2, pp. 77-80.
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agevolato ai mass-media, di prestigio accademico e di potere universitario. L'irrompere di tante novità acuisce ed amplifica, ma rende anche piú chiara la crisi attraversata dalla nostra storiografia. La quale, infatti, nei suoi settori piú statici e vagamente reazionari avverte il pericolo di questi aggiustamenti
e nell'intento di rintuzzare le iniziative, per cosi dire, « post-sessantottesche », approda a una curiosissima esecrazione delle ricerche « microstoriche » e degli studi in cui si accumulano eccedenze documentarie già tutte di casa presso i tradizionali magazzini dell'erudizione conservatrice e moderata.
Bersaglio polemico preferito divengono quindi, in primo luogo, i vezzi meno caratteristici della giovane contemporaneistica d'ispirazione progressista e, senza grandi distinzioni, tutti i lavori anagraficamente « segnati » da essa prodotti. Di fronte alla « sempre piú massiccia contemporaneizzazione di questi studi a tutto scapito delle altre epoche » " serve però assai poco lasciarsi andare, come qualcuno fa, a reazioni isteriche e scomposte, se non addirittura tendenziose. Tutt'al contrario varrebbe la pena di reclamarne la tempestiva immissione in un circuito di pensiero storiografico meno discontinuo e vacillante e, soprattutto, sufficientemente consapevole del fatto che « l'industrializzazione capitalistica condiziona sul lungo periodo tutti i destini individuali e collettivi » 12
e che quindi la diffusione dei fenomeni tipici degli ultimi cent'anni scandisce le tappe e delimita i confini di quella « che è stata ed è forse la piú profonda, certamente la piú rapida rivoluzione nella storia dell'umanità »11. Soltanto a patto di prendere le mosse da questo preciso punto di partenza l'esame dei casi contemporanei riconquisterà un suo autonomo significato e renderà fruibili, nel campo microstorico, sociale, orale ecc., le indicazioni e le raccomandazioni, rimaste sin qui generiche, di non pochi studiosi.
Fra essi, come s'è visto, ve ne sono alcuni spinti da preoccupazioni di tipo sicuramente scientifico, ma ve ne sono anche altri pungolati da malcelato livore ideologico e da timori materiali neanche tanto elegantemente mascherati. Questo è senz'altro il caso di Renzo De Felice il quale con faziosità superiore a quella di certi suoi facili capri espiatori liquida in maniera sbrigativa e alquanto discutibile « l'apporto diretto del 1968 alla storiografia » (banalizzato in termini di « protervia intellettuale, estrema ideologizzazione, riduzione del marxismo a mero economicismo e del lavoro storico a strumento di lotta politica
e rivoluzionaria... », De Felice, art. cit., p. 103), soltanto per scagliarsi, poi, contro il suo vero obiettivo polemico e cioè contro l'unica « scuola » sufficientemente organizzata e vivace la quale si rifaccia, in Italia, all'importante, ancorché non « epocale », rottura sessantottesca. Per il motivo non disprezzabile, si direbbe, che in campo contemporaneistico si tratta dell'unica area dissenziente
11 R. DE FELICE, La storiografia contemporaneistica italiana dopo la seconda guerra mondiale, in « Storia contemporanea », x, febbraio 1979, n. 1, p. 105.
12 S. LANARO, Modello veneto e storia nazionale, in AA.VV., Una via alla storia. Rinnovamento didattico e raccolta delle fonti orali, Venezia, Arsenale Coop. Editrice, 1980, p. 158.
13 G. MANACORDA, Rivoluzione borghese e socialismo. Studi e saggi, Roma, Editori Riuniti, 1975, p. 391.
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« servita » da strutture editoriali durevoli, dotata di periodici propri e di coperture finanziarie discrete.
Non sono in realtà i panni « curiali » indossati dagli storici della nuova sinistra post-sessantottesca che si raccolgono attorno a tribune abbastanza autorevoli come « Italia contemporanea » o come la « Rivista di storia contemporanea » ad assillare uno studioso del peso e dell'influenza di Renzo De Felice (il quale, infatti, dispone a sua volta di fondi e pubblici e privati di tutto riguardo e controlla esiti editoriali in gran copia). Ad allarmare il nostro massimo cultore del fascismo
e della sua storia contribuiscono invece, in pari grado, scoperte ragioni « concorrenziali » e, non ultima, la circostanza che riesce assai difficile sbarazzarsi dei propri piú scomodi contraddittori ove a divulgarne le idee e le acquisizioni di ricerca provvedano organi su cui non è lecito (ancora...) fulminare sic et simpliciter la scomunica dell'« autoesclusione dalla storiografia e dal campo scientifico » (ibid.). Se è facile, infatti, adontarsi per le esagerazioni di un Bozzolato o per gli schematismi (dichiaratamente riepilogativi peraltro) di un Del Carria, non altrettanto agevole appare l'impresa di emettere verdetti di condanna senza appello nei riguardi di studiosi che anche per la scelta del campo d'intervento microstorico dovrebbero conservare agli occhi dei loro critici piú corrosivi una minima patente di credibilità professionale.
Sul fatto che la storiografia di nuova sinistra abbia conseguito, limitatamente al piano della ricerca documentaria, « risultati non privi di interesse », non è assolutamente il caso d'insistere anche perché il feticismo delle fonti che avvicina l'impianto mentale e teorico dei positivisti in ritardo alla De Felice alle tradizionali inclinazioni dei vecchi eruditi ed accatastatori di dati è già stato piú volte criticato 14. Ma sul tentativo di esorcizzare lo spettro di nuove situazioni fluide e progressive e di stornare la concreta minaccia di frattura incombente sui corpi istituzionali e coesi della storiografia accademica o « accreditata », occorre riflettere perché nessuno può piú credere oggi che la « questione della strutturazione delle ricerche e degli scambi sia secondaria » 15
Il problema concreto dell'organizzazione del lavoro storico e delle sue forme di sostentamento richiama alla mente in modo spontaneo le condizioni della ricerca « protetta » in cui non a caso s'inseriscono, assieme agli inevitabili aggregati accademici e di potere, anche uomini e gruppi dall'attività meno appariscente, piú silenziosi e discreti, ma lesti, si direbbe, ad approfittare delle altrui liti e degli altrui smarrimenti. Per darsene una spiegazione occorre compiere qualche passo indietro. La crisi della ragione storica, si è detto, può essere estensivamente intesa come rottura o interruzione delle usuali forme di trasmissione della memoria collettiva. Ancor meglio essa coincide, in modo proprio, coll'attuale impasse della produzione storiografica italiana di cui parla Silvio Lanaro opportunamente segnalando il venir meno « di tutti i linguaggi
14 E. GALLI DELLA LOGGIA, R. ROMANELLI, Età contemporanea: storia del capitalismo
o storiografia « volgare »?, in « Quaderni storici », VIII, 1, gennaio-aprile 1973, (22), pp. 43-48.
15 E. GRENDI, La storiografia italiana ieri, in « Quaderni storici », xlv, 1, gennaio-aprile 1979, (40), p. 310,
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appresi ». Questo conduce ad una posizione di stallo definibile di « egemonia vacante »: « Vacante da parte degli storici della sinistra, marxisti, del movimento operaio (anche genericamente intesa), ma vacante [pure da parte] della storiografia liberai-borghese » (Storia nazionale cit., p. 118). È appunto nel vuoto apertosi sul piano teorico e, quel ch'è piú interessante, attraverso il ricorso agli stessi espedienti empirici indicati comunemente da tutti (storia sociale, particolare, contemporanea...), che si rende evidente, e praticabile, l'operazione condotta in sordina da chi intenderebbe, rimpiazzando le vecchie, imporre una sua propria egemonia spacciata, per sovramercato, come « nuova ».
Nessuno ancora ha fatto caso, ad esempio, alle velleità di ripresa della sopravvivente storiografia clericale che nel nostro paese non manca certo di considerevoli supporti. Tale ripresa, almeno nelle forme, si viene realizzando a sua volta nel segno di un ritorno al sociale e al particolare che ci sembrano qui, per usare una terminologia da paradigma indiziario, alquanto « sospetti ». A battere in Italia le « vie nuove » della storia sociale e a proporre un accostamento aggiornato alle questioni di storia contemporanea, con riduzioni di scala e annesso riciclaggio degli oggetti, non si trovano solo, in altri termini, i brillanti e cosmopolitici animatori di « Quaderni storici » o gli operosi e indaff arati storici di nuova sinistra dei quali si è parlato. Con un occhio rivolto ai « dati marginali rivelatori » dell'erudizione e della storiografia locale potremmo anzi asserire che non son pochi ormai gli storici cattolici i quali tengono loro compagnia muovendosi sul terreno della ricerca secondo modalità « programmaticamente » affini.
Ma basterà la presenza di una miriade di studiosi di vario livello applicati ai fertili campi del sociale, del soggettivo, del mentale, dell'inespresso ecc., a sanare le aporie della ricerca storica d'oggi? Basterà questa indubbia e vasta massa di manovra ad esprimere risultati e prodotti qualitativamente apprezzabili e a sancire l'egemonia di un pensiero storiografico cattolico e conservatore, coniugando l'orecchiamento dei motivi strutturalistici e un po' bergsoniani con le fumosità tradizionali del sociologismo clericale? Naturalmente questi dubbi e questi interrogativi non investono tanto le caratteristiche d'una produzione che si suol definire « minore », quanto riguardano da vicino settori a modo loro blasonad nel cui novero devono essere fatte rientrare, oggi, alcune iniziative dalle ambizioni grandi e non sempre dichiarate. Ce ne offre un'idea, di questi tempi, nel Mezzogiorno e nel Veneto, l'attività che hanno cominciato a svolgere, col conforto di solidissimi agganci e sotto l'egida di un autorevole storico come Gabriele De Rosa, le Edizioni di Storia e Letteratura, l'Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa e l'omonima rivista che ne costituisce l'organo.
Al riparo dai rischi che una generale penuria di mezzi comporta e tutelata dal prestigio assai grande del promotore (nonché dai contributi di sicuro rilievo costantemente forniti dai collaboratori stranieri e di altra estrazione), essa rappresenta l'esempio forse meglio riuscito del modo meno adeguato di rispondere al comune bisogno di « senso storico » e alle domande di proficuo rapporto
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fra livelli generali e particolari fra vicende politiche e strutture sociali, mentali ecc.
Sorvoliamo pure sulla labilità delle pretese ideologico/interpretative di fondo che sorreggono l'impalcatura di tale iniziativa e sullo stesso evidente ritardo che ne contraddistingue l'affiliazione in extremis all'indirizzo sociale delle abusate « Annales » 16: anche per quanto concerne il campo assai specifico della storiografia socio-religiosa rimane sempre la sgradevole impressione che l'operosità grande e puntualmente divulgata di questa « scuola in fieri » si limiti a realizzare, in troppe occasioni, il recupero meccanico di una produzione erudita e minore la quale di per sé non riuscirebbe (e per noi non riesce) a proporsi come modello convincente di microstoria, di storia sociale, della sensibilità ecc.
Certo, come sempre accade, vi sono delle eccezioni e com'è anche nella tradizione degli studi di storia locale e curiosa, alcuni versanti dell'attività svolta dal gruppo derosiano somministrano una vastissima mole di dati che si rendono cosí utilmente (o « provvidenzialmente ») disponibili a tutti l'. Non ci sembra però che sia questa della giustapposizione, sia pur intelligente e calibrata, la via che consentirà, per un lato, alla storiografia locale di matrice erudita e clerico-moderata di uscire dalle deprimenti secche in cui meritatamente si trova e che permetterà, per un altro, alla storiografia italiana in generale, di vedere risolti i suoi ben diversi problemi. L'accettazione inconscia di una ennesima egemonia, cattolica stavolta, non farebbe che stravolgerli e aggravarli.
Anche se non potranno mai contare su appoggi influenti e su patrocinii italiani e stranieri difficilmente discutibili, preferiamo augurarci, quindi, che siano destinati a incontrare, coll'andar del tempo, maggiore successo (di critica e di pubblico, ma altresí di risultati effettivi) gli « storici selvaggi » e di complemento revocati in luce dalla temperie post-sessantottesca e detestati da De Felice e consorti. La loro irruenza e i cambiamenti ch'essa sta a significare invogliano a protrarre e a precisare lo sforzo di ricerca d'immagini storiche alternative, ma alternative davvero, rispetto a quelle trasmesse dai gruppi dominanti di cui le proposte della storiografia sociale cattolica costituiscono solo una smaliziata variante.
EMILIO FRANZINA
16 Cfr. E. FRANZINA, Merica! Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti in America Latina, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 27.
lz Importanti, anche se qua e là pleonastici, risultano i volumi dedicati all'illustrazione sistematica delle visite pastorali su cui dr. ora: P. BURKE, Le domande del vescovo e la religione del popolo, in « Quaderni storici » xiv, 11, maggio-agosto 1979, pp. 540-554.
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31351+++
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Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 5 Giorno: 31
Numero 3
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3


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