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tipologia: Analitici; Id: 1464875


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Enzo Collotti, Luigi Cortesi e l'archivio Secchia ovvero come si monta un «caso» inesistente
Riferimento diretto ad opera
Luigi Cortesi, L'«Archivio Pietro Secchia 1945-1973», ovvero Pietro Secchia archiviato, in «Belfagor», 1979/5, pp. 527-550 {Luigi Cortesi, L'«Archivio Pietro Secchia 1945-1973», ovvero Pietro Secchia archiviato, in «Belfagor», 1979/5, pp. 527-550}+++   critica+++   
Responsabilità
Collotti, Enzo<Messina, 1929->+++
  autore+++    
Area della rappresentazione (voci citate di personaggi,luoghi,fonti,epoche e fatti storici,correnti di pensiero,extra)
Nome da authority file (CPF e personaggi)
Cortesi, Luigi+++   Titolo:oggetto+++   
Secchia, Pietro<Occhieppo (Vercelli), 19 dicembre 1903-Roma, 7 luglio 1973>+++   Titolo:oggetto+++   
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
NOTERELLE E SCHERMAGLIE
LUIGI CORTESI E L'ARCHIVIO SECCHIA:
OVVERO COME SI MONTA UN « CASO » INESISTENTE
Nell'accingermi a rispondere alla critica pressoché demolitrice, dal titolo piú diffamatorio che brillante L' « Archivio Pietro Secchia 1945-1973 », ovvero Pietro Secchia archiviato, pubblicata nel numero di « Belfagor » del 30 settembre 1979 (pp. 527-550), che Luigi Cortesi ha voluto dedicare al volume degli « Annali » della Fondazione Feltrinelli dedicato all'Archivio di Pietro Secchia per il periodo 1945-1973, desidero anticipare un'unica osservazione: che cioè la risposta avrebbe avuto maggior senso ove avesse potuto essere pubblicata contestualmente alle pagine di Cortesi. Purtroppo precedenti impegni non mi hanno consentito di mettermi al passo con i tempi di « Belfagor ». La distanza di tempo trascorsa tra la pubblicazione dello scritto di Cortesi e la pubblicazione di questa mia nota renderà inevitabile ripetere, o riassumere, cose che altrimenti avrebbero potuto essere omesse o espresse in termini piú sintetici: di questa circostanza chiedo scusa ai lettori di « Belfagor », nella speranza che Luigi Cortesi non ritenga che io abbia utilizzato il tempo trascorso per andare a prendere istruzioni alle Botteghe Oscure.
Penso di non dovere sopravalutare lo scritto di Cortesi. Ma l'arroganza con la quale egli si muove e il tentativo da lui compiuto di volgere in fatto scandalistico, sensazionale (una moda che ormai dai rotocalchi dilaga anche su stampa generalmente piú sensibile ai termini del dibattito culturale), la discussione su una pubblicazione che, certamente suscettibile di attenzione critica non meramente elogiastica non merita con altrettanta certezza la maniera di Cortesi, costringono a riprendere alcuni aspetti del suo discorso. In questo momento non mi interessa ribattere le sue interpretazioni della figura di Secchia: non è di questo che si tratta, e su molte cose potremmo anche essere d'accordo, la discussione in proposito è appena aperta e certo l'ultima delle intenzioni che mi si potevano attribuire era quella di volere archiviare Pietro Secchia o di volerne offendere la memoria. I titoli ad effetto fanno sempre colpo: quanto essi poi abbiano a che fare con la sostanza dei discorsi (non parliamo del buon gusto) è cosa che giudicheranno i lettori.
Ferma restando la possibilità di rivolgere qualsiasi critica a qualsiasi lavoro, quello che mi interessa riaffermare, unica condizione perché sia chiaro a tutti quale è l'oggetto della discussione, è che i termini della stessa siano presentati in modo corretto e non siano contraffatti in partenza. Ma so già che un richiamo alla correttezza metodologica anche della discussione non può avere molta fortuna
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presso chi fa professione di confusione tra storiografia e ideologia, al punto da approdare adesso a una lezione di massimalismo filologico, che può impressionare soltanto chi non sappia che cosa è un archivio o non conosca le cautele con le quali la stessa pubblicazione degli « Annali » Feltrinelli è stata da me presentata, senza peraltro che il Cortesi si sia sognato di informarne il lettore.
Devo premettere che Cortesi chiama in causa contemporaneamente la Fondazione Feltrinelli, il Comitato dell'Archivio Secchia, il PCI, il sottoscritto e non so chi altri ancora. È chiaro che risponderò soltanto su ciò di cui sono personalmente responsabile. Non essendo membro del Comitato scientifico della Fondazione Feltrinelli se non da epoca successiva alla pubblicazione del volume in parola, non essendo mai stato membro né del Comitato delle carte Secchia né del PCI, non sono in grado di interloquire su ciò che ad essi viene attribuito, cosí come nessuna responsabilità mi compete per affermazioni che possa avere fatto Ambrogio Donini circa la pubblicazione integrale dell'Archivio Secchia. Se quest'ultima sia l'obiettivo ultimo del Comitato per le carte Secchia, la cui composizione non è affatto una mia « rivelazione », come tra le tante altre cose vuole insinuare Cortesi per montare il senso del complotto intorno alla pubblicazione, essendo i nomi dei componenti comparsi a tutte lettere ne « l'Unità » del 7 luglio 1974 nel primo anniversario della morte di Secchia, è cosa che non so e che, al limite, non mi interessa.
A me interessa precisare in quali circostanze io ho accettato di curare una pubblicazione non dell'Archivio Secchia ma di carte tratte dall'Archivio, che è cosa che dovrebbe risultare evidente a qualsiasi lettore, tanto piú all'acribia di Cortesi. Nella primavera del 1975 io fui invitato dalla Fondazione Feltrinelli a nome del Comitato per le carte Secchia a considerare l'opportunità di curare una pubblicazione lavorando sulle carte dell'Archivio Secchia e in caso affermativo a prospettare un progetto di pubblicazione. Il lavoro di esplorazione dell'Archivio, da me compiuto anche sulla scorta della sommaria sistemazione meritoriamente operata da Alessandro Vaia, che io non ho assolutamente sottovalutato ma che non avrebbe avuto senso alcuno pubblicare non trattandosi di un inventario di carattere archivistico né comunque di una sistemazione scientifica ma soltanto di una ripartizione fisica per grossi blocchi del materiale, e poi la sistemazione del materiale prescelto per la pubblicazione hanno subito un rallentamento nel corso del 1976 e del 1977 per ragioni attinenti unicamente a mie condizioni personali e di salute oltre che alle difficoltà oggettive dell'opera. A suo tempo io ebbi a dolermi perché nella prefazione al volume di scritti di Pietro Secchia Chi sono i comunisti (Mazzotta, 1977) Ambrogio Donini adombrava l'ipotesi che il ritardo del lavoro alle carte Secchia potesse derivare da interferenze di carattere politico, senza dare in merito alcuna precisazione. Se e quali dibattiti si siano svolti all'interno del Comitato delle carte Secchia è cosa che mi è totalmente ignota; per parte mia posso dire che le proposte da me avanzate per il progetto di pubblicazione non hanno incontrato obiezione alcuna, né condizionamento alcuno io ho subito, all'infuori di quello oggettivamente rappresentato dallo stato dell'archivio Secchia. Devo anche aggiungere che dell'esistenza di un testamento di Secchia io ho avuto conoscenza soltanto dalla già citata pub-
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blicazione di Donini, nella quale è già contenuta la parte politicamente essenziale di questo testamento.
L'ipotesi che il testamento si trovasse nell'archivio e a che a pubblicarlo fossi tenuto io è una ipotesi quanto meno ingenua, come se non esistesse un legittimo erede di Pietro Secchia e non spettasse a lui, e a lui soltanto, occuparsi di un problema cosí delicato quale la pubblicazione del testamento. Nelle poche riunioni del Comitato alle quali io ho partecipato per riferire sullo stadio di preparazione del materiale per la pubblicazione, nessun cenno fu mai fatto dal figlio Vladimiro nel senso di auspicare una pubblicazione del testamento nell'ambito del volume in preparazione. L'auspicio che Vladimiro ha sempre espresso si riferiva al fatto che si mantenesse costantemente vivo il ricordo di Pietro Secchia, con una pluralità di iniziative nell'ambito delle quali rientra anche il mio modesto lavoro, che nessun'altra ambizione intendeva avere se non quella di fornire un primo approccio allo studio della personalità politica di Pietro Secchia. Attribuire al mio lavoro altro significato è solo un tentativo di confondere le carte in tavola; che io sia stato condizionato all'insegna di un compromesso non so quanto storico avvenuto all'interno del comitato un puro parto della fantasia di Cortesi. Ma tant'è, egli è cosí fermamente convinto che io altro non sia stato che strumento di altrui disegni, in buona fede, come bontà sua avrebbe dichiarato a « Panorama » (cfr. numero del 29 ottobre 1979) e quindi tanto piú ingenuo e dabbene, che lui, cosí attento al retroscena e al proscenio, incorre in un vistoso lapsus, non strano peraltro alla luce del contesto complessivo del suo discorso, sin dalla presentazione degli estremi bibliografici del volume (« Belfagor » cit., p. 527 nota), che non reca « Introduzione e cura di E.C. », ma semplicemente « Introduzione e note di E.C. ».
Ma ben altra confusione Cortesi crea, quando vuole insinuare (perché purtroppo la maggiore originalità delle osservazioni di metodo e filologiche avanzate da Cortesi consiste proprio nel metodo di insinuazioni che egli introduce in tutta la lettura del volume) che l'archivio sia stato manomesso; perché, se le parole hanno un senso, nulla di diverso stanno a significare i numerosi appunti sulla mancata pubblicazione di questo o quel documento; o peggio ancora quando finge di credere o induce i terzi a pensare che l'Archivio di Pietro Secchia sia l'Archivio del pci.
A proposito di presunte omissioni nella pubblicazione delle carte Secchia. Non solo nelle presentazioni alle singole parti del volume, ma anche e soprattutto nella introduzione, ho avvertito ripetutamente sia delle lacune riscontrabili nell'archivio, sia di eventuali altre linee di ricerca che richiederebbero altri strumenti o l'uso di parti dell'archivio diverse da quelle prescelte per la pubblicazione degli « Annali » Feltrinelli. Alcuni esempi: proprio su un punto sul quale Cortesi lamenta che il materiale non pubblicato non consenta lumi (cfr. Cortesi, p. 531), ossia sull'esperienza di Secchia quale segretario regionale del Pci in Lombardia nel 1955-56, avevo esplicitamente avvertito che il materiale presente nell'archivio è del tutto insufficiente per uno studio di una qualche completezza (introduzione p. 120); altrove indico come filone di lavoro ancora non affrontato una ricerca sull'attività parlamentare di Secchia (p. 123), che implicherebbe fra l'altro l'ana-
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lisi di quel che esiste del carteggio con il suo collegio elettorale; in altro passo ancora accenno alla necessità di approfondire il discorso sul lavoro di Secchia nelle organizzazioni di massa antifasciste e in particolare all'interno dell'ANPI (p. 124); già in precedenza avevo avvertito che l'eventualità di disporre dell'Archivio del PcI avrebbe rappresentato una prospettiva di lavoro completamente diversa (p. 80); infine, non manca neppure un cenno ai limiti delle stesse carte della Commissione nazionale di organizzazione del PcI contenute nell'Archivio Secchia (p. 88). Come se non bastasse, nella presentazione ai Diari ho sottolineato come essi costituissero il corpo piú omogeneo dei materiali inediti lasciati da Pietro Secchia (p. 253) e ho fatto riferimento altresì al corpo complessivo dell'archivio per l'utilità che esso offre quale complemento strumentale alla lettura di questo corpo omogeneo (p. 256). In nessun caso quindi io ho nascosto che non di pubblicazione integrale dell'Archivio si trattava, ma delle sue parti che io continuo a ritenere le piú importanti e quelle veramente importanti nell'ottica considerata. Una volta precisati i limiti della pubblicazione e i criteri della scelta, che possono certamente essere discussi, non credo di potere accettare nessuna lezione di correttezza, tanto meno il sospetto di una manipolazione dei testi, ché a ciò equivarrebbe al limite un gioco arbitrario di omissioni o frammentazioni come quello che crede di poter denunciare Cortesi.
Quando Cortesi lamenta che il centro di gravità del volume sia stato portato sui fatti del 1954 che condussero all'emarginazione politica di Secchia, dando a intendere che sia stata amputata la parte relativa agli anni dal 1945 al 1954 (cfr. « Belfagor », p. 537), c'è da domandarsi se parla con conoscenza di causa o se per caso non intendesse porre un quesito, sia pure con la mala grazia che gli è congeniale. La categoricità con la quale egli si pronuncia mi fa ritenere che soltanto il già citato metodo dell'insinuazione sia il supporto delle sue del tutto gratuite affermazioni, se non la volontà precipua di far credere che l'archivio Secchia sia l'archivio del PcI. L'ho già detto e lo ripeto: la parte essenziale dell'Archivio ha inizio con il 1954; non che per il periodo precedente manchi materiale. Ma vanno fatte alcune precisazioni: la prima è che il blocco piú consistente di questo materiale anteriore al 1954 è rappresentato dal Promemoria autobiografico pubblicato in apertura della parte documentaria del volume. La seconda, che un altro settore omogeneo, ma di cui non è stata ancora accertata la completezza, di materiale è costituito da stenogrammi (o probabilmente da dattiloscritti) di interventi di Secchia alle riunioni di c.c.: non è sicuro che si tratti di stenogrammi perché bisognerebbe accertare a partire da quale epoca furono tenuti stenogrammi, circostanza sulla quale ho raccolto testimonianze troppo incerte per potere avanzare precisazioni: solo l'Archivio del PcI potrebbe illuminarci in proposito. Molto piú rari sono gli interventi in altri organismi di partito, alcuni di questi semplici riassunti, un paio relativi a riunioni della direzione; i dattiloscritti di alcuni discorsi sono forse, a giudicare dalla brevità e dal contesto, semplici tracce. Taluni dei rapporti al Comitato centrale, gli interventi ai congressi del partito, il rapporto alla conferenza nazionale di organizzazione del 1947 si trovano in testi pubblicati. Non esiste per questi anni alcuna corrispondenza interna di partito. Che cosa dedurne? Anzitutto la conferma che si tratta di un
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archivio la cui importanza per questi anni è molto piú limitata di quanto non supponga Cortesi. Se egli crede che vi si trovi l'archivio del nci si sbaglia grossolanamente. È evidente che la scomparsa di Pietro Secchia ha inciso duramente anche sull'utilizzabilità di questa sezione dell'Archivio, perché a lui probabilmente sarebbe stato possibile compiere un lavoro di completamento che ad altri risulta praticamente impossibile. Il settore di questo arco cronologico di maggior rilievo è costituito dalle carte della Commissione nazionale di organizzazione, largamente incompleto, peraltro, da quanto è possibile arguire. Su nessun altro settore sarebbe possibile utilizzare questo archivio con una qualche completezza. Se Cortesi ha esperienza di archivi del genere dovrebbe facilmente comprendere come essi siano composti largamente da ritagli di giornale, utilizzabili nel contesto di ricerche molto particolari ma non su aspetti centrali della problematica del periodo. Un esempio; ci sono certo nell'Archivio Secchia delle cartelle dedicate al Cominform, ma chi credesse di trovarvi materiale inedito o utile ad una ricostruzione dall'interno delle vicende del Cominform o dei rapporti tra il partito italiano e il Cominform si sbaglierebbe totalmente: vi si trovano solo ritagli di giornale e copie dell'organo del Cominform « Per una pace stabile » ecc., la cui collezione si trova peraltro in piú di una biblioteca pubblica.
Comunque, incalza Cortesi (p. 530), perché non pubblicare un inventario del materiale, magari l'inventario redatto da Alessandro Vaia? Risponderò a Cortesi che pubblicare l'inventario Vaia non avrebbe avuto senso alcuno, data la sua natura già descritta innanzi; né redigere un inventario piú analitico sarebbe stato compito mio. Oltre tutto, un lavoro del genere avrebbe rinviato alle calende greche qualsiasi pubblicazione di testi. Credo che non sia difficile comprendere la distinzione esistente tra il pubblicare una raccolta di testi tratti da un Archivio e pubblicare il censimento di un Archivio. Pubblicare la prima senza essere costretti a fare l'altra cosa è una consuetudine normale; non è stata violata nessuna legge, nessun codice, peraltro inesistenti, di correttezza filologica. In questi termini hanno proceduto a suo tempo i curatori delle carte Giolitti, altrettanto ha fatto in altro campo il curatore delle carte Weizsäcker, lo stesso criterio è stato seguito per la cura recente delle carte delle Brigate Garibaldi, criteri analoghi avevano presieduto a precedenti raccolte di fonti pubblicate dagli « Annali » Feltrinelli. Fare un inventario analitico è lavoro ben diverso dal curare una pubblicazione di testi. Cortesi potrà criticare la pubblicazione dei testi, se non gli piace, ma non può confondere le due cose.
Putroppo, l'impressione che buona parte delle sue critiche siano dettate da motivazioni puramente pretestuose non è confermato soltanto da queste osservazioni generali che potrebbero sembrare anche troppo ovvie, ma anche dallo spirito causidico che impronta tutto il suo scritto. Io cito un testo di Togliatti del luglio del 1947 che si trova nell'Archivio Secchia (fra i non molti testi di autori diversi da Secchia ivi presenti) ed ecco che si rammarica che non sia stato pubblicato (p. 545, nota 27): io ho citato quel tanto che era necessario ai fini del discorso che stavo conducendo; che senso avrebbe avuto pubblicare quel testo di Togliatti al di là di questo limite, non soltanto nel momento in cui mi preoccupavo di curare il corpo principale del materiale direttamente relativo al lavoro
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di Secchia, ma in considerazione dei fatto che è in corso la pubblicazione delle opere di Togliatti? Sono convinto che se avessi pubblicato tutto, Cortesi mi avrebbe criticato lo stesso. Ii vero non senso è proprio qui: qualunque cosa fosse stata fatta e in qualsiasi modo Cortesi avrebbe dovuto criticare. E sarebbe soltanto affar suo se, ripeto, egli non desse tosi larga prova di confondere e mescolare cose diverse. Volere andare a cercare o sospettare ad ogni costo l'esistenza dell'inedito o del documento clamoroso quando non esiste, questo sí è veramente inspiegabile e bizzarro, per usare due aggettivi cari al lessico di Cortesi. Che cosa vuole dippiú sullo scontro tra Secchia e Togliatti di quanto non abbia già detto Secchia e che si trova fedelmente e integralmente riprodotto negli « Annali »? Cercare ciò che nell'Archivio Secchia non esiste e che se mai esiste salterà forse un giorno dall'Archivio del pci, mi pare ozioso e pretestuoso insieme, proprio in presenza di tutto quello che è emerso dalla pubblicazione degli « Annali » (che non so quanto sia piaciuta al pci, a dispetto di quanto pensa Cortesi e a giudicare dalle recensioni alquanto liquidatorie che ne hanno scritto Spriano su « l'Unità » e Amendola su « Rinascita »: ma possibile che siano sfuggite a un lettore cosí puntiglioso come Cortesi?) e soprattutto del fatto che se c'è un uomo politico che ha cercato di lasciare la piú ampia testimonianza non soltanto scritta ma stampata del suo lavoro politico e del suo patrimonio ideale questo è proprio Pietro Secchia. Questo, anche per ribadire che è ridicolo lamentare (come fa Cortesi, ancora a p. 545 nota 27) che io abbia soltanto citato e non anche pubblicato due discorsi minori. di Secchia del 2 e 15 giugno 1947 quando vi sono articoli e discorsi di Secchia pubblicati che formulano e ripetono gli stessi concetti e le stesse argomentazioni, senza bisogno di attendere inesistenti rivelazioni d'archivio.
Ma, questa è la critica di Cortesi: insinuare il dubbio sulla correttezza del modo in cui è stata realizzata la pubblicazione e quindi sulle possibili manomissioni. Anche quelli che apparentemente potrebbero sembrare apprezzamenti positivi sono formulati nello stesso spirito degno francamente di una scuola gesuitica. Cosí a proposito di inesistenti omissioni nei diari per quanto riguarda Togliatti egli perviene alla conclusione che si deve « annullare ogni sospetto di una sistematica censura di passi scabrosi» (p. 530). Quindi censura sistematica no, ma censura sí. È una tecnica molto vecchia: a furia di insinuare il dubbio, qualcosa rimane. Un gioco di simulazione e dissimulazione interno al diletto di Cortesi.
Nelle osservazioni che Cortesi fa sulle lacune relative ai complementi documentari di cui avrebbero dovuto essere corredati i Diari, ossia insisto l'unica parte omogenea dell'Archivio per il periodo posteriore al 1954, richiamandosi anche al metodo seguito da Secchia per i due volumi precedenti degli « Annali » relativi rispettivamente al periodo dell'antifascismo e a quello della Resistenza, Cortesi sottovaluta nettamente la diversa consistenza e la diversa natura del materiale. Sottovaluta ad esempio che la figura di Secchia era insostituibile proprio perché il materiale documentario, che soprattutto nel primo dei volumi degli « Annali » proveniva essenzialmente dall'Archivio Tasca con integrazioni dall'Archivio dell'Istituto Gramsci, era inserito in un tessuto narrativo che è in gran parte un racconto autobiografico di Secchia. Lo stesso si dica per il
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volume sul contributo del PcI alla Resistenza, costruito anch'esso su carte personali di Secchia e su carte tratte da altri archivi; ma erano sempre la memoria e l'intervento personale di Secchia a fornire l'intelaiatura e la struttura del lavoro. È chiaro che il periodo dal 1945 in poi poneva problemi nuovi di redazione del volume anche per le mutate condizioni della lotta politica. Ora, considerando il complesso dell'Archivio per quest'ultimo periodo risulta evidente che fin quando Secchia ha operato come uno dei massimi dirigenti del PcI la testimonianza della sua attività deve trovarsi essenzialmente nell'Archivio del PCI; ho già detto che cosa si trova nell'archivio Secchia: interventi ai comitati centrali, un numero assai minore di testi (o riassunti di essi) di interventi in altri organismi di partito, opuscolame e altre pubblicazioni che in buona parte sono servite per il lavoro di annotazione. Il Promemoria autobiografico è l'unica traccia compiuta che consenta la sutura con l'inizio del Diario,, che non a caso Secchia prende a scrivere dopo l'inizio dello scontro definitivo con Togliatti. Sarà banale osservazione, ma è presumibile che fino al luglio del 1954 Secchia non abbia avuto letteralmente la possibilità materiale e la disponibilità di tempo per tenere un archivio personale altrettanto accurato di quello che poté organizzare a partire dal 1954, da quando cioè ebbe anche — ma non sempre con la stessa continuità —la possibilità di stendere quasi giornalmente il diario al quale affidava il rovello psicologico esploso con il caso Seniga e le riflessioni politiche sugli sviluppi all'interno del partito che in quel primo episodio ebbero certamente uno dei momenti culminanti, e non solo per il coinvolgimento personale di Secchia, come ho cercato di dire nell'introduzione. Non ultima delle ragioni che lo spinse a prendere la penna in mano fu la necessità di difendersi, un tratto che non poteva non lasciare una traccia duratura su tutte le sue riflessioni.
Che la mia introduzione possa sembrare a Cortesi riduttiva, limitativa, non adeguata è cosa che non sto a discutere; se altri saprà fare meglio o dippiú non per esaltare (ché essa non ne ha, né noi ne abbiamo bisogno) la figura di Secchia, ma per rendere giustizia ad una personalità che ha incarnato tanta parte della storia del comunismo italiano, il primo a rallegrarmene sarò io. Ma non posso certo rallegrarmi della leggerezza con la quale Cortesi cerca di screditare l'iniziativa della pubblicazione di questo corpo di materiali. Non ricorderò fra l'altro come sia contraddittorio chiedere la pubblicazione di tutto e poi lamentare che già questo volume degli « Annali » sia di limitata accessibilità. Che cosa mai avrebbe detto Cortesi se si fossero pubblicati tanti volumi di carte anche inutili? È questo un argomento certo collaterale a sostegno della pubblicazione cosí come è stata concepita, ma non del tutto sottovalutabile. Insisto che una piú puntuale pubblicazione dei « documenti politici richiamati o allegati e che a tutti gli effetti vanno considerati parte integrante e fondamentale » dell'Archivio Secchia, come si esprime Cortesi, era praticamente impossibile. Non solo, perché molti di questi testi semplicemente nell'archivio non esistono, ma perché l'affastellamento del materiale non avrebbe reso piú agevole bensí piú complessa la consultazione e la stessa utilizzazione del volume. Se si credesse che nell'archivio vi siano elementi per collocare il documento della relazione di Mosca del dicembre del 1947 nel contesto delle sue premesse, della sua genesi e delle sue ripercussioni,
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al di là di quello che lo stesso Secchia ne scrive a posteriori nel Promemoria e nei Diari, si sarebbe completamente fuori strada. Per il periodo 1947-48, all'infuori delle note personali di Promemoria e Diari, e degli altri documenti da me citati o parzialmente utilizzati (comitati centrali, commissione di organizzazione ecc.) non vi è assolutamente altro; le pagine sullo sciopero generale del 1948 trovano il loro naturale complemento negli articoli pubblicati su « l'Unità » nell'estate di quell'anno e poi raccolti in opuscolo. In questo, come in tanti altri casi, è al di fuori dell'Archivio che bisogna lavorare, non insinuare che nell'Archivio vi possa essere piú di quanto oggettivamente non ci sia. E non bisogna a questo punto confondere neppure i materiali documentari che si pubblicano in vista di una elaborazione storiografica con l'elaborazione stessa. Cortesi può pur ritenere inutile la mia introduzione, ma è proprio davvero inutile o addirittura preclusiva al progresso dello studio del nci nel dopoguerra la pubblicazione del volume degli « Annali », come vorrebbe far credere Cortesi? In questo caso egli deve dimostrare che una diversa pubblicazione avrebbe aperto prospettive assai diverse allo studio non solo del caso Secchia ma della storia del nci. Ma a questo punto mi permetto di dubitare che egli sarebbe in grado di farlo. I vuoti della pubblicazione non sono arbitrari né dovuti soltanto alla scelta, che ribadisco, di aver privilegiato la pubblicazione integrale dei Diari: sono un vuoto oggettivo dell'Archivio, non colmabile senza una compenetrazione con l'Archivio del PCI, se e nella misura in cui questo esiste ed è completo o quanto meno passabilmente completo.
Non sono frammenti di altri documenti o singoli documenti che possono essere rimasti fuori dalla pubblicazione a modificare questo quadro e questa situazione complessiva. Non da ultimo Cortesi dimostra di non capire che il « lauto (e costoso) `pranzo alle otto' di rivelazioni e anticipazioni che rischiano di rimpicciolire le questioni politiche alla scala del personale e dell'interpersonale ecc. » (p. 538: è un linguaggio che cito con fastidio, ma tant'è, è quello che piace a Cortesi) non è il frutto di una scelta del curatore bensí il risultato della pubblicazione dei Diari, con la loro inevitabile carica personale e anche, perché no?, personalistica. Sarebbe stato piú soddisfatto Cortesi se lo avessi privato del lauto « pranzo alle otto » e avessi evitato di pubblicare i Diari? Ma allora a che cosa si sarebbe ridotta la pubblicazione? E non avrebbe egli strillato allo scandalo? Ripeto, una cosa è certa: in qualsiasi modo fosse stata curata la pubblicazione, Cortesi avrebbe dovuto demolirla. In tutto questo Pietro Secchia non c'entra niente. C'entrano, e soltanto, Luigi Cortesi, la sua prosopea, la sua arroganza, il suo atteggiarsi a figlio diseredato di un patrimonio ideale nel quale peraltro egli non si era riconosciuto mai interamente (forse avrebbe fatto bene a non dimenticare le polemiche da lui condotte a suo tempo con Secchia e le espressioni di Fortichiari sullo pseudosinistrismo di Secchia nell'intervista da lui per l'appunto curata e in alcun modo da lui contraddette).
Un'ultima considerazione vorrei riservare agli appunti di Cortesi relativamente alla pubblicazione di parti della Corrispondenza (Cortesi, pp. 530-532). Non perdo tempo a ribattere le osservazioni di Cortesi sui criteri con i quali ho ritenuto di riprodurre in nota piuttosto che nella apposita sezione o addirittura
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nel corso della stessa introduzione questa o quella lettera; Cortesi sa meglio di me che non esiste un criterio oggettivo, valido in ogni caso e per ogni tipo di corrispondenza, per la pubblicazione di questi testi. Se egli giudica arbitraria la collocazione che io ho ritenuto di dare ai testi generalmente in funzione della lettura dei Diari o della comprensione di altre vicende che emergono dal complesso del lavoro e degli sviluppi dei quali fu partecipe Secchia, è bene dire che altrettanto arbitrario sarebbe stato qualsiasi altro criterio. Certo, volendo si poteva fare un volume solo di corrispondenza. Ma crede Cortesi che sarebbe stato veramente importante e comunque avrebbe potuto fornire la chiave di quegli elementi dei quali egli lamenta la mancanza per la comprensione politica della storia del PCI? Personalmente ne dubito, il che per conto mio non esclude che altri possa e voglia procedere ad una pubblicazione integrale. Ma il sospetto è l'arma ermeneutica di Cortesi: che anche sulla corrispondenza sia stata applicata la « censura »? Possibile che il criterio di selezione debba equivalere a una « censura »? Forse perché cosí è piú scandalistico? Perché fa piú rotocalco? Fa piú storia del PcI? Che il carteggio con Togliatti presente nell'Archivio Secchia cominci sul finire del 1954 si può spiegare con il fatto che la consuetudine di lavoro nel periodo precedente rese meno necessario il contatto epistolare; in secondo luogo, e prioritariamente, che la parte di questo carteggio relativa a questo periodo dovrebbe trovarsi nell'archivio del PCI, trattandosi probabilmente (e dico probabilmente perché dobbiamo ragionare per intuizione e per ipotesi non avendo io la pretesa della divinazione) di materiali non di discussione politico-personale, come avverrà successivamente, ma piú strettamente politico. Ma c'è un richiamo di Cortesi che questa volta sorprende e induce a pensare o alla sua malafede o al suo candore, non soltanto come storico ma anche come ex militante del PCI. Meraviglia per l'appunto che uno come Cortesi che è stato all'interno del PCI abbia cosí scarsa capacità politica e metodologica di non percepire certe sfumature e certe spie del sistema di lavoro all'interno del partito, le regole in altri termini del gioco alle quali anche Secchia si atteneva scrupolosamente perché non erano regole né buone né cattive, moralisticamente intese, ma parte di un costume politico e di una disciplina politica tipici di un'epoca del comunismo italiano e internazionale. A proposito di una lettera di Secchia a Togliatti da me citata a p. 627 e da Secchia nei Diari, p. 289 e da me non pubblicata perché, scrivo, « di non rilevante interesse », Cortesi stupito si chiede (p. 530): « Ma può mai essere tale una lettera tra i due dirigenti del PcI, e quella lettera in particolare, che cade nel periodo piú drammatico dei loro rapporti, e della vita politica del suo autore? ». Sissignore, ci creda o no Cortesi, è proprio cosí. Quella lettera non è stata pubblicata perché è una semplice lettera di accompagnamento alla relazione di viaggio nella DDR viceversa pubblicata. Ma qui sorge appunto il problema: come può Cortesi pensare che Secchia approfittasse di una circostanza del tutto secondaria del suo residuo lavoro di partito per affrontare con Togliatti problemi di ben altra natura? Secchia sapeva troppo bene quale divisione di ruoli esisteva nel PcI; nel momento in cui gli era stato affidato il compito di recarsi nella DDR egli di questo e soltanto di questo riferiva a Togliatti. Gli altri problemi venivano trattati in separata sede, come dimostrano le altre lettere scambiate tra i due.
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Senza tenere conto di questa ferrea regola di non confondere cose e ruoli diversi,
la stessa possibilità di interpretare le vicende all'interno del Pci viene amputata di una delle sue regole metodologiche fondamentali.
Altrettanto incomprensibile, pare una gaffe, a essere benevoli, è lo stupore che Cortesi manifesta per il fatto che il carteggio con Longo appaia « quasi a senso unico, perché alle dodici lettere di Secchia fanno riscontro solo due lettere della controparte » (« Belfagor », p. 531). L'intero Diario di Secchia fa fede dei pessimi rapporti che intercorsero tra i due dirigenti dopo l'infortunio del 1954: io stesso ho accennato nell'introduzione al diverso atteggiamento che maturò nel rapporto tra Secchia e altri dirigenti del Pci, in particolare nel rapporto con Longo (p. 109). Come se non bastasse, proprio nella presentazione della seconda sezione della corrispondenza io stesso ho anticipato questa annotazione, della quale Cortesi non si è degnato di informare il lettore di « Belfagor » e che riproduco integralmente (dalla p. 667 del volume) perché mi sembra che mi esima dall'aggiungere altre spiegazioni o altri rinvii ai Diari di Secchia:
Nella seconda sezione si troveranno le lettere di Secchia a Longo. Due osservazioni si impongono a questo riguardo: si tratta, con due sole eccezioni, unicamente di lettere di Secchia, un'osservazione che richiama in generale il modo di lavorare e di coltivare i rapporti di Longo, come nota del resto nei quaderni lo stesso Secchia. La seconda osservazione sottolinea piuttosto un aspetto politico: non è forse casuale che, dopo la freddezza che si nota nei rapporti tra i due dirigenti del PCI negli anni immediatamente successivi al 1954, le lettere di Secchia si intensifichino dopo la nomina di Longo a segretario generale del PCI. La circostanza non sembra indicativa soltanto della maggior confidenza personale che Secchia aveva nei confronti di Longo, rispetto a Togliatti; essa fa pensare anche che Secchia considerasse la presenza di Longo alla segreteria del PCI come una garanzia del recupero di linee e di posizioni politiche che in altri anni e in altri periodi della vita del partito li avevano accomunati nelle stesse battaglie.
Se Cortesi avesse tenuto conto, come in altri casi, di queste e analoghe osservazioni, forse il processo indiziario che egli ha voluto intentare al volume degli « Annali » Feltrinelli avrebbe assunto un tono e uno spessore diversi. C'è fra l'altro un piccolo particolare che mi sfugge: procedendo all'annotazione dei Diari e di altri documenti riprodotti nel volume, io ho richiamato anche non pochi altri documenti contenuti nell'Archivio. Poiché non avevo di mira la pubblicazione integrale dell'Archivio ho tuttavia cercato di indicare una serie di pezze d'appoggio esistenti e di cui è sempre possibile il recupero e la pubblicazione. Non riesco a comprendere come l'aver usato questo scrupolo debba ritorcersi contro di me con l'accusa di avere occultato o di non avere proceduto alla pubblicazione integrale di questo materiale. Visto che Cortesi usa parlare di nonsense, ecco un autentico nonsense: se avessi voluto occultare dei documenti, semplicemente non ne avrei segnalato l'esistenza. Il fatto che non li abbia pubblicati deriva unicamente dalle scelte compiute e di cui ogni studioso si assume la responsabilità, compresa quella di sottoporsi alla critica di ogni altro studioso.
Non intendo protrarre oltre questa sin troppo lunga replica a una critica inquinata dal suo carattere pretestuoso e indiziario. La volontà di presentarmi come protagonista di un'operazione di occultamento o di archiviazione o come incon-
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sapevole strumento di una simile congiura è il motivo sotteso a tutto il discorso
di Cortesi ed è esplicato a tutte lettere a p. 538 del suo scritto: « La pubblicazione di una parte dell'archivio di Pietro Secchia contribuisce, quindi, paradossal-
mente, alla archiviazione di Pietro Secchia e alla emarginazione dalla storia del PcI di una serie di problemi e di dati reali del comunismo ». Ho conosciuto Pietro Secchia anche troppo bene e gli sono stato legato in un rapporto di reciproco rispetto e di reciproca discussione, ma non oserei per questo avanzare alcuna pretesa nei confronti della sua memoria né servirmi del suo nome per rituali affermazioni né per esibizionismi politici o personalistici. So di avere affrontato un lavoro ingrato e avrei gradito che se ne parlasse con uno spirito diverso da quello di uno azzeccacarbugli. Ma forse tanto era impossibile chiedere a Cortesi. La scarsa serietà della sua critica è dimostrata oltre tutto dalla greve insinuazione (siamo sempre purtroppo a questo genere d'inquisizione) che io abbia proceduto « a base di bene aggiustate citazioni da storici del PcI », le quali assieme alla riduzione interpretativa della figura di Secchia che io avrei operato, « rimandano al clima di compromesso nel quale ha preso corpo questa edizione dell'As » (p. 536). Siamo cosí arrivati alla conclusione fantapolitica, oltre che al tentativo di squalificare personalmente il mio lavoro facendo credere che io abbia acceduto a tendenziose e compiacenti citazioni di non meglio identificati storici del PcI. Siamo arrivati al punto che citare uno storico del PcI è di per sé un fatto infamante? Un lettore come Cortesi è in grado di distinguere dove la citazione ha valore di convalida di determinate ipotesi e dove serve per avviare un discorso critico? Nessuna distinzione esiste piú tra un uso e l'altro della citazione? O dovremo tacere di chi ha scritto, in modo apologetico o critico, della storia del PcI perché ha in tasca la tessera del PcI? Ingenuità, naturalmente, da parte mia. Ma che dire allora quando Cortesi si richiama alla « introduzione (pp. ci sgg.), molto precisa ed esplicita su tutta l'esperienza spagnola di Togliatti » (« Belfagor » p. 539, nota 15) di Paolo Spriano al tomo primo del IV volume delle Opere di Togliatti? Gli piacerebbe che si sospettasse di una sua connivenza o complicità con operazioni di occultamento politico del PcI?
ENZO COLLOTTI
Luigi Cortesi rinunzia al consueto intervento di chiusura, con la seguente breve lettera:
Caro Belfagor, non mi pare che la replica di Enzo Collotti introduca elementi di chiarimento e di discussione tali da rendere utile un mio nuovo intervento. Mi limito quindi a rimandare i lettori al mio scritto nel fascicolo del settembre scorso, e ad invitare i piú interessati ad un confronto fra le osservazioni ed argomentazioni mie e quelle di Collotti. Nella replica c'è invece la tendenza ad una degenerazione polemica sul piano personale, e io rinuncio a seguirla, diversiva com'è rispetto alla sostanza dei problemi: questa richiede stile franco ed esplicito, ma anche civile e responsabilmente corretto. Del resto, scopo del mio articolo non era di far perdere le staffe a Enzo Collotti, ma di ristabilire alcuni termini filologici e politici del discorso su Pietro Secchia, che mi erano apparsi gravemente compromessi dai criteri seguiti nella edizione dell'Archivio. Al mio intervento sono stato anche indotto da un debito nei confronti di Secchia, e dal cenno che mi riguarda nella sua lettera-testamento. LUIGI
CORTESI Roma, 10 gennaio 1980.
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31350+++
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Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 3 Giorno: 31
Numero 2
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2


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