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Il segmento testuale Gli è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 549Analitici , di cui in selezione 19 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da [Gli interventi] Giorgio Candeloro in Studi gramsciani

Brano: Giorgio Candeloro

Penso che il dibattito potrà riuscire più proficuo se si concentrerà su quegli aspetti dell’interpretazione gramsciana della storia d’Italia che hanno sollevato negli ultimi tempi vivaci discussioni tra gli studiosi. Mi soffermerò pertanto su di un problema soltanto, tra i molti toccati dal prof. Cessi nella sua relazione.

Le osservazioni di Gramsci sull’assenza di un movimento giacobino nel Risorgimento e in particolare sul carattere non giacobino del movimento democratico italiano sono tra quelle che hanno sollevato critiche *da parte di molti studiosi di storia. Si è detto che Gramsci, sotto lo stimolo di preoccupazioni politiche proprie del primo dopoguerra, estranee quindi alla situazione dell’età risorgimentale, avrebbe fatto un uso ingiustificato dell’esempio della Rivoluzione francese[...]

[...] del primo dopoguerra, estranee quindi alla situazione dell’età risorgimentale, avrebbe fatto un uso ingiustificato dell’esempio della Rivoluzione francese per giudicare il Risorgimento elevando il giacobinismo a paradigma ideale e commisurando ad esso movimenti politici sorti in condizioni del tutto diverse. Secondo Walter Maturi1, Gramsci avrebbe capovolto il giudizio comparativo sulla Rivoluzione francese e sul Risorgimento dato dal Manzoni negli ultimi anni della sua vita e avrebbe sostituito al modello ideale di rivoluzione liberalemoderata un modello ideale di rivoluzione giacobina. Secondo Rosario Romeo invece2, l’interpretazione gramsciana è criticabile, non solo perché la situazione italiana del Risorgimento era profondamente diversa da quella francese della Rivoluzione, ma soprat
1 W. MATURI, « Gli studi di storia moderna e contemporanea », in Cinquantanni di vita intellettuale in Italia^ Napoli, 1950, voi. I, p. 273.

2 R. Romeo, « La storiografia politica marxista », in Nord e Sud, agosto 1956.516

Gli interventi

tutto perché una rivoluzione giacobina, se ci fosse stata in Italia, non avrebbe avuto funzione progressiva, poiché avrebbe di molto ridotto, con la creazione di un vasto ceto di piccoli proprietari coltivatori, le possibilità di accumulazione capitalistica già tanto limitate in un paese arretrato commercialmente ed industrialmente. Si può dire insomma che, pur con motivazioni diverse e in parte contrastanti, la critica all’affermazione di Gramsci sull'assenza di giacobinismo nel Risorgimento sia stata finora uno dei punti centrali della discussione provocata tra gli storici dal[...]

[...]bbe di molto ridotto, con la creazione di un vasto ceto di piccoli proprietari coltivatori, le possibilità di accumulazione capitalistica già tanto limitate in un paese arretrato commercialmente ed industrialmente. Si può dire insomma che, pur con motivazioni diverse e in parte contrastanti, la critica all’affermazione di Gramsci sull'assenza di giacobinismo nel Risorgimento sia stata finora uno dei punti centrali della discussione provocata tra gli storici dall’opera di Gramsci.

Di fronte a queste critiche si deve dire anzitutto che il pensiero storiografico di Gramsci è indubbiamente un aspetto del suo pensiero politico e al tempo stesso della sua azione politica. Ma si deve anche dire che questa azione fu essenzialmente azione rivoluzionaria, rivolta a mobilitare e a dirigere le forze capaci di risolvere i problemi di fondo della società e dello Stato in Italia. Questi problemi, giunti ad un grado estremamente critico nel primo dopoguerra, hanno però le loro radici in tutta la precedente storia d’Italia, in particolare nella storia[...]

[...]o passato, si sviluppò infatti sulla base di determinate e tra loro contrastanti interpretazioni della Rivoluzione francese; per non parlare del pensiero reazionario che fu per molti decenni addirittura ossessionato dall’esempio della Rivoluzione. Non si può dire dunque che l’esempio della Rivoluzione sia un paradigma estraneo al Risorgimento, quale esso fu effettivamente; è evidente tuttavia che l’uso di questo paradigma fatto dai pensatori e dagli uomini politici del secolo passato non può più coincidere con l’uso che ne può fare lo storico nel nostro secolo.

Premesso questo, prima di vedere in che consista questo paragone gramsciano e fino a che punto esso possa dirsi propriamente un paragone, è neoessairio soffermarci sulla definizione che Gramsci stesso dàGiorgio Candeloro

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del giacobinimo. « Il termine di66 giacobino ” — egli dice — ha finito per assumere due significati: uno è quello proprio, storicamente caratterizzato, di un determinato partito della Rivoluzione francese, che concepiva lo svolgimento della vita francese in un modo determinato, con un programma determinato, sulla base di forze sociali determinate e che esplicò la sua azione di partito e di governo con un metodo determinato che era caratterizzato da una estrema energia, decisione e risolutezza, dipendenti dalla credenza fanatica nella bontà e di quel programma e di quel metodo. Nel linguaggio politico i due aspetti del giacobinismo furono scissi [...]

[...]n un metodo determinato che era caratterizzato da una estrema energia, decisione e risolutezza, dipendenti dalla credenza fanatica nella bontà e di quel programma e di quel metodo. Nel linguaggio politico i due aspetti del giacobinismo furono scissi e si chiamò “giacobino” l’uomo politico energico, risoluto e fanatico, perché fanaticamente persuaso delle virtù taumaturgiche delle sue idee, qualunque esse fossero: in questa definizione prevalsero gli elementi distruttivi derivati dall’odio contro gli avversari e i nemici, più che quelli costruttivi, derivati dalTaver fatto proprie le rivendicazioni delle masse popolari; l’elemento settario, di conventicola, di piccolo gruppo, di sfrenato individualismo, più che l’elemento politico nazionale » 1.

È evidente che Gramsci, quando parla di assenza di giacobinismo nel Risorgimento, si riferisce alla concezione positiva e comprensiva del giacobinismo, che egli analizza quando si sofferma in vari punti dei Quaderni del carcere suH’azione dei giacobini nella Rivoluzione francese stessa. Secondo lui, i giacobini francesi spinsero avanti in modo violento la stessa borghesia, che inizialmente era su posizioni moderate, ma rimasero sempre nell’ambito di una rivoluzione boghese. Il giudizio gramsciano si avvicina qui a quello dato in modo più ampio e documentato da alcuni storici della Rivoluzione francese, principalmente dal Mathiez. È impossibile però stabilire fino a che punto la concezione gramsciana sia stata influenzata dall’opera del Mathiez che Gr[...]

[...]ezione gramsciana sia stata influenzata dall’opera del Mathiez che Gramsci mi pare citi due sole volte nei Quaderni2.

Ora, secondo Gramsci, non ce stato nel Risorgimento un movimento giacobino, inteso in questo senso, perché nessun partito politico risorgimentale volle far leva sulle masse popolari e trascinarle nel movimento nazionale in vista di una trasformazione radicale della situazione

1 R., p. 75.

2 Mach., pp. 44 n. 2, 48.518

Gli interventi

esistente. Questa trasformazione avrebbe dovuto consistere essenzialmente (ma non esclusivamente) in una rivoluzione agraria. In Francia i giacobini, che avevano nella capitale la loro base principale, poterono assicurarsi con la loro politica agraria l’appoggio delle masse contadine. Essi perciò non solo « organizzarono un governo borghese, cioè fecero della borghesia la classe dominante, ma fecero di più, crearono lo Stato borghese, fecero della borghesia la classe nazionale dirigente, egemone, cioè dettero allo Stato nuovo una base permanente, crearono la compatta nazione mod[...]

[...]menti decisivi del Risorgimento prevalse il movimento moderato.

Gramsci giunge cosi ad una visione molto chiara dei caratteri e della funzione storica dei due raggruppamenti politici maggiori del Risorgimento: 1 moderati e il partito d’Azione. I moderati ebbero infatti un rapporto organico con vasti settori della borghesia e dell’aristocrazia imborghesita; il partito d’Azione ebbe sempre una base sociale debole e ondeggiarne, perché Mazzini e gli altri democratici non vollero o non seppero porsi il problema di una radicale trasformazione dei rapporti di classe nelle campagne.

Gramsci però non si limita a questa critica, ma ricerca anche le ragioni storiche della fondamentale debolezza delle correnti democratiche risorgimentali. Egli ricollega questa debolezza allo sviluppo ritardato e insufficiente delia borghesia italiana in generale, di cui analizza i caratteri risalendo attraverso l’età del dominio straniero al Rinascimento e all’età comunale. In questa ricerca si debbono inquadrare le sue osservazioni sul carattere « economicocorporativo » della borghesia comunale, sulla storia degli intellettuali italiani e sullo sviluppo della tradizione culturale italiana, da secoli ondeggiante tra il particolarismo corporativo e il cosmopolitismo di tipo cattolico. Al tempo stesso egli nota che il Risorgimento si attuò in una fase storica in cui il movimento

1 R.} p. 86.Giorgio Candeloro

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politico ascendente della borghesia, sviluppatosi dalla Rivoluzione francese, tendeva ad arrestarsi nei paesi più progrediti e a trasformarsi in una posizione difensiva di fronte al sorgente movimento del proletariato. Perciò l’Italia, che pure era in una situazione nel complesso più arretrata della Francia e degli altri paesi dell’Oocidente, risenti delle ripercussioni della situazione nuova che andava formandosi in questi paesi, e questo fu un freno potente per tutte le correnti politiche del Risorgimento.

Queste circostanze interne ed esterne fecero si che il Risorgimento si concentrasse sui problemi dell’indipendenza, dell’unità e del regime costituzionale, sicché su questo terreno il partito d’Azione fu abbastanza facilmente rimorchiato dai moderati e in particolare dai gruppi che si strinsero attorno alla monarchia sabauda.

A questo punto però sorge un problema, che Gramsci stesso si pone, q[...]

[...] stesso si pone, quello della possibilità storica di un diverso sviluppo del Risorgimento. Dice infatti Gramsci in un passo parzialmente citato anche da Manacorda : « Se in Italia non si formò un partito giacobino ci sono le sue ragioni da ricercare nel campo economico, cioè nella relativa debolezza della 'borghesia italiana e nel clima storico diverso dell’Europa dopo il 1815. Il limite trovato dai giacobini, nella loro politica di forzato risveglio delle energie popolari francesi da alleare alla borghesia, con la legge Le Chapelier e quella sul maximum, si presentava inel ’48 come uno “ spettro ” già minaccioso sapientemente utilizzato dall’Austria, dai vecchi governi e anche dal Cavour (oltre che dal Papa). La borghesia non poteva (forse) più estendere la sua egemonia sui vasti strati popolari che invece potè abbracciare in Francia (non poteva per ragioni soggettive, non oggettive), ma l’azione sui contadini era certamente sempre possibile» \

È chiaro che su questo punto si sente la necessità di un approfondimento, non tanto sui te[...]

[...]sui vasti strati popolari che invece potè abbracciare in Francia (non poteva per ragioni soggettive, non oggettive), ma l’azione sui contadini era certamente sempre possibile» \

È chiaro che su questo punto si sente la necessità di un approfondimento, non tanto sui terreno filosofico (poiché la possibilità riferita al passato non va intesa come una costruzione astratta, ma come un’ipotesi di lavoro, come un punto di riferimento per chiarire meglio i caratteri delil’effiettivo processo storico), quanto sul terreno storiografico : è necessario infatti studiare a fondo la struttura economicosociale italiana, vederne con chiarezza l'evoluzione durante il Risorgimento, fissarne con precisione i caratteri diversi nelle varie parti d'Italia, studiarne infine Ì

1 R., pp. 8788.

34.520

Gli interventi

rapporti' con i movimenti politici. Si tratta insomma di proseguire ed estendere il lavoro di Gramsci studiando la storia d’Italia col metodo marxista. Quel metodo che Gramsci peir primo applicò ad essa con grande acume critico e con eccezionale ampiezza di prospettive, anche se, per le circostanze in cui ifu costretto a lavorare, i risultati della sua indagine dovettero assumere spesso una forma frammentaria e talora ebbero il carattere di geniali intuizioni non sufficientemente argomentate.

Non è da escludere che questo approfondimento possa portare a correggere o a limitar[...]

[...] e di tattica rivoluzionaria, che poi furono teorizzati da Trotzki nella dottrina della « rivoluzione permanente», nella fase storica che va dal 1789 al 1848 e sul loro esaurirsi nel 1870711. Comunque in Gramsci è molto chiara la coscienza della maggior complessità della rivoluzione proletaria rispetto alla rivoluzione borghese, soprattutto per quel che concerne il problema delle alleanze della classe rivoluzionaria. ,

Da un’attenta lettura degli scritti di Gramsci si può trarre infatti questa conclusione, che del resto è tipicamente marxistaleninista : in determinate condizioni storiche, quali erano quelle dell'Italia del Risorgimento in cui prevalsero i problemi essenzialmente politici deH’indipendenza nazionale e dell'unità statale, una rivoluzione borghese è possibile in una forma limitata (ma in tutte le rivoluzioni borghesi c’è sempre un certo limite rappresentato dalla maggiore o minore sopravvivenza di residui del passato), senza l’alleanza con i contadini e in genere con le masse popolari, ma coll’alleanza di vecchie forze pr[...]

[...] mentre la rivoluzione proletaria non può fermarsi prima di essere giunta ad una trasformazione completa e definitiva della società. Essa perciò ha una linea di sviluppo complessa che fu sommariamente ma vivacemente delineata da Marx in un famoso passo dello scritto sul Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte.

Ma il concetto gramsciano del giacobinismo può essere chiarito anche dai giudizi che Gramsci dà su tre uomini del Risorgimento, nei quali egli trova degli spunti giacobini: Giuseppe Ferrari, Carlo Pisacane e Vincenzo Gioberti.

Il giudizio su Ferrari mi sembra particolarmente esatto. Secondo Gramsci, il giacobinismo storico neH’opera di Ferrari si è « diluito e astrattizzato ». Giustamente egli nota come le grandi opere del Ferrari

1 Mach., p. 44.522 interventi

siano degli zibaldoni « f arraginosi e confusi » v mentre notevoli intuizioni politiche appaiono negli scritti polemici o d’occasione. Comunque osserva che il Ferrari si rese conto deH’importanza del problema agrario, ma non seppe elaborare in proposito un programma politico vero e proprio, ma solo una utopistica delineazione della necessità della « legge agraria » ; aggiunge che la posizione politica del Ferrari fu indebolita dal federalismo e dal fatto che era troppo « infranciosato », cioè troppo

influenzato da certe tendenze caratteristiche della politica francese. Sfuggi imsomma al Ferrari l'importanza dei due problemi dell'unità e dell’in
diipendenza, sicché la sua azione politica ri[...]

[...]cese mancava un anello intermedio' e che proprio questo anello importava saldare per passare a quello successivo. Il Ferrari non seppe “ tradurre ” il francese in italiano e perciò la sua stessa 64 acutezza ” diventava un elemento di confusione, suscitava nuove sette e scolette ma non incideva nel movimento reale » 1. Mi sembra che queste parole chiariscano bene in che senso Gramsci intende il valore della comparazione tra situazioni diverse.

Gli elementi giacobini del pensiero di Piisacane riguardano essenzialmente, secondo Gramsci, il problema militare, cioè il problema della mobilitazione delle masse popolari per la guerra nazionale rivoluzionaria; a questo spunto .iniziale si sarebbe poi aggiunto un elemento di tipo populista: Gramsci avanza (infatti l’ipotesi di un’influenza diretta o indiretta su Pisacane da parte di Herzen o di altri rivoluzionari russi; comunque nota una somiglianza tra l’impostazione del problema agrario in Pisacane e nei populisti.

Più interessante, complesso, anche se in una certa misura contraddittorio è il giudizio di Gramsci sul Gioberti, che si può ricavare da parecchi passi dei Quaderni. Nelle opere gioberti'ane, soprattutto nel Rinnovamento civile d’Italia, Gramsci nota due importanti spunti di giacobinismo. Uno riguarda la funzione del Piemonte, che è vista dal Gioberti in relazione al problema della « radunata rivoluzionaria », cioè come una

1 R, p. 75.Giorgio Candeloro

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specie di surrogato della funzione che nella Rivoluzi[...]

[...]l Rinnovamento civile d’Italia, Gramsci nota due importanti spunti di giacobinismo. Uno riguarda la funzione del Piemonte, che è vista dal Gioberti in relazione al problema della « radunata rivoluzionaria », cioè come una

1 R, p. 75.Giorgio Candeloro

523

specie di surrogato della funzione che nella Rivoluzione francese ebbe Parigi, come centro di raccòlta e di direzione delle forze rinnovatrici. L’altro riguarda la funzione dirigente degli intellettuali in senso nazionalepopolare, che Gioberti svolge soprattutto nel Rinnovamento quando parla del « primato dell’ingegno » e quando afferma che una letteratura « non può essere nazionale se non è popolare ». Gioberti, secondo Gramsci, offre qui una soluzione « formale » del problema di una letteratura nazionalepopolare, come contemperamento di conservazione e di innovazione, come «classicità nazionale». Giustamente poi Gramsci osserva che Gioberti non potè sviluppare praticamente questi spunti giacobini, perché non ebbe la possibilità di dirigere un partito e per altre circostanze p[...]

[...] » del problema di una letteratura nazionalepopolare, come contemperamento di conservazione e di innovazione, come «classicità nazionale». Giustamente poi Gramsci osserva che Gioberti non potè sviluppare praticamente questi spunti giacobini, perché non ebbe la possibilità di dirigere un partito e per altre circostanze particolari,

D’altra parte Gramsci nota anche che nella filosofìa giobertiana la dialettica è concepita come contemperamento degli opposti e stabilisce un rapporto tra Gioberti e l’hegelismo di destra, sicché il Gioberti avrebbe avuto in Italia una funzione non molto diversa da quella avuta in Francia dal Proudhon; un elemento giobertiano sarebbe poi sempre rimasto oeU’idealismo italiano. Questo giudizio non appare ben coordinato con l’altro sul giacobinismo giobertiano; la cosa si spiega se si tiene conto che questi appunti di Gramsci appartengono a vari momenti e furono stesi in rapporto a problemi molto diversi.

Comunque è chiaro che Gramsci si rese perfettamente conto della complessità deHopera del Gioberti, polit[...]

[...]oordinato con l’altro sul giacobinismo giobertiano; la cosa si spiega se si tiene conto che questi appunti di Gramsci appartengono a vari momenti e furono stesi in rapporto a problemi molto diversi.

Comunque è chiaro che Gramsci si rese perfettamente conto della complessità deHopera del Gioberti, politica e filosofica, e comprese che il Gioberti non può essere considerato semplicemente come un rappresentante del moderatismo, poiché presenta degli aspetti radicalmente innovatori accanto a spunti conservatori e quasi reazionari.

Ho indicato questi giudizi gramsciani su uomini del Risorgimento come esempi di problemi che meriterebbero di essere affrontati in modo nuovo allo scopo di raggiungere una più chiara conoscenza del Risorgimento e in generale di tutta la storia d’Italia. Quegli studiosi di storia, che non si appagano del problemismo minuto o delle interpretazioni tradizionali o dell’astratto ideologismo, possono trovare neiropera di Gramsci un insegnamento di grande valore per condurre una ricerca storica animata da uno spirito rigorosamente scientifico e al tempo stesso da una chiara prospettiva di rinnovamento e di progresso politico e sociale.



da Mario Devena, Una giornata laboriosa [dedicato a Vasco Pratolini] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: UNA GIORNATA LABORIOSA
A Vasco Pratolini
Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza
DANTE
I
Il barlume della luna penetrava a tratti le nubi, che irrequiete correvano il cielo, mentre gli uccelli dormivano a coppie nella notte d'autunno. E, sugli alberi scarsi di foglie, la rugiada cresceva uguale alla nebbia che orlava i lampioni delle strade. La luce delle lampade, nelle vie disegnate come lettere maiuscole dell'alfabeto, gettava ombre che un venticello pigro rendeva misteriose quanto i passi che risonavano incerti nel silenzio della notte. Le nubi si movevano nel cielo con un suono come il mare, e i passi si ripetevano sul marciapiede accanto ad un edificio ornato di statue e di ombre. Infatti, un uomo, distinto d'aspetto, trattenendo nella mano la punta di un bastone, si adoperava alla maniera di un beone di raggiungere, pur tenendo il braccio teso, la [...]

[...]o, trattenendo nella mano la punta di un bastone, si adoperava alla maniera di un beone di raggiungere, pur tenendo il braccio teso, la parte superiore del bastone stesso; si che, per ottenere il suo scopo, ora con cautela ora con aggressività, dava luogo al suo incerto camminare.
In vero, il vino bevuto dall'uomo, che aveva nome Michele Tempo e l'età di sessantaquattro anni, lo ingannava non solo con quel giuoco insensato, ma anche col suggerirgli come ridurre il cammino fino a casa: perché con tanto pretesto lo riconduceva più e piú volte dinanzi all'edificio ornato di statue.
La via, infatti, sotto un cielo di nubi si distendeva simile ad una a e » maiuscola; i cui bracci, quando non percorsi interamente, consentivano un facile errore. Si che l'uomo, mentre un venticello a stento moveva le cime dei platani, spendendo il suo tempo col senno di quegli che seminava sale sulla riva del mare, ritornava ai suoi giri tra l'edificio e i silenziosi palazzi dirimpetto alle statue.
Distinto di aspetto, vestito di cappotto e cappello, era di statura
UNA GIORNATA LABORIOSA 21
superiore alla media. La espressione del suo volto era caratterizzata da grandi occhi che, sotto la fronte cui si attaccavano i capelli brizzolati, potevano dare col soccorso delle spesse labbra un tono di ottusa pensosità o di sommessa pieta. Tuttavia, in quella notte buia di stelle, la consueta espressione, cedendo anche all'atteggiamento particolare dovuto al vino, si era [...]

[...] un locale, si pensò di raggiungere quel luogo che, da un vicolo nei pressi della stazione, mandava con la luce di una lanterna un forte odore di cibo. La riunione, svoltasi in una atmosfera di cordialità resa più valida dal vino, non era mancata del suo discorso, nel quale un impiegato dalla testa calva e dalle maniere da imbonitore aveva esaltato le qualita dell'amico funzionario. Che, intanto, ripetutamente applaudito, mentre il vino sempre meglio gli riscaldava il cuore e la mente, era stato impressionato da queste due osservazioni; anzi queste tre osservazioni si erano scolpite dentro di lui: la sala troppo stretta pregna di fumo raccolto nei fasci della luce, un telefono di forma disusata sotto una lampada spenta che era un braccio nel muro e la conclusione del discorso, secondo la quale si sosteneva che lui, il funzionario, aveva vissuto parte di una bella vita, « senza gettare margherite o perle dinanzi ai porci '.
Di ritorno dunque dalla serata in suo onore, Michele si era ritrovato in una natte d'autunno a percorrere le vie che si [...]

[...]l muro e la conclusione del discorso, secondo la quale si sosteneva che lui, il funzionario, aveva vissuto parte di una bella vita, « senza gettare margherite o perle dinanzi ai porci '.
Di ritorno dunque dalla serata in suo onore, Michele si era ritrovato in una natte d'autunno a percorrere le vie che si distendevano simili alle lettere maiuscole dell'alfabeto. E si intestardiva nel suo giuoco insensato, mentre le statue dell'edificio lo meravigliavano per la terza volta con la loro mole, perché in lui vi era un contrasto di dolorosi sentimenti inteso a turbare la sua abituale condizione. Infatti, se con la frase che concludeva il discorso dell'amico, gli veniva fatto di subire come una scossa morale, che gia di per sé lo precipitava in uno stato di tumulto e di sconforto; ad un tempo, subiva un doloroso contrasto tra la natura sobria e dignitosa e la imposizione dovuta al vino, che
22 MARIO DEVENA
gli suggeriva con quel giuoco un comportamento non conforme alla propria natura. E ciò non solo perché il vino facilmente aveva avuto ragione della volontà di lui; .bensì anche perché suole accadere che un cuore, colpito ad un tratto e profondamente, piuttosto che rivolgersi ad alleviare il proprio dolore, si ritrova in azioni capaci soltanto di esasperarlo. E' una conseguenza, questa, che suole stare anzitutto in coloro che non sono abituati ai dolori morali oppure in chi, troppo uso alle sofferenze, per un nuovo sconforto perde l'equilibrio interiore. In Michele, tuttavia, trovava maniera di es[...]

[...]adere che un cuore, colpito ad un tratto e profondamente, piuttosto che rivolgersi ad alleviare il proprio dolore, si ritrova in azioni capaci soltanto di esasperarlo. E' una conseguenza, questa, che suole stare anzitutto in coloro che non sono abituati ai dolori morali oppure in chi, troppo uso alle sofferenze, per un nuovo sconforto perde l'equilibrio interiore. In Michele, tuttavia, trovava maniera di esprimersi anche perché l'avvilimento che gli nasceva dall'inseguire la parte superiore del bastone, sminuiva per così dire il proporsi dello sconforto e del tumulto del suo animo.
Occupato da tale atteggiamento spirituale, pur volendo persistere nello scopo che dava luogo al suo camminare, ne fu distratto da un passo strascicato che si continuava verso di lui. E come l'animale ad un suono corre al riparo, e dalla tana, il corpo nascosto, sporge il capo per scrutare; ugualmente il funzionario si nascose dietro il tronco di un platano; mentre l'ombra del corpo, proiettata dalla luce di un lampione, si allungava in concerto con la testa s[...]

[...]tuale, pur volendo persistere nello scopo che dava luogo al suo camminare, ne fu distratto da un passo strascicato che si continuava verso di lui. E come l'animale ad un suono corre al riparo, e dalla tana, il corpo nascosto, sporge il capo per scrutare; ugualmente il funzionario si nascose dietro il tronco di un platano; mentre l'ombra del corpo, proiettata dalla luce di un lampione, si allungava in concerto con la testa sporta per scoprire. E, gli occhi verdi come fuori delle orbite, forzando lo sguardo, vide avanzarsi un uomo che, alto di statura, poveramente vestito, con la guida di un bastone pestava il marciapiede con un monotono ritmo. Fattosi, poi, più attento per la vicinanza dell'uomo, scorse ai piedi di lui grossi scarponi militari e sul volto, scarno e colmo di dolore, la cecità degli occhi sotto le palpebre scoperte.
Impressionato per tale apparizione allora che il cieco gli fu accanto, particolarmente per il soccorso del vino deliberò' di aggirare il platano e, inseguito dalla propria ombra, di allontanarsi silenziosamente. Ma, mentre barcollando si adoperava nel suo intento, fu richiamato da una voce che, strascicata come un passo, supplicava:
— Per carità, il cancello verde.
La via infatti, disegnata come una « e » maiuscola, era occupata in uno dei suoi bracci da un cancello verde che, circondando un palazzetto di fronte all'edificio ornato di statue, formava un angolo retto. Ora, standovi la possibilità di incorrere nell'errore di seguire un altro braccio [...]

[...]ABORIOSA 23
che a colui lo aveva rivelato, l'uomo aveva ottenuto di attraversare la strada accompagnato, e di continuare senza errore il cammino.
Mentre intanto la luna filtrava tra le nubi e il ritmo del bastone del cieco, alternato al passo strascicato, si disperdeva nella notte come un volo nell'aria, il signor Tempo, atteggiando il volto ad una espressione di ottusa pensosità, si ritrovava per il soccorso del caso sulla via che per davvero gli riduceva l'incerto camminare fino a casa. In vero, i passi ora andavano ripetendosi meno incerti, e Michele, dopo essersi trascinato in una strada buia accanto a certe case che non aveva mai vedute, mentre ad un tratto e rumorosamente soffiava il vento dello stomaco attraverso la bocca, aveva preso a sentire come una stretta dolorosa al cuore, senza tuttavia volerne, e per tanto saperne spiegare la causa. Perché lo angosciava una idea che, per l'essere stata ridotta come un ricordo perduto nel fondo torbido della memoria, si agitava dolorosamente in lui, e senza rivelarsi in alcun modo. Si ch[...]

[...]atica di condannati ai ferri; e, non mai soddisfacendo per il peso che, simile all'idea nascosta, li trascinava e li avviliva, davano luogo ad una situazione morale colma di turbamento e di angoscia.
Veniva così a stabilirsi un atteggiamento che modificava per così dire, la condizione precedente all'incontro con il cieco. Se prima esisteva un sentimento che, segnata con evidenza la scossa morale seguita all'ultima frase del discorso dell'amico, gli faceva nascere la paura per il tumulto del suo cuore; ora invece gli si rivelava un dolore, di cui apparentemente ignorava l'origine e la forma, ma che, per l'essere una manifestazione dello spirito, esisteva certo come il buio di quella notte d'autunno.
Intanto, tra i pensieri che si trascinavano alla superficie della coscienza, Michele, mentre passava accanto ad un palazzo in costruzione, si adoperava di rimuginare più che gli altri quello che presumeva spiegare il suo stato. E al vino bevuto dava colpa del suo turbamento, soccorso dalla spiegazione secondo la quale per il vino si era comportato in modo del tutto riprovevole; e, ora che il capo gli doleva fortemente in concerto con la scomparsa dell'ebbrezza, soffriva per l'atteggiamento di prima, che contrastava con la sua natura come l'ozio con la operosità.
Chiaritasi per tanto la causa dell'angoscia, mentre nel cielo le nubi correvano con un suono come un mare agitato ove la luna pareva sprofondata, distinto di aspetto, il bastone intorno al braccio,
i
24 MARIO DEVENA
procedeva leggermente barcollando nelle vie deserte. Ma pure, nel camminare, sebbene avesse spiegato il motivo che gli faceva dolere il cuore, continuava a sentire una stretta intorno alla parte più segreta dello s[...]

[...]l'ebbrezza, soffriva per l'atteggiamento di prima, che contrastava con la sua natura come l'ozio con la operosità.
Chiaritasi per tanto la causa dell'angoscia, mentre nel cielo le nubi correvano con un suono come un mare agitato ove la luna pareva sprofondata, distinto di aspetto, il bastone intorno al braccio,
i
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procedeva leggermente barcollando nelle vie deserte. Ma pure, nel camminare, sebbene avesse spiegato il motivo che gli faceva dolere il cuore, continuava a sentire una stretta intorno alla parte più segreta dello spirito. Si che, gli occhi verdi come fuori delle orbite, mentre l'ombra del corpo si ripeteva alla luce dei lampioni orlad di nebbia, il volto rugoso rappresentava una espressione tra la paura e una dolorosa pieta, che le spesse labbra concorrevano a sottolineare. E, allora che il vento pigro a stento agitava le cime nere degli alberi, ora platani ora tigli antichi, lui pur imponendosi un andamento serio e quasi solenne, lasciava involontariamente trasparire un che di trepidante e indifeso, che non chiedeva, bensì implorava aiuto. E, mentre le strade, silenziose come le botteghe che le rasentavano, andavano rincorrendosi in folla dietro i suoi passi, unico sollievo gli veniva da quell'idea che, sebbene avesse ridotta come un ricordo perduto al fondo torbido della memoria, pure, attraverso le tante opposizioni dell'essere, riusciva brevemente ad imporsi nella sua coscienza. Infatti, ogni qualvolta si proponeva in lui la frase che terminava il discorso dell'amico impiegato, con la quale veniva detto della sua bella vita col paragone delle margherite e delle perle, il funzionario sentiva come un mutamento interiore, rivolto ad allentare la stretta data al suo cuore. Non gia che la pace, per così dire, in quegli istanti gli colmasse l'animo; ma solo v'era che a[...]

[...]memoria, pure, attraverso le tante opposizioni dell'essere, riusciva brevemente ad imporsi nella sua coscienza. Infatti, ogni qualvolta si proponeva in lui la frase che terminava il discorso dell'amico impiegato, con la quale veniva detto della sua bella vita col paragone delle margherite e delle perle, il funzionario sentiva come un mutamento interiore, rivolto ad allentare la stretta data al suo cuore. Non gia che la pace, per così dire, in quegli istanti gli colmasse l'animo; ma solo v'era che al disordinato movimento della sua coscienza si sovrapponeva un ordine quasi materiale che, pur rifacendosi ad un dolore, portava sollievo; e in quanto che l'individuare il motivo di una sofferenza concedere all'uomo di distruggere uno dei due aspetti del suo soffrire, che sono l'ignoranza del dolore e il dolore medesimo.
Intanto, sebbene soggiogato da quel comportamento morale che alternava alla verita dell'angoscia un groviglio di pensieri, mentre la citta dormiva di un sonno profondo, poneva ormai attenzione al suo cammino; e, leggendo il nome delle str[...]

[...]; ma solo v'era che al disordinato movimento della sua coscienza si sovrapponeva un ordine quasi materiale che, pur rifacendosi ad un dolore, portava sollievo; e in quanto che l'individuare il motivo di una sofferenza concedere all'uomo di distruggere uno dei due aspetti del suo soffrire, che sono l'ignoranza del dolore e il dolore medesimo.
Intanto, sebbene soggiogato da quel comportamento morale che alternava alla verita dell'angoscia un groviglio di pensieri, mentre la citta dormiva di un sonno profondo, poneva ormai attenzione al suo cammino; e, leggendo il nome delle strade per evitare errori, infine si ritrovò nella via a forma di esse maiuscola, su cui si apriva la sua casa. E si era appena avanzato lungo il marciapiede, oltre una piccola automobile dei pompieri, quando fu trattenuto dall'andare innanzi da un singolare suono; che improvvisamente, allora che le nubi del cielo si erano fatte minacciose di pioggia, aveva preso a ripetersi quasi in risposta al pestare dei suoi passi. Ma pure, dopo una breve pausa usando molta prudenz[...]

[...]elo si erano fatte minacciose di pioggia, aveva preso a ripetersi quasi in risposta al pestare dei suoi passi. Ma pure, dopo una breve pausa usando molta prudenza riprese a camminare; e, forzata la vista alla luce dei lampioni, era andato fissando i grandi occhi colmi
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di stupore verso un corpo che, giusto all'altezza del portone di casa, con rumor di ferrame si moveva in una corsa circolare. A mano a mano, però, che meglio scopriva la natura di quel suono, restituiva dignità al suo aspetto; e, pur tenendo prudentemente come arma il bastone, s'avvedeva che il rumor di ferrame era dovuto ad una scatola di latta che, legata alla coda di un cane, veniva vorticosamente girata dal timore della bestia inseguita da così strano suono.
Riconosciuto, intanto, nell'animale il bastardo di proprietà di un bambino che viveva in casa con lui, mentre soffiava il vento dello stomaco attraverso la bocca, si avvicinò con amore . al cane; e, vinto il capogiro che la testa dolorante favoriva, riuscì nell'intento di con quistarlo. [...]

[...]to il bastone contro la bottega del cappellaio, raggiunse il portone di casa, che simile al portale di una chiesa si apriva sulla via tra la bottega di un antiquario e l'altra indicata da un cartello rugginoso come fabbrica di bambole. Superato l'androne, che fortemente illuminato si divideva in due scale accanto ad un muro, ove alcuni cactus di già avevano assunto il colore della sabbia, si portò lentamente fino alla porta di casa; e qui, meravigliato dalla presenza della sorella Amelia e del bambino che viveva con loro, ancora la mano alla ringhiera, prese a rimproverare:
« Ti avevo pur detto », si rivolse alla sorella, mentre il capogiro lo costringeva ad una pausa, « di non attendermi. E poi fino a quest'ora tarda », era per continuare con la sua voce dura e chiara, quando ne fu interrotto da Amelia che sommessamente, mentre Enzo, il bambino, vestito di pigiama rientrava col cane, gli faceva osservare:
« Eravamo ad attendere Fiocco, non te. Lo avevano così malridotto; e, ogni qualvolta si era tentato, di avvicinarlo, era fuggito guaendo. Povera bestia », infine commentava, nel momento in cui il fratello, distratto ormai dal suo groviglio di pensieri, ancora vestito di cappotto e cappello, si accingeva a raggiungere indispettito la propria stanza.
Michele Tempo, da quando la moglie ed il figlio morirono per una medesima disgrazia, di cui in famiglia si preferiva tacere, aveva ottenuto che la sorella Amelia, di lui maggiore e zittella, prendesse
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a vivere, sotto il suo stesso tetto. Riempendo una vita modesta, e senza avvedersi del tempo che ora imbiancava i loro capelli, ora dava qualche acciacco o poneva una misura al colore vivace degli abiti di Amelia, i due fratelli avevano speso tanti e tanti anni in comune. Il loro accordo, che si era continuato come una lampada votiva, aveva subito una sola interruzione per via di Enzo: il bambino che, dianzi sugli scalini illuminati, preso tra le braccia il cane, gli occhi di bimbo colmi di lacrime, era sgattaiolato nella casa.
Enzo era il figlio naturale di una cameriera che, morendo di parto nel mettere al mondo una creatura, aveva affidato il suo bambino di cinque anni alla signora Amelia. Questo bimbo, sporco lacero e brutto, la sorella del funzionario prese ad amare con una devozione ed un affetto esemplari, fin dal momento che, venendole affidato, potette considerarlo come una cosa propria. Si che a nulla valsero i ragionamenti, le minacce e le abili parole di Michele rivolte ad allontanare il ragazzo dalla casa e, anzitutto, dalla vita di Amelia. Essa infatti dimostrò tanta fermezza di carattere, che il non cedere non solo avr[...]

[...]ostrò tanta fermezza di carattere, che il non cedere non solo avrebbe privato il funzionario della cura e dell'affetto di lei; ma anche dell'amministrazione di quei pochi beni che, dovendo Amelia
vivere da sola con il bambino, era costretta a domandare.
L'episodio di Enzo se aveva interrotto l'accordo dei fratelli Tempo, fino ad allora continuatosi .come una lampada votiva, tuttavia, non aveva dato luogo a rivolgimento di sarta nella loro famiglia; perché il funzionario, costretto a cedere, pur guardando con malevolenza il bambino, si era adoperato in modo che quella situazione, stata da sempre tra lui ed Amelia, fosse di nuovo la benefica realtà di prima. E, sottomettendosi ora a che Enzo frequentasse la scuola, ora a che gli portasse in casa un bastardo pezzato marrone o a curarlo durante qualche malattia nei due anni di convivenza, era riuscito a guadagnare affetto devozione e cura non mai ottenute.
Il bambino era di statura bassa, con un volto cui si attaccavano disordinati capelli chiari sopra una fronte di già larga. La espressione del viso, alla quale contribuivano orecchi a ventola, un naso lungo e dritto e, sulle guance sciupate, gli occhi castanei, era sincera e buona, quantunque di consueta un poco smarrita. Il carattere era remissivo, ma riusciva ad attuarsi in tutta pienezza soltanto alla presenza di Amelia; che aveva stabilito con lui rapporti di amicizia, uguaglianza e responsabilità reciproca. In tutti i minuti di due anni, essa si era prodigata per il bambino in modo assoluto e, donandogli moralmente
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e materialmente tutto quanto era nelle sue possibilità, ne aveva fatto L:n fanciullo attento e buono, che pareva avere ormai dimenticato del tutto la sua prima educazione, tanto nel sentire quanto nell'esprimersi.
Amelia Tempo, nata con una vita che la vide primogenita e zittella, si era ininterrottamente prodigata per gli altri, dimentica di sé, ma sempre persuasa che il rotolare dei giorni avrebbe comportato per lei, non ostante i mesi divenissero sempre più rapidi anni, una sorte benevola. Le pareva che il tempo; svolgendosi alla maniera di un papiro magico, ad un punto le avrebbe fatto saltare fuori un marito, ad un altro un matrimonio, e poi ancora un figlio, una bambina del tutto bionda, una famiglia nuova e più vera. Sorretta da tanta fede, innocente, si era fatta incontro agli anni come una prua che fende le onde, ritrovandosi bianchi i capelli sul capo, e sempre meglio adottando la volontà degli altri.
Alta solo quando il gracile corpo le era riflesso nell'ombra, aveva lunghi capelli bianchi stretti a cercine dietro il capo, un volto illuminato dal roseo pallore caratteristico delle zittelle e da occhi azzurri sopra gli zigomi sporgenti, e infine una espressione di sommessa felicità, che ad ogni età di lei tradiva una fede. Quella fede che poi, mancando per natura di essere sottoposta a riflessione, aveva ugualmente ritrovato come valida espressione e suo soddisfacente oggetto
l'incontro con il bambino. L'accordo di Amelia e di Enzo, dal tempo in cui quest'ultimo dovette essere solennemente ripulito, fu dapprima interessato, ma più tardi spontaneo e sincero al punto che ciascuno si prefiggeva soltanto l'interesse dell'altro: al dolce carattere e all'amore della donna faceva riscontro nel fanciullo il desid[...]

[...]o e sincero al punto che ciascuno si prefiggeva soltanto l'interesse dell'altro: al dolce carattere e all'amore della donna faceva riscontro nel fanciullo il desiderio di essere buono. Si che la comune comprensione, guidata da Amelia come un cavallino docile, naturalmente li trovò d'accordo anche allora che si doveva attendere per porgere aiuto a Fiocco, il cane dal pelo bianco pezzato marrone.
Nella via a forma di esse maiuscola, un giovane, figlio del proprietario della fabbrica di bambole, usava vivere i suoi ozi in compagnia di una fisarmonica e del garzone del cappellaio. Ora, una tale compagnia non di rado risultava dannosa per gli abitanti della via; in quanta che la compiacenza che il garzone, un ragazzo dai capelli rossi, aveva per l'amico, favorendo un carattere malvagio, rap presentava senz'altro una incondizionata devozione. Cioè, quel sentimento riprovevole che tra la gente del popolo é generato dall'invidio
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sa ammirazione per il ricco, appartenente non già alla ricca borghe sia o a quella agiata, bensì ad una classe sociale di poco superiore alla propria. Standovi dunque un tale sentimento, il giovane volgarmente impomatato, vestito di abiti costosi, e dal nome che riduceva al vezzeggiativo di [...]

[...]a ricca borghe sia o a quella agiata, bensì ad una classe sociale di poco superiore alla propria. Standovi dunque un tale sentimento, il giovane volgarmente impomatato, vestito di abiti costosi, e dal nome che riduceva al vezzeggiativo di Giogiò, si serviva del compagno per attuare l'uno o l'altro scherzo malvagio, senza mai dimostrarsene responsabile. E, ancora una volta senza parere, aveva attuato una sua piccola vendetta, per un insulto venutogli dal funzionario, con l'imporre al garzone di legare una scatola di latta alla coda di Fiocco. Il cane scacciato aveva preso a correre, inseguito dal rumore come di ferrame; e ad ogni tentativo di avvicinarlo, guaendo, era fuggito sino all'ora in cui aveva ceduto parte del suo terrore dinanzi all'atteggiamento del funzionario.
Essendo intanto falliti i tentativi di Amelia e di Enzo di portare aiuto a Fiocco, la loro comune comprensione e l'affetto che ugualmente avevano per la bestia li aveva fatti scoprire d'accordo nell'attendere ancora ad un'ora tarda della notte. Sebbene vestiti del solo [...]

[...]ccordo nell'attendere ancora ad un'ora tarda della notte. Sebbene vestiti del solo pigiama, tenendosi caldi con una coperta a scacchi, si erano seduti al buio, dietro i vetri del balcone che dava sulla via, al fine di spiare, almeno, il comportamento del cane. Vedutolo quindi ridotto a ragione nello angolo della bottega del cappellaio, quantunque si fossero proposti di non farsi scoprire in quella attesa, pure, sapendolo di ritorno erano corsi sugli scalini illuminati, non curanti del proponimento e facendo nascere dispetto in Michele; il quale, prima che Amelia raggiungesse la propria camera, si era ritirato ancora vestito di cappotto e cappello.
La camera di Michele era adiacente a quella che la sorella divideva con. Enzo; e una sottile parete consentiva al funzionario di ascoltare i dialoghi detti accanto, pure se detti sommessamente. Mentre la testa gli doleva e la ebbrezza del vino sempre meglio era stata sostituita da un doloroso sentimento, aveva udito la voce di Amelia, che al buio esortava il bambino a non piangere oltre, ora che Fiocco era disteso ai piedi del letto. Ma in vero i ragionamenti della donna, riuscita a suscitare la fiducia il riso e le parole in Enzo, solo involontariamente e brevemente erano state ascoltate da Michele, perché il suo stato fisico e morale, occupandolo del tutto e con intensità, pareva avere stabilito un gran silenzio intorno a lui, di nuovo preda di un groviglio di pensieri. Mentre dalla via, ove gruppi di platani erano alternati ai lampioni orlat[...]

[...]to la voce di Amelia, che al buio esortava il bambino a non piangere oltre, ora che Fiocco era disteso ai piedi del letto. Ma in vero i ragionamenti della donna, riuscita a suscitare la fiducia il riso e le parole in Enzo, solo involontariamente e brevemente erano state ascoltate da Michele, perché il suo stato fisico e morale, occupandolo del tutto e con intensità, pareva avere stabilito un gran silenzio intorno a lui, di nuovo preda di un groviglio di pensieri. Mentre dalla via, ove gruppi di platani erano alternati ai lampioni orlati di nebbia, la luce filtrava nella stanza per gli scuri socchiusi, il funzionario, nel letto, gli occhi verdi sbarrati contro il buio, sentiva disordinatamente turbinare dentro di
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sé gran numero di sensazioni e tentativi di ragionamenti. E anzitutto un forte dispetto gli procuravano due immagini che si sarebbero dette stare in lui solo per irritarlo ed esasperarlo; cioè, l'immagine della macchina da cucire, che occupava un angolo della camera di Amelia, e l'altra del telefono sotto la lampada spenta, che era un braccio nel muro del locale donde era venuto. Quanto, tuttavia, però, lo sconvolgeva del tutto, mentre la sua sagoma disegnava irrequiete figure contro la coperta del letto e i capelli brizzolati gli si disordinavano sul capo era la conclusione del discorso dell'amico dalle maniere da imbonitore.
Quella frase che, dicendo della sua vita col ricorrere al paragone delle margherite e delle perle, gli aveva dato nel locale una inspiegabile scossa morale e piú tardi, per la strada, come un sollievo alla stretta intorno al cuore, ora invece pareva avvilupparlo in una angoscia senza scampo. E un senso di nausea, quasi qualcosa lo premesse alla gola, tendeva a trasformarsi in atteggiamenti rivolti ad esprimere la nausea stessa. Infatti, soggiogato dall'avvilimento interiore, parendo ritrovarsi nella necessità di dar campo ad immagini che risultassero in quel momento dolorose, si rifaceva ora al telefono o alla macchina da cucire, ora alle ombre dell'edificio ornato di statue o alla figura del [...]

[...]lo in una angoscia senza scampo. E un senso di nausea, quasi qualcosa lo premesse alla gola, tendeva a trasformarsi in atteggiamenti rivolti ad esprimere la nausea stessa. Infatti, soggiogato dall'avvilimento interiore, parendo ritrovarsi nella necessità di dar campo ad immagini che risultassero in quel momento dolorose, si rifaceva ora al telefono o alla macchina da cucire, ora alle ombre dell'edificio ornato di statue o alla figura del cieco dagli scarponi militari. Vivendo come uno spasimo interno, che ormai gli stringeva i pensieri in un nodo inestricabile, aveva preso parallelamente a patire un malessere fisico che, quasi fosse stato possibile, con sollievo, si faceva identificare con la causa di tutto il suo male. E a mano mano, intanto, che in lui il dolore morale si confondeva con l'altro fisico, per il sopravvento momentaneo di quest'ultimo, nel rigirarsi nel letto cadeva in quella sorta di torpore, che anche la giornata laboriosa e il calore dell'ambiente giustificavano.
Sollevato per così dire nel dolore dal nuovo atteggiamento del suo essere, pareva come avere riacquistato, anche se attrave[...]

[...]o il suo male. E a mano mano, intanto, che in lui il dolore morale si confondeva con l'altro fisico, per il sopravvento momentaneo di quest'ultimo, nel rigirarsi nel letto cadeva in quella sorta di torpore, che anche la giornata laboriosa e il calore dell'ambiente giustificavano.
Sollevato per così dire nel dolore dal nuovo atteggiamento del suo essere, pareva come avere riacquistato, anche se attraverso una nebbia quelle sensazioni che il groviglio di pensieri aveva distrutte, con lo stabilire un gran silenzio intorno a lui. Infatti, non ostante la fatica imposta dal suo sentire, ora riusciva a percepire tanto un suono della camera accanto, come di un bottone che cade, quanto, con lo scricchiolio di un mobile, il calore dell'ambiente. Anzi, questa sensazione, naturalmente favorita dal vino, allora che le palpebre pesanti stringevano gli occhi verdi, lo ingannava con la persuasione di vivere una notte d'estate. E mentre il sonno ormai lo conquistava, come
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un'acqua melmosa che guadagna una sfera pesante, ritrovandosi pres so un prato alla ricerca di un fiare, la cui vista continuamente gli era impedita da mostro che grugniva senza posa, sentiva intollerabile il calore della stagione. Ma, in vero, il suo sentire non trovava rispondenza nella realtà, perché il cielo d'autunno, fatto sprofondare tra le nubi il barlume della luna, mandava nella notte lampi sino agli alberi dove gli uccelli dormivano a coppie.
II
Dalla parete a fiorami verdi pendeva il busto di un cardinale, dipinto rosso in una cornice nera come gli occhi, il bordo di un cappello e l'anello dell'autorità. L'atteggiamento severo della figura pareva convergere la luce degli occhi verso il letto del funzionario disposto, tra il muro di un balcone e quello della porta, .perpendicolare alla parete dirimpetto al quadro. Questo pendeva al disopra di una tavola che, su un panno di feltro, sosteneva libri e fascicoli tra un lume ed un calamaio dalla figura di asino recalcitrante. Come indicato dalla coda dell'asino, poi, un armadio con specchi interni, occupando subito dopo la porta tutt'un muro, si alzava fino al lampadario, sospeso con la forma di lanterna ad un soffitto segnato di curve e linee che volevano significare un disegno.
Dopo che il mattino era salito nel[...]

[...]no recalcitrante. Come indicato dalla coda dell'asino, poi, un armadio con specchi interni, occupando subito dopo la porta tutt'un muro, si alzava fino al lampadario, sospeso con la forma di lanterna ad un soffitto segnato di curve e linee che volevano significare un disegno.
Dopo che il mattino era salito nel cielo, fuggite le nubi con un suono come il mare, nella camera era piovuta una luce discreta come il tepore dell'ambiente; e, attraverso gli scuri del balcone appena socchiusi, un fascia di solicello autunnale, cadendo, aveva segnato forte un rettangolo del pavimento e i piedi di una poltrona presso il letto del funzionario. Questi, vestito di un completo grigio, nella stanza già posta in bell'ordine, il dorso alla coperta a scacchi del letto, era intento a scrivere in uno dei fascicoli sul panno di feltro della tavola. Sebbene fosse stato costretto dai limiti di età ad interrompere la sua attività di ufficio, pure ugualmente aveva da lavorare; perché il direttore di un tempo, col corrispondergli personali compensi, si serviva del[...]

[...]o del pavimento e i piedi di una poltrona presso il letto del funzionario. Questi, vestito di un completo grigio, nella stanza già posta in bell'ordine, il dorso alla coperta a scacchi del letto, era intento a scrivere in uno dei fascicoli sul panno di feltro della tavola. Sebbene fosse stato costretto dai limiti di età ad interrompere la sua attività di ufficio, pure ugualmente aveva da lavorare; perché il direttore di un tempo, col corrispondergli personali compensi, si serviva dell'esperienza di lui per sviluppare rapporti o relazioni importanti. E, essendogli imposto dal direttore, che l'ironia degli impiegati chiamava Cuorcontento per una espressione sempre irata e triste, di fare uso nel lavorare della penna comune, Michele si serviva del calamaio dalla figura di asino recalcitrante.
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Seduto sull'unica sedia della stanza, ora consultando un libro ora un fascicolo, andava sviluppando un rapporto con un entusiasmo ininterrottamente avvilito da un sentimento nascosto, che gli faceva riandare i momenti usati dal tempo per fargli una vita. Sebbene infatti svolgesse con consapevolezza il lavoro, pure dentro di lui pareva parallelamente svolgersi un sentimento di disagio, che trovava la sua manifestazione nell'imporgli ricordi degli anni passati. E, mentre un sorriso lieve gli increspava gli angoli cadenti della bocca, si era riveduto bambino, quando, riuscito ad entrare nel campanile di una chiesa, aveva preso a sonare una delle campane, così mettendo a soqquadro la parrocchia del quartiere.
Era un giorno d'estate, quello, e botte ne ebbe non solo da un monaco, bensì anche dal padre cui era stato accusato da Amelia in quel tempo vestita di grembiulini quadrettati e pettinata con treccine corte. Allora Amelia, al dire dei parenti era somigliante alla madre... Oh, suo padre! Chissà cosa avrebbe mormorato nel saperlo funzionario dai capelli brizzolati e non professore di lingue. Q[...]

[...] cadenti della bocca, si era riveduto bambino, quando, riuscito ad entrare nel campanile di una chiesa, aveva preso a sonare una delle campane, così mettendo a soqquadro la parrocchia del quartiere.
Era un giorno d'estate, quello, e botte ne ebbe non solo da un monaco, bensì anche dal padre cui era stato accusato da Amelia in quel tempo vestita di grembiulini quadrettati e pettinata con treccine corte. Allora Amelia, al dire dei parenti era somigliante alla madre... Oh, suo padre! Chissà cosa avrebbe mormorato nel saperlo funzionario dai capelli brizzolati e non professore di lingue. Quanta bontà era in lui: nell'aspetto scarno, bonario, poco alto e ridanciano e negli atteggiamenti morali. Il lavoro, continuato in casa come lezioni private,. era la sua verità, e gli occupava l'intero giorno, quante tunque non gli impedisse di preoccuparsi intensamente dei due figlioli. Forse, se non era ingiusto un simile pensiero, maggiore cura usava per Amelia...
Oh! aveva scritto autorizzazione con quattro zeta. Ma Amelia... come mai non si affancendava per le camere?
« No, non si vede: è cassato bene. Autorizzazione », aveva detto a voce alta, mentre dalla via il suono di una fisarmonica gli giungeva quasi fosse sonato nella camera accanto. In vero, però, nella stanza divisa da Enzo e da Amelia questa era tutt'altro che intenta a sonare: dopo avere accompagnato a scuola il suo protetto e fatto ordine usando il silenzio in modo da non turbare il fratello, sedutasi pressa il balcone colmo di piante, aveva preso a cucire un costume per Enzo. Perché questi, avendo dato prova di possedere talento nel recitare poesie e raccontini era stato scelto con altri alunni per una recita in costume.
Il suono della fisarmonica, intanto, facendosi udire particolarmente, anche perché espresso da m[...]

[...] raccontini era stato scelto con altri alunni per una recita in costume.
Il suono della fisarmonica, intanto, facendosi udire particolarmente, anche perché espresso da mano inesperta, aveva preso ad aumentare il senso di disagio del funzionario; il quale sentiva che il turbamento del sentimento nascosto di pocanzi ora lo aggrediva con una forza
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dolorosa. E, adoperandosi di attribuire la stretta intorno al cuore al fastidio che gli procurava il suono sgraziato, mentre intingeva la penna nell'asino recalcitrante del calamaio, come per difesa e sollievo si era dato ad individuare il sonatore e il luogo del concerto; percorrendo col pensiero la via che si distendeva con un manto di pece disuguale. Né lunga né corta, né stretta né larga essa si ripeteva, sull'esempio di antiche costruzioni, in una sorta di esse maiuscola, sulla quale oltre i marciapiedi, interrotti da platani e lampioni, si aprivano alcune bottegucce. Accanto a quella che si iniziava con una vetrina, dietro cui un pinolo di legno sosteneva una bombetta, che[...]

[...]zi a quella bottega che, con le altre dell'antiquario, della fabbrica di bambole e di un emporio, completava la parte commerciale della via.
Il disprezzo di Michele, intanto, dovuto al ricordo della calce contro il manto di pece, continuava in lui quella difesa che, avendolo distratto con la necessità di riandare il luogo e la causa del suono, ancora lo liberava dall'analizzare il suo sentimento doloroso. Ma, ciò non ostante, come in precedenza gli si svolgeva in cuore un sentimento che trovava la sua manifestazione nell'imporgli ricordi; ugualmente ora, pure parendo distratto in maniera da respingere l'analisi del turbamento, nell'animo era costretto a riguardare quella parte delle circostanze esterne che gli imponeva contro volontà di seguire il passato come un discorso interiore e senza interruzioni. E intanto il raschiare delle unghie di Fiocco contro la porta della camera di Amelia e le parole imprecise della donna mormorate al cane forse come rimprovero, soccorsero la esigenza dello spirito di lui. Che, infatti, per tanto mormorio, pure essendo nuovamente rivolto a completare il rapporto di ufficio, era stato richiamato dal ricordo delle lezioni paterne agli alunni Come un tempo seduto ad una scrivania « protetta » dall'immagine di un santo l'adolescente Michele veniva distratto dalle parole [...]

[...]contro volontà di seguire il passato come un discorso interiore e senza interruzioni. E intanto il raschiare delle unghie di Fiocco contro la porta della camera di Amelia e le parole imprecise della donna mormorate al cane forse come rimprovero, soccorsero la esigenza dello spirito di lui. Che, infatti, per tanto mormorio, pure essendo nuovamente rivolto a completare il rapporto di ufficio, era stato richiamato dal ricordo delle lezioni paterne agli alunni Come un tempo seduto ad una scrivania « protetta » dall'immagine di un santo l'adolescente Michele veniva distratto dalle parole straniere dette accanto; ugualmente in quel momento era stato occupato dal ricordo dovuto al mormorare di Amelia. E si era ritrovato nei pomeriggi d'inverno a studiare, mentre la luce cadeva obliqua sulla scrivania per la disposizione della parete dirimpetto alla finestra. La finestra della sua camera! Chiudeva male, lo rammentava e sul marmo
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incrinato sosteneva un barattolo, che conservava intatto il corpo di una rana. In quel tem[...]

[...] della parete dirimpetto alla finestra. La finestra della sua camera! Chiudeva male, lo rammentava e sul marmo
UNA GIORNATA LABORIOSA 33
incrinato sosteneva un barattolo, che conservava intatto il corpo di una rana. In quel tempo...
« Avrebbe dovuto consegnarlo il giorno seguente, quel rapporto! Ma si, il mercoledì. E si era affannato per portarlo a termine.
Ma che ragazzacci! Perdigiorno! Ripetono quella canzone oscena. Indubbiamente é il figlio del proprietario della fabbrica a sonare, si confermava con dispetto Michele; mentre il ricordo del vezzeggiativo Giogiò, cui il sonatore aveva ridotto il proprio nome, lo induceva, anche per l'esigenza del cuore, a quel paragone i cui termini erano rappresentati dai giovani moderni e quelli delle generazioni passate. E un tale paragone nel momento in cui si liberava dell'umare secreto dai suoi occhi di anziano, lo riportò, attraverso brandelli di pensieri, ad atti di eroismo nei quali si erano distinti loro, giovani del ventiduesimo battaglione. Perché lui, Michele Tempo, aveva combattuto n[...]

[...] del vezzeggiativo Giogiò, cui il sonatore aveva ridotto il proprio nome, lo induceva, anche per l'esigenza del cuore, a quel paragone i cui termini erano rappresentati dai giovani moderni e quelli delle generazioni passate. E un tale paragone nel momento in cui si liberava dell'umare secreto dai suoi occhi di anziano, lo riportò, attraverso brandelli di pensieri, ad atti di eroismo nei quali si erano distinti loro, giovani del ventiduesimo battaglione. Perché lui, Michele Tempo, aveva combattuto nella guerra del... Erano stati lodati, quelli del ventiduesimo battaglione. E quale accoglienza subirono nel fare ritorno . in patria. Fu una festa. La grande festa che precedette l'altra ancora più memorabile che lo vide, vestito in tutt'altro modo, sposo e marito felic4.
Quanta musica! gli rammentava il motivo osceno della fisarmonica e senza turbarlo, perché del tutto occupato in quel momento a rivedere i ricordi della sua memoria. Finanche il lavoro aveva smesso e, mentre tormentava con la mano la copertina di un fascicolo, con commozione andava dipingendo la sua donna.
Aveva voluto preferirla, anche per la dote di cui ancora godeva con l'abitare lá casa sulla via ad esse; ma, non ostante l'avesse preposta al suo primo amore, non mancava nei momenti di esasperazione di incolparla di una modesta condizione sociale. Di rado, però, il suo atteggiamento portava dolore alla giova[...]

[...]aveva smesso e, mentre tormentava con la mano la copertina di un fascicolo, con commozione andava dipingendo la sua donna.
Aveva voluto preferirla, anche per la dote di cui ancora godeva con l'abitare lá casa sulla via ad esse; ma, non ostante l'avesse preposta al suo primo amore, non mancava nei momenti di esasperazione di incolparla di una modesta condizione sociale. Di rado, però, il suo atteggiamento portava dolore alla giovane sposa o al figliuolo; il quale poi già a tre anni, con un difetto della mano appena visibile, dimostrava qualità e doti non comuni. In vero siffatta persuasione non sempre accompagnava il genitore che, considerando le buone condizioni di vita per un adulto, era caduto nel convincimento che infine per il figlio vi fossero « sempre aperte due vie ».
« Ne fare) un prete », considerava, « se dimostrerà furberia e intelligenza; un militare qualora apparisse ottuso e prepotente ». E non intendeva il funzionario che a questo modo veniva a dare prova di scarsissima considerazione verso le due classi sociali che, pure, in cuor suo non disprezzava per niente. Come é possibile infatti che superstizione e religione si accompagnino nell'animo dell'uomo, senza che
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l'una diminuisca l'altra; ugualmente si dà caso che contrastanti opinioni, non escludendosi reciprocamente, abbiano un medesimo e[...]

[...], pure, in cuor suo non disprezzava per niente. Come é possibile infatti che superstizione e religione si accompagnino nell'animo dell'uomo, senza che
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l'una diminuisca l'altra; ugualmente si dà caso che contrastanti opinioni, non escludendosi reciprocamente, abbiano un medesimo e grave peso. Tuttavia, però, le convinzioni del funzionario non ebbero modo di realizzarsi, perché da solo fu costretto a contare giorni dopo che la moglie ed il figliuolo, per una medesima disgrazia di cui in famiglia si preferiva tacere, presero a riposare il riposo eterno.
Questo ricordo, intanto, di cui la sua memoria come già per la morte dei genitori mancava di particolari, gli aveva fatto luccicare gli occhi verdi, tanto che era stato costretto ad asciugare una lacrima caduta proprio su quel punto del rapporto dove era la parola autorizzazione. Servitosi quindi di una carta assorbente e considerato vagamente la possibilità di ricopiare la pagina, era stato preso da un sentimento, misto di pietà per sé e di pentimento per il pensiero avuto intorno all'avvenire del figlio. Per tanto, mentre alzatosi si era portato dietro i vetri del balcone e con sguardo assente guardava nella via, si dava forza per evitare di piangere nel considerare quanto poco avesse saputo sperare, fare o prevedere per il suo bambino.
Vinto da questo sentimento buono, allora che sotto i capelli brizzolati il volto mostrava tutta la vecchiezza degli anni, involontariamente era stato richiamato dal paragonare il suo balcone spoglio a quello accanto della sorella, ove facevano bella mostra sotto il solicello autunnale molte piante ancora verdi. E, mentre tanto paragone rafforzando la pietà di sé, ad un tempo, lo liberava dal rime pianto e lo induceva a sedersi ancora al lavoro, aveva nuovamente udito la voce della sorella che nella camera accanto, pur continuando il lavoro di cucito, andava burlandosi del cane pezzato marrone. In verità le parole di Amelia per il nuovo motivo sonato sulla fisarmonica erano del tutto incomprensibili; e come esse raggiungevano imprecise Michele, così lui, quasi che la imprecisione gli all[...]

[...]fforzando la pietà di sé, ad un tempo, lo liberava dal rime pianto e lo induceva a sedersi ancora al lavoro, aveva nuovamente udito la voce della sorella che nella camera accanto, pur continuando il lavoro di cucito, andava burlandosi del cane pezzato marrone. In verità le parole di Amelia per il nuovo motivo sonato sulla fisarmonica erano del tutto incomprensibili; e come esse raggiungevano imprecise Michele, così lui, quasi che la imprecisione gli allontanasse la verità del momento, continuava a rivedere il passato contro lo sfondo del suo sentimento di pietà. E, mentre sentiva di essere impedito nel lavoro, tanto che già più volte aveva intinto invano la penna nello asino recalcitrante del calamaio, era come caduto in un assopimento morale che, pure favorendo lo svolgersi della memoria, non gli consentiva oltre commento di sorta. E, ore fattesi giorni e giorni fattisi mesi, e mesi divenuti grigi anni, si era sempre veduto vivere una vita... laboriosa come quella della formica.
« Oh, ma da cosa mai mi lascio distrarre? Di che vado almanaccando? Perché?... Anche se posso consegnare il rapporto domani, è
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bene portarlo a termine subito, stando la... Dio mio, abbi pietà. Invecchio davvero e inseguo i fantasmi. E' quasi completa questa relazione. Quanto male mi ha procurato la cena di ieri sera. E' quasi completa questa relazione a, ripeteva sommesso, mentre, [...]

[...]io distrarre? Di che vado almanaccando? Perché?... Anche se posso consegnare il rapporto domani, è
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bene portarlo a termine subito, stando la... Dio mio, abbi pietà. Invecchio davvero e inseguo i fantasmi. E' quasi completa questa relazione. Quanto male mi ha procurato la cena di ieri sera. E' quasi completa questa relazione a, ripeteva sommesso, mentre, riprendendo a lavorare perché sollecitato lall'idea dell'ufficio, gli veniva fatto di decidere e come subcoscientemente che la pagina da ricopiare non l'avrebbe rifatta e, così ad un tratto, che avrebbe comperato un regalo ad Enzo; sebbene questi in quel momento gli apparisse molto brutto per gli orecchi a ventola.
Ritornato al lavoro intanto, e riuscendo a godere del tepore dell'ambiente, aveva preso a sentire contro la sofferenza che non lo abbandonava una sorta di soddisfazione simile al filo del ragno, che ora pare stare ora no nell'ondeggiare alla luce del sole. Infatti, men tre nella stanza il solicello, superata la poltrona, aveva raggiunto la coperta a scacchi del letto e con la sua luce dava un pugno in volto al cardinale dipinto in rosso, avvedutosi di essere per terminare il rapporto, non aveva mancato di provare anche se debolmente il benessere e la fiducia che segue un l[...]

[...]con la sua luce dava un pugno in volto al cardinale dipinto in rosso, avvedutosi di essere per terminare il rapporto, non aveva mancato di provare anche se debolmente il benessere e la fiducia che segue un lavoro bene compiuto. Anzi, allora che il suo tossire, venuto meno il suono nella via, sottolineava il silenzio dell'ambiente insieme con il raschiare del pennino, che scriveva l'ultimo periodo della relazione d'ufficio, addirittura un sorriso gli andava increspando le guance rugose; perché una necessità, opposta alla esigenza dello spirito e rivolta a non analizzare i motivi di turbamento del cuore, voleva convincerlo di avere argomento di grande soddisfazione. Si che, disposta bellamente ogni cosa insieme con le cartelle del rapporto completo, spostato d'un poco il lume e l'asino che dalle briglie ora faceva pendere la penna, si era risolto ad uscire per il suggerimento di un pensiero che si adoperava nel tentativo di imporgli la voluta soddisfazione. Alzatosi, dopo essersi portato al balcone per curiosare sulla via, si era avvicinato all'armadio; e, apertolo, trattone il cappotto e il cappello, cercatovi invano il bastone, aveva preso a specchiarsi, disponendo involontariamente uno degli specchi del mo bile in maniera che vi si rifletteva il lampadario con la forma di lanterna. E intanto, proprio la forma del lampadario, che pendeva dal soffitto segnato di curve e linee completava e per così dire realizzava interamente il pensiero che gli procurava piacere: Ad Enzo avrebbe regalato una lanterna magica. Soccorso da tanto suggerimento, dopo la inspiegabile decisione di comperare un regalo al bambino, aveva superato il portone, che si apriva tra la fabbrica di bambole e
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l'altra di un antiquario; si era avviato per la strada, turbato da un sentimento come di chi scoperto in una propria debolezza. Infatti, nel volgere lo sguardo verso la vetrina, dell'antiquario vi aveva scoperto il bastone dimenticato nella via la sera innanzi; e, rammentando di essere stato ubbriaco, gli era parso doversi profondamente vergognar[...]

[...] inspiegabile decisione di comperare un regalo al bambino, aveva superato il portone, che si apriva tra la fabbrica di bambole e
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l'altra di un antiquario; si era avviato per la strada, turbato da un sentimento come di chi scoperto in una propria debolezza. Infatti, nel volgere lo sguardo verso la vetrina, dell'antiquario vi aveva scoperto il bastone dimenticato nella via la sera innanzi; e, rammentando di essere stato ubbriaco, gli era parso doversi profondamente vergognare, tanto più che attribuiva alla propria condotta il ridere sguaiato di Giogiò e del garzone dai capelli rossi. Si che, procurando di camminare più lesto del consueto, avendo superato i marciapiedi orlati di platani, come liberato dal timore di una umiliazione immediata, si era ritrovato in uno spiazzo, donde si dipartivano tre strade. Qui, mentre la gente e le automobili si movevano con movimento impressionante e rumoroso, dopo avere considerato come assurdo il pensiero secondo il quale si sarebbe potuto dire che il bastone era appartenuto a lui, deci[...]

[...]del consueto, avendo superato i marciapiedi orlati di platani, come liberato dal timore di una umiliazione immediata, si era ritrovato in uno spiazzo, donde si dipartivano tre strade. Qui, mentre la gente e le automobili si movevano con movimento impressionante e rumoroso, dopo avere considerato come assurdo il pensiero secondo il quale si sarebbe potuto dire che il bastone era appartenuto a lui, decise di andare per la breve salita che riducendogli il cammino lo avrebbe guidato nei pressi di un grande magazzino di giocattoli.
Intanto, però, sebbene si fosse data assicurazione intorno al suo dubbioso pensiero, pure, mentre risentiva della temperatura della strada diversa da quella tiepida della stanza, superava una edicola o una bottega, una chiesa o un palazzo con un sentimento spiacevole che al fondo del cuore turbandolo si presentava sotto il falso aspetto del suo precedente vergognarsi. E a mano a mano che col ragionamento si allontanava da un tale stato d'animo e dalla improvvisa immagine della lampada che era un braccio nel muro d[...]

[...] spiacevole che al fondo del cuore turbandolo si presentava sotto il falso aspetto del suo precedente vergognarsi. E a mano a mano che col ragionamento si allontanava da un tale stato d'animo e dalla improvvisa immagine della lampada che era un braccio nel muro del locale, trascinatovi da una serie di considerazioni aveva preso a riflettere intorno al tempo lontano in cui Amelia fu ammalata di tifo. Anzi, sebbene camminasse tra le vie affollate, gli si era proposta l'immagine di lei, intenta a prendere le medicine che non già il medico, bensì lui le prescriveva — Come la più parte degli uomini anche Michele amava esercitare il mestiere di medico.
Comperato intanto il giocattolo per Enzo, procurando di scoprire col pensiero e con lo sguardo cose e fatti da adoperarsi come difesa contro il turbamento del suo animo, aveva preso ad andare lentamente per le strade, al fine di giungere in orario presso la scuola. E, ora volgendosi ad una vetrina o ad un mendicante, ora ai giornali di un giornalaio o ad un filobus affollato, il pacchetto del giocattolo stretto al petto, si portava intorno tra la gente, imponendosi soddisfatto la considerazione, suggeritagli dalla testata di un gio[...]

[...]rire col pensiero e con lo sguardo cose e fatti da adoperarsi come difesa contro il turbamento del suo animo, aveva preso ad andare lentamente per le strade, al fine di giungere in orario presso la scuola. E, ora volgendosi ad una vetrina o ad un mendicante, ora ai giornali di un giornalaio o ad un filobus affollato, il pacchetto del giocattolo stretto al petto, si portava intorno tra la gente, imponendosi soddisfatto la considerazione, suggeritagli dalla testata di un giornale, che la politica internazionale non era equilibrata come un tempo.
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Di talune cose lui se ne intendeva. Gli anni vissuti in guerra mettevano gran conto. E che avesse combattuto una guerra, che avesse sofferto più di tanti, — accade che il tempo e la natura di uomini siano propensi a farci ritrovare piuttosto eroi che vili o come nullita.
era un fatto così vero che perfino i molti anni non avevano potuto cancellarlo dalla memoria. Infatti, continuava Michele mentre ora gli pareva addirittura piacevole il venticello pigro, proprio quel mattino aveva rivissuto col ricordo gli episodi di eroismo di battaglie senza tregua. E non solo tanto momento del suo tempo gli si era svolto nella memoria, bensì anche intera, o quasi intera, la sua vita. Anzi...
« Possibile una lunga vita possa riassumersi in pochi minuti e come quella delle formiche risultare operosa e moralmente vuota»? andava infine interrogandosi il funzionario mentre la stretta dolorosa gli attanagliava il cuore, e, senza apparente motivo, riandava la frase dell'amico, che diceva di margherite e perle non gettate dinanzi ai porci.
Richiamato per tanto da vari pensieri, e turbato in tutto il suo animo per la chiara domanda, stava per essere trascinato in un groviglio di considerazioni dolorose, quando ne venne distratto dalla via in cui si era ritrovato. Infatti, dovendo raggiungere la scuola di Enzo, dopo aver camminato a lungo vi si era avvicinato scoprendo di passare accanto a quel cancello verde, presso il quale nella notte precedente aveva accompagnato un cieco. Ed era appena sul punto di svolgere il nuovo sentimento, quando gli si parò dinanzi l'edificio che, ornato di statue, più volte lo aveva veduto ubbriaco in cerca di
una via.
Liberatosi intanto per le improvvise immagini, per lui dense di significato, d'un turbamento che rapido aveva trovato motivi di accordo nell'animo suo, Michele, nell'avvicinarsi alla scuola aperta su un fianco dell'edificio stesso, subito dopo un cancelletto di legno, era interamente riuscito a fare prevalere nel suo cuore quei sentimenti che parevano interrompere come un discorso interiore. Si che, ostentando indifferenza contro l'ansia di qualche madre in attesa, nel percorrere il ma[...]

[...]o rapporti come di due estranei, di cui l'uno
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ha timore per l'altro e l'altro sente indifferenza o fastidio per l'uno, doveva del tutto giustificarsi umanamente e moralmente l'atteggiamento di Michele; il quale, sebbene occupato dai nuovi sentimenti, pure sentiva imporsi la figura di un cieco che, dirimpetto alla scuola, con voce roca e pietosa pregava ed elemosinava. Riconosciuto nell'uomo il cieco della notte innanzi, aveva meglio riveduto, alla luce del solicello che riscaldava, lui seduto su un mattone, e, con i grossi scarponi militari, quel volto scarno sotto gli occhi ciechi scoperti dalle palpebre. Commosso da tanto spettacolo di dolore, attraversata la via sparsa cli foglie dorate pel venticello, stava per avvicinarsi all'uomo, quando alla maniera di un bimbo che sente di essere scoperto in un segreto, per avere scorto Amelia e Fiocco avanzarsi verso la scuola, si era adoperato per fuggire inosservato dalla via. Riuscito nell'intento, allora che Amelia vestita di cappotto si fermava insieme col cane accanto al cieco, aveva preso ad essere soggiogato da un turbamento che, col pretesto di quella situazione, si era palesato con la violenza di una verità rivelata da fortuite circostanze. E tutti quei motivi dolorosi, che più volte propostisi nell'animo più volte ne[...]

[...]oggiogato da un turbamento che, col pretesto di quella situazione, si era palesato con la violenza di una verità rivelata da fortuite circostanze. E tutti quei motivi dolorosi, che più volte propostisi nell'animo più volte ne erano stati scacciati, ora affollandosi si realizzavano dentro di lui con una forza che non lasciava prevedere eventuali distrazioni. E la ragione che lo aveva indotto a volere comperare un regalo ad Enzo, e il pensiero che gli aveva dato una stretta al cuore, quando si era interrogato sulla possibilità di riassumere una vita in pochi momenti, parevano avere ripreso un discorso, iniziatosi in lui allora che la scossa morale per la conclusione del discorso dell'amico lo aveva veduto sussultare. Realizzandosi in quel momento la sua coscienza o anima, come una creatura che improvvisamente balza e si rivela nel ventre della madre, era caduto in quello stato morale che, soverchiando la persona lità fisica e attuando le esigenze dello spirito, intuiva nei momenti dolorosi le diverse facce di un medesimo oggetto.
Caduta i[...]

[...] aveva rivelato il bandolo di un errore. Infatti, accortosi il funzionario di avere male considerato la eventualità, secondo la quale
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sarebbe stato prima a vedere Enzo, si era riconosciuto incapace di avvicinare il bambino alla presenza di Amelia. Riconosciutosi incapace di tanto, si era ritrovato addirittura impossibilitato sentimentalmente di fare un regalo al ragazzo; mentre la rivelazione di una tale insufficienza gli chiariva come il motivo del regalo altro non volesse essere se non un ingenuo riscatto generato dall'idea di quanto poco avesse saputo prevedere per il proprio figliuolo. E intanto quella considerazione che vedeva il figlio prete o militare, gli aveva richiamato a mente il pensiero della vita e della possibilità di riassumerla in brevi momenti; allora che al fondo del cuore gli baluginava l'idea propostasi alla fine del discorso dell'amico: Forse, quegli, aveva errato nel dichiarare che la sua vita era stata spesa...
Inteso dunque come i motivi che gli attanagliavano il cuore in una stretta dolorosa fossero le diverse facce di un medesimo oggetto, la vita, Michele, mentre il suo cuore si attuava con verità, si era rapidamente portato, il giocattolo stretto al petto, nella via ad esse; perché aveva preso a sentire come insopportabile lo stare lontano dalla sua camera.
Raggiunto per tanto la via alberata di platani, ergendosi nel busto come per difesa nel passare tra la vetrina dell'antiquario e l'au tomobile dei pompieri, dopo essersi fatto forza per non guardare verso Giogió e il garzone intenti in un giuoco, con sollievo aveva superato il portone s[...]

[...]eva superato il portone simile al portale di una chiesa. E rinchiusosi nella camera dal parato a fiorami verdi, vinto invano dalla curiosità di scoprire dal balcone il giuoco dei due giovani, si era lasciato cadere sulla poltrona, ormai non piú direttamente illuminata dal solicello d'autunno. Infatti, ora nella camera pioveva solo quella luce riflessa, che per altro non falsava la espressione del cardinale, dipinto rosso in una cornice nera come gli occhi, il bordo del cappello e l'anello dell'autorità.
III
La spiegazione del sogno, vissuto durante la notte in cui i lampi giungevano fino agli alberi dove gli uccelli dormivano a coppie, si era proposta a Michele con la limpidezza di una virtù. Mentre la luna era sprofondata tra le nubi, in tanto aveva sognato di trovarsi
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presso un prato alla vana ricerca di un fiore, in quanto che aveva subito una scossa interiore, dovuta al paragone delle margherite e delle perle, che proponeva la ipotesi del vuoto morale dei suoi giorni. Era evidente che, sentendo al fondo dell'animo la verità di tanto proporre, si adoperava moralmente di vivere per davvero seconda il senso del discorso dell'impiegato, ma ne era impedito dalla realtà di una sit[...]

[...]animo la verità di tanto proporre, si adoperava moralmente di vivere per davvero seconda il senso del discorso dell'impiegato, ma ne era impedito dalla realtà di una situazione, rappresentatasi in immagini durante il sonno.
Presentatasi intanto una tale spiegazione Michele aveva preso a sentire una angoscia, che andava crescendo per una circostanza as solutamente superiore a tutto il suo essere; si che il cuore soffriva un tale turbamento da dargli quasi un malessero fisico. Seduto sulla poltrona, che col colore richiamava il parato a fiorami verdi, gli occhi in una fissità pensosa, mentre una sofferenza sconfinata e una sconfinata pietà erano impresse sul suo volto, era soggiogato da pensieri che si svolgevano sotto forma di quelle domande, da identificare con la circostanza superiore a tutto il suo essere. Dalla profondità del cuore, durante l'attuarsi dello spirito, era insorto un sentimento che, tuttavia, fattosi pensiero e interrogazione, aveva perduto molta parte della sua profondità. Infatti, suole accadere che qualunque sentimento o pensiero, fino a quando rimane nel segreto della coscienza, ha una indicibile e indiscutibile profondi[...]

[...]ella coscienza, ha una indicibile e indiscutibile profondità; mentre, quando viene espresso, non é reso pienamente, per il fatto che il nostro intimo porta impresso assai più di quanta riesca ad esprimere.
Vivendo dunque una tale situazione, Michele era tormentato dall'idea, propostasi come domanda, che la sua vita fosse soltanto nei brevi ricordi, ripassati nella memoria in quel mattino, e che tali ricordi erano di tanta povertà, da non lasciargli dubbio intorno alla qualità della spesa di quei valori morali largiti, insieme con gli altri materiali, perché un uomo sia. Nella storia delle cose quotidiane scopriva il suo tempo sminuzzato in una quantità di occupazioni che, piuttosto che richiamargli a mente un uomo ragionevole, gli apparivano simili all'attività della formica nel formicaio. Come la formica, infatti, si dibatte laboriosa senza un progredire morale, e al fine di portare a termine la vita affidatagli dalla Natura; ugualmente lui si era dibattuto, consentendo che i giorni lo avvicinassero ad una méta attraverso un mare di ozio morale.
Quale era stata la sua evoluzione dal tempo della fanciullezza
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all'altro della vecchiaia? In che era consistito il suo camminare? Quali pensieri aveva avuto? Quanto e quale vuoto morale scopriva nei giorni che il tempo non avrebbe mai ripetuto?
Avvedutosi del come solo futili motivi gli avessero creato quella apparenza di realtà, capace di assorbire una persona al punto da indirizzarne l'attività, aveva scorto tutti quei punti de[...]

[...]dalla Natura; ugualmente lui si era dibattuto, consentendo che i giorni lo avvicinassero ad una méta attraverso un mare di ozio morale.
Quale era stata la sua evoluzione dal tempo della fanciullezza
UNA GIORNATA LABORIOSA 41
all'altro della vecchiaia? In che era consistito il suo camminare? Quali pensieri aveva avuto? Quanto e quale vuoto morale scopriva nei giorni che il tempo non avrebbe mai ripetuto?
Avvedutosi del come solo futili motivi gli avessero creato quella apparenza di realtà, capace di assorbire una persona al punto da indirizzarne l'attività, aveva scorto tutti quei punti del suo orizzonte spirituale, nei quali don si era mai preoccupato di penetrare. E, a mano a mano che meglio individuava la propria insufficienza, mentre sotto una diversa luce ormai riandava il passato, sentiva crescergli l'angoscia, a misura che le molte giustificazioni dettesi cadevano come i birilli del giuoco. E ritrovava che il motivo second° il quale poteva dirsi di avere vissuto realisticamente possedeva la forza di un cede, vole giunco; perché una intuizione era venuta a spiegargli la stragrande differenza esistente tra la realtà e la parvenza delle cose quotidiane, cui usa erroneamente, attribuirsi tanto nome. Se fino a quel momento aveva dato luogo a confusione tra la realtà, che solenne si attua con la lentezza dei secoli, e l'aspetto degli accidenti quotidiani, di cui la realtà stessa é ignorante come un mondo delle scorie perdute nella rotazione; ora sentiva come i fatti quotidiani altro non fossero se non un vuoto morale, quando a sé stanti e lontani dalla realtà medesima. Quest'ultima verità, infatti, essendo il provvisorio e l'eterno, il materiale e il morale impresso nel nostro animo in maniera cosí dolorosa e profonda, che la loro essenza viva dentro di noi invisibile e come un tutt'uno, smentiva quella convinzione che, rendendola unilaterale, le attribuiva soltanto il provvisorio.
Identificato intanto i suoi giorni con [...]

[...]uoi giorni con un vuoto morale, attraverso quel processo del cuore iniziatosi con la conclusione di un discorso esterno e compiutosi con il riconoscimento di una verità interiore, Michele, mentre soffriva fortemente e fino allo spasimo, venne apparentemente distratto dai suoi sentimenti da un bussare contro la sua porta. Datosi immediatamente un atteggiamento falso, dopo avere permesso ad Amelia, ancora vestita del cappotto, di entrare per porgergli il giornale, con tentativi dovuti alla difesa dell'individuo contro un dolore intenso, si adoperava di non riprendere il suo discorso interiore. Tuttavia, però, pure volendo orientarsi verso quanta poteva dargli distrazione, solo senza intensità prese a portare critica al soffitto della camera segnato di curve e linee, e mentre rigirava disattento il
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giornale, ad ascoltare la voce di Enzo che nella stanza accanto, strette le zampe anteriori di Fiocco, ballava e andava cantilenando:
« Accidenti a tutti i diavoli
quant'è buona pasta e cavoli ».
Infatti, più che le distrazioni esterne, potevano occuparlo soltanto motivi che traessero spunto dal profondo del suo essere; perché la sua anima in quel momento era colma di preoccupazioni e sensazioni forti, da non potere ammettere la prop[...]

[...] colma di preoccupazioni e sensazioni forti, da non potere ammettere la propria partecipazione ad inconsistenti esteriorità. Si che solo quando un sentimento di invidia contro la sorella e il benessere di lei lo aggredì, potette anche se brevemente deviare il discorso del cuore e, sorretto da momentanee considerazioni, rifarsi con dispetto al paragone tra le piante del balcone di Amelia e le altre in generale. Provando invidia contro la sorella, gli parve con irritazione che quest'ultima fosse come una prediletta della sorte; la quale, ad esempio, sebbene l'autunno fosse mite, mentre colorava con il primo freddo col colore della sabbia i cactus disposti contro il muro nell'androne, consentiva ad un tempo che le piante del balcone restassero ancora verdi. Anzi, — e per dimostrarlo a se stesso Michele volle guardare i platani e le foglie della via in quel momento appena sospinte da un venticello pigro — dovunque v'era il segno dell'autunno, ma non nel balcone accanto. E non solo a quel modo si riversava tanta predilezione della sorte, bensì anche diversamente, sul fisico di Amelia; che, sebbene piú avanti di lui negli anni, pure conservava un aspetto migliore.
« Che forse non s'accorgeva come fossero più rugose le proprie mani »? andava interrogandosi Michele, mentre, riconosciuto un nuovo motivo di ingiustizia nella mucillaggine degli occhi, poggiato il giornale sulla coperta del letto, come meccanicamente si avicinava all'armadio per trarne una medicina. Come la più parte degli uomini il funzionario amava esercitare su sé e sugli altri il mestiere di medico; e a testimoniarlo v'era un cassetto del mobile colmo delle più varie medicine.
Bevuto intanto una sorta di sciroppo, dopo avere scorto nell'armadio il pacchetto del giocattolo, ritornò alla poltrona dirimpetto al quadro del cardinale; e qui, seduto in modo da non sciupare il completo grigio che lo vestiva, piuttosto che essere immediatamente soggiogato dal discorso interiore, credette sentire forza per controbattere con nuove argomentazioni il motivo della sua angoscia. Si che, come una circonferenza che ritorna ai suoi giri, era ritornato alla più
UNA GIORNATA [...]

[...]on sciupare il completo grigio che lo vestiva, piuttosto che essere immediatamente soggiogato dal discorso interiore, credette sentire forza per controbattere con nuove argomentazioni il motivo della sua angoscia. Si che, come una circonferenza che ritorna ai suoi giri, era ritornato alla più
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valida preoccupazione, per lo svolgimento di un processo che, distrattolo dall'invidia col sentimento pauroso della vecchiezza, gli aveva suggerito il nome di una medicina; e, dandogli quella sensazione di benessere a volte frutto solo di suggestione, lo illudeva con la nuova forza attraverso una giustificazione capace di vincere la insufficienza riconosciuta.
Tuttavia, sulla poltrona che col colore richiamava il parato a fiorami verdi, lo sguardo contro una delle antiche costruzioni della via, era seduto in un atteggiamento che, non ostante il conforto della medicina, esprimeva un tormento superiore a tutto il suo essere. Sotto la fronte gli occhi verdi, con il soccorso delle spesse labbra sottolineate da pieghe agli angoli della bocca, non riuscivano a fare baluginare il[...]

[...]ione di benessere a volte frutto solo di suggestione, lo illudeva con la nuova forza attraverso una giustificazione capace di vincere la insufficienza riconosciuta.
Tuttavia, sulla poltrona che col colore richiamava il parato a fiorami verdi, lo sguardo contro una delle antiche costruzioni della via, era seduto in un atteggiamento che, non ostante il conforto della medicina, esprimeva un tormento superiore a tutto il suo essere. Sotto la fronte gli occhi verdi, con il soccorso delle spesse labbra sottolineate da pieghe agli angoli della bocca, non riuscivano a fare baluginare il benché minimo sollievo — della cui causa pure si accingeva a parlare — contro lo stando doloroso delle pupille come lucenti di pianto. Ma ciò non ostante, cioè malgrado la pienezza dell'angoscia e l'immagine improvvisa della lampada che era un braccio nel muro del locale pregno di fumo, non fu impedito nel dare luogo a quella considera zione, da identificare con la giustificazione contra la insufficienza riconosciuta. Ed ancora una volta il suo giustificarsi si proponeva sotto forma di una domanda che, rivolta a non negare uguaglianza tr[...]

[...]ando doloroso delle pupille come lucenti di pianto. Ma ciò non ostante, cioè malgrado la pienezza dell'angoscia e l'immagine improvvisa della lampada che era un braccio nel muro del locale pregno di fumo, non fu impedito nel dare luogo a quella considera zione, da identificare con la giustificazione contra la insufficienza riconosciuta. Ed ancora una volta il suo giustificarsi si proponeva sotto forma di una domanda che, rivolta a non negare uguaglianza tra lui e gran parte dell'umanità, affermava che il mondo infine era fatto di uomini come lui. Parendogli di potersi sentire come un rappresentante della più parte dell'umanità, — Un po' più di fortuna, si era detto, e sarei stato un direttore, un po' meno e mi avrebbero qualificato usciere o bidello; qualche attitudine e mi sarei ritrovato ingegnere o medico, notaio o operaio, qualche altra ed eccomi ciabattino o fioraio, arrotino o professore — gli era parso conseguentemente un errare l'ammettere il vuoto dei suoi giorni; perché altrimenti a tutti era da attribuire una tale mancanza.
Intanto, però, il dolore del cuore, che soverchiava tanto la giustificazione quanto la conseguente speranza di un sollievo, per l'attuarsi dello spirito non a lungo gli concesse di trastullarsi come un bimbo che giuochi al seguito di un funerale; e ben presto e facilmente gli chiari che, anche se fosse stato un rappresentante eletto del genere umano, il vuoto del suo animo non veniva a mancare. Soggiogato dunque nuovamente e del tutto dal suo discorso interiore, send l'angoscia stringergli il cuore quasi come una forza fisica; e in quanto che il dolore morale aveva per così dire conquistato il suo fisico in quella maniera che fa sentire le braccia, le gambe e tutto il corpo come un
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peso che non si sa dove riporre. E ad un tratto gli sembrò che, oltre il proprio dolore, non esisteva più nulla se non gli scuri del balcone, l'automobile dei pompieri presso la bottega dell'antiquario e il calamio sopra il panno di feltro della tavola. Tuttavia, pure soffrendo una tale situazione, mentre il solicello si rivolgeva di già a battere solo contro le case più alte, fu rapidamente conquistato da altre idee del tutto estranee alla sua condizione. Se accade che durante il tempo in cui l'anima é occupata dai sentimenti, solo un forte sentimento può portare distrazione, e non già motivi superficiali; si dà caso che pensieri fatui pur non influenzando uno stato doloroso, vaghino nella mente come mosche nell[...]

[...]a dai sentimenti, solo un forte sentimento può portare distrazione, e non già motivi superficiali; si dà caso che pensieri fatui pur non influenzando uno stato doloroso, vaghino nella mente come mosche nell'aria; di cui ci si può accorgere, sebbene si sia occupati in un lavoro. Solitamente un tale stato si ritrova quando il dolore fisico e morale ha raggiunto il suo acme, e i pensieri, che ne sono causa ed oggetto, stabiliscono una sorta di groviglio sul cui sfondo si muove tutto quanta può definirsi estraneo al groviglio medesimo. Contro un tale schermo, dunque, si era dapprima debolmente imposta la considerazione che tanto nella via quanto nella camera di Amelia il silenzio pareva risonare; e ciò .perché la sorella ed Enzo, dopo averlo invitato a pranzo, alle risposte negative di lui avevano preso a fare colazione da soli e in altra stanza della caca. Poi mentre l'angoscia alla maniera di una malattia contagiosa ricadeva sul suo secondo pensiero, gli parve come doloroso il paragone tra il lampadario della camera e i lampioni della via : la forma di lanterna dell'uno simile a quella, come capovolta, degli altri era divenuta motivo di umiliazione; si che con minore sofferenza si svolgeva in lui soltanto il ricordo venutogli (talk cantilena:
a Accidenti a tutti i diavoli
quant'è buona pasta e cavoli ».
Infatti, rientrato nella camera accanto insieme con Amelia, Enzo, mentre tirava per giuoco la coda del cane, casi facendolo mugolare, aveva ripreso quella cantilena che, proclamando la gioia di fanciullo, richiamava in Michele un uguale sentimento. Si che questi dopo avere riflettuto quanto lontano fosse il tempo della sua fanciullezza, era involontariamente caduto in un ricordo. E aveva pensato con commozione a quando d'inverno il vento soffiava in una singolare maniera, e lui, un bambino, sentiva l'odore del c[...]

[...]lla cantilena che, proclamando la gioia di fanciullo, richiamava in Michele un uguale sentimento. Si che questi dopo avere riflettuto quanto lontano fosse il tempo della sua fanciullezza, era involontariamente caduto in un ricordo. E aveva pensato con commozione a quando d'inverno il vento soffiava in una singolare maniera, e lui, un bambino, sentiva l'odore del caffèlatte; allora che, mentre per la strada la pioggia sferzava i muri delle case e gli alberi quasi
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spogli, l'impermeabile a cappuccio, si dirigeva verso la scuola, smovendo ogni pozzetta d'acqua con gli stivali di gamma.
La commozione sincera, intanto, dovuta ad un lontano passato, lo aveva reso come una sorta di spettatore riguardo tutto quanto acca deva nella camera accanto; perché aveva sperato che la sua attenzione, così come era stata per la cantilena, gli apportasse sollievo e benessere. E, gli occhi verdi quasi lucenti, una sconfinata sofferenza sul volto rugoso ascoltava con l'atteggiamento di un bimbo povero che pressa un banco di giocattoli spera gliene tocchi almeno uno, il dialogo che sommesso gli giungeva attraverso la parete.
a Non lo credo », aveva continuato Amelia, mentre, mettendo a punto i capelli bianchi sulla tempia e fissando con sguardo benevolo gli orecchi a ventola di Enzo, sollecitava nuove spiegazioni. Si che quegli, allontanatosi da Fiocco, riprendeva a dire che a scuola aveva imparato come le giornate, d'inverno, tendessero ad allungarsi e, di estate, al contrario ad accorciarsi.
a Devi crederlo »; aveva insistito, c perché la mia maestra lo ha detto per davvero».
a E che? Perché lo ha detto la maestra non vi può essere errore? ». « È buona ».
a Allora le persone buone non sbagliano mai ».
a Si... sbagliano pure, ma non dicono bugie. Tu nemmeno dici bugie ».
a Allora sono buona, io »? interrogava sorridente Amelia, mentre alla risposta affermativa del bambino, fattasi baciare sulla guancia, continuava ad ascoltare nuove domande:
« Ma tu hai i baffi? Io li vedo. Perché? ».
« Sono vecchiarella, io. Non ti burlerai di me? ».
a Ma perché gli uomini hanno la barba e i baffi, e le donne hanno soltanto i baffi come li hai tu? ».
a Questo... in verità lo ignoro ».
« Gli uomini quando danno un bacio, però, pungono. Lui pure un giorno mi dette un bacio e mi punse; e piangeva. Che paura »!
a Pst! Non a voce alta. Si ode tutto».
a Piangeva, quel giorno », aveva ripreso Enzo con un tono di voce che, volendo essere sommesso, pareva scandire le parole. a Perché? Tu lo sai? ».
a Forse, rammentava che un tempo aveva un bimbo come te ».
a No. Deve avere avuto un grande dolore », contraddiceva Enzo,
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avendo attribuito alla espressione un significato particolare; quel significato, cioè, che tentò di spiegare ad Amelia, facendo ricorso alla favola c[...]

[...]so Enzo con un tono di voce che, volendo essere sommesso, pareva scandire le parole. a Perché? Tu lo sai? ».
a Forse, rammentava che un tempo aveva un bimbo come te ».
a No. Deve avere avuto un grande dolore », contraddiceva Enzo,
46 MARIO DEVENA
avendo attribuito alla espressione un significato particolare; quel significato, cioè, che tentò di spiegare ad Amelia, facendo ricorso alla favola che con i compagni avrebbe dovuto rappresentare.
Gli uomini grandi piangono solo quando hanno un forte dolore, perché hanno commesso qualche cattiveria: anche questo ha spiegato la maestra. Nella recita che dobbiamo fare... ».
« Avevi detto di non poterne raccontare », interrompeva Amelia che, come sollecitata riprendeva il lavoro di cucito.
« Si, si, é vero. Non posso, non posso proprio », aveva concluso Enzo, mentre i suoi occhi castanei si colmavano di un felice disappunto; allora che Michele, seduto sulla poltrona dirimpetto al quadro del cardinale, rimuginava tra sé la frase, secondo la quale il pianto degli uomini è conseguenza di malva[...]

[...]spiegato la maestra. Nella recita che dobbiamo fare... ».
« Avevi detto di non poterne raccontare », interrompeva Amelia che, come sollecitata riprendeva il lavoro di cucito.
« Si, si, é vero. Non posso, non posso proprio », aveva concluso Enzo, mentre i suoi occhi castanei si colmavano di un felice disappunto; allora che Michele, seduto sulla poltrona dirimpetto al quadro del cardinale, rimuginava tra sé la frase, secondo la quale il pianto degli uomini è conseguenza di malvagità. E, mentre il bambino in un impeto di gioia, al pensiero della recita e del suo segreto, riprendeva a tormentare il cane, il funzionario, per l'atmosfera che gli era intorno, credette di scoprire nella frase medesima la verità della propria condizione. Si che, come una parentesi racchiude pensieri e motivi in maniera che non interrompano un discorso; ugualmente l'avere ascoltato il dialogo dalla camera accanto non aveva impedito un ritorno a quel discorso interiore che partoriva non poco dolore.
Ritornato dunque alla tristezza che gli rodeva il cuore, e sentendo quale sofferenza era calata senza speranza di luce sul suo tardo cammino, Michele era stato vinto da una agitazione, che pareva annullare quel groviglio di pensieri impostosi col soccorso dell'angoscia. Ora infatti, mentre alla luce del solicello ne era subentrata un'altra meno nebulosa, ma anche meno lucente, perché la notte della stagione ama precipitare dal cielo, avevano preso a proporsi in lui quelle domande che lo agitavano fortemente in concerto con il motivo osceno della fisarmonica, ripetutosi involontariamente nella sua memoria. E, allora che ritrovava come solo futili motivi gli avessero creato quella apparenza di realtà capace di assorbire una persona al punto da indirizzarne l'attività, gli occhi in una ottusa espressione, andò interrogandosi intorno ai giorni che il tempo gli aveva raggruppato in passato. E confermando nuovamente il vuoto morale dei suoi anni, in un atteggiamento che domandava pieta e soccorso, nel momento in cui lo armadio scricchiolava si rivolse ad indagare cosa mai avrebbe desiderato il suo cuore per alleviargli la pena. Ma era appena occupato da simili riflessioni e dal pensiero di potere visitare l'amico del discorso, quando con uno spasimo interno gli venne fatto di pensare che, se
UNA GIORNATA LABORIOSA 47
a qualunque colpa ci era rimedio con un pentimento o riscatto, alla propria insufficienza non poteva adattarsi perdono di sorta. Se la carità e l'amore, infatti, possono trapiantare i monti, riempire le valli con gli oceani e ridurre gli oceani a fertili valli, il pecrato contro la pienezza del tempo, non rientrando nel merito dell'umano, rimarrà sempre un tormento senza scampo.
c Come avrebbe potuto rivedere il proprio passato? In quale maniera avrebbe dato un senso alla vita andata? Qu21e suggerimento poteva darsi, perché venisse colmato il vuoto morale dei giorni, che il tempo non avrebbe mai ripetuto? Come imporre... stava per continuare, quando, proprio nel momento in cui il cieco aiutato dal bastone passava per la via ad esse, gli si insinuò nella mente una domanda.
Non sono forse queste... cose, questo interrogarsi, [...]

[...]l tempo, non rientrando nel merito dell'umano, rimarrà sempre un tormento senza scampo.
c Come avrebbe potuto rivedere il proprio passato? In quale maniera avrebbe dato un senso alla vita andata? Qu21e suggerimento poteva darsi, perché venisse colmato il vuoto morale dei giorni, che il tempo non avrebbe mai ripetuto? Come imporre... stava per continuare, quando, proprio nel momento in cui il cieco aiutato dal bastone passava per la via ad esse, gli si insinuò nella mente una domanda.
Non sono forse queste... cose, questo interrogarsi, cose... da li bri? da narratori? » era andato chiedendosi con sincerità di cuore, mentre all'interrogazione che poneva come un freno all'andare del dolore, corrispondeva nella mente una pausa, simile pero ad una tregua su un campo di battaglia. Si che lo scorrere incessante del pensiero apparentemente ruppe il rapporto che esisteva col dolore del suo animo, e lo fece vagare con la mente, non ostante lo spirito si attuasse in lui senza interruzione, intorno ad immagini estranee alla sua condizione.
Seduto sulla poltrona accanto al letto, gli occhi come lucenti rivolti al giornale poggiato sulla coperta a scacchi, aveva preso a vedere una chiesa parata per un matrimonio — cosi come gli era apparsa passeggiando quel mattino — e la via che, 'mentre rientrava, aveva scoperto leggermente in salita. Anzi, il cadere per la prima volta in una simile osservazione lo spinse a vagare, come attraverso una nebbia, per la strada, facendolo imbattere nei lampioni alternati ai platani, nella macchia di calce presso la bottega del cappellaio, nel cartello rugginoso che indicava la fabbrica di bambole e nell'automobile dei pompieri riflessa nella vetrina dell'antiquario. E stava per proporglisi ancora l'immagine del garzone, che, all'altezza dell'emporio, era sul punto di colpire con una pi[...]

[...]ia che, 'mentre rientrava, aveva scoperto leggermente in salita. Anzi, il cadere per la prima volta in una simile osservazione lo spinse a vagare, come attraverso una nebbia, per la strada, facendolo imbattere nei lampioni alternati ai platani, nella macchia di calce presso la bottega del cappellaio, nel cartello rugginoso che indicava la fabbrica di bambole e nell'automobile dei pompieri riflessa nella vetrina dell'antiquario. E stava per proporglisi ancora l'immagine del garzone, che, all'altezza dell'emporio, era sul punto di colpire con una pietra un gatto nera, quando, perché il suo animo si attuava senza interruzione, gli venne fatto di mormorare:
« E che, sono cose da libri il chiedere conto di una vita? la scoprire il vuoto dei giorni? il cercare invano la evoluzione morale dal tempo della fanciullezza all'altro della vecchiaia? Sono forse fantasie che non mettono conto l'indagare il significato...) era. per continuare, allora che ne fu interrotto dalla voce di LEnzo, che nella camera accanto aveva interrogato Amelia sul significato di un verbo.
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Interrotto per tanto solo il suo mormorio e brevemente, riprese quelle domande che dicevano della insufficienza di una vita, Michele si era ritro[...]

[...]ntinuare, allora che ne fu interrotto dalla voce di LEnzo, che nella camera accanto aveva interrogato Amelia sul significato di un verbo.
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Interrotto per tanto solo il suo mormorio e brevemente, riprese quelle domande che dicevano della insufficienza di una vita, Michele si era ritrovato in un atteggiamento che ripeteva sul volto la sconfinata sofferenza del suo cuore. E sotto la fronte, cui si attaccavano i capelli brizzolati, gli occhi verdi, con il soccorso delle labbra sottolineate da pieghe agli angoli della bocca, parevano rivolti a domandare pietà, particolarmente ora che si mostravano lucenti come non mai. Ma pure, non ostente la loro lucentezza, una sola lacrima, scorsa rapida tra le rughe della guancia sul completo grigio avevano saputo piangere; mentre lui si rifaceva all'altra scorsa quel mattino sulla parola autorizzazione del rapporto. E gli era venuto di pensare brevemente alla relazione d'ufficio in quel momento in cui, crescendo la luna contra l'ultima luce del cielo, gli uccelli di già si preparavano per dormire a coppie nella notte d'autunno.
MARIO DEVENA



da Cesare Luporini, La metodologia del marxismo nel pensiero di Antonio Gramsci in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]rizzi ideali, e dalle concrete situazioni culturali, in cui sorgevano. Si tratta, apparentemente, di una questione vecchia, ed a qualcuno verrà fatto di ricordare come il Croce, nei suoi scritti intorno al marxismo della fine del secolo, addirittura negasse che il marxismo, o più esattamente il « materialismo storico » (con la quale designazione si tendeva allora a comprendere tutta la dottrina) fosse da considerare un « metodo », nel mentre che gli toglieva anche il carattere di « teoria », riducendolo a empirico « canone d'interpretazione storica » (1). Ove, allo storico delle idee, soprattutto interessa la convergenza delle due negazioni, che appare sintomatica di un certo atteggiamento di pensiero in formazione. Infatti più tardi il Croce verrà identificando la « teoria », anzi, la filosofia (tutta la filosofia, cioè la sua filosofia) con la « metodologia della storia ». Quell'abbassamento del marxismo da « metodo » a « canone » conteneva, a fortiori, anche la negazione (con
(1) B. CROCE, Materialismo storico ed economia marxistica, Bari,[...]

[...]o storico ed economia marxistica, Bari, 19275 (Cfr. particolarmente le pp. XI, .9, 13, 15, 79, 86, 111).
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tro il Labriola con cui Croce era in discussione) che esso fosse una « filosofia », ossia una autonoma concezione delle realtà (2).
Nel clima filosofico odierno la parola « metodologia » si presenta carica di nuove suggestioni e riferimenti determinati a dottrine e tendenze filosofiche che erano ancora poco sviluppate negli anni di Gramsci e comunque, allora, inoperanti in Italia. Si tratta di interessi sorti su un terreno diverso da quello della ricerca storica e delle scienze umane (politica, economia, sociologia, psicologia ecc.), anche se oggi essi tendono in qualche modo ad investirle: e precisamente delle indagini di carattere logico e «linguistico» intorno alle strutture intime e ai procedimenti delle scienze matematiche e fisiche. Tali indagini sembrano comportare un atteggiamento mentale diametralmente opposto a quello ora indicato nel Croce della maturità, per cui tutta la filosofia si risolve in un'un[...]

[...]ti critici particolari, di carattere « metodologi co » relativi a settori o campi determinati dall'indagine scientifica (ancorché non riguardanti direttamente le scienze matematiche e fisiche, di cui Gramsci non aveva esperienza), ed é di lui l'affermazione che « ogni ricerca ha un suo determinato metodo e costruisce una sua determinata scienza » (3). Farli oggetto di studio e di svolgimento non vi é dubbio che sarebbe cosa da incoraggiarsi e, voglio aggiungere, quel clima filosofico odierno in cui respirano, anche nel nostro paese, buona parte delle giovani generazioni degli specialisti di filosofia, dovrebbe essere a ciò particolarmente favo
(2) Op. cit., p. 90.
(3) A. GRAMSCI, II materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, p. 136. II passo è, caratteristicamente, citato da Ludovico Geymonat nel saggio Caratteri e problemi della nuova metodologia (in Saggi di filosofia neorazionalista, Torino, 1953, pp. 7374).
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revole. Indubbiamente quegli spunti sono indicativi di alcuni fra gli interessi più originali di Gramsci (4). Essi tuttavia non sono isolabili, se li si vuole intendere e non fraintendere, se non si vuole commettere cioè una sopraffazione intellettuale, dalla metodologia del marxismo come vive ed opera in Gramsci: cioè del procedimento effettivo con cui egli elabora i concreti problemi di cui si occupa. Rilevare questa effettiva, esplicita o implicita, metodologia, é il primo compito; ed é ciò a cui qui si cerca di recare un contributo.
Ora, proprio a questo punto potrebbe sorgere l'equivoco a cui mi riferivo in principio. Conviene perciò dichiarare subito che il marxismo non è per Gramsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » (5). Il momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il mo[...]

[...]labora i concreti problemi di cui si occupa. Rilevare questa effettiva, esplicita o implicita, metodologia, é il primo compito; ed é ciò a cui qui si cerca di recare un contributo.
Ora, proprio a questo punto potrebbe sorgere l'equivoco a cui mi riferivo in principio. Conviene perciò dichiarare subito che il marxismo non è per Gramsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » (5). Il momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente, nel pensiero di Gramsci, e non sono separabili senza grave deformazione. Non si tratta solo della prova che di ciò si può ricavare da innumerevoli passi citabili, ma del nesso profondo, organico, del suo pensiero.
Vorrei richiamare qui, per un momento l'attenzione su un punto che, almeno per i filosofi « specialisti », ma forse non solo per loro, credo non indifferente. Questa p[...]

[...]credo non indifferente. Questa posizione di Gramsci comporta l'idea che la filosofia sia sempre, anche, in qualche modo, « concezione del mondo ». Ciò non era per Gramsci oggetto di discussione. Che si possa proporre l'idea di una filosofia quale
strenge Wissenschaft », scienza rigorosa, proprio in quanta contrapposta alla Weltanschauung, e in certo modo svuotata di essa, era tesi che ancora non aveva avuto, praticamente, risonanza in Italia, negli anni in cui scriveva Gramsci (e del resto, se non erro, neppure in Francia). Essa era stata affacciata dallo Husserl nel
(4) Penso, in modo particolare, alle riflessioni e osservazioni di Gramsci intorno ai problemi del linguaggio e dei linguaggi (tecnici, specialistici ecc.).
(5) Cfr. A. LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, Bari, 19444, p. 10 e passim.
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1911, in uno scritto che credo di grande interesse per la storia. filosoficoculturale europea di questo secolo (6) (di quell'ideale lo Husserl veniva da tempo elaborando e applicando il metodo). Ricordo c[...]

[...]iamento. Si tratta proprio del « filosofo », non in un senso generico, ma nel senso professionale. Gramsci, che è stato critico così severo ed acuto della storia della filosofia elaborata, come avviene tradizionalmente, sulla linea dei «filosofi individuali » e della successione dei loro sistemi, non manifesta per il filosofo professionale il disprezzo pregiudiziale di cui si compiacque Benedetto Croce. Al filosofo professionale, o « tecnico », egli assegna una parte precisa; esso « ha nel campo del pensiero — dice Gramsci — la stessa funzione che nei diversi campi scientifici hanno gli specialisti » (8). Conoscenza dello stato dei problemi, del loro sviluppo fino a lui, del punto in cui vanno ripresi, come accade, o dovrebbe accadere, per ogni specialista. Ma il suo compito più specifico appare la riduzione dei procedimenti del pensiero a « omogeneità », « coerenza gicità ». Sotto tale riguardo, osserva Gramsci, «non sarà esatto
(6) Philosophie als strenge Wissenschaft, in «Logos» I (191011). E interessante notare che lo Husserl svolge la sua posizione attraverso una discussione con lo Historismus, cioè con un certo tipo di storicismo. Di ciò che compone la Weltanschauung [...]

[...], per ogni specialista. Ma il suo compito più specifico appare la riduzione dei procedimenti del pensiero a « omogeneità », « coerenza gicità ». Sotto tale riguardo, osserva Gramsci, «non sarà esatto
(6) Philosophie als strenge Wissenschaft, in «Logos» I (191011). E interessante notare che lo Husserl svolge la sua posizione attraverso una discussione con lo Historismus, cioè con un certo tipo di storicismo. Di ciò che compone la Weltanschauung egli accentua l'elemento « saggezza » (Weisheit, Weltweisheit),
(7) Cfr. I. M. BOCHENSKt, Europäische Philosophie der Gegenwart, Bern 1951, p. 32. « Sowohl die mathematische Logik als auch die Phänomenologie sind vor allem Methoden, nicht inhalhiche Lehren. Beide sind aus einer Besinnung auf die Grundlagen der Wissenschaften hervorgegangen und versuchen, diese durch eine rationale Methode neu zu begründen ».
(8) Il materialismo storico ecc., cit., p. 24.
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chiamare filosofia ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni concezione del m[...]

[...]rch eine rationale Methode neu zu begründen ».
(8) Il materialismo storico ecc., cit., p. 24.
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chiamare filosofia ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni concezione del mondo e della vita ». Siamo sul terreno, potremmo dire, almeno come atteggiamento di
fondo, delle odierne filosofie metodologiche. « Tuttavia aggiun
ge Gramsci — c'è una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvicina più agli altri uomini di ciò che avvenga per gli altri specialisti. L'aver fatto del filosofo specialista una figura simile, nella scienza, agli altri specialisti, é appunto ciò che ha determinato la caricatura del filosofo. Infatti si può immaginare un entomologo specialista, senza che tutti gli altri uomini siano "entomologhi" empirici, uno specialista della trigonometria, senza che la maggior parte degli uomini si occupino di trigonometria ecc. (si possono trovare scienze raffinatissime, specializzatissime, necessarie, ma non perciò "comuni"), ma non si può pensare nessun uomo che non sia anche filosofo, che non pensi, appunto perché pensare é proprio dell'uomo come tale ».
Questo richiamo di Gramsci non ha nulla a che fare con una certa, nota, tesi idealistica. O, se vogliamo, é la traduzione di essa dal cielo speculativo ai suoi termini reali, che saranno sempre, per Gramsci, termini « storicistici ». « Non il pensiero, ma ciò che realmente si pensa unisce o differenzia gli uomini » (9), egli dice altrove.
Ora, « ciò che realmente si pensa » non é per Gramsci semplicemente ciò che si crede di pensare, ma quanto si manifesta nella pratica, nel pratico operare: tuttavia l'uno aspetto e l'altro, ciò che si crede di pensare e ciò che effettivamente si pensa operando, costituiscono, tutt'insieme, quella « concezione del mondo » per cui tutti gli uomini sono « filosofi ». La quale può essere dunque quanto mai disgregata, contraddittoria (in quanto non é ancora affrontata criticamente) e costituisce il contenuto di quel che si chiama «senso comune ». Ma in tale immanente e sempre presente « concezione del mondo » — che appare in tal modo legata per un
(9) Op. cit., p. 31.
Amomme
verso alle idee, comunque ricevute, e per un altro al pratico operare — non siamo mai punto isolati, ma apparteniamo sempre a un raggrumento (e perfino sotto l'aspetto ideologico, a una molteplicità di raggruppamenti), siamo sempre «uominimassa », « uomini c[...]

[...] di questa iniziale ricostruzione del pensiero gramsciano, per introdurre una diversa considerazione. Questi concetti di Gramsci, ora illustrati, li troviamo nei « quaderni del carcere » sotto il titolo di « Avviamento allo studio della filosofia e del materialismo storico » quali «punti preliminari di riferimento ». Gramsci certo non pensava di scrivere in quel momento un « avviamento alla filosofia » per le scuole del Regno (come proprio in quegli anni ne entrarono in uso...), tuttavia vi è nel modo di quelle sue riflessioni non solo un nesso logico autonomamente valido, ma un evidente e assai esplicito intento pedagogico. « Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso — così si inizia quella serie di appunti — che la filosofia sia alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l'attività propria di una determinata categoria di scienziati specialisti e di filosofi professionisti e sistematici... ». Sembra di sentire, in queste righe, l'eco delle personali conversazioni di Gramsci con gli operai di Torino, di cui sappiamo, o co[...]

[...]tonomamente valido, ma un evidente e assai esplicito intento pedagogico. « Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso — così si inizia quella serie di appunti — che la filosofia sia alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l'attività propria di una determinata categoria di scienziati specialisti e di filosofi professionisti e sistematici... ». Sembra di sentire, in queste righe, l'eco delle personali conversazioni di Gramsci con gli operai di Torino, di cui sappiamo, o con i compagni di persecuzione, di confino e di carcere (fino a quando gli fu possibile), che egli veniva istruendo idealmente e politicamente, di cui veniva formando la personalità di quadri rivoluzionari del partito della classe operaia. Non è una notazione marginale che si intende qui fare, ma tale, mi sembra, che ci avvicina a comprendere il modo in cui Gramsci concretamente concepiva l'efficacia del marxismo, e che ha significato universale. «Formare la personalità » significa, ci dice Gramsci, dar « coscienza dei rapporti in cui si entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volontario » : poiché si t[...]

[...]tale, mi sembra, che ci avvicina a comprendere il modo in cui Gramsci concretamente concepiva l'efficacia del marxismo, e che ha significato universale. «Formare la personalità » significa, ci dice Gramsci, dar « coscienza dei rapporti in cui si entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volontario » : poiché si tratta di modificarli. « L'uomo attivo di massa — egli scrive (e va sottolineato il termine «attivo») — opera praticamente, ma
(10) Op. cit., p. 4.
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non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma ». Ed aggiunge: « La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto col suo operare » (11).
L'operare praticamente, che già richiede in se stesso un conoscere, é il punto di leva e di riferimento (« una lotta di classe che già esiste », avevano detto di « esprimere » i fondatori del marxismo nel Manifesto) per la mo[...]

[...]ti con l'intento educativo che aveva presente. Quei rapporti « importa conoscerli geneticamente, nel loro modo di formazione, perché ogni individuo non solo é la sintesi dei rapporti esistenti ma anche della storia di questi rapporti, cioè il riassunto di tutto il passato. Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare é ben poco, in rapporto alle sue forze. Ciò é vero fino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e se questo cambiamento é razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che a prima vista può sembrare possibile » (12).
Mi sono fermato su queste parole, così semplici, perché in esse é come l'a b c dell'educazione rivoluzionaria della classe operaia, nel suo aspetto teorico, ma esse coincidono rigorosamente con un'introduzione alla filosofia. Così Gramsci avrebbe potuto iniziare un suo « saggio popolare ». E, si noti, il punto di partenza é proprio l'uomo singolo, concreto, vivo, a cui [...]

[...], concreto, vivo, a cui ci si rivolge; membro, in questo caso, di un gruppo sociale subalterno; e innanzi tutto é posta la questione della sua personalità, della conquista e formazione di essa, Ora, appunto, in quel medesimo contesto,
(11) Op. cit., p. 12.
(12) Op. cit., p. 29.
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leggiamo: « si può dire che ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso dei rapporti di cui egli è centro di annodamento. In questo senso il filosofo reale non può essere altri che il politico, l'uomo attivo che modifica l'ambiente, inteso per ambiente l'insieme dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte ». In queste parole troviamo presentata nella sua forma, se vogliamo, più brusca ed elementare (ma che ce ne fa comprendere, proprio perciò, con grande immediatezza, tutta la portata realistica) quella identificazione di filosofia e politica che in altri passi è da Gramsci ben altrimenti elaborata e arricchita di anelli e processi di mediazione; e in cui si trae la più conseguente conclusione della XI tesi su Feuerbach: « I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo ».
Gramsci poneva in relazione questa tesi col detto famoso del « proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca », detto che, naturalment[...]

[...]n in un senso, naturalmente, deteriore e antiscientifico, o sottoscientifico, ma in un senso nuovo e rivoluzionatore del concetto tradizionale di « filosofia ». (E certo tale espressione potrà fare arricciare il naso a chi non sa staccarsi da quest'ultimo). Ossia, è una filosofia che, nella storica concretezza del suo svolgimento, attinge dal movimento delle masse, dalle esperienze di esso e della sua direzione, la sua stessa ragione di essere e gli elementi del proprio sviluppo critico. Ma questo fatto, ossia questo legame fra la coscienza in trasformazione di
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grandi masse umane e la criticità filosofica (che naturalmente ha molteplici gradi ed elementi di mediazione) è un fatto assolutamente nuovo e rivoluzionario nella storia, il quale modifica le dimensioni stesse del filosofare (introducendo in esso quello che potremmo dire un nuovo parametro, un coefficiente ulteriore che muta i precedenti rapporti) e con ció trasforma anche la figura tradizionale del filosofo individuale, per dar luogo a quello ch[...]

[...] ed elementi di mediazione) è un fatto assolutamente nuovo e rivoluzionario nella storia, il quale modifica le dimensioni stesse del filosofare (introducendo in esso quello che potremmo dire un nuovo parametro, un coefficiente ulteriore che muta i precedenti rapporti) e con ció trasforma anche la figura tradizionale del filosofo individuale, per dar luogo a quello che Gramsci chiama « il filosofo democratico », cioè al « filosofo convinto — com'egli dice — che la sua personalità non sia limitata al proprio individuo fisico, ma è un rapporto sociale attivo di modificazione dell'ambiente culturale » (13). Sono da porsi in relazione a questo concetto le indagini di Gramsci intorno agli intellettuali, alla loro funzione nella società, e alla loro storia, e, più in particolare, la domanda che egli si pone sulla funzione che ancora possa spettare al « grande intellettuale » nel mondo moderno. La risposta di Gramsci mi sembra importante e tale da far riflettere. Quella funzione, egli dice, « permane intatta, trova per() un ambiente molto più difficile per affermarsi e svilupparsi: il grande intellettuale deve anch'egli tuffarsi nella vita pratica, diventare un'organizzatore degli aspetti pratici della cultura; se vuole continuare a dirigere, deve democratizzarsi, essere più attuale: l'uomo del Rinascimento non è più possibile » (14).
Quante crisi ripetutamente denunziate, o annunziate o autoannunziate, del filosofare (o della cultura) in quest'ultimo secolo,
dopo Hegel, a parte i contenuti dottrinali, hanno la loro radice reale e trovano una loro spiegazione nella situazione indicata da Gramsci in queste parole,
Questo fatto nuovo e rivoluzionario del presentarsi nella storia umana di una filosofia critica e scientifica come filosofia di massa, come « concezione un[...]

[...]unto quel fatto nuovo e rivoluzionario, il quale prima di indirizzarsi a dirigere il movimento reale delle masse lo riflette ed esprime: esprime una « lotta di classe che già esiste ». Essa si allarga progressivamente, con varietà di ritmi e vicissitudini storiche, nella lotta di classe, ma ha come punto di riferimento essenziale, e discriminante dei suoi caratteri, la questione dello Stato e del potere, che é sempre presente a Gramsci. Infatti egli torna di continuo a distinguere, con proficue analisi e differenziazioni di indirizzi di ricerca, gli aspetti diversi che essa assume prima e dopo la conquista stabile del potere da parte della. classe rivoluzionaria. Il significato specifico e globale di tale « riforma » é per Gramsci, indubbiamente, quello di una radicale rivoluzione culturale. E tuttavia, a mio avviso, egli ha utilmente adottato questo termine di « riforma », non solo e non tanto perché si tratta di un momento diverso da quello della rivoluzione politica e nei rapporti di produzione (i classici del marxismo si sono sempre preoccupati, in generale, di mettere in luce la differenza di ritmo fra il movimento strutturale e i movimenti delle sopra strutture e, in questi ultimi, fra quanto accade sul piano degli eventi politici e le più lente trasformazioni delle coscienze, del costume ecc.), ma perché in esso si indica meglio l'aspetto educativo, ossia l'efficacia di un'azione costante, espansiva, razionalmente diretta, sulle coscienze, in connessione, naturalmente, alla lotta politica e alla rivoluzione e trasformazione dei rapporti sociali. La « riforma » nelle idee e nelle coscienze é qualcosa che non é pensabile che possa seguire passivamente alla rivoluzione politica e sociale,. ma essa deve venire operata e perseguita attivamente e consapevolmente da chi dirige (e comprende tanto la fase prerivoluzionaria e prestatale, quanto quella postrivoluzionaria e statale, con le grandi differenze fra l'una e l'altra)[...]

[...]ente da chi dirige (e comprende tanto la fase prerivoluzionaria e prestatale, quanto quella postrivoluzionaria e statale, con le grandi differenze fra l'una e l'altra). Gramsci ha sentito molto acutamente la complessità dei problemi che si propongono ad una classe subalterna quando essa si trasforma in classe autonoma e
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dirigente: « dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone — egli dice — nasce concretamente l'esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale» (15). Nel quadro di tali questioni, strettamente saldato al l'interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comunismo come movimento reale: il nesso fra dirigenti e diretti, governanti e governati, educatori ed educati, su cui egli ripetutamente ritorna.
Ma quella nozione gramsciana del marxismo come a riforma intellettuale e morale » di massa ha anche un altro campo di validità. Essa collega idealmente il comunismo, inteso appunto come movimento reale, ad altri fenomeni storici di un certo tipo, consentendo di cogliere gli elementi di analogia e di segnare nello stesso tempo le radicali differenze (essa serve perciò tanto alla metodologia storiografica quanto alla 'prospettiva o previsione del futuro, nella cui elaborazione entriamo come parte attiva e volontaria). Vi sono state infatti nella storia altre riforme intellettuali e morali di massa, che avevano profonde radici sociali e furono accompagnate, seguite e anche precedute, da particolari e varie elaborazioni concettuali, filosofiche, metafisiche. Gramsci ha sempre presente il cristianesimo e soprattutto, in un contesto storico più vicino a noi, la riform[...]

[...]eva fatto Engels, la novità del carattere laico) (16).
Ma nessuno di quei fenomeni ha investito, di fatto, la totalità del genere umano, come avviene col comunismo. Non si tratta solo di una differenza quantitativa. Il problema della situazione di coscienza delle grandi masse, in seno alla lotta economica e politica, il problema della loro unificazione culturale, coinvolge, in un orizzonte più ampio, quello della unificazione culturale di tutti gli uomini. E l'orizzonte, virtualmente universale, di svi
(15) II materialismo storico ecc., cit., p. 80.
(16) Cfr. op. cit., p. 86.
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luppo e di dilatazione della società socialista e comunista, onde Lenin aveva scritto (1913) che « il punto essenziale della dottrina di Carlo Marx è l'interpretazione della funzione storica mondiale del proletariato come creatore della società socialista ».
Ciò riguarda, in modo non estrinseco ma intimo, la natura della filosofia marxista, che è prima di ogni altra cosa, la teoria rivoluzionaria della classe operaia e si rivolge innanzi tu[...]

[...]13) che « il punto essenziale della dottrina di Carlo Marx è l'interpretazione della funzione storica mondiale del proletariato come creatore della società socialista ».
Ciò riguarda, in modo non estrinseco ma intimo, la natura della filosofia marxista, che è prima di ogni altra cosa, la teoria rivoluzionaria della classe operaia e si rivolge innanzi tutto ad essa (Marx, Engels, Lenin, si preoccuparono sempre molto dell'educazione « teorica » degli « operai coscienti » e ne curarono attentamente i progressi, anche di piccoli gruppi), ma che assegna nel medesimo tempo alla rivoluzione proletaria un significato universale di riscatto dell'integrale umanità dell'uomo, dilacerata dalla divisione della società in classi antogoniste, le quali fondano la loro esistenza su « sistemi di sfruttamento » del lavoro, succedentisi storicamente. Integrale umanità dell'uomo che non è intesa nel marxismo (a differenza dei precedenti umanesimi, religiosi o no) come un dato metafisico od originario da ripristinarsi, ma come una esigenza posta in forma det[...]

[...]anesimi, religiosi o no) come un dato metafisico od originario da ripristinarsi, ma come una esigenza posta in forma determinata dallo svolgimento storico, come un fine e un punto di arrivo (neppur esso, naturalmente, da intendersi in senso assoluto o metafisico). «L'umano è un punto di partenza o un punto di arriva, come concetto e fatto unitario? », si chiese Gramsci. « In quanto posto come punto di partenza » la ricerca stessa di esso non è, egli risponde, che « un residuo ' teologico ' e ' metafisico ' » (17). Proprio per questo la concezione marxista «che ' la natura umana' sia il ' complesso dei rapporti sociali' è la risposta piú soddisfacente — dice Gramsci — perché include l'idea del divenire: l'uomo di viene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e perché nega l'uomo in generale: infatti i rapporti sociali sono espressi da diversi gruppi di uomini che si presuppongono, la cui unità è dialettica, non formale ». E ancora precisa: « Si può anche dire che la natura dell'uomo è la 'storia' se appunto si dà a storia[...]

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Perde allora senso, dal punto di vista marxista, — attraverso questa negazione dell'uomo in generale — la domanda « che cosa è l'uomo » ? All'opposto, possiamo dire: essa acquista un significato concreto che è un significato di movimento, o svolgimento consapevole, e come tale essa, potremmo aggiungere, è indirizzante, pratica, regolativa. « Se ci pensiamo — scrive Gramsci — vediamo che ponendoci la domanda che cosa è l'uomo, vogliamo dire: che cosa l'uomo può diventare, se cioè l'uomo può dominare il proprio destino, può ' farsi', può crearsi un vita ». Quella domanda « è nata da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri e vogliamo sapere, in rapporto a ciò che abbiamo riflettuto e visto, cosa siamo e cosa possiamo diventare, se realmente ed entro quali limiti, siamo ' fabbri di noi stessi ', della nostra vita, del nostro destino (18). E ciò vogliamo ' oggi' nelle condizioni date oggi, della vita ' odierna ' e non di qualsiasi vita e di qualsiasi uomo » (19).
Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell'uomo in storia (« l'uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti »), sia pure intesa la storia, come si è visto, in un senso « non formale », vada perduta la componente naturalistica del marxismo. E tuttavia questa sarebbe un'interpretazione assai unilaterale, perché incompleta (e diverrebbe tendenziosa), del pensiero di Gramsci. Una volta egli, trovandosi ad adoperare l'espressione « genere umano » (« s[...]

[...] e di qualsiasi uomo » (19).
Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell'uomo in storia (« l'uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti »), sia pure intesa la storia, come si è visto, in un senso « non formale », vada perduta la componente naturalistica del marxismo. E tuttavia questa sarebbe un'interpretazione assai unilaterale, perché incompleta (e diverrebbe tendenziosa), del pensiero di Gramsci. Una volta egli, trovandosi ad adoperare l'espressione « genere umano » (« storia del genere umano ») si ferma a chiosarla, osservando: « fatto che si adoperi la parola ' genere', di carattere naturalistico, ha il suo significato » (20). Che cosa intendeva qui dire Gramsci ? Egli ha respinto risolutamente, nel medesimo contesto, l'idea che « l'unità del genere umano » possa esser « data
(18) Ma nello stesso tempo Gramsci ne esamina subito anche le radici storiche (e il significato storico di massa). « La domanda è nata, riceve il suo contenuto, da speciali, cioè determinati modi di considerare la vita e l'uomo. Il più importante di questi modi è la "religione" ed una determinata religione, il cattolicismo ».
(19) Op. cit., p. 27. Queste ultime parole di Gramsci potrebbero richiamare alla mente il « wir fragen jetzt, hier, für uns » dello Heidegger. Anche eisgenze pr[...]

[...]ra, é il più rigoroso fondamento materialistico del marxismo, Scrive Marx nel Capitale: « La tecnologia rivela il comportamento attivo dell'uomo verso la natura, l'immediato processo di produzione della sua vita, e quindi anche dei rapporti del suo vivere sociale e delle rappresentazioni spirituali che ne scaturiscono » (22). Questa posizione ci riporta, per il suo contenuto, alla rivoluzione filosoficometodologica compiuta da Marx e da Engels negli anni fra il 1843 e il 1846, e che li condusse alla conquista del « materialismo storico ». Tale posizione, in quel medesimo passo
(21) a Neanche "la facoltà di ragionare" o lo "spirito" — aggiunge Gramsci — ha creato unità e può esser riconosciuto come fatto "unitario", perché concetto solo formale, categorico D.
(22) K. MARx, 11 capitale, Vol. I, Sez. IV, n. 89.
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del Capitale, Marx la contrappose allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « portavoce » di siffatto materialismo, nonché [...]

[...]ista del « materialismo storico ». Tale posizione, in quel medesimo passo
(21) a Neanche "la facoltà di ragionare" o lo "spirito" — aggiunge Gramsci — ha creato unità e può esser riconosciuto come fatto "unitario", perché concetto solo formale, categorico D.
(22) K. MARx, 11 capitale, Vol. I, Sez. IV, n. 89.
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del Capitale, Marx la contrappose allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « portavoce » di siffatto materialismo, nonché le correlative « rappresentazioni astratte e ideologiche » che essi mettono fuori « non appena si arrischiano al di là della loro specialità »). Questa é anche la posizione di Gramsci: «L'umanità che si riflette in ogni individualità é composta di diversi elementi: 1) l'individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e 3° elemento non sono così semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Così l'uomo non entra in rapporti con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica » (23).
A chi ben guardi questa posizione (che abbiamo riscontrato in Marx e in Gramsci) comporta la centralità del materialismo storico nella filosofia marxista. Ossia, la centralità della considerazione dell'uomo nel suo nesso permanente e attivo con la natura (dal cui svolgersi e complicarsi storico si sviluppa tutta la storia sociale umana), come dell'unico punto di partenza concreto che possediamo per ogni altra considerazione sul reale. E' il punto di partenza teorizzato riassuntivamente, ma incisivamente, da Marx nell[...]

[...]non erriamo, che fu proprio posta dai classici, in particolare dallo Engels, il quale si occupò più da vicino di tali questioni. E ciò contro ogni contrazione scolasticodogmatica del marxismo stesso.
La metodologia marxista di Gramsci, che si affinò, sotto questo riguardo, nella discussione critica ciel manuale del Bukharin (24), ed ha come filo conduttore la persuasione profonda della integrale autonomia filosofica del marxismo (senza perciò tagliare i fili che storicamente lo congiungono alla precedente tradizione di pensiero), ci tiene ben lontani dal rischio suddetto. Qui é necessario aggiungere che, se é vero che il marxismo come rivoluzione filosofica é coincidenza di naturalismo e umanismo (i quali nella loro compiutezza si convertono l'uno nell'altro), può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, soprattutto per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nel marxismo), una certa attenuazione dell'istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo senso. Chi[...]

[...]cui le sue riflessioni sono di grande importanza e originalità. Ma per quanto concerne il grave problema del nesso fra questa oggettività e la naturalità si é ormai come al margine estremo dei suo interesse e della sua meditazione. E non é detto che qui non si verifichi qualche oscillazione o incertezza. Gramsci é sempre lontanissimo dal contentarsi di ripetere formulazioni precostituite, per quanto esse possano apparire suggestive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e vederle in tutte le loro connessioni, e appunto per questo é un maestro di metodo. La questione che abbiamo dinanzi é quella della difficile saldatura obiettiva (ossia non più soltanto nel soggetto umano, come prassi sensibilerazionale) fra naturalità e storicità, che é indubbiamente, credo, il punto teorico più delicato di tutta la filosofia marxista. Da quel margine estremo, che si é detto, Gramsci indicava, tuttavia, lo sviluppo ulteriore della ricerca nell'approfondimento della tesi di Engels che « l'unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e qu[...]

[...]fondimento della tesi di Engels che « l'unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e questa é dimostrata da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e delle scienze naturali ». Ove Gramsci commentava dicendo che questa formulazione « contiene il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva » (25). Notazione storicistica squisitamente gramsciana. Eppure solo chi avesse gli occhi bendati di dogmatismo e di scolasticismo potrebbe vedere in essa un qualche allontanamento dalla posizione dei classici (che non fu mai né empiristica, né positivistica, né materialisticovolgare). Proprio lo Engels, nel 1885, concludendo la sua prefazione alla seconda edizione dell'Antidühring sottolineava tale complessa storicità della filosofia e insieme delle scienze (delle une in rapporto all'altra) come unico punto di riferimento possibile per liberarsi da qualsiasi visione « metafisica » della natura e « filosofia della natura » (26).
(25) Op. cit., p. 142.
(26) « ... sono le op[...]

[...] del marxismo non é concepito da Gramsci come indifferente o superiore e distaccato rispetto alla concretezza del movimento reale di cui esso é la teoria.
L'esigenza di far convergere storicamente l'aspetto di « filosofia di massa » del marxismo con la soluzione dei compiti teorici e scientifici più alti e complessi, cioè l'esigenza di una « cultura integrale », che sulla base della classe rivoluzionaria, possegga una espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò in Gramsci essenziale alla dinamica stessa del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità. Anche l'identificazione dialettica operata da Gramsci fra filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia ecc. ) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato (come criterio di interpretazione storiografica) (27) o proiettata verso il futuro — non é comprensibile senza
fisico. Il riconoscimento che queste opposizioni e queste differenze in verità sono presenti nella natura, ma con una validità solo relativa, e che invece quella ri[...]

[...]renziata di motivi (legati in gran parte a circostanze della cultura italiana, e special mente alla discussione cól crocianesimo), e conduce a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, é innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo » (28), valida per tutti gli uomini, nella realtà di oggi; cioè fede e senso comune non di gruppi ristretti, legati al privilegio sociále, ma dell'intiera umanità associata. Per converso, la polemica di Gramsci contro le penetrazioni nel marxismo di materialismo volgare o metafisico, benché si svolga su un piano strettamente teorico, comporta anche la relativa giustificazione storica di quelle penetrazioni, come caratteristiche di una fase ancora arretrata del movimento reale (rivoluzionario) di cui il marxismo è espressione. (29).
All'una e all'altra polemica è costantemente sottesa la persuasione della autonomia criti[...]

[...]erminata direzione, in cui il suo culminare diventa norma d'azione collettiva, cioè diventa « storia » concreta e completa (integrale). La filosofia di un'epoca storica non é dunque altro che la « storia » di quella stessa epoca, non è altro che la massa di variazioni che il gruppo dirigente è riuscito a determinare nella realtà precedente: storia e filosofia sono inscindibili in questo senso, formano « blocco ». Possono però essere « distinti » gli elementi filosofici propriamente detti, e in tutti i loro diversi gradi: come filosofia dei filosofi, come concezioni dei gruppi dirigenti (cultura filosofica) e come religioni delle grandi masse, e vedere come in ognuno di questi gradi si abbia a che fare con forme diverse di "combinazione" ideologica » (Il materialismo storico ecc., cit., p. 22. Cfr. anche pp. 151 e 232).
(28) Op. cit., p. 226.
(29) Su questo concetto Gramsci torna frequentemente, studiando i diversi aspetti della questione. Cfr., in particolar modo, Il materialismo storico ecc., pp. 81, 84, 87, 151, 1623, 223.
200 CESAR[...]

[...]
(28) Op. cit., p. 226.
(29) Su questo concetto Gramsci torna frequentemente, studiando i diversi aspetti della questione. Cfr., in particolar modo, Il materialismo storico ecc., pp. 81, 84, 87, 151, 1623, 223.
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Gramsci. Di fronte all'idealismo contemporaneo anche quelle traduzioni e recuperi, a cui si è accennato (30), sono connessi, in grande parte, a questo punto centrale, già nuclearmente presente in Antonio Labriola. « Gli intellettuali ' puri ' — scrive Gramsci — come elaboratori delle più estese ideologie delle classi dominanti, come leaders dei gruppi intellettuali dei loro paesi, non potevano non servirsi almeno di alcuni elementi della filosofia della prassi, per irrobustire le loro concezioni e moderare il soverchio filosofismo speculativo col realismo storicista della teoria nuova, per fornire di nuove armi l'arsenale del gruppo sociale cui erano legati. D'altra parte la tendenza ortodossa si trovava a lottare con l'ideologia più diffusa nelle masse popolari, il trascendentalismo religioso, e credeva di [...]

[...]ideologia più diffusa nelle masse popolari, il trascendentalismo religioso, e credeva di superarlo solo col più crudo e banale materialismo che era anche esso una stratificazione non indifferente del senso comune, mantenuta viva, più di quanto si credesse e si creda, dalla stessa religione che nel popolo ha una sua espressione triviale e bassa, superstiziosa e stregonesca, in cui la materia ha una funzione non piccola. Il Labriola si distingue dagli uni e dagli altri per la sua affermazione (non sempre sicura, a dire il vero) che la filosofia della prassi è una filosofia indipendente e originale che ha in se stessa gli elementi di un ulteriore sviluppo per diventare da interpretazione della storia filosofia generale ».
In queste parole, a chi ben guardi, troviamo delineato, e nei suoi termini polemici e in quelli costruttivi, l'intiero ambito in cui si muove, sotto il riguardo teorico e metodologico, il pensiero di Gramsci. Vi è da fare anche un'altra osservazione, che credo assai caratterizzante: quella «indipendenza e originalità filosofica del marxismo » è vista da Gramsci non semplicemente come un data, come una cosa già fatta, ma come un elemento di svihippo e di conquista continua delle sue più profo[...]

[...]on solo e non tanto astratti termini ideologici (schematizzati
(30) Ció vale soprattutto nei confronti dell'idealismo, o « neohegelianesimo », italiano del Croce e del Gentile, che prese l'avvio, alla fine del secolo, dalla discusssione col marxismo ed a quella é' sempre rimasto, in qualche modo, legato.
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ai loro estremi in idealismo e in un certo tipo di materialismo),
ma concreti portatori di essi, da un lato gli « intellettuali ' puri elaboratori delle ideologie delle classi dominanti », dall'altro le masse popolari, in certo modo depositarie del « senso comune ». Quella lotta ideale in cui il marxismo esplica e sviluppa, di fatto, la sua autonomia filosofica, si presenta così immediatamente come momento necessario di una complessa lotta reale. In Gramsci questo nesso non va mai perduto, non è mai obliato.
Quel medesimo nesso determina, ci sembra, il suo modo di concepire lo svolgimento e l'esposizione del marxismo come filosofia. Soprattutto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto alla class[...]

[...]ento necessario di una complessa lotta reale. In Gramsci questo nesso non va mai perduto, non è mai obliato.
Quel medesimo nesso determina, ci sembra, il suo modo di concepire lo svolgimento e l'esposizione del marxismo come filosofia. Soprattutto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto alla classe rivoluzionaria il problema dell'egemonia (direzione politica e culturale sull'insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col « senso comune ». La nozione di « senso comune » diventa perciò fondamentale.
Essa, nel contesto gramsciano, é ben più complessa del convenzionale riferimento che sotto tale denominazione serve molto spesso ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento staticamente contrapposto alla «criticità» della filosofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima analisi, con essa co[...]

[...]losofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima analisi, con essa conciliabile). Il « senso comune » non é per Gramsci univocamente rappresentabile e riducibile nei suoi contenuti, come se fosse l'espressione di un atteggiamento naturale. Esso é sempre, per lui, « prodotto storico » che contiene, stratifica e cristallizza contraddittoriamente le più varie eredità passive del passato: oltre, naturalmente, agli elementi attivi da liberare ed elaborare (31). Esso é il terreno su cui esercitano la loro azione e la loro
(31) Cfr., per la discussione del senso comune, Il materialismo storico ecc., cit., pp. 57, 9, 11, 2527, 4647, 119121, 123 e passim. Inoltre cfr., Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, p. 148. Gramsci si rifà qualche volta alla distinzione di « senso comune » e « buon senso », e ricorda anche il noto passo del Manzoni (Passato e presente, p. 216). Alcune riflessioni di Gramsci potrebbero essere confrontate con il capitolo dedicato dal Cattaneo al « senso comune » nella sua Logica. (v. C. CATTANEO, Scritti filosofici letterari e vari, Firenze, 1957, p. 186 e seg).
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presa le ideologie dominanti di gruppi e di classi (in cui, per esempio, la loro « verità » s'impone alle classi subalterne come superstizione) [...]

[...]ntazione della posizione di Gramsci potrebbe anche venir fraintesa unilateralmente. A Gramsci, che si era formato e aveva lottato in continuo contatto con le masse lavoratrici, non sfugge ciò su cui Lenin aveva richiamato l'attenzione, scrivendo: « Sarebbe il più grande errore e il peggiore che possa commettere un marxista, quello di credere che le masse popolari, costituite da milioni di esseri umani (e soprattutto dalla massa dei contadini e degli artigiani) condannati alle tenebre, all'ignoranza e ai pregiudizi da tutta la società moderna, possano uscire da queste tenebre solo seguendo la retta via di un'istruzione puramente marxista » (33). È, anzi, proprio un problema di tale natura che guida la sua ricerca. La discussione col « senso comune », che egli prospetta come elemento essenziale dello sviluppo costruttivo e della diffusione del marxismo, accanto alla lotta politica e sociale (e a chiarimento di essa), non é mai concepita come frattura con quel medesimo « senso comune ». E ciò non solo per ragioni di opportunità o concretezza politica ed educativa, ma per quel che il « sen
(32) «... per le grandi masse della popolazione governata e diretta la filosofia o religione del gruppo dirigente e dei suoi intellettuali si presenta sempre come fanatismo e superstizione, come motivo ideologico proprio di una massa servile ».
(33) LENIN, Il sig[...]

[...]ologico proprio di una massa servile ».
(33) LENIN, Il significato del materialismo militante (trad. it. in MarxEngelsmarxismo, Roma, 1952, p. 445).
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so comune » racchiude di positiva esperienza storica delle masse subalterne (la « cultura democratica » in esse storicamente immanente e da liberare, come aveva dichiarato Lenin) e in ultima analisi, per la struttura stessa genericamente umana del senso comune, per gli elementi di sperimentalismo che esso contiene, risultato e condizioni del pratico operare.
La critica dunque dei contenuti ereditari del « senso comune » si appoggia, dialetticamente, su di esso e muove non alla sua distruzione, che sarebbe proposito insensato, ma alla sua riforma e sostituzione con una concezione più coerente, che divenga fede, ossia norma intrinseca dell'agire. Il che non avviene né in un giorno, né in astratto, ossia come educazione astratta, verbale e libresca, bensì in connessione con la lotta politica e di classe. Occorre perciò, dice Gramsci, che la « nuova concezione[...]

[...]lla diffusione di una filosofia che non sia insieme politica attuale, strettamente legata all'attività preponderante nella vita delle classi popolari, il lavoro, e non si presenti pertanto, entro certi limiti, come connessa alla scienza. Essa concezione nuova magari assumerà inizialmente forme superstiziose e primitive come quelle della religione mitologica, ma troverà in se stessa e nelle forze intellettuali che il popolo esprimerà dal suo seno gli elementi per superare questa fase primitiva ».
Queste ultime parole di Gramsci, così strettamente connesse all'idea del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma popolare », ci conducono al problema della sua fase moderna di svolgimento: rispetto, intendo dire, all'intiera epoca storica in cui viviamo. La questione é sempre considerata da Gramsci in rapporto a quella del potere e dello Stato e della loro conquista da parte della classe operaia. Non é possibile qui entrare
(34) Il materialismo storico ecc., cit., p. 226.
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nei particolari (ed il tema è og[...]

[...] in cui viviamo. La questione é sempre considerata da Gramsci in rapporto a quella del potere e dello Stato e della loro conquista da parte della classe operaia. Non é possibile qui entrare
(34) Il materialismo storico ecc., cit., p. 226.
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nei particolari (ed il tema è oggetto di un'altra relazione), ma è essenziale ricordare che attraverso questo collegamento opera in Gramsci, in maniera decisiva, la nozione leniniana che egli indica costantemente sotto il termine di « egemonia »: e non solo la nozione, ma la sua realizzazione, ossia l'esperienza storica della rivoluzione di Ottobre. Si tratta dei problemi concreti che si sono imposti alla classe operaia nella « epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie », i problemi delle alleanze di classe, della direzione politica su altri gruppi sociali, della connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e della direzione culturale: problemi nei quali si è straordinariamente allargata, [...]

[...], della direzione politica su altri gruppi sociali, della connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e della direzione culturale: problemi nei quali si è straordinariamente allargata, a contatto con lo sviluppo reale, nel nostro secolo, la problematica marxista dello Stato, e di cui fu maestro Lenin. Ora, è importante notare che qui fanno nodo e si articolano tutti gli elementi teorici del pensiero di Gramsci: « L'egemonia realizzata — egli scrive (riferendosi alla rivoluzione di Ottobre) — significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica » (35).
La quale asserzione, a questo punto, non avrebbe bisogno di ulteriori chiarimenti. Ma essa guadagna la pienezza del suo significato se la proiettiamo in un contesto concettuale più largo. Scrive altrove Gramsci: « La proposizione contenuta nella Introduzione alla ' Critica dell'Economia politica' che gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura sul terreno delle ideologie deve essere considerata come un'affermazione di valore gnoseologico, e non puramente psicologico e morale. Da ciò consegue che il principio teoricopratico dell'egemonia ha anch'esso una portata gnoseologica e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporta massimo di Ili' [Lenin] alla filosofia della prassi » (36).
Un imponente gruppo di problemi teorici, metodologici, sto
(35) Op. cit., p. 75. Ove anche si legge: «La fondazione di una classe dirigente (cioè di uno Stato) equivale alla creazione di una Weltan[...]

[...]n la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie non universali concrete ma rese caduche immediatamente dall'origine pratica della loro sostanza. C'é quindi una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta é la stessa lotta per l'unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano ' spirito' non é un punto di partenza ma d'arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario ecc. La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione... » (37).
È un modo di considerare le cose che pone immediatamente il problema del marxismo come soprastruttura. Ma vi è, dice Gramsci, « una differenza fondamentale tra la filosofia della prassi e le altre filosofie: le altre ideologie sono creazioni inorganiche [...]

[...]deale illusoriamente risolutiva dei contrasti reali, All'opposto, essa è « la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione » (40).'
Qui è il nocciolo del modo in cui Gramsci intende la dialettica, secondo che egli aveva appreso, congiuntamente, dalla sua strenua esperienza di lotta e dalla lezione dei classici (si pensi, in particolare, al metodo con cui Marx svolse la polemica contro Proudhon nella Miseria della filosofia, considerata da Gramsci un momento essenziale della formazione della « filosofia della prassi ») (41). Così, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l'irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità »), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annota[...]

[...]della prassi ») (41). Così, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l'irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità »), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare un'asserzione del Graziadei, che presentava Marx « come unità di una serie di scienziati » Gramsci commenta: « Errore fondamentale: nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettualmente un'età storica, che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all'avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata » (42).
CESARE LUPORINI
(38) Op. cit., p. 237.
(39) L'espressione a .mener le brache al mondo » ripresa da Gramsci contro Croce per indicare il moderatismo della sua filosofia, era stata dal Croce stesso adoperata nella introduzione al primo fascicolo de La Critica.
(40) Op. cit., pp. 9394.
(41) Note su[...]



da Sergio Antonielli, La parola dell'arcidiavolo. Luigi Russo e i trent'anni di «Belfagor» in KBD-Periodici: Rinascita 1976 - 5 - 7 - numero 19

Brano: [...]accolta di « immagini e ricordi ». Quel fascicolo, per i nomi e per l'impegno di coloro che vi scrissero (i primi in elenco, sul fron tespizio, sono Francesco Flora, Eugenio Garin, Walter Binni, Natalino Sapegno), conserva ancora una sua solennità. Ma non è questo aspetto che ora intendo sottolineare. L'importanza del fascicolo mi sembra da vedere nel carattere critico che assunse in esso la commemorazione, ossia nel tacito accordo, in cui tutti gli scriventi si trovarono, di frenare e comporre il loro cordoglio in discorsi rigorosi e scientificamente proficui. L'omaggio all'uomo e allo studioso diventava un omaggio, per dirla con un'espressione tipica ,del Russo stesso, allo « spirito critico ».
Precisamente in questo « soirito » è da vedere, più ancora che la complessiva coerenza della singolare « rassegna di varia umanità », la corrispondenza fra i due quindicenni, prima e dopo il 1961, in cui la sua storia appare distinta. Ricordo che in quell'anno tra i famigliari e gli amici del Russo, postosi il dilemma se continuare o chiudere la pubblicazione di Belfagor, i dubbi che emersero riguardavano [...]

[...]i rigorosi e scientificamente proficui. L'omaggio all'uomo e allo studioso diventava un omaggio, per dirla con un'espressione tipica ,del Russo stesso, allo « spirito critico ».
Precisamente in questo « soirito » è da vedere, più ancora che la complessiva coerenza della singolare « rassegna di varia umanità », la corrispondenza fra i due quindicenni, prima e dopo il 1961, in cui la sua storia appare distinta. Ricordo che in quell'anno tra i famigliari e gli amici del Russo, postosi il dilemma se continuare o chiudere la pubblicazione di Belfagor, i dubbi che emersero riguardavano più che altro la possilità di restare nel solco tracciato. Già il primo numero era uscito in un momento di particolare fervore: nel gennaio del 1946. Inoltre la vena polemica del Russo, quella sua personale facoltà d'inter vento sull'attualità, culturale e politica, chi avrebbe potuto ricrearla? L'arcidiavolo machiavelliano era per bocca sua che si era rimesso a parlare. E si badi bene: nella figura dell'arcidiavolo a cui rimandava, per via diretta, il titolo, non si er[...]

[...]o gloria al Machiavelli, come a suo tempo aveva fatto il De Sanctis.
La formula originale di Belfagor, fin dal primo numero, fu appunto quella della fusione della severità scientifica, diciamo pure accademica, col più scoperto impegno eticopolitico. Tanto nello studio dei classici, quanto nella organizzazione della cultura o nel maneggio dei pubblici affari, si potevano incontrare i dilettanti, i disonesti. Contro costoro, nessuna misericordia. Gli studi per il Russo, e il loro concretarsi in istituti scolastici, erano parte di quella vita nazionale che ci aveva data il Risorgimento e che non si doveva tradire. Da qui la sua vena pedagogica, il suo continuo interesse per i problemi della scuola, nonché la sua continua distribuzione di moniti, esortazioni, rimproveri. Per meglio intenderci, facciamo un esempio. Il numero 'di novembre del 1957 si apre con un saggio di Scevola Mariotti su Ovidio. In nota, il Russo si dichiara lieto di ospitare il ,saggio, ma al tempo stesso se la prende con l'allora vigente governo Zoli e, in genere, con la faziosa politica delle sovvenzioni elargite ad alcuni enti e negate ad altri. Nello stesso numero c'è un saggio di Giovanni Cecchetti sul testo di Vita dei campi e sulle correzioni del Verga. Venti pagine dopo, il Russo in prima persona scrive commosso per la morte di Giuseppe Di Vittorio. Il numero l'ho scelto ad arte, anche perch[...]

[...]gmatico di come si possa rovesciare un governo di sinistra mediante intrighi all'interno e illecite pressioni dall'esterno. Tuttavia, qualsiasi numero si consulti, la formula si troverà rispettata. Altre riviste sono potute sembrare più significative o importanti sul piano specifico dei lavori letterari in corso. Belfagor non ha mai accolto la letteratura, come si dice, creativa in prosa o in versi. Ma alle lunghe la sua formula della severità negli studi, congiunta all'impegno morale e politico, doveva rivelarsi più resistente di tante altre. Prima o poi, doveva diventare di attualità anche quel « problema della scuola » per la cui democratica impostazione la rivista si era battuta fin dall'inizio.
Nel senso appunto della fedeltà alla formula originaria va vista la corrispondenza maggiore fra primo e secondo quindicennio. Il vuoto lasciato dal Russo, nessuno lo avrebbe colmato. Nessuno, è ovvio, avrebbe potuto dare stilistico seguito alla sua vena, dotta e sarcastica, di polemista. Ma la «ricetta » era buona e attenersi ad essa si sare[...]

[...]o quindicennio. Il vuoto lasciato dal Russo, nessuno lo avrebbe colmato. Nessuno, è ovvio, avrebbe potuto dare stilistico seguito alla sua vena, dotta e sarcastica, di polemista. Ma la «ricetta » era buona e attenersi ad essa si sarebbe dimostrato giusto, tanto sul piano della cultura, quanto su quello dela politica. Prendo un numero del secondo quindicennio, questa volta a caso: maggio 1973. Nella prima sezione, un saggio di Sergio Moravia su « Gli "idéologues" e l'età dei lumi »; fra le « noterelle e schermaglie », íl testo di un discorso di Nenni al Senato (18 maggio 1973) su « Lo squadrismo protetto ».
Chiaro che il merito di avere continuato nell'opera dei fondatore spetta in primo luogo a coloro che si sono assunta, dal 1961 in poi, la cura pratica della rivista, e particolarmente a Carlo Ferdinando Russo, direttore attuale. Ma credo si debba aggiungere una osservazione circa le ragioni per cui la continuazione dell'opera del Russo si è resa obiettivamente possibile. Scriveva Gramsci, modellando sul De Sanctis la figura nuova del critico: « Insomma, il tipo di critica letteraria propria della f[...]

[...] nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sen timenti e delle concezioni del mondo con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » (Quaderni del carcere, ed. curata da Gerratana, (pag. 2188). Luigi Russo, proprio a un modello desanctisiano si era studiato di rifarsi. L'insegnamento del De Sanctis, indipendentemente dai giudizi particolari, legati al tempo, gli si era manifestato proprio in una « fusione » del genere indicato da Gramsci, certo non esclusa la « forma del sarcasmo ». Non è adesso il caso di procedere a un'analisi della formazione culturale del Russo. Dovremmo citare anche íl Carducci, il Croce e il Gentile. Quello che va ripetuto è che se pensiamo a lui, la complessa indicazione del « ritorno al De Sanctis » diviene un concreto punto di riferimento, il titolo di un effettivo momento della cultura italiana novecentesca. Una sera d'estate del 1951, ai familiari raccolti sul retro della sua casa al Fiumetto, a Marina di Pietrasanta, Luig[...]

[...]ese, e talvolta a prestare i servizi più umili nella casa baronale del comandatore. Quello che io chiamo comandatore era un sempice commendatore, ma nella mia fantasia bambina (e fantasia bambina era quella anche di molte persone adulte del mio paese) commendatore era sinonimo di colui che comanda. Il comandatore del mio paese era un generoso signorotto, che 'aveva seguito Garibaldi nella spedizione del '60, come picciotto; apparteneva a una famiglia nobilesca, che aveva le sue diramazioni in tutta l'isola, perché erano in dieci fratelli, e il più potente risiedeva a Palermo » (Belfagor, settembre 1951). Scopo di simili rievocazioni, nella mente del Russo era quello di mostrare « che uomini democratici, comunisti o socialisti, non si diventa da un giorno all'altro; si tratta di lente formazioni e tradizioni storiche ». La coscienza democratica è dal profondo della realtà nazionale che si genera.
Ora per questo penso sia stato possibile insistere in un lavoro, la continuazione di Belfagor, che sotto altri aspetti poteva sembrare impossib[...]

[...]ossibile insistere in un lavoro, la continuazione di Belfagor, che sotto altri aspetti poteva sembrare impossibile: perché le vicende italiane posteriori al 1961 hanno continuato a produrre certi anticorpi, ossia hanno seguitato a chiedere per opposizione certi chiari termini di orientamento e di polemica. Contro l'affievolirsi dello spirito critico, contro il tecnicismo fine a se stesso, il professionismo come giustificazione di aridità morale, gli inquinamenti da consumismo, nel campo della letteratura non è mai venuta a cessare la domanda di un atteggiamento di tipo desanctisiano. Difficile, interpretare una simile domanda ed esaudirla nel più aggiornato dei modi. Ma rispettando la formula iniziale, Belfagor non è venuto meno al suo compito.
BE LFAG OR
RASSEGNA DI VARIA UMANITÀ
FONDA, DA
LUIGI RUSSO
CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKIFIRENZE
ANNO XXXI N. 2 31 MARZO 1976
7 maggio '76 LJ Testimonianze
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da Giuseppe Bevilacqua, Varietà e documenti. Dalla valle di Giosafat: Elias Canetti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: 326 VARIETÀ E DOCUMENTI
DALLA VALLE DI GIOSAFAT: ELIAS CANETTI
Prima ancora di essere uno scrittore Elias Canetti è un vivente compendio della storia d'Europa. Le sue origini e gli itinerari della sua esistenza, se venissero tracciati sulla carta del nostro continente, mostrerebbero un viluppo indistricabile.
Canetti nacque nel 1905 a Rustciúk, un piccolo ma importante emporio fluviale sulla riva bulgara del Danubio, un insediamento commerciale che deve il suo nome attuale ai ragusani, cioè a dei dàlmati di civiltà veneziana, i quali vi si insediarono stabilmente nel corso del Cinque e Seicento, essendo riusciti a trovare un pacifico accordo con i dominatori ottomani, al fine di controllare soprattutto il traffico delle granaglie provenienti dalle fertili zone della Va[...]

[...] viluppo indistricabile.
Canetti nacque nel 1905 a Rustciúk, un piccolo ma importante emporio fluviale sulla riva bulgara del Danubio, un insediamento commerciale che deve il suo nome attuale ai ragusani, cioè a dei dàlmati di civiltà veneziana, i quali vi si insediarono stabilmente nel corso del Cinque e Seicento, essendo riusciti a trovare un pacifico accordo con i dominatori ottomani, al fine di controllare soprattutto il traffico delle granaglie provenienti dalle fertili zone della Valacchia rumena.
Ma Canetti non appartiene a nessuna delle numerose nazionalità che il nome di Rustciúk ci ha già permesso di elencare, la sua gente veniva da piú lontano: aveva lasciato alcuni secoli prima la Spagna per non diventare marrana, per non tradire la fede millenaria che si manifesta anche nel nome biblico di Elia portato da Canetti con tanto orgoglio. In altre parole, Canetti è originariamente un ebreo sefardita.
Venuto alla luce sulle rive del Danubio orientale, la sola lingua della sua prima infanzia fu lo `spaniolo', ossia lo spagnolo arcaico degli israeliti balcanici di origine iberica. Ma i genitori, che si erano conosciuti studenti a Vienna, parlavano pure un'altra lingua, che esercitava, proprio per essere la lingua dei piú segreti conciliaboli dei genitori, un enorme fascino sul piccolo Elia e diventerà piú tardi la lingua della sua opera di scrittore. Piú tardi, perché le prime scuole egli le fece in Inghilterra, dove la famiglia si era trasferita; e dove forse sarebbe rimasta, se la morte precoce del padre, facoltoso commerciante, non avesse ricondotto Canetti sul continente: prima a Vienna, poi a Zurigo, poi a Francoforte; infine, nel periodo decisivo della sua formazione, tra il 1924 e il 1938, di nuovo a Vienna, fino all'occupazione hitleriana, che lo costrinse ad altra affannosa emigrazione.
Dal 1938 Canetti vive a Londra; ma ha sempre continuato a scrivere in tedesco. Mentre la guerra volgeva al termine, egli annotava: « La lingua del mio spirito continuerà ad essere il tedesco, e precisamente perché sono ebre[...]

[...]masta, se la morte precoce del padre, facoltoso commerciante, non avesse ricondotto Canetti sul continente: prima a Vienna, poi a Zurigo, poi a Francoforte; infine, nel periodo decisivo della sua formazione, tra il 1924 e il 1938, di nuovo a Vienna, fino all'occupazione hitleriana, che lo costrinse ad altra affannosa emigrazione.
Dal 1938 Canetti vive a Londra; ma ha sempre continuato a scrivere in tedesco. Mentre la guerra volgeva al termine, egli annotava: « La lingua del mio spirito continuerà ad essere il tedesco, e precisamente perché sono ebreo. Ciò che resta di quella terra devastata in ogni possibile modo voglio custodirlo in me, in quanto ebreo. Anche il suo destino è il mio; io però porto ancora in me un'eredità universalmente umana ». E pochi mesi dopo, all'inizio del 1945, scrive: « Quando arriverà la primavera, il lutto dei tedeschi sarà una fonte inesauribile, e non si potrà piú distinguerli dagli ebrei. Hitler in pochi anni ha trasformato i tedeschi in ebrei, e oggi `tedesco' è divenuto una parola dolorosa come `ebreo' ».
Ricaviamo queste due citazioni dal volume La provincia dell'uomo. Quaderni di appunti 19421972, uscito da poco come 80° volume della preziosa « Biblioteca Adelphi », dopo che già lo stesso editore, nel 1974, e sempre giovandosi delle versioni di Furio Jesi, aveva pubblicato i saggi di Potere e sopravvivenza.
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Singolare parecchio, questa assimilazione del destino dei tedeschi e degli ebrei, dei carnefici e delle vittime; soprattutto se si tie[...]

[...]enuto una parola dolorosa come `ebreo' ».
Ricaviamo queste due citazioni dal volume La provincia dell'uomo. Quaderni di appunti 19421972, uscito da poco come 80° volume della preziosa « Biblioteca Adelphi », dopo che già lo stesso editore, nel 1974, e sempre giovandosi delle versioni di Furio Jesi, aveva pubblicato i saggi di Potere e sopravvivenza.
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Singolare parecchio, questa assimilazione del destino dei tedeschi e degli ebrei, dei carnefici e delle vittime; soprattutto se si tiene conto che tali frasi furono scritte nel 194445. Ma ciò che vi traspare non è l'amore del paradosso e della provocazione, che pure non mancano nelle pagine di Canetti; qui traspare qualcosa di piú profondo e complesso.
È come un guardare la storia in una prospettiva tanto ampia da vedere accostati gli editti persecutori di Ferdinando d'Aragona e le fortezze volanti che Canetti vede tornare — come scrive in altra pagina — a stormi luccicanti dopo aver distrutto una qualche antica città della Germania: « A ogni bomba fa un salto indietro un pezzo della settimana della creazione ». E ancora, giunta la notizia di Hiroshima, Canetti annota: « Detronizzazione del sole, l'ultimo mito valido è distrutto ».
Per lui, la storia, a cominciare dalla cattività in Egitto di cui dice di avere ancestrale memoria, è una sequela di catastrofi, di diaboliche crudeltà. Ma queste non sono evocate drammaticamen[...]

[...]'ultimo mito valido è distrutto ».
Per lui, la storia, a cominciare dalla cattività in Egitto di cui dice di avere ancestrale memoria, è una sequela di catastrofi, di diaboliche crudeltà. Ma queste non sono evocate drammaticamente, con una partecipazione diretta, emotiva, indignata, bensí proiettate epicamente su uno sfondo che è come il buio schermo fisso, dietro le palpebre abbassate del narratore che si appresta ad evocare. Cosí tutto, anche gli avvenimenti del giorno piú atroci o sensazionali, acquistano subito, in Canetti, un'aura postuma. Forse ha a che fare con quest'aura una sibillina annotazione tronca datata 1952: « Gli storici il giorno del giudizio Universale ». Forse Canetti ha voluto dire che gli storici, nel senso convenzionale del termine, capiranno la storia soltanto quando si sarà fermata ed essi la contempleranno per intero, sottratti finalmente al flusso che li frastorna, finalmente immobili, come il loro oggetto, nella valle di Giosafat.
Non c'è dubbio che questa concezione, latente ma palpabile in tutta l'opera di Canetti, è da porre innanzitutto in rapporto con il suo spontaneo radicamento nella saggezza ebraica, del resto continuamente confrontata con quella cinese, sia confuciana che taoista. Ma a tutto ciò non è estraneo neppure l'aver vissuto l'età delle esperienze cultu[...]

[...]torna, finalmente immobili, come il loro oggetto, nella valle di Giosafat.
Non c'è dubbio che questa concezione, latente ma palpabile in tutta l'opera di Canetti, è da porre innanzitutto in rapporto con il suo spontaneo radicamento nella saggezza ebraica, del resto continuamente confrontata con quella cinese, sia confuciana che taoista. Ma a tutto ciò non è estraneo neppure l'aver vissuto l'età delle esperienze culturali decisive nella Vienna degli anni Venti e Trenta.
Nessun posto del mondo era piú adatto per guardare al passato come da una valle di Giosafat, ricapitolando i secoli. Per nessun altro paese la conclusione della Grande Guerra era stata tanto simile alla fine del mondo. Da 11, ora che tutto era accaduto, si poteva guardare con equanime saggezza a chi, dalla guerra, era uscito vittorioso ed accresciuto come a chi ne era uscito vinto e punito, considerare con pari distacco il trionfalismo dei vincitori, ignaro della sua precarietà, e il risentimento e l'agitazione di chi già era smanioso di rimonta. Dalla pace di Versailles[...]

[...] Ciò che era caduto proiettava la sua maestà sulle cause della caduta, che non potevano essere banali e contingenti, e tanto meno revocabili. La storia non aveva voltato pagina, curiosa di vedere il seguito; aveva solennemente chiuso il libro.
E cosí i Musil, i Roth, i Broch si disponevano davanti a questo grande paesaggio non piú in fuga, per ritrarlo bloccato nel suo crepuscolo con tutta la calma che richiede la grande epica. Del resto, in quegli anni, Jenseits (`al di là')
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diventava una parola chiave anche nell'opera di Freud. Al di là degli istinti vitali su cui le prime ricerche avevano gettato una viva luce, montava la zona d'ombra dell'istinto di morte, dell'immobilità che si manifesta come ripetizione.
Ad una produttiva consapevolezza di questo stato Canetti arriva per contrasto. Nel 1928 e '29 egli compie due lunghi soggiorni a Berlino, chiamatovi da un giovane editore di sinistra destinato a diventare famoso: Wieland Herzfelde. Per suo tramite Canetti entra nel vortice della ribollente vita culturale berlinese, frequentando George Grosz, Isaak Babel e Bertolt Brecht, il quale lo dileggia per il suo `alto sentire'. Tutto questo per Canetti è piú che interessante, è sconvolgente; ed è il contrario di Vienna: qui, nelle vocianti conventicole, nei caffé, nei teatri, si affrontano animosamente i problemi del giorno e si specula sul futuro, l'interesse politico non è retrospettivo; e anche l[...]

[...]gia per il suo `alto sentire'. Tutto questo per Canetti è piú che interessante, è sconvolgente; ed è il contrario di Vienna: qui, nelle vocianti conventicole, nei caffé, nei teatri, si affrontano animosamente i problemi del giorno e si specula sul futuro, l'interesse politico non è retrospettivo; e anche la nuova morale viene, non analizzata, ma quotidianamente messa in pratica, con grande scandalo del giovane puritano Canetti. « Qui — scriverà egli piú tardi — tutto era possibile, tutto accadeva; la Vienna di Freud, dove di tante cose ci si limitava a parlare, appariva in confronto verbosa ed innocua ».
Attratto ma anche atterrito, Canetti alla fine opta per la stasi meditativa della Vienna postasburgica, ritorna alla sua tranquilla camera ammobiliata, un po' fuori città, di fronte al colle su cui si distende lo sterminato manicomio di Steinhof. Ma il trauma berlinese, e la scelta che esso provoca, mette in moto e indirizza una vocazione prima incerta. « Un giorno mi venne l'idea che non si poteva piú rappresentare il mondo come in rom[...]

[...]ma incerta. « Un giorno mi venne l'idea che non si poteva piú rappresentare il mondo come in romanzi precedenti, per cosi dire dal punto di vista di un solo scrittore; il mondo era disgregato ed era possibile darne una rappresentazione adeguata solo se si aveva il coraggio di mostrarlo nella sua disgregazione. »
Assunta nel pensiero di Canetti come un dato permanente, questa disgregazione consente in ultima analisi due soli prodotti: da un lato gli individui alienati nel loro isolamento, dall'altro la massa, cioè un conglomerato formantesi per spinte irrazionali il cui segreto è posseduto soltanto dai depositari del potere. Individuo, massa e potere: sono questi i poli entro cui si giocano le allegorie narrative e le speculazioni intellettuali che Canetti verrà sviluppando nei decenni successivi; e precisamente nel senso che l'individuo offre piuttosto degli spunti per la prosa d'invenzione (ed avremo allora il vasto romanzo Auto da fé, su cui si fonda buona parte della fama di Canetti), mentre massa e potere, nei loro infiniti possibili condizionamenti, costituiscono il tema dominante di una prosa saggistica tendenzialmente disorganica, ma che Canetti ha voluto con grande sforzo coagulare nei due volumi che recano appunto il titolo di Masse und Macht, disponibili per il lettore italiano, anche questi, nella traduzione di Furio Jesi pubblicata da Rizzoli nel 1972.
Un giudizio di sintesi su questa vasta opera è alquanto rischioso. Forse Canetti —[...]

[...]i Masse und Macht, disponibili per il lettore italiano, anche questi, nella traduzione di Furio Jesi pubblicata da Rizzoli nel 1972.
Un giudizio di sintesi su questa vasta opera è alquanto rischioso. Forse Canetti — come prima di lui Hermann Broch — con questa narrativa che è troppo saggistica e questa saggistica che è troppo narrativa ha impostato una scommessa che solo per il genio di Musil poteva concludersi del tutto felicemente.
Non meraviglia perciò se il risultato di Canetti forse piú duraturo appare quel breve, meraviglioso libro, scritto en passant, che è Der andere Prozess
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(`L'altro processo'), una ricostruzione del fallito fidanzamento di Franz Kafka con Felice Bauer. Qui il tema dell'individuo alienato, impossibilitato a costituire anche la piú immediata forma di associazione, ossia la famiglia, non è piú esemplificato su un personaggio stravagante e per certi aspetti scurrile ed improbabile come è il Dr. Kien di Auto da f é. Nell'Altro processo è la vita stessa, fissata in un epistolario pieno di grida e sospiri, a esemplificare quel tema tanto bruciante. E. sulla stessa linea andrebbe posta l'appassionata ricostruzione, che Canetti ci ha dato, di un altro rapporto personale complicato come l'epoca e l'ambiente che rispecchia: quello di Karl Kraus e Sidonie Nádhermy von Borutin.
Farsi poetico cronista degli amori segreti di Kafka e Kraus; scrutare nei piú complicati ghirigori int[...]

[...]tti scurrile ed improbabile come è il Dr. Kien di Auto da f é. Nell'Altro processo è la vita stessa, fissata in un epistolario pieno di grida e sospiri, a esemplificare quel tema tanto bruciante. E. sulla stessa linea andrebbe posta l'appassionata ricostruzione, che Canetti ci ha dato, di un altro rapporto personale complicato come l'epoca e l'ambiente che rispecchia: quello di Karl Kraus e Sidonie Nádhermy von Borutin.
Farsi poetico cronista degli amori segreti di Kafka e Kraus; scrutare nei piú complicati ghirigori interiori il segno che svela autenticamente un'epoca, è questa forse la passione piú azzardata e fruttuosa di Elias Canetti.
La provincia dell'uomo dà un'idea di quanto lo scrittore stesso sia consapevole del difficile equilibrio in cui ambisce tenere il proprio lavoro, sempre in bilico tra evocazione e giudizio. Il libro è infatti composto da spunti di pensiero appena abbozzati, da tesi esposte per il solo fatto che si sono presentate alla mente, da verità contraddittorie lasciate liberamente cozzare tra loro; e tutto ciò[...]

[...]'uomo dà un'idea di quanto lo scrittore stesso sia consapevole del difficile equilibrio in cui ambisce tenere il proprio lavoro, sempre in bilico tra evocazione e giudizio. Il libro è infatti composto da spunti di pensiero appena abbozzati, da tesi esposte per il solo fatto che si sono presentate alla mente, da verità contraddittorie lasciate liberamente cozzare tra loro; e tutto ciò inframmezzato da amari smascheramenti alla Rochefoucault, da taglienti battute alla Kraus, il grande modello dei primi anni viennesi. Spigoliamo alcuni esempi: « Non fidarsi del dolore: si tratta sempre di un dolore proprio ». « Ognuno dovrebbe vedersi mentre mangia ». O anche: « Voglio morire — ella disse — e inghiotti dieci uomini ». « Porse l'altra guancia finché non vi depositarono sopra una decorazione ». Non mancano neppure opposizioni fulminanti alla Brecht; eccone una che ricorda l'Abbecedario di guerra: « Una schiera di donne incinte; dalla parte opposta vengono avanti camion, carri armati, pieni di soldati opportunamente equipaggiati. I carri sono passati; le donne, in mezzo alla strada, si mettono a cantare ».
Del carattere composito e si vorrebbe dire revulsivo del libro Canetti non fa mistero né apologia, lo fa sussistere per quello che è, al massimo si giusti[...]

[...] commentando cosi i dialoghi di Confucio: « È sorprendente quanto si possa dare in 500 annotazioni: e come uno appaia in tal modo intero, rotondo, afferrabile. Ma anche assolutamente inafferrabile ».
GIUSEPPE BEVILACQUA
UMBERTO CALOSSO E PIERO GOBETTI
La prima raccolta di scritti gobettiani dopo la liberazione, e dopo un ostracismo durato circa vent'anni, apparve, col titolo Scritti attuali, presso l'editore Capriotti di Roma con la data 30 luglio 1945. Ne era curatore Umberto Calosso che vi premise una prefazione, importante per piú motivi. Anzitutto per
* Testo riveduto e annotato di una comunicazione presentata al Convegno dedicato a Umberto Calosso, svoltosi ad Asti il 1314 ottobre 1979.



da Norberto Bobbio, Umberto Calosso e Piero Gobetti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: VARIETÀ E DOCUMENTI 329
(`L'altro processo'), una ricostruzione del fallito fidanzamento di Franz Kafka con Felice Bauer. Qui il tema dell'individuo alienato, impossibilitato a costituire anche la piú immediata forma di associazione, ossia la famiglia, non è piú esemplificato su un personaggio stravagante e per certi aspetti scurrile ed improbabile come è il Dr. Kien di Auto da f é. Nell'Altro processo è la vita stessa, fissata in un epistolario pieno di grida e sospiri, a esemplificare quel tema tanto bruciante. E. sulla stessa linea andrebbe posta l'appassionata ricostruzione, che Canetti ci ha dato, di un altro rapporto personale complicato come l'epoca e l'ambiente che rispecchia: quello di Karl Kraus e Sidonie Nádhermy von Borutin.
Farsi poetico cronista degli amori segreti di Kafka e Kraus; scrutare nei piú complicati ghirigori int[...]

[...]tti scurrile ed improbabile come è il Dr. Kien di Auto da f é. Nell'Altro processo è la vita stessa, fissata in un epistolario pieno di grida e sospiri, a esemplificare quel tema tanto bruciante. E. sulla stessa linea andrebbe posta l'appassionata ricostruzione, che Canetti ci ha dato, di un altro rapporto personale complicato come l'epoca e l'ambiente che rispecchia: quello di Karl Kraus e Sidonie Nádhermy von Borutin.
Farsi poetico cronista degli amori segreti di Kafka e Kraus; scrutare nei piú complicati ghirigori interiori il segno che svela autenticamente un'epoca, è questa forse la passione piú azzardata e fruttuosa di Elias Canetti.
La provincia dell'uomo dà un'idea di quanto lo scrittore stesso sia consapevole del difficile equilibrio in cui ambisce tenere il proprio lavoro, sempre in bilico tra evocazione e giudizio. Il libro è infatti composto da spunti di pensiero appena abbozzati, da tesi esposte per il solo fatto che si sono presentate alla mente, da verità contraddittorie lasciate liberamente cozzare tra loro; e tutto ciò[...]

[...]'uomo dà un'idea di quanto lo scrittore stesso sia consapevole del difficile equilibrio in cui ambisce tenere il proprio lavoro, sempre in bilico tra evocazione e giudizio. Il libro è infatti composto da spunti di pensiero appena abbozzati, da tesi esposte per il solo fatto che si sono presentate alla mente, da verità contraddittorie lasciate liberamente cozzare tra loro; e tutto ciò inframmezzato da amari smascheramenti alla Rochefoucault, da taglienti battute alla Kraus, il grande modello dei primi anni viennesi. Spigoliamo alcuni esempi: « Non fidarsi del dolore: si tratta sempre di un dolore proprio ». « Ognuno dovrebbe vedersi mentre mangia ». O anche: « Voglio morire — ella disse — e inghiotti dieci uomini ». « Porse l'altra guancia finché non vi depositarono sopra una decorazione ». Non mancano neppure opposizioni fulminanti alla Brecht; eccone una che ricorda l'Abbecedario di guerra: « Una schiera di donne incinte; dalla parte opposta vengono avanti camion, carri armati, pieni di soldati opportunamente equipaggiati. I carri sono passati; le donne, in mezzo alla strada, si mettono a cantare ».
Del carattere composito e si vorrebbe dire revulsivo del libro Canetti non fa mistero né apologia, lo fa sussistere per quello che è, al massimo si giusti[...]

[...] commentando cosi i dialoghi di Confucio: « È sorprendente quanto si possa dare in 500 annotazioni: e come uno appaia in tal modo intero, rotondo, afferrabile. Ma anche assolutamente inafferrabile ».
GIUSEPPE BEVILACQUA
UMBERTO CALOSSO E PIERO GOBETTI
La prima raccolta di scritti gobettiani dopo la liberazione, e dopo un ostracismo durato circa vent'anni, apparve, col titolo Scritti attuali, presso l'editore Capriotti di Roma con la data 30 luglio 1945. Ne era curatore Umberto Calosso che vi premise una prefazione, importante per piú motivi. Anzitutto per
* Testo riveduto e annotato di una comunicazione presentata al Convegno dedicato a Umberto Calosso, svoltosi ad Asti il 1314 ottobre 1979.
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alcuni cenni autobiografici. Dopo essersi professato « amico di questo giovane fin da quando era ancor ragazzo », precisa: « Conobbi Gobetti subito dopo l'altra guerra, quando cercava collaboratori per una rivistina quasi infantile di cui non aveva ancor trovato il nome, e che si chiamò poi `Energie nove' ». Questo ricor[...]

[...]suo pugno, di qualche anno piú tardi, che comincia cosí: « Saggio di una matricola che aveva per professore il balilla Cian; ma dentro c'è forse un'idea nuova, nata da discussioni col compagno di scuola Gramsci, e di cui sto facendo un libro dal titolo: Il dramma dell'amicizia in Inferno, che dedicherò a Gramsci »'.
Il ricordo continua con questo vivace ritratto fisico: « Con quella sua figura magra e sottile, quel ciuffo di capelli biondicci e gli occhi chiari, mobili e quieti, egli si presentava come un tipo curioso, difficile da definire ». Passando al ritratto intellettuale e morale, gli attribuisce « idee confuse e contraddittorie »; e « un'indigestione di letture tutte all'ultima ora ». Quindi lo paragona, per « l'accento pratico », a Prezzolini (paragone che allora non gli sarebbe dispiaciuto), per la capacità di raccogliere attorno a sé piccoli gruppi di giovani appassionati e dediti alla causa, a Mazzini. Ricorda infine che uscendo da quell'incontro, « in via Venti Settembre », qualcuno commentò: « È un editore quacchero ». Non saprei dire se per questa impressione o per altri motivi, certo è che Calosso non collaborò a « Energie nove », come del resto neppure alla seconda rivista gobettiana « La rivoluzione liberale », e si avvicinò sin dai primi mesi della fondazione a « l'Ordine Nuovo » con una lettera aperta al giornale pubblicata il 9 agosto 1919, e ne diventerà assiduo collaboratore quando il settimana[...]

[...]e, Torino, Einaudi, 1975, pp. 522526. La nota manoscritta di Calosso continua cosí: « È il canto dell'"amicizia stellare" dt cui parla Nietzsche a proposito della sua rottura con l'amico Wagner. È il canto di una lontananza da un caro amico da cui la sorte ci ha fatto divergere irrimediabilmente. Dante, che aveva disponibile un altro mondo, ha detto questo in un modo incomparabile. Io devo spiegar tutto questo attraverso la mia esperienza, senza gli svolazzi letterari infantili e cianurici e senza le note "erudite" del mio saggio infantile ». Inutile precisare che l'aggettivo « cianurici » è una scherzosa allusione a Vittorio Cian, allora professore di letteratura italiana all'università di Torino.
2 Per queste ed altre informazioni M. GRANDINETTI, Umberto Calosso: giornalista nell'Ordine Nuovo, relazione al Convegno sulla figura e l'opera di Calosso, svoltosi ad Asti il 13 e 14 ottobre.
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manzoniano, apparso su « Il Baretti » nell'aprile 1927, quando Gobetti era già morto 3.
Il secondo cenno autobiografico dell[...]

[...]ondo cenno autobiografico della prefazione su ricordata riguarda l'episodio ben più noto della sua successione a Gobetti come critico teatrale di « l'Ordine Nuovo ». Sospesa improvvisamente la pubblicazione di « Energie nove » nel febbraio 1920, Gobetti aveva iniziato a collaborare a « l'Ordine Nuovo » come critico teatrale nel gennaio 1920. Avendo dovuto rallentare la propria collaborazione dopo qualche mese, in parte perché sotto le armi dal luglio 1921, in parte perché all'inizio del 1922 era tutto preso ormai dal progetto della nuova rivista, Calosso fu chiamato spesso a sostituirlo. La prima nota teatrale attribuita a Calosso appare nel numero del 5 gennaio 1922, ed è dedicata alla rappresentazione di una commedia di Niccodemi, L'alba, il giorno e la notte. Da allora le note di Calosso siglate « m.s. », oppure firmate con lo pseudonimo « Mario Sarmati »4, si alterneranno a quelle di Gobetti, di cui l'ultima appare in uno degli ultimi numeri del giornale nel fatidico 28 ottobre 1922.
Nel ricordare l'episodio Calosso con quel tono am[...]

[...]1922 era tutto preso ormai dal progetto della nuova rivista, Calosso fu chiamato spesso a sostituirlo. La prima nota teatrale attribuita a Calosso appare nel numero del 5 gennaio 1922, ed è dedicata alla rappresentazione di una commedia di Niccodemi, L'alba, il giorno e la notte. Da allora le note di Calosso siglate « m.s. », oppure firmate con lo pseudonimo « Mario Sarmati »4, si alterneranno a quelle di Gobetti, di cui l'ultima appare in uno degli ultimi numeri del giornale nel fatidico 28 ottobre 1922.
Nel ricordare l'episodio Calosso con quel tono amichevolmente canzonatorio che gli era abituale delinea e contrappone due modi di concepire la critica teatrale. Gobetti prende il proprio compito troppo sul serio, giudica la commediola del giorno con gli stessi canoni estetici con cui si commenta la Divina Commedia tanto da essersi richiamato alla barettiana frusta (come critico teatrale Gobetti si firmava Baretti Giuseppe), e vi sfoga « feroce serietà stroncatoria » che gli fa venire in mente Papini. Lui, Calosso, invece, considerando il teatro, beninteso il teatro di normale repertorio, fatto di commedie la cui vita dura lo spazio di un mattino (è l'impressione del resto che ognuno prova leggendo i titoli di quelle cronache), come un divertimento e uno spettacolo, si era messo a fare il contrario di quello che aveva fatto l'amico, « lodando sempre tutto e nascondendo le critiche fra le righe ». Il ricordo è esatto. Basta confrontare la nota di Calosso alla commedia di Niccodemi, dianzi menzionata, e la nota che Gobetti aveva preparata per la stessa commedia e n[...]

[...]5. Calosso si limita a descrivere vivacemente la serata, contrastata da fischi e salvata dall'abile intervento pacificatore di Niccodemi (che era oltre che l'autore il direttore della compagnia). Gobetti, cui la leggerezza, la vacuità, l'abilità puramente scenica di Niccodemi avevano sempre dato terribilmente fastidio, prende di petto lo spettacolo, e condanna la commedia come « irrimediabilmente falsa », definendola con quei tratti incisivi che gli sono abituali « una storia d'amore » che « trattata a mo' di idillio diventa goffo come un'Arcadia plebea »6.
A chi sfogli l'annata del giornale il contrasto fra l'ilare e scanzonato Calosso
3 Nel centenario dei Promessi Sposi, in « Il Baretti », iv, 1927, n. 4, p. 19.
4 Sarmati era il nome di famiglia della madre. Sapegno ricorda che Calosso lo aveva adottato anche perché la Sarmazia richiamava la Russia patria della rivoluzione.
5 Ed ora si può leggere nel volume gobettiano degli Scritti di critica teatrale, curato da G. Guazzotti, Torino, Einaudi, 1974, pp. 429430.
6 Scritti di critica teatrale, cit., pp. 428430. Sul teatro di Niccodemi Gobetti tornò altre volte e ne trasse un saggio che comparve nell'Opera critica, Torino, edizioni del Baretti, 1927, parte II, pp. 92105, ora anche in Scritti di critica teatrale, cit., pp. 601605.
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e il serioso Gobetti che si alternano nelle cronache teatrali appare evidentissimo. I giudizi di Calosso sono generalmente benevoli anche per le commedie che si capisce benissimo egli considera delle sciocchezze. [...]

[...]le, cit., pp. 428430. Sul teatro di Niccodemi Gobetti tornò altre volte e ne trasse un saggio che comparve nell'Opera critica, Torino, edizioni del Baretti, 1927, parte II, pp. 92105, ora anche in Scritti di critica teatrale, cit., pp. 601605.
332 VARIETÀ E DOCUMENTI
e il serioso Gobetti che si alternano nelle cronache teatrali appare evidentissimo. I giudizi di Calosso sono generalmente benevoli anche per le commedie che si capisce benissimo egli considera delle sciocchezze. Se s'impunta lo fa quando gli pare ne valga la pena. Si leggano le colonne dedicate alla Parisina di D'Annunzio: « Poesia? No, melodramma, un pessimo libretto per musica » (« l'Ordine Nuovo », 4.4.1922, p. 4, firmato « m.s. »). Del resto, quando gliene viene l'occasione non esita a esprimere senza tanti complimenti ciò che lo divide dall'amico armato di frusta. Per fare un esempio: Gobetti non amava Goldoni 7, ed ecco che Calosso nella cronaca della rappresentazione de Il ventaglio, sbotta: « Chi osa alzare la frusta sul grande Goldoni? » (« l'Ordine Nuovo », 7.2.1922, p. 3, firmato « m.s. »). L'allusione è evidente. In un articolo Il loggione settimanale, rispondendo ad alcuni lettori che gli avevano rimproverato di essere abitualmente troppo indulgente, espone il suo concetto del teatro come divertimento e, lamentando che Goldoni sia caduto in disgrazia, continua: « ... e piú d'un Baretti rinnovellato alza la frusta su un certo (cosi dicono) Goldoni stroncandolo in tutte le sue 200 commedie senza distinzione, e ben inteso, senza prima aver avuto la finezza di leggerle » (« l'Ordine Nuovo », 21.2.1922, p. 3, firmato « m.s. »). In altra occasione, a proposito dell'Enrico IV di Pirandello, enuncia la sua interpretazione del teatro pirandelliano e poi commenta: « Tanto meno è il poet[...]

[...].s. »). In altra occasione, a proposito dell'Enrico IV di Pirandello, enuncia la sua interpretazione del teatro pirandelliano e poi commenta: « Tanto meno è il poeta della dialettica, come vuole il mio carissimo amico Baretti Giuseppe. Lo sdoppiamento non è movimento dialettico, ma incertezza e stasi sentimentale » (« l'Ordine Nuovo », 8.3.1923, p. 3, firmato « Mario Sarmati »).
Il dissenso col « carissimo amico » non era soltanto letterario. Negli stessi mesi (le cronache che ho citate stanno tra il gennaio e il marzo 1922) era apparsa la nuova rivista gobettiana, « La rivoluzione liberale » (il cui primo numero è del 12 febbraio). Nel n. del 12 gennaio di « l'Ordine Nuovo » apparve sotto il titolo Alla società di cultura l'annunzio che il 15 del mese Gobetti avrebbe tenuto una conferenza sulla « Rivoluzione liberale », « concetto e parola che è l'impresa di un settimanale politico che uscirà tra poco, diretto dallo stesso Gobetti ». Nel numero del 16 appare sotto il titolo La rivoluzione liberale un ampio commento alla conferenza. L'a[...]

[...]enziere avesse cercato di rivelare il « mistero » delle due parole che formano il titolo della imminente rivista. Dal chiaro ed esauriente riassunto della conferenza risulta che Gobetti vi aveva illustrato le idee che costituiscono il famoso Manifesto di « La rivoluzione liberale » e che l'inviato de « l'Ordine Nuovo » era stato un ascoltatore intelligente e attento. Dopo il riassunto, la critica; una critica piutto
7 Si veda la recensione di « Gli innamorati » di Goldoni su « l'Ordine Nuovo » del 6.7.1921: « Non crediamo che Carlo Goldoni possa oggi avere un significato nella nostra cultura e nell'espressione della nostra sensibilità » (Scritti di critica teatrale, cit., p. 317).
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sto dura. Gobetti aveva esposto le sue idee sulla storia del Risorgimento, che passa attraverso il compromesso cavouriano per sfociare nel compromesso riformistico di Giolitti. In poche battute Calosso rifà a suo modo tutta la stessa storia. L'idea liberale che è apparsa tanto importante al Gobetti ha un valore secondario. I moti del [...]

[...]ana (d'origine salveminiana) dell'alleanza fra il partito operaio e il partito dei contadini, che diventa concretamente e curiosamente l'alleanza fra il partito comunista e il partito sardo d'azione. Dico anche « curiosamente », perché quando Gobetti ristamperà il Manifesto nella parte prima di La rivoluzione liberale il progetto del connubio fra partito comunista e partito d'azione scomparirà. Sta fra la punta polemica: « Rimane da vedere come egli ha tolto il diritto di coronarsi arbitro in mezzo a loro [cioè in mezzo ai due partiti], senza essere mai sceso nelle loro file »; e la critica politica: non si riesce a capire come possano andare a braccetto un movimento internazionale unitario come il partito comunista e « un partito borghese, grettamente regionalista, come il partito d'azione », di cui l'incauto proponente non sospetta nemmeno il contenuto conservatore. Nel complesso però piú che una sferzata, com'era stata quella di Togliatti, rievocata dallo stesso Calosso 8, una ramanzina che finisce con una specie di buffetto al discol[...]

[...]mezzo a loro [cioè in mezzo ai due partiti], senza essere mai sceso nelle loro file »; e la critica politica: non si riesce a capire come possano andare a braccetto un movimento internazionale unitario come il partito comunista e « un partito borghese, grettamente regionalista, come il partito d'azione », di cui l'incauto proponente non sospetta nemmeno il contenuto conservatore. Nel complesso però piú che una sferzata, com'era stata quella di Togliatti, rievocata dallo stesso Calosso 8, una ramanzina che finisce con una specie di buffetto al discolo come invito al ravvedimento: « L'esperienza stessa — questa è la conclusione — potrà indicare la via di Damasco ad un ragazzo di cuore e di grande ingegno com'è Piero Gobetti ».
Non so se si possa addurre questa critica anticipata della rivista che sta per uscire come argomento per spiegare il fatto che Calosso non vi abbia mai collaborato. L'argomento principale peraltro è che « La rivoluzione liberale » nasceva non solo in concorrenza ma in contrasto con « l'Ordine Nuovo », e soprattutto [...]

[...]a un gruppo di potenziali collaboratori radicalmente diverso, e anzi polemicamente orientato contro i comunisti torinesi. A ogni modo quella critica non guastò i rapporti personali fra il criticante e il criticato, come prova fra l'altro un raro documento della cui conoscenza sono debitore ancora una volta a Bergami. Con la data del 23 gennaio 1922, di pochi giorni posteriore all'articolo su « l'Ordine Nuovo », Gobetti stampa e distribuisce un foglietto pubblicitario intestato alla rivista in cui annuncia una serie di conferenze, anzi di
8 Mi riferisco alla nota di Togliatti, I parassiti della cultura, in « l'Ordine Nuovo » del 15.5.1919, in cui Gobetti era accusato di essere gentiliano, che è accusa che ritorna anche negli scritti di Calosso. Alla nota di Togliatti Gobetti rispose con una nota, Polemica con l'Ordine nuovo, in « Energie nove », 20.5.1919 (ora in Scritti politici, Torino, Einaudi, 1960, pp. 113114).
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« letture », volte a « integrare l'opera di libera cultura promossa dalla nostra rivista La rivoluzione liberale ed effettuare il nostro proposito di severo e preciso lavoro per la formazione di una rinnovata coscienza politica ». Nel primo elenco di conferenzieri compaiono Salvemini con una conferenza sul partito popolare, Burzio su Giolitti, e Mario Sarmati, appunto Calosso, su « comunismo e intelligenza ». Da q[...]

[...]». Da quel che si può capire il tema proposto da Calosso era una risposta al tentativo gobettiano di far rivivere attraverso la nuova rivista il partito degl'intellettuali salveminiano. Ma se è pericoloso far congetture sul suo contenuto, tanto piú che la conferenza non dovette essere mai tenuta, si può dare per certo che Gobetti non solo non era stato punto dalla paternale di « l'Ordine Nuovo », ma riteneva utile, anche dopo la non benevola accoglienza del suo programma, valersi dell'appoggio che alla nuova rivista poteva venire da parte degli amici comunisti.
L'idea che solo il contatto diretto col movimento operaio avrebbe trasformato il dottrinario astratto in un combattente per la buona causa è un tema costante della polemica comunistica nei riguardi dell'attivismo ideologico gobettiano, ed è ormai diventato un luogo comune che la maturazione politica dell'adolescente fondatore di « Energie nove » sia avvenuta attraverso la collaborazione al giornale comunista. Del resto egli stesso riconobbe lealmente quanto dovesse alla sua amicizia con Gramsci e alla conoscenza diretta delle lotte operaie torinesi. A distanza di piú di vent'anni lo stesso Calosso riprende il tema nella prefazione del 1945, anzi ne fa il nucleo centrale della sua rievocazione. Prima del contatto con la classe operaia la cultura di Gobetti era prezzoliniana, gentiliana, missiroliana (« Prezzolini, Gentile, Missiroli: tre uomini senza carattere, interpretati da un giovane di carattere »). Croce venne piú tardi, ma c'erano poi anche Salvemini, Einaudi, Mosca, e i libri del giorno. Se non ci fosse s[...]

[...] Croce venne piú tardi, ma c'erano poi anche Salvemini, Einaudi, Mosca, e i libri del giorno. Se non ci fosse stato l'incontro con « l'Ordine Nuovo » e la classe operaia torinese, tutte queste influenze avrebbero potuto generare « una farandola d'idee senza un centro, una riforma e un liberalismo missiroliano capace dei piú strani funambolismi dialettici, un moralismo prezzoliniano puramente librario ». Non accettò il socialismo ma fu a fianco degli operai. Cosí riuscí a inserire le lotte del lavoro in un liberalismo « di timbro religioso », e ne fece un esempio di « quella riforma morale » che il Risorgimento aveva tentato invano. (Poco prima lo aveva definito « religioso laico » 9.)
Questo ritratto può sembrare oggi un po' di maniera dopoché sul pensiero di Gobetti e sulle sue fonti sono state scritte centinaia di pagine. Ma può sembrare di maniera proprio perché è stato ripetuto da allora infinite volte, e non si può dire che gli studi successivi l'abbiano cambiato tanto da renderlo irriconoscibile. Personalmente credo che il nucleo [...]

[...]del lavoro in un liberalismo « di timbro religioso », e ne fece un esempio di « quella riforma morale » che il Risorgimento aveva tentato invano. (Poco prima lo aveva definito « religioso laico » 9.)
Questo ritratto può sembrare oggi un po' di maniera dopoché sul pensiero di Gobetti e sulle sue fonti sono state scritte centinaia di pagine. Ma può sembrare di maniera proprio perché è stato ripetuto da allora infinite volte, e non si può dire che gli studi successivi l'abbiano cambiato tanto da renderlo irriconoscibile. Personalmente credo che il nucleo resistente del pensiero gobettiano sia salveminiano ed einaudiano, ed alla fin fine piú einaudiano che salveminiano, e alla lunga di ascendenza cattaneana con un di piú di giovanile ribollimento che gli veniva dalla consuetudine con Alfieri. Occorre dire che sui rapporti fra Gobetti e « l'Ordine Nuovo » Calosso era già intervenuto una volta e piú a lungo, prima
9 'Piú tardi lo stesso Calosso si definirà « cristiano mazziniano » (dalla relazione di Mariangiola Reineri al convegno su menzionato).
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della prefazione del 1945, in un articolo di ricordi gramsciani pubblicato sui
« Quaderni di Giustizia e Libertà » nel 1933 lo. Lontani ormai i tempi della sua collaborazione al giornale dei comunisti torinesi, giudica quella esperienza con simpatia ma anche con un certo di[...]

[...]i lo stesso Calosso si definirà « cristiano mazziniano » (dalla relazione di Mariangiola Reineri al convegno su menzionato).
VARIETÀ E DOCUMENTI 335
della prefazione del 1945, in un articolo di ricordi gramsciani pubblicato sui
« Quaderni di Giustizia e Libertà » nel 1933 lo. Lontani ormai i tempi della sua collaborazione al giornale dei comunisti torinesi, giudica quella esperienza con simpatia ma anche con un certo distacco e muove a quel foglio lo stesso rimprovero di « dottrinarismo » che da ordinovista aveva mosso a Gobetti. Giunge addirittura ad attribuire a questo dottrinarismo la scissione del 1921: « una colpa, comune a tutte le frazioni, di cui l'Ordine nuovo ha la sua parte » (ivi, p. 77). Termina con una pagina sui rapporti fra il giornale e Gobetti. Ricorda l'ostilità con cui la prima rivista gobettiana fu accolta da Togliatti. Quindi rievoca l'episodio della conferenza con la quale Gobetti aveva presentato la nuova rivista,
e aggiunge che questa volta toccò a un altro redattore (che, come si è visto, era lui stesso) a fare alcune riserve amichevoli ma fondamentali. L'aver capito che
« in quel ragazzo sorridente c'era un attivismo ascetico e un puritanismo pratico che portava un accento originale » fu merito di Gramsci.
A questo punto Calosso introduce nel quadro di maniera un tratto nuovo. Osserva che, se è vero che Gobetti accettò il nocciolo del programma di Gramsci, è altrettanto vero che Gramsci trovò n[...]

[...]mune matrice gentiliana. « Il liberalismo di Gobetti partiva da premesse filosofiche analoghe a quelle di Gramsci: l'hegelismo di Gentile; e queste premesse essendo in entrambi di terza mano permettevano tanto piú comodamente al loro pensiero di giungere a risultati politici originali, che s'incontravano nell'esigenza dell'autonomia » (ivi, p. 78). Il problema dell'egemonia gentiliana non è un problema che si possa sbrigare in due battute. In quegli anni quasi tutti i giovani pensanti e militanti (non importa se a destra o a sinistra) ne furono segnati. Ma per molti si trattò di una infatuazione giovanile che non lasciò tracce durature negli anni della raggiunta maturità. Il che avvenne certamente nel caso di Gramsci e di Gobetti. A ogni modo questo avvicinamento tra Gobetti e Gramsci induce Calosso a una conclusione inedita,
e cioè che « in un certo senso, "Rivoluzione liberale" fu l'erede de "l'Ordine Nuovo" » (ibidem). Inedita e isolata. Lo stesso Calosso non la riprese nella prefazione del 1945, dove si limitò a dire che « Rivoluzione liberale » fu « il foglio
lo Gramsci e l'« Ordine Nuovo » in « Quaderni di Giustizia e Libertà », n. 8, agosto 1933, pp. 7079, firmato « Fabrizio ». Nel numero successivo Calosso protesterà col proto che gli ha mutato lo pseudonimo « Fabrizi » in « Fabrizio ». Mentre Fabrizio è un nome romano che ricorda l'onomastica fascista, Fabrizi rievoca il personaggio mazziniano Nicola Fabrizi « vissuto a lungo in quest'angolo perduto [Malta] dove l'esilio mi ha proiettato » (Rettifica, in « Quaderni di Giustizia e Libertà », n. 9, novembre 1933, pp. 9495, firmato « ExFabrizi »).
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piú vivo d'Italia ». (Nell'articolo del 1933 aveva detto de « l'Ordine Nuovo » che era stato « uno dei fogli piú originali che l'Italia abbia avuto », ibidem.)
Tralascio riferimenti minori 11. L'ultimo ar[...]

[...] ». Mentre Fabrizio è un nome romano che ricorda l'onomastica fascista, Fabrizi rievoca il personaggio mazziniano Nicola Fabrizi « vissuto a lungo in quest'angolo perduto [Malta] dove l'esilio mi ha proiettato » (Rettifica, in « Quaderni di Giustizia e Libertà », n. 9, novembre 1933, pp. 9495, firmato « ExFabrizi »).
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piú vivo d'Italia ». (Nell'articolo del 1933 aveva detto de « l'Ordine Nuovo » che era stato « uno dei fogli piú originali che l'Italia abbia avuto », ibidem.)
Tralascio riferimenti minori 11. L'ultimo articolo di Calosso dedicato a Gobetti apparve su « Il Mondo » nel n. del 14 maggio 1949, intitolato Gobetti tra Gramsci e Einaudi. Non sarebbe da ricordare perché in gran parte ripete cose dette nella prefazione del 1945, se non fosse per il riconoscimento dell'importanza che ebbe Einaudi nella formazione del giovane idealista, ideatore di una rivoluzione liberale in un'età in cui era avvenuta la prima rivoluzione socialista della storia. Un riconoscimento tardivo? A dire il vero, Calosso aveva pubb[...]

[...]ntitolato Gobetti tra Gramsci e Einaudi. Non sarebbe da ricordare perché in gran parte ripete cose dette nella prefazione del 1945, se non fosse per il riconoscimento dell'importanza che ebbe Einaudi nella formazione del giovane idealista, ideatore di una rivoluzione liberale in un'età in cui era avvenuta la prima rivoluzione socialista della storia. Un riconoscimento tardivo? A dire il vero, Calosso aveva pubblicato in appendice alla raccolta degli scritti gobettiani del 1945 le pagine che Einaudi aveva scritte in memoria di Piero, pubblicate su « Il Baretti » un mese dopo la morte (nel n. del 16 marzo 1926), segno che l'incontro fra maestro e discepolo che Einaudi rappresenta mirabilmente in quelle pagine lo aveva colpito. Giacomo Noventa, gobettiano a suo modo, recensendo gli Scritti attuali in quel giornale personale che era la « Gazzetta del nord », disse che la raccolta, preceduta da « un discorso molto superficiale » di Calosso, era riscattata dalla pubblicazione dei ricordi einaudiani « in tutto degni del geniale economista che tutti conoscono; e del moralista e del filosofo, che troppo pochi hanno saputo finora riconoscere nell'economista piemontese » 12. Un rimprovero che non si può estendere a Calosso, di Einaudi grande ammiratore, come dimostra l'episodio della lettera che egli scrisse al « Corriere della sera » del 13 aprile 1948 per lamentare che, elett[...]

[...]l nord », disse che la raccolta, preceduta da « un discorso molto superficiale » di Calosso, era riscattata dalla pubblicazione dei ricordi einaudiani « in tutto degni del geniale economista che tutti conoscono; e del moralista e del filosofo, che troppo pochi hanno saputo finora riconoscere nell'economista piemontese » 12. Un rimprovero che non si può estendere a Calosso, di Einaudi grande ammiratore, come dimostra l'episodio della lettera che egli scrisse al « Corriere della sera » del 13 aprile 1948 per lamentare che, eletto presidente, Einaudi non scrivesse piú su quel giornale gli articoli di cui era sempre stato un « assiduo lettore ». A questa lettera il neopresidente rispose sullo stesso giornale del 22 agosto con l'articolo Il fantoccio liberistico, pubblicato insieme con la lettera che l'aveva provocata in Lo scrittoio del presidente col malizioso titolo Sullo scrivere per il pubblico del presidente della Repubblica (Torino, Einaudi, 1956, pp. 511). Nella lettera Calosso ricorda di essere stato allievo di Einaudi insieme con Gobetti « mio condiscepolo » (ivi, p. 6), dove « condiscepolo » deve essere inteso in senso molto generale perché l'uno era studente di lette[...]

[...] insieme con Gobetti « mio condiscepolo » (ivi, p. 6), dove « condiscepolo » deve essere inteso in senso molto generale perché l'uno era studente di lettere, l'altro di giurisprudenza. Il significato dell'articolo del « Mondo » è già nel titolo: Gobetti fra Gramsci ed Einaudi, ed è reso esplicito nella frase seguente: « Se Gramsci e la classe operaia torinese rappresentano il punto duro di Gobetti, Einaudi ne rappresenta il punto chiaro, di cui egli aveva bisogno ». Il punto duro e il punto chiaro, il pensiero rivoluzionario e il pensiero liberale, la cui sintesi sarebbe stata la rivoluzione liberale. Ma Calosso non trae una conclusione. Dopo aver detto che la discussione tra Einaudi e Gobetti « ci lascia tutti pensosi » conclude non con una risposta ma con una domanda. Chi dei due avrà ragione?
11 Dei quali ho avuto notizia attraverso le schede della bibliografia gobettiana, apprestata con grande diligenza da Bergami, di prossima pubblicazione come quarto volume delle Opere complete di Piero Gobetti presso l'editore Einaudi. Si tratta [...]

[...]restata con grande diligenza da Bergami, di prossima pubblicazione come quarto volume delle Opere complete di Piero Gobetti presso l'editore Einaudi. Si tratta di riferimenti o allusioni alla personalità e all'opera di Gobetti nei numerosi articoli che Calosso venne scrivendo prima in esilio e poi dopo la liberazione, nonché di recensioni alla raccolta Scritti attuali, da cui questa mia comunicazione ha preso le mosse.
12 Segnalazione anonima degli Scritti attuali, in « Gazzetta del Nord », I, n. 6, 24 giugno 1946, p. 1.
VARIETÀ E DOCUMENTI 337
Ho toccato aspetti meno noti dei rapporti fra Gobetti e Calosso. Non ho trattato di proposito il tema alfieriano. Entrambi si erano laureati con una tesi sull'Alfieri, il primo nel 1920, il secondo nel 1922, e ne trassero due libri, L'anarchia di Vittorio Alfieri e La filosofia politica di Vittorio Alfieri, dei quali il secondo fu pubblicato (1923) prima del primo (1924). Il tema alfieriano richiederebbe un ampio discorso sulla fortuna di Alfieri nella tradizione letteraria piemontese che è fuo[...]

[...]stato tradito dal gusto della boutade. Tanto piú ingiusto in quanto l'Alfieri di Gobetti non è un liberale ma un libertario, molto piú vicino all'anarchico che lui stesso, Calosso, ha tratteggiato che non al liberale classico come Locke o Constant. Basti questa frase: « L'Alfieri nega la tirannide perché piú forte dell'esigenza sociale freme in lui il represso ardore di una attività individuale, piú forti di tutti i motivi democratici lo animano gli impulsi anarchici e aristocratici della sua esuberanza
e della sua concreta coscienza creativa. La sua critica è superiore all'enciclopedismo e al liberalismo sensistico »14. Si capisce, c'è modo e modo d'intendere l'anarchia, o il libertarismo. C'è una concezione etica e una concezione che si potrebbe dire edonistica o utilitaristica o meramente estetica dell'anarchismo. Quella di Gobetti è risolutamente la prima. Si rilegga una delle pagine piú belle
e piú gobettiane del libro: « La religiosità alfieriana è il trionfo dei valori interiori. Le religioni costituite e dogmatiche separano tra[...]

[...] La religiosità alfieriana è il trionfo dei valori interiori. Le religioni costituite e dogmatiche separano tra autorità gerarchica e umiltà di popolo, tra impero e ubbidienza; alla loro base, piú profonda ancora di ogni esperienza mistica, sta un principio utilitario, un calcolo di cui le classi gerarchicamente piú elevate si servono. La religione della libertà esclude interessi e calcoli, esige, come efficacemente scrive l'Alfieri, fanatismo negli iniziatori,
e negli iniziati entusiasmo di sincerità, in tutti quell'ardore completo per cui non c'è soluzione di continuità tra pensiero e azione. Ne risulta un'unità di apostolato che anticipa i caratteri dell'opera mazziniana [ ...] . Alfieri è un'anima religiosa e mentre propone la sua concezione libertaria sente intensa e profonda vicinanza spirituale con tutte le anime eroiche della religione » (op. cit., p. 128). Ancora, nel breve ritratto di Alfieri che Gobetti traccia nel secondo capitolo di Risorgimento senza eroi: « Il violento rilievo della personalità alfieriana fa pensare piuttosto alle tragiche fi[...]

[...]iosa, perché la interpretazione di Gobetti non ha niente a che vedere con la tesi di un Alfieri patriottico, tanto da respingere come grossolana l'interpretazione di Gentile che esamina l'Alfieri « solo in relazione alle sue conseguenze patriottiche » (ivi, p. 91). Il proposito di Gobetti è di fare dell'Alfieri il capostipite di una storia « filosofica » del Risorgimento in Piemonte, dove l'accento deve cadere su quel « filosofico », giusto o sbagliato che sia. Una storia certo tutta inventata ma che coi suoi Ornato, i suoi Gioberti, i suoi Bertini, non ha nulla in comune con la storia scolastica dei precursori del Risorgimento. Anche la contrapposizione fra l'interpretazione politica di Gobetti e quella non politica di Calosso, è fuorviante. La politica di Alfieri secondo Gobetti è la religione della libertà che non è politica nel senso abituale del termine essendo invece un atteggiamento etico, che come tale dovrebbe ispirare ogni politica ma non è di per se stesso immediatamente politico. Oserei dire che nell'espressione del titolo « [...]

[...] di Calosso in cui non compaia a proposito o a sproposito una citazione di Alfieri. Un alfierismo tanto piú interessante da studiare e da capire in quanto né l'uno né l'altro erano letterati, e sono stati invece entrambi prevalentemente scrittori politici. Per Gobetti si potrebbe trovare una ragione della sua passione alfieriana anche nel « piemontesismo », ma per Calosso questa ragione non vale perché proprio in una nota del suo Alfieri canzona gli amici piemontesisti ed equipara il piemontesismo al filisteismo i'. Il motivo fondamentale che spinge i due amici a cercare l'Alfieri è uno solo: l'anelito verso la libertà, tanto piú forte e irresistibile in quanto proprio negli anni dei loro studi alfieriani era soffocato. Se Alfieri sia stato piú filosofo o piú poeta è una vecchia questione, dibattuta tra i suoi commentatori, sin da quando la pose Leopardi. Si potrebbe dire a mo' di conclusione che per Gobetti Alfieri fu piú il filosofo della libertà, per Calosso piú il poeta is. Ma non vorrei che anche questa distinzione, come tutte le distinzioni troppo nette, fosse un po' forzata. L'unica cosa certa è che pur nel diverso modo di avvicinarsi al loro personaggio Gobetti e Calosso furono attratti dallo stesso amore della libertà, e ne resero con la loro vita un'alt[...]



da Giuseppe Branca, Il costo del condono in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...] è difficile ravvisare un’attenzione spiccata per la narrativa e, all’interno di quest’ultima, un palpabile sforzo di sperimentazione e adattamento che, al di là dei risultati effettivi, testimonia di un dialogo rinnovato e vincente fra la specificità di una forma il racconto, il romanzo

e le trasformazioni sempre più complesse verificatesi sul terreno della comunicazione multimediale.

Ci sembra di poter riconoscere due fronti o, forse meglio, due direzioni, che in molti punti coincidono, l’uno teso a ripercorrere all’indietro, diciamo cosi, verso la fonte, la via del racconto, l’altro a contaminare sempre di più la forma narrativa con i criteri di fungibilità che la multimedialità del prodotto esige. L’esemplarità di una rivista come « Linea d’ombra » che ospita testi di scrittori esordienti e non, e che esorta gli autori all’immediatezza del racconto perché la letteratura « torni a narrare sensibilità, idee, fantasie, avvenimenti, cose e persone dei nostri anni » (n. 1, anno i, p. 5), ben rappresenta la prima tendenza e si fa segnalare per la sua dichiarata consapevolezza dei processi di mercato ai quali si oppone con una diversa volontà etica e aggregativa.

Ci sembra ora interessante volgere lo sguardo ad alcuni dei più recenti esordi narrativi. Un primo sguardo d’insieme offre al lettore l’impressione di228

ALBERTO ROLLO

una qualità media di scrittura, di una produzione sostanzialmente unif[...]

[...]na diversa volontà etica e aggregativa.

Ci sembra ora interessante volgere lo sguardo ad alcuni dei più recenti esordi narrativi. Un primo sguardo d’insieme offre al lettore l’impressione di228

ALBERTO ROLLO

una qualità media di scrittura, di una produzione sostanzialmente uniforme, malgrado l’amplissimo spettro stilistico, a cui non sembrano ancora una volta estranee le incertezze e le difficoltà, da parte delle case editrici, di convogliare le proprie scelte verso un ipotetico equilibrio, invero arduo da mantenere, fra ricerca della qualità e attese commerciali.

All’interno di questo esito complessivamente « medio » suona tuttavia significativo il ventaglio variegatissimo di temi, topoi, modelli dei quali ciascuna opera diventa una sorta di campione rappresentativo. Si passa dal gotico fantascientifico di Gianfranco Manfredi (Magia rossa, Feltrinelli) al romanzo storico di Santamaura (Magdala, Mondadori), dal pastiche linguistico di Adamo Calabrese (Il libro del re, Einaudi) alla forma frammento di Alberto Episcopi (Festino e destino, Feltrinelli), dall’educazione sentimentale su sfondo bellico di Eugenio Vittarelli (Placida, Mondadori) al flusso di coscienza di Carlo A. Corsi (La storia del mago, Guanda), dalle apnee sintattiche di proustiana [...]

[...]si (La storia del mago, Guanda), dalle apnee sintattiche di proustiana memoria di Tommaso Aliprandi (Casa in vendita, Feltrinelli) alla formadiario di Luigi Del Re (Attesa a Guatambu, Mondadori).

La dipendenza dal modello, insieme alla strisciante consapevolezza della resa di fronte al darsi di una esperienza assolutamente originale del narrare, pare tradire il bisogno di un rifugio, di una identità dentro la pulviscolare eredità letteraria degli ultimi due secoli ed ha come risvolto strettamente tematico la scelta di situazioni narrative « estreme », curiosamente coincidenti con luoghi, geografici e non, anch’essi estremi, « di confine ». E sono il paesaggio severo, teso fra mare e picchi rocciosi, di Francesco Biamonti (L'angelo di Avrigue, Einaudi), la natura violenta e quasi senza tempo di Vincenzo Pardini (Il falco d’oro, Mondadori), l’Etiopia tragica del xix secolo di Santamaura, la Milano sospesa fra passato e futuro di Gianfranco Manfredi, il villaggio perduto nel cuore della Pampa di Del Re, il basso medioevo insanguinato di [...]

[...] la natura violenta e quasi senza tempo di Vincenzo Pardini (Il falco d’oro, Mondadori), l’Etiopia tragica del xix secolo di Santamaura, la Milano sospesa fra passato e futuro di Gianfranco Manfredi, il villaggio perduto nel cuore della Pampa di Del Re, il basso medioevo insanguinato di Calabrese, le torsioni barocche verso l’eccesso di Episcopi, l’acquisizione in extremis di un passato che andrà perduto con l’imminente vendita della casa di famiglia nel romanzo di Aliprandi, i confini stessi dello scrivere percorsi dal pensoso obiettivo di Daniele Del Giudice (Lo stadio di Wimbledon, Einaudi).

Fra le opere sinora citate almeno tre (Lo stadio di Wimbledon, Il falco d’oro, L’angelo di Avrigue) meritano un discorso a parte e più articolato.

Il romanzo di Del Giudice ruota intorno alla figura di Bobi Bazlen e ad altri personaggi direttamente o indirettamente compromessi con la letteratura.

Il tentativo di capire perché e se « scrivere è necessario » conduce il protagonista sulle tracce di Bazlen, di chi lo conobbe, di chi convisse [...]

[...] capire perché ». La que te esistenziale e morale si dà in forma di viaggio. Un viaggio in treno a Trieste, finalmente prosciugata di ogni mefitico alito di finis Austriae, un viaggio in aereo a Londra. Quando una risposta al «perché» arriva, l’interrogativoPRIME NARRATIVE DI POCO FA

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è già lontano. « Scrivere non è importante, però non si può fare altro »; ma ancora più forte della determinazione che razionalmente il protagonista accoglie in sé è la provocante oggettività del mondo, la cosalità senza scampo dell’apparire e il richiamo fortissimo della rappresentazione.

L’aspetto decisivo dello Stadio di Wimbledon risiede nella silenziosa presa della sua scrittura. Come un sintonizzatore nell’intreccio e nella confusione dei messaggi, essi si muove intorno ai vuoti dell’azione e della memoria per pause e indugi, tesa a raccogliere nell’apparente povertà del marginale il fruscio di un responso. Quanto più l’oggetto della ricerca s’allontana, tanto più i primi piani del reale si fanno nitidi: ci si accorge che quanto voleva essere eticamente vero

lo spazio pieno del dilemma ha già creato, via via cancellandosi, dei personaggi e le quinte prospettiche di un’« altra » storia. E la sua verità riposa, non già nello scioglimento del dubbio, ma nei gesti pensosi, declinanti, perduti di quelle dramatis personae e lo scrittore ne è consapevole , nel destarsi di luoghi, di figure, di soggetti. Di Bazlen al protagonista rimarrà e pare quasi manniana ironia un pullover « di lana corta, pettinata, in un grigio chiarissimo e con il collo a v ».

Più che la ripresa di un motivo che invero potrebbe apparire stanco la letteratura e la vita il romanzo di Del Giudice è una meditazione sul destino della scrittura narrativa, sulla sua insostituibilità. Ne consegue perciò, non tanto un conflitto con l’impenetrabilità del[...]

[...]della scrittura narrativa, sulla sua insostituibilità. Ne consegue perciò, non tanto un conflitto con l’impenetrabilità del reale, ma un fronteggiare vittorioso l’impotenza della parola, un esperire consapevole dei processi di trasformazione che attraversano e modificano la comunicazione nel suo complesso.

Da un’altra angolazione anche Vincenzo Pardini nel Falco d}oro conferma l’energia della parola narrante; ma, al contrario di Del Giudice, egli aggredisce una materia viva e vi lavora intorno con pochi secchi colpi lasciando emergere la creaturalità dei suoi personaggi, vittime e complici di una natura impietosa, violenta, che solo a tratti coincide cosi ci informa l’autore con l’Appennino toscoemiliano. Più verosimilmente si palesa l’atemporalità di quel paesaggio, la miticità del mondo contadino su cui cade a tratti, e inaspettata, la riconoscibilità di talune connotazioni storiche: una stretta di mano a Togliatti, il fascismo, la guerra, la deportazione in Germania.

Più che una raccolta di racconti II falco d’oro pare un roma[...]

[...]iva e vi lavora intorno con pochi secchi colpi lasciando emergere la creaturalità dei suoi personaggi, vittime e complici di una natura impietosa, violenta, che solo a tratti coincide cosi ci informa l’autore con l’Appennino toscoemiliano. Più verosimilmente si palesa l’atemporalità di quel paesaggio, la miticità del mondo contadino su cui cade a tratti, e inaspettata, la riconoscibilità di talune connotazioni storiche: una stretta di mano a Togliatti, il fascismo, la guerra, la deportazione in Germania.

Più che una raccolta di racconti II falco d’oro pare un romanzo abbozzato e lasciato incompiuto, smembrato in episodi che l’autore non ha saputo o voluto cucire assieme. E benché l’opera cosi com’è presenti già una notevole compattezza, è pur vero che Yepos tragico da cui scaturisce la vis narrativa di Pardini chiedeva forse una più scrupolosa elaborazione strutturale. La conferma a quest’ipotesi ci viene dall’ossessiva ripetizione delle chiuse drammatiche, che, se da un lato testimoniano il gusto vivissimo del precipitare del racco[...]

[...]a notevole compattezza, è pur vero che Yepos tragico da cui scaturisce la vis narrativa di Pardini chiedeva forse una più scrupolosa elaborazione strutturale. La conferma a quest’ipotesi ci viene dall’ossessiva ripetizione delle chiuse drammatiche, che, se da un lato testimoniano il gusto vivissimo del precipitare del racconto, dall’altro rischiano di intaccare e esaurire la bontà dell’ispirazione, tutta raccolta nell’incombere tremendo dell’artiglio del destino che fa da bruna cornice a ogni personaggio, uomo o bestia che sia. Resta tuttavia la palpitante crudezza della rappresentazione, la sintassi severa, l’assetata aggettivazione, la rincorsa talora230

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ansimante, talora più rilassata, del personaggio a tutto tondo che risponda e si rifletta nella inquietante verginità della natura.

Preferiamo perciò alla diseguale tenuta narrativa del Bilancio (drammatico inseguimento e face to face fra uomo e rapace) Tepica parabola di Don Pistola, sacerdote bestemmiatore, libertario e comunista, uomo sanguigno e generoso ama[...]

[...]r destarsi ». È da quel « sentito dire », dal ricordo del ricordo, che acquista veridicità narrativa non solo il mondo d’ombre e solitudini, di volti e di gesti posseduti da un’ingovernabile fatalità, ma anche quella natura indomata che, in palese debito di credibilità, la trova nella distanza della parola udita o addirittura infraudita, nel trapassato remoto di cui il narrato di Pardini sembra patire il rigurgito irresistibile.

La natura o meglio il profilo nettissimo di un paesaggio (quello ligure fra monti e mare nell’estremo tratto di costa a confine con la Francia) è il vero protagonista del romanzo di Francesco Biamonti, Vangelo di Àvrigue. Gregorio, un marinaio in attesa di imbarco, scopre fra i crepacci di Avrigue il cadavere di un giovane, Jean Pierre, tossicodipendente, probabilmente suicida, col quale egli aveva diviso serate al tavolo d’osteria. La morte entra nel tessuto narrativo come un interrogativo insopportabile, ma anche come un colore, come il risvolto oscuro di un disagio a cui Gregorio vorrebbe dare risposta.

Prende inizio da qui un’indagine, una ricerca che, come nel romanzo di Del Giudice ad altro non conduce che alla visitazione di una realtà interiore su cui preme l’immagine del labirinto. La detectivestory che qui e là s’adombra è puro pretesto; ma qui si fa talora appena più invadente e, pur senza compromettere la tenuta stilistica dell’opera, sembra tradire la preoccupazion[...]

[...]agine del labirinto. La detectivestory che qui e là s’adombra è puro pretesto; ma qui si fa talora appena più invadente e, pur senza compromettere la tenuta stilistica dell’opera, sembra tradire la preoccupazione che l’« occasionalità » dell’indagine possa conferire al romanzo un’identità narrativa più forte.

La qualità finissima della scrittura di Biamonti va del resto cercata nei toni lirici, nella partitura musicale che trama lo spessore degli eventi; nella folgorazione di talune figure umane che dal paesaggio emergono senza staccarsene, nella perifericità emblematica di taluni episodi corali, anch’essi radicati nella scontrosa civiltà dell’entroterra francoligure. Compresi in questo campionario sono dunque certe « panoramiche » colte al di là degli occhi del protagonista (« Toccava quasi il poggio un cielo sereno e denso, solcato da due cirri non più grandi di falchetti, quasi un tetto luminoso »; « Dove la strada si biforcava, alla sua croce, era lassù sopra l’ulivo, il primo abbacchiatore di quell’anno. Era lontano, in cima, con la testa rovesciata. Sbatteva a trappi, col bastone vencheggiante, e cadevano a raffica olive e foglie »; « Gli ulivi erano sempre piùPRIME NARRATIVE DI POCO FA

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scarni, di una bellezza quasi minerale, mano a mano che saliva »), l’apparizione del pastore provenzale (« Quell’uomo quasi vecchio e quasi sacro spiegò che aveva camminato tutta la notte per abbassarsi, per fuggire l’aria di neve (l’auro de nèu), nemica a chi aveva tutti i suoi beni in sangue, in sangue di dio »), la processione del Santo ad Avrigue con l’esecuzione della « numero due », la « musica del prigioniero » (« Grave e segreta come la vita sul passo della terra, era la numero due: lichenoso meriggio in cammino verso la sera[...]

[...] nella marginalità della figura del tiranno etiope Tewodros l’autore avesse voluto riconoscere da subito lo spazio eletto di un teatro della coscienza. E più che di storia sarebbe allora opportuno parlare di vera e propria « tragedia in forma narrativa », ma con la complicazione che il traguardo drammatico risiede più nelle « note di regia » di uno scrittore « metteur en scene » e nelle sue interpolazioni saggistiche che nell’autonoma veemenza degli eventi narrati.

Anche in Attesa a Guatambu pesa un esito fatalmente tragico, e l’autore dimostra di saper guidare con mano sicura la macchina narrativa. Tuttavia se pur il ‘ personaggio che dice io ’ ha una sua profonda dignità esistenziale che trova specchio nel codice violento della vita del villaggio a seicento chilometri da Buenos Aires, se la formadiario ben s’addice ai tempi stretti su cui incombe il fantasma della morte e l’assetata carnalità dell’amore, restano tuttavia zone d’ombre, cadute in aforismo spicciolo, obsolete considerazioni sulla giustizia del mondo, lungaggini da cui [...]

[...]eicento chilometri da Buenos Aires, se la formadiario ben s’addice ai tempi stretti su cui incombe il fantasma della morte e l’assetata carnalità dell’amore, restano tuttavia zone d’ombre, cadute in aforismo spicciolo, obsolete considerazioni sulla giustizia del mondo, lungaggini da cui il nocciolo di disperata vitalità del romanzo esce mortificato.

Vicino al romanzo di genere ma complicato da elementi eterogenei quali il riflusso politico degli anni ’80, la rivisitazione in chiave insolita dei testi marxiani è Magia rossa di Gianfranco Manfredi. Un’opera che, riprendendo certi stilemi della grande letteratura fantascientifica americana, fonde coraggiosamente e con simpatica determinazione turgori gotici e dotte considerazioni sulla storia, dimostrando, al di là della paradossalità, per altro gustosissima degli esiti, che anche uno scrittore italiano può misurarsi con la letteratura di genere senza perdere in dignità « letteraria » e anzi indicando una via poco o mal frequentata dai nostri autori. Di tutto rilievo è l’immagine inedita di Milano, finalmente ricondotta alle proprie ombre, agli aspetti meno consueti della sua tadizionale iconografia. E tanto forte è la presenza della città che, se un malessere reale la storia di Magia rossa comunica, esso è proprio qui, fra archeologia industriale, metropoli e memoria urbana, invadente come un’edera dentro le crepe dell’allegorica immagine del progresso.

Anche il romanzo di Adamo Calabrese, Il libro del re, è disegnato all’interno del fantastico. Come Manfredi, Calabrese guarda alla Lombardia, ma a una Lombardia reinventata, sull’orlo di un medioevo non ancora concluso e di una232

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rinascenza incerta. La fa da[...]

[...]alogo e della similitudine ardita. La triste istoria del principe francese abbandonato dalla bella dama e quella parallela del re lombardo ugualmente divorato da irriducibile passione per una attricetta di Lodi non vanno al di là del « gioco » e richiamano talora i paradossi eroicocomici di certo fumetto, colto e no.

Un’indubbia padronanza dei mezzi linguistici affiora tuttavia in alcune pagine memorabili, quali quelle della « fusione », dove gli elementi lessicali eterogenei, la predilezione per il fantastico popolare, l’immagine ricca, talora straripante, assumono una forza rappresentativa irresistibile. Le palle da cannone vengono tolte dal « pentolone » e le donne battezzano « ogni bomba con i più feroci sberleffi, destinando la prima palla alle corna del Principe, la seconda per azzoppare il suo cavallo, la terza per stendere i capitani, e ogni altra per ciascun fante francese, per fracassargli le ossa, ingarbugliargli i tendini e penetrargli infuocata nel di dietro per uscirgli dalla bocca sdentata, o al contrario ingozzarsi nel[...]

[...] lessicali eterogenei, la predilezione per il fantastico popolare, l’immagine ricca, talora straripante, assumono una forza rappresentativa irresistibile. Le palle da cannone vengono tolte dal « pentolone » e le donne battezzano « ogni bomba con i più feroci sberleffi, destinando la prima palla alle corna del Principe, la seconda per azzoppare il suo cavallo, la terza per stendere i capitani, e ogni altra per ciascun fante francese, per fracassargli le ossa, ingarbugliargli i tendini e penetrargli infuocata nel di dietro per uscirgli dalla bocca sdentata, o al contrario ingozzarsi nella ghigna per scappargli fuori come un vento dalla coda ». Più vicino a Fo che a Gadda, Il libro del re è un romanzo che diverte senza, d’altro canto, pervenire a più profonde urticanti provocazioni.

Casa in vendita di Aliprandi è opera decisamente irrisolta quand’anche seducente è il lavorio della memoria intorno alla vecchia casa assediata da ricordi di famiglia e imminenti temporali di fine estate, da storie incrociate di destini diversi che paiono specchiarsi nel tempo e nello spazio attraverso la voce narrante. Anche se in questo ininterrotto fluire di volti e di gesti riconosciamo elementi vivi, non ci convince, sul fronte stilistico, la troppo ostentata dimestichezza con i lunghi periodi, gli incisi, le pause parentetiche, che si rivela alla lunga fragile e inadeguata, comunque dispersiva e senza governo.

Più ancora ci lasciano perplessi gli esiti di opere come Festino e destino di Alberto Episcopi e La storia del mago di Carlo A. Corsi, il primo teso a costruire un « romanzo di ruminazione, di scoperchiamento », un « romanzo totale, brulicamento di tutte le frasi » attraverso il gioco, consapevole e non privo di suggestioni, di immagini peregrine e crudeli, con torsioni barocche intorno ai temi del sangue e della morte, dell’eros e dell’io; il secondo, volto verso una prosa anch’essa « totale », senza punteggiatura, maiuscole e capoversi, verso una fabula ininterrotta, « to be continued » che, complice l’uso di un tu impersonale[...]

[...]orsioni barocche intorno ai temi del sangue e della morte, dell’eros e dell’io; il secondo, volto verso una prosa anch’essa « totale », senza punteggiatura, maiuscole e capoversi, verso una fabula ininterrotta, « to be continued » che, complice l’uso di un tu impersonale, ripercorre memorie autobiografiche e generazionali nel tentativo

purtroppo solo superficialmente disperato di non perdere il filo della storia, di continuare a narrare o meglio come dice l’autore a « scavare in un fazzoletto di terra pestata milioni di volte ».

Sia Episcopi che Corsi sembrano andare verso un io che nel farsi centro di inquietudini e malesseri infine non li riconosce e li soffoca, nel primo caso di cascami culturali ed erratici frammenti narrativi, nel secondo di una iperlalicità troppo intenerita e patetica, ben lontana dalla strangolata, cinica irrefrenabilità della Molly joyciana a cui forse vorrebbe rimandare.

Alberto Rollo



da [Le relazioni] C. Luporini, La metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]dirizzi ideali, e dalle concrete situazioni culturali, in cui sorgevano. Si tratta, apparentemente, di una questione vecchia, ed a qualcuno verrà fatto di ricordare come il Croce, nei suoi scritti intorno al marxismo della fine del secolo, addirittura negasse che il marxismo, o più esattamente il « materialismo storico » (con la quale designazione si tendeva allora a comprendere tutta la dottrina) fosse da considerare un «metodo», nel mentre che gli toglieva anche il carattere di « teoria », riducendolo a empirico « canone d’interpretazione storica » 1. Ove, allo storico delle idee, soprattutto interessa

1 B. Croce, Materialismo storico eà economia marxistica, Bari, 19275 (cfr. particolarmente le pp. XI, 9, 13, 15, 79, 86, 111).446

Le relazioni

la convergenza delle due negazioni, che appare sintomatica di un certo atteggiamento di pensiero in formazione. Infatti più tardi il Croce verrà identificando la « teoria », anzi, la filosofia (tutta la filosofia, cioè la sua filosofia) con la « metodologia della storia ». QucH'abbassamento de[...]

[...]todologia della storia ». QucH'abbassamento del marxismo da « metodo » a « canone » conteneva, a fortiori, anche la negazione (contro il Labriola con cui Croce era in discussione) che esso fosse una «filosofia», ossia una autonoma concezione delle realtà1.

Nel clima filosofico odierno la parola « metodologia » si presenta carica di nuove suggestioni e riferimenti determinati a dottrine e tendenze filosofiche che erano ancora poco sviluppate negli anni di Gramsci e comunque, allora, inoperanti in Italia. Si tratta di interessi sorti su un terreno diverso da quello della ricerca storica e delle scienze umane (politica, economia, sociologia, psicologia ecc.), anche se oggi essi tendono in qualche modo ad investirle: e precisamente delle indagini di carattere logico e « linguistico » intorno alle strutture intime e ai procedimenti delle scienze matematiche e fisiche. Tali indagini sembrano comportare un atteggiamento mentale diametralmente opposto a quello ora indicato nel Croce della maturità, per cui tutta la filosofia si risolve in un’[...]

[...]imenti critici particolari, di carattere « metodologico» relativi a settori o campi determinati dall’indagine scientifica (ancorché non riguardanti direttamente le scienze matematiche e fisiche, di cui Gramsci non aveva esperienza), ed è di lui l’affermazione che « ogni ricerca ha un suo determinato metodo e costruisce una sua determinata scienza » 2. Farli oggetto di studio e di svolgimento non vi è dubbio che sarebbe cosa da incoraggiarsi e, voglio aggiungere, quel clima filo
1 Op. cit., p. 90.

2 M. S., p. 136. Il passo è, caratteristicamente, citato da Ludovico Geymonat nel saggio « Caratteri e problemi della nuova metodologia » in Saggi di filosofia neorazionalista, Torino, 1953, pp. 7374.Cesare Luporini

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sofico odierno in cui respirano, anche nel nostro paese, buona parte delle giovani generazioni degli specialisti di filosofia, dovrebbe essere a ciò particolarmente favorevole. Indubbiamente quegli spunti sono indicativi di alcuni fra gli interessi più odginali di Gramsci1. Essi tuttavia non sono isolabili, se li si vuole intendere e non fraintendere, se non si vuole commettere cioè una sopraffazione intellettuale, dalla metodologia del marxismo come vive ed opera in Gramsci: cioè del procedimento effettivo con cui egli elabora i concreti problemi di cui si occupa. Rilevare questa effettiva, esplicita, o implicita, metodologia, è il primo compito; ed è ciò a cui qui si cerca di recare un contributo.

Ora, proprio a questo punto potrebbe sorgere l’equivoco a cui mi riferivo in principio. Conviene perciò dichiarare subito che il marxismo non è per Gramsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire,, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » 2. >11 momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il[...]

[...]ora i concreti problemi di cui si occupa. Rilevare questa effettiva, esplicita, o implicita, metodologia, è il primo compito; ed è ciò a cui qui si cerca di recare un contributo.

Ora, proprio a questo punto potrebbe sorgere l’equivoco a cui mi riferivo in principio. Conviene perciò dichiarare subito che il marxismo non è per Gramsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire,, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » 2. >11 momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente, nel pensiero di Gramsci, e non sono separabili senza grave deformazione. Non si tratta solo della prova che di ciò si può ricavare d'a innumerevoli passi citabili^ ma del nesso profondo, organico, del suo pensiero.

Vorrei richiamare qui, per un momento, l’attenzione su un punto che, almeno per i filosofi « specialisti », ma forse non solo per loro, credo non indifferente. Ques[...]

[...]edo non indifferente. Questa posizione di Gramsci comporta l’idea che la filosofia sia sempre, anche, in qualche modo, « concezione del mondo ». Ciò non era per Gramsci oggetto di discussione. Che si possa proporre l’idea di una filosofia quale « strenge Wissenschaft », scienza rigorosa, proprio in quanto contrapposta alla W eltanschauung, e in certo modo svuotata di essa, era tesi che ancora non aveva avuto, praticamente, risonanza in Italia, negli anni in cui scriveva Gramsci (e del resto, se non erro, neppure in Francia). Essa era stata affacciata dallo Husserl nel 1911, in uno scritto thè credo di grande interesse per la storia filosofico
1 Penso, in modo particolare, alle riflessioni e osservazioni di Gramsci intorno ai problemi del linguaggio e dei linguaggi (tecnici, specialistici ecc.).

2 Cfr. A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, Bari, 19444?

p. 10 e passim.448

Le relazioni

culturale europea di questo secolo1 (di queirideale lo Husserl veniva da tempo elaborando e applicando il metodo). Ricordo ciò[...]

[...]amento. Si tratta proprio del « filosofo », non in un senso generico, ma nel senso professionale. Gramsci, che è stato critico cosi severo ed acuto della storia della filosofia elaborata, come avviene tradizionalmente, sulla linea dei « filosofi individuali » e della successione dei loro sistemi, non manifesta per il filosofo professionale il disprezzo pregiudiziale di cui si compiacque Benedetto Croce. Al filosofo professionale, o « tecnico », egli assegna una parte precisa; esso « ha nel campo del pensiero — dice Gramsci — la stessa funzione che nei diversi campi scientifici hanno gli specialisti » 3. Conoscenza dello stato dei problemi, del loro sviluppo fino a lui, del punto in cui vanno ripresi, come accade, o dovrebbe accadere, per ogni specialista. Ma il suo combito più specifico appare la riduzione dei procedimenti del pensiero a « omogeneità », « coerenza », « logicità ». Sotto tale riguardo, osserva Gramsci, « non sarà esatto chiamare “ filosofia ” ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni “concezione del mondo e della vita ” ». Siamo sul terreno, potremmo dire, almeno come atteggiamento di fondo, delle odierne filosofie metodologich[...]

[...]iero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni “concezione del mondo e della vita ” ». Siamo sul terreno, potremmo dire, almeno come atteggiamento di fondo, delle odierne filosofie metodologiche.

1 Philosophie als strenge Wissenschaft, in Logos, I (191011). È interessante notare che lo Husserl svolge la sua posizione atraverso una discussione con lo Historismus, cioè con un certo tipo di storicismo. Di ciò che compone la Weltansehauung egli accentua l’elemento « saggezza » ( Weisheit, Weltweisheit).

2 Cfr. I. M. BOCHENSKI, Europdische Philosophie der Gegenwart, Bern, 1951, p. 32. « Sowohl die mathematische Logik als auch die Phànomenologie sind vor allem Methoden, nicht inhaltliche Lehren. Beide sind aus einer Besinnung auf die Grundlagen der Wissenschaften hervorgegangen und versuchen, diese durch eine rationale Methode neu zu begriinden ».

3 M. S., p. 24.Cesare Luporini

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« Tuttavia — aggiunge Gramsci — ce una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvicina[...]

[...]Europdische Philosophie der Gegenwart, Bern, 1951, p. 32. « Sowohl die mathematische Logik als auch die Phànomenologie sind vor allem Methoden, nicht inhaltliche Lehren. Beide sind aus einer Besinnung auf die Grundlagen der Wissenschaften hervorgegangen und versuchen, diese durch eine rationale Methode neu zu begriinden ».

3 M. S., p. 24.Cesare Luporini

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« Tuttavia — aggiunge Gramsci — ce una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvicina più agli altri uomini di ciò che avvenga per gli altri specialisti. L’avere fatto del filosofo specialista una figura simile, nella scienza, agli altri specialisti, è appunto ciò che ha determinato la caricatura del filosofo. Infatti si può immaginare un entomologo specialista, senza che tutti gli altri uomini siano “ entomologhi ” empirici, uno specialista della trigonometria, senza che la maggior parte degli altri uomini si occupino di trigonometria ecc. (si possono trovare scienze raffinatissime, specializzatissime, necessarie, ma non perciò “ comuni ”), ma non si può pensare nessun uomo che non sia anche filosofo, che non pensi, appunto perché il

pensare è proprio dell'uomo come tale».

Questo richiamo di Gramsci non ha nulla a che fare con una certa, nota, tesi idealistica. O, se voghiamo, è la traduzione di essa dal cielo speculativo ai suoi termini reali, che saranno sempre, per Gramsci, termini « storicistici ». «Non il “pensiero”, ma ciò che realmente si pensa unisce o differenzia gli[...]

[...]”), ma non si può pensare nessun uomo che non sia anche filosofo, che non pensi, appunto perché il

pensare è proprio dell'uomo come tale».

Questo richiamo di Gramsci non ha nulla a che fare con una certa, nota, tesi idealistica. O, se voghiamo, è la traduzione di essa dal cielo speculativo ai suoi termini reali, che saranno sempre, per Gramsci, termini « storicistici ». «Non il “pensiero”, ma ciò che realmente si pensa unisce o differenzia gli uomini » 1, egli dice altrove.

Ora, « ciò che realmente si pensa » non è per Gramsci semplice
mente ciò che si crede di pensare, ma quanto si manifesta nella pratica,

nel pratico operare: tuttavia luno aspetto e l’altro, ciò che si crede di pensare e ciò che effettivamente si pensa operando, costituiscono, tutt’insieme, quella « concezione del mondo» per cui tutti gli uomini sono « filosofi ». La quale può essere dunque quanto mai disgregata, contraddittoria (in quanto non è ancora affrontata criticamente) e costituisce il contenuto di quel che si chiama « senso comune ». Ma in tale immanente e sempre presente « concezione del mondo » — che appare in tal modo legata per un verso alle idee, comunque ricevute, e per un altro al pratico operare — non siamo mai punto isolati, ma apparteniamo sempre a un raggruppamento (e perfino sotto l’aspetto ideologico, a una molteplicità di raggruppamenti), siamo sempre « uominimassa », « uomini collettivi » 2.

Mi sia q[...]

[...] per introdurre una diversa considera
1 M. S., p. 31.

2 M. S., p. 4.m

450 Le relazioni

zione. Questi concetti di Gramsci, ora illustrati, li troviamo nei Quaderni del carcere sotto il titolo di « Avviamento allo studio della filosofia e del materialismo storico » quali « punti preliminari di riferimento ». Gramsci certo non pensava di scrivere in quel momento un « avviamento alla filosofia » per le scuole del Regno (come proprio in quegli anni ne entrarono in uso...), tuttavia vi è nel modo di quelle sue riflessioni non solo un nesso logico autonomamente valido, ma un evidente e assai esplicito intento pedagogico. « Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso — cosi si inizia quella serie di appunti — che la filosofia sia un alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e sistematici... ». Sembra di sentire, in queste righe, leco delle personali conversazioni di Gramsci con gli operai di Torino, di cui[...]

[...]ido, ma un evidente e assai esplicito intento pedagogico. « Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso — cosi si inizia quella serie di appunti — che la filosofia sia un alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e sistematici... ». Sembra di sentire, in queste righe, leco delle personali conversazioni di Gramsci con gli operai di Torino, di cui sappiamo, o con i compagni di persecuzione, di confino e di carcere (fino a quando gli fu possbile), che egli veniva istruendo idealmente e politicamente, di cui veniva formando la personalità di quadri rivoluzionari del partito della classe operaia. Non è una notazione marginale che si intende qui fare, ma tale, mi sembra, che ci avvicina a comprendere il modo in cui Gramsci concretamente concepiva l’efficacia del marxismo, e che ha significato universale \ « Farsi una personalità » significa, ci dice Gramsci, acquistare «coscienza... dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volont[...]

[...] ci avvicina a comprendere il modo in cui Gramsci concretamente concepiva l’efficacia del marxismo, e che ha significato universale \ « Farsi una personalità » significa, ci dice Gramsci, acquistare «coscienza... dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volontario » : poiché si tratta di modificarli. « L’uomo attivo di massa — egli scrive (e va sottolineato il termine « attivo » ) — opera praticamente, ma non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma». Ed aggiunge: «La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto col suo operare» \

L’operare praticamente, che già racchiude in se stesso un conoscere, è il punto di leva e di riferimento (« una lotta di classe che già esiste », avevano detto di « esprimere » i fondatori del marxismo nel Manifesto) per la modificazione della « concezione del mondo » (della « coscienza teorica » ), onde[...]

[...] l’intento educativo che aveva presente. Quei rapporti « importa conoscerli geneticamente, nel loro modo di formazione, poiché ogni individuo non solo è la sintesi dei rapporti esistenti ma anche della storia di questi rapporti, cioè è il riassunto di tutto il passato. Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare è ben poco, in rapporto alle sue forze. Ciò che è vero fino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e se questo cambiamento è razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che a prima vista può sembrare possibile » \

Mi sono fermato su queste parole, cosi semplici, perché in esse è come l’a b c deireducazione rivoluzionaria della classe operaia, nel suo aspetto teorico, ma esse coincidono rigorosamente con un’introduzione alla filosofia. Cosi Gramsci avrebbe potuto iniziare un suo « saggio popolare ». E, si noti, il punto di partenza è proprio l’uomo singolo, concreto, vivo, a cui ci [...]

[...] popolare ». E, si noti, il punto di partenza è proprio l’uomo singolo, concreto, vivo, a cui ci si rivolge; membro, in questo caso, di un gruppo sociale subalterno; e innanzi tutto è posta la questione della soia personalità, della conquista e formazione di essa. Ora, appunto, in quel medesimo contesto, leggiamo: « si può dire che ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso dei rapporti di cui egli è centro di annodamento. In questo senso il filosofo reale è e non può non essere altri che il politico, cioè l’uomo attivo che modifica l’ambiente, inteso per ambiente l’insieme dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte ». In queste parole troviamo presentata nella sua forma, se vogliamo, più brusca ed elementare (ma che ce ne fa comprendere, proprio perciò, con grande immediatezza, tutta la portata realistica) quella identificazione di filosofia e politica che in altri passi è da Gramsci ben altrimenti elaborata e arricchita di anelli e processi di mediazione; e in cui si trae la più conseguente conclusione della XI tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo ».

Gramsci poneva in relazione questa tesi col detto famoso del « prole
1 M. S., p. 29.452

Le relazioni

tariate tedesco erede della filosofia [...]

[...]n in un senso, naturalmente, deteriore e antiscientifico, o sottoscientifico, ma in un senso nuovo e rivoluzionatore del concetto tradizionale di « filosofia ». (E certo tale espressione potrà fare arricciare il naso a chi non sa staccarsi da quest’ultimo.) Ossia, è una filosofia che, nella storica concretezza del suo svolgimento, attinge dal movimento delle masse, dalle esperienze di esso e della sua direzione, la sua stessa ragione di essere e gli elementi del proprio sviluppo critico. Ma questo fatto, ossia questo legame fra la coscienza in trasformazione di grandi masse umane e la criticità filosofica (che naturalmente ha molte* plici gradi ed elementi di mediazione) è un fatto assolutamente nuovo' e rivoluzionario nella storia, il quale modifica le dimensioni stesse del filosofare (introducendo in esso quello che potremmo dire un nuovo parametro, un coefficiente ulteriore che muta i precedenti rapporti) e con ciò trasforma anche la figura tradizionale del filosofo individuale, per dar luogo a quello che Gramsci chiama « il filosofo [...]

[...]ed elementi di mediazione) è un fatto assolutamente nuovo' e rivoluzionario nella storia, il quale modifica le dimensioni stesse del filosofare (introducendo in esso quello che potremmo dire un nuovo parametro, un coefficiente ulteriore che muta i precedenti rapporti) e con ciò trasforma anche la figura tradizionale del filosofo individuale, per dar luogo a quello che Gramsci chiama « il filosofo democratico », cioè al « filosofo convinto — com’egli dice — che la sua personalità non si limita al proprio individuo fisico, ma è un rapporto sociale attivo di modificazione dell’ambiente culturale » 1. Sono da porsi in relazione a questo concetto le indagini di Gramsci intorno agli intellettuali, alla loro funzione nella società, e alila loro storia, più in particolare, la domanda che egli si pone sulla funzione che ancora possa spettare al « grande intellettuale » nel mondo moderno. La risposta di Gramsci mi sembra importante e tale da far riflettere. Quella funzione, egli dice, « permane intatta, trova però un ambiente molto più difficile per affermarsi e svilup*

1 M. Sp. 27.Cesare Luporini

453

parsi: il grande intellettuale deve anch’egli tuffarsi nella vita pratica, diventare un’organizzatore degli aspetti pratici della cultura, se vuole continuare a dirigere; deve democratizzarsi, essere più attuale: l’uomo del Rinascimento non è più possibile » \

Quante crisi ripetutamente denunziate, o annunziate o autoannunziatey del filosofare (o della cultura) in quest’ultimo secolo, dopo Hegel, a parte i contenuti dottrinali, hanno la loro radice reale e trovano una loro spiegazione nella situazione indicata da Gramsci in queste parole.

Questo fatto nuovo e rivoluzionario del presentarsi nella storia umana di una filosofia critica e scientifica come filosofia di massa, come « concezione uni[...]

[...]nto quel fatto nuovo e rivoluzionario, il quale prima di indirizzarsi a dirigere il movimento reale delle masse lo riflette ed esprime: esprime una « lotta di classe che già esiste ». Essa si allarga progressivamente, con varietà di ritmi e vicissitudini storiche, nella lotta di classe, ma ha come punto di riferimento essenziale,, e discriminante dei suoi caratteri, la questione dello Stato e del potere, che è sempre presente a Gramsci. Infatti egli torna di continuo a distinguere, con proficue analisi e differenziazioni di indirizzi di ricerca, gli aspetti diversi che essa assume prima e dopo la conquista stabile del potere da parte della classe rivoluzionaria. Iil significato specifico e globale di tale « riforma » è per Gramsci, indubbiamente, quello di una radicale rivoluzione culturale. E tuttavia, a mio avviso, egli ha utilmente adottato’ questo termine di « riforma », non solo e non tanto perché si tratta di un momento diverso da quello della rivoluzione politica e nei rapporti di produzione (i classici del marxismo si sono sempre preoccupati, in generale, di mettere in luce la differenza di ritmo fra il movimento strutturale e i movimenti delle soprastrutture e, in questi ultimi, fra quanto accade sul piano degli eventi politici e le più lente trasformazioni delle

1 P, p. 30.454 Le relazioni

r

coscienze, del costume ecc.), ma perché in esso si indica meglio l’aspetto educativo, ossia l’efficacia di un’azione costante, espansiva, razionalmente diretta, sulle coscienze, in connessione, naturalmente, alla lotta politica e alla rivoluzione e trasformazione dei rapporti sociali. La « riforma » nelle idee e nelle coscienze è qualcosa che non è pensabile che possa seguire passivamente alla rivoluzione politica e sociale, ma essa deve venire operata e perseguita attivamente e consapevolmente da chi dirige (e comprende tanto la fase prerivoluzionaria e prestatale, quanto quella postrivoluzionaria e statale, con le grandi differenze fra luna e l’altra). [...]

[...]guita attivamente e consapevolmente da chi dirige (e comprende tanto la fase prerivoluzionaria e prestatale, quanto quella postrivoluzionaria e statale, con le grandi differenze fra luna e l’altra). Gramsci ha sentito molto acutamente la complessità dei problemi che si propongono ad una classe subalterna quando essa si trasforma in classe autonoma e dirigente : « dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone... — egli dice — nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale » \ Nel quadro di tali questioni strettamente saldato all’interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comuniSmo come movimento reale: il nesso fra dirigenti e diretti, governanti e governati, educatori ed educati, su cui egli ripetutamente ritorna.

Quella nozione gramsciana del marxismo come « riforma intellettuale e morale » di massa ha anche un altro campo di validità. Essa, collega idealmente il comuniSmo, inteso appunto come movimento reale, ad altri fenomeni storici di un certo tipo, consentendo di cogliere gli elementi di analogia e di segnare nello stesso tempo le radicali differenze (essa serve perciò tanto alla metodologia storiografica quanto alla prospettiva o previsione del futuro, nella cui elaborazione entriamo come parte attiva e volontaria). Vi sono state infatti nella storia altre riforme intellettuali e morali di massa, che avevano profonde radici sociali e furono accompagnate, seguite e anche precedute, da particolari e varie elaborazioni concettuali, filosofiche, metafisiche. Gramsci ha sempre presente il cristianesimo e soprattutto, in un contesto storico più vicino a noi, la riforma[...]

[...]aveva fatto Engels, la novità del carattere laico) \

Ma nessuno di quei fenomeni ha investito, di fatto, la totalità del genere umano, come avviene col comuniSmo. Non si tratta solo di una differenza quantitativa. Il problema della situazione di coscienza delle grandi masse, in seno alla lotta economica e politica, il problema della loro unificazione culturale, coinvolge, in un orizzonte più ampio, quello della unificazione culturale di tutti gli uomini. È l’orizzonte, virtualmente universale, di sviluppo e di dilatazione della società socialista e comunista, onde Lenin aveva scritto (1913) che « il punto essenziale della dottrina di Carlo Marx è l’interpretazione della funzione storica mondiale del proletariato come creatore della società socialista ».

Ciò riguarda, in modo non estrinseco ma Ìntimo, la natura della filosofia marxista, che è, prima di ogni altra cosa, la teoria rivoluzionaria della classe operaia e si rivolge innanzi tutto ad essa (Marx, Engels, Lenin, si preoccuparono sempre molto dell’educazione « teorica » degli[...]

[...] che « il punto essenziale della dottrina di Carlo Marx è l’interpretazione della funzione storica mondiale del proletariato come creatore della società socialista ».

Ciò riguarda, in modo non estrinseco ma Ìntimo, la natura della filosofia marxista, che è, prima di ogni altra cosa, la teoria rivoluzionaria della classe operaia e si rivolge innanzi tutto ad essa (Marx, Engels, Lenin, si preoccuparono sempre molto dell’educazione « teorica » degli « operai coscienti » e ne curarono attentamente i progressi, anche di piccoli gruppi), ma che assegna nel medesimo tempo alla rivoluzione proletaria un significato universale di riscatto dell’integrale umanità dell’uomo, dilacerata dalla divisione della società in classi antagoniste, le quali fondano la loro esistenza su « sistemi di sfruttamento » del lavoro, succedentisi storicamente. Integrale umanità d'ell’uomo che non è intesa nel marxismo (a differenza dei precedenti umanesimi, religiosi o no) come un dato metafìsico od originario da ripristinarsi, ma come una esigenza posta in forma de[...]

[...]mi, religiosi o no) come un dato metafìsico od originario da ripristinarsi, ma come una esigenza posta in forma determinata dallo svolgimento storico, come un fine e un punto di arrivo (neppur esso, naturalmente, da intendersi in senso assoluto o metafisico). « L’44 umano ” è un punto di partenza o un punto di arrivo, come conceto e fatto unitario? », si chiede Gramsci. « In quanto posto come punto di partenza » la ricerca stessa di esso non è, egli risponde, che « un residuo 44 teologico ” e 46 metafisico ” » 2. Proprio per questo la concezione marxista « che 46 la natura umana ” sia il 44 complesso dei rapporti sociali” è la risposta più soddisfacente — prosegue Gramsci — perché include l’idea del divenire: l’uomo diviene, si muta

1 M. S., p. 86.

2 M. S.f p. 31.

30.456 Le relazioni

c

continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e peirché nega l’« uomo in generale » : infatti i rapporti sociali sono espressi da diversi gruppi di uomini che si presuppongono, la cui unità è dialettica, non formale ». E ancora precisa : [...]

[...] unità possibile ». Perde allora senso, dal punto di vista marxista, — attraverso questa negazione dell’uomo in generale — la domanda « che cosa è l’uomo»? All’opposto, possiamo dire: essa acquista un significato concreto che è un significato di movimento, o svolgimento consapevole, e come tale essa, potremmo aggiungere, è indirizzante, pratica, regolativa. « Se ci pensiamo — scrive Gramsci — vediamo che ponendoci la domanda che cosa è l’uomo, vogliamo dire: che cosa l’uomo può diventare,, se cioè l’uomo può dominare il proprio destino, può “ farsi ”, può crearsi una vita ». Quella domanda « è nata da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri e vogliamo sapere, in rapporto a ciò che abbiamo riflettuto e visto, cosa siamo e cosa possiamo diventare, se realmente ed entro quali limiti, siamo “ fabbri di noi stessi ”, della nostra vita, del nostro destino1. E ciò vogliamo saperlo “ oggi ”, nelle condizioni date oggi, della vita 66 odierna ” e non di una qualsiasi vita e di un qualsiasi uomo » 2.

Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell’uomo' in storia (« l’uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti » ), sia pure intesa la storia, come si è visto, in un senso « non formale », vada perduta la componente naturalistica del marxismo. E tuttavia questa sarebbe un’interpretazione assai unilaterale, perché incompleta (e diverrebbe tendenziosa), del pensiero di Gramsci.Una volta egli, trovandosi ad adoperare l’espressione « g[...]

[...]di un qualsiasi uomo » 2.

Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell’uomo' in storia (« l’uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti » ), sia pure intesa la storia, come si è visto, in un senso « non formale », vada perduta la componente naturalistica del marxismo. E tuttavia questa sarebbe un’interpretazione assai unilaterale, perché incompleta (e diverrebbe tendenziosa), del pensiero di Gramsci.Una volta egli, trovandosi ad adoperare l’espressione « genere umano » (« storia del genere umano » ), si ferma a chiosarla, osservando : « il fatto che si adoperi

1 Ma nello stesso tempo Gramsci ne esamina subito anche le radici storiche (e il significato storico di massa). « La domanda è nata, riceve il suo contenuto* da speciali, cioè determinati modi di considerare la vita e l’uomo: il più importante di quei modi è la “ religione ” ed una determinata religione, il cattolicismo ».

2 M. Sp. 27. Queste ultime parole di Gramsci potrebbero richiamare alla mente il « wir fragen jetzt, hier, fùr uns » de[...]

[...]gione, il cattolicismo ».

2 M. Sp. 27. Queste ultime parole di Gramsci potrebbero richiamare alla mente il « wir fragen jetzt, hier, fùr uns » dello Heidegger. Anche esigenze presentate in forma speculativa e unilaterale nell’esistenzialismo possono trovare il loro luogo concreto nell’umanismo marxista.Cesare Luporini

457

la parola 66 genere ”, di carattere naturalistico, ha il suo significato » 1. Che cosa intendeva qui dire Gramsci? Egli ha respinto risolutamente, nel medesimo contesto, l’idea che « l’unità del genere umano » possa esser « data dalla natura “ biologica ” dell’uomo ». Gramsci osserva che « le differenze dell’uomo che contano nella storia non sono quelle biologiche » e che « neppure 1’“ unità biologica ” ha mai contato gran che nella storia » 2. E tuttavia, ripetiamo, il « carattere naturalistico » dell’espressione genere umano ha per lui « il suo significato ». Il fatto è che Gramsci non pensa neppur lontanamente a negare l’esistenza di quella unità (o comunità) biologica dell’uomo, comunque prodottasi, bensì [...]

[...]embra, è il più rigoroso fondamento materialistico del marxismo. Scrive Marx nel Capitale: « La tecnologia rivela il comportamento attivo dell’uomo verso la natura, l’immediato processo di produzione della sua vita, e quindi anche dei rapporti del suo vivere sociale e delle rappresentazioni spirituali che ne scaturiscono » 3. Questa posizione ci riporta, per il suo contenuto, alla rivoluzione fìlosoficometodologica compiuta da Marx e da Engels negli anni fra il 1843 e il 1846, e che li condusse alla

1 M. Sp. 31.

2 « Neanche “ la facoltà di ragione ” o lo “ spirito ” — aggiunge Gramsci — ha creato unità e può essere riconosciuto come fatto “ unitario ”, perché concetto solo formale, categorico ».

3 K. Marx, Il capitale, Libro I, Sez. IV n. 89, nella trad. it., Roma, 1952, p. 72.1

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conquista del « materialismo storico ». Tale posizione, in\uel medesimo passo del Capitale, Marx la contrappone allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « [...]

[...]ione ” o lo “ spirito ” — aggiunge Gramsci — ha creato unità e può essere riconosciuto come fatto “ unitario ”, perché concetto solo formale, categorico ».

3 K. Marx, Il capitale, Libro I, Sez. IV n. 89, nella trad. it., Roma, 1952, p. 72.1

458 Le relazioni

conquista del « materialismo storico ». Tale posizione, in\uel medesimo passo del Capitale, Marx la contrappone allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « portavoce » di siffatto materialismo, nonché le correlative « rappresentazioni astratte e ideologiche » che essi mettono fuori « non appena si arrischiano al di là della loro specialità » ). Questa è anche la posizione di Gramsci : « L’umanità che si riflette in ogni individualità è composta di diversi elementi: 1) l’individ'uo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e 3° elemento non sono cosi semplici come potrebbe apparire. L’individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Cosi l’uomo non entra in rapporti con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica » 1.

A chi ben guardi questa posizione (che abbiamo riscontrato in Marx e in Gramsci) comporta la centralità del materialismo storico nella filosofia marxista. Ossia, la centralità della considerazione dell’uomo nel suo nesso permanente e attivo con la natura (dal cui svolgersi e complicarsi storico si sviluppa tutta la storia sociale umana), come dell’unico punto di partenza concreto che possediamo per ogni altra considerazione sul reale. È il punto di partenza teorizzato riassuntivamente, ma incisivamente, da Marx nelle [...]

[...]se non erriamo, che fu proprio posta dai classici, in particolare dallo Engels, il quale si occupò più da vicino di tali questioni. E ciò contro ogni contrazione scolasticodogmatica del marxismo stesso.

La metodologia marxista di Gramsci, che si affinò, sotto questo riguardo, nella discussione critica del manuale del Bukharin1, ed ha come filo conduttore la persuasione profonda della integrale autonomia filosofica del marxismo (senza perciò tagliare i fili che storicamente lo congiungono alla precedente tradizione di pensiero), ci tiene ben lontani dal rischio suddetto. Qui è necessario aggiungere che, se è vero che il marxismo come rivoluzione filosofica è coincidenza di naturalismo e umanismo (i quali nella loro compiutezza si convertono l’uno nell’altro), può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, soprattutto per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nel marxismo), una certa attenuazione dell’istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo senso. Chi[...]

[...]a e originalità Ma per quanto concerne il grave problema del nesso fra questa oggettività e la naturalità si è ormai come al margine estremo del suo interesse; e della sua meditazione. E non è detto che qui non si verifichi qualche

1 M. S., pp. 117168.460

Le relazioni

oscillazione o incertezza. Gramsci è sempre lontanissimo dal contentarsi di ripetere formulazioni precostituite, per quanto esse possano apparire suggestive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e vederle in tutte le loro connessioni, e appunto per questo è un maestro di metodo. La questione che abbiamo dinanzi è quella della difficile saldatura obiettiva (ossia non più soltanto nel soggetto umano, come prassi sensibilerazionale) fra naturalità e storicità, che è indubbiamente, credo, il punto teorico più delicato di tutta la filosofia marxista. Da quel margine estremo, che si è detto, Gramsci indicava, tuttavia, lo sviluppo ulteriore della ricerca neirapprofondimento della tesi di Engels che « l’unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e que[...]

[...]pprofondimento della tesi di Engels che « l’unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e questa è dimostrata da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e delle scienze naturali ». Ove Gramsci commentava dicendo che questa formulazione « contiene il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all’uomo per dimostrare la realtà oggettiva » \ Notazione storicistica squisitamente gramsciana. Eppure solo chi avesse gli occhi bendati di dogmatismo e di scolasticismo potrebbe vedere in essa un qualche allontanamento dalla posizione dei classici (che non fu mai né empiristica, né positivistica, né materialisticovolgare). Proprio lo Engels, nel 1885, concludendo la sua prefazione alla seconda edizione dell’Antiduhring, sottolineava tale complessa storicità della filosofia e insieme delle scienze (delle une in rapporto all’altra) come unico punto di riferimento possibile per liberarsi da qualsiasi visione « metafisica » della natura e « filosofia della natura » 2.

1 M. S., p. 142.

2 « ... Sono le opposizio[...]

[...]el marxismo non è concepito da Gramsci come indifferente o superiore e distaccato rispetto alla concretezza del movimento reale di cui esso è la teoria.

L esigenza di far convergere storicamente l’aspetto di « filosofia di massa » del marxismo con la soluzione dei compiti teorici e scientifici più alti e complessi, cioè l’esigenza di una « cultura integrale », che sulla base della classe rivoluzionaria, possegga una espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò in Gramsci essenziale alla dinamica stessa del marxismo e viene a caratterizzare la sua originalità. Anche l’identificazione dialettica operata da Gramsci fra filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia ecc.) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato (come criterio di interpretazione storiografica) 1 o proiettata verso il futuro — non è comprensibile senza

e questo pensiero ha una lunga storia sperimentale; né più e né meno dell’indagine naturalistica sperimentale. Appunto imparando a far propri i resultati dello svilupp[...]

[...]determinata direzione, in cui il suo culminare diventa norma d’azione collettiva, cioè diventa “ storia ” concreta e completa (integrale). La filosofia di un’epoca storica non è dunque altro che la “ storia99 di quella stessa epoca, non è altro che la massa di variazioni che il gruppo dirigente è riuscito a determinare nella realtà precedente: storia e filosofia sono inscindibili in questo senso, formano “ blocco Possono però essere “ distinti ” gli elementi filosofici propriamente detti, e in tutti i loro diversi gradi : come filosofia dei filosofi, come concezioni dei gruppi dirigenti (cultura filosofica) e come religioni delle grandi masse, e vedere come in ognuno di questi gradi si abbia a che fare con forme diverse di “ combinazione ideologica 99 » : AL S., p. 22. Cfr. anche pp. 151 e 232).462

Le relazioni

quella dimensione nuova del filosofare (non ha nulla a che vedere, ad esempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico).

Anche la polemica contro l’idealismo, che si svolge in Gramsci attraverso una serie es[...]

[...]ziata di motivi (legati in gran parte a circostanze della cultura italiana, e specialmente alla discussione col crocianesimo), e conduce altresì a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, è innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo» *, valida per tutti gli uomini, nella realtà di oggi; cioè fede e senso comune non di gruppi ristretti,, legati al privilegio sociale, ma dell’intiera umanità associata. Per converso, la polemica di Gramsci contro le penetrazioni nel marxismo di materialismo volgare o metafisico, benché si svolga su un piano strettamente teorico, comporta anche la relativa giustificazione storica di quelle penetrazioni, come caratteristiche di una fase ancora arretrata del movimento reale (rivoluzionario) di cui il marxismo è espressione2.

Alluna e all’altra polemica è costantemente sottesa la persuasione della autonomia critica [...]

[...]) di cui il marxismo è espressione2.

Alluna e all’altra polemica è costantemente sottesa la persuasione della autonomia critica e originalità filosofica del marxismo, che, come si è detto, è il filo conduttore di tutto il pensiero di Gramsci. Di fronte all’idealismo contemporaneo anche quelle traduzioni e recuperi, a cui si è accennato 3, sono connessi, in grande parte, a questo punto centrale, già nuclearmente presente in Antonio Labriola. « Gli intellettuali “ puri99 —' scrive Gramsci — come elaboratori delle più estese ideologie delle classi dominanti, come leaders dei gruppi intellettuali dei loro paesi, non potevano non servirsi almeno di alcuni elementi della filosofia della prassi, per irrobustire le loro concezioni e moderare il soverchio filosofiamo speculativo col realismo storicista della teoria nuova, per fornire di nuove armi l’arsenale del gruppo sociale cui erano legati. D’altra parte la ten
1 M. S., p. 226.

2 Su questo concetto Gramsci torna frequentemente, studiando i diversi aspetti della questione. Cfr., in part[...]

[...]ideologia più diffusa nelle masse popolari, il trascendentalismo religioso, e credeva di superarlo solo col più crudo e banale materialismo che era anche esso una stratificazione non indifferente del senso comune, mantenuta viva, più di quanto si credesse e si creda, dalla stessa religione che nel popolo ha una sua espressione triviale e bassa, superstiziosa e stregonesca, in cui la materia ha una funzione non piccola. Il Labriola si distingue dagli uni e dagli altri per la sua affermazione (non sempre sicura, a dire il vero) che. la filosofia della prassi è una filosofia indipendente e originale che ha in se stessa gli elementi di un ulteriore sviluppo per diventare da interpretazione della storia filosofia generale ».

In queste parole, a chi ben guardi, troviamo delineato, e nei suoi termini polemici e in quelli costruttivi, l’intiero ambito in cui si muove,, sotto il riguardo teorico e metodologico, il pensiero di Gramsci. Vi è da fare anche un’altra osservazione, che credo assai caratterizzante : quella « indipendenza e originalità filosofica del marxismo » è vista da Gramsci non semplicemente come un dato, come una cosa già fatta, ma come un elemento di sviluppo e di conquista continua delle sue più [...]

[...]pendenza e originalità filosofica del marxismo » è vista da Gramsci non semplicemente come un dato, come una cosa già fatta, ma come un elemento di sviluppo e di conquista continua delle sue più profonde implicazioni. E ciò nel quadro di una lotta ideale in cui sono presenti non solo e non tanto astratti termini ideologici (schematizzati ai loro estremi in idealismo e in un certo tipo di materialismo), ma i concreti portatori di essi, da un lato gli « intellettuali “ puri ”, elaboratori delle ideologie delle classi dominanti », dall’altro le masse popolari, in certo modo depositarie del « senso comune ». Quella lotta ideale in cui il marxismo esplica e sviluppa, di fatto, la sua autonomia filosofica, si presenta cosi immediatamente come momento necessario di una complessa lotta reale. In Gramsci questo nesso non va mai perduto, non è mai obliato.

Quel medesimo nesso determina, ci sembra, il suo modo di concepire

10 svolgimento e l’esposizione del marxismo come filosofia. Soprattutto neirepoca in cui lo sviluppo storico ha posto all[...]

[...]essario di una complessa lotta reale. In Gramsci questo nesso non va mai perduto, non è mai obliato.

Quel medesimo nesso determina, ci sembra, il suo modo di concepire

10 svolgimento e l’esposizione del marxismo come filosofia. Soprattutto neirepoca in cui lo sviluppo storico ha posto alla classe rivoluzionaria

11 problema dell 'egemonia (direzione politica e culturale sull’insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col «senso comune». La nozione di «senso comune» diventa perciò fondamentale.464

Le relazioni

Essa, nel contesto gramsciano, è ben più complessa del convenzionale riferimento che sotto tale denominazione serve molto spesso ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento staticamente contrapposto alla « criticità » della filosofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima [...]

[...]losofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima analisi, con essa conciliabile). Il « senso comune » non è per Gramsci univocamente rappresentabile e riducibile nei suoi contenuti, come se fosse l’espressione di un atteggiamento natmale. Esso è sempre, per lui, « prodotto storico » che contiene, stratifica e cristallizza contraddittoriamente le più varie eredità passive de) passato : oltre, naturalmente, agli elementi attivi da liberare ed elaborare 1. Esso è il terreno su cui esercitano la loro azione e la loro presa le ideologie dominanti di gruppi e di classi (in cui, per esempio, la loro « verità» s’impone alle classi subalterne come superstizione)2. È il terreno cioè in cui si producono e mantengono, in funzione della divisione della società in classi antagonistiche, le resistenze a ogni spinta unificante della coscienza umana. L’assunto implicito, reperibile in molte esposizioni dogmatiche del marxismo, di una propria conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che[...]

[...]...per le grandi masse della popolazione governata e diretta la filosofia o religione del gruppo dirigente e dei suoi intellettuali si presenta sempre come fanatismo e superstizione, come motivo ideologico proprio di una massa servile ».Cesare Luporini

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grande errore e il peggiore che possa commettere un marxista, quello di credere che le masse popolari, costituite da milioni di esseri umani (e soprattutto dalla massa dei contadini e degli artigiani) condannati alle tenebre, all’ignoranza e ai pregiudizi da tutta la società moderna, possano uscire da queste tenebre solo seguendo la retta via di un’istruzione puramente marxista » 1. È, anzi, proprio un problema di tale natura che guida la sua ricerca. La discussione col « senso comune », che egli prospetta come elemento essenziale dello sviluppo costruttivo e della diffusione del marxismo, accanto alla lotta politica e sociale (e a chiarimento di essa), non è mai concepita come frattura con quel medesimo « senso comune ». E ciò non solo per ragioni di opportunità o concretezza politica ed educativa, ma per quel che il « senso comune » racchiude di positiva esperienza storica delle masse subalterne (la « cultura democratica » in esse storicamente immanente e da liberare, come aveva dichiarato Lenin) e in ultima analisi, per la struttura stessa genericamente umana del senso comune, per [...]

[...] di essa), non è mai concepita come frattura con quel medesimo « senso comune ». E ciò non solo per ragioni di opportunità o concretezza politica ed educativa, ma per quel che il « senso comune » racchiude di positiva esperienza storica delle masse subalterne (la « cultura democratica » in esse storicamente immanente e da liberare, come aveva dichiarato Lenin) e in ultima analisi, per la struttura stessa genericamente umana del senso comune, per gli elementi di sperimentalismo che esso contiene, risultato e condizioni del pratico operare.

La critica dunque dei contenuti ereditari del « senso comune » si appoggia, dialetticamente, su di esso e muove non alla sua distruzione, che sarebbe proposito insensato, ma alla sua riforma e sostituzione con una concezione più coerente, che divenga fede, ossia norma intrinseca dell’agire. Il che non avviene né in un giorno, né in astratto, ossia come educazione astratta, verbale e libresca, bensì in connessione con la lotta politica e di classe. Occorre perciò, dice Gramsci, che la « nuova concezio[...]

[...]si*presenti pertanto, entro certi 'limiti, come connessa 'necessariamente alla scienza. Essa concezione nuova magari assumerà inizial
1 Lenin, Il significato del materialismo militante (trad. it. in MarxEngelsmarxismo, Roma, 1952, p. 445).

2 M. S., p. 226.466

Le relazioni

mente forme superstiziose e primitive come quelle delk religione mitologica, ma troverà in se stessa e nelle forze intellettuali che il popolo esprimerà dal suo seno gli elementi per superare questa fase primitiva ».

Queste ultime parole di Gramsci, cosi strettamente connesse all’idea del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma popolare », ci conducono al problema della sua fase moderna di svolgimento : rispetto, intendo dire, all’intiera epoca storica in cui viviamo. La questione è sempre considerata da Gramsci in rapporto a quella del potere e dello Stato e della loro conquista da parte della classe operaia. Non è possibile qui entrare nei particolari (ed il tema è oggetto di un’altra relazione), ma è essenziale ricordare che attravers[...]

[...]derna di svolgimento : rispetto, intendo dire, all’intiera epoca storica in cui viviamo. La questione è sempre considerata da Gramsci in rapporto a quella del potere e dello Stato e della loro conquista da parte della classe operaia. Non è possibile qui entrare nei particolari (ed il tema è oggetto di un’altra relazione), ma è essenziale ricordare che attraverso questo collegamento opera in Gramsci, in maniera decisiva, la nozione leniniana che egli indica costantemente sotto il termine di « egemonia » : e non solo la nozione, ma la sua realizzazione, ossia l’esperienza storica della rivoluzione di Ottobre. Si tratta dei problemi concreti che si sono imposti alla classe operaia nell’« epoca deirimperialismo e delle rivoluzioni proletarie », i problemi delle alleanze di classe, delk direzione politica su altri gruppi sociali, delk connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e delk direzione culturale: problemi nei quali si è straordinariamente allargata, a co[...]

[...]asse, delk direzione politica su altri gruppi sociali, delk connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e delk direzione culturale: problemi nei quali si è straordinariamente allargata, a contatto con lo sviluppo reale, nel nostro secolo, la problematica marxista dello Stato, e di cui fu maestro Lenin. Ora, è importante notare che qui fanno nodo e si articokno tutti gli elementi teorici del pensiero di Gramsci: « L’egemonia realizzata — egli scrive (riferendosi alla rivoluzione di Ottobre) — significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica » \

La quale asserzione, a questo punto, non avrebbe bisogno di ulteriori chiarimenti. Ma essa guadagna la pienezza del suo significato se la proiettiamo in un contesto concettuale più largo. Scrive altrove Gram
1 M. S., p. 75. Ove anche si legge: «La fondazione di una classe dirigente (cioè di uno Stato) equivale alla creazione di una W eltanschauung. L’espressione che il proletariato tedesco è l’erede della filosofìa classica tedesca, come deve essere intesa? Non volev[...]

[...]schauung. L’espressione che il proletariato tedesco è l’erede della filosofìa classica tedesca, come deve essere intesa? Non voleva indicare Marx l’ufficio storico della sua filosofia divenuta teoria di una classe che sarebbe diventata Stato? Per Ilic questo è realmente avvenuto in un territorio determinato ». Cfr. p. 32 e passim.Cesare Luporini

AGI

sci: «La proposizione contenuta nella introduzione alla Critica dell’Economia politica che gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura sul terreno delle ideologie deve essere considerata come un affermazione di valore gnoseologico, e non puramente psicologico e morale. Da ciò consegue che il principio teoricopratico dell’egemonia ha anch’esso una portata gnoseologica e pertanto in questo campo è da ricercare l’apporto massimo di Ilic [Lenin] alla filosofia della prassi » \ Un imponente gruppo di problemi teorici, metodologici, storiografici, che si è costretti a tralasciare, si collega a questa affermazione. Sono i problemi relativi alla realtà e storicità delle soprastrut[...]

[...]n la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie non universali concrete ma rese caduche immediatamente dall’origine pratica della loro sostanza. C’è quindi una lotta per l’oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l’unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano 44 spirito ” non è un punto di partenza ma d’arrivo, l’insieme delle soprastrutture in divenire verso l’unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario ecc. La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione... » 2.

È un modo di considerare le cose che pone immediatamente il problema del marxismo come soprastruttura. Ma vi è, dice Gramsci, « una

1 M. Sp. 39.

2 M. S., p. 142.468

Le relazioni

differenza fondamentale tra la filosofia della prassi e le alt[...]

[...]si ideale illusoriamente risolutiva dei contrasti reali. All’opposto,, essa è «!la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intiero gruppo sociale, non solo, comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi azione» 3.

Qui è il nocciolo del modo in cui Gramsci intende la dialettica, secondo che egli aveva appreso, congiuntamente, dalia sua strenua esperienza di lotta e dalla lezione dei classici (si pensi, in particolare, al metodo con cui Marx svolse la polemica contro Proudhon nella Miseriadelia filosofia, considerata da Gramsci un momento essenziale della formazione della « filosofia della prassi » 4). Cosi, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l’irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità » ), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare [...]

[...]della prassi » 4). Cosi, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l’irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità » ), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare un’asserzione del Graziadei, che presentava Marx « come unità di una serie di scienziati » Gramsci commenta : « Errore fondamentale : nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettualmente un’età storica, che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all’avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata » 5.

1 M. S.y p. 237.

2 L’espressione « metter le brache al mondo » ripresa da Gramsci contro Croce per indicare il moderatismo della sua filosofia, era stata dal Croce stessa adoperata nella introduzione al primo fascicolo de La Critica.

3 M. S., pp. 9394.

4 Mach., p. 31 (in nota).

5 M. S., p[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] S. Cambareri, Il concetto di egemonia nel pensiero di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]ibero ricorso alle opere di quei pensatori che in modo autonomo e originale hanno saputo approfondire le diverse questioni del movimento proletario. E nessuno può negare che con Gramsci ci troviamo di fronte ad un pensiero di rara, originale potenza; pensiero dinamico, pensiero senza retorica, pensiero distruttivo e costruttivo, pensiero reale, profondamente radicato nella concreta situazione storica italiana. Per la formulazione delle sue tesi egli, infatti, parte sempre da necessità nazionali, cioè dai problemi della società italiana nella sua finita situazione storica; il suo « dato » è l'istanza presente o storicomateriale, in funzione di questa egli analizza i diversi problemi sino a pervenire ad una ipotesi risolutiva che non rimane astrazione concettuale, ma si invera nel « fatto » come prova
7.
88 I documenti del convegno
sperimentale, salto qualitativo, rispetto agli elementi analizzati. Questa impostazione metodologica riflette una forte esigenza di storicità reale e colloca il pensiero di Gramsci nell'ambito della corrente marxistaleninista, mentre dimostra, nel contempo, come il marxismo, da concezione universale del mondo, abbia in sé la capacità di articolarsi, particolarizzarsi per divenire espressione conseguente di nuclei nazionali storicamente e diversamente configurati pur rimanendo identico a se stesso. E questa la novità, la originalità del pensiero di Gramsci ed è questo quanto, a nostro avviso, in questi ultimi dodici anni di battaglie cultu[...]

[...]ambito della corrente marxistaleninista, mentre dimostra, nel contempo, come il marxismo, da concezione universale del mondo, abbia in sé la capacità di articolarsi, particolarizzarsi per divenire espressione conseguente di nuclei nazionali storicamente e diversamente configurati pur rimanendo identico a se stesso. E questa la novità, la originalità del pensiero di Gramsci ed è questo quanto, a nostro avviso, in questi ultimi dodici anni di battaglie culturali, non è stato posto sufficientemente in risalto talché si è discusso con passione,. si è confutato seriamente il problema, per es., del dogmatismo, dell'ortodossismo nella concezione marxiana, laddove si trattava di pure celie, di « trastulli piccoloborghesi ». Che il marxismo rettamente inteso possegga una interna difesa contro l'astratto dogmatismo, in quanto non può significare nulla come teoria, né può in alcun modo funzionare come metodo, se non nella piú stretta aderenza alla storia dalla quale nasce ed alla quale deve in ogni momenta ripetere la validità di una verifica scien[...]

[...] come teoria, né può in alcun modo funzionare come metodo, se non nella piú stretta aderenza alla storia dalla quale nasce ed alla quale deve in ogni momenta ripetere la validità di una verifica scientifica, in funzione della trasformazione della società e della azione rivoluzionaria, ecco quanto il pensiero di Gramsci mirabilmente conferma ed ecco quanta non han saputo intendere coloro che si son lasciati avviluppare, di fronte allo incalzare degli avvenimenti, quanto meno da remore psicologiche e da pentimenti morali, ponendosi su posizioni « revisionistiche » e di « superamento » e cosí svuotando del suo contenuto piú genuino ed autentico la teoria rivoluzionaria del proletariato.
Se teniamo presente quale importanza abbia assunto nel pensierodi Lenin il concetto di « egemonia », ci rendiamo conto, rileggendo le opere di Gramsci, quanto profonda sia stata l'influenza esercitata da Lenin su Gramsci, ma lo sforzo problematico di questi di « tradurre »
1 La questione della « traduzione », nel contesto della filosofia della prassi, del [...]

[...]profondamente nazionali... tale sintesi era necessaria per un superiore sviluppo della filosofia della prassi, in quanto rendeva possibile,
Serafino Cambareri 89
nella filosofia della prassi quanto di piú progredito ed avanzato era stato raggiunto dal pensiero europeo, ed in particolar modo dal pensiero italiano, rende nel Nostro il medesimo concetto assai piú ricco e complesso rispetto al concetto leninista ed è questo, a nostro avviso, uno degli aspetti fondamentali del pensiero di Gramsci, le cui impostazioni critiche, peraltro, si presentano sempre con una personale, feconda problematica. Il problema generalissimo che Gramsci ha ereditato da Lenin è stato quello della rivalutazione costruttiva, positiva del partito politico del proletariato, in quanto espressione della classe che « rappresenta costantemente l'interesse del movimento complessivo che spinge sempre avanti la rivoluzione » 1 per modo che questa classe da una posizione subalterna possa divenire « egemone » e dalle semplici rivendicazioni economicocorporative possa affer[...]

[...]n nuovo Stato
e di una nuova egemonia. Perché la classe operaia possa affermare, sviluppare, potenziare la sua egemonia come forza nuova nella storia moderna, deve possedere le armi ideologiche piú raffinate e decisive, deve assumere una posizione di lotta politica ed ideologica di contro alla classe borghese tutta tesa al mantenimento, alla conservazione del suo dominio politico e quindi al mantenimento della sua egemonia. Di qui la funzione degli intellettuali « organici » ai quali è commesso il compito di lottare per la assimilazione e la conquista ideologica degli intellettuali tradizionali e per la « egemonia » della loro classe, organizzando la classe stessa nella lotta politica e nella fondazione del nuovo Stato 2. Di qui si
con la eliminazione di ogni forma di materialismo volgare o di marxismo deteriore, un reale superamento delle forme piú alte della cultura italiana » (op. cit., p. 19). Tesi assai suggestiva che contesta essere stato il linguaggio di Gramsci un mero espediente per sfuggire alla censura ecc., tesi che richiede, a nostro avviso, ulteriori approfondimenti, anche se l'autore ha creduto di collocare il pensiero gramsciano nell'alveo[...]

[...]eteriore, un reale superamento delle forme piú alte della cultura italiana » (op. cit., p. 19). Tesi assai suggestiva che contesta essere stato il linguaggio di Gramsci un mero espediente per sfuggire alla censura ecc., tesi che richiede, a nostro avviso, ulteriori approfondimenti, anche se l'autore ha creduto di collocare il pensiero gramsciano nell'alveo del pensiero di B. Croce.
1 K. Mnxx e F. ENGELS, Manifesto del Partito comunista, trad. Togliatti, Roma, Ediz. Rinascita, 1947.
2 I., pp. 3, 7 passim.
90 I documenti del convegno
evince come i problemi del partito politico della classe operaia e della fondazione dello Stato socialista abbiano avuto nel pensiero di Gramsci un posto preminente; e chi ricorda la lotta intransigente combattuta da Lenin contro le concezioni che vedevano la rivoluzione socialista svolgersi in modo spontaneo, senza la necessità della guida di un partito e di un programma che desse sicuri e realistici obiettivi di lotta, non può non registrare la straordinaria analogia con la posizione assunta da Gramsci n[...]

[...]perienza storiografica o una problematica filosofica.
3 M. S., p. 201.
Serafino Cambareri 91
riato, senza dubbio, viene sviluppato per la prima volta da Lenin; troviamo già nelle opere di Marx implicito un tale concetto 1, ma in Lenin il principio dell'egemonia assume, e non può non assumere, data la congiuntura storica nella quale operava il grande rivoluzionario, una significazione di « strategia rivoluzionaria » come sistema di « guida » degli altri raggruppamenti sociali nella lotta contro il vecchio regime z. Lenin insomma parla di egemonia, cioè del « consenso » dei diretti solo quando il proletariato trionfante, dápo aver imposto la sua dittatura, crea le corrispondenti condizioni a questo scopo, giacché le masse non sono in grado di impadronirsi della cultura, esercitando la classe antagonista non soltanto la schiavitú economica, ma altresí politica ed ideologia. È chiaro che quando la classe subalterna conquista il potere la rivoluzione culturale diventa rapida e completa, ma il concetto gramsciano è che la classe operaia, pr[...]

[...]a ancora della materiale conquista del potere, debba esercitare la sua funzione dirigente attraverso l'« egemonia politicoculturale ». Essa classe dovrà essere la guida, quali che siano i raggruppamenti politici nei quali si incarnano le sue aspirazioni; essendo il marxismo l'ideologia tipica, conseguente, di questa classe, solo i partiti che si richiamano al marxismo inteso nella sua piú genuina essenza rivoluzionaria possono essere considerati gli strumenti efficaci che conducono al rovesciamento delle fondamenta classiste dello Stato borghese. È chiaro che la classe esiste solo dove e quando ha la coscienza di agire come tale e questa coscienza deve e può esprimersi in un partito o in piú partiti, a seconda delle condizioni storiche oggettive e soggettive nelle quali la classe è costretta ad operare. Ma di questo, cioè del rapporto classepartitopartistiStato, tratteremo in seguito. Rileviamo ora come Gramsci, partendo dalla premessa che la classe operaia crea le condizioni per la conquista del potere, ponendosi come guida delle piú gr[...]

[...]per la conquista del potere, ponendosi come guida delle piú grandi masse della propria nazione, come forza sociale e politica la cui ideologia, il marxismo, riesce ad influenzare e ad attrarre la stessa intellettualità borghese, marxisticamente, vede la possibilità dello sviluppo della cultura, quindi la possibilità del supera
Soprattutto nel Manifesto, là dove il partito è presentato come « coscienza » della classe capace di intendere non solo gli interessi immediati di questa, ma anche l'avvenire del movimento.
2 Cfr. Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democraticaborghese, in LENIN, Opere scelte, ed. cit., vol. I.
92 I documenti del convegno
mento della alienazione umana solo nel « superamento della estraneazione economica ». Egli si chiede: « Può esserci riforma culturale e cioè elevamento civile degli strati depressi della società, senza una precedente riforma economica e un mutamento nella posizione sociale e nel mondo economico? Perciò una riforma intellettuale e morale non può non essere legata ad un programma di riforma economica, anzi il programma di riforma economica è appunto il modo concreto con cui si presenta ogni riforma intellettuale e morale » 1. È qui che trova forma e consistenza la sua critica alla concezione della storia, come storia eticopolitica, di B. Croce, che pretende imporre i cosiddetti valori dello spirito a chi manca delle piú elementari condizioni del vivere civ[...]

[...] osservazioni di Gramsci, ed altre, si concludono nel riconoscimento del valore della storia eticopolitica, in quanta non prescinda dal concetto del « blocco storico », in cui contenuto economicosociale e forma eticopolitica si identificano concretamente. Qui non si intende seguire il Nostro attraverso le sue indagini volte a mostrare i momenti della egemonia nelle varie epoche storiche; notiamo soltanto l'impressionante ricchezza di motivi che egli ci offre sul problema della egemonia, della direzione politica e culturale legata sempre al contenuto economicosociale e alla organizzazione statale. Secondo Gramsci i modi con i quali un gruppo sociale manifesta la sua egemonia sono due: il « dominio » e la « direzione intellettuale e morale »; dominare significa liquidate o sottomettere anche con la forza armata i gruppi avversari; « dirigere » significa porsi alla testa dei gruppi affini e alleati. Gramsci
Mach., p. 8.
2 M. S., p. 189.
Serafino Cambareri 93
insiste — ed è questo suo insistere che ci convince circa la ricchezza. l'impor[...]

[...] crediamo che il pensiero di Gramsci rappresenti una esperienza ulteriore, piú avanzata rispetto al marxismoleninismo. Il fatto che Gramsci abbia posto l'accento sul momento della direzione intellettuale e morale come condizione della conquista e dell'esercizio del potere, risulta piú evidente ove si pensi alla sua instancabile lotta teorica e pratica condotta per la « creazione di un nuovo ceto intellettuale educato nel mondo della produzione » Gli è che la classe borghese esita a portare avanti la sua stessa rivoluzione e quindi è incapace di democraticismo conseguente; ma per il movimento proletario porsi alla testa degli altri gruppi significa essere capace di legare a sé altre classi, con la « persuasione permanente », o tramite i suoi intellettuali il cui modo di essere « non può piú consistere nella eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, " persuasore permanente "... [intellettuali che] dalla tecnicalavoro [devono} giungere alla tecnicascienza e alla concezione umanistica e storica senza la quale si rimane " speciallista" e non si diventa "dirigente" (specialista + politico)» 2. In tal modo il proletariato ha chiara davanti a sé la funzione conservatrice e reazionaria della borghesia, isola la borghesia, l'indebolisce, pone le condizioni per la conquista del potere. È chiaro, dunque, che non basta l'avanguardia, che pure[...]

[...]davanti a sé la funzione conservatrice e reazionaria della borghesia, isola la borghesia, l'indebolisce, pone le condizioni per la conquista del potere. È chiaro, dunque, che non basta l'avanguardia, che pure è la « coscienza » della classe, per la conquista del potere. Gramsci si è posto il problema del partito politico intellettualecollettivo in quanto matura espressione della classe, in quanto coscienza storica operante concretamente. Invero egli si trovava di fronte ad un partito socialista dilaniato da contrasti non sempre di fondo, dominato dalla socialdemocrazia, dalla cor
1 R., pp. 70, 71.
2 I., p. 7.
I documenti del convegno
ruzione, dall'opportunismo, e che certamente non poteva essere lo strumento piú adatto per una rivoluzione culturale e morale, e tanto meno per la fondazione di un nuovo tipo di Stato. Talché la classe, in quella congiuntura storica, e sotto il fascismo, si identificò in un solo partito, anche se altri gruppi sociali si trovarono sulle medesime posizioni di latta; oggi, le condizioni sono mutate e la cl[...]

[...] e strappi il possesso dei mezzi di produzione ai loro privati detentori. Non si tratta qui della assunzione di pieni poteri da parte dell'avanguardia per reprimere i molti, ma al contrario della grande maggioranza per restituire alla comunità il dominio e l'uso dei mezzi di produzione indebitamente e contradditoriamente accaparrati dai pochi. È questo il senso della democrazia di nuovo conio di cui parla Lenin, è questo lo sforzo che perseguono gli intellettuali « organici » , quello cioè di chiarire, per la azione rivoluzionaria, il significato del rapporto democraziasocialismo e tutte le questioni generali connesse al termine « democrazia moderna » 2.
1 Vedi « Dichiarazione Programmatica » dell'VIII Congresso nazionale deI PCI. Cfr. Stato e Rivoluzione di Lenin, ed. cit.
2 A questo proposito vedi: G. DELLA VOLPE, Rousseau e Marx, Roma, Ed. Riuniti, 1957, là dove si dimostra, tra l'altro, il nesso storico Rousseau socialismo e la continuità della genuina problematica egualitaria russoiana nel socialismo scientifico.


precedenti
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Gli, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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