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da Emilio Franzina, Noterelle e schermaglie. Gli smarrimenti di Clio in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]i » t hanno messo in crisi la « funzione sociale del passato » studiata da Eric Hobsbawm 2 e tutte le ricostruzioni tese a una meccanica legittimazione del presente: « Le inadeguatezze e le usure che si scontano in questo presente, rispetto ai problemi posti dal mutamento e alle incognite che lo accompagnano, ci fanno misurare, tutta intera, una crisi della conoscenza storica, che corrisponde a quella piú generale dei rapporti politicaculturasocietà, e rispetto alla quale è davvero difficile lavorare sulla base di ipotesi che presuppongono formulazioni di sintesi... » (Storia nazionale cit., p. 103).
A confermare il fatto che le inquietudini e la graduale trasformazione d'interessi di parte non piccola della critica si muovono in sintonia con un mutamento « antropologico » in atto dentro alle strutture della società italiana di questi ultimi anni, basterebbe l'elencazione dei nuovi oggetti d'indagine privilegiati da molti ricercatori e assecondati, o esaltati, dalle scelte d'una editoria ritrovatasi anch'essa in grandi affanni.
Storia sociale ed oral history, etnostoria e storia della mentalità o, piú nebulosamente, « microstoria » e storia delle classi subalterne, si manifestano come i campi d'intervento preferiti da intere leve di studiosi (giovani per lo piú), che non sembrano intenzionati a ingrossare solo le file della nostra gonfiata contemporaneistica. Sebbene non manchino i segni di continuità c[...]

[...] E. J. HOBSBAWM, La funzione sociale del passato, in « Comunità » gennaio 1974, n. 171, pp. 1327.
3 Cfr. B. BERNARDI, C. IONI, A. TRIULZI (a cura di), Fonti orali. Antropologia e storia, Milano, Angeli, 1978, passim.
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 347
Persino se considerata da un tale punto di vista, dunque, la « conversione » al sociale e al particolare di non pochi storici rispecchia qualcosa di piú di una semplice moda e mette a nudo la provvisorietà di certe affrettate riaffermazioni di « autonomia del politico » 4 o almeno la strumentalità di quelle che si portano addosso le stimmate di un parziale disegno restauratore 5.
Agli sbocchi finali della lunga crisi che ha indebolito e sfibrato in Italia lo storicismo, non si contrappongono, però, proposte alternative convincenti sul piano del pensiero e della teoria che pur devono continuare a guidare la mano di ogni storico desideroso di dare un senso alla sua ricerca e al suo rapporto con il passato e con il presente. Ponendosi sul piano del metodo e rivendicando produttività ed efficacia [...]

[...]i verso il privato, il soggettivo, l'extraistituzionale ecc. (e quindi molta storia orale, collegamenti piú stretti fra ricerca e didattica, maggiore spazio concesso agli outsiders e agli storici « selvaggi »1° e di complemento).
Nessuna di queste proposte, sovente fra loro intersecate, è in grado di risolvere, come si vede, il problema centrale di tipo euristico e conoscitivo, ma il modo in cui ciascuna di esse, articolandosi nella realtà concreta, risulta formulata, minaccia di sconvolgere, e già rimescola, i piú consolidati equilibri di « scuola » e di « corrente », di spartizione degli spazi editoriali e di accesso
10 Per la definizione dr. M. ISNENGHI, Nascita degli storici «selvaggi»?, in « Schema », I, 1979, n. 2, pp. 7780.
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 349
agevolato ai massmedia, di prestigio accademico e di potere universitario. L'irrompere di tante novità acuisce ed amplifica, ma rende anche piú chiara la crisi attraversata dalla nostra storiografia. La quale, infatti, nei suoi settori piú statici e vagamente reazionari avverte i[...]

[...]iano della ricerca documentaria, « risultati non privi di interesse », non è assolutamente il caso d'insistere anche perché il feticismo delle fonti che avvicina l'impianto mentale e teorico dei positivisti in ritardo alla De Felice alle tradizionali inclinazioni dei vecchi eruditi ed accatastatori di dati è già stato piú volte criticato 14. Ma sul tentativo di esorcizzare lo spettro di nuove situazioni fluide e progressive e di stornare la concreta minaccia di frattura incombente sui corpi istituzionali e coesi della storiografia accademica o « accreditata », occorre riflettere perché nessuno può piú credere oggi che la « questione della strutturazione delle ricerche e degli scambi sia secondaria » 15
Il problema concreto dell'organizzazione del lavoro storico e delle sue forme di sostentamento richiama alla mente in modo spontaneo le condizioni della ricerca « protetta » in cui non a caso s'inseriscono, assieme agli inevitabili aggregati accademici e di potere, anche uomini e gruppi dall'attività meno appariscente, piú silenziosi e di[...]

[...]zione occorre compiere qualche passo indietro. La crisi della ragione storica, si è detto, può essere estensivamente intesa come rottura o interruzione delle usuali forme di trasmissione della memoria collettiva. Ancor meglio essa coincide, in modo proprio, coll'attuale impasse della produzione storiografica italiana di cui parla Silvio Lanaro opportunamente segnalando il venir meno « di tutti i linguaggi
14 E. GALLI DELLA LOGGIA, R. ROMANELLI, Età contemporanea: storia del capitalismo
o storiografia « volgare »?, in « Quaderni storici », VIII, 1, gennaioaprile 1973, (22), pp. 4348.
15 E. GRENDI, La storiografia italiana ieri, in « Quaderni storici », xlv, 1, gennaioaprile 1979, (40), p. 310,
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 351
appresi ». Questo conduce ad una posizione di stallo definibile di « egemonia vacante »: « Vacante da parte degli storici della sinistra, marxisti, del movimento operaio (anche genericamente intesa), ma vacante [pure da parte] della storiografia liberaiborghese » (Storia nazionale cit., p. 118). È appunto nel vuoto a[...]

[...] contributi di sicuro rilievo costantemente forniti dai collaboratori stranieri e di altra estrazione), essa rappresenta l'esempio forse meglio riuscito del modo meno adeguato di rispondere al comune bisogno di « senso storico » e alle domande di proficuo rapporto
352 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
fra livelli generali e particolari fra vicende politiche e strutture sociali, mentali ecc.
Sorvoliamo pure sulla labilità delle pretese ideologico/interpretative di fondo che sorreggono l'impalcatura di tale iniziativa e sullo stesso evidente ritardo che ne contraddistingue l'affiliazione in extremis all'indirizzo sociale delle abusate « Annales » 16: anche per quanto concerne il campo assai specifico della storiografia socioreligiosa rimane sempre la sgradevole impressione che l'operosità grande e puntualmente divulgata di questa « scuola in fieri » si limiti a realizzare, in troppe occasioni, il recupero meccanico di una produzione erudita e minore la quale di per sé non riuscirebbe (e per noi non riesce) a proporsi come modello convincente di m[...]



da [Le relazioni] R. Cessi, Lo storicismo e i problemi della storia d'Italia nell'opera di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]iore, ma profondo interesse, capace di stabilire un equilibrio critico nella esposizione e nell’analisi di ogni nuova teoria.

Nel profilo del pensatore, piuttosto irruento, di carattere polemico ed assente di spirito di sistema, nella personalità, nella quale l’attività teorica e quella pratica sono, indubbiamente, interessate, nell’intelletto in continua creazione ed in perenne movimento, che sente rigorosamente l’autocritica nel modo più spietato e conseguente, non è difficile ravvisare la esperienza della sua mente assillata dall’impegno di elaborazione intellettuale in presenza di una crisi Che, forse, non era ancora superata.

L’orientamento crociano, cui era stato sospinto dalla suggestione dei primi studi, anche nel distacco prodotto successivamente dall’approfondiRoberto Cessi

All

mento spirituale ed intellettuale, aveva lasciato una naturale traccia, che inconsapevolmente affiora nell’intimo processo dialettico della polemica, nella quale si sforza di trovare giustificazione alla diversa posizione dottrinaria.

Vi [...]

[...] era stato sospinto dalla suggestione dei primi studi, anche nel distacco prodotto successivamente dall’approfondiRoberto Cessi

All

mento spirituale ed intellettuale, aveva lasciato una naturale traccia, che inconsapevolmente affiora nell’intimo processo dialettico della polemica, nella quale si sforza di trovare giustificazione alla diversa posizione dottrinaria.

Vi è pure un elemento comune: lo storicismo, anche se diversa è l’interpretazione, e per suo tramite si insinua un inavvertito spirito crociano, che ad un attento lettore non sfugge e dal quale l’Autore abilmente si disimpegna, facendo appello alla potente vigoria di intuizione del suo intelletto.

Egli non dettò un sistema, forse perché non riconosceva validità nel sistema come tale, e più spesso egli ha proposto, in forma polemica, con abbondante ed attenta raccolta di materiale, con larga erudizione, con ampia informazione, quale gli era consentita dalle difficoltà, che si opponevano al suo metodico lavoro, i temi dei problemi, che apparivano alla sua mente non s[...]

[...]ficazione e fondamento le obiezioni e le censure, che egli opponeva a prospettive contrastanti.

Le penose vicende della vita non gli consentirono né il tempo, né i mezzi, né l’opportunità di ricondurre, dopo una tenace meditazione, in un quadro organico i concetti progressivamente elaborati.

Nella posizione metodologica del Gramsci tale assenza, a causa della quale la grandiosa opera di introspezione si presenta con carattere di frammentarietà, non rappresenta né immaturità di pensiero, né incertezza di orientamento, anche se affermazioni casuali ed aforismi staccati, talora, lasciano scoprire sconcertanti oscillazioni.

La forte inquietudine polemica, che si rivela nella sua posizione critica, costituiva un abito mentale, che inconsapevolmente lo allontanava da una elaborazione sistematica, che potesse apparire dogmatica. La polemica era argomento strumentale, non soltanto formale e contingente, ma intrinseco del processo critico e del processo dialettico.

Nel proporre il programma di un compendio dell’economia politica, egli[...]

[...]sso giudicava in continuo divenire. L’adozione di un termine « filosofia della prassi », che ricorre in tutti i suoi scritti, non è una preziosità, né un gergo imposto da necessità, come a torto si vuole giustificare, o dall’amore di novità, senza un profondo significato teorico e pratico. Nel quadro del marxismo e dei suoi sviluppi si collocava con una concezione originale della vita e del mondo.

Una concezione originale dedotta dalla interpretazione storica della sua espressione filosofica, che è: storia, politica ed economia, in quanto « come scienza della dialettica e della gnoseologia » — sono sue parole — riconduceva a unità i concetti generali di storia, di politica e di economia, i quali possono essere teorizzati, anche se i fatti non sono sempre individuabili e sono mutevoli nel flusso del movimento storico, per non cadere in una nuova forma di nominalismo.

Ma con ciò non si vuol ridurre la filosofia della prassi ad una sociologia — egli subito commentava —, che altro non è che ideologia, se non si vuole ridurre una concez[...]

[...]oli nel flusso del movimento storico, per non cadere in una nuova forma di nominalismo.

Ma con ciò non si vuol ridurre la filosofia della prassi ad una sociologia — egli subito commentava —, che altro non è che ideologia, se non si vuole ridurre una concezione del mondo ad una formula meccanica pseudo storica. L’esperienza, su cui si fonda la filosofia della prassi,, non può essere schematizzata; essa è la storia stessa nella sua infinita varietà e molteplicità, il cui studio può dar luogo alla nascita della filosofia come metodo dell’erudizione nell’accertamento dei fatti particolari ed alla nascita della filosofia intesa come metodologia generale della storia.

In questa prospettiva lo storicismo marxista — secondo il pensiero del Gramsci — non poteva essere circoscritto nell’ambito di un rigido economismo del vecchio materialismo, del materialismo volgare, del materialismo empirico — egli soggiungeva — e confuso con lo storicismo eticopolitico dell’idealismo speculativo e neppure con il dogmatismo storicogiuridico tedesco (al qua[...]

[...]Alò

derivati i valori negativi, negli aforismi e nei criteri piratici, dei quali si è rivestita la filosofia della prassi, ritrovava esemplificata tutta una concezione del mondo, una filosofia, nella quale l'immanentismo hegeliano era diventato storicismo, uno storicismo assoluto, un umanesimo assoluto.

Ma qui si potrebbe chiedere se lo stesso concetto di storicismo, cosi proposto, non scivoli in un dogmatismo pari a quello del teologismo metafisico o dell’astrattismo giuridico, nell’apparenza di immanentismo, e non postuli negli effetti un presupposto trascendente e non si trasformi in un’astrazione e diventi anch’esso una mitologia e si affondi nel mito delle categorie, quali ad esempio furono formulate dalla scienza giuridica tedesca sul concetto di « Stato » e dalla scienza politica inglese sul concetto di « Nazione ». E può nascere il dubbio che anche là concezione storicistica del mondo, in definitiva, non scaturisca anch’essa da un apriorismo caratteristico, sul quale si configuri come proprio modello.

Confesso che accols[...]

[...] diventa restrittiva, se si limita alla funzione di scoperta del trascendente, dell’ignoto, e creazione razionale utile agli uomini(^per allargare il loro concetto di vita.

È legittimo il timore che lo" schematismo teorico deU’analisi dei concetti nella presunzione di attingere a rapporti concreti si traduca poi in una riduzione dei rapporti stessi, nei quali si presume che il dato storico trovi la sua estrinseca manifestazione, in una interpretazione disforme del suo contenuto sostanziale.

Tali obiezioni sono doverose per prevenire facili deviazioni, proprio per eliminare l’errore di una logica formale, sostanzialmente identico al presunto errore, che si presume rilevare nella storia, che altro non è che errore di postuma interpretazione.

Nella storia non esistono errori, ma atti suscettibili di diversa interpretazione e valutazione, ih paragone di determinati, opposti e contrari interessi, siano essi materiali, contemporanei all’azione, od intellettuali di successivo apprezzamento.474

Le relazioni

Storia e storiografia

Ma qui conviene distinguere fra accertamento degli elementi componenti ed applicazione comparativa, la quale può essere soggetta all’errore di interpretazione.

Che cosa significa il termine « storia » ? Troppo spesso si scambiano indifferentemente i due termini storia e storiografia, quasi fossero sinonimi ed esprimessero identiche prospettive, e perciò concezione storiografica equivalesse ed equivalga a creazione storica. In realtà occorre ben differenziare i due concetti, in quanto rappresentano due processi diversi, i cui valori sono diversi anche se interdipendenti.

Storia — tecco ili concetto fondamentale di Gramsci — si identifica nella vita del mondo, nella quale attore non è la natura, ma l’uomo, non però ridotto ad una semplice [...]

[...]r la nascita e l'adempimento dei compiti, che la umanità si propone di risolvere, si presuppone la esistenza attuale e naturaleRoberto Cessi

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nel processo del divenire delle condizioni materiali atte alla loro soluzione;

2) ima formazione sociale non perisce prima di avere esaurito le forze produttive di cui è capace e prima che non siano subentrati nnovi e più attivi rapporti di produzione maturati nel seno stesso della vecchia società. "'n

Attraverso questa dinamica si sviluppano le funzioni positive e ricostruttive e quelle negative e distruttive del processo storico, e la storia si attua in una serie intermittente di rapporti, che producono il ritmo del rinnovamento sociale.

Come la vita è un costante divenire, cosi le espressioni nelle quali

i

si concretizza sono in perenne movimento, operanti in una unità organica costituente il blocco storico: l’unità della natura e dello spirito.

E però, se la filosofia nella suprema sua sintesi come scienza della dialettica o gnoseologia riporta ad unità organica i c[...]

[...]iù può apprezzarsi come filiazione metodologica della storia, non ad una statistica subordinata alla legge dei grandi numeri, della quale non occorre rilevare l’errore politico per il rigido metodo, che la informa, non ad una filosofia intesa come metodologia generale della storia, e che entra piuttosto nell’ambito della storiografia.

La filosofia della prassi concepita nella sua funzione unificatrice è la storia stessa nella sua infinita varietà e molteplicità suscettibile di rappresentazioni attraverso le applicazioni storiografiche essenzialmente metodologiche.

La filosofia della prassi non è un metodo, come non lo è la storia. I valori metodologici, che spesso si riducono a dogmatica casistica, non possono sostituire quelli dialettici di quella. Metodo sono la sociologia, la statistica, passibili di errore per la insufficienza di conoscenza, che limita il significato della scienza. E se presupposto scientifico della metodologia storica è solo la capacità astratta di prevedere l’avvenire della società, la storiografia, in questo[...]

[...].

La filosofia della prassi non è un metodo, come non lo è la storia. I valori metodologici, che spesso si riducono a dogmatica casistica, non possono sostituire quelli dialettici di quella. Metodo sono la sociologia, la statistica, passibili di errore per la insufficienza di conoscenza, che limita il significato della scienza. E se presupposto scientifico della metodologia storica è solo la capacità astratta di prevedere l’avvenire della società, la storiografia, in questo sforzo, trova motivi di insuperabile476

Le relazioni

limitazione, perché anche senza considerare che la previsione non è atto scientifico di conoscenza, in quanto ciò che sarà, è non esistente ed inconoscibile, la previsione stessa, però, può limitarsi a prevedere la esistenza della lotta, ma non i momenti concreti di essa, risultanti da forze contrastanti in continuo movimento, non riducibili a quantità fisse: e ia quantità diventa qualità.

Con ciò però non credo si possa arrivare ad una negazione drastica di leggi anche neH’ambito del mondo morale; anal[...]

[...]rtamento, a quanto si verifica nel mondo fisico, regolano i rapporti umani, che non sono generati da arbitrio.

Latto di volontà umana non è arbitrio, ma risultato di un processo sociale, di cui ignoriamo o non riusciamo a scoprire gli elementi componenti — aspetto statico —, e le funzionalità — aspetto dinamico —, ma non per questo è abbandonato al caso, all’accidente, al contingente, senza norma e regola; non è quello rispondente alla interpretazione empirica del senso comune, che è fattore secondario, o quello pseudo scientifico di una logica formale. Anche essa, forma secondaria, è derivata dal processo storico.

Anche il principio di causalità mantiene il proprio valore, anche se è difetto di conoscenza. Ecco dove riposa e dove mi si presenta il dubbio, che io avevo sollevato all’inizio, sopra il carattere subiettivo, che il Gramsci attribuiva alla conoscenza. Questo carattere subiettivo, che è determinato non dall’assenza assoluta di qualche elemento esterno, ma dal fatto che la conoscenza stessa è limitata per effetto della li[...]

[...]lla realtà, nata da una credenza religiosa e dalla esperienza del senso comune, è stata superata dalla filosofia moderna con la concezione della soggettività del reale, secondo la quale la realtà del mondo è una creazione dello spirito umano. Il mateRoberto Cessi

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rialismo storico rettifica questa concezione affermando che le ideologie sono espressione delle strutture e si modificano con il modificarsi di esse; isi ha quindi una interpretazione storicistica delle sovrastrutture.

Oggettivismo, in questo caso, non assume il significato proprio del materialismo metafisico, di una oggettività, che esista anche fuori dell’uomo, e di una realtà, che esiste anche se non esistesse l’uomo (concezione metafisica o mistica), ma nel senso che noi conosciamo la realtà solo in rapporto all’uomo, eysiccome l’uomo è divenire storico, anche la conoscenza e la realtà sono un continuo divenire, ed anche l’oggettività è un divenire. L’attività sperimentale dello scienziato è lo strumento di mediazione dialettica fra l’uomo e la natura, quello si pone in rapporto con questa, penetra in essa, la conosce, la domina e scopre l’unità del mondo.

Ma poiché la concezione filosofica dello storicismo si identifica nella storia, ed apprezzando la sua stessa validità storicamente, cioè fase transitoria del pensie[...]

[...]a l’uomo e la natura, quello si pone in rapporto con questa, penetra in essa, la conosce, la domina e scopre l’unità del mondo.

Ma poiché la concezione filosofica dello storicismo si identifica nella storia, ed apprezzando la sua stessa validità storicamente, cioè fase transitoria del pensiero filosofico, non come qualche cosa di eterno e di immutabile, ma espressione, come ogni altro sistema filosofico, delle contraddizioni proprie della società in un determinato momento della sua attività, destinata ad essere superata nel mutare dello sviluppo storico, il sospetto che in altre forme rispecchi un apriorismo trascendente e semplicemente speculativo, non sembra possa infirmare i valori di una rappresentazione del mondo che si identifica con la storia stessa del mondo.

L’uomo nella storia del mondo

Secondo la concezione della filosofia della prassi non esiste una astratta natura umana fisica ed immutabile, ma la natura umana è l’insieme dei rapporti storicamente determinati e rilevabili secondo un procedimento critico.

L’uomò, [...]

[...]ito politico, se formalmente è aggregato di una massa obbediente a determinati rapporti, sostanzialmente è l’aspirazione di determinati gruppi sociali, è una normalizzazione di classe ed è parte integrante del complesso quadro di tutto l’insieme sociale. Sicché la storia di un partito politico coinvolge la storia di un intero paese e della sua capacità efficiente, positiva o negativa, sebbene espressione della classe, o frazione, che essa interpreta. Partito e classe diventano entrambi variamente operanti in relazione all’interesse, che rappresentano — gruppo sociale —, alla espansione organizzativa che sviluppano — massa di partito —, alla elasticità di organizzazione — organi dirigenti e burocrazia.

Il partito, opponendosi all’ordine consuetudinario e muovendo da posizioni subalterne, tende ad assumere una posizione determinante, oppure si muove nell’ambito stesso del gruppo dominante, sia pure come elemento subalterno, non per fondare ed organizzare una nuova società politica, od un nuovo tipo di società civile, ma per attuare una [...]

[...]sse, che rappresentano — gruppo sociale —, alla espansione organizzativa che sviluppano — massa di partito —, alla elasticità di organizzazione — organi dirigenti e burocrazia.

Il partito, opponendosi all’ordine consuetudinario e muovendo da posizioni subalterne, tende ad assumere una posizione determinante, oppure si muove nell’ambito stesso del gruppo dominante, sia pure come elemento subalterno, non per fondare ed organizzare una nuova società politica, od un nuovo tipo di società civile, ma per attuare una rotazione di frazioni con mutamento di dirigenti.

Tale è la funzione dell’economismo liberale, e del sindacalismo teorico, ovvero dei partiti dei grandi industriali e degli agrari, che si configurano almeno in una organizzazione permanente o in una serie di organizzazioni diverse, ma convogliate verso il medesimo fine.

La critica storica di Gramsci

Orbene, è su questi elementi fondamentali che il Gramsci impostava (egli non ha mai preteso di scoprire la storia) la sua indagine, la sua ricerca storiografica e gli apprezzamenti, che egli veniva mano a mano pr[...]

[...]orica di Gramsci

Orbene, è su questi elementi fondamentali che il Gramsci impostava (egli non ha mai preteso di scoprire la storia) la sua indagine, la sua ricerca storiografica e gli apprezzamenti, che egli veniva mano a mano progressivamente registrando, annotando, in presenza di letture, direi quasi, estemporanee; è dal vaglio di questi elementi che egli veniva a stabilire i valori, che erano intrinseci ai fatti storici, dall’antichità all’età moderna: gli atti storici contingenti e gli atti storici permanenti^480

Le relazioni

Egli aveva cura di richiamare, spesso, i suoi interlocutori (i libri che egli leggeva, che egli annotava e che criticava) sulla soverchia facilità, con la quale si potevano scambiare e si scambiavano quelle che erano le cause accidentali, contingenti, secondarie, con le cause principali e fondamentali.

Richiamava l’attenzione sul fatto, che bisognava ben differenziare quali fossero l’obiettivo e la funzione delle cause contingenti che, tuttavia, non potevano e non dovevano essere trascurate, ma dove[...]

[...]rte anche permanenti.

E qui si poneva una domanda, la domanda, forse, più grave nella sua ricostruzione storica: che cosa era, che cosa è la rivoluzione?

Egli aveva ben distinto, e distingueva molto profondamente, due concetti: sommossa o rivolta da rivoluzione.

La rivoluzione — come del resto stamattina ha detto ottimamente il Garin — non è un atto taumaturgico, è un processo dialettico di sviluppo storico. La creazione dello Stato proletario — soggiungeva il Gramsci — non è un atto di arbitrio, è anch’esso fase di un processo di sviluppo, e per questo è un atto eminentemente rivoluzionario. E distingueva la rivoluzione dalla sommossa.

La sommossa — egli diceva — è presente nel dissolvimento di una forma dell’organismo sociale. La rivoluzione comincia quando l’organismo sociale si avvia ad acquistare una forma nuova. Il momento, che è puramente negativo, della sommossa avrà una durata tanto più lunga quanto maggiore sarà la difficoltà che i gruppi di avanguardia dovranno superare per dare forma organica alle masse, che il mo[...]

[...] avanguardia dovranno superare per dare forma organica alle masse, che il moto di rivolta ha reso informi.

Su questa distinzione — distinzione che del resto egli ripete direi quasi ad ogni pie’ sospinto — cito un’altra sua osservazione: « Il

processo rivoluzionario si identifica, quindi, solamente con uno spontaneo movimento delle masse lavoratrici determinato dal cozzo delle contraddizioni inerenti alla convivenza umana in regime di proprietà capitalistica ».

Come si vede chiaramente, il principio fondamentale della rivoluzione è un processo, di continuo divenire, e si riallaccia ad uno dei concetti tanto dibattuti e tanto contrastati, fondamentalmente espressivo,Roberto Cessi

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quando naturalmente non sia interpretato unilateralmente o superficialmente: al concetto di rivoluzione permanente.

Si può dire che proprio la umanità, — il mondo, — avanzi in una continua rivoluzione, perché essa stessa per il suo divenire è un costante rinnovarsi, un rimutarsi non soltanto nelle grandi masse, ma anche nell’intimo d^lle masse stesse ed anche dei piccoli raggruppamenti sociali.

Gramsci ed il Risorgimento

Ed allora il Gramsci ad un certo momento delle sue indagini si domandava: il Risorgimento è stato una rivoluzione? A questa domanda, che il Gramsci non ha posto direttamente, ma che ad un attento lettore [...]

[...]e nella Francia rispetto all’Italia, quasi quasi egli è indotto a negare la capacità del movimento italiano di poter creare veramente un sostanziale rinnovamento. Egli giustamente afferma che lo Statuto Albertino, in fondo, non era altro che il convalidamento della conservazione e che ribadiva e riproponeva la categoria di principi — in sostanza — eredi della vecchia struttura, appena ammodernata nella forma e rivestita di nuove vesti di una società immobile 'nella sua tradizione. In queste prospettive era difficile ravvisare un valore rivoluzionario della vita italiana, che non fosse puramente esteriore e apparente.

Ora, se questa proposizione e questa critica fossero limitate da un presupposto politico — permettetemi che io stesso formuli a me stesso un dubbio, sia pure per rispondere negativamente, ma dubbio che può nascere dalla lettura stessa delle pagine del Gramsci — se si interpre482

Le relazioni

tasserò nel senso, come qualcuno potrebbe presumere, che il giudizio negativo risultasse dalla mancanza di uno spirito rivolu[...]

[...]parente.

Ora, se questa proposizione e questa critica fossero limitate da un presupposto politico — permettetemi che io stesso formuli a me stesso un dubbio, sia pure per rispondere negativamente, ma dubbio che può nascere dalla lettura stessa delle pagine del Gramsci — se si interpre482

Le relazioni

tasserò nel senso, come qualcuno potrebbe presumere, che il giudizio negativo risultasse dalla mancanza di uno spirito rivoluzionario proletario, potremmo anche convenire.

In questo caso la visione del Gramsci perfettamente collimava con la realtà, e questa, che in lui fu una intuizione più che una dimostrazione, noi la possiamo oggi controllare non solo, ma ampiamente illustrare.

Non è certo fare offesa ai grandi sacrifìci della vita del Risorgimento riconoscere e costatare quella che fu la realtà degli avvenimenti.

Non fu una rivoluzione proletaria. Si dirà: ma non vi hanno partecipato dei contadini, dei lavoratori, dei ceti bassi? Si, hanno partecipato, ma il loro valore politico è quello che fin dal 1848 ben individuava Giuseppe Mazzini. Questi uomini hanno partecipato, questi uomini hanno dato la loro vita e il loro sangue, « tutto di sé hanno dato, senza nulla richiedere per sé, ma l’hanno dato come uomini, come individui e come cittadini, non come elementi di classe ». Cosi melanconicamente constatava Mazzini, che, rimproverando alla borghesia la mancata soddisfazione del suo impegno d’onore, di ricompensare le classi che « avev[...]

[...]do alla borghesia la mancata soddisfazione del suo impegno d’onore, di ricompensare le classi che « avevano dato tutto di sé e nulla avevano richiesto », concludeva invitando le classi lavoratrici, che avevano pugnato e combattuto per il bene degli altri, a levare il braccio e combattere per la causa propria.

Il Gramsci si trova, a questo proposito, sul medesimo terreno. Egli deve riconoscere e riconosce che una rivoluzione e un movimento proletario nel periodo del Risorgimento non vi fu, ed egli stesso deve riconoscere, o meglio denuncia come motivo di questa mancata rivoluzione il fatto che non si è avuto sostanziale ed organica concatenazione con la massa contadina.

Ma se invece consideriamo — qui appunto possiamo riprendere il discorso con lo stesso Gramsci — che il movimento ottocentesco era legato alle esigenze ed ai fini di un’altra classe, la classe dei proprietari, classe che fino allora viveva fuori della vita pubblica e che tendeva a rivendicarne il controllo ed occupare il suo posto in funzione ed in rapporto della evoluzione economica compiuta, sotto l’impulso naturale delle esigenze della vita, se pensiamo che la rivoluzione italiana era obiettivo, spirito, ispirazione, finalità della classe dei proprietari, non possiamo negare un contenuto rivoluzionario che lo stesso Gramsci avvertiva, considerando che non tutte le manifestazioni rivoluzionarieRoberto Cessi

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presentano i medesimi caratteri. « Ce un carattere comune — egli diceva — nelle rivoluzioni: quello di sommuovere le condizioni attuali e statiche di una determinata condizione della società, per distruggerne gli organi, per mutarne le funzioni (processo negativo) per crearne altrettante di nuove, per imprimere una fisionomia ed un comportamento nuovo alla struttura politica e sociale ».

Ed in questa prospettiva, analogamente a tutte le grandi rivoluzioni, faceva rientrare il rinnovamento del cristianesimo, perché effettivamente aveva modificato sostanzialmente le situazioni e le condizioni della società del tempo, creando istituti nuovi, raggruppamenti nuovi, ideologie nuove, rapporti economici, etici, sociali ed intellettuali nuovi, creando, insomma, una nuova società, secondo il concetto moderno, almeno nei fini se non nei mezzi.

Anche nel Risorgimento si ebbe la tendenza a costruire una società nuova: la società dei proprietari, preludio di quella società che troverà poi perfezionamento tecnologico, ulteriore sviluppo ed affinamento delle sue capacità produttive, creando lateralmente proprio quel fermento proletario dì cui prevedeva e paventava l’inevitabile nascita, per il momento contenuto con pressione paternalistica. Se si percorrono le discussioni parlamentari del 1848 e del primo parlamento subalpino, si possono rilevare lo stato d’animo, la condizione politica, morale intellettuale e le finalità economiche di questa classe.

Anche fra le maggiori diversità di pensiero, dagli estremi di destra agli estremi di sinistra, da un Revel, da un Cavour a un Rattazzi, a un BrofFerio, a un Valerio, nei quali la democrazia non subisce che una differenziazione di carattere meramente esteriore e politico, [...]

[...], la condizione politica, morale intellettuale e le finalità economiche di questa classe.

Anche fra le maggiori diversità di pensiero, dagli estremi di destra agli estremi di sinistra, da un Revel, da un Cavour a un Rattazzi, a un BrofFerio, a un Valerio, nei quali la democrazia non subisce che una differenziazione di carattere meramente esteriore e politico, si muovono tutti su un medesimo terreno, sono tutti esponenti della classe dei proprietari. Non si conosce ancora la dottrina del marxismo, la propaganda, pur tiepida, del socialismo empirico solleva quasi un grido di terrore; la paura che questa veramente porti ad un capovolgimento della situazione creata dalla classe dei proprietari, genera inquietudine ed orgasmo.

Da questo punto di vista la posizione del Gramsci nettamente corrisponde alla esatta interpretazione che egli ha dato sopra il concetto della rivoluzione, che dipende da due elementi: 'la necessità e la libertà.484

Le relazioni

Necessità e libertà

La necessità è un fatto determinante che sta al di là e al di sopra della volontà deiruomo. La libertà, che è connaturata un po’ alla volontà dell’uomo, però deve obbedire alle esigenze fondamentali della classe.

Libertà. Delle libertà ve ne sono di tante specie e in Gramsci ricorre spesso la parola libertà.

Libertà dal passato. Ne parlavano anche nel periodo del trapasso dall’età pagana all’età cristiana, contrapponendo i due [...]

[...]ità e la libertà.484

Le relazioni

Necessità e libertà

La necessità è un fatto determinante che sta al di là e al di sopra della volontà deiruomo. La libertà, che è connaturata un po’ alla volontà dell’uomo, però deve obbedire alle esigenze fondamentali della classe.

Libertà. Delle libertà ve ne sono di tante specie e in Gramsci ricorre spesso la parola libertà.

Libertà dal passato. Ne parlavano anche nel periodo del trapasso dall’età pagana all’età cristiana, contrapponendo i due termini: libertas et servitus. Libertà serviva, allora, ad indicare il riscatto di una classe, che forzava per essere dimessa neH’interesse stesso dei proprietari: la classe degli schiavi.

Per libertà s’intendeva precisamente ridare all’uomo quella fisionomia, quella figura giuridica, quella personalità, che lo schiavo non aveva; era una cosa.

Libertà nel periodo comunale, a secoli di distanza, rappresenta la liberazione di un altro strato economico: la libertà dei servi, il loro riscatto, che si compie precisamente nell’ambito della formazione del Comune e dell’attività mercantile.

Anche nel periodo della Rivoluzione francese, la libertà giacobina — l’impulso giacobino — è essa pure il riscatto di una classe, il riscatto dei ceti rurali i q[...]

[...]za, rappresenta la liberazione di un altro strato economico: la libertà dei servi, il loro riscatto, che si compie precisamente nell’ambito della formazione del Comune e dell’attività mercantile.

Anche nel periodo della Rivoluzione francese, la libertà giacobina — l’impulso giacobino — è essa pure il riscatto di una classe, il riscatto dei ceti rurali i quali non sono più elementi e strumenti economici validi per la valorizzazione della proprietà la quale avanza nella conquista del potere. Questo è il fine supremo del movimento rivoluzionario.

Ed oggi — dice Gramsci — che cosa si intende per libertà? Questa libertà, che noi abbiamo ereditato ormai come conseguenza di tutto un processo storico, perché anche il nostro movimento attuale non è la creazione soltanto dell’arbitrio di pochi individui, di pochi gruppi, ma è la risultante del processo storico, di cui si sono ereditate le conseguenze e le influenze, a quali finalità si dirige?

Libertà è — spiega il Gramsci — liberazione dalle contraddizioni,, «nelle quali vive la società [...]

[...]e per libertà? Questa libertà, che noi abbiamo ereditato ormai come conseguenza di tutto un processo storico, perché anche il nostro movimento attuale non è la creazione soltanto dell’arbitrio di pochi individui, di pochi gruppi, ma è la risultante del processo storico, di cui si sono ereditate le conseguenze e le influenze, a quali finalità si dirige?

Libertà è — spiega il Gramsci — liberazione dalle contraddizioni,, «nelle quali vive la società attuale. Ed ecco il concetto di previsione, che egli attribuisce anche alla storia, ed è funzione della storia stessa. Come si attuerà la nuova forma di libertà? Si attuerà precisamente nel distruggere le cause, che determinano le contraddizioni, e le cause sono determinate dalla contrapposizione delle classi. La distruzione delle classiRoberto Cessi

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porterà con sé la eliminazione delle cause, che hanno determinato e che determinano le contraddizioni, in virtù delle quali manca la piena ed assoluta, completa libertà nell’individuo.

Rinascimento ed Età moderna

Ma questo proces[...]

[...]alla storia, ed è funzione della storia stessa. Come si attuerà la nuova forma di libertà? Si attuerà precisamente nel distruggere le cause, che determinano le contraddizioni, e le cause sono determinate dalla contrapposizione delle classi. La distruzione delle classiRoberto Cessi

485

porterà con sé la eliminazione delle cause, che hanno determinato e che determinano le contraddizioni, in virtù delle quali manca la piena ed assoluta, completa libertà nell’individuo.

Rinascimento ed Età moderna

Ma questo processo su quale terreno si viene sviluppando, si viene producendo attraverso il tempo?

Il Gramsci stabilisce, direi quasi, due formule, valide luna per il Rinascimento e l’altra per la età moderna.

Per il Rinascimento egli vede nella formula municipale e corporativa il motivo e la ragione della mancanza della possibilità di una rivoluzione nazionale. Nel mondo moderno egli ravvisa, invece, nell’altra, formula, nella mancanza cioè di collaborazione fra gli elementi rivoluzionari e la massa contadina, la impossibilità di una rivoluzione proletaria.

Che cosa significano in parole povere queste due formule? Esse non rappresentano altro che la ricerca e lo sforzo di scoprire le cause prime,, che determinano i movimenti rivoluzionari, e i movimenti di profonda, trasformazione.

Il movimento di profonda trasformazione nasce sempre — e lo dice esplicitamente e chiaramente il Gramsci — da un interesse agrario fra le masse contadine, fra le masse agrarie, nella struttura della società agraria,, dove si trovano i primi germi che preparano e predispongono lo sviluppo successivo dell’azione rivoluzionaria.

Quando egli ammoniva i movimenti moderni, prevalentemente di carattere operaio, ed avvertiva gli stessi sindacalisti operai, che non si poteva operare una trasformazione della società senza congiungersi e collegarsi intimamente con il movimento contadino, egli indicava una delle fonti principali dello spirito rivoluzionario. E se noi ripercorriamo il ciclo della storia, ritroviamo nei suoi diversi momenti al fondo della crisi la scintilla animatrice di questo fecondo processo. Il Gramsci, pur senza essere disceso allanalisi dei grandi processi storici attuati traverso il tempo, ne intuì le origini e ne individuò le cause.

Egli non ha avuto la possibilità di approfondire l’esame di testimonianze e di controllare e meditare là letteratura storiografica. Le vicende486

[...]

[...] forma la prima organizzazione del Comune stesso, alla campagna poi l’elemento cittadino deve chiedere il contributo fondamentale per il proprio sviluppo e per la propria forza.

Nelle rivoluzioni iniziate nel secolo XVIiII, sia quella francese, sia quella inglese, questa più calma, più tranquilla, ed anche più pacifica, ma altrettanto profonda e forse più ancora di quella francese, dal movimento agrario nasce la prima spinta.

Questa interpretazione del Gramsci trova piena conferma in studi recenti.

I lavori del Labrousse hanno messo in luce i fermenti e le energie operanti, che hanno alimentato la grande Rivoluzione francese, iniziata nella sua organica preparazione prima che nelle città, nelle campagne, tra quella proprietà agraria, la quale si trovava in uno stato di espansione, non di miseria.

Giustamente lo storico francese concludeva che la Rivoluzione in terra di Francia non era la rivoluzione della miseria, ma dell’agiatezza, del benessere; era la classe che già aveva creato questo nuovo stato, la quale si avvicinava alla conquista del potere e che erigeva il governo facendo leva sulle migliorate condizioni delle masse rurali.

Orbene, proprio il Gramsci ha intuito nettamente quale sia stato il valore dello spirito giacobino che, se fece appello all’intervento di masse di pezzenti le quali spianano la[...]

[...]la quale si avvicinava alla conquista del potere e che erigeva il governo facendo leva sulle migliorate condizioni delle masse rurali.

Orbene, proprio il Gramsci ha intuito nettamente quale sia stato il valore dello spirito giacobino che, se fece appello all’intervento di masse di pezzenti le quali spianano la via al trionfo del ceto fondiario, in questo trovò la sua tipica espressione ed efficienza.

II giacobino è un cittadino, non un proletario, e come cittadino legato all’interesse agrario per il successo della causa dell’economia rurale. Il proletario, che scende in piazza, è 1 ausiliario di una causa altrui, comeRoberto Cessi

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si ricava dallo studio del Lefèvre, senza alcun interesse personale se non riflesso. Il governo del Direttorio non altro fu che la consacrazione dei diritti della classe agraria, che aveva conquistato il potere.

Altrettanto si può ripetere della rivoluzione italiana, in tono minore, s’intende, perché le condizioni economiche e le condizioni strutturali della vita italiana erano profondamente diverse. Mentre nelle altre nazioni l’impulso rivoluzionario aveva potuto condurre anticipatamente alla formaz[...]

[...]onomiche e le condizioni strutturali della vita italiana erano profondamente diverse. Mentre nelle altre nazioni l’impulso rivoluzionario aveva potuto condurre anticipatamente alla formazione di una unità territoriale e politica reale e sostanziale, in Italia la unificazione si attuò tardivamente e con caratteri formali.

Il Gramsci, di questi risultati e di questo stato — dirò anomalo —■ rispetto alle grandi potenze vicine, ha dato una interpretazione che a mio avviso credo risponda a verità. Egli ragiona: in sostanza l'Italia è stata fatta intorno a un piccolo statarello, al Piemonte, per una serie di aggregazioni operate traverso un processo dii sovrapposizione di una parte alle altre membra. Donde dalla esteriore unificazione è effettivamente risultata la dicotomia fra l’Italia superiore accentratrice e l’Italia meridionale, aggregata.

Un noto conservatore del tempo non andava molto lontano da questo apprezzamento e, in un momento di grande sincerità per difendere se stesso e la sua politica estera, nel 1877 — mi riferisco al Vi[...]

[...]uppo».

Gramsci, però, a questa spiegazione di carattere politico piuttosto esteriore dà un fondamento non illegittimo. Egli rilevava che nell’Italia superiore aveva trovato propizio terreno un’attività industriale, che era mancata o mancava nell’Italia meridionale. Da questo maturare di strutture economicosociali scaturivano lo sdoppiamento politico e la sostanziale antitesi fra l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale, cioè fra una società che è costretta a vivere di una economia agraria piuttosto povera, e una ricca e potente organizzazione industriale dell’Italia settentrionale.

In questo antagonismo, in questo contrasto, in questo difetto il Gramsci giustamente intravvedeva il riflesso della mancata unità sostan
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Le relazioni

ziale in dipendenza di una mancata rivoluzione rinnovatrice, suffragata dal concorso di grandi masse, soprattutto contadine, arenate invece in una rivoluzione conservatrice.

Gramsci da queste considerazioni cerca di trarre anche una previsione e si domanda se sia possibile in Italia [...]

[...]mento contadino ».

Egli era fermamente convinto che la città potesse essere un buon focolaio di attività rivoluzionaria, che la città potesse anche fornire l’avvio ad un movimento di riscossa, ma questo non potesse solidificarsi mai,, né avere solida base, né raggiungere un adeguato grado di stabilità nella vita se non trovasse valido appoggio nella collaborazione organica dell’elemento sostanziale costituito dall’elemento contadino e dal proletario della campagna, base fondamentale di una nuova società.

Il proletario della campagna nutre ed alimenta non soltanto materialmente, ma anche spiritualmente, gli stimoli della vita politica e morale della citeà. È vecchia storia, amche se misconosciuta e ignorata, die la campagna nutre la città.


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Età, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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