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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Etica è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 693Analitici , di cui in selezione 18 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Ernesto De Martino, Perdita della presenza e crisi del cordoglio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]a seguente giustificazione teorica dell’impiego della qualifica di « religione » a proposito dell’ideale liberale consustanziale al moderno pensiero dialettico e storico: « Ora chi raccolga e consideri (i tratti) dell’ideale liberale, non dubita di denominarlo, qual esso era, una ’ religione ’: denominarlo così, ben inteso, quando si attenda all’essenziale ed intrinseco di ogni religione, che risiede sempre in una concezione della realtà e in un’etica conforme, e si prescinda dall’elemento mitologico, pel quale solo secondariamente le religioni si differenziano dalle filosofie» (p. 23 sg.). Ora l’essenziale e l’intrinseco di ogni religione sta, come si è detto, proprio nella destorificazione miticorituale come tecnica mediatrice di determinati orizzonti umanistici, e pertanto mal si attaglia la qualifica di religione ad una concezione essenzialmente laica della vita e del mondo. Nei nostri studi poi un concetto di religione come quello formulato dal Croce può introdurre soltanto una serie di equivoci dannosi, o quanto meno vale a restringe[...]

[...]delle civiltà primitive) la crisi del cordoglio assume invece ordinariamente, sia nell’individuo che nella collettività, modi estremi che hanno riscontro nella nostra civiltà solo in casi individuali eccezionali e palesemente morbosi, e più diffusamente appena in quelle poche aree folkloriche che per certi aspetti riproducono ancora condizioni di esistenza in qualche modo simili a quelle del mondo antico. Così ove prescindano dalla risoluzione poetica di Omero, la crisi di Achille per la morte di Patroclo si manifesta

(12) Sul concetto di sacro, vita religiosa, destorificazione miticorituale, e sui rapporti fra religione e magia, e fra religione e storiografia religiosa ci permettiamo rinviare alle nostre due monografie Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, in « AutAut », 1955, n. 31 e Irrazionalismo e storicismo nella storia delle religioni in « Studi e Materiali di Storia delle Religioni», XXVIII, 1957, fase. I, pp. 89 sgg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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in modi « eccessivi » che noi oggi non saremmo [...]

[...] dispensa, almeno in questa sede, dairesaminarne le singole parti e dal discutere il romanzo etnologico di Géza Roheim: a noi basti aver spinto la polemica quanto occorre per ribadire quella tradizione culturale che assegna al cordoglio il compito di trascendere nel valore la situazione luttuosa, e che interpreta la crisi come impotenza a compiere questo trascendimento.

5. Intorno a un pensiero del Croce sul cordoglio

Nei suoi Frammenti di Etica il Croce espresse sul cordoglio un pensiero notevole, per quanto occasionale: un pensiero che racchiude la possibilità di uno sviluppo teorico e di un approfondimento storiografico, e che di fatto ha operato come stimolo nella nostra ricerca sul pianto rituale nel mondo antico e sul processo storico che condusse al nuovo ethos della morte inaugurato dal Cristianesimo. Ecco il passo dei Frammenti:

Che cosa dobbiamo fare degli estinti, delle creature che ci furono care e che erano come parte di noi stessi? «Dimenticarli», risponde, se pure con vario eufemismo, la saggezza della vita. « Dimen[...]

[...]riografico, e che di fatto ha operato come stimolo nella nostra ricerca sul pianto rituale nel mondo antico e sul processo storico che condusse al nuovo ethos della morte inaugurato dal Cristianesimo. Ecco il passo dei Frammenti:

Che cosa dobbiamo fare degli estinti, delle creature che ci furono care e che erano come parte di noi stessi? «Dimenticarli», risponde, se pure con vario eufemismo, la saggezza della vita. « Dimenticarli », conferma letica. « Via sulle tombe! », esclamava Goethe, e a coro con lui altri spiriti magni. E l'uomo dimentica. Si dice che ciò è opera del tempo; ma troppe cose buone, e troppo ardue opere, si sogliono attribuire al tempo, cioè ad un essere che non esiste. No: quella dimenticanza non è opera del tempo; è opera nostra, che vogliamo dimenticare e dimentichiamo... Nel suo primo stadio, il dolore è follia o quasi: si è in preda a impeti che, se perdurassero, si conformerebbero in azioni come quelle di Giovanna la Pazza. Si vuol revocare l'irrevocabile, chiamare chi non può rispondere, sentire il tocco della [...]

[...]o una opzione per la vita: ma nella perdita di una persona cara noi sperimentiamo al più alto grado l’esprezza di questa fatica, sia perché ciò che si perde è una persona che era quasi noi stessi, sia perché la morte fisica della persona cara ci pone nel modo più crudo davanti al conflitto fra ciò che passa irrevocabilmente senza di noi (la morte come fatto della «natura») e ciò che dobbiamo fai passare nel valore (la

(29) Croce, frammenti di Etica, 1922, pp. 2224, cfr. p. 21 e 111.82

ERNESTO DE MARTINO

morte come condizione per l’esplicarsi della eterna forza rigenerante della « cultura). La fatica di « far passare » la persona cara che è passata in senso naturale, cioè senza il nostro sforzo culturale, costituisce appunto quel vario dinamismo di affetti e di pensieri che va sotto il nome di cordoglio o di lutto: ed è la « varia eccellenza» del lavoro produttivo e differenziato a tramutare lo « strazio » — per cui tutti gli uomini rischiano di piangere « ad un modo» — in quel saper piangere che reintegra l’uomo nella storia uman[...]

[...]stituisce appunto quel vario dinamismo di affetti e di pensieri che va sotto il nome di cordoglio o di lutto: ed è la « varia eccellenza» del lavoro produttivo e differenziato a tramutare lo « strazio » — per cui tutti gli uomini rischiano di piangere « ad un modo» — in quel saper piangere che reintegra l’uomo nella storia umana. A questo punto comincia a prendere consistenza un definito problema storicoreligioso. Nel passo nei suoi Frammenti di Etica il Croce fa esplicito riferimento alle varie forme di celebrazione e di culto dei morti attraverso le quali « si supera lo strazio, rendendolo oggettivo», cioè si avvia l’aspra fatica di far morire i nostri morti in noi. Questo acuto — per quanto occasionale — pensiero del Croce merita di essere svolto e approfondito nella concretezza di una ricerca storicoreligiosa. Nel formulare tale pensiero il Croce aveva presente soprattutto la forma cristiana del culto dei morti, e in sostanza spingeva al suo compimento il motivo di vero racchiuso nella ideologia funeraria nata sotto la spinta del Crist[...]

[...]saria una ulteriore delimitazione dell’argomento. Fra i vari momenti degli antichi rituali funebri spicca come loro nota costante il lamento funebre: dall’Egitto alla Mesopotamia, da Israele ad Atene e a Roma il lamento riveste una importanza culturale di primo piano. In ciascuna di queste civiltà esso fu sottoposto ad elaborazioni diverse, sollevandosi in Egitto al lamento di Iside e Nephtys per Osiride, in Israele trasponendosi nella qulnà profetica, alimentando in Grecia l’epos, la tragedia e la Urica della morte, e da per tutto collegandosi con determinati valori politici e sociali (lamentazioni collettive per il re o per il signore o per l’eroe). Ma c’è di più: il lamento funebre rituale si collega saldamente, nel mondo antico, al mito del nume che muore e che risorge, cioè a uno dei temi più importanti delle antiche civiltà religiose del Mediterraneo: questo rapporto è così organico da impedire di considerare l’antico lamento per i morti al di fuori del grandioso orizzonte mitico del nume morto e risorto, sia esso Osiride o Tamùz o B[...]

[...]sto sulla morte e con la polemica contro la lamentazione pagana, il Nuovo Testamento non conosce un pianto di Maria. In Giovanni 19. 2527 Maria appare alla croce come muta spettatrice, e l’evangelista non pone sulla sua bocca nessuna espressione di dolore: Maria madre di Gesù, Maria di Cleopha e Maria Maddalena vi sono rappresentate in atto di stare davanti alla croce, chiuse in un patire interiore e raccolto, che guadagna in singolare efficacia etica proprio per il fatto che non appena scorgiamo nello scenario della Passione il disegnarsi di queste tre ombre silenziose e immobili. Tutta una tradizione si ricollega a questo interiore patire, cui Ambrogio contendeva anche lo sfogo delle lacrime (stantem illam lego, flentem non lego) (35), e che nella sequenza dello Stabat Mater si ravviva e umanizza in un contemplare velato di lacrime: Stabat Mater dolorosa / iuxta crucem lacrymosa / dum pendebat filius: / cuius animam gementem, / contristatam et dolentem / pertransivit gladius (36).

Sulla linea di questa tradizione non troverebbe posto,[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]n un empirismo disgregato e agnosticizzante). La Penna stesso ha piú di una volta, fin da anni lontani, battuto l'accento su questa caratteristica della propria personalità di studioso (cfr. ad es. « Belfagor » y, 1950, p. 587 ss.; Testimonianze per un centenario: contributi a una storia della cultura italiana 18731973, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 125127).
Per questo aspetto, si può ben dire che La Penna si trova in una posizione del tutto antitetica a quella di Marchesi. In Marchesi storico del mondo latino c'è una passione politica che dà spesso origine a giudizi acuti, ma non c'è alcuna seria presa di contatto col marxismo (cfr. La Penna, p. 13). Ancor maggiore è l'estraneità a quell'indirizzo filologico « wilamowitziano » a cui abbiamo accennato poc'anzi. In Marchesi il fatto poetico ha i propri antecedenti solo nell'esperienza sentimentale, nella psicologia e nella biografia del poeta, non nella lettura di poeti precedenti, nella tradizione culturale a cui il poeta appartiene (La Penna, pp. 37, 55 s., 73 s., 93).
Nella prolusione pa[...]

[...]o di tutta la filologia positivistica (anche il positivismo aveva avuto, nelle scienze naturali e umane piú ancora che nella filosofia, i suoi uomini d'ingegno e di genio) e che, comunque, era stato già superato proprio dalla migliore filologia tedesca (se con qualche seria ricaduta in un discutibile neoumanesimo e nazionalismo, non importa qui discutere). Di quel ben piú complesso e raffinato modo di porre il problema del rapporto tra l'opera poetica e i suoi antecedenti, che aveva prodotto già esempi insigni nel commento del Wilamowitz all'Eracle di Euripide o nella Kunstprosa e in altre opere di Norden o in lavori, pur discutibili per altri lati, di R. Heinze, Marchesi non avverte la novità e la fecondità. Accenna, è vero, a una distinzione che ha notevole importanza, tra fonti, per cosí dire, meramente « contenutistiche » e analogie di espressione formale, le sole, queste seconde, che dimostrerebbero un effettivo rapporto di dipendenza (SM, in, p. 1234 s.; tale distinzione era stata enunciata anche in scritti precedenti, cfr. per es. S[...]

[...]scerà ben chiaro l'influsso del Leo. A proposito dell'origine dei cantica c'è perfino un accenno alle due teorie del Leo e di Eduard Fraenkel (derivazione dalla lirica ellenistica o dai cantica tragici?): dalla lettura del Leo Marchesi era passato, sia pure nei limiti di una rapida e non approfondita informazione, alla conoscenza di lavori plautini della scuola del Leo.
Come si vede, qui fa capolino una concezione del rapporto fra ispirazione poetica e « cultura » che contrasta, felicemente, con la concezione tipica di Marchesi. Felicemente ma isolatamente (non perché Marchesi fosse succube del mito romantico del poeta « sublime ignorante », ma perché tra cultura e poesia rimaneva secondo lui, come si è detto, un iato). La lettura di Leo non solo non ha spinto Marchesi a rivedere il proprio metodo critico, ma, cosa alquanto strana, non ha nemmeno influito sulla sua visione dell'intera letteratura arcaica latina, che rimane particolarmente infelice (basti pensare all'incomprensione per Ennio, su cui vedi le osservazioni giustamente dure di[...]

[...] Che la ricostruzione storica (passibile di trattazione « scientifica », almeno tendenzialmente) e il giudizio valutativo debbano essere condotti in stretto rapporto l'una con l'altro, aiutarsi a vicenda, La Penna lo afferma con forza; ma con altrettanta forza rifiuta di cancellare la distinzione tra discorso teoretico e discorso assiologico: questa sua posizione, già espressa con sferzante vigore in due noterelle che non molti avranno letto (Estetica meretrice e Sono forse un estetizzante?, in « Rassegna Pugliese », vi, nn. 89, agostosettembre 1971, nella rubrica Katà leptón), è ribadita in un capitolo della Storia d'Italia Einaudi (y 2, Torino 1973, p. 1344 s., dove tuttavia si mette anche in guardia contro una « semplicistica dicotomia fra logica e retorica », e si scorge un pericolo di questo genere nel libro di Giulio Preti intitolato appunto Retorica e logica, Torino 1968).
Si tratta di un problema tormentoso, ben lungi dall'essere risolto. Io personalmente credo che, se non si ricerca una fondazione oggettiva dei valori, se non si [...]

[...] nel libro di Giulio Preti intitolato appunto Retorica e logica, Torino 1968).
Si tratta di un problema tormentoso, ben lungi dall'essere risolto. Io personalmente credo che, se non si ricerca una fondazione oggettiva dei valori, se non si accetta il « persuadere » solo come una fase preliminare, provvisoria, di un'attività che tenda al raggiungimento del « convincere » (magari come ad una mètalimite), la giustificazione stessa della critica estetica vien meno: si tratterebbe in tal caso di un esercizio avvocatesco, di un'abile e insinuante sopraffazione da parte del critico sul lettore, il quale finirebbe col rinunciare a un proprio precedente giudizio non perché errato o insufficiente (di giudizio errato non si può parlare se il giudizio è sempre soggettivo e, come tale, inconfutabile), ma solo per la propria « mi
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nore bravura » a difenderlo contro il critico. Ma non è questa la sede per cercar di sviluppare questa mia opinione. Qui si deve rimanere aderenti al tema La PennaMarchesi. E si deve constatare che i[...]

[...]fici » né « assiologici », ma hanno soltanto delle velleità scientistiche che si riducono a ostentazioni terminologiche dietro le quali non c'è alcuna vera conquista concettuale, ha fortemente contribuito a fargli scorgere i pregi di un criticoartista come Marchesi (diciamo anche di un criticoretore, senza tuttavia dare all'epiteto un significato soltanto svalutativo e senza affatto pretendere di racchiudere in questa definizione una personalità eticamente e psicologicamente cosí complessa). Qualche citazione ci farà meglio capire il fascino che, malgrado tutte le riserve già accennate e altre che accenneremo, Marchesi esercita su La Penna:
Chi riduce la critica a disquisizioni metodologiche, potrebbe parlare, con sarcasmo, di arti f ex additus artifici; sia pure; ma, se l'arti f ex additus è un artista autentico, perché dovremmo rifiutare i nuovi doni delle Muse? (p. 40).
Egli [...] rimane come uno dei maggiori criticiartisti che abbia avuto il Novecento italiano [...1. Per quante differenze ci dividano, nella concezione storica e nel m[...]

[...]iò, forse, andava piú messo in rilievo) alla sicurezza assoluta di giudizio che Marchesi ha sempre mostrato nella sua opera di critico. In Filologia e filologismo (SM, III, p. 1235; cfr. II, p. 544) Marchesi afferma drasticamente: « Noi sappiamo che se i gusti sono tanti, il buon gusto è uno solo » (sua è la sottolineatura). Croce credeva di sfuggire al relativismo del giudizio estetico con la famigerata teoria dell'identità di genio e gusto (Estetica, cap. xvi): dell'atto del giudizio non è protagonista il critico in quanto « individuo empirico », ma il Soggetto assoluto che opera in lui, e che è anche (esso, e non il poeta in quanto altro individuo empirico) il creatore dell'opera d'arte. Marchesi non aveva dimestichezza con questi filosofèmi (al suo antifilosofismo accenneremo in séguito); non credeva (in questo con piena ragione) in un io empirico mera parvenza e in un Io assoluto vera realtà. Ma era intimamente convinto che il buon gusto fosse, per ripetere un'espressione che abbiamo visto usata metaforicamente dal La Penna, un « dono[...]

[...] quando si fanno esaltatori della romanità e del principato, sono grandi quando evadono da queste strettoie: nel saggio su Virgilio del 1930, in polemica con la retorica del bimillenario virgiliano, Marchesi dice: « In un'opera di poesia che voglia essere di celebrazione storica e nazionale ciò
3 Il LA PENNA (p. 75 s.) cita, dalla prima edizione della Storia, un paragone LucrezioVirgilio a favore di Virgilio. E replica: « No: sia per `vastità poetica' sia per intensità lirica Lucrezio non ha confronti nella letteratura latina: i poeti confrontabili bisogna cercarli fra i Greci o fra i moderni ». Ma quel paragone scompare nelle successive edizioni della Storia (non saprei precisare a partire da quale: certo nella quarta non c'è), e tutto ciò che Marchesi ha scritto su Lucrezio, dal saggio marzialiano del 1905 (SM, i, p. 189, cfr. LA PENNA, p. 31 s.) alla già citata conferenza del 1950, denota un'ammirazione superiore a quella per Virgilio (sul lucrezianesimo di Marchesi vedi anche qui sotto, paragrafo 6). Nel saggio su Virgilio del 1930 (i[...]

[...]eneca era stato accolto da Gentile nella collana di « Studi filosofici » da lui diretta presso Principato, ed era stato recensito assai favorevolmente da Adolfo Omodeo (Tradizioni morali e disciplina storica, Bari, Laterza, 1929, pp. 107117). A sua volta, Marchesi, pur non desistendo mai dalle sue puntate contro la filosofia « incapace di consolare », non s'impegnò mai in polemiche esplicite contro l'idealismo crociano e gentiliano e contro l'estetica crociana 10; non è improbabile che,
Io Una sua replica a Croce di argomento politico, assai rispettosa e tendente a conciliare piú che ad accentuare il dissenso, è in Umanesimo e comunismo, p. 50 ss. (da « La città libera », 24 maggio 1945). Con Gentile aveva avuto una discussione a proposito dell'Etica Nicomachea nella tradizione latina medievale (Messina 1904): cfr. LA PENNA, p. 18 e n. 10. Sui posteriori rapporti con Gentile, fino alla sdegnata lettera aperta del 1944 (il cui testo, peraltro, fu diffuso con una frase finale non autentica, che poté sembrare un incitamento all'uccisione di Gentile) cfr. FRANCESCHINI, Marchesi, p. 110 ss. Ma discussioni filosofiche, pare sicuro, non ve ne furono. Sull'equivoco per cui molti considerarono ortodossamente idealistica e addirittura crociana la Storia della letteratura latina vedi P. TREvES, Ritratto critico di C. Marchesi, « Nuova rivista storic[...]

[...]enomeno della natura, come l'evoluzione biologica a cui molti socialisti di quell'epoca accostavano lo sviluppo storicosociale. Negli anni Novanta, Arturo Graf, aderendo al socialismo, scriveva a Turati: « Io accetto tutta, ne' suoi fondamenti, la dottrina socialista; non per la promessa che arreca di una maggiore felicità avvenire (io credo a una infelicità crescente col crescere della coscienza); ma perché riconosco in essa l'anticipazione teoretica di un fatto assolutamente ineluttabile, voluto dalla legge di evoluzione, e che certo sarà il fatto piú grande e piú mirabile della storia umana » (F. Turati attraverso le lettere di corrispondenti, per cura di A. Schiavi, Bari, Laterza, 1947, p. 116).
Simili adesioni al socialismo, per lo piú, durarono poco. Ai primi del Novecento, Pascoli non era piú socialista da tempo, e Graf cessò di esserlo. Non fu questa la parabola di Marchesi. Eppure anche in lui, accanto alla componente umanitaria, ebbe un notevole peso quel fatalismo che abbiamo notato or ora nella lettera di Graf a Turati. Ancora[...]

[...]lievo che Marchesi abbia avuto, Ezio Franceschini, che è poi diventato un insigne medievalista. Franceschini ha sempre parlato di Marchesi come di un maestro « irraggiungibile », che, nonostante la grande umanità e la sostanziale modestia, poco o nulla poteva imparare dai suoi scolari. Tuttavia nel suo Marchesi il Franceschini ci ha narrato un episodio significativo (p. xit s.). Nel 1926, sul finire di una lezione sulla tradizione medievale dell'Etica Nicomachea (di cui si era occupato a lungo da giovane), Marchesi accenna a un testo, il
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Liber philosophorum moralium antiquorum, che era sempre rimasto per lui un enigma quanto all'autore, alle fonti, alla lezione di molti passi. Vuole qualcuno dei suoi scolari prenderlo come argomento di tesi di laurea? Si fa avanti Franceschini, sí fa affidare da Marchesi quel lavoro, si ripresenta a Marchesi, dopo aver lavorato da solo, un anno dopo e gli espone i risultati: quel testo è la versione latina di un'opera araba composta nel 1053; ne esistono anche versioni in altre l[...]



da Roberto Pertici, Giovanni Amendola: l'esperienza socialista e teosofica (1898-1905) in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]llaborazione alla « Revue du Nord »: insomma era entrato nel variegato mondo delle riviste di idee.
Anni di pazze sfuriate romantiche quelli della teosofia, ma non anni inutili. In essi trovano una soluzione ingenua e mitologica problemi che restarono al centro della ricerca amendoliana: l'autonomia del sentimento religioso, le motivazioni di fondo dell'impegno morale, un forte interesse per i problemi della psicologia e dei loro rapporti con l'etica. Kant, James e Schopenhauer restarono costanti interlocutori delle riflessioni di Amendola, come pure non lo abbandonò l'interesse per le teorie di riforma sociale di un Ruskin, per le correnti di misticismo religioso, per i new thinkers americani 19 ecc. Ma se non c'era frattura nei temi di riflessione, ve n'era una, decisiva, nel metodo d'indagine. Alla fine del 1906, Amendola scriveva a Papini: « Conosco personalmente i fantasmi, sebbene ne parli meno di te — ma non ne voglio essere apostolo — piuttosto che vivere fra essi preferisco l'assoluta sterilità » (Kühn, p. 116).
ROBERTO PERTICI [...]

[...]uto tracciare un profilo meno impreciso degli anni 18981905 nel libro Giovanni Amendola e la cultura italiana del Novecento (18991914), Roma, Ed. Elia, 1974. Interessanti precisazioni sono contenute anche in altri due saggi dello stesso CAPONE: Moderatismo e democrazia nel pensiero di Giovanni Amendola, nel volume collettaneo G. Amendola nel cinquantenario della morte 19261976, Roma, Fondazione Luigi Einaudi, pp. 93144, in particolare a p. 94, e Etica e politica in Giovanni Amendola, in G. Amendola, una battaglia per la democrazia. Atti del convegno di studi con il patrocinio della Regione EmiliaRomagna, Bologna, Forni ed., pp. 4160, in particolare 5960. Si muovono sostanzialmente sullo stesso piano del Capone gli interventi a questo stesso convegno di SANDRO ROGARI, Formazione e pensiero religioso di Giovanni Amendola, pp. 79106 e di ANTIMO NEGRI, Maine de Biran nel pensiero di Amendola, pp. 6177. Recentemente infine è apparso l'articoletto di BEATRICE BISOGNI, Giovanni Amendola teosofo e massone, in AA.VV., La libera muratoria. Massoneri[...]

[...]mente sullo stesso piano del Capone gli interventi a questo stesso convegno di SANDRO ROGARI, Formazione e pensiero religioso di Giovanni Amendola, pp. 79106 e di ANTIMO NEGRI, Maine de Biran nel pensiero di Amendola, pp. 6177. Recentemente infine è apparso l'articoletto di BEATRICE BISOGNI, Giovanni Amendola teosofo e massone, in AA.VV., La libera muratoria. Massoneria per problemi, Milano, Sugarco, 1978, pp. 109112, opera sostanzialmente apologetica.
Sulle vicende le dottrine, le figure più rappresentative della Società Teosofica, cfr. RENÉ GUENON, Le théosophisme. Histoire d'une pseudoreligion, Paris, Nouvelle Librairie Nationale, 1921, opera di notevole interesse, fortemente ostile alla teosofia, anche se scritta in un'ottica interna al mondo ed ai problemi dell'esoterismo; MARIO MANLIO ROSSI, Spaccio dei maghi, Roma, Doxa, 1929, opera scritta con acume e ironia dal futuro storico e studioso di filosofia; EMILIO SERVADIO, La ricerca psichica, Roma, Paolo Cremonese ed., 1930, in cui le idee teosofiche sono esposte nel piú ampio quadro [...]



da Eugenio Garin, Gramsci nella cultura italiana in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]e e col movimento culturale che a lui si richiamava. In una lettera del 6 giugno del '32 non esiterà a dichiarare, in forma nettissima, non
(3) L. 229.
(4) L. 132; Cfr. M. S. 199 (a io ero [nel febbraio del '17] tendenzialmente piuttosto crociano »); L. V. N. 247 (dall'« Avanti! », 21 agosto 1916): a accanto all'attività conoscitiva, che ci rende curiosi degli altri, del mondo circostante, lo spirito ha bisogno di esercitare la sua attività estetica a.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 157
solo una sottile convergenza fra Croce e Gentile, ma la funzione di Croce nell'Italia fascista: « la più potente macchina » per « conformare » le forze nuove italiane agli interessi del gruppo dominante, intimamente grato, « nonostante qualche superficiale apparenza », al non a caso sempre tollerato filosofo napoletano (5). E' dei « quaderni » la battuta sulla più stretta parentela di Croce con i senatori Agnelli e Benni che con Platone e Aristotele; né a Gramsci era sfuggito il parallelismo fra certi infelici discorsi di Gentile e la bonaria difesa cro[...]

[...]vere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »).
(33) Le due e figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la 'passione' di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l'Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla ' politica' del M. intorno al '25, e subito dopo (dr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: a è risaputo che il M. scopre la necessità e l'autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all'indagine della realtà »).
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 175
richiamo a Roma é meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima dell'Umanesimo e del Rinascimento ». Da altr[...]



da [Le relazioni] E. Garin, Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...]llelismo fra certi infelici discorsi di Gentile e la bonaria difesa crociana {maggio del ’24) delle « piogge di pugni, in certi casi utilmente e op
1 L., p. 132; cfr. M. S., p. 199 (« io ero [nel febbraio del *17} tendenzialmente piuttosto crociano»); L. V. N., p. 247 (dall’Avanti/, 21 agosto 1916): « accanto all’attività conoscitiva, che ci rende curiosi degli altri, del mondo circostante, lo spirito ha bisogno di esercitare la sua attività estetica ».

2 L., pp. 19293. Sulle « crisi » degl’intellettuali (oltre le osservazioni sul Giuliano, pubblicate in Energie Nuove, 128 febbraio 1919, ora in O. N., pp. 189192) è da rileggere, ne La città futura, « Margini », 3 : « gli uomini cercano sempre fuori di sé la ragione dei propri fallimenti spirituali... » (con quel che segue).398

Le relazioni

portunamente somministrate», o di una funzione positiva del fascismo (luglio del ’24), per la restaurazione di un più severo regime liberale nel quadro di uno Stato forte 1. Eppure, accanto all’accusa cosi cruda di una concordia nascosta fra C[...]

[...] uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione » ).

3 Le due « figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la « passione » di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l’Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla « politica » del M. intorno al ’25, e subito dopo (cfr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: «è risaputo che il M. scopre la necessità e l’autonomia della politica, della politica che è al di là, o piut414

Le relazioni

Gramsci sa che Machiavelli è esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che «lo stesso richiamo a Roma è meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima deirUmanesimo e del Rinascimento ». D’altra parte, mentre è fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffanin[...]



da Bruno Bongiovanni, Ritratti critici contemporanei. Maximilien Rubel in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]cito, in .Italia, presso gli Editori Riuniti nel 1967 e Leggere il Capitale presso Feltrinelli nel. 1968.
8 Cfr. Introduction a K.M., Oeuvres. Economie II, cit., pp. LXIILXIII.
MAXIMILIEN RUBEL 285
di un volume collettivo. In questo breve scritto, Rubel riassume la sua interpretazione del pensiero rivoluzionario di Marx, che si fece paladino della necessità storica senza rinnegare l'utopia, anzi ringiovanendola ed allargandone la sfera 9.
2. Etica marxiana e traiettoria della catastrofe. — Maximilien Rubel è nato il 10 ottobre 1905 a Czernowitz, in Bucovina (Impero austroungarico): la sua città natale è diventata romena nel 1918 (Cernáuti) ed è oggi sovietica (Cernovcy). Ha compiuto gli studi secondari a Vienna ed a Cernáuti, ed in quest'ultima città si è laureato prima in diritto e poi in filosofia. Dopo di che, Rubel va a Parigi, dove tra il 1931 ed il 1934 si dedica a studi di germanistica, laureandosi in lettere nel 1934 alla Sorbona: nel 1937 diventa cittadino francese, nel 193940, nella drôle de guerre, viene « mobilitato » e presta la sua opera nei trasporti e nel servizio sanitario. Insegnamento privato di tedesco, di filosofia e di diritto nel 194547 e prime pubblicazioni a carattere marxologico nel 194748: nel 1947 Rubel diventa attaché [...]

[...]isposta socialista alle tesi di James Burnham, il cui libro The Managerial Revolution — del quale oggi sappiamo che fu in gran parte un plagio ai danni di un testo allora sconosciuto dell'italiano Bruno Rizzi 12 — nega che il declino del capitalismo debba condurre al socialismo, al posto del quale comparirà, secondo il sociologo americano, un regime totalitarioburocratico la cui classe dominante verrà costituita, come già accade nella Russia sovietica e come si è intravisto nella Germania nazista e nell'America del New Deal, dai managers e dai dirigenti dell'impresa pubblica e privata, destinati ad essere, in luogo del proletariato, i veri becchini della borghesia e del capitalismo. Léon Blum è un po' spaventato dall'ipotesi terrificante di Burnham, ma reagisce, sul versante socialista democratico, esattamente come agli albori della seconda guerra mondiale Lev Trockij, sul versante leninista rivoluzionario, aveva reagito alle identiche tesi di Bruno Rizzi, opponendo cioè l'ottimismo alla possibilità dell'imminente catastrofe burototalitari[...]

[...]erne et révolution, vol. I, U.G.E. (Coll. 10/18), Paris 1979, pp. 11216.
19 Curiosamente, in termini quasi simili, questo problema viene ripreso da AMA DEO BORDIGA nel suo scritto False risorse dell'attivismo, in « Sul filo del tempo », n. 1, 1953, pp. 2327, ma Bordiga risolve in rigido monismo monolitico il dualismo di Rubel.
288 BRUNO BONGIOVANNI
si schiuda all'umanità la barbarie totalitaria della managerial revolution. Se invece trionfa l'etica marxiana dell'azione rivoluzionaria che si accompagna al determinismo della traiettoria della catastrofe — il secolo xx è stato ricchissimo in fatto di barbarie, secondo Rubel — prevale la tendenza positiva del dilemma luxemburghiano, costituita dall'autoemancipazione dei lavoratori (Rubel ricorda spesso che Marx derivò questa formula da Flora Tristan) e dallo sbocco socialista.
Altro tema trattato nell'Introduction è il tema del partito. Rubel riproduce alcuni suggestivi ed affascinanti passi del carteggio tra Marx e Freiligrath, dove Marx distingue tra partito formale — quello che di volta[...]

[...]scito marxiano che è possibile volgere le spalle alla perenne tentazione di servirsi di questo lascito come di un instrumentum regni.
Parallela al lavoro della bibliografia è la stesura di una biografia intellettuale di Marx, che viene pubblicata nel 1957 35. I temi dell'antologia del 1948, arricchiti da una ricerca più vasta, vengono ripresi, compreso il dualismo, identificato nell'opera di Marx da Rubel e criticato da alcuni recensori 36, tra etica rivoluzionaria e sociologià critica. A questo proposito è forse opportuno ricordare alcuni punti di contatto con gli studi di Karl Korsch ', con il quale negli anni Cinquanta Rubel aveva avuto uno scambio epistolare. In ogni modo, nella biografia di Marx un grande spazio hanno le opere giovanili, testimonianza della protesta antihegeliana ed antistatale in nome della società concreta, protesta che secondo Rubel è in sintonia con l'antihegelismo proclamato da Kierkegaard in nome del l'individuo concreto. Rubel mette in luce l'influenza dell'etica di Spinoza su Marx 3B, il suo passaggio dal lib[...]

[...] di contatto con gli studi di Karl Korsch ', con il quale negli anni Cinquanta Rubel aveva avuto uno scambio epistolare. In ogni modo, nella biografia di Marx un grande spazio hanno le opere giovanili, testimonianza della protesta antihegeliana ed antistatale in nome della società concreta, protesta che secondo Rubel è in sintonia con l'antihegelismo proclamato da Kierkegaard in nome del l'individuo concreto. Rubel mette in luce l'influenza dell'etica di Spinoza su Marx 3B, il suo passaggio dal liberalismo al comunismo, la critica della burocrazia intesa come élite del sapere esoterico, il passaggio dall'analisi della religione all'analisi della politica attraverso la mediazione di Feuerbach e la critica dell'emancipazione politica in nome dell'emancipazione umana: in Marx, secondo Rubel, la critica diventa lo strumento teorico per eccellenza, atto ad articolare sul piano della coscienza e della conoscenza il progetto etico e rivoluzionario di farsi disertore del vecchio mondo. Con la concezione materialistica della storia, successiva alla[...]

[...]ogetto etico e rivoluzionario di farsi disertore del vecchio mondo. Con la concezione materialistica della storia, successiva alla critica della politica, Marx approda ad un metodo di indagine che Rubel definisce — con un'espressione a nostro avviso non eccessivamente felice e che forse intende sottolineare il debito contratto da Marx nei confronti di SaintSimon — sociologia critica o sociologia pragmatica. Marx si è inizialmente schierato con l'etica proletaria sansimoniana, a fianco della
3a Cfr. Supplement à la Bibliographie des oeuvres de Karl Marx, Rivière, Paris 1960.
35 Cfr. Karl Marx. Essai de biographie intellectuelle, Rivière, Paris 1957 (19712).
36 Tra tutti cfr. LUCIEN GOLDMANN, Propos dialectique. Y atil une sociologie marxiste?, in « Les Temps modernes », ott. 1957, cui Rubel rispose nel numero di dicembre della stessa rivista.
37 Cfr. KARL KORSCH, Karl Marx, Laterza, Bari 1969. Cfr. inoltre AA.VV., Über Karl Korsch, in Jahrbuch Arbeiterbewegung 1, Fischer, Frankfurt 1973.
38 Nel 1841 Marx riportò su un quaderno circa 16[...]

[...]serrata degli scritti di Marx senza, prima o poi, porsi il problema della natura sociale di quello Stato e di quella società che, ufficialmente, al pensiero di Marx si richiamano:.. lo Stato e la società dell'uRs S. Rubel, nel 1957, comincia una riflessione che proseguirà negli anni successivi 46 e che condurrà in piena armonia con i risultati delle sue analisi marxologiche. Rubel comincia con il ricordare che Lenin, a proposito della Russia sovietica, parlava di capitalismo di Stato sorvegliato e diretto dal potere operaio, un potere che si identifica nel partito bolscevico,
44 Cfr. AUGUST THALHEIMER, Sul fascismo, in RENZO DE FELICE (a cura di), Il fascismo. Le interpretazioni dei contemporanei e degli storici, Laterza, Bari 1970. Cfr. anche GIAN ENRICO RuscoNl, La teoria critica della società, Il Mulino, Bologna 1968, pp. 176187.
' Cfr. Karl Marx devant le bonapartisme, cit., p. 160. ..
46 Cfr. La croissance du capital en U.R.S.S. (1957), The relationship of Bolshevism to Marxism (1968), La fonction historique de la nouvelle bourgeoi[...]

[...] mito: il bolscevismo si è servito del pensiero di Marx per fare accettare alle masse operaie esigue del 1917 ed a quelle ben piú cospicue dei decenni successivi una corsa alla concentrazione del capitale di una rapidità e di una violenza superiori a quelle della rivoluzione industriale nei paesi occidentali. Marx, secondo Rubel, ha concepito, in pagine profetiche, un sistema capitalistico allo stato puro che è stato realizzato dalla società sovietica, la quale ha fatto di necessità virtú ed è riuscita a mettere in moto un'accumulazione capitalistica di grandi dimensioni senza fare ricorso ai tradizionali uffici della classe borghese. Marx aveva studiato le condizioni sociali della Russia, guardato con interesse ai suoi istituti comunitari ed auspicato che, grazie alla permanenza di tali istituti ed al rapido affermarsi della rivoluzione in Occidente, la Russia potesse avere la ventura di passare al socialismo senza attraversare il necessariamente intermedio purgatorio capitalistico: ma già negli ultimi anni di vita questa possibilità gli [...]

[...]radizione che gli utopisti stessi hanno inaugurato. Marx ha riconosciuto la spontaneità del proletariato e dentro questa ha ravvisato una missione storica, operando, nel contempo, per fornire al proletariato stesso, senza pretese egemoniche, la conoscenza delle leggi della società e dei mezzi e dei fini del processo di liberazione. Nel movimento reale che tende al comuni
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smo Marx ha ravvisato, secondo Rubel, le norme di un'etica rivoluzionaria, che è insieme coscienza critica dello stato di cose esistente ed anticipazione del comunismo, entrambe armoniosamente collegate con l'utopia socialista. Ecco perché in Marx coesistono la libertà (etica della rivoluzione) e la necessità (determinismo delle forze produttive), l'utopia e la critica: con Marx, il socialismo non ha proceduto dall'utopia alla scienza, come ha preteso Engels e dopo di lui lo scientismo di marca sovietica. Marx non ha mai rinnegato la tensione utopica insita nel movimento reale, pur analizzando con rigore storicocritico e scientifico le norme di funzionamento del processo di produzione. Del resto, se il socialismo è scienza svincolata dalla utopia è piú che normale che esso divenga ricettario di partito, patrimonio di un'élite che, dall'alto e dall'esterno, s'incarica di portare il sapere agli agenti puramente meccanici della trasformazione sociale. I partiti formali, i movimenti operai politici, lottano per la conquista della democrazia, per le otto ore, per la legislazione del lavoro, per il[...]



da Libri ricevuti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]io, Milano, Mondadori, 1979, pp. 156.
GIULIO CARLO ARGAN, Intervista sulla fabbrica dell'arte, a cura di Tommaso Trini, RomaBari, Laterza, 1980, pp. 180.
MINO ARGENTIERI, L'occhio del regime. Informazione e propaganda nel cinema del fascismo, Firenze, Vallecchi, 1979, pp. 206.
DIONIGI ATANAGI, Rime d'encomio e morte, a cura di Gualtiero De Santi, con cinque disegni di Ernesto Treccani, Ancona, L'Astrogallo, 1979, pp. 162.
MICHAIL BACHTIN, Estetica e romanzo, a cura di Clara Strada Janovic, Torino, Einaudi, pp. xvi506.
ID., L'opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, traduzione di Mili Romano, Torino, Einaudi, 1979, pp. 524.
BRONISLAW BACZKO, L'utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell'età dell'illuminismo, traduzione di Marghe rita Botto e Dario Gibelli, Torino, Einaudi, 1979, pp. XII460.
MARIALUISA BALDI, Filosofia e cultura a Mantova nella seconda metà del Settecento. I manoscritti filosofici dell'Accademia Virgiliana, Firenze, La Nuova Italia[...]

[...] ermafrodito presentate da Michel Foucault, traduzione e nota introduttiva di Brunella Schisa, Torino, Einaudi, 1979, pp. xiv124.
GIORGIO BARONI, Giuseppe Ungaretti, Firenze, Le Monnier, 1980, pp. 184.
ROLAND BARTHES, Frammenti di un discorso amoroso, traduzione di Renzo Guidieri, Torino, Einaudi, 1979, pp. x218.
LELIO BASSO, Socialismo e rivoluzione, nota di Fiorella Ajmone e Carlo Basso, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 366.
FRANCO BELLANDI, Etica diatribica e protesta sociale nelle satire di Giovenale, Bologna, Pàtron, 1980, pp. 116.
PIETRO BELTRAMI, Parlammo di Cézanne sul Nilo Bianco. Viaggio attraverso i detriti di una colonizzazione, Milano, L'erba voglio, 1980, pp. 104.
LEONARDO BENEVOLO, La laurea dell'obbligo, RomaBari, Laterza, 1979, pp. 150.
GIANCARLO BERGAMI, Da Graf a Gobetti. Cinquant'anni di cultura militante a Torino (18761925), Torino, Centro studi piemontesi, 1980, pp. xvIII144.
CARLO BERTELLI GIULIO BOLLATI, Annali 2. L'immagine fotografica 18451945, Storia d'Italia coordinata da Ruggiero Romano e Corrado Vivanti[...]

[...]i dell'Ateneo & Bizzarri, 1978, pp. 142.
CHRISTIAN JENSEN WOLFGANG SCHMID
MARCELLO GIGANTE, Saggi di papirologia ercolanese, Napoli, Morano, 1979, pp. 115.
HANSPETER KLAUS, Selbstinterpretation bei Leopardi, BernFrankfurt am MainLas Vegas, Peter Lang, 1979, pp. 102.
ERICH KÖHLER, Per una teoria materialistica della letteratura. Saggi francesi, traduzione di Vittorio Marmo e Giuseppe Rizzuto, Napoli, Liguori, 1980, pp. 172.
JULIA KRISTEVA, Eretica dell'amore, a cura di Edda Melon, Torino, La Rosa, 1979, pp. x116.
L. LAINI G. PEDROJETTA U. WIPFLI, Un'analisi di testo per l'insegnamento (U. Foscolo: « Il proprio ritratto »), Friburgo, Seminario di italiano, 1979, pp. 652.
SILVIO LANARO, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia (18701925), Venezia, Marsilio, 1979, pp. 296.
STEFANO LANUZZA, L'apprendista sciamano. Poesía italiana degli anni settanta, Un saggio introduttivo con i confronti antologici da G. Barberi Squarotti a S. Folliero, MessinaFirenze, D'Anna, 1979, pp. 192.
ANTONIO LA PENNA, Concetto Marchesi. La cri[...]

[...]LER, Pariser Bilder I (18301848). Antibourgeoise Ästhetik bei Baudelaire, Daumier und Heine, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1979, pp. 302.
DAVID R. OLSON, Linguaggi, media e processi educativi, a cura di Clotilde Pontecorvo, traduzione di Liliana Salvadori, Torino, Loescher, 1979, pp. 224.
SALVATORE ONUFRIO, Sorel e il marxismo, Urbino, Argalia, 1979, pp. vIII382.
MARIO PADOVAN, Omaggio ad Albert Einstein, Trieste, International centre for theoretical Physics, 1979, pp. 40 non numerate.
LUCIO PAGNONCELLI, Sistema formativo e educazione degli adulti, Torino, Loescher, 1979, pp. 270.
PAOLO PARRINI, Fisica e geometria dall'Ottocento a oggi, Torino, Loescher, 1979, pp. 252.
HENRY PARRIS, Una burocrazia costituzionale. L'evoluzione dell'amministrazione centrale inglese dal Settecento a oggi, traduzione di Maria Pia Lunati Figurelli, prefazione di Bruno Dente, Milano, Edizioni di Comunità, 1979, pp. 446.
PIER PAOLO PASOLINI, Il caos, a cura di Gian Carlo Ferretti, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 274.
NINO PASTI, Falchi colombe e struzzi, [...]

[...]YTECA, Retorica e filosofia, Introduzione di Furio Semerari, Bari, De Donato, 1979, pp. 182.
LEO PESTELLI, Parlare italiano, nuova edizione riveduta e aggiornata, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 380.
CLAUDIA PETRACCONE, Le città italiane dal 1860 a oggi, Torino, Loescher, 1979, pp. 296.
CARLO PETTAZZI, Th. Wiesengrund Adorno. Linee di origine e di sviluppo del pensiero (19031949), Firenze, La Nuova Italia, 1979, pp. xvI296.
JEAN PIAGET, Cibernetica e strutture operatorie del pensiero, a cura di Leonardo Trisciuzzi, Maria Teresa Poropat, Maria Cargnello, Torino, Loescher, 1979, pp. 117.
CESARE PIANICOLA, Filosofia e politica nel pensiero francese del dopoguerra, Torino, Loescher, 1979, pp. 298.
STEFANIA PICCINATO, Testo e contesto della poesia di Langston Hughes, Roma, Bulzoni, 1979, pp. 255.
MICHELANGELO PICONE, « Vita nuova » e tradizione romanza, Padova, Liviana, 1979, pp. VIII204.
ANTONIO PIROMALLI, Albino Pierro. Dialetto e poesia, Cassino, Garigliano, 1979, pp. 142.
STEFANO POGGI, Le origini della psicologia scientifica, Torin[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] F. Papi, LA concezione della storicità nel pensiero di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]nere presenti due direzioni egualmente importanti e tra loro naturalmente connesse: per un verso,. come è detto nel riassunto della relazione di Luporini, il <divello in cui le diverse questioni s'incontrano e tendono ad articolarsi », per altro verso, la ripresa radicale del tema dell'autonomia filosofica deL marxismo come generale concezione del mondo, la quale, nell'opera gramsciana, si ritrova sia nella vigorosa messa a fuoco della trama teoretica che sorregge e giustifica questa affermazione, sia nella valorizzazione concreta dell'universalità critica che il marxismo cosí concepito garantisce nei confronti dei problemi della storia e della cultura. Lo studio del primo punto riconduce a quell'importante dialogo che Gramsci stabili con la cultura italiana da un punto di vista originale nei confronti delle correnti e delle idee che s'intrecciavano nel panorama intellettuale italiano, punto di vista che, negli anni del dopoguerra, costituí una delle piattaforme critiche piú importanti che servirono alla nostra cultura (intendo dire nella [...]

[...]enere sempre desto l'orizzonte problematico di ogni questione storicamente determinata; 3) di postulare la richiesta di una radicale trasformazione del mondo della necessità in mondo della libertà proprio perché si avverte l'indice di necessità (o naturalità) ineliminabile e condizionante, valorizzando cosí il piú possibile l'eroismo della ragione che umanizza il reale e ne progetta lo sviluppo, sottolineando il carattere drammatico della azione etica e politica che, come libertà, introduce nel mondo il regno che l'uomo liberamente si dà determinando esso stesso la propria essenza come un dato possibile e proprio per questo realizzabile.
Tenute presenti queste osservazioni, che non vogliono che essere richiami schematici di tutto un ordine di problemi estremamente complesso, io penso che partendo dalla stessa piattaforma gramsciana sia possibile, valorizzando e sviluppando quel concetto di storicità che abbiamo veduto prevalente e fondamentale, abbozzare una linea di sviluppo per alcune questioni della cultura contemporanea che all'intern[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] F. Alderisio, Riflessioni di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia della prassi in Studi gramsciani

Brano: [...]rassi è una riforma e uno 'sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca di liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico ». In altri termini, ritenendo egli che la proposizione di Engels del « passaggio dal regno della necessità al regno della libertà » debba essere analizzata ed elaborata « con molta finezza e delicatezza », è quindi — ciò che è ancora piú significativo — pervenuto alla franca ammissione di un'etica o moralità del materialismo storico, cosí scrivendo:
1 M. S., p. 90.E da aggiungere che G. ha anche rilevato la diffusa opinione che la filosofia della prassi è una pura filosofia, cioè « la scienza della dialettica » , ed ha altre due parti, che sono « l'economia e la politica »; e che essa con tali tre parti « rappresenta il coronamento e il superamento del grado piú alto che verso il '48 aveva raggiunto la scienza delle nazioni piú progredite d'Europa : la filosofia classica tedesca, l'economia classica inglese e l'attività e scienza politica francese » (M. S., pp. 1289). Ma egli ha badat[...]

[...]dimostrazione che queste condizioni esistono. Si dovrebbe trattare anche non di una gerarchia dei fini, ma di una graduazione dei fini da raggiungere, dato che si vuole "moralizzare" non solo ogni individuo singolarmente preso, ma anche tutta una società d'individui » 1. Qui non occorre gran fatica per vedere conciliate la condizionalità storica, su cui insiste il materialismo storico per l'efficacia dell'azione economicopolitica, con l'esigenza etica propria del libero volere agente secondo fini suggeriti soprattutto dalla detta condizionalità e da realizzarsi, se necessario, anche con un rovesciamento della prassi; onde il progresso sociale riesca una moralizzazione sociale. Ma il detto volume contiene un'altra riflessione, molto ampia e forse meglio introduttiva alla filosofia della prassi, e con la quale Gramsci vedeva questa filosofia presupporre il passato culturale della Rinascita e della Riforma, la filosofia tedesca e la Rivoluzione francese, :il calvinismo e l'economia classica inglese, il liberalismo laico e in senso lato lo sto[...]

[...]nnegabile che di quel concetto Gramsci ebbe piú il senso e l'avvertimento che non l'intendimento pieno e spiegato, onde egli della questione della razionalità o immanenza della storia umana e della teleologia, come finalità naturale e interna alle cose e come idea umana operante nella storia, dovette limitarsi a dare solo alcune interessanti indicazioni piú che altro +filologiche, che potevano soltanto preludere ad una necessaria trattazione teoretica, ma non soddisfarla, né ancor meno eluderla. Tuttavia quanto egli riuscí a considerare sull'argomento fu segno per lui di un chiaro e fermo
i M. S., p. 101. Qui G. ricorda i concetti di « Provvidenza » e di « fortuna » come sono stati adoperati speculativamente dai filosofi idealisti italiani, specialmente dal Croce, del quale occorreva vedere il libro sul Vico, « in cui il concetto di Provvidenza è tradotto in termini speculativi, e in cui si dà inizio all'interpretazione idealistica della filosofia vichiana ».
60 1 documenti del convegno
orientamento, e tale orientamento è sempre valido [...]

[...] ».
60 1 documenti del convegno
orientamento, e tale orientamento è sempre valido e necessario per la migliore intelligenza e il piú sicuro quanto necessario sviluppo della filosofia della prassi.
Ed ecco ora l'osservazione piú diretta e calzante sul concetto della finalità, lasciataci da Gramsci nei suoi « quaderni », per quanto anch'essa sia rimasta alla fase di una semplice obiezione polemica e di una vaga e generica presa di posizione teoretica. E un'annotazione avente per titolo « La teleologia » 1 e fa parte delle molteplici critiche che Gramsci scrisse contro il Manuale popolare di sociologia marxista di Bukharin. Egli fra l'altro lamentava che tale libro proprio « nella questione della teleologia » apparisse piú vistosamente difettoso, poiché a tale proposito quel saggio popolare presentava « le dottrine filosofiche passate su uno stesso piano di trivialità e banalità, cosí che al lettore pare che tutta la cultura passata sia stata una fantasmagoria di baccanti in delirio... Cosí il Saggio presenta la quistione della teleologia [...]

[...]scussione anche rispetto alla revisione critica della filosofia della storia di Hegel, si astenne tuttavia dall'usare — a scopo di critica — quell'immagine della testa umana rovesciata, cosí com'era stata, se non foggiata, adoperata anche da Marx. Né si può supporre che il Labriola l'avesse ignorata, o non l'avesse rilevata, ma piuttosto che egli, piú avveduto e moderato critico della posizione hegeliana in materia di filosofia della storia e di etica e politica, non intendesse di spingere la sua critica fino al segno di un totale rovesciamento o capovolgimento di quella. Ed io non ritengo qui fuori luogo di richiamare una chiara allusione al senso astrattamente realistico o materialistico, cioè troppo unilaterale, che quell'immagine aveva assunto contro l'idealismo hegeliano, cioè l'allusione che ad essa fu fatta dallo Spaventa in un luogo della sua Logica e Metafisica, dove essa è accompagnata dalla dovuta critica. Premessa da lui l'esplicita ammissione che sia impossi
1 È l'opera di G. LUKÀcs, Der ¡unge Hegel Ueber die Beziehungen von[...]

[...]e che l'averlo egli stesso escogitato e formulato, ed anzi indicato come un momento naturale e necessario della coscienza fenomenologica, costituisce una posizione di forza per il suo scopritore, che poté segnarne anche il limite di validità e di uso, e inoltre superarlo nel processo ulteriore della stessa coscienza fenomenologica. Ma ai suoi tardivi e frettolosi avversari o riformatori la mancata identificazione — da. parte loro — del luogo teoreticamente piú importante e di maggiore significato, in cui quell'argomento concettuale e critico era stato ad un tempo e scoperto ,nella coscienza fenomenologica e preventivamente superato e confutato, non permise di avvertire che non era legittimo né sicuro l'uso di un'arma non di loro costruzione, e proprio contro chi ne era stato l'inventore e il neutralizzatore. Con siffatta arma di critica una apparenza, ovvero un riflesso della coscienza fenomenologica, veniva adoperato contro la reale sostanza o il soggetto della coscienza.
1 B. SPAVENTA, Logica e Metafisica, Bari, 1911, p. 303.
70 I docu[...]

[...]onsidera questa come un mero riflesso di quella, e non come il coronamento e l'autoriflessione della stessa realtà o esistenza nel suo sapersi ed attuarsi, ossia la finalità ultima, che è la finalità stessa del reale e ad esso immanente.
Ritengo cosí di aver messo in opportuna luce, e riportato all'attualità della presente considerazione e ricerca filosofica un importante filone di pensiero di Antonio Gramsci, e ripreso insieme una esigenza teoretica interna alla filosofia della prassi ed al suo metodo dialettico nella sua concezione della natura e della storia umana e nella sua azione conseguente, aprendo infine una vasta ed interessante prospettiva di lavoro.
6.



da m.m.[M. Marchi], scheda sintetica di «Sigma» in KBD-Periodici: Rinascita 1975 - 8 - 29 - numero 34

Brano: [...]va il titolo, ma restavano immutati l'indirizzo programmatico, la periodicità di. pubblicazione e il comitato redazionale, che, rispetto a quello odierno, contava in più i nomi di A. Del Bona, A. Galvano, O. Navarro e G. F. Torcellan, mentre non comparivano G. Davico Bonino, A. Jacomuzzi, S. Jacomuzzi e L. Mondo. Ogni fascicolo di Cratilo aveva accolto accanto a interventi a carattere teoricometodologico (l'importante studio di N. Frye « Critica etica e teoria dei simboli » fu diluito a due riprese), ricerche di tipo linguistico (M. Guglielminetti, « Struttura e sintassi dei romanzi di Svevo »; A. Jacomuzzi, «Nota sul linguaggio di Montale: l'elencazione ellittica
»). Ampio spazio era stato inoltre concesso alla pubblicazione di testi creativi, soprattutto poetici (versi di S..Ramat, G. Giudici, S. Pautasso, ecc.), e anche in questo senso Sigma, nei suoi primi numeri, si pose su una linea di diretta continuità (poesie di O. Navarro, G. P. Bcna, ecc.).
Attualmente la rivista, redatta negli Istituti di letteratura italiana, storia della li[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Etica, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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