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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Col è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 54Analitici , di cui in selezione 5 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Giovanni Testori, Il Fabbricone in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...] per primi!
Un ciac; un breve silenzio; poi un altro ciac; come se, invece che di gocce d'acqua, si trattasse di mosche che una mano scagliava da chissà dove perché andassero a schiacciarsi sulla terra.
La minestra da fare; il pezzo di fesa da battere... La Redenta lo guardò un'altra volta starsene li, sul tavolo, e un'altra volta avverti la sensazione di paura e di schifo che sempre provava davanti alla carne in genere e alla polleria in particolare: « carne a mezzogiorno e carne alla sera — si disse — Sempre carne 'sto scapolo d'uno scapolo! Come se non sapesse che metà della gente, a furia di arteriosclerosi e pressione alta va a finire a morir d'infarto! Coi duecento e più che ha! »
Lo scapolo era il fratello, quello con cui aveva vissuto fin li e con cui avrebbe forse vissuto fin alla fine; perché l'idea che il Luigi si decidesse a prender moglie alla bell'età di quarantacinque anni, non riusciva a persuaderla; questo anche se di tanto in tanto l'argomento dei loro discorsi cadeva proprio sulla relazione che il fratello, già da q[...]

[...]Parigi.
Quella della carne alla sera, era una delle tante abitudini del fratello che la Redenta non riusciva a giustificare; tanto più che, lei come lei, faticava già molto a mandarla giù a mezzogiorno. Un'ombra di timore, come se preparandola prima e mettendosela tra i denti poi, sentisse chissà che eccessi di somiglianza con la carne umana; fesa, manzo, filetto; tutto uguale; per non parlar di quand'era il fegato che si trovava tra mano. Quel color cupo, quel sangue violastro, quei nervetti! Del resto tutto quel carname cominciava a farle schifo, dal momento in cui se lo vedeva là, ammassato e penzolante dalle vetrine e dalle pareti del negozio.
Perché, in definitiva, il giorno in cui i capi, i padroni, si fossero decisi a dar sfogo a tutto il loro progresso e a tutta la loro umanità, a cosa si sarebbe ridotto il mondo, se non a una macelleria?
Un'altra scarica di razzi s'alzò, in quel momento contro il cielo per dissipare, all'incirca sopra le ortaglie del Pero, un grumo di nuvolaglie, più cupo e più minaccioso degli altri.
Allora[...]

[...]pi, i padroni, si fossero decisi a dar sfogo a tutto il loro progresso e a tutta la loro umanità, a cosa si sarebbe ridotto il mondo, se non a una macelleria?
Un'altra scarica di razzi s'alzò, in quel momento contro il cielo per dissipare, all'incirca sopra le ortaglie del Pero, un grumo di nuvolaglie, più cupo e più minaccioso degli altri.
Allora la Redenta strinse le labbra tra i denti. Perché già, a sentir certi consigli lei, davanti a quei colpi, avrebbe dovuto pensar a tutto tranne a quell'altra macelleria che era stata la guerra e a ciò che in quella macelleria lei aveva visto, passato e provato; a tutto, tranne alla scarica con cui, fronte albanese, ventitrè novembre, il suo Andrea gliel'avevan fatto fuori senza preavvisi, né niente: un povero corpo crivellato (almeno per quel che era riuscita a immaginare); e dappertutto sangue, sangue che veniva giù sulle braccia, sul ventre; in mezzo alla neve che quel giorno i padroni del mondo avevan lasciato cadere, forse perché di pensar a quelle cose non avevan avuto né la calma, né il t[...]

[...]iente: un povero corpo crivellato (almeno per quel che era riuscita a immaginare); e dappertutto sangue, sangue che veniva giù sulle braccia, sul ventre; in mezzo alla neve che quel giorno i padroni del mondo avevan lasciato cadere, forse perché di pensar a quelle cose non avevan avuto né la calma, né il tempo; neanche si fosse trattato d'un cane. E da allora, naturalmente, per lei, il capitolo uomini s'era chiuso e chiuso per sempre. Figurarsi, col carattere con cui era venuta al mondo, poi!
72 GIOVANNI TESTORI
Si e no un respiro, ed ecco un lampo più lungo degli altri saettar giù dalle nubi e lacerar i vetri della casa; nell'interno le stanze parvero incendiarsi; subito dopo, il tuono prese a correr nel cielo per perdersi poi in una catena di brontolii, là, oltre l'orizzonte.
Chiusa dentro la sottana della madre, la Lisetta si senti prender un'altra volta dalla paura; allora diede un grido da bestiolina ferita e ricominciò a tremare.
« Ma di cos'hai paura, scemetta? — fece la madre, cercando
di levarsela d'attorno — Mettiti là a f[...]

[...]o per perdersi poi in una catena di brontolii, là, oltre l'orizzonte.
Chiusa dentro la sottana della madre, la Lisetta si senti prender un'altra volta dalla paura; allora diede un grido da bestiolina ferita e ricominciò a tremare.
« Ma di cos'hai paura, scemetta? — fece la madre, cercando
di levarsela d'attorno — Mettiti là a far 'ste aste! ».
Ma di far le aste, la Lisetta non si sentiva; infatti, appena il temporale s'era annunciato, la piccola Borgonuovo s'era levata dal tavolo e s'era rifugiata nelle braccia della madre dove si trovava tuttora; in quel modo il quaderno era rimasto aperto sul tavolo, lá dove la sua matita aveva tracciato con timido impaccio le prime file di segni.
« Guarda il coraggio che ha il Tino! E si che è minore... »
Il Tino, maschio unico tra i molti Borgonuovo di via Aldini, era infatti uscito di casa alle prime avvisaglie del temporale; a squarciagola aveva chiamato sul suo piano il Franchino, sul piano di sotto l'Enrico; poi, precipitando per le scale, era sceso giù e s'era appostato in uno dei due ing[...]

[...]ano di sotto l'Enrico; poi, precipitando per le scale, era sceso giù e s'era appostato in uno dei due ingressi del casone, preso come gli amici dalla lotta tra terra e cielo cui avrebbe assistito; e in quel punto scalpitando come un cavallo si trovava quando a quel lampo ne segui un secondo, ancor più lungo e spettrale.
«Avanti! Giù! — gridò allora preso da una gioia eccitata e incosciente — Giù! ».
Al fronte albanese, all'Andrea, a tutti quei colpi, (una scarica di mitra, le avevan detto) a tutto quel sangue, a tutto quel tirarsi, soffrire e chiamare, lei non avrebbe dovuto pensarci neppur quando le capitava di veder dei film che, di guerra, di morti e di massacri, parlavan dal principio alla fine; neppur quando di guerra, di morti e di massacri le parlava la televisione del bar di Via Zoagli o quella, che una sera andava e tre no, dei Meroni. E men che meno, quando, a furia di girarsi attorno, volente o nolente, l'occhio fi
IL FABBRICONE 73
niva col caderle sulla fotografia; non quella che l'Andrea le aveva mandato dal fronte, perc[...]

[...], a tutto quel tirarsi, soffrire e chiamare, lei non avrebbe dovuto pensarci neppur quando le capitava di veder dei film che, di guerra, di morti e di massacri, parlavan dal principio alla fine; neppur quando di guerra, di morti e di massacri le parlava la televisione del bar di Via Zoagli o quella, che una sera andava e tre no, dei Meroni. E men che meno, quando, a furia di girarsi attorno, volente o nolente, l'occhio fi
IL FABBRICONE 73
niva col caderle sulla fotografia; non quella che l'Andrea le aveva mandato dal fronte, perché quella tra lacrime e bestemmie lei l'aveva ridotta in pezzi poche ore dopo aver avuto la notizia; ma quella fatta tre o quattro mesi prima del richiamo; quella che lo rappresentava negli abiti borghesi, negli abiti della gente libera e civile, ecco. Perché, delle divise, degli elmetti, delle fasce, degli scarponi e di tutto quell'armamentario, lei non voleva vedersi attorno neppur più l'ombra; tanto le odiava le divise, gli elmetti, i richiami, i reggimenti, i gruppi, i comandi, i precetti e i non precetti! [...]

[...]e in due o tre mesi se ne trovan un'altra o si fan l'amante.
Ma lei? Lei era una povera illusa, una di quelle che, stabiliti faccia, nome e cognome d'un uomo, ecco, o quello o niente e nessuno per l'eternità. E siccome i capi, i padroni, loro, insomma, il suo gliel'avevan tolto dalle braccia con una cartolinaprecetto e nelle braccia non gliel'avevan poi più riportato neanche per ve
74 GIOVANNI TESTORI
derlo, vestirlo e metterlo nella cassa, eccola li, legata ancora a quel che il suo Andrea era stato e a quel che avrebbe potuto essere; non a un uomo, dunque, ma a un'ombra; un'ombra che, per giunta, del fatto d'esser uomo non le aveva lasciato né un segno, né un ricordo; niente. E come poteva fare allora a vivere e a star calma e tranquilla come le altre che il loro uomo, o l'avevan avuto o l'avevan ancora? E che gli facesse pure le corna! Oh, madonna, per quel che valgono quelle cose li, di fronte a tutto il resto!
Mentre la Redenta svolgeva tra sé quei pensieri e mentre nelle altre stanze gli inquilini si dicevan quasi tutti che gli [...]

[...]! Oh, madonna, per quel che valgono quelle cose li, di fronte a tutto il resto!
Mentre la Redenta svolgeva tra sé quei pensieri e mentre nelle altre stanze gli inquilini si dicevan quasi tutti che gli antigrandine sarebbero riusciti un'altra volta a fermar la tempesta, il vento ricominciò a sollevarsi attorno più forte e più distruttore di prima: carte, foglie, pezzi di rame e nugoli di polvere si alzaron allora da ogni parte, scontrandosi e mescolandosi tra loro, mentre le persiane ripresero a sbattere contro i muri e le piante a scricchiolare e a piegarsi.
« 'Sti delinquenti dei padron di casa! » — fece la Schieppati, anche se lei per prima sapeva come, non tanto di padroni si trattasse, quanto d'un consorzio, e d'un consorzio creato a scopi benefici e pii.
« Fosse per loro di questa casa non ci sarebbe più in piedi un mattone! ».
Magra, gli occhi fuor dalla testa, come se i sette figli, prima col latte, poi col resto, l'avessero tutta asciugata, la Schiepp< <i continuava a piegare e ripiegare, un piano sotto la Redenta, quel che d[...]

[...] loro, mentre le persiane ripresero a sbattere contro i muri e le piante a scricchiolare e a piegarsi.
« 'Sti delinquenti dei padron di casa! » — fece la Schieppati, anche se lei per prima sapeva come, non tanto di padroni si trattasse, quanto d'un consorzio, e d'un consorzio creato a scopi benefici e pii.
« Fosse per loro di questa casa non ci sarebbe più in piedi un mattone! ».
Magra, gli occhi fuor dalla testa, come se i sette figli, prima col latte, poi col resto, l'avessero tutta asciugata, la Schiepp< <i continuava a piegare e ripiegare, un piano sotto la Redenta, quel che di volta in volta finiva di stirare; mutande, camicie, maglie e fazzoletti; e intanto che piegava e metteva da una parte, imprecava a voce alta e malediva.
A quell'improvvisa ripresa del temporale, la Redenta s'illumi
nò tutta d'una gioia vindice e vincitrice:
«Ci siamo! » — si disse, mentre l'occhio tornava a caderle sul
pezzo di fesa — « Ci siamo! » — ripeté.
E quando, poco dopo, penetrando dai vetri della cucina, un
IL FABBRICONE 75
lampo andò a guizzar proprio sop[...]

[...]del resto anche adesso teneva sempre nelle mani la corona del rosario e se la stringeva con la gioia, tra animale e innocente, con cui un bambino stringe a sé una caramella o un torrone.
Quel che aspettava era il rientro del figlio e del nipote che l'avrebbero preso, uno dalle spalle, l'altro dai piedi, e gli avrebbero fatto cambiar posizione; tutto il suo piacere, durante la giornata, consisteva in quei tre o quattro cambi, coi quali i suoi muscoli sembravano andar ogni volta a posto, come se ogni volta si sistemassero per sempre. Quanto alla pulizia, gliela faceva la nuora, essendo troppo giovane la nipote per mettersi in quei lavori; lavori delicati, non tanto perché riguardavano un corpo trafitto da una serie senza fine di punture e tutto dolente di stanchezza e di mali, quanta perché lui era pur sempre uomo e la nipote, donna.
« Quant'è che manca alle cinque e mezza, Ernesta? » — disse con un tono di voce che l'aspetto avrebbe fatto sospettar più lieve e che riuscì invece a vincere il brontolio del tuono.
« Cosa ? » — rispose dal[...]

[...]ologeria, figlio e nipote rientravan dal lavoro.
« Allora fra poco saran qui » — si disse il vecchio, pregustando il sollievo che l'imminente cambio di posizione gli avrebbe pro
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curato; al punto però in cui prese a desiderar quel sollievo con più forza d'ogni altra sera. l'Oliva si ricordò come la mattina, uscendo, figlio e nipote gli avessero detto che quel giorno sarebbero rientrati più tardi in quanto dovevan passare al Circolino, alla sede cioè del partito, per le misure da prendere circa l'incidente del giorno prima.
« Quegli anticristi! — fece allora il vecchio, mentre sulla testa gli scoppiava un altro tuono — Cosa aspetta domineddio a bruciarli tutti? ».
L'incidente del giorno prima riguardava alcuni manifesti che il nipote, con altri compagni di partito, aveva incollato sui muri del fabbricone casi come su quelli delle case e dei casoni circonvicini, e che la mattina s'eran trovati strappati e impiastrati di fango e di merda; su uno anzi, quasi avessero intinto il dito non in quella mistione, ma nell'inchiostro, avevan scritto in lungo e in largo:
« Fascisti! Preti! Traditori degli operai! »
« E' chiaro — aveva commentato la nuora — siccome vivono nella merda, anche per scrivere adoprano merda ».
Allora quel sollievo mancato si tramutò in lui nell'orgoglio di saper che il ritardo del nipote e del figlio era motivato da quella che lui chiamava la causa[...]

[...]il dito non in quella mistione, ma nell'inchiostro, avevan scritto in lungo e in largo:
« Fascisti! Preti! Traditori degli operai! »
« E' chiaro — aveva commentato la nuora — siccome vivono nella merda, anche per scrivere adoprano merda ».
Allora quel sollievo mancato si tramutò in lui nell'orgoglio di saper che il ritardo del nipote e del figlio era motivato da quella che lui chiamava la causa; la gran causa anzi, della sua famiglia, in particolare, e di tutti gli uomini onesti e di buona volontà, in generale.
«Tanto gridare, tanto far liti, per cosa? » — fece in quello stesso momento la Redenta, come se tra lei e la stanza del piano di sopra ci fosse stato un improvviso, oscuro rapporto di telepatia o come se il nuovo incrudelirsi del temporale le avesse riportato alla memoria l'ultima lite svoltasi li, nella casa, lite che era stata anche quella una specie di tempesta. S'era avvicinata un'altra volta alla finestra e seguiva lo scrosciar dell'acqua che il vento flagellava senza carità, come se l'intero universo stesse per disfarsi;[...]

[...]a del piano di sopra ci fosse stato un improvviso, oscuro rapporto di telepatia o come se il nuovo incrudelirsi del temporale le avesse riportato alla memoria l'ultima lite svoltasi li, nella casa, lite che era stata anche quella una specie di tempesta. S'era avvicinata un'altra volta alla finestra e seguiva lo scrosciar dell'acqua che il vento flagellava senza carità, come se l'intero universo stesse per disfarsi; e lo seguiva con la speranza e col desiderio di poter scorgere nel mezzo, qualche goccia talmente grossa e pesante da non esser più pioggia, ma finalmente grandine, tempesta.
« Parole, improperi, bestemmie... — continuò a pensare, men
A
7e GIOVANNI TESTORI
tre la faccia le veniva rischiarata dai bagliori dei lampi — E per cosa? Per un po' di merda su un manifesto...; «siete stati di certo voi! »; « ah, perché noi saremmo così scemi da venir a fare queste cose, qui, in casa nostra? »; « e allora? »; « è la gente! E' l'odio che han tutti per voi che vi siete venduti ai preti e ai padroni! »; «e voialtri, allora? Dei senzapat[...]

[...]non poteva concedersi neppur il solo, magro sollievo che la vita gli aveva lasciato, quello cioè di cambiar posizione, sapeva chi ringraziare; « quegli anticristi, quei venduti del P.C.! ».
A quell'invettiva, pronunciata nella mente come se venisse gridata dalle labbra, il corpo del vecchio si tese tutto; i pugni si strinsero e, dentro la destra, le grane del rosario scricchiolarono quasi
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stessero per spezzarsi. Allora, di colpo, le sue orecchie risentirono, parola per parola, come se venisse dal fondo d'una tromba, la descrizione che, figlio, nuora e nipote gli avevan fatto del gran scempio e i suoi occhi rividero tutti i pezzi dei manifesti cader giù, imbrattati di macchie, oscenità e bestemmie, come brandelli di carne che penzolassero da un crocefisso.
I Villa, quelli che formavan il tenebroso focolaio di male che serpeggiava per tutta la casa! Loro, quelli che, l'avessero visto passar per le strade, avrebbero sputato addosso anche a Gesù Cristo! Quelli, per i quali tutto il dafare consisteva nel maledire, nell'odiare e nel pensar al sangue.
Così, mentre l'accendersi e spegnersi intermittente delle lampadine, indicava che nel fabbricone la luce sarebbe presto tornata, l'Oliva cominciò a farsi passar nella testa tutti i componenti di quella sciagurata famiglia; prima il padre; poi la madre; infine i tre figli; il maggiore che, forse per lo sfogo con cui liberava nelle palestre la sua cat[...]

[...]ie dell'Amilcare Villa si decise finalmente a guardare anche lei oltre la finestra per veder cosa succedeva e fu così che vide aprirsi, nel grigio plumbeo del cielo, il primo sfolgorio di luce.
Due piani sotto, la Schieppati che, al riaccendersi delle lampadine, aveva cercato di riprendere a stirare e che, convintasi del guasto occorso al ferro, s'affannava a rigettar nella cesta la pigna di biancheria che aveva sul tavolo, s'arrestò un attimo, colpita dai raggi che, da fuori, eran penetrati nella casa e che avevan dato al miserando squallore della sua cucina uno strano aspetto di festa,
IL FABBRICONE 81
ma presa com'era dai suoi pensieri non riuscii a goderne minimamente.
Sull'ingresso invece i bambini, cui da ultimo s'eran aggregati il Remigio e l'Aldino, avevan cominciato a prender atto, pezzo per pezzo, delle devastazioni che il temporale aveva provocato; piante di fiori, cespi d'insalata, pianticine di pomodori, pianticine di patate e file di carote, tutto era stato spiaccicato, divelto, e fin portato lontano; e su tutto si vede[...]

[...]
« Scommetto che quelli di sii stan pensando che é il padreterno... » — fece la Redenta, riportando gli occhi rabbiosi dalla finestra sul tavolo — « Figurarsi! — aggiunse, mentre rovesciava piselli, pezzi di patate, sedano e carote nella pentola piena d'acqua. — Ma se al padreterno interessassero veramente i casi nostri, avrebbe lasciato diluviare e diluviare fino a pulirci di tutte le rogne che abbiamo addosso! Così, invece... ».
Così, invece, col progressivo ritirarsi delle nubi, anche quest'ultima spruzzatina d'acqua cominciò ad agonizzare.
Allora la Redenta fini di mescolar per l'ennesima volta dentro la pentola, poi andò alla finestra e dicendo a voce alta:
« Un po' d'aria, santo dio! Almeno quella! » — spalancò, energicamente, i vetri.
Subito un profumo di terra e erba bagnata venne su dall'orto e cominciò a diffondersi per tutta la cucina e a rinfrescarla.
Ecco, fra un po', come ogni altra sera, si sarebbe affacciata alla finestra e come ogni altra sera avrebbe visto tornare uno per uno tutti i suoi poveri e disperati compagni di galera, seppur con qualche mezz'ora di ritardo per via che, a muoversi dai rifugi, dovevan aver atteso tutti che il temporale [...]

[...]senza nessun orario, perché il lavoro lui lo trovava nei momenti più strampalati, il Luciano, quel povero bastando d'un boy, verso il quale tuttavia, assieme alla ripugnanza, una certa simpatia non é che lei non la sentisse...
Una mano appoggiata al davanzale, l'altra che le sosteneva la testa, gli occhi di volta in volta fissi su ciascuno di loro come se di ciascuno volesse capir tutto: cose andate bene e cose andate male; gioie e dolori; difficoltà e segreti; tutto quel che, insomma, durante il giorno gli era capitato o stava per capitargli.
Quella sera però, prima di sistemarsi in quel modo, la Redenta tornò sulla stufa, diede qualche giro di mestolo dentro la pentola, vi gettò un pizzico di sale, poi, come gli occhi le caddero sul pezzo di fesa che, rattrappito, ma d'un rosso cupo, spiccava dentro ìl biancore del piatto, andò all'armadio, prese una fondina e in gran fretta lo copri.
«
Remigio! — gridò nello stesso momento la Balzani, affacciandosi alla finestra della stanza — Vieni, sù! Vieni sù, che devi finir i compiti... »
II[...]

[...] faceva lo stesso con le gambe che, stecchite e coperte da una pelle,bianca e grinzosa, uscivan come bacchette dal campanone della camicia.
« Vuoi che ti sistemiamo anche questi ? » — chiese il nipote. Il nonno disse di si, poi crogiolandosi al pensiero di tanta premura, aggiunse:
« Aver una famiglia così! Ecco quel che si chiamano soddisfazioni... ».
Uno a uno i cuscini furon voltati e quelli che, per esser stati a contatto con la nuca ed il collo, s'eran inumiditi, furon battuti e ribattuti; in poco il vecchio poté così assaporare e definitivamente quel magro, ma tanto atteso piacere.
«Era tutto il pomeriggio — spiegò, mentre il figlio gli rialzava sul corpo lenzuola e coperte — era tutto il pomeriggio — ripeté — che aspettavo, ma quegli anticristi... — aggiunse, acuendo la poca luce che gli restava negli occhi e fissando così il figlio e il nipote... — quegli anticristi... »
« Non val la pena di prender rabbia, nonno. Che Dio abbia pietà di loro: ecco tutto quel che si può desiderare » — fece il nipote.
« Pietà, pietà! Pietà, un[...]

[...]in mano il mondo? E dopo, quando ce li avremo anche qui, in casa? Cosa servirà, dopo, tutta la vostra pietà? Buoni sì, ma coglioni no. E a me pare che con quellilà... ».
Non era certamente questo l'avvio desiderato per la conversazione che pure avrebbe dovuto svolgersi fra i tre Oliva; visto anzi
IL FAI3RRICONE 85
quel tono, figlio e nipote ebbero quasi paura a cominciarla; la decisione, infatti, cui eran pervenuti nella seduta svoltasi al Circolino dalle sei alle sette e mezza, era che, al gesto dei rivali, bisognasse risponder si con fermezza, ma il più civilmente possibile.
«E allora cos'avete deciso? Su, avanti, cos'avete combinato? » — fece il vecchio, dopo un lungo silenzio d'attesa. Figlio e nipote si guardaron in faccia un momenta, quindi il primo fece al secondo:
« Spiegaglielo tu, Luigi; tu sei più pratico... ».
« Non è stato facile — fece il Luigi, mentre con un certo imbarazzo passava e ripassava le dita sui riccioli dell'acquasantiera che se ne stava appesa proprio sopra il comodino — Ognuno aveva da dir la sua... ».
[...]

[...]io! Quando poi tocca a noi, allora civiltà, bontà, carità... Si, altro che bontà, civiltà e carità, vigliaccheria! Vigliaccheria, che un giorno o l'altro potrebbero rinfacciarci tutti, preti e non preti! Vigliaccheria e, insieme, paura! Paura di prender una decisione che li sistemi una volta per sempre. Già, ma voi — fece, dopo essersi liberato da quel grumo di catarro, sputando in un fazzoletto che rimise subito sotto la pigna dei cuscini — che colpa potete avere, voi? E' il governo che ha colpa; il governo che sta diventando sempre piú molle! Fosse fatto di donne avrebbe piú decisione! »
« Ascolta un momento, nonno. Siccome la denuncia non si poteva fare... ».
« Abbiamo parlato, discusso... — intervenne a quel punto l'Oliva padre — Non crederai che non si sia pensato d'usar le maniere forti... Ma, ammesso che d'usarle fosse sembrato il caso, cos'avremmo ottenuto? Niente, se non di scender anche noi al loro livello e perder quel che, in definitiva, è il nostro carattere ».
« La galera; ecco quello che ci voleva — cominciò a borbottar il vecchio — La galera... » — ma lo borbottò talmente piano da far credere che, o avesse paura d'esagerare, o volesse tener tutta per sé la goia con cu[...]

[...]fuori
IL FABBRICONE 87
con quei porci. I pugni, ci vogliono, altro che i manifesti! I pugni! — cosi dicendo il vecchio aveva sollevato da sotto le coperte la mano destra e stringendo il rosario l'andava mostrando al figlio e al nipote — Poi, con comodo, ma con comodo, il resto... » — concluse, lasciando ricader il braccio sulle coperte.
La rabbia e l'agitazione gli avevan fatto uscir sulle tempie, sotto le narici e tutt'attorno la testa ed il collo, un velo gialliccio di sudore.
« Calmati papà ».
« Te l'abbiamo detto fin da prima, che non é il caso di arrabbiarsi per quei mascalzoni... »; il Luigi disse mascalzoni cercando di caricar la parola d'una indignazione che la sua natura invece, non pareva concedergli.
Ma il vecchio non accennava a calmarsi; adesso, non che il braccio, era tutto il corpo a tremare come nell'impossibilità di far ciò verso cui si sentiva attratto.
«D'altronde lo sai bene anche tu che noi, da questa parte, non potremo vincere mai... ».
« Si, si, non dico di no — brontolò il vecchio su cui il nipote s'era pi[...]

[...]poteva considerarsi un vantaggio, ma quando si trattava d'un uomo...
Non l'aveva mai sfiorato il dubbio che, ove la moglie non fosse stata quel che era, a volare in casa non sarebbero state le avemarie, ma i piatti e, forse, le bestemmie.
Sperare e sperar fin in fondo, l'aveva fatto invece la giovinezza del nipote, almeno fin al ritorno da militare, perché da allora in poi, contrariamente a quel che era logico supporre, il Luigi s'era tutto raccolto in sé; un prete, ecco; ma un prete di quelli che, vedendoli, si dice « fossi in Sua Eminenza quello li lo manderei a far il cappellano in un istituto di suore ». Il terza Reggimento Artiglieria da Campagna, il quinto gruppo, Salerno, Nocera Inferiore e S. Maria Capua Vetere, invece di rafforzarlo e restituirglielo uomo fatto e finito, l'avevan slavato e rannicchiato; neanche fosse stato a far il servizio in una casa d'esercizi spirituali! Cose sante e strasante, ma che non potevan rimpiazzar tutto! Col mondo come stava andando, poi! Un mondo in cui sarebbe stato necessario svuotarle tutte, [...]

[...]ndoli, si dice « fossi in Sua Eminenza quello li lo manderei a far il cappellano in un istituto di suore ». Il terza Reggimento Artiglieria da Campagna, il quinto gruppo, Salerno, Nocera Inferiore e S. Maria Capua Vetere, invece di rafforzarlo e restituirglielo uomo fatto e finito, l'avevan slavato e rannicchiato; neanche fosse stato a far il servizio in una casa d'esercizi spirituali! Cose sante e strasante, ma che non potevan rimpiazzar tutto! Col mondo come stava andando, poi! Un mondo in cui sarebbe stato necessario svuotarle tutte, 'ste case d'esercizi, venderle e prender ai loro posti, cinema, teatri e televisori. Le palestre, gli stadi del foutbaal, altro che le balaustre e i pulpiti! La gente non viene più in chiesa ? E allora fuori, fuori, in mezzo alle piazze, in mezzo ai bar, in mezzo alle strade! Fuori con le radio, i microfoni, gli altoparlanti e, se era necessario, le trombe e le forche!
Così quel che, nella sua malattia, l'aveva fatto soffrire, non eran stati i dolori, che lui aveva sempre saputo a chi offrire e che in un[...]

[...]in cui quelli del P.C. avevan organizzato la loro fiera proprio li, sotto la sua finestra, non potendone più di sentir tutte quelle menzogne e tutte quelle bestemmie rovesciarsi fuor dalla bocca del capo e dal microfono che aveva davanti, e inondar il mondo, la forza di saltar già dal letto, andar alla finestra, sporgersi e gridare: « Anticristi! Maiali! », lui l'aveva trovata. E non fa niente, che, poco dopo, nella bordata di fischi che aveva accolto le sue invettive, avesse avuto un collasso, crollando a terra prima che figlio e nuora, i quali se n'eran stati a soffrir impotenti attorno al tavolo, potessero accorrere.
Perché poi il nipote leggesse tanto (oltre ai libri di pietà, al « Popolo » e all'« Italia », c'eran infatti i periodici di partito e i volumi che prendeva in prestito, due volte al mese, alla biblioteca del Circolino e a quella dell'Oratorio) lui, dati i risultati, non riusciva proprio a capirlo; questo a parte l'imbruttirsi continuo della cera che, non fosse stato d'una razza nella quale i settanta li avevan passati tutti, e passati quasi sempre a cavallo, c'era da sospettare che, ad andarci di mezzo, sarebbe stata la salute. Ma il giorno che, dalle conferenze, dai libri, dai giornali e dai manifesti avesse dovuto passar a pugni, come se la sarebbe cavata con quei bestioni? Perché già, quellilà eran tagliati giù con l'accetta! E anche questa era una cosa che lui non riusciva a capire; vero che, per av[...]

[...]à, quellilà eran tagliati giù con l'accetta! E anche questa era una cosa che lui non riusciva a capire; vero che, per averli fatti così, il padreterno doveva aver avuto le sue ragioni, ma, lui come lui, al suo posto, i cristiani li avrebbe messi insieme con un po' più di nerbo e di spina dorsale. Dato però che eran quel che erano, una bella iniezione di coraggio ogni mattina non gliel'avrebbe lasciata mancare.
Guardassero lui, lui che non c'era colica, non bronchite, non collasso che riuscisse a stroncarlo. E quello cos'era ? Volontà di Dio, certo, ma anche volontà sua.
« Be', allora vuol dire che vedremo, anzi vedrete 'sti nuovi manifesti... » disse il vecchio al figlio e al nipote che, imbaraz
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zati dal suo modo d'agire, avevan continuato a starsene 11, in silenzio; e questo lo disse poco prima che, dalla cucina, l'Ernesta chiamasse i due uomini perché, in tavola, la minestra era pronta.
« Per me vi dico che non fan bene, ma benissimo », gridò il Carlo, alzando il bicchiere e trangugiando quel che, di vino, era rimasto. Poi, presa da des[...]

[...]rammollissero ancor più di quel che é. Non sembra neanche più dei nostri! — ribatté il Carlo subito dopo — Si, si, l'orgoglio d'esser campione, l'orgoglio d'esser primo... Figurarsi se queste cose non le capisco! Ma non vorrei che per quello facesse passar in seconda linea l'altro orgoglio, quello d'esser uno di noi, un operaio; e un operaio che suda e fa fatica dalla mattina alla sera. Provate a domandargli se, tra un match e una riunione al Circolo, sceglie la riunione. E poi, quel che m'impressiona, son le maniere che gli son venute... ».
La discussione, avviatasi per invito del padre, sulla esibizione
IL FABBRICONE 91
che, di miliardi, piaceri e lussi, da un po' di tempo, tutti i giornali e tutte le riviste, settimana per settimana, stavan facendo, era finita quasi subito nelle mani del Carlo il quale, oltre a dir in proposito la sua, aveva dimostrato fin dall'inizio d'aver bisogno di piegarla verso quel che, assente com'era l'Antonio, gli sembrava il caso di denunciar chiaramente alla famiglia; la piega, cioè, che il fratello sta[...]

[...] era finita quasi subito nelle mani del Carlo il quale, oltre a dir in proposito la sua, aveva dimostrato fin dall'inizio d'aver bisogno di piegarla verso quel che, assente com'era l'Antonio, gli sembrava il caso di denunciar chiaramente alla famiglia; la piega, cioè, che il fratello stava prendendo.
«Adesso, sentite, intanto che lui non é qui, perché anche stassera poi, a mangiar fuori, chissà in mezzo a che gente sarà... Lo sfruttano per i muscoli! Muscoli che gli avete messo addosso tu e lei, prima facendolo venir al mondo, poi lavorando come cani per tirarlo grande... ».
« Ha ragione — disse la Liberata, intervenendo per la prima volta, con la sua voce dura e impietosa — Nella nostra famiglia cose del genere non dovrebbero succedere ».
« Ma cos'è che é successo, infine? — gridò la madre — E se per caso fosse in grado di sfruttarli? ».
« Sfruttarli, si, sfruttarli ».
« Oh per quello potete star certi; l'Antonio non é certo il tipo che si fa metter sotto... ».
« Povera illusa! Sfruttar gente che fin qui non ha fatto che sfruttar noi. Il M[...]

[...]erata alzandosi dal tavolo per portar la pigna dei piatti sul ripiano del lavandino.
« Sarà diventato un nuovo Togliatti, lui! » — brontolò la madre.
« E chi parla di Togliatti? Solo che certe cose il Carlo le capisce meglio di noi tutti messi insieme ».
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«Anche per quel che riguarda la storia dei manifesti? » — ribatté la madre.
« Soprattutto per quello » — fece la Liberata.
« E se è per quello — fece il Carlo, puntando di colpo il pugno sul tavolo — sarei disposto a prender il purgante pur di riempirli un'altra volta di merda, i manifesti di quei traditori ».
Dopo quel battibecco, duro e violento, ci fu un lungo silenzio; quindi il padre, tentando di ricominciar la discussione, disse:
« A sentir voi, sembra che io non esista nemmeno. Dico io, con tutta l'esperienza che ho. Perché, cari miei, quando a esser dei nostri, o per lo meno a non esser dei loro, voleva dire il confino o la galera, voi vi facevate addosso la
A quelle parole la Liberata, che ormai aveva finito di sparecchiare e stava aprendo il rubinetto [...]

[...]io non esista nemmeno. Dico io, con tutta l'esperienza che ho. Perché, cari miei, quando a esser dei nostri, o per lo meno a non esser dei loro, voleva dire il confino o la galera, voi vi facevate addosso la
A quelle parole la Liberata, che ormai aveva finito di sparecchiare e stava aprendo il rubinetto del lavandino, si voltò verso il Carlo e lo guardò per riceverne l'imbeccata; come vide che il fratello le faceva segno di star calma, diede un colpo di gomito al gruppo delle posate che tinnì acuto e sinistro; quindi, dopo quel breve sfogo di cui aveva avuto un bisogno assoluto, si rimise, senza dir niente, al lavoro.
«Perché, infine, tu cos'hai saputo di preciso? — disse il padre al figlio, che stava aprendosi davanti ii giornale — Parliamone un po' io e te, ma con calma; poi decideremo quel che bisogna fare ».
Vista l'intimità che, con quelle parole, il marito aveva richiesto, la moglie s'alzò dal suo posto e andò anche lei verso il lavandino, pronta a ricevere, uno per uno, i piatti, le fondine e i bicchieri che la figlia le avrebb[...]

[...]a cena era finita: una fondina di minestra, il pezzo di fesa, un po' d'insalata e due bicchieri di vino, per il Luigi; una fondina di minestra, l'insalata, acqua vichy con spremuto dentro mezzo limone, per lei; e adesso il caffè borbottava nella macchinetta.
« Con 'sti razzi qui, che non lascian sfogare mai il tempo! — aggiunse — Mai! » — ripeté.
« Ma cerca di ragionare, Redenta! Cosa vuoi, che per far piacere a te lascino andar in niente i raccolti ? ».
« Ah, già, come se i raccolti fossero più importanti dei cristiani? Quando poi s'è_visto e si vede in che conto ci tengono! Come mosche ci ammazzano! Ma andiamo, va', andiamo, che la suonata, com'è, ormai l'ho capita, e bene anche! ».
Il Luigi che quella sera aveva in animo di parlar alla sorella il più quietamente possibile, in quanto il discorso avrebbe dovuto cadere sulla decisione che aveva preso di sposarsi di li a un mese, un mese e mezzo, si sentiva imbarazzato; abbastanza deciso su tutto il resto, egli soffriva nei confronti della Redenta d'uno strano complesso e benché fosse certo che, una sistemazione matrimo[...]

[...]una solitudine ancor più completa, dura e dolorosa; tanto lei ne avrebbe così avute di cose da fare per riempir quella solitudine! E poi, se il fratello si decideva davvero a sposarsi, era più che probabile che lei dovesse voltar indietro le maniche un'altra volta e trovar un'altra volta qualche posto o per lo meno qualche lavoro.
Quella sera, dunque, il Luigi stava già per arrendersi e rinviar a una giornata migliore la discussione, quando, di colpo e senza che niente di ciò che fin li avevan detto ne legittimasse il ricorso, la Redenta fece:
« E allora cos'è che hai combinato con la tua cosa là, la Margherita? ».
« Come, cos'ho combinato? » — rispose il Luigi, colto di sorpresa.
« Insomma, vi sposate o aspettate che venga il tempo di far la cassa a tutt'e due insieme? ».
L'amara ironia di quelle parole ferì il cuore abbastanza sensi
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bile del Luigi che, sollevando la mano come per allontanar qualcosa, si limitò a rispondere con un:
« Che maniera di parlare... ».
« Stai a vedere che, adesso, dopo anni e anni che viviamo insieme, dovrò mettermi a usar il galateo anche con te! ».
« Non è questione di galateo, Redenta. E questione di modi... ». «E i miei son questi. Ormai dovresti averlo capito ».
« Be' allora, dato che ci siamo, ti[...]

[...]sera, quelle povere, grandi caserme, addossate l'una all'altra, dovessero immergersi, invece che nella pace del sonno, nella melma e nel fango. Che però malgrado l'ora, quella sera, nel fabbricone, qualcuno stesse questionando, tutti quelli che per le più diverse ragioni non potevano ancor dormire, l'avevano capito da certe parole che s'eran alzate, di tanto in tanto, come degli squilli; la certezza tutta l'ebbero solo quando una porta sbatté di colpo e quando, su quel colpo, una voce di donna si mise a gridare senza più ritegno:
«Un maiale, si! E che i suoi vizi se li tenga per sé! Perché se lo vedo un'altra volta insieme, é la polizia che avviso! Capito? ».
Quindi un ciabattar furioso giù pei gradini; poi un altro colpo, un'altra porta che si chiudeva con la stessa violenza della prima.
« Ci siamo! Anche stasera, sonno, niente » — fece la Redenta che, messasi a letto, i nervi tesi dal temporale avvenuto solo in parte, dal mal di testa e dalla notizia che il fratello le aveva dato circa il suo matrimonio, faticava ancor più del solito a prender sonno. E siccome, di chi era la voce, lei l'aveva subito capito, subito si domandò cosa poteva esser successo se non che la Schieppati avesse visto il figlio in compagnia del Cornini, o cose del genere.
Ma in quel preciso momento dal dazio giunse al suo orecchio il[...]

[...] lo stesso »; perché era di notte,. quando cioè nessuno poteva non che vederla, neppur supporne i pensieri, che la sicurezza della Restelli cedeva il passo a una debolezza completa e disperante. Allora le immagini, gli istinti e i desideri che, durante il giorno, più o meno riusciva a tener quieti nel fondo del cuore, venivan a galla e la spadroneggiavano tutta.
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«In un pisciatoio, proprio li devon vedermelo andare! E tutto per colpa di quel bastardo... ». Fatte le scale la Schieppati era rientrata in casa ancor più bianca del solito, le labbra senza sangue, gli occhi tesi e allucinati; l'orrore e lo sdegno eran tali che, appena dentro, avrebbe voluto tornar dalla mamma di quel disgraziato d'un Cornini, riprender a gridare e intimarle, alla fine, il silenzio più assoluto: « Perché di quel che ho detto qui, non deve saper niente nessuno, capito? ».
Ripensandoci, si convinse però che di tornare non era assolutamente il caso; a parte infatti l'umiliazione di riprender l'argomento, anche la Cornini non aveva nessuna conven[...]

[...]ni sopra, li indirizza alla vergogna, al vizio e alla galera!
Non che arrivasse a maledir i figli; era se stessa che malediva e lui, il marito che, pazienza avesse avuto la prospettiva di mi
loo GIOVANNI TESTORI
gliorar la posizione! Invece, no, niente; muratore era, quando ave van avuto il primo; muratore aveva continuato ad essere quando avevan avuto l'ultimo; e muratore sarebbe restato fin a quando le forze l'avessero sorretto.
D'altronde col Sandrino, che dei sette era il secondo, pareva che tutto e tutti si fossero accordati per spingerlo sulla strada su cui s'era messo; strada che in un primo tempo lei aveva solo subodorato, ma che ora, da quando il fratello le aveva dato la bella notizia d'averlo visto con uno di quei tali, conosceva con certezza.
« Si sbaglia e si sbaglia di grosso; il mio Luciano che il suo Sandrino esiste lo sa, giusto perché lo vede qui, per il resto, se propria vuol sfogarsi, vada a prendersela coi delinquenti del Parco, perché é lá che m'han detto che gira, e di notte e di giorno... ».
« Giá, perché il[...]

[...] aveva dato la bella notizia d'averlo visto con uno di quei tali, conosceva con certezza.
« Si sbaglia e si sbaglia di grosso; il mio Luciano che il suo Sandrino esiste lo sa, giusto perché lo vede qui, per il resto, se propria vuol sfogarsi, vada a prendersela coi delinquenti del Parco, perché é lá che m'han detto che gira, e di notte e di giorno... ».
« Giá, perché il suo Luciano bazzicherà invece le case dei re e dei principi! ».
Adesso il colloquia di poco prima tornava alla mente della Schieppati così, a pezzi, e non per dimostrarle quanta ragione avesse avuto nel pensar che, a iniziare il figlio su quella strada, fosse stato il Cornini, quanto l'abiezione cui il figlio era giunto. Diciassette anni, diciassette appena compiuti e già così!
Tuttavia, arrivata a quel punto, cosa poteva fare?
Toglierlo da quella strada, se il destino pareva far apposta a non permettergli di trovar un posto che era un posto? E poi; quando uno ha lazzaronato o s'è arrangiato in quella maniera o addirittura ha trovato, come era chiaro che il figlio av[...]

[...]a voltar indietro le maniche e a lavorare ?
Mentre l'ago passava e ripassava, ora di qua, ora di lá, lungo la trama della maglia più gialliccia che bianca, in modo che il buco apertosi nella parte più bassa restasse chiuso il più tempo possibile, la Schieppati si chiedeva come avesse potuto metter al mondo un figlio così diverso dagli altri; perché gli altri, se ci pensava... Magari diversi eran anche loro, ma diversi per quel che riguardava il colore dei capelli e degli occhi, il carattere e la forma della faccia, perché per il resto...
Ed ora, eccoli lá, buttati giù tutti e sei, a dormire: quattro
IL FABBRICONE 101
nella prima stanza, con un posto vuoto; vuoto perché, naturalmente, il Sandrino non era ancor tornato... No, era meglio, meglio che non pensasse dove e con chi adesso si trovava, perché se si fosse lasciata andare a quei pensieri... Quel giorno poi, col temporale che c'era stato!
« Figurati Edvige se avrei il coraggio di venir qui a dirti una cosa come questa, quando non ne fossi più che sicuro! L'ho visto io, coi miei occhi, intanto che facevo l'ultima consegna. Era ai Boschetti... L'ho riconosciuto dalla maglia, poi l'ho visto anche in faccia; allora per non farmi vedere mi son nascosto dietro una pianta, han continuato a parlar tra di loro per un po', poi son saliti sulla macchina; dalla targa pareva di Como; e lui, il porco, uno sui cinquanta... ».
La miseria, ecco cos'era la vera causa, la vera colpa di tutto. La miseria e la fame, da[...]

[...] quando non ne fossi più che sicuro! L'ho visto io, coi miei occhi, intanto che facevo l'ultima consegna. Era ai Boschetti... L'ho riconosciuto dalla maglia, poi l'ho visto anche in faccia; allora per non farmi vedere mi son nascosto dietro una pianta, han continuato a parlar tra di loro per un po', poi son saliti sulla macchina; dalla targa pareva di Como; e lui, il porco, uno sui cinquanta... ».
La miseria, ecco cos'era la vera causa, la vera colpa di tutto. La miseria e la fame, da una parte; e il niente da fare, i soldi e i vizi, dall'altra!
Sarebbe stato necessario prenderli, sbiottarli di tutto quel che avevano e strozzarli, 'sti maiali che con i loro soldi rovinavano anche chi non ne aveva voglia! La miseria — si disse e si ripeté —e la fame. La stessa miseria e la stessa fame che costringeva gli altri sei a mangiare come mangiavano e a dormire come dormivano; sbattuti sui materassi come delle bestie sui carri che le portano al macello e su delle coperte e delle lenzuola talmente unte e sporche d'aver schifo ad andarci vicino.
[...]

[...]e poi mai sfiorato; doveva esser stata la sarta. Figurarsi! Lei la conosceva bene quella specie di mezz'ebrea là, che in tanti anni in cui era
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stata l'amica del fratello, non s'era mai degnata di fargli un regalo che era un regalo. Cosa c'era dentro prendergli una camicia, un golf, una cravatta? Niente di niente. Mentre lui, non passava festa che non si preoccupasse di prenderle e mandarle qualcosa di sempre diverso e particolare. Questo, a parte il conquibus nudo e crudo che, di tanto in tanto, doveva lasciarle sul tavolo. Affari suoi; e, per quelle cose li, una volta che contento era lui, contenti eran poi tutti.
Ma l'offesa di sentirsi dire che, per tirar insieme quanto occorreva all'affitto e al riscaldamento, lei poteva anche andar lá, ad aiutar due o tre ore al giorno, la sua bella Margherita o se no, farsi dar da lei dei lavori che poteva poi confezionar li, in casa; quell'offesa come mandarla giù?
Idea della sarta anche quella; poteva giurarlo. Si, ma allora, avrebbero avuto un bell'aspettare tutt'e due c[...]

[...]a sua bella Margherita o se no, farsi dar da lei dei lavori che poteva poi confezionar li, in casa; quell'offesa come mandarla giù?
Idea della sarta anche quella; poteva giurarlo. Si, ma allora, avrebbero avuto un bell'aspettare tutt'e due che lei scendesse a un simile disonore! Piuttosto che quello, avrebbe fatto la sguattera! E la sguattera in una latrina!
Il rumore sordo e ovattato d'una macchina che cominciava a brontolar giù nella strada, colpi la Redenta in quei pensieri, tanto che li per li non si senti in grado di dirsi se era la stessa di prima che, esaurito lo scopo, se ne partiva o invece una che arrivava proprio in quel momento.
Trattenne il respiro per un attimo poi fece: « Saran i damerini del centro! Vengon qui con le loro amiche, magari prese su al Parco e ai Bastioni! Perché son diversi in tutto, loro, ma quanto alla patta son come e peggio di noi »; e solo quando il rombar del motore verso via Mambretti l'avverti che la macchina se ne stava andando, si girò nel letto, sperando di poter chiudere finalmente 'sti benede[...]

[...] Ecco qui » — rispose l'Antonio indicando sul tavolo la vali
getta di metallo.
« Be', sai, se é per quello potrebbe anche esser una scusa... ».
« Una scusa? E perché, una scusa ? ».
Dopo un breve silenzio, in cui due o tre pagine del mensile
girarono nervosamente, il Carlo riprese il suo interrogatorio, giusto
come se tra lui e il fratello l'ordine degli anni si fosse scambiato.
« E con chi sei tornato ? Si può sapere almeno quello? ».
« Col presidente » .
« Di pure, con quel maiale del Morini ».
« Ah, la metti così? — ribatté l'Antonio, poi prendendo la va
ligia e muovendosi per passar in camera, aggiunse con una voce
più stanca che irritata — Buonanotte ».
« Antonio — fece il Carlo — Senti, Antonio... ».
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« Cosa devo sentire ? Lo sai bene anche tu che da un po' di
tempo in qua non andiamo più d'accordo... ».
« Certo, fin che continui a frequentar della gente come i tuoi
compagni di palestra e i loro capi! Ma tu ti dimentichi chi sei,
da che famiglia vieni fuori e che idee hanno tuo padre, tua madr[...]

[...]nio... ».
104 GIOVANNI TESTORI
« Cosa devo sentire ? Lo sai bene anche tu che da un po' di
tempo in qua non andiamo più d'accordo... ».
« Certo, fin che continui a frequentar della gente come i tuoi
compagni di palestra e i loro capi! Ma tu ti dimentichi chi sei,
da che famiglia vieni fuori e che idee hanno tuo padre, tua madre
e tua sorella ».
« Non mi dimentico di niente ».
« No ? E allora spiegami perché non ti fai più vedere al Cir
cola... ».
« Perché ho altro da fare ».
« Lo vedi? ».
« Ma cosa vuoi che veda! E poi, senti, la fai tu la vita che vuoi?
SI? E io faccio quella che voglio io. Non sarà anche la tua, una
libertà come quella dei preti ».
«
Antonio! » — fece il Carlo alzando di colpo la voce.
« Ascolta, va'; lasciamo dormire chi dorme e andiamocene a letto anche noi; che se proprio vuoi, di questa faccenda potremo parlar con più comodo un'altra volta... » .
« No, ne parliamo adesso! ».
« E allora parla. Ma, se é possibile, senza gridare ».
« Ecco; senza gridare » — fece la madre, aprendo di colpo la porta e intervenendo inaspettata ma decisa nella conversazione.
« La vedi, la vedi chi è la tua protettrice ? — gridò il Carlo preso di contropiede da quell'improvviso intervento; poi, rivolgendosi alla madre — Non è per niente, certo, che vieni fuori da una famiglia di seminaristi... ».
« Guarda come fai a parlare, Carlo! Perché qualunque siano le tue idee, non ti permetterò mai d'insultar nostra madre... ».
L'Antonio s'era avvicinato al fratello e pareva sovrastarlo con tutto il peso della sua mole.
« Perché se quel che impari sui tuoi giornali, e sulle tue riviste é tutto qui, puo[...]

[...]o mio padre ci credo e ci credo fino al sangue! ».
In quel momento sul vuoto della porta che la madre aveva lasciata aperta apparve, per restarvi immobile e dura, la Liberata; più bianca della camicia, gli zigomi tesi e gli occhi fissi, essa guardò per un attimo l'Antonio, poi disse:
« E' vero: fin al sangue ».
Quando, alla fermata di largo Boccioni, il Sandrino scese dal tram, l'una e mezza era già passata e il fetore che veniva dal Pero, mescolandosi all'umidità, aveva reso l'aria irrespirabile; salutati in fretta e furia i due amici con cui, prima e dopo il temporale, aveva girovagato per il Parco, il ragazzo prese a camminar subito verso casa, pieno d'una stanchezza e d'uno stordimento contro cui poco poteva quel che pure aveva li, in tasca, e che gli assicurava oltre ai pasti per un giorno o due, il cambio dei calzoni, giusto come quelli che, verso sera, aveva visto al Carrobbio, nelle vetrine dell'« Araldo ».
Quando poi, percorsa Via Aldini, arrivò al fabbricone, trovò sull'ingresso la Candida che stava baciandosi con uno di cu[...]

[...]possibile veder niente; poiché al rumore dei suoi passi lo sconosciuto si girò subito, mostrando cosí solamente la schiena. Tl Sandrino guardò per un attimo la moto che se ne stava ferma dietro i due, poi riprese a camminare, riuscendo a sentir a malapena la Vaghi che, a voce non molto bassa, diceva:
«Niente, niente. È uno di qui, uno che ha tutto l'interesse a tacere... »
Afferrato il riferimento e scrollatasi di dosso ogni irritazione con un colpo di spalle, lo Schieppati attraversò l'orto. Quando poi, salite le scale, fu sul punto d'aprir la porta, uno scroscio precipitò giù per la tubatura di scarico così fragoroso da far credere che volesse trascinar con sé un pezzo di casa.
«
Addio! » — fece, come se salutasse un amico che se ne andava per sempre ed entrò.
La luce che, filtrando da sotto la porta, l'aveva preparato a quel che certo sarebbe successo, l'accolse accecante; così non era ancor riuscito a ritrovarsi che la madre gli piantò addosso gli occhi stanchi e disperati facendogli segno di star in silenzio:
«...perché la gente onesta, a quest'ora, è a letto che dorme... »
— disse per finir di spiegarsi.
«
Allora? — aggiunse, una volta che gli fu arrivata talmente vicino da poterne sentir il respiro e col respiro tutto l'odor di bagnato che aveva addosso. — Ma guarda che faccia hai, guarda! »
— aggiunse contro la sua stessa volontà, presa, come fu, dall'aria distrutta e dagli occhi incavati del ragazzo — Se vai avanti così finirai tisico in qualche sanatorio ».
«Ma cosa vuoi che finisca tisico! » — ribatté il Sandrino, alzando le spalle.
« Dunque vuoi dirmi dove e con chi sei stato? Perché appena ne so uno, di nomi, quei maiali li denuncio e faccio metter dentro tutti! ».
« Ma che nomi vuoi che faccia! » — disse per tutta risposta il Sandrino.
« Sembra impossibile che un figlio possa sent[...]

[...]o, su, sentiamo, sentiamo cos'è che hai saputo... »
« Ieri, uno dei tuoi zii... »
« Uno dei miei zii ? E cosa vuoi che m'importi, a me, dei
miei zii? »
« Uno dei tuoi zii, lo zio Mario, ecco, lui, ieri, verso sera... »
« Verso sera? »
« T'ha visto... »
« M'ha vista? E dove? »
« Ai Boschetti... »
« Ai Boschetti ?... »
« Si, ai Boschetti, intanto che combinavi con un tale... »
« Ma non farmi ridere! »
« Ah, ti faccio ridere! E allora ascolta: fuori dal coso lá...
Mi fa schifo a dirlo, schifo! Be', fuori di lá, sei poi salito con quel
delinquente sulla sua macchina... Ti basta? Era una macchina
targata Como. E' o non è la veritá? » — giunta a quel punto la
madre che, nel fare quella dichiarazione aveva sentito d'arrischiar,
forse per sempre, l'affetto del figlio, fissò a lungo il Sandrino come
per impedirgli ogni scappatoia.
« E se anche fosse la veritá, cosa vorresti dire? »
« Che mi fai schifo e che se non la pianti, la vedi li, la porta ?
Prendi, esci e qui, insieme a noi, non tornare piú, ma proprio piú.
Perché se [...]

[...]a sentito d'arrischiar,
forse per sempre, l'affetto del figlio, fissò a lungo il Sandrino come
per impedirgli ogni scappatoia.
« E se anche fosse la veritá, cosa vorresti dire? »
« Che mi fai schifo e che se non la pianti, la vedi li, la porta ?
Prendi, esci e qui, insieme a noi, non tornare piú, ma proprio piú.
Perché se tu vuoi andar alla rovina, va be', vacci; ma io ho gli altri
sei da salvare. Capito? Gli altri sei! »
A quel punto il colloquio ebbe una lunga pausa, in cui la donna
cominciò a tremare e a stringere e torcer le dita una sull'altra:
« Ma cos'ho fatto di male io, per aver un figlio come te? Cos'ho
fatto? ».
« Domandaglielo a lui. Non ti vien più in mente quel che
m'hai gridato dietro due o tre mesi fa? 'Io, soldi da dare a te, non
ne ho piú; se dunque riesci a guadagnarli con le tue mani bene,
108 GIOVANNI TESTORI
altrimenti va' per la tua strada'. E siccome di posti, a me, non ne ha mai trovati nessuno, i soldi me li son dovuti guadagnare con quel che ho a disposizione... »
« Sandrino... » — fece la madr[...]

[...]sci a guadagnarli con le tue mani bene,
108 GIOVANNI TESTORI
altrimenti va' per la tua strada'. E siccome di posti, a me, non ne ha mai trovati nessuno, i soldi me li son dovuti guadagnare con quel che ho a disposizione... »
« Sandrino... » — fece la madre cercando di prender il figlio per le spalle; fosse riuscita, l'avrebbe certo stretto in un abbraccio che sarebbe stato d'amore, insieme che di disperazione e di paura. Ma il Sandrind con un colpo gli sfuggi via.
« Sandrino... » — mormorò un'altra volta la donna.
« Lasciami andare, va, che non sto più in piedi dal sonno. Son qui tutto bagnato, non vedi? Del resto se proprio ti faccio schifo non hai che da dirmelo e me ne vado subito. Ormai ho visto che non si fa nessuna fatica a trovar chi, oltre alla grana, ti dà anche il letto. Si tratta solo di cambiar di tanto in tanto, come negli alberghi... »
Il Sandrino non aveva ancor finito di parlare che la madre, rotta dai singhiozzi, s'era abbandonata sul tavolo; nel colpo le ultime calze e gli ultimi fazzoletti che eran li da aggiusta[...]

[...]i andare, va, che non sto più in piedi dal sonno. Son qui tutto bagnato, non vedi? Del resto se proprio ti faccio schifo non hai che da dirmelo e me ne vado subito. Ormai ho visto che non si fa nessuna fatica a trovar chi, oltre alla grana, ti dà anche il letto. Si tratta solo di cambiar di tanto in tanto, come negli alberghi... »
Il Sandrino non aveva ancor finito di parlare che la madre, rotta dai singhiozzi, s'era abbandonata sul tavolo; nel colpo le ultime calze e gli ultimi fazzoletti che eran li da aggiustare, caddero a terra.
Il ragazzo guardò un momento la madre, poi senza aggiunger altro, passò nella stanza: allora la vista di tutti quei corpi distesi o rannicchiati sui letti, insieme con l'odor caldo e fin rivoltante che ne veniva, gli diedero più d'ogni altra sera un senso di pietà insieme che di ribellione.
« Anche il sangue dal naso, adesso! » — disse quando, seduto sul letto per levar le scarpe, vide che il fratello con cui divideva il posto, aveva lasciato sul cuscino delle macchie rossastre, di cui una aveva poi segnat[...]



da Francesco Cataluccio, Il Congo Belga nel nazionalismo africano in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: IL CONGO BELGA NEL NAZIONALISMO AFRICANO
Dal punto di vista dell'osservazione politica vi sono due Africa: un'Africa vista nel complesso, come continente, con problemi comuni ad ogni sua parte, ed é l'Africa più conosciuta, che viene in genere identificata col mondo coloniale, che presenta le zone mondiali culturalmente ed economicamente più depresse, che polarizza sempre più la rivalità politicoeconomica delle potenze attratte dalla sua posizione geografica e dalle sue crescenti possibilità di produttrice di materie prime e di mercato di assorbimento; e un'altra Africa, meno unitaria e più caratterizzata nelle parti. con infiniti problemi d'ordine territoriale umano sociale politico, con acute contraddizioni in ogni campo di vita, con linee di sviluppo, nei diversi settori, non comprensibili che per se stesse, senza che le si possa spiegare guardandoci into[...]

[...]ti. con infiniti problemi d'ordine territoriale umano sociale politico, con acute contraddizioni in ogni campo di vita, con linee di sviluppo, nei diversi settori, non comprensibili che per se stesse, senza che le si possa spiegare guardandoci intorno, in esperienze già compiute o prossime al compimento.
Il fatto nuovo di questi ultimi anni, in tema africano, é che, sia sui problemi generali dell'Africa come area continentale sia su quelli particolari di settore, sono stati gli stessi africani a portare il maggior contributo di esame di studio di discussione. Si tratta di uno sforzo assai serio, che dà la misura del rigoglio di uomini moderni e di élites preparate e dello sviluppo politico e culturale delle diverse società africane, che impegna governi partiti movimenti associazioni, e che si snoda in una fitta catena di incontri convegni e congressi. Non tutto — s'intende — é modello organizzativo e chiarezza di metodo, senso del reale e coerenza dottrinale, ma nel dinamismo delle iniziative e nel calore, non sempre disciplinato, dei c[...]

[...]azioni, e che si snoda in una fitta catena di incontri convegni e congressi. Non tutto — s'intende — é modello organizzativo e chiarezza di metodo, senso del reale e coerenza dottrinale, ma nel dinamismo delle iniziative e nel calore, non sempre disciplinato, dei contatti, c'è costante il segno di una sicura vitalità, e il preannuncio di una feconda maturazione di 'propositi, di direttive d'azione.
Se il tema dell'emancipazione dalla dipendenza coloniale, con lo scambio delle esperienze di lotta e con la ricerca dei mezzi per coordinare i singoli sforzi e dare concretezza di espressione alla
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reciproca solidarietà, sta il più spesso al centro di tali contatti, non meno viva si rivela la preoccupazione di non risolvere tutto il problema africano nel dato dell'indipendenza, ma di affrontare i problemi organizzativi del continente africano dal punto di vista sia della struttura interna dei nuovi organismi statali sia dei limiti e delle premesse ideologiche d'una unità africana. L'impegno in questa seconda direz[...]

[...]de ad accentuarsi a misura che si prospetta più chiaramente lo sbocco positivo della lotta nazionale africana, come é dimostrato dal fatto che a porlo in primo piano sono soprattutto i paesi — Ghana, Guinea, Nigeria — che hannoraggiunto o sono prossimi a raggiungere il primo e fondamentale obiettivo dell'indipendenza.
Naturalmente, l'armonia di posizioni tra i diversi nazionalismi. africani, da facile e pronta qual é sul terreno della lotta anticoloniale, si inceppa non poco allorché si passa all'esame del coordinamento strutturale tra i nuovi stati, dei lineamenti territoriali o culturali o umani del nazionalismo africano, dei mezzi per individuare e tutelare le singole nazionalità. Come suole accadere, sulla varietà di prese di posizione incidono interessi locali e tribali, talune cristallizzazioni di esperienze compiute durante il regime coloniale, particolari valutazioni degli interessi collettivi connessi alla. origine sociale dei gruppi politici impegnati nella discussione, certa differenziata impostazione dei problemi derivante dalla situa zione economica e dal grado di sviluppo culturale di ciascuna popolazione.
Sotto gli aspetti culturale sociale politico, non è possibile immaginare area più frazionata e caotica di quella africana. Ciò può dare l'illusione che ci si possa muovere con maggiore libertà di iniziative, come un urbanista che non trovi al giuoco della sua fantasia ostacoli di valori storici da rispettare, ma toglie d'altra parte ogni punto di riferimento sicuro [...]

[...]ici impegnati nella discussione, certa differenziata impostazione dei problemi derivante dalla situa zione economica e dal grado di sviluppo culturale di ciascuna popolazione.
Sotto gli aspetti culturale sociale politico, non è possibile immaginare area più frazionata e caotica di quella africana. Ciò può dare l'illusione che ci si possa muovere con maggiore libertà di iniziative, come un urbanista che non trovi al giuoco della sua fantasia ostacoli di valori storici da rispettare, ma toglie d'altra parte ogni punto di riferimento sicuro per il successo politico delle iniziative da prendere, rende problematico l'innesto di idee moder, ne sulla vecchia organizzazione di vita, minaccia continui trabocchetti a costruzioni statali o nazionali che pur rispondono a premesse e impulsi di genuina validità. La realtà é che, a differenza del continente asiatico, in Africa, specie nell'Africa nera, ha pre
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valso la civiltà tribale, la formazione di gruppi umani ristretti e isolati i quali, anche se ecc[...]

[...]i umani ristretti e isolati i quali, anche se eccellenti culturalmente, non hanno mai posseduto la tecnica di trattare grandi spazi, di unificare e amministrare grandi concentrazioni umane. Soltanto oggi, per la prima volta, gli africani si pongono il problema della organizzazione unitaria di vaste aree africane; ma se lo pongono in uno stato d'anima emotivo concitato quale può derivare dal ritrovarsi dopo una latta assai aspra contro la potenza coloniale — talvolta resa più aspra dalla resistenza psicologica e sociale di parte dello stesso gruppo nazionale — con problemi politici economici di estrema complessità e persino col problema di definirsi nazionalmente.
A tre dei molti congressi riunitisi di recente conviene accennare, come a quelli che meglio hanno puntualizzato i due aspetti dell'attuale evoluzione africana, la rottura cioè del vincolo di dipendenza coloniale e la organizzazione politica dell'Africa divenuta arbitra della sua vita.
Il primo si è svolto a Accra capitale del Ghana dall'8 al 13 dicembre 1958 sotto la presidenza d'una forte personalità dell'odierno nazionalismo africano, il kenyese Tom Mboya. Preceduto (1522 aprile), nella stessa Accra, da una conferenza degli stati già giunti all'indipendenza, e definito « conferenza panafricana » in effetti vi hanno preso parte, attraverso duecento delegati, venticinque paesi del continente — il congresso ha presentato un netto obiettivo anticoloniale, ha mirato cioè a preparare, secondo l'e[...]

[...]lto a Accra capitale del Ghana dall'8 al 13 dicembre 1958 sotto la presidenza d'una forte personalità dell'odierno nazionalismo africano, il kenyese Tom Mboya. Preceduto (1522 aprile), nella stessa Accra, da una conferenza degli stati già giunti all'indipendenza, e definito « conferenza panafricana » in effetti vi hanno preso parte, attraverso duecento delegati, venticinque paesi del continente — il congresso ha presentato un netto obiettivo anticoloniale, ha mirato cioè a preparare, secondo l'espressione del suo promotore, il primo ministro ghanese Kwame Nkrumah, « l'assalto finale all'imperialismo e al colonialismo ». La dichiarazione conclusiva della conferenza è perentoria nell'atto di accusa contra il regime coloniale: « La conferenza condanna e addita al disprezzo il sistema del colonialismo e dell'imperialismo nei territori coloniali britannici e francesi, che ha raggiunto le forme più acute e disumane in Algeria, Camerun, Africa centrale, Kenya, Sudafrica, nei territori portoghesi di Angola, Mozambico, isole Principe e San Tommaso, dove la popolazione indigena vive sotto un regime di fascismo coloniale; denuncia lo sfruttamento delle risorse nazionali e della manodopera di questi territori; denuncia la violazione dei diritti umani e democratici proclamati
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dalla Carta delle Nazioni Unite; denuncia la segregazione razziale, il sistema delle riserve e delle altre forme di discriminazione razziale e la barriera del colore; denuncia il lavoro schiavistico nei territori di Angola, Mozambico, Congo belga, Africa meridionale e sudoccidentale; denuncia la politica svolta nell'Africa centrale e nell'Unione Sudafricana, dove la dominazione della minoranza sulla maggioranza é basata sulla dottrina razziale della discriminazione; denuncia la confisca delle terre migliori degli africani a vantaggio dei colonialisti europei; denuncia la militarizzazione dell'Africa e l'uso del territorio africano per scopi militari, specialmente in Algeria e nel Kenya ». L'influenza preponderante del primo ministro ghanese sulla conferenza la si ritrova anche nel tono assiomatico e non poco fideistico con cui é affrontato il problema dell'unità africana col superamento delle rivalità tribali e razziali, nel modo scevro di qualsiasi perplessità con cui é affermata la concezione panafricanista, nella semplicistica creazione teorica dei primi cinque complessi regionali che dovrebbero preludere all'unità continentale: una federazione costiera dal Senegal al Camerun; una federazione raggruppante la Mauritania, il Sudan francese, l'Alto Volta, il Niger e il Ciad; una federazione comprendente il Sudan meridionale, l'Etiopia e la Somalia; una federazione tra Kenya, Uganda, Tanganika e eventualmente il Niassa; una federazione costituita dall'Ubanghi Scia[...]

[...]tudio della riunione, « Governo rappresentativo e progresso nazionale », consente di esaminare, tra gli altri, i problemi della tribù, della nazione e della federazione. Universitari e uomini politici, partendo dalla
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constatazione che i nuovi stati africani sorgono da una geografia politica arbitraria artificiosa, dettata in gran parte dal giuoco di spartizione e di equilibrio di potenza dei governi coloniali nel sec. XIX, si sforzano di individuare l'entità dell'ostacolo creato dalle diverse esperienze politiche e dalle diverse situazioni linguistiche e culturali al raggruppamento dei nuovi organismi nazionali. Lo studio del problema porta al tentativo di definire la « personalità africana », al confronto tra la teoria del panafricanismo di Giorgio Padmore, la teoria della negrità di Leopoldo Senghor e del gruppo che fa capo alla rivista Présence africaine, e le posizioni di Nkrumah e altri gruppi intellettuali di lingua francese o inglese. Nella riunione resta ribadita la tendenza dei più giovani pensatori africani a rivendicare alla cultura negra uguaglian[...]

[...]iscussione. Nella relazione introduttiva il segretario generale Alioune Diop riprende e sviluppa la posizione propria della sua rivista Présence africaine, ad un tempo avversa ad ogni contaminazione violenta della cultura negra ad opera della civiltà europea e aperta al
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dialogo su un piede di uguaglianza. La sua formula riassuntiva é « disoccidentalizzare per universalizzare », da cui ci si può avviare
o verso tesi di collaborazione o verso preclusioni intransigenti. Ida una parte, afferma lo scrittore Riccardo Wright: « Il mio pun to di vista è quello d'un occidentale contro l'Occidente. E tuttavia, se ragioni razziali mi hanno staccato dall'Occidente e mi hannc indotto a una critica della sua civiltà, le mie reazioni e i miei atteggiamenti non possono che essere quelli d'un occidentale. Non si sceglie la propria civiltà. La si assorbe con la nascita, e non la si può cambiare cosí come non si può cambiare il colore della propria pelle ». Ribatte, d'altra parte, il presidente della nuova repubblica di Guinea S[...]

[...]da una parte, afferma lo scrittore Riccardo Wright: « Il mio pun to di vista è quello d'un occidentale contro l'Occidente. E tuttavia, se ragioni razziali mi hanno staccato dall'Occidente e mi hannc indotto a una critica della sua civiltà, le mie reazioni e i miei atteggiamenti non possono che essere quelli d'un occidentale. Non si sceglie la propria civiltà. La si assorbe con la nascita, e non la si può cambiare cosí come non si può cambiare il colore della propria pelle ». Ribatte, d'altra parte, il presidente della nuova repubblica di Guinea Sekou Touré, che la decolonizzazione non è solo liberazione della presenza coloniale ma anche liberazione totale dello spirito del colonizzato. Messo fuori della storia, lo scrittore
e artista africano tende e spersonalizzarsi sotto l'influenza della cultura occidentale e a lungo andare egli si trova isolato nel suo stesso ambiente naturale di fronte a contadini, artigiani restati immuni da ogni timore o complesso ed estranei a cultura abitudini
e valori del regime coloniale. Perciò, nella costruzione della società dei paesi liberati dal colonialismo, l'intellettuale deve rifarsi alla cultura del popolo, alla vita reale; perciò la decolonizzazione deve avere contenuto rivoluzionario, senza indipendenza « per gradi » e senza « tappe verso l'indipendenza ».
Osservando che il congresso é « un congresso di ladri di lingue », il poeta malgascio J. Rabemananjara mette in rilievo il dato obiettivo più importante per spiegare la difficoltà degli scrittori
e degli uomini di cultura negri ad avere una visione unitaria dei. problemi della loro civiltà. Al termine dell'incontro però essi riescono a trarre fuori taluni elementi positivi d'azione suggeriti dall'urto stesso di tendenze e di valutazioni che ha dominato le discussioni. La risoluzione finale suggerisce di: ristudiare scientificamente la storia dell'Africa; formare gruppi di storici; istituire archivi e biblioteche; riprendere in esame i sistemi associativi di base e soprattutto la democrazia comunitaria per elaborare forme nuove di vita comune; orientarsi nel grande i[...]

[...]conomica dell'Africa, in modo che tutte insieme le vostre ideologie concorrano a liberare la cultura africana dalle sovrastrutture imposte dall'esterno e a fare ritrovare al mondo africano la sua personalità originale, la sua capacità di universalizzarsi, di portare un contributo autonomo alla soluzione dei grandi problemi dell'umanità.
***
Dibattiti e discussioni e polemiche sui problemi relativi al proprio sviluppo nazionale, ad opera dei circoli politici e culturali del continente nero, si svolgono nel vivo di un processo di trasformazione del mondo africano del quale sono oggi individuabili alcune caratteristiche fondamentali.
Ciò che più salta agli occhi é l'impetuosità del movimento verso l'autonomia delle popolazioni sottoposte a regime coloniale. Non vi é dubbio che il mondo coloniale africano, ch'era il più compatto e vasto alla fine della seconda guerra mondiale, tende a disgregarsi ogni giorno più facendo posto a stati autonomi o allentando i suoi vincoli in misura tale da rendere inevitabili ulteriori concessioni, a breve scadenza, all'impulso di autonomia delle popolazioni indigene. Risveglio economico e culturale e quindi politico degli indigeni, indebolimento della capacità espansiva delle potenze coloniali, preponderanza nello scacchiere internazionale di stati anticoloniali quali l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti, attiva solidarietà di governi affrancatisi di recente dalla amministrazione coloniale, presenza sollecitatrice dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, convergono verso l'identico obiettivo di porre in crisi il
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regime coloniale. Non tenendo conto dell'Egitto e dell'Africa settentrionale francese (Tunisia Marocco Algeria, quest'ultima tuttora in lotta di riconquista della propria individualità nazionale), dove il dominio coloniale aveva particolare carattere, né della breve parentesi coloniale dell'Etiopia dal 1936 al 1941, nell'ultimo decennio sono usciti dal mondo .coloniale Libia, Sudan, Eritrea, Costa d'Oro (Ghana), Guinea francese; mentre sono alla soglia dell'indipendenza la Somalia sotto amministrazione fiduciaria italiana, íl Camerun sotto amministrazione fiduciaria in parte francese e in parte britannica, il Togo sotto amministrazione fiduciaria francese, la Nigeria britannica. In seno poi alla Comunità francoafricana, promossa alla fine del 1958 dal governo De Gaulle per evitare un radicale movimento centrifugo, i territori dell'Africa occidentale francese (Senegal, Sudan, Mauritania, Niger, Alto Volta, Costa d'Avorio, Dahomey) e dell'Africa equator[...]

[...]anghiSciari, Ciad) e il Madagascar si sono affrancati, se non completamente, in misura tale da presentare netti lineamenti di individualità statale autonoma.
Altro dato caratterizzatore dell'evoluzione politica africana é la tendenza al raggruppamento, o su basi federali o per annessione di territori nazionalmente affini o geograficamente complementari, che si afferma presso gli stati già consolidati. Nel primo caso si tratta di fenomeno che si collega a remote esperienze storiche o rispecchia talune esigenze di più agevole amministrazione coloniale
o ubbidisce a una realistica valuta ione delle necessità economiche finanziarie difensive di un moderno organismo statale. Dall'uno
o dall'altro di tali motivi o anche da due o più motivi simultanei sono sorti l'Unione Sudafricana, lo sforzo egiziano per ora infruttuoso d'incorporazione del Sudan, certo orientamento federalistico nel Nordafrica francese (Maghreb unito), la Federazione della Rhodesia e del Niassa, il progetto britannico di federazione dell'Africa orientale (Kenya Tanganika e Uganda) avviato dalla creazione dell'East Africa High Commission che coordina ventotto rami amm[...]

[...]ica, la richiesta sudafricana d'incorporazione dei Protettorati britannici di Basutoland Bechuanaland
e Swaziland; e, in data più vicina, il progetto di federazione tra Ghana e Repubblica di Guinea «come nucleo della creazione degli Stati Uniti dell'Africa occidentale », la Federazione del Mali tra Senegal e Sudan e i progetti di Unione Benin (Dahomey Niger
e Togo) e di Stati Uniti dell'Africa latina (Africa equatoriale francese, Congo belga e colonie portoghesi). « Col vostro voto », afferma il presidente dell'assemblea costituente a Dakar Modibo Keita il 17 gennaio 1959 all'atto della proclamazione della Federazione del Mali, « voi avete gettato le fondamenta dell'unità africana. Voi siete gli architetti della Federazione dell'Africa occidentale. Ora dovete diventare i crociati e gli evangelizzatori dell'unità politica
e accettare ogni sacrificio per la realizzazione dell'unità africana ». Il primo ministro del Niger Hamani Dior così puntualizza a sua volta l'esigenza federalistica: « L'aspirazione all'indipendenza non potrà essere soddisfatta compiutamen[...]

[...]e avère carattere arbitrario, bensì essere sollecitato da un concreto vantaggio delle parti interessate. La parola d'ordine del « raggruppamento », dominante oggi in Africa, non si presenta dunque di facile attuazione e, laddove l'entusiasmo momentaneo lo crea, non sono improbabili movimenti inversi volti al frazionamento.
Quest'ultima previsione appare molto più fondata in quei casi di federazione che sono determinati da un evidente sottofondo coloniale. La si vede già attuarsi per la Federazione della Rhodesia e del Niassa, imposta dalla minoranza bianca ed ora scossa — sanguinosi incidenti del marzo 1959 nel Niassa e nella Rhodesia settentrionale — dalla avversione delle popolazioni indigene che la considerano appunto uno strumento di perpetuazione del vincolo coloniale. È probabile che la stessa sorte abbia la Comunità francoafricana, forse in atmosfera meno violenta per la clausola che Parigi ha opportunamente inserito nella costituzione, relativa al diritto di ogni stato della comunità a uscirne quando lo creda conveniente.
Ma anche dove non esiste la spinta anticoloniale, sono frequenti i segni di movimento centrifugo, che investe del resto le stesse federazioni per così dire « primarie », sorte cioè come tali e non costituitesi in fase posteriore all'indipendenza. Fenomeno opposto al raggruppamento è infatti, in alcuni settori africani, quello della secessione, dovuto in gran parte alla innaturale divisione territoriale del continente africano al momento della sua spartizione nel sec. XIX, eseguita con la sola preoccupazone dell'equilibrio di potenza tra gli stati che vi parteciparono. Sintomi di secessione, più o meno intensi, sono constatabili in Lib[...]

[...] terzo elemento determinante della evoluzione dell'Africa è il problema dei rapporti interrazziali. Tale problema si presenta con caratteristiche diverse in Algeria, nel Sudafrica, nell'Africa centrale britannica (Rhodesia) e nell'Africa orientale britannica (Kenya), ma in tutti e quattro questi territori provoca la stessa conseguenza di allontanare nel tempo la formazione di stati africani indipendenti, e rappresenta quindi il settore in cui la colonizzazione europea é decisa a difendere ad oltranza le sue posizioni non soltanto di ordine economico ma di governo e di amministrazione. In Algeria, il riconoscimento dell'individualità nazionale araba è negato in nome dell'apporto dato alla « individualità algerina » dal gruppo, indubbiamente numeroso e attivo, dei coloni francesi, in nome della contrapposizione d'un interesse nazionale francese a un interesse nazionale arabo. Per meglio caratterizzarsi, tale interesse « nazionale » strettamente algerino dei coloni francesi si é venuto negli ultimi anni sempre più distinguendo dagli interessi di stretto ordine coloniale della Francia, e alla fine ha preteso — ed ottenuto —, con la rivolta del 13 maggio 1958, la assoluta identificazione dei due interessi, sul piano dei coloni: « l'Algerie c'est la France ». Tanto più agevole è stata l'identificazione per il fatto che la ricchezza mineraria del sottosuolo sudalgerino, ognora più ampia di promesse positive, ha dato solidi puntelli al patriottismo algerino. Ciò però interessa la formulazione d'una politica della Francia per l'Algeria, indica il sopravvento preso in Francia dalle correnti più avverse al nazionalismo arabo, ma non imposta una soluzione valida anche per l'altra parte, o meglio, prospetta una soluzione opposta agli obiettivi degli algerini arabi, lasciando quindi alla prova di forza la decisione del p[...]

[...]erini arabi, lasciando quindi alla prova di forza la decisione del problema. « C'est que l'Europe », osservava J. Amrouche durante l'assemblea della Società europea di cultura a Parigi nel settembre 1953, « hors d'Europe est l'antiEurope; elle est contre l'Europe, renie l'Europe ».
Negli stessi termini, sostanzialmente, il gruppo etnico bianco del Sudafrica pone il problema della minoranza bianca in una so
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cietà di colore in espansione. La differenza dall'Algeria è che qui ìl problema è affrontato nella fase finale dell'evoluzione politica indigena ed ha il carattere della caotica e pur puntigliosa reazione a un destino imminente — reazione che é incapace di scorgere e tentare un piano di compromesso —, mentre nel Sudafrica l'impegno della minoranza bianca è rivolto a stroncare in sul nascere ogni velleità nazionalistica della maggioranza negra, a bloccare tutte le vie capaci di portare alla maturazione d'una coscienza politica degli indigeni di colore. L'apartheid o separazione delle razze è lo strumento d[...]

[...]ase finale dell'evoluzione politica indigena ed ha il carattere della caotica e pur puntigliosa reazione a un destino imminente — reazione che é incapace di scorgere e tentare un piano di compromesso —, mentre nel Sudafrica l'impegno della minoranza bianca è rivolto a stroncare in sul nascere ogni velleità nazionalistica della maggioranza negra, a bloccare tutte le vie capaci di portare alla maturazione d'una coscienza politica degli indigeni di colore. L'apartheid o separazione delle razze è lo strumento di tale politica. Il governo nazionalista sudafricano, che ne é l'assertore, parte da una posizione critica verso gli stati colonizzatori europei i quali, con le loro velleità di assimilare, di seminare nell'ambiente indigeno i valori culturali morali religiosi sociali dell'Europa, hanno preparato la strada alla rivolta, all'emancipazione delle popolazioni sottoposte al controllo coloniale, e afferma che non esistono mezze misure tra i due estremi della assimilazione totale e della totale separazione tra i gruppi etnici di un dato territorio, a meno che il gruppo etnico bianco non voglia attendere fatalisticamente il momento della propria totale estromissione; e poiché l'obiettivo di assimilazione non é proponibile in un Sudafrica che ha soltanto 2.906.000 bianchi tra i 14 milioni di abitanti, unica soluzione realistica é la separazione delle razze che mantenga il predominio politico economico e culturale del gruppo etnico bianco. Come è maldestra la cornice morale che i [...]

[...]listi sudafricani danno alla loro politica di apartheid quando sostengono che li preoccupa l'interesse degli indigeni ad approfondire e sviluppare le loro tradizioni culturali, non di snaturarle con esigenze e problemi di altre culture e civiltà, capaci di creare nel loro animo inquietudine spirituale, aspirazioni fittizie sproporzionate alla realtà del loro intimo processo evolutivo, così appare irreale la loro previsione che i gruppi etnici di colore del Sudafrica siano con l'apartheid tagliati fuori dal movimento di emancipazione politica delle popolazioni africane e si adagino nell'indefinita accettazione della supremazia della minoranza.
Partendo dalla constatazione che l'indirizzo sudafricano ha
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per sola conseguenza l'esasperazione dei rapporti razziali e che, se rinvia il problema dell'emancipazione indigena, lo porrà però a suo tempo in termini non di conciliazione di interessi e di vantaggiosa coesistenza ma di violenta eliminazione del gruppo bianco — e se io tiro troppo la corda [...]

[...] constatazione che l'indirizzo sudafricano ha
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per sola conseguenza l'esasperazione dei rapporti razziali e che, se rinvia il problema dell'emancipazione indigena, lo porrà però a suo tempo in termini non di conciliazione di interessi e di vantaggiosa coesistenza ma di violenta eliminazione del gruppo bianco — e se io tiro troppo la corda dalla parte mia », ha ricordato di recente un alto funzionario coloniale belga, «il giorno in cui sono costretto a lasciarla, ebbene, essa va molto lontano anche dalla parte opposta » —, la Gran Bretagna si é sforzata di avviare i suoi territori dell'Africa centrale e orientale, anche su sollecitazione di notevoli correnti di opinione pubblica e di associazioni (esempio, la Capricorno Africa Society), ad una esperienza di collaborazione interrazziale, di partnership. Al tentativo di conciliazione di interessi hanno nociuto e nuocciono, tuttavia, certa tendenza delle autorità locali britanniche a considerare la partnership come un mezzo di prolungamento del governo coloniale e l'evidente impulso di alcuni settori di coloni a trasformarla in uno strumento avente gli stessi fini dell'apartheid, la permanente supremazia della minoranza bianca. Se perciò il nazionalismo africano è in aperta lotta contro le posizioni di indubbio contenuto colonialistico, quali si affermano a Algeri e a Pretoria, diffida di un interazzismo che non ha rotto con tutte le velleità colonialistiche. Nella sua autobiografia Kwame Nkrumah oppone a Aggrey, il cui insistente messaggio politico è la collaborazione tra le razze bianca e negra, la tesi che tale collaborazione e può esistere soltanto quando la razza negra tratta su un piede di uguaglianza con la razza bianca » e che « soltanto un popolo con un governo proprio può pretendere uguaglianza, razziale o di altra natura, con un altro popolo ». Cioè « indépendence d'abord ».
Al problema della formazione di stati interrazziali si collega l'ultimo degli elementi che condizionano l'attuale evoluzione politica del continente africano: la posizione delle potenze occiden tali, oscillante tra la volontà di non perdere le residue posizioni di governo coloniale, sia pure adattandole alle nuove situazioni di fatto, e la esigenza, alla quale sono più sensibili i governi come lo statunitense che non hanno in Africa posizioni coloniali da difendere, di non compromettere i futuri rapporti di collaborazione
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con la comunità di stati africani, e di non lasciare che si convoglino vieppiù verso i governi comunisti interessi e simpatie del nazionalismo africano già fortemente influenzato dall'aperta solidarietà comunista alle sue aspirazioni e dalla dottrina marxista circa la lotta nazionale dei popoli oppressi dall'imperialismo. Della volontà conservatrice, adattata alla mutata situazione dell'equilibrio delle forze, sono manifestazioni, oltre all'impegno di riforme delle singole potenze coloniali — che ha negli accennati programmi federativi e nella recente cre[...]

[...] di non lasciare che si convoglino vieppiù verso i governi comunisti interessi e simpatie del nazionalismo africano già fortemente influenzato dall'aperta solidarietà comunista alle sue aspirazioni e dalla dottrina marxista circa la lotta nazionale dei popoli oppressi dall'imperialismo. Della volontà conservatrice, adattata alla mutata situazione dell'equilibrio delle forze, sono manifestazioni, oltre all'impegno di riforme delle singole potenze coloniali — che ha negli accennati programmi federativi e nella recente creazione della Comunità francoafricana esempi di rilievo — gli sforzi per affrontare con piani concordati i problemi difensivi ed economicosociali riguardanti il continente nero. In campo difensivo, le due conferenze di Nairobi (1951) e di Dakar (1954) hanno deciso la costruzione di una rete di comunicazioni, comprese le rotte aeree, tra i vari possedimenti, e il diritto di passaggio e di stazionamento in caso di guerra alle truppe di una potenza nel territorio delle altre; da alcuni anni, inoltre, il governo sudafricano ins[...]

[...]ari possedimenti, e il diritto di passaggio e di stazionamento in caso di guerra alle truppe di una potenza nel territorio delle altre; da alcuni anni, inoltre, il governo sudafricano insiste nel sollecitare una comunità di difesa tra i territori africani a sud del Sahara sulla falsariga di altri patti regionali (NATO, OAS, SEATO, patto di Baghdad). In campo economicosociale, fanno spicco la creazione, nel gennaio 1954, di una Commissione per la collaborazione tecnica nell'Africa a sud del Sahara tra Belgio Francia Gran Bretagna Portogallo Federazione dell'Africa Centrale e Unione Sudafricana, la costruzione di varie centrali elettriche fornitrici di energia alle industrie di più territori vicini e, ultimamente, la decisione di inserire i territori d'oltremare nel Mercato comune europeo (MEC).
Molto problematica é invece l'esistenza o anche la semplice chiara impostazione d'una politica occidentale che esprima la preoccupazione di comprendere l'ampiezza del travaglio delle forze nazionali africane e di assecondare la soluzione dei loro [...]

[...]na politica occidentale che esprima la preoccupazione di comprendere l'ampiezza del travaglio delle forze nazionali africane e di assecondare la soluzione dei loro problemi, di legare i propri interessi ai loro interessi in divenire, di stabilire un rapporto, possibilmente una conciliazione, tra le loro esigenze e i propri interessi politicoeconomici, di precisare in definitiva la propria linea di condotta di fronte ai vari aspetti in cui si articola la realtà africana, dal problema dell'autonomia dei territori dipendenti a quello degli aiuti necessari ai paesi sottosvilup
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patì, dalla discriminazione razziale in alcuni territori alla possi bilità e ai principi basilari di stati plurirazziali.
Non c'è alcun segno che gli stati del blocco occidentale, nel. loro complesso, si siano posti, per risolverlo, il problema d'una concreta politica africana, nei numerosi rivoli in cui questa si scinde e va coordinata. A cominciare dagli stati che mantengono controlli sovrani su settori dell'Africa — se[...]

[...]a, nei numerosi rivoli in cui questa si scinde e va coordinata. A cominciare dagli stati che mantengono controlli sovrani su settori dell'Africa — se si esclude in parte la Gran Bretagna che segue da vicino e senza apriorismi le varie situazioni del continente —, la cui politica africana sembra ridursi a un puntiglioso tentativo di contrastare il più possibile i mutamenti dello status quo, a una tenace negazione di quanto è ritenuto in contrasto col proprio interesse. Essi sono fermi su una. valutazione polemica dell'Africa che, sia pur lentamente, si affaccia al mondo moderno, e se sono disposti a concessioni di principio, si mostrano riluttanti a convertire in politica concreta le generiche ammissioni. Oppongono cioè a una politica africana teorica una politica africana reale, del tutto diversa. Le poche iniziative opportune che sono attuate hanno per lo più carattere marginale, e il loro benefico effetto psicologico . è compromesso dal non essere frutto di un orientamento tempestivo ma tardivo adattamento a situazioni non altrimenti c[...]

[...]ssi sono fermi su una. valutazione polemica dell'Africa che, sia pur lentamente, si affaccia al mondo moderno, e se sono disposti a concessioni di principio, si mostrano riluttanti a convertire in politica concreta le generiche ammissioni. Oppongono cioè a una politica africana teorica una politica africana reale, del tutto diversa. Le poche iniziative opportune che sono attuate hanno per lo più carattere marginale, e il loro benefico effetto psicologico . è compromesso dal non essere frutto di un orientamento tempestivo ma tardivo adattamento a situazioni non altrimenti controllabili. D'altra parte, ad aggravare la frattura politica tra negri e bianchi, anche il gros so dell'opinione pubblica dell'Europa occidentale continua ad essere ancorata a formule africaniste assai pericolose per gli interessi africani dell'Europa, non è aliena da posizioni mentali e da impulsi politici che in qualche modo ricordano gli obiettivi di supremazia che giuocavano fino a ieri. Ciò non serve sicuramente a smantellare le stratificazioni di diffidenze di sospetti, talvolta di odio, che il passato ha accumulato sull'animo degli africani. Il problema, per l'Europa, non è di constatare e proclamare l'arbitrarietà o l'ingiustizia di simili stati d'animo, ma di convincere che vuole e sa fare una politica su altre basi, a carattere bilaterale, di uguaglianza, nell'interesse di entrambe le par[...]

[...]imo degli africani. Il problema, per l'Europa, non è di constatare e proclamare l'arbitrarietà o l'ingiustizia di simili stati d'animo, ma di convincere che vuole e sa fare una politica su altre basi, a carattere bilaterale, di uguaglianza, nell'interesse di entrambe le parti.
Evidentemente il problema non si esaurisce nel solo atteggiamento verso gli ideali di emancipazione dei popoli africani; si estende invece all'atteggiamento verso le difficoltà d'ordine raz
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ziale politico economico che l'emancipazione porta seco. Feconda politica africana significa, in larga misura, assistenza cauta e disinteressata nel faticoso avvio dei nuovi stati africani alla vita autonoma, e soprattutto rinunzia a impegnare questi nuovi stati in un serrato giuoco di rivalità internazionali nel quale si sentirebbero in certo modo posti ancora in una posizione di inferiorità e di dipendenza. Non presenta prospettive utili il tentativo di trasferire in blocco sul territorio africano l'apparato della guerra fredda, come ha rilevato anc[...]

[...] e la cui soluzione contribuiranno a determinare il nuovo assetto politico dell'Africa, sono quasi tutti presenti nel Congo Belga. È come se su questo immenso territorio, posto nel cuore del continente nero, si riflettesse l'immagine vera genuina del mondo africano, consentendo di raccogliere in una visione unitaria, e quindi più fedele, aspetti diversi dispersi qua e là; é come un lago in cui svariati fiumi e torrenti immettono le loro acque mescolandosi e placandosi in una limpida superficie che l'occhio pus?) scrutare in modo riposato e sicuro. Impulsi d'indipendenza, polverizzazione tribale che cerca di cementarsi in una unità nazionale, ricerca di collegamento con popolazioni affini per la formazione di en= tità federali, problemi di coesistenza razziale con i coloni europei, perplessità politiche e psicologiche dello stato colonizzatore nel passare da una politica di puro governo coloniale a un riconoscimento degli interessi preminenti indigeni, sono oggi individuabili nel Congo belga nella fase di avvio, di prima maturazione. La problematica di questi aspetti di vita è meno vivace e perentoria che in altri territori africani, ma per ciò stesso può essere colta nella sua più umana e logica radice.
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Forse in nessun altro territorio africano, quanto nel Congo, il regime coloniale ha trovato un ambiente più comodo e adatto per insediarsi e svilupparsi. Il Congo appariva davvero come un vastissimo « territorium nullius », isolato dall'esterno coi suoi appena sessanta chilometri di costa rispetto agli oltre novemila chilometri di frontiere terrestri, frazionato politicamente con la sua serie di tribù sparse in grandi spazi e divise da migliaia di chilometri di fitta foresta equatoriale e, se a contatto, ostili l'una a l'altra per ancestrali rivalità. I circa cinquecento trattati, che l'esploratore Stanley stipulo in cinque anni dal 1879 al 1884, con i capi locali a[...]

[...]rnazionale per l'incivilimento e l'esplorazione del Congo di cui era presidente il re belga Leopoldo, indica tale estremo frazionamento umano e politico. La scarsa popolazione — oggi 11.500.000, di cui 60 mila bianchi, in un'area di 2.344.000 Kmq. —, appartenente a tre diverse razze (bantù veri e propri nelle regioni di savana sudorientale, bantù della foresta nella zona di nordovest e sudanesi nelle regioni di nordest), non poneva problemi particolari d'ordine politico, mentre la ricchezza agricola di alcune regioni e mineraria di altre non addossava sacrifici al bilancio metropolitano e offriva vantaggiose prospettive d'impiego di capitali. Anche per quanto riguarda la sicurezza esterna, tutto fu risolto rapidamente, prima ancora che una apposita conferenza internazionale riunita a Berlino consa crasse (23 febbraio 1885) la nascita dello Stato indipendente del Congo, attraverso una serie di accordi di confine con la Francia (14 aprile 1884), con la Gran Bretagna (15 maggio 1884), con la Germania (8 novembre 1884) e col Portogallo (durante la conferenza di Berlino). In più, la clausola[...]

[...]ropolitano e offriva vantaggiose prospettive d'impiego di capitali. Anche per quanto riguarda la sicurezza esterna, tutto fu risolto rapidamente, prima ancora che una apposita conferenza internazionale riunita a Berlino consa crasse (23 febbraio 1885) la nascita dello Stato indipendente del Congo, attraverso una serie di accordi di confine con la Francia (14 aprile 1884), con la Gran Bretagna (15 maggio 1884), con la Germania (8 novembre 1884) e col Portogallo (durante la conferenza di Berlino). In più, la clausola della porta aperta, stabilita alla conferenza di Berlino e ribadita dalla successiva conferenza di Bruxelles (Atto generale del 2 luglio 1890), neutralizzò in gran parte l'interesse di terze potenze a provocare occasioni che inde bolissero la posizione coloniale belga.
Allorché il 18 agosto 1908 si apre a suo favore la successione stabilita da re Leopoldo col testamento del 2 agosto 1889, il Belgio entra in possesso di un patrimonio di tutto riposo e attivo sotto ogni angolo visuale.
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Le direttive di politica indigena che il Belgio subito attua, e che rimarranno immutate nei decenni successivi sono, da una parte l'assoluta esclusione degli africani da ogni responsabilità di governo, — come, dei resto, dei coloni bianchi, il che è fatto notare dai belgi come prova dell'inesistenza di discrimazione razziale —, dall'altra l'impegno paternalistico di migliorare gradatamente le condizioni di vita degli africani, evitando però che educazione e contatti con l'esterno suscitino in loro esigenze politiche, insofferenza dello status quo. La « carta coloniale » emanata nello stesso 1908 come costituzione, fissa a Bruxelles la sede del governo centrale del Congo; i poteri legislativo ed esecutivo sono nelle mani del re, rappresentato nella capitale congolese Leopoldville dal governatore generale e assistito da un Consiglio di governo con funzioni consultive. I quattro quinti della popolazione indigena sono organizzati in centres coutumiers, retti ciascuno da capi sotto il controllo d'un amministratore territoriale belga; il resto vive in centres extracoutumiers, aggregato cioè alle comunità bianche e amministrato anch'esso da capi nativi ma s[...]

[...]es coutumiers, retti ciascuno da capi sotto il controllo d'un amministratore territoriale belga; il resto vive in centres extracoutumiers, aggregato cioè alle comunità bianche e amministrato anch'esso da capi nativi ma sotto la legge belga. Gli indigeni partecipano anche ai Consigli di ciascuna delle sei province (Leopoldville, Equatore, Provincia orientale, Kivu, Katanga e Ksai), a carattere consultivo, con membri di nomina governativa. A un piccolo gruppo di africani — nel 1955 non superavano i cento —, man mano che raggiungono un particolare livello culturale, viene riconosciuta la qualifica di matriculés cioè uguaglianza di diritti con gli europei. Tutto qui, per diversi decenni.
Fino al 1° gennaio 1958, con la concessione dello statuto comunale alle città di Leopoldville, Elisabethville e Jadotville alle quali seguono un anno dopo Bukavu, Stanleyville, Coquilhatville e Luluaburg — nessun cambiamento viene apportato alla situazione costituzionale. Il Congo è come pietrificato, politicamente; i marosi che agitano, con due guerre mondiali e rivoluzioni, le acque europee e coloniali, si frantumano sulle dighe massicce che sembr[...]

[...]i con gli europei. Tutto qui, per diversi decenni.
Fino al 1° gennaio 1958, con la concessione dello statuto comunale alle città di Leopoldville, Elisabethville e Jadotville alle quali seguono un anno dopo Bukavu, Stanleyville, Coquilhatville e Luluaburg — nessun cambiamento viene apportato alla situazione costituzionale. Il Congo è come pietrificato, politicamente; i marosi che agitano, con due guerre mondiali e rivoluzioni, le acque europee e coloniali, si frantumano sulle dighe massicce che sembrano circondare il grande spazio umano del Congo. Entro il loro recinto il tempo pare essersi fermato e continua
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l'età dell'oro del mondo coloniale. Un belga, J. Labrique, ha puntualizzato di recente nel parigino Le Monde gli elementi costitutivi dell'idilio coloniale congolese, la ricetta pratica di quello che egli definisce « paternalismo integrale » del regime coloniale belga : « Lo StatoProvvidenza e l'ImprenditoreProvvidenza vigilano, con la collaborazione delle missioni cattoliche, sul benessere materiale e morale dell'indigeno. Questi é curato gratuitamente da quando é nel seno materno e dalla fanciullezza fino al letto di morte. È fornito di, alloggio dal suo imprenditore o beneficia d'una indennità e di prestiti edilizi autorizzati dall'amministrazione. È nutrito scientificamente e ricreato con saggezza. L'imprenditore gli versa direttamente parte del salario alla Cassa di risparmio. Al privato non è consentito legalmente di prestargli denaro o anticipargli prodotti. Il suo riposo é garantito dal coprifuoco nei quartieri in cui v[...]

[...]o medico. Se desidera oltrepassare le frontiere, deve ottenere il nullaosta del governatore generale e versare una cauzione che serva per le eventuali spese di rimpatrio. È soggetto a leggi speciali, é giudicato da tribunali speciali che emettono per lui pene speciali. Per definizione é insolvibile: secondo la consuetudine, non può essere citato in giudizio da un europeo per un'azione di carattere civile. Gli spetta un prezzo ridotto negli spettacoli sportivi e nelle manifestazioni artistiche alle quali sia stato autorizzato di assistere. Pochi sono gli svaghi che gli sono consentiti di condividere con europei e il
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più spesso organizzati dal suo imprenditore o su iniziativa del governo o delle missioni. Nell'ambito riservato alla sua attività economica — salariato, impieghi d'ordine, piccolo commercio, artigianato —, l'autorità lo protegge dalla concorrenza degli europei. L'immigrazione bianca é stata sistematicamente scoraggiata. Fino a cinque anni or sono il negro del Congo belga non aveva accesso all'insegnamento universitario. Al di fuori dei seminari non poteva frequentare che le scuole professionali o scuole secondarie con programma ridotto rispetto alle scuole per i ragazzi europei. Tale situazione sussiste ancora per la grande maggioranza. Prima di essere ammesso a frequentare una scuola per ragazzi europei, il ragazzo negro é sottoposto a una speciale visita medica, é c[...]

[...] alle scuole per i ragazzi europei. Tale situazione sussiste ancora per la grande maggioranza. Prima di essere ammesso a frequentare una scuola per ragazzi europei, il ragazzo negro é sottoposto a una speciale visita medica, é compiuta un'inchiesta sulle condizioni della sua famiglia, sul suo tenore di vita, sulle sue risorse finanziarie. Non é facile l'iscrizione alle università straniere. Il governo ha preferito organizza' re sul posto delle facoltà, partendo dal principio che il negro ha tutto da avvantaggiarsi dall'essere educato nel suo ambiente, tra i suoi fratelli di razza, mantenendo in tal modo il contatto con la tribù e rendendosi conto dell'arretratezza della massa. Si evita così che lo studente sia corrotto da dottrine sovversive e turbi poi con la sua condotta il cauto sviluppo del piano fissato. Quanto all'europeo che sbarca al Congo belga, egli si sente, si crede, si attribuisce d'ufficio un compito di educatore. Quale che sia la sua professione, quale che sia il suo lavoro. Un libraio apre un nego zio? Egli censura la let[...]

[...]a condotta il cauto sviluppo del piano fissato. Quanto all'europeo che sbarca al Congo belga, egli si sente, si crede, si attribuisce d'ufficio un compito di educatore. Quale che sia la sua professione, quale che sia il suo lavoro. Un libraio apre un nego zio? Egli censura la lettura della clientela negra. Il commerciante, il droghiere, il macellaio educano la loro clientela negra in reparti appositi. Le banche hanno preparato dei cassieri negri col compito di illuminare i risparmiatori ».
Meno spettacolare e irritante che nel Sudafrica, e senza quel gusto della teoricizzazione del proprio programma politico che allarma gli osservatori e scuote psicologicamente i « pazienti », l'orientamento di governo nel Congo belga é una forma di apartheid. Suscita perciò uno scandalo interno la pubblicazione nel 1957, ad opera di Van Bilsen, professore all'università cola niale di Anversa, di un Piano trentennale per l'emancipazione del
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Congo; e costituisce uno scandalo internazionale la decisione dell'Assemblea generale dell'ONU, durante la sessione del 1952, di raccomandare al Comitato per le informazioni sui territori non autonomi — creato nel 1949 col compito di esaminare i dati forniti dalle potenze amministratrici sulle condizioni economiche sociali e culturali dei territori loro sottoposti — di raccogliere anche indicazioni dettagliate sul modo in cui le popolazioni indigene godono del diritto all'autodecisione. Il Belgio, punto sul vivo, dichiara di non volere più partecipare ai lavori del Comitato. Emancipazione, autodecisione: due parole che sono come bestemmie, come esplosivi, capaci di sovvertire il lavoro di un cinquantennio. Nulla é da respingere con più puntigliosa fermezza quanto un qualsiasi tentativo di inserire i negri in un[...]

[...] all'autodecisione. Il Belgio, punto sul vivo, dichiara di non volere più partecipare ai lavori del Comitato. Emancipazione, autodecisione: due parole che sono come bestemmie, come esplosivi, capaci di sovvertire il lavoro di un cinquantennio. Nulla é da respingere con più puntigliosa fermezza quanto un qualsiasi tentativo di inserire i negri in un giuoco politico. All'ONU l'autorità belga potrebbe non indicare la tappa in cui é giunto il regime coloniale belga nella corsa verso il proprio tramonto, ma assicurare che, nell'atmosfera tutta sussulti di rivolta di ribellione del continente africano, il Congo mantiene il suo ritmo di vita placido operoso, fatto di conciliazione tra gli interessi dei colonizzatori e degli indigeni.
A chi chiede informazioni sul progresso « politico » del Congo, il Belgio risponde con informazioni sul progresso « economico » ; a chi insiste per aver cifre sull'evoluzione culturale e sociale degli indigeni, Leopoldville ribatte con indici di produzione, con dati su nuove industrie o sul commercio. La politica può creare illusioni su una maturazione nazionale di là da venire, mentre il lavoro la disciplina l'insistenza sui valori morali getta le basi di una società che in futuro potrà anche addossarsi responsabilità amministrative.
I tre pilastri che sostengon[...]

[...]sull'evoluzione culturale e sociale degli indigeni, Leopoldville ribatte con indici di produzione, con dati su nuove industrie o sul commercio. La politica può creare illusioni su una maturazione nazionale di là da venire, mentre il lavoro la disciplina l'insistenza sui valori morali getta le basi di una società che in futuro potrà anche addossarsi responsabilità amministrative.
I tre pilastri che sostengono l'edificio di questo rigido rapporto coloniale sono l'autorità politicomilitare, le missioni e il ceto industriale, reciprocamente solidali e operanti armonicamente. Il governo protegge l'azione missionaria e lascia alle missioni il compito di diffondere l'istruzione in confini ben bloccati (soltanto scuole elementari e professionali fino al 1955, allorché é aperta a Kimuenza, nei pressi di Leopoldville, una università intitolata a Lovanio e fornita di poche facoltà); le 470 missioni cattoliche
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con 4430 missionari — cui si affiancano 258 missioni protestanti
con 1170 missionari controllano in maniera capillare orientamenti ed esigenze delle masse indigene, scoraggiando spiritualmente e suggerendo di scoraggiare politicamente qualsiasi indizio di eversione (« un vero potere nel Congo » le definisce J. Pirenne); l'industria, soprattutto mineraria, nella quale per legge il 50% delle azioni spetta allo stato belga in veste peró di capitalista privato, condiziona l'intera vita della colonia ed é arbitra delle direttive di governo[...]

[...]missioni protestanti
con 1170 missionari controllano in maniera capillare orientamenti ed esigenze delle masse indigene, scoraggiando spiritualmente e suggerendo di scoraggiare politicamente qualsiasi indizio di eversione (« un vero potere nel Congo » le definisce J. Pirenne); l'industria, soprattutto mineraria, nella quale per legge il 50% delle azioni spetta allo stato belga in veste peró di capitalista privato, condiziona l'intera vita della colonia ed é arbitra delle direttive di governo. Non é, il Congo, colonia di popolamento, non serve per obiettivi strategici, ma funziona come una coraggiosa impresa economica e la sua ragion d'essere é legata alla tutela degli interessi economici che vi si sono trasferiti e sviluppati. La finalità della colonia del Congo spiega bene la politica belga nel Congo. Probabilmente, se Bruxelles avesse la certezza che la formazione d'un nazionalismo congolese e il suo sbocco nella creazione di uno stato africano non alterassero le condizioni di espansione dell'iniziativa industriale, lo sforzo ombroso di neutralizzare qualsiasi evoluzione politica dei congolesi farebbe posto a una maggiore flessibilità di vedute politiche. La preoccupazione politica di salvaguardare il patrimonio economio, inoltre, suggerisce l'accettazione, nel 1944, di un accordo con gli Stati Uniti — accordo rinnovato alla sua scade[...]

[...]bbe posto a una maggiore flessibilità di vedute politiche. La preoccupazione politica di salvaguardare il patrimonio economio, inoltre, suggerisce l'accettazione, nel 1944, di un accordo con gli Stati Uniti — accordo rinnovato alla sua scadenza, dopo dodici anni — che trasferisce a questi ultimi l'intera disponibilità della produzione di uranio :del Congo, la più alta del mondo. Conviene infatti potere avere, in una fase di sempre più vivace anticolonialismo, la solidarietà di una potenza, come Washington, assai incline ad assecondare lo sfaldamento della costruzione coloniale europea, in Africa come in Asia.
In un Congo visto soltanto come una unica enorme azienda di produzione e di commercio, la popolazione indigena non interessa che come massa di manodopera alla quale assicurare un graduale miglioramento di vita ma non una libertà capace di turbare l'ordinato ritmo produttivo. Tutti sono imbarcati su una stessa nave e tutti hanno il solo dovere di produrre sempre più e sempre meglio. E in effetti gli indici di produzione agricola e industriale del Congo mostrano un progresso costante. Se in agricoltura 14 mila coloni
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[...] Africa come in Asia.
In un Congo visto soltanto come una unica enorme azienda di produzione e di commercio, la popolazione indigena non interessa che come massa di manodopera alla quale assicurare un graduale miglioramento di vita ma non una libertà capace di turbare l'ordinato ritmo produttivo. Tutti sono imbarcati su una stessa nave e tutti hanno il solo dovere di produrre sempre più e sempre meglio. E in effetti gli indici di produzione agricola e industriale del Congo mostrano un progresso costante. Se in agricoltura 14 mila coloni
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coordinano il lavoro di 350 mila negri, con forti produzioni di cotone caffè gomma cacao essenze pregiate, nell'industria la marcia produttiva è più spettacolare: 192 milioni di tonnellate di rame, 14 milioni di tonn. di stagno (la seconda cifra nel mondo), 5 milioni di tonn. di cobalto (il 75% della produzione mondiale), 89 milioni di tonn. di zinco, il 56% della produzione mondiale di diamanti industriali, una forte aliquota di tungsteno, e poi la ricordata maggiore produzione mondiale di uranio, estratto nei giacimenti di Shinkolobwe da un minerale che ne contiene dal 60 all'80% (quello canadese ne contiene dal 30 al 40%). I piani di produzione sono agevolati dal coordinamento delle iniziative, assicurato dalla concentrazione della maggior parte[...]

[...]ono ancora le posizioni britanniche, rappresentate soprattutto dalla Tanganyka Concessions Ltd (un terzo delle azioni dell'Union Minière e diritto di ricerca e sfruttamento su un'area di 155.400 kmq. fino al 1990) e dalla Lever Brothers Ltd (pacchetto di azioni della Unilever e 750 mila ettari di piantagioni di palme in condominio con la Société générale). Dalla Société générale dipende anche la Compagnia marittima del Congo, mentre in campo agricolo il grosso delle aziende fa capo alla Societé Congolaise de Hévéa, alla Cultures equatoriales, alla Agri f or (fusa nel 1948 con la compagnia statunitense Plywood Corporation).
Gradatamente sorge e si sviluppa anche l'industria di trasformazione: raffinerie di rame, fabbriche di tessuti, cementerie, bir
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rerie. E anche in questo settore é il capitale statunitense a raggiungere le posizioni di maggior rilievo.
Tale capitale fa sentire il suo peso nell'indurre Washington a largheggiare in aiuti finanziari allorché nel 1950 il governo di Bruxelles decide di attuare, c[...]

[...]e di tessuti, cementerie, bir
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rerie. E anche in questo settore é il capitale statunitense a raggiungere le posizioni di maggior rilievo.
Tale capitale fa sentire il suo peso nell'indurre Washington a largheggiare in aiuti finanziari allorché nel 1950 il governo di Bruxelles decide di attuare, con un piano decennale, un vasto sforzo di ammodernamento delle infrastrutture congolesi e di potenziamento dell'economia della colonia: due grossi prestiti sono concessi nel 1950 e nel 1951 direttamente al governo belga, mentre altri prestiti sono dati a singole società operanti nel Congo. Il piano prevede una spesa straordinaria di 50 milioni di franchi ripartita in nove sezioni: trasporti, alloggi indigeni, servizi di pubblica utilità, rifornimento idrico, elettrificazione, istruzione, igiene, immigrazione e agricoltura. È soprattutto il territorio minerariamente privilegiato del Katanga ad avvantaggiarsi dell'impegno di spesa straordinaria del Belgio nel Congo sia in autostrade che in ferrovie — linea da Kabalo a Kamina di 444 km. — e in edilizia ospedaliera e scolastica; ma anche i maggiori centri urbani ricevono una notevole spinta a rafforzarsi economicamente con la creazione di complessi industriali e ad attrezzarsi in senso moderno. Leopoldville in dieci anni passa da 96 a piú di 300 mila abitanti, si arricchisce di un sobborgo industriale (Limete), é fornita di uno dei migliori aeroporti africani, con una pista di lancio lunga 4 km.; il porto di Matadi viene ingrandito e adattato ad un traffico intercontinentale; da nuove strade o ferrovie sono valorizzati i centri di Stanleyville, Ponthierville, PortFranqui, Kindu, Costermansville.
Il viaggio di[...]

[...]km.; il porto di Matadi viene ingrandito e adattato ad un traffico intercontinentale; da nuove strade o ferrovie sono valorizzati i centri di Stanleyville, Ponthierville, PortFranqui, Kindu, Costermansville.
Il viaggio di re Baldovino nel maggiogiugno 1955 ha l'obiettivo di consacrare, esaltandolo, questo panorama di operosità e di crescente benessere, che ha il suo corrispettivo politico nella stabilità sociale, nella concordia razziale, nella collaborazione degli indigeni. Al pesante sgretolamento dell'edificio coloniale per ogni dove in Africa, viene contrapposto l'armonioso cammino congolese. Soltanto i fatti contano, e il Congo é li a smentire chi corre dietro a idee di ineluttabilità del dissolvimento coloniale. Il Congo prospera perché non vi sono teste calde politiche, e le teste calde politiche non germinano perché la potenza coloniale sa tenere l'am
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biente disinfestato moralmente e sa rendersi conto che occorre assicurare a tutti lavoro e dare graduali soddisfazioni alla esigenza di miglioramento materiale e spirituale degli indigeni.
Concentrazione di operai nei grossi centri abitati, in conseguenza dell'industrializzazione, contatto di questi operai con i colleghi bianchi, formazione di una piccola borghesia commerciale e impiegatizia, vicinanza di territori politicamente in fermento, concorrono tuttavia a trasformare sempre più l'ambiente congolese, costituiscono le consuete premesse al passaggio del regime coloniale in una fase di crisi. Per quanto impegno vi ponga, l'autorità coloniale belga non riesce a conservare del tutto il Congo come un vaso chiuso rispetto al mondo circostante e a impedire che le trasformazioni di vita all'interno del paese abbiano effetti diversi che altrove. La delusione é sempre al varco per coloro che riducono il problema politico a un problema di educazione, specialmente se fondano l'educazione su un precetto morale che si identifica soltanto col proprio tornaconto.
All'interno del Congo i primi sintomi di irrequietudine si manifestano nei centri extracoutumiers di Leopoldville e della zona mineraria del Katanga. Sia che si tratti di solidarietà sindacale tra proletariato europeo e africano — l'organizzazione sindacale indigena é autorizzata dal 1946 —, come in seno all'Unione Katangaise nel Katanga e all'Unicol nella Provincia orientale con capoluogo Stanleyville, entrambe imperniate sulla lotta contro il centralismo amministrativo di Leopoldville, sia che si tratti di primo urto di interessi tra bianchi e negri nelle piantagioni e coltivazioni della provincia di Kivu, appare chiaro che lo status quo sociale e politico presenta le prime incrinature.
Né l'isolamento dall'esterno ha più ampie probabilità di durare, una volta che nelle regioni confinanti si verifichino, come già avviene, decisi movimenti di opinione pubblica in senso nazionale. L'osmosi di idee di impulsi tra le popolazioni congolesi e quelle vicine, soprattutto con quelle sotto amministrazione francese — la capitale dell'Africa equatoriale francese Brazzaville e Leopoldville sono sulle due sponde del fiume Congo separate da soli 4 km. — ha precedenti sintoma[...]

[...]ti sintomatici: l'unica rivolta di una certa proporzione
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scoppiata nel Congo prima della seconda guerra mondiale, quella del 192021, ha avuto a protagonista un carpentiere, Simone Kimbangu, che era membro di una setta religiosa fondata al di là del fiume Congo, nel 1948, da Zéphyrin Lassy. L'osmosi ha, oltre tutto, una base etnica: il gruppo etnico dei Lari infatti é stato disperso dal giuoco delle spartizioni coloniali tra il Congo francese, il Congo belga, il Cabinda e l'Angola portoghese. La stessa osmosi, sempre sulla base delle affinità etniche, é in atto ai confini con l'Angola, con la Rhodesia, con l'Uganda e col Sudan, dove non è raro il caso di un capo congolese che abbia parte della sua tribù al di là della frontiera.
Che vi sia, nel sottofondo della vita congolese, un ribollio cauto ma intenso di sêtte segrete e religiose, lo dimostra il rapido formarsi di associazioni rivendicatrici di diritti politici congolesi — evidentemente non dovuto a improvvisazione — che ha luogo nello stesso momento in cui, nel giugno 1956, l'Africa equatoriale francese ottiene da una leggequadro del governo di Parigi, insieme agli altri territori francesi dell'Africa nera, l'avvio a una decisa evoluzione autonomistica [...]

[...]avoce di questo programma: il Movimento nazionale congolese fondato da Patrizio Lumumba, e, più autorevolmente, l'Associazione dei Bakongo per l'unificazione, la conservazione e l'espansione della lingua Kikongo, che si trasforma poco più tardi in Associazione degli originari del Basso Congo (Abako).
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La vivacità delle manifestazioni politiche di questi gruppi e l'ampiezza di adesioni che essi raccolgono nell'ambiente indigeno cancella subito l'oleografica e falsa immagine di un Congo estraniato dall'irrequietudine nazionalista africana. Non resta al governo belga che dare una prova, sia della sua volontà non di escludere una evoluzione politica del Congo ma soltanto di graduarla sulla base di una educazione amministrativa della popolazione, sia del fatto che nell'attuale malcontento per lo status quo non sono implicati che sparuti gruppi di persone mossi più da spirito di rivalità tribale che da avversione al regime coloniale. Annuncia perciò, il 26 marzo 1957, la concessione dello statu[...]

[...]un Congo estraniato dall'irrequietudine nazionalista africana. Non resta al governo belga che dare una prova, sia della sua volontà non di escludere una evoluzione politica del Congo ma soltanto di graduarla sulla base di una educazione amministrativa della popolazione, sia del fatto che nell'attuale malcontento per lo status quo non sono implicati che sparuti gruppi di persone mossi più da spirito di rivalità tribale che da avversione al regime coloniale. Annuncia perciò, il 26 marzo 1957, la concessione dello statuto municipale alle principali città congolesi, dando per altro ad esso un contenuto assai complicato, tale da lasciare poco margine di responsabilità agli indigeni eletti. Tra l'altro, le città sono divise in parecchi « comuni » (in 11 Leopoldville, in 5 Elisabthville e in 3 Jadotville), ciascun comune avrà un sindaco o borgomastro non eletto ma nominato dal governatore, e sopra i vari borgomastri d'ogni città starà un primo borgomastro, di nazionalità europea. Più minuziosa ancora è la procedura di preparazione delle liste e[...]

[...]orgomastro non eletto ma nominato dal governatore, e sopra i vari borgomastri d'ogni città starà un primo borgomastro, di nazionalità europea. Più minuziosa ancora è la procedura di preparazione delle liste elettorali, allo scopo di sfoltirle al massimo. La fase preparatoria durerebbe tuttavia a lungo se una serie di incidenti — gravi quelli allo stadio Baldovino nel giugno — non forzassero la mano alle perplessità che sussistono in parte dei circoli ufficiali della colonia circa la con venienza a tentare l'esperimento « democratico ».
A chiusura delle giornate di voto, rispettivamente l'8 dicembre a Leopoldville e il 22 dello stesso mese a Elisabethville e Jadotville, il corpo elettorale indigeno, accorso compatto alle urne (85%), riversando il 77% dei suoi suffragi sui candidati bakongo, dà ragione a chi ha manifestato perplessità anche dopo che sono state messe in atto tutte le precauzioni per spoliticizzare l'avvenimento. Sorprende e allarma, in particolare, il fatto che l'alta maggioranza riversatasi sui candidati bakongo non provenga soltanto dalla po[...]

[...]ento « democratico ».
A chiusura delle giornate di voto, rispettivamente l'8 dicembre a Leopoldville e il 22 dello stesso mese a Elisabethville e Jadotville, il corpo elettorale indigeno, accorso compatto alle urne (85%), riversando il 77% dei suoi suffragi sui candidati bakongo, dà ragione a chi ha manifestato perplessità anche dopo che sono state messe in atto tutte le precauzioni per spoliticizzare l'avvenimento. Sorprende e allarma, in particolare, il fatto che l'alta maggioranza riversatasi sui candidati bakongo non provenga soltanto dalla popolazione dei Bakongo, che rappresenta la metà delle liste elettorali; con ciò infatti viene meno il luogo comune più diffuso negli ambienti colonialistici, che non vi possa essere nel Congo schieramento politico su base diversa di quella tribale. Le elezioni indicano
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che c'è un fattore di avvicinamento tra gli africani capace di far superare lo spirito tribale, ed è la solidarietà di interessi nazionali. Finiscono per riconoscerlo anche i Bangala che, per sperare di contrapporsi in futuro con successo ai rivali Bakongo, si decidono a scendere con maggiore impegno sul terreno delle rivendicazioni nazionali e cambiano subito tono in tal senso.
Ma sono soprattutto i Bakongo a sfruttare la piattaforma della vi[...]

[...]íl dialogo politico con l'autorità belga. Il presidente dell'associazione, Kasavubu, non lascia dubbi, nel discorso di insediamento come borgomastro del quartiere di Dendale (Leopoldville), sull'uso che intende fare della sua carica. Il governatore generale Pétillon gli invia una nota di biasimo, ma la vita congolese non cessa di svolgersi in un'atmosfera di eccitazione, politica che ha quale protagonista l'Abako. Tanto più che l'amministrazione coloniale può contare meno sull'atout suo più forte, la « politique du ventre plein », ora che l'economia congolese è in fase di recessione nel settore minerario, la disoccupazione africana tende a ingrossarsi (50 mila nella sola capitale congolese, nel dicembre 1958), il bilancio congolese per la prima volta è in deficit e si manifesta la tendenza a minori investimenti di capitali e persino al rimpatrio di capitali verso il Belgio. D'altra parte, come suole accadere, il campanello d'allarme del risultato elettorale non spinge il governo belga ad abbandonare la politica dello struzzo e a valutare[...]

[...]r lo studio dei problemi politici nel Congo Belga).
Sul più accentuato dinamismo dell'Abako influisce indubbiamente anche l'ulteriore sviluppo nazionalistico dei vicini territori dell'Africa equatoriale francese, che giunge all'epilogo vittorioso con la nuova costituzione francese dell'ottobre 1958. È proprio alle porte di Leopoldville, a Brazzaville, che il gen. de Gaulle annunzia solennemente la sua politica di rottura radicale con il vecchio colonialismo in Africa. Alla testa dei due territori del Congo e dell'UbanghiSciari, divenuti stati indipendenti — il secondo col nome di Repubblica centroafricana — membri della Comunità francoafricana, vi sono due personalità, rispettivamente l'abate Youlou e B. Boganda (perito poi in un incidente aereo il 30 marzo 1959), di vivacissima fantasia panafricanista, assai sensibili ai problemi del Congo belga. Il primo é infatti il capo dei Lari, il gruppo etnico che abbiamo visto dislocato in parte nella colonia belga, e l'altro, fondatore del Movimento per l'evoluzione sociale dell'Africa nera (Mésan), insiste sul fatto che le due rive del fiume Ubangui (la riva sinistra fa parte del Congo Belga) sono abitate dalle stesse tribù M'baka e Banziai, e lancia l'idea d'un raggruppamento, « Stati Uniti dell'Africa latina », che dovrebbe comprendere i quattro territori dell'exAfrica equatoriale francese, il Camerun, il Congo belga e l'Angola, e si allineerebbe agli Stati Uniti dell'Africa occidentale, di influenza anglosassone (Nkrumah), e a una zona di influenza musulmana (Nasser), nel dare un primo as[...]

[...]ra latina che costituiscono per noi dei legami fondamentali. Ed è perciò ch'io credo fermamente all'avvenire di quella che si dovrà chiamare Africa latina, così come si parla di America latina ».
È problematico che possa avere eco fra i nazionalisti congolesi un progetto del genere, come anche del resto quello Lari del
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Youlou, ma costituisce ugualmente una manifestazione dell'esigenza di avvicinamento, di collaborazione tra le diverse forze politiche di questo settore africano. Se è soltanto frutto della tendenza belga ad attribuire a influenze esterne la perdita della « buona salute » del Congo, l'affermazione di un ministro di Bruxelles relativa alla responsabilità dell'abate Youlou nell'evoluzione dello stato d'animo congolese, è certo però che frequenti divengono i contatti nella seconda metà del 1958 tra gli esponenti dell'Abako e il mondo nazionalista extracongolese. E sono contatti che servono a rinvigorire i propositi di porre decisamente sul tappeto il problema politico congolese. Tali pr[...]

[...]a extracongolese. E sono contatti che servono a rinvigorire i propositi di porre decisamente sul tappeto il problema politico congolese. Tali propositi ricevono le estreme sollecitazioni morali nella ricordata conferenza di Accra, dove l'Abako è rappresentato da due « eletti » del 1957, Diomi e Lumumba.
L'eco della conferenza di Accra nei centri congolesi è d'un genere caratteristico di taluni momenti nella vita dei popoli in cui la suggestione collettiva riversa su un episodio marginale, su un evento qualsiasi aspettative sproporzionate, altera le dimensioni della realtà, crea un'atmosfera quasi messianica di attesa. Tornando dal Belgio dopo alcune settimane di assenza, il presidente del sindacato dei funzionari congolesi e borgomastro del comune di Kaluma, A. Pinzi, rimane sorpreso per il mutamento avvenuto nell'opinione pubblica africana, nota lo stato d'eccitazione che Accra ha creato. I sintomi di eccitazione si rivelano anche il 28 dicembre, al prima dei comizi politici autorizzati dall'autorità belga a Leopoidville: ogni volta ch[...]

[...]olitici autorizzati dall'autorità belga a Leopoidville: ogni volta che gli oratori del Movimento nazionale congolese accennano alla necessaria evoluzione verso l'indipendenza, parte della folla risponde con grida che rivendicano l'immediato raggiungimento di tale obiettivo. In siffatta atmosfera, l'annunzio alla folla già riunita, il 4 gennaio 1959, del divieto del governatore al comizio che avrebbero dovuto tenere Kasavubu, Diomi e Lumumba, è accolto come una sfida contro le aspirazioni nazionali congolesi. La reazione si scatena improvvisa con violenza tumultuosa e acre, investendo disordinatamente beni e persone che siano europei. Per due giorni incendi e saccheggi degli africani si frammischiano a cariche e sparatorie, ad arresti ed uccisioni ad opera della polizia e dei reparti paracadutisti accorsi in rinforzo da
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Kamina. Poi, per diversi giorni ancora, strascichi di disordini e di violenza repressiva qua e là per le località del Congo; ed infine, il gran silenzio del coprifuoco, lo[...]

[...] europei. Per due giorni incendi e saccheggi degli africani si frammischiano a cariche e sparatorie, ad arresti ed uccisioni ad opera della polizia e dei reparti paracadutisti accorsi in rinforzo da
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Kamina. Poi, per diversi giorni ancora, strascichi di disordini e di violenza repressiva qua e là per le località del Congo; ed infine, il gran silenzio del coprifuoco, lo stato d'assedio, le carceri colme di rivoltosi, la ripresa del consueto ritmo di vita.
Le sanguinose giornate del gennaio segnano la comparsa sulla scena politica congolese di una volontà indigena distinta e opposta alla volontà dello stato colonizzatore, e capace di porre sul tappeto il problema dell'autonomia del Congo. L'urto violento con l'amministrazione coloniabelga serve anche a consacrare l'Abako come il nucleo organizzativo più efficiente, per il momento, nel tenere vivo e incanalare lo sforzo autonomistico. Il suo prestigio ne esce rafforzato, e più ancora si rafforza per la malaccorta decisione di Bruxelles di ordinarne lo scioglimento e di arrestare i suoi capi J. Kasabuvu, D. Kanza e S. Nzeza (insieme ad un gruppo di altri esponenti politici, tra i quali Diomi e Pinzi). Uomini politici di altri movimenti, come ad esempio il presidente del Movimento nazionale congolese Lumumba, si compromettono, fino ad incorrere nell'arresto (10 marzo), n[...]

[...]ongolese Lumumba, si compromettono, fino ad incorrere nell'arresto (10 marzo), nel promuovere agitazioni in favore della liberazione di Kasabuvu e compagni. L'obiettivo belga di spezzare ogni possibilità di vita dell'Abako viene neutralizzato dall'identificazione che l'opinione pubblica indigena del Congo tende sempre più a fare tra Abako e indipendenza congolese. Se ne rende ben conto il ministro per il Congo Van Hemelrijk allorché giunge nella colonia per sondare le reazioni indigene al suo programma di riforme e non trova interlocutori in grado di parlare diversamente che a titolo personale; più esattamente, trova una organizzazione denominata Interfédérale e raggruppante tutte le associazioni etniche congolesi, ma deve poi constatare che i propositi arrendevoli manifestati dai suoi dirigenti, B. Tumba e J. Iveki, non sono che i propositi d'una organizzazione la cui esistenza é sconosciuta alle associazioni etniche che in teoria ne fanno parte.
Al fermento congolese, che trae spinta dall'arresto dei capi dell'Abako per accentuare i m[...]

[...]a nazionale, il 18 gennaio offre piena solidarietà una dichiarazione del Consiglio afroasiatico del Cairo, che si sforza di allargare internazionalmente l'eco avuto dagli avvenimenti del 45 gennaio: « L'orrenda carneficina di
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Leopoldville, dove centinaia di abitanti inermi sono stati uccisi, ha completamente smentito le menzognere affermazioni dei belgi nel loro tentativo di convincere il mondo intero che essi sono i « colonizzatori ideali » e che il Congo é una colonia « soddisfatta ». Il Belgio ha sfruttato spietatamente il ricco territorio congolese, la cui popolazione é oggi inferiore ai 12 milioni, mentre nel 1900 era di 20 milioni. I1 regime belga é costato al popolo congolese 58 milioni di vite umane. Le retoriche dichiarazioni del Belgio sulla sua missione civilizzatrice nel Congo si sono volatilizzate come bolle di sapone nelle strade di Leopoldville, immerse nel sangue durante il recente passato. La coscienza del mondo é offesa da questo mostruoso crimine degli imperialisti belgi. ...Gli imperialisti belgi inviano una commissione per aprire una[...]

[...]mo di allarme prima, e poi di reazione antinegra, tra la minoranza bianca stanziata nel Congo. Il panico altera le proporzioni della minaccia alle sue posizioni economiche e sociali, spingendo ad atteggiamenti capaci piuttosto di approfondire il solco razziale che di smussare i motivi di contrasto, facendo vedere la salvezza soltanto in una politica di forza, in una dura repressione di qualsiasi gesto autonomistico degli africani. Non manca, tra coloni e funzionari coloniali, chi non
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condivide l'orientamento basato su impulsi di vendetta, ma é sommerso dalla prevalente tendenza a puntare i piedi, a considerare lo spirito di moderazione come una debolezza foriera di distruzione degli interessi bianchi. Una mozione dell'Association des colons, subito dopo gli incidenti, chiede « la costituzione immediata d'un corpo di protezione armata », reclama « il risarcimento integrale dei danni », domanda che « severe misure siano prese contro tutti i responsabili » e che « lo stato di assedio sia proclamato immedia tamente in caso di ripresa dei disordini »; proclama infine la pe
rennità e dei legami tra Belgio e Congo. Allorché
poi il ministro per il Congo Van Hemelrijk si reca nella colonia per convincere gli europei sulla necessità di riforme, trova, specie nella provincia di Kivi.I, un'accoglienza assai ostile. « Promettendo suffragio universale e indipendenza », afferma un manifesto degli. ultra nell'occasione, « il governo ha dato un premio alla rivolta! Coscienti di rappresentare l'immensa maggioranza della popolazione, sosteniamo che gli impegni presi dal governo sono da considerare nulli e come non avvenuti. Nessun piccolo governo passeggero di Bruxelles ha il diritto di gettare l'unità belgocongolese in pasto ai primi saccheggiatori che capitano. Reagiamo! Uniamoci! La sorpresa ci ha fatto perdere una battaglia, ma la vittoria sarà nostra ». A poco a poco negli ambienti bianchi del Congo tende ad affermarsi un'atmosfera da 13 maggio algerino, una tendenza a porsi come i soli legittimi rappresentanti degli interessi belgi nel Congo, aventi il dovere, se necessario, di opporsi con la forza alla politica di Bruxelles. Tale atmosfera non sfugge alla Commissione parlamentare d'inchiesta che é inviata nella colonia[...]

[...]moci! La sorpresa ci ha fatto perdere una battaglia, ma la vittoria sarà nostra ». A poco a poco negli ambienti bianchi del Congo tende ad affermarsi un'atmosfera da 13 maggio algerino, una tendenza a porsi come i soli legittimi rappresentanti degli interessi belgi nel Congo, aventi il dovere, se necessario, di opporsi con la forza alla politica di Bruxelles. Tale atmosfera non sfugge alla Commissione parlamentare d'inchiesta che é inviata nella colonia per indagare sulle cause degli avvenimenti del 45 gennaio. Il suo rapporto, pubblicato il 28 marzo, insiste su questo punto, e così accenna alla parte che i circoli militari sostengono nell'alimentare lo spirito di rivolta « La commissione sottolinea la necessità che le autorità militari eseguano senza criticarle le decisioni delle autorità civili che rappresentano il potere esecutivo nel Congo. La commissione sottolinea lo stretto dovere di tutti i comandanti militari di attenersi scrupolosamente ai loro compiti ed evitare qualsiasi apprezzamento sulle decisioni che spettano alle sole autorità civili ».
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I due fermenti opposti, africano e bianco, s'influenzano reciprocamente; non poco il primo contribuisce a far prevalere u[...]

[...]rsi scrupolosamente ai loro compiti ed evitare qualsiasi apprezzamento sulle decisioni che spettano alle sole autorità civili ».
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I due fermenti opposti, africano e bianco, s'influenzano reciprocamente; non poco il primo contribuisce a far prevalere un orientamento di puntigliosa resistenza tra i bianchi, determinante è il secondo nel togliere ogni prospettiva agli africani sulla possibilità di evoluzione dell'animus coloniale belga.
Da ciò ne resta compromesso lo sforzo che il governo di Bruxelles imposta all'indomani degli incidenti allo scopo di riprendere in mano la situazione, attraverso una energica svolta alla sua tradizionale politica indigena. Le sue prime decisioni sono quelle consuete in simili circostanze; da una parte tenta, come si è visto, di scoraggiare con aspri mezzi coercitivi la corrente estremista e toglierle la possibilità di raccogliere le fila della sua organizzazione, dall'altra mira a soddisfare talune esigenze economiche e sociali degli indigeni che, secondo la sua diagnosi degli a[...]

[...]categorie, sono annunziati programmi di lavori pubblici, viene incoraggiato il reinserimento nell'ambiente rurale dei lavoratori che desiderano lasciare la città, è dato permesso ai non europei di trasferirsi nei quartieri riservati ai bianchi, viene annunziata l'attuazione dal 1° gennaio 1960 d'un secondo piano decennale per 50 miliardi di franchi. Contemporaneamente Bruxelles procede a una revisione dei quadri amministrativi e di governo della colonia, sollecita il ritmo di lavoro d'un gruppo di studio per riforme nel Congo che è da tempo in funzione, promuove la ricordata commissione di inchiesta parlamentare.
Si rende conto però che in primo piano c'è un problema politico, e che non è possibile procrastinare nel tempo la decisione sul problema fondamentale, che è quello dell'inserimento degli indigeni nella vita politica della loro terra e della loro assunzione graduale di responsabilità di governo. La soluzione di questo problema è data, il 13 gennaio, da un programma esposto in un messaggio di re Baldovino e in una dichiarazione a[...]

[...]tuttavia dimenticare che il Belgio, con 80 anni di servizi e di sforzi ha acquisito diritti incontestabili alla loro simpatia e alla loro leale cooperazione ». Nella dichiarazione del primo ministro si legge: «Il Belgio intende organizzare nel Congo una democrazia capace di esercitare le prerogative della sovranità e di decidere della sua indipendenza... Nell'interesse dei due paesi é auspicabile che al termine dell'evoluzione siano mantenuti vincoli di associazione fra il Congo e il Belgio ». Per l'attuazione del primo obiettivo é fissata la seguente tabella di marcia: elezione di Consigli comunali e territoriali alla fine del 1959; elezione di Consigli provinciali nel marzo 1960; subito dopo, elezione del Consiglio generale del Congo — abbozzo della futura Camera dei rappresentanti — e formazione di un consiglio legislativo corrispondente ad un senato. Per taluni, a Bruxelles, il programma brucia troppo le tappe, mentre per altri non tiene abbastanza conto delle esigenze sociali ed economiche. Nella colonia invece, come ho già accennat[...]

[...]i marcia: elezione di Consigli comunali e territoriali alla fine del 1959; elezione di Consigli provinciali nel marzo 1960; subito dopo, elezione del Consiglio generale del Congo — abbozzo della futura Camera dei rappresentanti — e formazione di un consiglio legislativo corrispondente ad un senato. Per taluni, a Bruxelles, il programma brucia troppo le tappe, mentre per altri non tiene abbastanza conto delle esigenze sociali ed economiche. Nella colonia invece, come ho già accennato, per motivi diversi esso provoca, sia nell'ambiente africano che in quello bianco, perplessità e, in certi settori, aperta ostilità.
Ma il programma pone come prima esigenza la liberazione dei capi nazionalisti incarcerati, sia perché è la condizione per trarre tutti gli effetti psicologici verso la distensione degli animi che il programma governativo si propone, sia perché quei capi sono i soli validi interlocutori, capaci di dare col loro consenso efficacia pratica al programma stesso. Durante la sua visita nel Congo, il ministro Van Hemelrijk, dopo la ricordata esperienza con i rappresentanti dell'Interfédérale, va a chiedere in carcere a Kasavubu il parere sul programma governativo e gli propone un
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piano in vista dell'indipendenza. Il capo dell'Abako si dichiara favorevole in linea di principio ma fa osservare che prima di pronunziarsi definitivamente ha bisogno di consultarsi con i suoi amici. A metà marzo i capi indigeni sono liberati e si recano spontaneamente — almeno secondo le affermazio[...]

[...]grazione é stata una delle poche decisioni sagge della vecchia politica del Belgio riguardo al Congo. L'ex ambasciatore statunitense Bowles racconta che, avendo chiesto al governatore generale belga cosa potesse far diventare comunista il Congo, quegli rispose: « One hundred thousand white Europeans settlers ». La scarsa entità del gruppo bianco é si una condizione favorevole perché sia meno aspro il processo di sganciamento del Congo dal regime coloniale, ma non é pertinente, nella affermazione riferita dal Bowles, l'idea implicita che, mantenendosi basso il ritmo di immigrazione, possa rimanere bloccato il problema di indipendenza. La realtà é che, più numerosa immigrazione bianca o meno, comunismo o meno, il Congo é entrato ormai nel gran movimento di decolonizzazione che domina l'Africa. Il movimento indigeno congolese può essere valutato in modi diversi, come forza politica, può apparire più o meno privo di centro di gravità organizzativo, caotico nei suoi interessi tribali, confuso nei suoi obiettivi nazionali, ma ha raggiunto in modo netto il momento di
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frattura psicologica col regime coloniale. Per incerti che possano essere i modi di convergenza concreti dei suoi impulsi, é certo che si tratta di solidi impulsi di emancipazione. Saranno le circostanze di lotta a esprimere le forze politiche più valide nazionalmente e gli uomini più adatti a esserne guida. E interesse del Belgio con siderare il passaggio da un ordine di cose all'altro non come un tracollo delle sue fortune ma come una evoluzione, per nulla arbitraria, che può consentire l'ulteriore sua presenza, vantaggiosa per i suoi interessi, ove sia posta in atto una politica intelligente e flessibile, chiara e senza doppi giuochi.
FRANCESCO CATALUCCIO



da Natalia Ginzburg, Le piccole virtù in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: NUOVI ARGOMENTI
N. 46 Settembre Ottobre 1960
LE PICCOLE VIRTU'
Per quanto riguarda l'educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l'indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l'astuzia, ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, ma l'amore al prossimo e l'abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere.
Di solito invece facciamo il contrario: ci affrettiamo a insegnare il rispetto per le piccole virtù, fondando su di esse tutto il nostro sistema educativo. Scegliamo, in questo modo, la via più comoda: perché le piccole virtù non racchiudono alcun pericolo materiale, e anzi tengono al riparo dai colpi della fortuna. Trascuriamo d'insegnare le grandi virtù, e tuttavia le amiamo, e vorremmo che i nostri figli le avessero: ma nutriamo fiducia che scaturiscano spontaneamente nel loro animo, un giorno avvenire, ritenendole di natura istintiva, mentre le altre, le piccole, ci sembrano il frutto d'una riflessione e di un calcolo e perciò noi pensiamo che debbano assolutamente essere insegnate.
In realtà la differenza é solo apparente. Anche le piccole virtù provengono dal profondo del nostro istinto, da un istinto di difesa: ma in esse la ragione parla, sentenzia, disserta, brillante avvocato dell'incolumità personale. Le grandi virtù sgorgano da un istinto in cui la ragione non parla, un istinto a cui mi sarebbe difficile dare un nome. E il meglio di noi é in quel muto istinto: e non nel nostro istinto di difesa, che argomenta, sentenzia, disserta con la voce della ragione.
L'educazione non è che un certo rapporto che stabiliamo fra noi e i nostri figli, un certo clima in cui fioriscono i sentimenti, gli istinti, i pensieri. Ora io credo che un clima tutto ispirato al rispetto per le piccole virtù, maturi insensibilmente al cinismo, o alla paura
2 NATALIA GINZBURG
di vivere. Le piccole v[...]

[...]n istinto in cui la ragione non parla, un istinto a cui mi sarebbe difficile dare un nome. E il meglio di noi é in quel muto istinto: e non nel nostro istinto di difesa, che argomenta, sentenzia, disserta con la voce della ragione.
L'educazione non è che un certo rapporto che stabiliamo fra noi e i nostri figli, un certo clima in cui fioriscono i sentimenti, gli istinti, i pensieri. Ora io credo che un clima tutto ispirato al rispetto per le piccole virtù, maturi insensibilmente al cinismo, o alla paura
2 NATALIA GINZBURG
di vivere. Le piccole virtù, in se stesse, non hanno nulla da fare col cinismo, o con la paura di vivere: ma tutte insieme, e senza le grandi, generano un'atmosfera che porta a quelle conseguenze. Non che le piccole virtù, in se stesse, siano spregevoli: ma il loro valore é di ordine complementare e non sostanziale; esse non possono stare da sole senza le altre, e sono, da sole senza le altre, per la natura umana un povero cibo. Il modo di esercitare le piccole virtù, in misura temperata e quando sia del tutto indispensabile, l'uomo può trovarlo intorno a sé e berlo nell'aria: perché le piccole virtù sono di un ordine assai comune e diffuso tra gli uomini. Ma le grandi virtù, quelle non si respirano nell'aria: e debbono essere la prima sostanza del nostro rapporto coi nostri figli, il primo fondamento dell'educazione. Inoltre, il grande può anche contenere il piccolo: ma il piccolo, per legge di natura, non può in alcun modo contenere il grande.
Non giova che cerchiamo di rammentare e imitare, nei rapporti coi nostri figli, i modi tenuti dai nostri genitori con noi. Quello della nostra giovinezza e infanzia non era un tempo di piccole virtù: era un tempo di forti e sonore parole, che però a poco a poco perdevano la loro sostanza. Ora é un tempo di parole sommesse e frigide, di sotto alle quali forse riaffiora il desiderio d'una riconquista. Ma é un desiderio timido, e pieno di paura del ridicolo. Così ci rivestiamo di prudenza e d'astuzia. I nostri genitori non conoscevano né prudenza, né astuzia; non conoscevano la paura del ridicolo; erano inconseguenti e incoerenti, ma non se ne accorgevano mai; si contraddicevano di continuo, ma non ammettevano mai d'essersi contraddetti. Usavano con noi un'autorità, che noi saremmo del tutto incapaci di usare. Forti dei loro prìncipi, che credevano indistruttibili, regnavano con potere assoluto su di noi. Ci assordavano di parole tuonanti; un dialogo non era possibile, perché appena sospettavano d'aver torto ci ordinavano di tacere; battevano il pugno sulla tavola, facendo tremare la stanza. Noi ricordiamo quel gesto, ma non sapremmo imitarlo. Possiamo infuriarci, urlare come lupi; m[...]

[...] su di noi. Ci assordavano di parole tuonanti; un dialogo non era possibile, perché appena sospettavano d'aver torto ci ordinavano di tacere; battevano il pugno sulla tavola, facendo tremare la stanza. Noi ricordiamo quel gesto, ma non sapremmo imitarlo. Possiamo infuriarci, urlare come lupi; ma in fondo alle nostre urla di lupo c'é un singhiozzo isterico, un rauco belato d'agnello.
Noi dunque non abbiamo autorità: non abbiamo armi. L'au
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torità, in noi, sarebbe un'ipocrisia e una finzione. Siamo troppo consapevoli della nostra debolezza, troppo malinconici e malsicuri, troppo consci delle nostre inconseguenze e incoerenze, troppo consci dei nostri difetti: abbiamo guardato troppo in fondo dentro di noi e abbiamo visto in noi troppe cose. E poiché non abbiamo autorità, dobbiamo inventare un altro rapporto.
Oggi che il dialogo é diventato possibile fra genitori e figli — possibile benché sempre difficile, sempre carico di prevenzioni reciproche, di reciproche timidezze e inibizioni — é necessario che noi ci riveliamo[...]

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Oggi che il dialogo é diventato possibile fra genitori e figli — possibile benché sempre difficile, sempre carico di prevenzioni reciproche, di reciproche timidezze e inibizioni — é necessario che noi ci riveliamo, in questo dialogo, quali siamo: imperfetti; fiduciosi che loro, i nostri figli, non ci rassomiglino, che siano piú forti e migliori di noi.
Poiché siamo tutti assillati, in un modo o nell'altro, dal problema del danaro, la prima piccola virtù che ci viene in testa di insegnare ai nostri figli è il risparmio. Regaliamo loro un salvadanaio, spiegando com'è bello conservare il denaro invece di spenderlo, in modo che, dopo mesi, ce ne sia molto, un bel gruzzolo di denaro; e come sia bello resistere alla voglia di spendere, per poter comprare, alla fine, qualche oggetto di pregio. Ricordiamo d'aver ricevuto in regalo, nella nostra infanzia, un salvadanaio eguale; ma dimentichiamo che il denaro, e il gusto di conservarlo, era al tempo della nostra infanzia meno orribile e sudicio di oggi: perché il denaro, più passa il tempo, e p[...]

[...]oglia di spendere, per poter comprare, alla fine, qualche oggetto di pregio. Ricordiamo d'aver ricevuto in regalo, nella nostra infanzia, un salvadanaio eguale; ma dimentichiamo che il denaro, e il gusto di conservarlo, era al tempo della nostra infanzia meno orribile e sudicio di oggi: perché il denaro, più passa il tempo, e più è sudicio. Il salvadanaio, dunque, è il nostro primo errore: abbiamo installato, nel nostro sistema educativo, una piccola virtù.
Quel salvadanaio di coccio dall'aspetto innocuo, a forma di pera o di mela, abita per mesi e mesi nella stanza dei nostri figli ed essi si abituano alla sua presenza; s'abituano al piacere di introdurre, giorno per giorno, il denaro nella fessura; s'abituano al denaro custodito là dentro, che là, nel segreto e nel buio, cresce come un seme nel grembo della terra; s'affezionano al denaro, dapprima con innocenza, come ci s'affeziona a tutte le cose che crescono grazie al nostro zelo, pianticelle o bestiole; e sempre vagheggiando quel costoso oggetto visto in una vetrina, e che sarà pos[...]

[...]re di introdurre, giorno per giorno, il denaro nella fessura; s'abituano al denaro custodito là dentro, che là, nel segreto e nel buio, cresce come un seme nel grembo della terra; s'affezionano al denaro, dapprima con innocenza, come ci s'affeziona a tutte le cose che crescono grazie al nostro zelo, pianticelle o bestiole; e sempre vagheggiando quel costoso oggetto visto in una vetrina, e che sarà possibile comperare, come noi gli abbiamo detto, col denaro così risparmiato. Quando infine il salvadanaio viene infranto e il danaro speso, i ra
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4 NATALIA GINZBUI{G
gazzi si sentono soli e delusi: non c'è più il denaro nella stanza, custodito nel ventre della mela, e non c'è più nemmeno la rossa mela: c'è invece un oggetto a lungo vagheggiato in vetrina, e di cui noi gli abbiamo vantato l'importanza e il pregio: ma che ora, nella stanza, sembra grigio e disadorno, appassito dopo tanta attesa e dopo tanto denaro. Di questa delusione i ragazzi non incolperanno il denaro, ma l'oggetto stesso: perché il denaro perduto conserva, nella memoria,[...]

[...]ne infranto e il danaro speso, i ra
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4 NATALIA GINZBUI{G
gazzi si sentono soli e delusi: non c'è più il denaro nella stanza, custodito nel ventre della mela, e non c'è più nemmeno la rossa mela: c'è invece un oggetto a lungo vagheggiato in vetrina, e di cui noi gli abbiamo vantato l'importanza e il pregio: ma che ora, nella stanza, sembra grigio e disadorno, appassito dopo tanta attesa e dopo tanto denaro. Di questa delusione i ragazzi non incolperanno il denaro, ma l'oggetto stesso: perché il denaro perduto conserva, nella memoria, tutte le sue lusinghiere promesse. I ragazzi chiederanno un nuovo salvadanaio e nuovo denaro da custodire; e rivolgeranno al denaro dei pensieri e un'attenzione che è male gli siano rivolti. Preferiamo il denaro alle cose. Non è male che abbiano sofferto una delusione; è male che si sentano soli senza la compagnia del denaro.
Non dovremmo insegnare a risparmiare: dovremmo abituare a spendere. Dovremo dare spesso ai ragazzi un po' di denaro, piccole somme senza importanza, sollecitandoli a spenderle subit[...]

[...] tutte le sue lusinghiere promesse. I ragazzi chiederanno un nuovo salvadanaio e nuovo denaro da custodire; e rivolgeranno al denaro dei pensieri e un'attenzione che è male gli siano rivolti. Preferiamo il denaro alle cose. Non è male che abbiano sofferto una delusione; è male che si sentano soli senza la compagnia del denaro.
Non dovremmo insegnare a risparmiare: dovremmo abituare a spendere. Dovremo dare spesso ai ragazzi un po' di denaro, piccole somme senza importanza, sollecitandoli a spenderle subito e come gli piace, seguendo un momentaneo capriccio: i ragazzi compreranno qualche minutaglia, che dimenticheranno subito, come dimenticheranno subito il denaro speso così in fretta e senza riflettere, e al quale non si sono affezionati. Trovandosi fra le mani quelle minutaglie, che saranno subito rotte, i ragazzi rimarranno un po' delusi, ma dimenticheranno rapidamente sia quella delusione e le minutaglie, sia il denaro; anzi associeranno il denaro a qualcosa di momentaneo e di stupido; e penseranno che il denaro è stupido, come è giu[...]

[...] sopravvivenza quotidiana, a una questione di vita o di morte, allora esso si traduce così immediatamente agli occhi d'un bambino in cibo, carbone o panni, che non ha il modo di guastargli lo spirito. Ma se siamo così così, né ricchi né poveri, non è difficile lasciare che un ragazzo viva, nell'infanzia, senza saper bene che cos'è il denaro e senza curarsene affatto. E tuttavia è necessario, non troppo presto e non troppo tardi, spez
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zare questa ignoranza: e se abbiamo delle difficoltà economiche, è necessario che i nostri figli, non troppo presto e non troppo tardi, ne siano messi al corrente; così come è giusto che a un certo punto dividano con noi le nostre preoccupazioni, e le nostre ragioni di contentezza, e i nostri progetti, e tutto quanto concerne la vita famigliare. E abituandoli a considerare il denaro famigliare come una cosa che appartiene a noi e a loro in egual misura, e non a noi piuttosto che a loro, o al contrario, potremo anche invitarli ad essere sobri, a stare attenti al denaro che spendono: e in questo modo l'invito al risparmio non è piú rispetto per[...]

[...]dano con noi le nostre preoccupazioni, e le nostre ragioni di contentezza, e i nostri progetti, e tutto quanto concerne la vita famigliare. E abituandoli a considerare il denaro famigliare come una cosa che appartiene a noi e a loro in egual misura, e non a noi piuttosto che a loro, o al contrario, potremo anche invitarli ad essere sobri, a stare attenti al denaro che spendono: e in questo modo l'invito al risparmio non è piú rispetto per una piccola virtù, non è astratto invito a portare rispetto ad una cosa che non merita rispetto in se stessa, come il denaro; ma è un rièordare ai ragazzi che non è molto il denaro di casa, è un invito a sentirsi adulti e responsabili di fronte a una cosa che. appartiene a noi come a loro, una cosa non specialmente bella né amabile, ma seria, perché legata alle nostre necessità quotidiane. Ma non troppo presto e non troppo tardi: e il segreto dell'educazione sta nell'indovinare i tempi.
Essere sobri con se stessi e generosi con gli altri: questo vuol dire avere un rapporto giusto col denaro, essere lib[...]

[...]rdare ai ragazzi che non è molto il denaro di casa, è un invito a sentirsi adulti e responsabili di fronte a una cosa che. appartiene a noi come a loro, una cosa non specialmente bella né amabile, ma seria, perché legata alle nostre necessità quotidiane. Ma non troppo presto e non troppo tardi: e il segreto dell'educazione sta nell'indovinare i tempi.
Essere sobri con se stessi e generosi con gli altri: questo vuol dire avere un rapporto giusto col denaro, essere liberi di fronte al denaro. E non c'è dubbio che, nelle famiglie dove il denaro viene guadagnato e prontamente speso, dove scorre come limpida acqua di fonte, e, praticamente, non esiste come denaro, è mena difficile educare un ragazzo ad un simile equilibrio, a una simile libertà. Le cose diventano complicate là dove il denaro esiste ed esiste pesantemente, acqua plumbea e stagnante che esala fermenti e odori. Presto i ragazzi avvertono la presenza in famiglia di questo denaro, potenza nascosta, di cui non si parla mai in termini chiari ma alla quale i genitori alludono, disco[...]

[...]onomia, in casa, sono perenni e insistenti: c'è l'ordine di comprare i libri di scuola usati, i quaderni allo Standard. Questo avviene in parte perché i ricchi spesso sono avari, e perché si credono poveri; ma soprattutto perché le madri, nelle famiglie ricche, piú o meno inconsapevolmente, hanno timore delle conseguenze del denaro e cercano di proteggerne i figli foggiandogli attorno una finzione di abitudini semplici, perfino avvezzandoli a piccole privazioni. Ma non c'é sbaglio peggiore che far vivere un ragazzo in una simile contraddizione: il denaro parla ovunque, nella casa, il suo linguaggio inconfondibile: é presente nelle porcellane, nelle mobilia, nella pesante argenteria, é presente nei comodi viaggi, nelle sfarzose villeggiature, nei saluti del portinaio, nelle cerimonie dei servi; è presente nei discorsi dei genitori, è la ruga sulla fronte del padre, la plumbea perplessità dello sguardo materno; il denaro ç ovunque, intoccabile perché forse spaventosamente fragile, è qualcosa su cui non é consentito scherzare, un funebre di[...]

[...]on un sussurro; e per onorare questo dio, per non molestare la sua luttuosa immobilità, bisogna portare il cappotto dell'anno prima diventato stretto, studiar la lezione su libri sfasciati e cenciosi, divertirsi con la bicicletta del contadino.
Se vogliamo educare i nostri figli, essendo ricchi, ad abitudini semplici, dev'essere però ben chiaro che tutto il denaro risparmiato usando simili abitudini viene speso senza parsimonia per altra
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gente. Simili abitudini hanno un senso soltanto se non sono avarizia o timore, ma libera scelta, in mezzo alla ricchezza, della semplicità. Un ragazzo di famiglia ricca non impara la sobrietà perché gli si fanno portare dei vestiti vecchi, o perché gli si fanno mangiare a merenda delle mele verdi, o perché lo si priva d'una bicicletta che desidera da lungo tempo: quella sobrietà in mezzo alla ricchezza é una pura finzione, e le finzioni sono sempre diseducative. In questo modo imparerà soltanto l'avarizia e la paura del denaro. Privandolo d'una bicicletta che desidera e che potremmo[...]

[...]bbiamo imparato come vola via in fretta fra le mani; é più facile fare a meno del denaro quando l'abbiamo ben conosciuto, che non quando gli abbiamo tributato, nell'infanzia, reverenza e paura, abbiamo sentito la sua presenza all'intorno e non ci é stato permesso di alzare gli occhi a guardarlo in viso.
Appena i nostri figli cominciano ad andare a scuola, noi subito gli promettiamo denaro in premio, se studieranno bene. E un errore. Noi così mescoliamo il denaro, che é una cosa senza nobiltà, ad una cosa meritevole e degna, quale é lo studio e il piacere della conoscenza. Il denaro che diamo ai nostri figli, dovrebbe esser dato senza motivo; dovrebbe esser dato con indifferenza, perché imparino a riceverlo con indifferenza; e dev'esser dato non
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perché imparino ad amarlo, ma perché imparino a non amarlo, a intenderne il vero carattere, e la sua impotenza ad appagare i desideri più veri, che sono quelli dello spirito. Elevando il denaro alla funzione di premio, di punto d'arrivo, di obbiettivo da raggiungere, noi gli [...]

[...]o, di punto d'arrivo, di obbiettivo da raggiungere, noi gli diamo un posto, un'importanza, una nobiltà, che non deve avere agli occhi dei nostri figli. Affermiamo implicitamente il principio — falso — che il denaro è il coronamento d'una fatica e il suo termine ultimo. Invece il denaro dovrebbe essere concepito come il salario d'una fatica: non il suo termine ultimo, ma il suo salario, cioè il suo legittimo credito: ed è evidente che le fatiche scolastiche dei ragazzi non possono avere un salario. E un errore minore — ma è un errore — offrire denaro ai figli in cambio di piccoli servizi domestici, di piccole prestazioni. È un errore perché noi non siamo, per i nostri figli, dei datori di lavoro: il denaro familiare è altrettanto loro quanta nostro: quei piccoli servizi, quelle piccole prestazioni dovrebbero essere senza compenso, volontaria collaborazione alla vita familiare. E in genere, credo si debba andare molto cauti nel promettere e somministrare premi e punizioni. Perché la vita raramente avrà premi e punizioni: di solito i sacrifici non hanno alcun premio, e sovente le cattive azioni non sono punite, ma anzi a volte lautamente retribuite in successo e denaro. Perciò è meglio che i nostri figli sappiano fin dall'infanzia, che il bene non riceve ricompensa, e il male non riceve castigo: e a questo non è possibile dare nessuna logica spiegazione.
Al rendimento scolastico dei nostri figli siamo soliti dare una importanza che è_[...]

[...]promettere e somministrare premi e punizioni. Perché la vita raramente avrà premi e punizioni: di solito i sacrifici non hanno alcun premio, e sovente le cattive azioni non sono punite, ma anzi a volte lautamente retribuite in successo e denaro. Perciò è meglio che i nostri figli sappiano fin dall'infanzia, che il bene non riceve ricompensa, e il male non riceve castigo: e a questo non è possibile dare nessuna logica spiegazione.
Al rendimento scolastico dei nostri figli siamo soliti dare una importanza che è_ del tutto infondata. E anche questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio. Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la barriera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta una offesa. Allora i nostri figli, tediati, s'allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle
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[...] successo. Dovrebbe bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni al nostro orgoglio. Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la barriera del malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta una offesa. Allora i nostri figli, tediati, s'allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle
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loro proteste contra i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d'un'ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo con loro le lezioni. In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello é un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e irrisorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, é necessar[...]

[...] mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. E' falso che essi abbiano il dovere, di fronte a noi, d'esser bravi a scuola e di dare allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi é puramente quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare avanti. Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di rimproverarli, di mostrarci offesi nell'orgoglio, frustrati d'una soddisfazione. Se il meglio del loro ingegno non hanno l'aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra ozio é in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti. Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere roman[...]

[...]a lui, ma in silenzio e un poco in disparte, noi dobbiamo aspettare lo scatto del suo spirito. Non dobbiamo pretendere nulla: non dobbiamo chiedere o sperare che sia un genio, un artista, un eroe o un santo; eppure dobbiamo essere disposti a tutto; la nostra attesa e la nostra pazienza deve contenere la possibilità del più alto e del più modesto destino.
Una vocazione, una passione ardente ed esclusiva per qualcosa che non abbia nulla da vedere col denaro, la consapevolezza di poter fare una cosa meglio degli altri, e amare questa cosa al di sopra di tutto, é la sola e unica possibilità, per un ragazzo ricco, di non essere per nulla condizionato dal denaro, di essere libero di fronte al denaro: di non sentire, fra gli altri, né l'orgoglio della ricchezza né la sua vergogna. Egli non s'accorgerà neppure degli abiti che porta, dei costumi che lo circondano, e domani sarà capace di qualunque privazione, perché l'unica fame e l'unica sete
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sarà in lui la sua passione stessa, che avrà divorato tutto quanto é futile e pr[...]

[...]io degli altri, e amare questa cosa al di sopra di tutto, é la sola e unica possibilità, per un ragazzo ricco, di non essere per nulla condizionato dal denaro, di essere libero di fronte al denaro: di non sentire, fra gli altri, né l'orgoglio della ricchezza né la sua vergogna. Egli non s'accorgerà neppure degli abiti che porta, dei costumi che lo circondano, e domani sarà capace di qualunque privazione, perché l'unica fame e l'unica sete
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sarà in lui la sua passione stessa, che avrà divorato tutto quanto é futile e provvisorio, l'avrà spogliato di ogni abitudine o atteggiamento contratto nell'infanzia, e regnerà sola sul suo spirito. Una vocazione é l'unica vera salute e ricchezza dell'uomo.
Quali possibilità abbiamo noi di svegliare e stimolare, nei nostri figli, la nascita e lo sviluppo d'una vocazione ? Non ne abbiamo molte: e tuttavia ne abbiamo forse qualcuna. La nascita e lo sviluppo d'una vocazione richiede spazio: spazio e silenzio: il libero silenzio dello spazio. Il rapporto che intercorre fra noi e i no[...]

[...]nei nostri figli, la nascita e lo sviluppo d'una vocazione ? Non ne abbiamo molte: e tuttavia ne abbiamo forse qualcuna. La nascita e lo sviluppo d'una vocazione richiede spazio: spazio e silenzio: il libero silenzio dello spazio. Il rapporto che intercorre fra noi e i nostri figli, dev'essere uno scambio vivo di pensieri e di sentimenti e tuttavia deve comprendere anche profonde zone di silenzio; dev'essere un rapporto intimo, e tuttavia non mescolarsi violentemente alla loro intimità; dev'essere un giusto equilibria fra silenzio e parole. Noi dobbiamo essere importanti, per i nostri figli, e tuttavia non troppo importanti: dobbiamo piacergli un poco, e tuttavia non piacergli troppo: perché non gli salti in testa di diventare identici a noi, di copiarci nel mestiere che facciamo, di cercare, nei compagni che si scelgono per la vita, la nostra immagine. Noi dobbiamo essere, con loro, in un rapporto d'amicizia: eppure non dobbiamo essere troppo i loro amici, perché non gli diventi difficile avere dei veri amici, a cui possano dire cose ch[...]

[...]i richiesta.
E se abbiamo una vocazione noi stessi, se non l'abbiamo tradita, se abbiamo continuato attraverso gli anni ad amarla, a ser
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villa con passione, possiamo tener lontano dal nostro cuore, nell'amore che portiamo ai nostri figli, il senso della proprietà. Se invece una vocazione non l'abbiamo, o se l'abbiamo abbandonata e tradita, per cinismo o per paura di vivere, o per un malinteso amor paterno, o per qualche piccola virtù che si é installata in noi, allora ci aggrappiamo ai nostri figli come un naufrago al tronco d'albero, pretendiamo vivacemente da loro che ci restituiscano tutto quanto gli abbiamo dato, che siano assolutamente e senza scampo quali noi li vogliamo, che ottengano dalla vita tutto quanto a noi é mancato; finiamo col chiedere a loro tutto quanto può darci soltanto la nostra vocazione stessa: vogliamo che siano in tutto opera nostra, come se, per averli una volta procreati, potessimo continuare a procrearli lungo la vita intera. Vogliamo che siano in tutto opera nostra, come se si trattasse non di esseri umani, ma di opera dello spirito. Ma se abbiamo noi stessi una vocazione, se non l'abbiamo rinnegata e tradita, allora possiamo lasciarli germogliare quietamente fuori di noi, circondati dell'ombra e dello spazio che richiede il germoglio d'una vocazione, il germoglio d'un essere. Questa è forse l'unica re[...]

[...]d'una vocazione, il germoglio d'un essere. Questa è forse l'unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l'amore alla vita genera amore alla vita.
NATALIA GINZBURG
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO
Non è che stessi male in casa mia con mia madre, fino a quattro mesi fa, quando ho dovuto andarmene. Spesso, nel piccolo appartamento di via Lanciani dove adesso vivo solo, la nostalgia mi prende; e insieme a mia madre e alla casa mi torna in mente anche mio padre, che pure é morto tanti anni fa. E l'immagine di lui che mi ritorna é sempre la stessa, e mi porta di tanto indietro nel.tempo: é mio padre che stappa champagne e brinda con gli occhi pieni di lacrime quando io ho appena vinto il concorso per la polizia. (Lui é seduto accanto a me sul divano del salotto, ha riempito le coppe, piange e mi stringe un poco il collo; mia madre è seduta in un angolo, taciturna, e mi guarda; Giuseppina, che si è tolta il g[...]

[...]a nostalgia mi prende; e insieme a mia madre e alla casa mi torna in mente anche mio padre, che pure é morto tanti anni fa. E l'immagine di lui che mi ritorna é sempre la stessa, e mi porta di tanto indietro nel.tempo: é mio padre che stappa champagne e brinda con gli occhi pieni di lacrime quando io ho appena vinto il concorso per la polizia. (Lui é seduto accanto a me sul divano del salotto, ha riempito le coppe, piange e mi stringe un poco il collo; mia madre è seduta in un angolo, taciturna, e mi guarda; Giuseppina, che si è tolta il grembiule e la crestina, è in piedi, é. commossa e non riesce a bere).
Tutto procedeva tranquillamente in casa con mia madre, fra i piatti succulenti che lei mi preparava e i romanzi gialli inglesi che mi compravo, le telefonate ai parenti del povero papà che avrebbero voluto abbracciarmi più spesso, e le serate che passavo nei cinema eleganti, gratis per i biglietti che mi mandavano.
Anche al commissariato dove lavoravo, che è lo stesso nel quale lavoro presentemente, mi trovavo bene; né mi mancavano [...]

[...]mia questo era pacifico: una mattina dei primi di novembre Giuseppina diceva «fa freddo », ed io in camera trovavo la biancheria dell'inverno.
Così, vivevo nell'agitazione: sempre ansiosamente combattuto fra la propensione ad obbedire comunque a mia madre e il proposito fermissimo di salvare la mia vita. Tuttavia, quando mia madre intraprendeva i
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discorsi matrimoniali, riuscivo a districarmi senza contraddirla: col farli cadere con garbo, o col fingere un appuntamento imminente, o una telefonata irrimandabile.
Ma questa diplomazia non mi giovò: mia madre cominciò ad invitare a casa una ragazza ogni settimana.
Si trattava di figlie di amici di famiglia, solitamente di origine meridionale. Erano quasi sempre brutte e senza vita, giacché mia madre aveva tagliato fuori tutte quelle che secondo lei s'erano buttate via. Alcune erano casalinghe protette con ostinazione, alcune altre studiavano all'università; ma la maggior parte era all'inizio di professioni liberali. Queste, si assomigliavano tutte. Se ne incontra sempre qualcuna, negl[...]

[...] ostinazione, alcune altre studiavano all'università; ma la maggior parte era all'inizio di professioni liberali. Queste, si assomigliavano tutte. Se ne incontra sempre qualcuna, negli uffici statali e parastatali. Sono ragazze che appena toccano i vent'anni si mettono su un piede d'ambizione, forti della posizione del padre, che per solito é un alto funzionario o un magistrato. Sono costanti nell'attività e a loro modo battagliere, con cappotti colorati salgono scale di enti, nelle sale d'aspetto si agitano, si spingono nei corridoi in cerca di amici del padre. Hanno impulsi vitali scarsi, e un sesso debole ed evanescente, cui sempre antepongono il lavoro. Vi vedevo di comune con me l'amore della carriera, e ogni tanto vi scoprivo nel fondo la stessa rabbia, piccola ed isterica, che mi sale fino alla bocca quando in ufficio i sottufficiali mi fanno arrabbiare e vorrei spezzare.
La ragazza entrava verso le quattro, entrava subito in salotto e si metteva a parlare a bassa voce con mia madre. Io restavo nello studio, e mi pareva sempre di sentire, nelle parole che dal chiacchiericcio affannato mi arrivavano, una somiglianza fonetica col mio nome, o col mio titolo di « dottore », o con la mia qualifica di « commissario ». Appena Giuseppina aveva portato il té, mia madre mi chiamava e mi faceva sedere accanto alla ragazza. Poi finiva svelta la sua tazza e con un pretesto se ne andava.
Io cercavo argomenti; ma finivo sempre, balbettando un po', col parlare di cinematografo. La ragazza trinciava qualche giudizio su questa o quella attrice; poi passava a parlare del suo lavoro, o a farmi domande sul mio, eventualmente sugli omicidi che avessi risolto. Io dicevo che il mio é un mestieraccio, che dovevo sempre sporcarmi con la gentaccia, e che per di più guadagnavo poco. Poi, se mia madre non tornava presto in salotto, con un pretesto mi rifugiavo nella mia stanza; e in questo caso rivedevo la ragazza un attimo nell'ingresso, per salutarla quando se ne andava. Se invece mia madre tornava prima del tempo minimo che dovevo rispettare, mi tocc[...]

[...]di là e di lasciarmi alzare.
In un pomeriggio nel quale doveva esserci una di queste visite, sono uscito a bella posta un quarto d'ora prima dell'ora stabilita. Mia madre ha mandato Giuseppina a rincorrermi per le scale. Io al pianterreno, dov'ero frattanto arrivato, ho aperto il cancello dell'ascensore e ho infilato di forza Giuseppina nella cabina, senza dire una parola.
Poi un giorno mia madre me ne ha fatto una grossa. Forse vedendo in pericolo la sua autorità, o imminente la mia rivolta, ha fatto venire a Roma zio Alfonso.
Zio Alfonso, fratello di mio padre, vive a Napoli, é scapolo e lavora in un'industria farmaceutica. Passa come la persona più autorevole della famiglia, certo per l'aspetto serio, ma soprattutto perché la sua passione é l'araldica (ha fatto tante ricerche sulla nostra famiglia e ne parla sempre). E affabile e misurato, ma confida troppo spesso ai parenti il suo pentimento di non essersi sposato.
E entrato nella mia stanza con un sorriso commosso e mi ha abbracciato. Poi mi ha detto che era venuto a Roma per al[...]

[...]saluto » ha detto. « Ti dico una cosa soltanto: non dimenticare il tuo nome ».
L'ho accompagnato alla porta. Nel corridoio ha battuto l'ombrello in terra ad ogni passo. Per salutarmi mi ha abbracciato, e mi ha baciato sulle guance. Poi quando è stato sul pianerottolo si è voltato, mi ha puntato l'ombrello sul petto, a farmi male un poco, e m'ha detto « addio, degenere ». Mi ha sorriso a lungo. È andato per le scale lentamente, scarno, asciutto, col soprabito nero a un petto e l'ombrello che teneva a met). dell'asta.
L'ho guardato con affetto. Richiudendo la porta mi sono tornati tanti pomeriggi di festa lontani: mi portavano in giro per le case dei parenti, zio Alfonso era quello che m'incuteva la soggezione maggiore, fumava sempre ed aveva tutte le dita marroni per la nicotina.
Ho respinto ricordo e dolcezza e sono andato in cucina per redarguire mia madre. L'ho trovata che preparava un dolce con Giuseppina.
« Così non può andare, mamma » ho detto. « Adesso non ti bastano più le ragazze, adesso mi cacci in casa anche i parenti».
Mi[...]

[...]pettavano per la strada quando per il turno finiva a mezzanotte. Io annuivo, sorridevo, qualche volta replicavo; era contento che fosse lei a parlare.
Finalmente una sera mi ha detto : « Ancora non mi ha invitato a fare una passeggiata »._
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« Possiamo farla stasera » ho risposto. « A che ora finisce qui? ». « Alle nove ».
« Allora l'aspetto di fuori ».
Ho telefonato a mia madre e le ho detto che avrei cenato fuori con un collega di Bari. « Come si chiama?» ha detto mia madre. Io ho finto di aver capito se avevo le chiavi, e ho detto « sì, le ho in tasca, sta' tranquilla ». Poi ho interrotto la comunicazione.
Mi sono messo a passeggiare per via Po e ho sentito molto freddo. Alle nove Wanda è uscita. Siamo subito saliti in macchina e mi sono diretto verso Ponte Milvio. Passato il ponte ho imboccato la Cassia, poi ho preso una strada che mena alla Flaminia e mi sono fermato in un anfratto. Durante il tragitto siamo stati in silenzio.
Appena ho spento il motore Wanda mi ha abbracciato stretto e mi ha baciato. Io mi[...]

[...]mena alla Flaminia e mi sono fermato in un anfratto. Durante il tragitto siamo stati in silenzio.
Appena ho spento il motore Wanda mi ha abbracciato stretto e mi ha baciato. Io mi sono sentito avvampare in faccia, e ho cercato di ordinare le idee; ma Wanda mi ha costretto contro l'angolo dello schienale e mi ha baciato più forte, addossandomisi tutta e comprimendo con la sua faccia la mia nuca contro il finestrino. Allora l'ho respinta fino a ricollocarla al suo posto, l'ho baciata anch'io con forza e l'ho toccata un po' dappertutto.
Poco dopo siamo andati in una trattoria della Cassia. Mangiando di lena i ravioli grassi, o giocando con le posate, Wanda mi ha detto che si sentiva tanto sola: il padre era morto, la madre s'era messa a vivere con un rigattiere, e lei viveva in una stanza ammobiliata. Adesso poi aveva perso anche il fidanzato, per la rissa. Costui, che si chiamava Lucio, sosteneva che lei s'era accorta di quei toccamenti e aveva lasciato correre. « Ho capito che donna sei » le aveva detto appena erano scesi dal tram, poco[...]

[...]anto sorrideva ironica, e s'era profumata male.
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Quando l'ho accompagnata alla porta le ho detto « ti voglio bene ». Lei mi ha dato un bacio lascivo, e ha detto « non. ci credo ».
Nei giorni che sono seguiti l'ho vista con regolarità, e negli stessi giorni ho ricevuto una delle solite visite. La ragazza era leggermente zoppa e assai loquace. (Mia madre la mattina mi aveva detto: « Ha avuto la paralisi infantile ed ha un piccolo difetto, ma è carina »).
Siccome cominciavo a sentire Wanda anche affettuosa, una mattina, facendo colazione, ho deciso di invitarla a casa, questa volta per offrirle una tazza di té in salotto con tutte le regole. Ho subito chiamato mia madre, e l'ho avvertita. Lei ha capito che si trattava di una donna che non mi sarebbe stato leggero presentarle, e anche che ne ero preso; mi ha detto: « Non disperderti, guarda che i cinquant'anni sono alle porte ».
Quando Wanda ha suonato_ Giuseppina é andata ad aprire, e l'ha fatta aspettare nell'ingresso. Io avevo il respiro affannato e tremavo, già da mezz'ora. Mia madre é andata subito, e mi ha gridato: « Nicola, c'è la tua camiciaia, o qualcosa del ge[...]

[...]regole. Ho subito chiamato mia madre, e l'ho avvertita. Lei ha capito che si trattava di una donna che non mi sarebbe stato leggero presentarle, e anche che ne ero preso; mi ha detto: « Non disperderti, guarda che i cinquant'anni sono alle porte ».
Quando Wanda ha suonato_ Giuseppina é andata ad aprire, e l'ha fatta aspettare nell'ingresso. Io avevo il respiro affannato e tremavo, già da mezz'ora. Mia madre é andata subito, e mi ha gridato: « Nicola, c'è la tua camiciaia, o qualcosa del genere ». Wanda é scappata via. Io sono andato per le scale a chiamarla, ma lei non mi ha risposto. Allora per la prima volta nella mia vita ho ingiuriato mia madre. Le vene del collo mi si sono gonfiate, le parole grosse mi sono fluite in gran numero, anche una parola oscena mi é uscita. Mia madre ha pianto, e mi é sembrata pentita. Ma ad un tratto é corsa al telefono, e ha chiesto un'« urgentissima » con Napoli per parlare con zio Alfonso. Io le ho strappato di mano il microfono, e l'ho sbattuto in terra proprio mentre lo zio rispondeva; dal pavimento losentivo che. strillava « pronto ». Poi ho pestato con rabbia il microfono che s'è frantumato, e la voce dello zio ha taciuto. Mia madre s'è messa a piangere più forte. Giuseppina é arrivata con la valeriana e s'è messa [...]

[...]rtone ho capito che non avrei potuto continuare a vivere in quel modo. Sono tornato a casa. Mia madre era distesa su un divano. Le ho detto subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar.
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Poco dopo l'ho vista arrivare, col passo stanco e un vestito più corto. Non aveva l'aria di disappunto che mi aspettavo. Mi ha detto che era rimasta male, ma sorridendo, come se parlasse di un'altra. Le ho fatto le mie scuse. « Tu non c'entri » ha detto lei, « tua madre vuole che tu frequenti le signore... e poi deve avermi giudicata male ». Io le ho detto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
Dall'ufficio ho telefonato ad un albergo secondario del centro ed ho prenotato una stanza. Poi ho mandato un agente a casa a prendere la mia roba. Gli[...]

[...]il lavoro, il pianto le si è fatto dirotto. Mi ha abbracciato a lungo appoggiandomisi, mi ha bagnato tutta la faccia e mi ha appannato gli occhiali.
Mi sentivo adesso più libero e pieno, più affondato nella vita; mi pareva di esistere come una persona nuova. Quando la mattina mi alzavo Wanda dormiva ancora, Giuseppina era lontana ed io dovevo badarmi da me. Mi alzavo in una maniera svelta, quasi sportiva. Durante la toilette non pensavo; i particolari impiccianti del corso della vita non mi pungevano piú. Anche le parole che dicevo erano diverse, come se avessi buttato via tutto il vecchio repertorio. In ufficio ero allegro, e tutto dell'ambiente mi pareva accettabile: i mobili vecchi e scalfiti, la luce blanda e triste che filtrava attraverso i vetri opachi delle finestre, l'odore delle pratiche e dell'inchiostro per timbri. Analizzavo poco le cose, mettevo meno veleno nel comando, comprendevo di piú.
Ogni giorno, adesso, telefonavo a mia madre. Lei si limitava a chiedermi notizie sulla salute, e a domandarmi se il riscaldamento, dove[...]

[...]novità, che per solito riguardava i parenti: sua cugina s'era aggravata, zio Alfonso era stato fatto commendatore. Per la sicurezza che le traspariva dalla vo
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ce, e per l'astensione da qualsiasi tentativo di carpirmi l'indirizzo, mi pareva che stesse ordendo fiduciosa una qualche insidia per riavermi. Ma non me ne curavo.
La sera, adesso, dall'ufficio uscivo un po' prima. A casa trovavo Wanda che mi aspettava ascoltando canzonette alla radio, tenuta a pieno volume. Mi cambiavo, poi uscivo con lei. Andavamo al cinema, o a passeggio per il centro, o a comprare biancheria. Al cinema. Wanda mi spingeva sempre verso il fondo della sala. Mi abbracciava, ma nei momenti salienti del film ritornava composta. Mentre camminavamo per le strade del centro mi tratteneva davanti alle vetrine dei negozi, era allegra e m'indicava ad alta voce gli oggetti esposti. Molti la notavano, e spesso mi arrivavano parole salaci.
Un giorno mi ha chiesto di portarla a ballare. Io le ho detto di no, ma lei mi ha pregato. Allora ho [...]

[...]n tango.
Com'era diversa dalle ragazze che mía madre mi cacciava in casa! Si dondolava sulle sedie, si grattava dappertutto senza pudore, al telefono strillava. Mangiando sbatteva le labbra; un giorno le ho detto « fa' piano, mi sembri un cane », e lei ha riso.
Una volta mi ha detto che era nata alla Garbatella. Quando aveva dodici anni lavava le teste da un parrucchiere del Corso, e aveva imparato a fatica le strade del centro, in ispecie i vicoli la confondevano. Mi ha detto anche che allora c'erano gli Americani, e il Corso sembrava un campo di battaglia. Una sera un negro le aveva tirato le trecce con forza, aveva aspettato che piangesse ed era scappato. Il padre e la madre in quel periodo non si curavano affatto di lei. Il padre era disoccupato, e vendeva pane e sigarette al mercato nero di Tor di Nona; la madre procurava ragazze ai soldati stranieri, e trafficava nelle cucine dei campi militari. Sicché lei la sera si comprava qualche cosa e mangiava sola. Poi cadeva sul letto, abbattuta dalla stanchezza. La mattina, quando si alz[...]

[...]dalla stanchezza. La mattina, quando si alzava, il padre e la madre erano usciti; qualche volta non li vedeva per una settimana.
Spesso ci aiutavamo a farci la doccia, e lei mi vezzeggiava. Dopo di avermi asciugato mi cospargeva tutto il corpo di talco; « come ai bam
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bini » diceva. Quando non uscivamo, la sera mi sdraiavo sul divano del soggiorno, lei attendeva alla cucina o rassettava la stanza da letto (era molto meticolosa nel pulire e lucidare). Ogni tanto veniva a sedermi accanto, e qualche volta mi parlava di Lucio, il fidanzato (che era ormai a piede libero), del bene che gli aveva voluto. Aveva saputo dal garzone del bar Corallo che lui la cercava per tutta la città. « E un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove andavano a fare l'amore, con che frequenza lo facevano, se andavano spesso al cinema, e a ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amore lo facevano in campagna la sera, se non faceva troppo freddo, oppure che ai films e al ballo Lucio preferiva le [...]

[...] ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amore lo facevano in campagna la sera, se non faceva troppo freddo, oppure che ai films e al ballo Lucio preferiva le pizze; ma talaltra volta mi guardava storto, chiaramente indignata per quella curiosità. Che non era, malsana, giacché quelle domande erano mosse da un sentimento di affetto, ed erano dirette ad inquadrarla, a capirla meglio.
Una volta prese lei l'iniziativa: come per scolpare Lucio, mi disse che non era stato lui a cominciarla all'amore; la scusassi, la sera della nostra prima uscita mi aveva detto una bugia. Era stato invece un capitano francese, quando lei aveva tredici anni e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi da[...]

[...] Era stato invece un capitano francese, quando lei aveva tredici anni e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi dal passato mio. Ne risultava una grande libertà: sempre di più si dileguava la paura di vivere. Non avevo più il gusto affannato di scandagliare le miserie delle donne, come quando dovevo accontentarmi di conoscerle nell'intuizione, in virtù degl'interrogatorî fatti a quelle che incappavano nel mio mestiere; non era più necessario che io fantasticassi sulla rovina di donne e di uomini, e me ne alimentassi per rabbonirmi. Adesso i racconti sereni che Wanda mi faceva, di stenti e di brutture, mi cancellavano ogni residuo di una giovinezza solitaria, e mi rendevano l'ansia passata accettabi[...]

[...]mi di questa vita; ed anche Wanda. Due mesi dopo l'inizio della convivenza, lei mi pareva parecchio mutata : aveva migliorato nell'educazione, nell'abbigliamento, s'era raffinata nel corpo, nel passo. Mi si sottometteva volentieri, e non c'erano screzi fra noi.
Ma abbiamo litigato una sera che Porzio è venuto a casa (avevo dovuto comunicare in ufficio il mio nuovo indirizzo). Era il giorno del mio compleanno, i miei dipendenti avevano fatto una colletta e mi avevano comprato un frullatore di frutta. Porzio era stato incaricato di consegnarmelo.
Quando ha bussato, sono andato io ad aprire la porta. Wanda era nell'ingresso. Porzio, che aveva in mano la grossa scatola che conteneva il frullatore, l'ha guardata fisso, e un grande stupore gli ha alterato la faccia. L'ho fatto entrare nel soggiorno, e sedere.
Mi ha detto subito che quelli del commissariato, in occasione del mio compleanno, s'erano permessi di offrirmi un modesto segno di stima; eccetera. Ha fatto per aprire lo scatolone; ma è venuta Wanda, ha salutato Porzio, che si è alzat[...]

[...]o il discorso ad una conclusione, e l'ho congedato.
Subito dopo avergli chiuso dietro la porta, ho schiaffeggiato Wanda con violenza. Lei s'è riparata la faccia, e ha negato di aver voluto mostrare alcunché. « Troia » le ho detto. « Sarai sempre una troia ». Lei si è messa a piangere. Ho guardato le lacrime che le percorrevano la faccia, ho alzato di più la voce e l'ho ingiuriata ancora. Poi un pensiero preciso mi ha attraversato il cervello: « Col maresciallo... » ho detto, e le ho tirato un altro schiaffo. Lei ha minacciato di lasciarmi; ma poi s'è messa
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a piangere più forte, e mi ha chiesto perdono. Io ho taciuto. Lei mi è venuta vicino e mi ha voluto in fretta, sul divano.
Dopo l'amore mi ha supplicato di portarla fuori. « Andiamo al luna park, fammi questo favore... Ci sono tutti quei biglietti » ha piagnucolato. (Aveva visto il giorno prima dei buoni che mi avevano mandato in omaggio, per giostre ed autopiste).
Al luna park, ha voluto innanzi tutto sparare al tiro a segno. Poi sia mo andati sulle montagne russe. Quando il vagoncino pareva che preci pitasse, rideva in una maniera brutale. Ha anche strillato, e le é uscita un po' di bava.
Qualche giorno dopo, entrando una sera nella stanza di Porzio, l'ho trovato che parlava al telefono a bassa voce, confidenziale e compreso. Appena ha visto che ero io ad essere entrato ha detto « adesso la lascio, scusi... ». Chi parlava con lui deve aver insist[...]

[...]di Porzio, l'ho trovato che parlava al telefono a bassa voce, confidenziale e compreso. Appena ha visto che ero io ad essere entrato ha detto « adesso la lascio, scusi... ». Chi parlava con lui deve aver insistito per trattenerlo, perché Porzio ha detto .« abbia pazienza, signora, la devo proprio salutare ». Detto « signora » mi ha guardato con timore evidente, forse simultaneo al pentimento di aver pronunziato la parola superflua; poi rapido ha collocato il microfono al suo posto. Io dovevo parlargli dei lavori murari da farsi, ma il sospetto mi ha assalito, e gli ho detto « vieni da me più tardi ».
Sono tornato nella mia stanza. L'atteggiamento di Porzio mi faceva certo che chi parlava al telefono con lui era mia madre, o era Wanda. Ho fatto spazio sul tavolo perché le carte non mi distraessero.
Una tresca di Porzio con Wanda era nell'ordine del possibile, ma mi sembrava poco probabile: Porzio, se scoperto, si sarebbe rovinato; Wanda avrebbe perso cose preziose, difficili per lei a raggiungersi al di fuori di me. Era più probabile ch[...]

[...] COMMISSARIO 127
tasi improvvisamente seria : « Ma senti un po' » ha soggiunto, « perché me l'hai fatta leggere? ».
In una mattina molto limpida, della primavera che ormai era in fiore, non avevo voglia di lavorare, e soffrivo di dover stare in ufficio. M'ero affacciato alla finestra, e guardavo alcuni gatti che giocavano e rischiavano continuamente di essere investiti dalle automobili. Alle undici ha squillato il telefono. Era mia madre.
« Nicola, vai subito a casa tua » ha detto senza convenevoli.
« Perché? » ho risposto assai stupito.
« Vai a casa tua, subito... Avrai una sorpresa ».
« Che ne sai tu, di casa mia ? » ho strillato.
« Devi andare a casa tua, subito » ha ripetuto.
« Ma perché, si può sapere? ».
« Resta col dubbio, se vuoi » ha detto mia madre, ed ha interrotto la comunicazione.
Ho cercato di Porzio per dirgli che mi allontanavo, ma non l'ho trovato. Sono sceso precipitosamente, e sono salito su una camionetta. Ho detto all'agente di correre. Al portone di casa mia l'ho mandato via, e sono corso sù.
Ho aperto la porta di colpo, e ho sentito delle voci sommesse che venivano dal soggiorno. Vi sono entrato, e ho trovato Wanda ed un uomo seduti sul divano, che si abbracciavano. Lei era in sottoveste, lui in camicia. Con lo stesso colpo d'occhio ho visto sul divano anche il vestito di Wanda, a lato dell'uomo.
Wanda ha allibito, lui è balzato in piedi. lo ho cominciato a tremare anche alle labbra; non potevo spiccicare parola, ma sono riuscito a prendere l'uomo per la camicia, e l'ho scosso ripetutamente. Wanda s' alzata ed è scoppiata in pianto. Ho sbattuto l'uomo contro il muro, lo sopravanzavo di tutta la testa, lui aveva gli occhi languidi e non reagiva. II tonfo della sua testa che batteva contro la parete ha fatto disperato il pianto di Wanda. « È Lucio » è riuscita a dire. Poi s'è tirata i capelli. Ho lasciato la pr[...]

[...]FFAELE CRIVARO
spinta. È stato per cadere a faccia avanti sugli scalini, ma ha ripreso equilibrio ed è scappato.
Sono tornato in casa avendo già deciso, nell'attimo in cui Lucio si riprendeva per fuggire, di spezzare a Wanda tutt'e due le braccia. Nel soggiorno una nebbia fitta mi ha offuscato la vista: vedevo Wanda come una lunga macchia scura. L'ho raggiunta. Si era rimessa il vestito e non piangeva piú. L'ho afferrata ai polsi. Lei s'è divincolata, s'è voltata e rapida ha aperto la finestra. Con uno strattone l'ho allontanata, e sono riuscito a chiudere la finestra prima che lei strillasse. Poi mi sono lasciato andare su una sedia. Wanda è corsa nel bagno, e vi si è chiusa. Con la voce roca per la gola secca le ho strillato: « Ti dò un quarto d'ora di tempo per farti la valigia e andartene ». Poi sono uscito.
Con un tassi ho raggiunto l'ufficio. Ne ho guardato le finestre, ma nessuno vi era affacciato. Ho preso la mia macchina e sono andato poco lontano, in una strada solitaria. Mi sono fermato all'ombra di un albero. Il cervello e[...]

[...]e camicie sono stirate male.
Adesso, mi trattengo in ufficio più del solito e cerco di allargare i miei interessi, perché se ne giovi la carriera. Pare che nessuno sia venuto a conoscenza dei miei casi, e questo è assai importante. Con Porzio, corrono i rapporti di sempre; sebbene, una tal quale maggiore rigidità, da parte mia, stia agevolando lo svolgimento del lavoro.
La sera, vado spesso al cinema. Se non esco, mi faccio cocktails di frutta col frullatore, e leggo romanzi gialli. Ho anche comprato un fonografo, e alcuni dischi di canzoni. Ogni tanto li ascolto, mi prende uno struggimento breve e penso a Wanda, che fa all'amore chissà con chi.
RAFFAELE CRIVARO



da Raffaele Crivaro, Avventura di un commissario in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: AVVENTURA DI UN COMMISSARIO
Non è che stessi male in casa mia con mia madre, fino a quattro mesi fa, quando ho dovuto andarmene. Spesso, nel piccolo appartamento di via Lanciani dove adesso vivo solo, la nostalgia mi prende; e insieme a mia madre e alla casa mi torna in mente anche mio padre, che pure é morto tanti anni fa. E l'immagine di lui che mi ritorna é sempre la stessa, e mi porta di tanto indietro nel.tempo: é mio padre che stappa champagne e brinda con gli occhi pieni di lacrime quando io ho appena vinto il concorso per la polizia. (Lui é seduto accanto a me sul divano del salotto, ha riempito le coppe, piange e mi stringe un poco il collo; mia madre è seduta in un angolo, taciturna, e mi guarda; Giuseppina, che si è tolta il g[...]

[...]a nostalgia mi prende; e insieme a mia madre e alla casa mi torna in mente anche mio padre, che pure é morto tanti anni fa. E l'immagine di lui che mi ritorna é sempre la stessa, e mi porta di tanto indietro nel.tempo: é mio padre che stappa champagne e brinda con gli occhi pieni di lacrime quando io ho appena vinto il concorso per la polizia. (Lui é seduto accanto a me sul divano del salotto, ha riempito le coppe, piange e mi stringe un poco il collo; mia madre è seduta in un angolo, taciturna, e mi guarda; Giuseppina, che si è tolta il grembiule e la crestina, è in piedi, é. commossa e non riesce a bere).
Tutto procedeva tranquillamente in casa con mia madre, fra i piatti succulenti che lei mi preparava e i romanzi gialli inglesi che mi compravo, le telefonate ai parenti del povero papà che avrebbero voluto abbracciarmi più spesso, e le serate che passavo nei cinema eleganti, gratis per i biglietti che mi mandavano.
Anche al commissariato dove lavoravo, che è lo stesso nel quale lavoro presentemente, mi trovavo bene; né mi mancavano [...]

[...]mia questo era pacifico: una mattina dei primi di novembre Giuseppina diceva «fa freddo », ed io in camera trovavo la biancheria dell'inverno.
Così, vivevo nell'agitazione: sempre ansiosamente combattuto fra la propensione ad obbedire comunque a mia madre e il proposito fermissimo di salvare la mia vita. Tuttavia, quando mia madre intraprendeva i
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discorsi matrimoniali, riuscivo a districarmi senza contraddirla: col farli cadere con garbo, o col fingere un appuntamento imminente, o una telefonata irrimandabile.
Ma questa diplomazia non mi giovò: mia madre cominciò ad invitare a casa una ragazza ogni settimana.
Si trattava di figlie di amici di famiglia, solitamente di origine meridionale. Erano quasi sempre brutte e senza vita, giacché mia madre aveva tagliato fuori tutte quelle che secondo lei s'erano buttate via. Alcune erano casalinghe protette con ostinazione, alcune altre studiavano all'università; ma la maggior parte era all'inizio di professioni liberali. Queste, si assomigliavano tutte. Se ne incontra sempre qualcuna, negl[...]

[...] ostinazione, alcune altre studiavano all'università; ma la maggior parte era all'inizio di professioni liberali. Queste, si assomigliavano tutte. Se ne incontra sempre qualcuna, negli uffici statali e parastatali. Sono ragazze che appena toccano i vent'anni si mettono su un piede d'ambizione, forti della posizione del padre, che per solito é un alto funzionario o un magistrato. Sono costanti nell'attività e a loro modo battagliere, con cappotti colorati salgono scale di enti, nelle sale d'aspetto si agitano, si spingono nei corridoi in cerca di amici del padre. Hanno impulsi vitali scarsi, e un sesso debole ed evanescente, cui sempre antepongono il lavoro. Vi vedevo di comune con me l'amore della carriera, e ogni tanto vi scoprivo nel fondo la stessa rabbia, piccola ed isterica, che mi sale fino alla bocca quando in ufficio i sottufficiali mi fanno arrabbiare e vorrei spezzare.
La ragazza entrava verso le quattro, entrava subito in salotto e si metteva a parlare a bassa voce con mia madre. Io restavo nello studio, e mi pareva sempre di sentire, nelle parole che dal chiacchiericcio affannato mi arrivavano, una somiglianza fonetica col mio nome, o col mio titolo di « dottore », o con la mia qualifica di « commissario ». Appena Giuseppina aveva portato il té, mia madre mi chiamava e mi faceva sedere accanto alla ragazza. Poi finiva svelta la sua tazza e con un pretesto se ne andava.
Io cercavo argomenti; ma finivo sempre, balbettando un po', col parlare di cinematografo. La ragazza trinciava qualche giudizio su questa o quella attrice; poi passava a parlare del suo lavoro, o a farmi domande sul mio, eventualmente sugli omicidi che avessi risolto. Io dicevo che il mio é un mestieraccio, che dovevo sempre sporcarmi con la gentaccia, e che per di più guadagnavo poco. Poi, se mia madre non tornava presto in salotto, con un pretesto mi rifugiavo nella mia stanza; e in questo caso rivedevo la ragazza un attimo nell'ingresso, per salutarla quando se ne andava. Se invece mia madre tornava prima del tempo minimo che dovevo rispettare, mi tocc[...]

[...]di là e di lasciarmi alzare.
In un pomeriggio nel quale doveva esserci una di queste visite, sono uscito a bella posta un quarto d'ora prima dell'ora stabilita. Mia madre ha mandato Giuseppina a rincorrermi per le scale. Io al pianterreno, dov'ero frattanto arrivato, ho aperto il cancello dell'ascensore e ho infilato di forza Giuseppina nella cabina, senza dire una parola.
Poi un giorno mia madre me ne ha fatto una grossa. Forse vedendo in pericolo la sua autorità, o imminente la mia rivolta, ha fatto venire a Roma zio Alfonso.
Zio Alfonso, fratello di mio padre, vive a Napoli, é scapolo e lavora in un'industria farmaceutica. Passa come la persona più autorevole della famiglia, certo per l'aspetto serio, ma soprattutto perché la sua passione é l'araldica (ha fatto tante ricerche sulla nostra famiglia e ne parla sempre). E affabile e misurato, ma confida troppo spesso ai parenti il suo pentimento di non essersi sposato.
E entrato nella mia stanza con un sorriso commosso e mi ha abbracciato. Poi mi ha detto che era venuto a Roma per al[...]

[...]saluto » ha detto. « Ti dico una cosa soltanto: non dimenticare il tuo nome ».
L'ho accompagnato alla porta. Nel corridoio ha battuto l'ombrello in terra ad ogni passo. Per salutarmi mi ha abbracciato, e mi ha baciato sulle guance. Poi quando è stato sul pianerottolo si è voltato, mi ha puntato l'ombrello sul petto, a farmi male un poco, e m'ha detto « addio, degenere ». Mi ha sorriso a lungo. È andato per le scale lentamente, scarno, asciutto, col soprabito nero a un petto e l'ombrello che teneva a met). dell'asta.
L'ho guardato con affetto. Richiudendo la porta mi sono tornati tanti pomeriggi di festa lontani: mi portavano in giro per le case dei parenti, zio Alfonso era quello che m'incuteva la soggezione maggiore, fumava sempre ed aveva tutte le dita marroni per la nicotina.
Ho respinto ricordo e dolcezza e sono andato in cucina per redarguire mia madre. L'ho trovata che preparava un dolce con Giuseppina.
« Così non può andare, mamma » ho detto. « Adesso non ti bastano più le ragazze, adesso mi cacci in casa anche i parenti».
Mi[...]

[...]pettavano per la strada quando per il turno finiva a mezzanotte. Io annuivo, sorridevo, qualche volta replicavo; era contento che fosse lei a parlare.
Finalmente una sera mi ha detto : « Ancora non mi ha invitato a fare una passeggiata »._
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« Possiamo farla stasera » ho risposto. « A che ora finisce qui? ». « Alle nove ».
« Allora l'aspetto di fuori ».
Ho telefonato a mia madre e le ho detto che avrei cenato fuori con un collega di Bari. « Come si chiama?» ha detto mia madre. Io ho finto di aver capito se avevo le chiavi, e ho detto « sì, le ho in tasca, sta' tranquilla ». Poi ho interrotto la comunicazione.
Mi sono messo a passeggiare per via Po e ho sentito molto freddo. Alle nove Wanda è uscita. Siamo subito saliti in macchina e mi sono diretto verso Ponte Milvio. Passato il ponte ho imboccato la Cassia, poi ho preso una strada che mena alla Flaminia e mi sono fermato in un anfratto. Durante il tragitto siamo stati in silenzio.
Appena ho spento il motore Wanda mi ha abbracciato stretto e mi ha baciato. Io mi[...]

[...]mena alla Flaminia e mi sono fermato in un anfratto. Durante il tragitto siamo stati in silenzio.
Appena ho spento il motore Wanda mi ha abbracciato stretto e mi ha baciato. Io mi sono sentito avvampare in faccia, e ho cercato di ordinare le idee; ma Wanda mi ha costretto contro l'angolo dello schienale e mi ha baciato più forte, addossandomisi tutta e comprimendo con la sua faccia la mia nuca contro il finestrino. Allora l'ho respinta fino a ricollocarla al suo posto, l'ho baciata anch'io con forza e l'ho toccata un po' dappertutto.
Poco dopo siamo andati in una trattoria della Cassia. Mangiando di lena i ravioli grassi, o giocando con le posate, Wanda mi ha detto che si sentiva tanto sola: il padre era morto, la madre s'era messa a vivere con un rigattiere, e lei viveva in una stanza ammobiliata. Adesso poi aveva perso anche il fidanzato, per la rissa. Costui, che si chiamava Lucio, sosteneva che lei s'era accorta di quei toccamenti e aveva lasciato correre. « Ho capito che donna sei » le aveva detto appena erano scesi dal tram, poco[...]

[...]anto sorrideva ironica, e s'era profumata male.
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Quando l'ho accompagnata alla porta le ho detto « ti voglio bene ». Lei mi ha dato un bacio lascivo, e ha detto « non. ci credo ».
Nei giorni che sono seguiti l'ho vista con regolarità, e negli stessi giorni ho ricevuto una delle solite visite. La ragazza era leggermente zoppa e assai loquace. (Mia madre la mattina mi aveva detto: « Ha avuto la paralisi infantile ed ha un piccolo difetto, ma è carina »).
Siccome cominciavo a sentire Wanda anche affettuosa, una mattina, facendo colazione, ho deciso di invitarla a casa, questa volta per offrirle una tazza di té in salotto con tutte le regole. Ho subito chiamato mia madre, e l'ho avvertita. Lei ha capito che si trattava di una donna che non mi sarebbe stato leggero presentarle, e anche che ne ero preso; mi ha detto: « Non disperderti, guarda che i cinquant'anni sono alle porte ».
Quando Wanda ha suonato_ Giuseppina é andata ad aprire, e l'ha fatta aspettare nell'ingresso. Io avevo il respiro affannato e tremavo, già da mezz'ora. Mia madre é andata subito, e mi ha gridato: « Nicola, c'è la tua camiciaia, o qualcosa del ge[...]

[...]regole. Ho subito chiamato mia madre, e l'ho avvertita. Lei ha capito che si trattava di una donna che non mi sarebbe stato leggero presentarle, e anche che ne ero preso; mi ha detto: « Non disperderti, guarda che i cinquant'anni sono alle porte ».
Quando Wanda ha suonato_ Giuseppina é andata ad aprire, e l'ha fatta aspettare nell'ingresso. Io avevo il respiro affannato e tremavo, già da mezz'ora. Mia madre é andata subito, e mi ha gridato: « Nicola, c'è la tua camiciaia, o qualcosa del genere ». Wanda é scappata via. Io sono andato per le scale a chiamarla, ma lei non mi ha risposto. Allora per la prima volta nella mia vita ho ingiuriato mia madre. Le vene del collo mi si sono gonfiate, le parole grosse mi sono fluite in gran numero, anche una parola oscena mi é uscita. Mia madre ha pianto, e mi é sembrata pentita. Ma ad un tratto é corsa al telefono, e ha chiesto un'« urgentissima » con Napoli per parlare con zio Alfonso. Io le ho strappato di mano il microfono, e l'ho sbattuto in terra proprio mentre lo zio rispondeva; dal pavimento losentivo che. strillava « pronto ». Poi ho pestato con rabbia il microfono che s'è frantumato, e la voce dello zio ha taciuto. Mia madre s'è messa a piangere più forte. Giuseppina é arrivata con la valeriana e s'è messa [...]

[...]rtone ho capito che non avrei potuto continuare a vivere in quel modo. Sono tornato a casa. Mia madre era distesa su un divano. Le ho detto subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar.
AVVENTURA DI UN COMMISSARIO 119
Poco dopo l'ho vista arrivare, col passo stanco e un vestito più corto. Non aveva l'aria di disappunto che mi aspettavo. Mi ha detto che era rimasta male, ma sorridendo, come se parlasse di un'altra. Le ho fatto le mie scuse. « Tu non c'entri » ha detto lei, « tua madre vuole che tu frequenti le signore... e poi deve avermi giudicata male ». Io le ho detto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
Dall'ufficio ho telefonato ad un albergo secondario del centro ed ho prenotato una stanza. Poi ho mandato un agente a casa a prendere la mia roba. Gli[...]

[...]il lavoro, il pianto le si è fatto dirotto. Mi ha abbracciato a lungo appoggiandomisi, mi ha bagnato tutta la faccia e mi ha appannato gli occhiali.
Mi sentivo adesso più libero e pieno, più affondato nella vita; mi pareva di esistere come una persona nuova. Quando la mattina mi alzavo Wanda dormiva ancora, Giuseppina era lontana ed io dovevo badarmi da me. Mi alzavo in una maniera svelta, quasi sportiva. Durante la toilette non pensavo; i particolari impiccianti del corso della vita non mi pungevano piú. Anche le parole che dicevo erano diverse, come se avessi buttato via tutto il vecchio repertorio. In ufficio ero allegro, e tutto dell'ambiente mi pareva accettabile: i mobili vecchi e scalfiti, la luce blanda e triste che filtrava attraverso i vetri opachi delle finestre, l'odore delle pratiche e dell'inchiostro per timbri. Analizzavo poco le cose, mettevo meno veleno nel comando, comprendevo di piú.
Ogni giorno, adesso, telefonavo a mia madre. Lei si limitava a chiedermi notizie sulla salute, e a domandarmi se il riscaldamento, dove[...]

[...]novità, che per solito riguardava i parenti: sua cugina s'era aggravata, zio Alfonso era stato fatto commendatore. Per la sicurezza che le traspariva dalla vo
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ce, e per l'astensione da qualsiasi tentativo di carpirmi l'indirizzo, mi pareva che stesse ordendo fiduciosa una qualche insidia per riavermi. Ma non me ne curavo.
La sera, adesso, dall'ufficio uscivo un po' prima. A casa trovavo Wanda che mi aspettava ascoltando canzonette alla radio, tenuta a pieno volume. Mi cambiavo, poi uscivo con lei. Andavamo al cinema, o a passeggio per il centro, o a comprare biancheria. Al cinema. Wanda mi spingeva sempre verso il fondo della sala. Mi abbracciava, ma nei momenti salienti del film ritornava composta. Mentre camminavamo per le strade del centro mi tratteneva davanti alle vetrine dei negozi, era allegra e m'indicava ad alta voce gli oggetti esposti. Molti la notavano, e spesso mi arrivavano parole salaci.
Un giorno mi ha chiesto di portarla a ballare. Io le ho detto di no, ma lei mi ha pregato. Allora ho [...]

[...]n tango.
Com'era diversa dalle ragazze che mía madre mi cacciava in casa! Si dondolava sulle sedie, si grattava dappertutto senza pudore, al telefono strillava. Mangiando sbatteva le labbra; un giorno le ho detto « fa' piano, mi sembri un cane », e lei ha riso.
Una volta mi ha detto che era nata alla Garbatella. Quando aveva dodici anni lavava le teste da un parrucchiere del Corso, e aveva imparato a fatica le strade del centro, in ispecie i vicoli la confondevano. Mi ha detto anche che allora c'erano gli Americani, e il Corso sembrava un campo di battaglia. Una sera un negro le aveva tirato le trecce con forza, aveva aspettato che piangesse ed era scappato. Il padre e la madre in quel periodo non si curavano affatto di lei. Il padre era disoccupato, e vendeva pane e sigarette al mercato nero di Tor di Nona; la madre procurava ragazze ai soldati stranieri, e trafficava nelle cucine dei campi militari. Sicché lei la sera si comprava qualche cosa e mangiava sola. Poi cadeva sul letto, abbattuta dalla stanchezza. La mattina, quando si alz[...]

[...]dalla stanchezza. La mattina, quando si alzava, il padre e la madre erano usciti; qualche volta non li vedeva per una settimana.
Spesso ci aiutavamo a farci la doccia, e lei mi vezzeggiava. Dopo di avermi asciugato mi cospargeva tutto il corpo di talco; « come ai bam
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bini » diceva. Quando non uscivamo, la sera mi sdraiavo sul divano del soggiorno, lei attendeva alla cucina o rassettava la stanza da letto (era molto meticolosa nel pulire e lucidare). Ogni tanto veniva a sedermi accanto, e qualche volta mi parlava di Lucio, il fidanzato (che era ormai a piede libero), del bene che gli aveva voluto. Aveva saputo dal garzone del bar Corallo che lui la cercava per tutta la città. « E un mascalzone » diceva, « ma mi fa pena ». Io le facevo domande: dove andavano a fare l'amore, con che frequenza lo facevano, se andavano spesso al cinema, e a ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amore lo facevano in campagna la sera, se non faceva troppo freddo, oppure che ai films e al ballo Lucio preferiva le [...]

[...] ballare. Lei qualche volta mi rispondeva, per esempio che l'amore lo facevano in campagna la sera, se non faceva troppo freddo, oppure che ai films e al ballo Lucio preferiva le pizze; ma talaltra volta mi guardava storto, chiaramente indignata per quella curiosità. Che non era, malsana, giacché quelle domande erano mosse da un sentimento di affetto, ed erano dirette ad inquadrarla, a capirla meglio.
Una volta prese lei l'iniziativa: come per scolpare Lucio, mi disse che non era stato lui a cominciarla all'amore; la scusassi, la sera della nostra prima uscita mi aveva detto una bugia. Era stato invece un capitano francese, quando lei aveva tredici anni e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi da[...]

[...] Era stato invece un capitano francese, quando lei aveva tredici anni e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi dal passato mio. Ne risultava una grande libertà: sempre di più si dileguava la paura di vivere. Non avevo più il gusto affannato di scandagliare le miserie delle donne, come quando dovevo accontentarmi di conoscerle nell'intuizione, in virtù degl'interrogatorî fatti a quelle che incappavano nel mio mestiere; non era più necessario che io fantasticassi sulla rovina di donne e di uomini, e me ne alimentassi per rabbonirmi. Adesso i racconti sereni che Wanda mi faceva, di stenti e di brutture, mi cancellavano ogni residuo di una giovinezza solitaria, e mi rendevano l'ansia passata accettabi[...]

[...]mi di questa vita; ed anche Wanda. Due mesi dopo l'inizio della convivenza, lei mi pareva parecchio mutata : aveva migliorato nell'educazione, nell'abbigliamento, s'era raffinata nel corpo, nel passo. Mi si sottometteva volentieri, e non c'erano screzi fra noi.
Ma abbiamo litigato una sera che Porzio è venuto a casa (avevo dovuto comunicare in ufficio il mio nuovo indirizzo). Era il giorno del mio compleanno, i miei dipendenti avevano fatto una colletta e mi avevano comprato un frullatore di frutta. Porzio era stato incaricato di consegnarmelo.
Quando ha bussato, sono andato io ad aprire la porta. Wanda era nell'ingresso. Porzio, che aveva in mano la grossa scatola che conteneva il frullatore, l'ha guardata fisso, e un grande stupore gli ha alterato la faccia. L'ho fatto entrare nel soggiorno, e sedere.
Mi ha detto subito che quelli del commissariato, in occasione del mio compleanno, s'erano permessi di offrirmi un modesto segno di stima; eccetera. Ha fatto per aprire lo scatolone; ma è venuta Wanda, ha salutato Porzio, che si è alzat[...]

[...]o il discorso ad una conclusione, e l'ho congedato.
Subito dopo avergli chiuso dietro la porta, ho schiaffeggiato Wanda con violenza. Lei s'è riparata la faccia, e ha negato di aver voluto mostrare alcunché. « Troia » le ho detto. « Sarai sempre una troia ». Lei si è messa a piangere. Ho guardato le lacrime che le percorrevano la faccia, ho alzato di più la voce e l'ho ingiuriata ancora. Poi un pensiero preciso mi ha attraversato il cervello: « Col maresciallo... » ho detto, e le ho tirato un altro schiaffo. Lei ha minacciato di lasciarmi; ma poi s'è messa
124 RAFVAELE CRNARO
a piangere più forte, e mi ha chiesto perdono. Io ho taciuto. Lei mi è venuta vicino e mi ha voluto in fretta, sul divano.
Dopo l'amore mi ha supplicato di portarla fuori. « Andiamo al luna park, fammi questo favore... Ci sono tutti quei biglietti » ha piagnucolato. (Aveva visto il giorno prima dei buoni che mi avevano mandato in omaggio, per giostre ed autopiste).
Al luna park, ha voluto innanzi tutto sparare al tiro a segno. Poi sia mo andati sulle montagne russe. Quando il vagoncino pareva che preci pitasse, rideva in una maniera brutale. Ha anche strillato, e le é uscita un po' di bava.
Qualche giorno dopo, entrando una sera nella stanza di Porzio, l'ho trovato che parlava al telefono a bassa voce, confidenziale e compreso. Appena ha visto che ero io ad essere entrato ha detto « adesso la lascio, scusi... ». Chi parlava con lui deve aver insist[...]

[...]di Porzio, l'ho trovato che parlava al telefono a bassa voce, confidenziale e compreso. Appena ha visto che ero io ad essere entrato ha detto « adesso la lascio, scusi... ». Chi parlava con lui deve aver insistito per trattenerlo, perché Porzio ha detto .« abbia pazienza, signora, la devo proprio salutare ». Detto « signora » mi ha guardato con timore evidente, forse simultaneo al pentimento di aver pronunziato la parola superflua; poi rapido ha collocato il microfono al suo posto. Io dovevo parlargli dei lavori murari da farsi, ma il sospetto mi ha assalito, e gli ho detto « vieni da me più tardi ».
Sono tornato nella mia stanza. L'atteggiamento di Porzio mi faceva certo che chi parlava al telefono con lui era mia madre, o era Wanda. Ho fatto spazio sul tavolo perché le carte non mi distraessero.
Una tresca di Porzio con Wanda era nell'ordine del possibile, ma mi sembrava poco probabile: Porzio, se scoperto, si sarebbe rovinato; Wanda avrebbe perso cose preziose, difficili per lei a raggiungersi al di fuori di me. Era più probabile ch[...]

[...] COMMISSARIO 127
tasi improvvisamente seria : « Ma senti un po' » ha soggiunto, « perché me l'hai fatta leggere? ».
In una mattina molto limpida, della primavera che ormai era in fiore, non avevo voglia di lavorare, e soffrivo di dover stare in ufficio. M'ero affacciato alla finestra, e guardavo alcuni gatti che giocavano e rischiavano continuamente di essere investiti dalle automobili. Alle undici ha squillato il telefono. Era mia madre.
« Nicola, vai subito a casa tua » ha detto senza convenevoli.
« Perché? » ho risposto assai stupito.
« Vai a casa tua, subito... Avrai una sorpresa ».
« Che ne sai tu, di casa mia ? » ho strillato.
« Devi andare a casa tua, subito » ha ripetuto.
« Ma perché, si può sapere? ».
« Resta col dubbio, se vuoi » ha detto mia madre, ed ha interrotto la comunicazione.
Ho cercato di Porzio per dirgli che mi allontanavo, ma non l'ho trovato. Sono sceso precipitosamente, e sono salito su una camionetta. Ho detto all'agente di correre. Al portone di casa mia l'ho mandato via, e sono corso sù.
Ho aperto la porta di colpo, e ho sentito delle voci sommesse che venivano dal soggiorno. Vi sono entrato, e ho trovato Wanda ed un uomo seduti sul divano, che si abbracciavano. Lei era in sottoveste, lui in camicia. Con lo stesso colpo d'occhio ho visto sul divano anche il vestito di Wanda, a lato dell'uomo.
Wanda ha allibito, lui è balzato in piedi. lo ho cominciato a tremare anche alle labbra; non potevo spiccicare parola, ma sono riuscito a prendere l'uomo per la camicia, e l'ho scosso ripetutamente. Wanda s' alzata ed è scoppiata in pianto. Ho sbattuto l'uomo contro il muro, lo sopravanzavo di tutta la testa, lui aveva gli occhi languidi e non reagiva. II tonfo della sua testa che batteva contro la parete ha fatto disperato il pianto di Wanda. « È Lucio » è riuscita a dire. Poi s'è tirata i capelli. Ho lasciato la pr[...]

[...]FFAELE CRIVARO
spinta. È stato per cadere a faccia avanti sugli scalini, ma ha ripreso equilibrio ed è scappato.
Sono tornato in casa avendo già deciso, nell'attimo in cui Lucio si riprendeva per fuggire, di spezzare a Wanda tutt'e due le braccia. Nel soggiorno una nebbia fitta mi ha offuscato la vista: vedevo Wanda come una lunga macchia scura. L'ho raggiunta. Si era rimessa il vestito e non piangeva piú. L'ho afferrata ai polsi. Lei s'è divincolata, s'è voltata e rapida ha aperto la finestra. Con uno strattone l'ho allontanata, e sono riuscito a chiudere la finestra prima che lei strillasse. Poi mi sono lasciato andare su una sedia. Wanda è corsa nel bagno, e vi si è chiusa. Con la voce roca per la gola secca le ho strillato: « Ti dò un quarto d'ora di tempo per farti la valigia e andartene ». Poi sono uscito.
Con un tassi ho raggiunto l'ufficio. Ne ho guardato le finestre, ma nessuno vi era affacciato. Ho preso la mia macchina e sono andato poco lontano, in una strada solitaria. Mi sono fermato all'ombra di un albero. Il cervello e[...]

[...]e camicie sono stirate male.
Adesso, mi trattengo in ufficio più del solito e cerco di allargare i miei interessi, perché se ne giovi la carriera. Pare che nessuno sia venuto a conoscenza dei miei casi, e questo è assai importante. Con Porzio, corrono i rapporti di sempre; sebbene, una tal quale maggiore rigidità, da parte mia, stia agevolando lo svolgimento del lavoro.
La sera, vado spesso al cinema. Se non esco, mi faccio cocktails di frutta col frullatore, e leggo romanzi gialli. Ho anche comprato un fonografo, e alcuni dischi di canzoni. Ogni tanto li ascolto, mi prende uno struggimento breve e penso a Wanda, che fa all'amore chissà con chi.
RAFFAELE CRIVARO



da Maria Teresa Mandalari, Confini tempo esistenza in Ingeborg Bachmann in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]folta di poco meno che un centinaio di liriche, della scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann (19261973), non si può non notare quanto essa pur così esile contrassegni fin dal principio (l’autrice ha esordito con due volumetti di liriche) tutta quanta la sua personalità, la coinvolga e, per così dire, la definisca indelebilmente, nella sua problematica e tematica di fondo. Quantunque oggi ed è stata, mi pare, questa l’intenzione emersa in particolare al Convegno internazionale a lei dedicato l’ottobre scorso a Roma collegialmente dallTstituto austriaco di cultura, lTstituto di studi germanici e il GoetheInstitut, in occasione del decennale della scomparsa quantunque, dicevo, si cerchi di sfaccettare gli aspetti della sua personalità artistica con un esame approfondito della narrativa ultima, mi sembra sia inevitabile riconoscere quanto la critica aveva fin dall’inizio individuato in questa scrittrice, e cioè un temperamento essenzialmente « lirico » con connotazione intellettualistica, permeato da studi filosofici e sostenuto da una capacità speculativa, oltre che emozionale, non comune.

Sicché oggi, co[...]

[...]si e interdipendenti tra loro, diverso è l’atteggiamento della scrittrice nei loro confronti: di ricerca, di rispetto indagante e adorante fino a sfiorare il misticismo di fronte alCONFINI TEMPO ESISTENZA IN INGEBORG BACHMANN

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linguaggio (definito già nel primo volumetto, nel Monologo del principe Myskin, come « quella nuvola / che dal cielo cadde e dentro di noi affondò », che tanto da vicino richiama « das gottliche Fùnkchen », la piccola scintilla divina di Meister Eckhart affondata dentro di noi!); di aspra e mai stanca contesa, invece, di fronte al tempo. Ora, la grande combattività di cui ha dato prova, nella sua scrittura, la Bachmann e di cui si veste e si caratterizza fin dagli esordi la sua personalità, si appunta attraverso il linguaggio proprio sul tempo.

Nella Germania occidentale, dopo il ’45, il problema del linguaggio è stato

come ben si sa alla base della ripresa letterarioartistica postbellica, all’insegna del Kahlschlag. La scottante ‘ realtà’ tedesca, ma soprattutto le tassative disposizioni degli Al[...]

[...] privo d’una capitale culturale. Da qualche anno, promotore il « Literaturmagazin » (Rowohlt, 1977), è in atto una revisione disincantata della letteratura di quel periodo: essa ha fatto cadere molte esaltazioni, ridimensionando la validità di nomi ed opere, derivate, approvate e spesso premiate dal Gruppo 47. La situazione letteraria dell’epoca salvo qualche eccezione era ancorata a riprese di vecchi moduli rispolverati, alla evasività di svincolati magismi metaforici, a lemuriche e rassegnate campane a morto, oppure a laconici ‘ inventari ’ del rimasto, in una evanescente genericità rivolta anzitutto a ricerche formalisticosperimentali. Si delineava la tendenza, divenuta poi onnivora, all’alienazione e all’incomunicabilità, favorita dagli equivoci della situazione sociopolitica. È quindi spiegabile la grande sorpresa quando dalla piattaforma di lettura del Gruppo 47 a Magonza, fu udita nel ’53 la voce perentoria e indignata di una ragazza di 27 anni proveniente da una estrema provincia orientale di lingua tedesca: i riflettori che di[...]

[...]zitutto a ricerche formalisticosperimentali. Si delineava la tendenza, divenuta poi onnivora, all’alienazione e all’incomunicabilità, favorita dagli equivoci della situazione sociopolitica. È quindi spiegabile la grande sorpresa quando dalla piattaforma di lettura del Gruppo 47 a Magonza, fu udita nel ’53 la voce perentoria e indignata di una ragazza di 27 anni proveniente da una estrema provincia orientale di lingua tedesca: i riflettori che di colpo si accesero, non lasciarono più la poetessa di Klagenfurt. E aveva inizio, per Ingeborg Bachmann, il combattimento col suo tempo.

Tempo di mercato e di esibizionismo, tempo di mercificazione e di mistificazione, tempo infine di brutale competizione dentro un preciso ‘ sistema ’: lei lo sapeva bene. Tempo di « Gaunersprache », di linguaggio cialtronesco (un’espressione coniata da lei, come ha osservato Hans Bender); tempo in cui la letteratura è « una borsavalori » (come lei dichiarerà qualche anno dopo pubblicamente e avrà nella penna il ben noto verso che scriverà poi negli anni Sessanta: « Col mio assassino, il Tempo, io sono sola »). Qui, è ovvio, non si tratta tanto del tempo biologico quanto piuttosto[...]

[...]di esibizionismo, tempo di mercificazione e di mistificazione, tempo infine di brutale competizione dentro un preciso ‘ sistema ’: lei lo sapeva bene. Tempo di « Gaunersprache », di linguaggio cialtronesco (un’espressione coniata da lei, come ha osservato Hans Bender); tempo in cui la letteratura è « una borsavalori » (come lei dichiarerà qualche anno dopo pubblicamente e avrà nella penna il ben noto verso che scriverà poi negli anni Sessanta: « Col mio assassino, il Tempo, io sono sola »). Qui, è ovvio, non si tratta tanto del tempo biologico quanto piuttosto del tempo epocale ch’è il suo, e del tempo cosmico cui spesso farà appello; e infine del tempostoria, che lei paventa, che esita ad affrontare soprattutto nel passato prossimo e che rifiuta con amara indignazione globalmente (« La nostra / divinità, la Storia, ci ha riservato un sepolcro / da cui non vi è risurrezione »: così nella lirica Messaggio).

È importante a questo punto, io credo, vagliare bene le varie prospettive temporali della Bachmann, la cui lirica è addirittura in[...]

[...]storia ristretto alla veste epocale che fa spavento e orrore, che insieme attrae e respinge la Bachmann e contro cui fin dagli inizi si rivolta, si inalbera, protesta. Nella incertezza buia e nel sofferto rovello di tale visione ontologicotemporale sta forse racchiusa la principale motivazione dell’esordio sorprendente, con sapore di novità e originalità, di Ingeborg Bachmann: in un ambiente ove tra lo squisitamente letterario e lo snobistico si coltivavano, in prevalenza, esiti di semplice ‘ facciata ’ e di rivalsa da (pur comprensibili) frustrazioni, qual è quello del Gruppo 47.

Nel recensire l’edizione italiana uscita nel 1978 di gran parte delle poesie bachmanniane (in « Quaderni Piacentini », n. 72/73, 1979), Alfonso Berardinelli, dopo aver deplorato che essa sia passata « quasi inosservata, senza rumore eCONFINI TEMPO ESISTENZA IN INGEBORG BACHMANN

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scalpore », scrive quanto segue: « Che una poesia come quella della Bachmann ci passi accanto inavvertitamente, non smuova acque né sollevi polvere, aggirandosi tra noi con[...]

[...]lassiche agganciate a epoche letterarie ben definite e sicure e ad una tradizione a lei congeniale, oltre che nelPurto tra intelletto ed emotività, ha radice anche in tale perenne altalenare e lievitare di quei diversi elementi, con esiti differenti, ma spesso molto alti.

Dice ancora Berardinelli, che in lei « poesia e storia non si oppongono polemicamente, non si fronteggiano né si riconciliano. La loro estraneità è radicale ». Mi sembra qui còlta la qualità del rapporto bachmanniano tra se stessa e la storia, o meglio il tempostoria in genere, il quale aggiunge Berardinelli è in lei « una piaga aperta cui nessuna scelta ideologica riesce a rimediare ». Ora, è chiaro che il poeta, come lo scrittore in genere, opera sempre dentro una situazione storica, che gli riesce di esorcizzare più o meno tramite una istanza verticale, quella della propria potenza e consistenza fantasticocreativa; altra cosa è, tuttavia, se il poeta, o lo scrittore, abbia per suo conto risolto intellettivamente il problema del passato storico, ch’è poi tutt’uno[...]

[...]simi (fino alla definitiva residenza a Roma) nei paesi mediterranei sono argomento di molte liriche; di volta in volta, soggiornirifugio o soggiorni in cerca del sogno...

I principali motivi bachmanniani ricorrenti dell’utopia sono la « notte » come luogo della negatività del mondo, il passaggio dalla notte al « giorno » come luogo della ‘ svolta ’ (die Wende) dalla negatività al « sogno », e finalmente l’insistente comparire del « Blau », il colore azzurro, tipico dell’illimitato, dell’infinito e quindi del sogno utopico (esiste addirittura una lirica intitolata Die blaue Stunde, nel secondo volumetto). Nota ancora Mechtenberg che il motivo della « notte » (di tradizione prettamente romantica) non è mai usato dalla Bachmann come semplice 4 immagine ’, « bensì implica in collegamento col sogno l’intero campo di tensione tra negatività e utopia. Il che ancora una volta conferma che la sensibilità utopica di I. Bachmann rimane legata alla esperienza della negatività del mondo. Questa stessa rappresenta un’esperienza basilare del ‘ nichilismo europeo ’, entro il cui àmbito deve considerarsi la poesia di I. Bachmann» (p. 119).

Qui c’è da osservare che l’affermazione dell’appartenenza al 4 nichilismo europeo ’ sarebbe comunque da approfondire e verificare ulteriormente, sebbene esso risulti ampiamente rappresentato nell’area asburgicomitteleuropea cui la Bachmann appartiene e [...]

[...]che l’affermazione dell’appartenenza al 4 nichilismo europeo ’ sarebbe comunque da approfondire e verificare ulteriormente, sebbene esso risulti ampiamente rappresentato nell’area asburgicomitteleuropea cui la Bachmann appartiene e cui, specie nella narrativa, dimostrerà di essere molto legata. Inoltre, Mechtenberg trascura il fatto che il carattere dell’utopia in Bloch racchiude una forte carica storica positiva, che non può certo accordarsi né col pessimismo esistenziale della Bachmann né con la sua come si è visto

riluttanza sostanziale ad una visione storica positiva. Piuttosto, le indagini di Mechtenberg aiutano non solo a illuminare meglio l’esistenza (anche debole) di una spinta utopica nella concezione del tempo da parte della Bachmann, ma sottolineano altresì l’indubbia tendenza ad una 4 fuga nel futuro ’, che a me sembra direttamente proporzionale alla sua tendenza di ‘ fuga dal passato ’ (in quanto storia e quindi memoria) con l’insistente metafora della « notte », cioè di una catastrofe da lasciare oscura alle spalle. Ec[...]

[...] occhi rivolti alla catasta di macerie, nella nona Tesi: ma quell’angelo ha le ali gonfie di futuro, di un futuro che spira dal paradiso, mentre qui poco più in là la Bachmann dichiara apertamente di volersi separare, distaccare dal tempostoria, che rinnega (« sag ich mich los / von der Zeit »).

L’impressione del ritrovamento del limes è, però, di « ebbrezza »: ebbrezza di appartenere a un antico paese di confine, consacrato tante volte nei secoli come baluardo di civiltà, ma anche orgoglio di trovarsi al posto cui aspira, che le compete, ad un ‘ confine ’ importante, non solo storicogeografico, un ‘ confine ’ che la responsabilizza personalmente. Di lei è stato detto da più parti (si veda anche Christa Wolf, nel saggio dedicatole in Lesen und Schreiben, Berlin 1971) che occupa « una posizione di frontiera », con riferimento al suo ‘ gesto ’ di impegno morale e civile. Ma qui emerge chiaramente anche un lato emozionale (da quel momento iniziale in continuo sviluppo) che, per ribaltamento conseguente, evidenzia una sensazione di * cesu[...]

[...]in cui la Bachmann a partire appunto dagli anni Sessanta ha indubbiamenteCONFINI TEMPO ESISTENZA IN INGEBORG BACHMANN

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riversato tutti gli atteggiamenti e i nodi esistenziali della produzione liricopoetica (per cui mi sembra improprio ciò che si è tentato nel Convegno commemorativo di Roma di cui si è detto all’inizio, che si possa parlare cioè di una Bachmann epica). Qui si può solo farne cenno di passata. Se infatti i racconti usciti col titolo II trentesimo anno (1961) appaiono come un vero e proprio prolungamento della produzione lirica, il cui culmine è rappresentato dall’ultimo Undine se ne va, grido di vibrante protesta dell’io femminile, gli anni Sessanta si può dire rappresentino quasi un vuoto di scrittura (o almeno di pubblicazioni) per la Bachmann: se si eccettuano le sparse liriche ’64’67, che seguono quelle ’57’61 tra cui è la già citata lirica Corrente nel cui ultimo verso, a proposito del tempo assassino, è annunciato un avvoltolarsi in se stessa insieme col suo tempo (« Ebbrezza e azzurro ci imbozzolano insieme[...]

[...]ione lirica, il cui culmine è rappresentato dall’ultimo Undine se ne va, grido di vibrante protesta dell’io femminile, gli anni Sessanta si può dire rappresentino quasi un vuoto di scrittura (o almeno di pubblicazioni) per la Bachmann: se si eccettuano le sparse liriche ’64’67, che seguono quelle ’57’61 tra cui è la già citata lirica Corrente nel cui ultimo verso, a proposito del tempo assassino, è annunciato un avvoltolarsi in se stessa insieme col suo tempo (« Ebbrezza e azzurro ci imbozzolano insieme »). Le sparse liriche degli anni Sessanta nella loro secchezza o elaborazione letteraria sono segnate da definitiva sfiducia e progressivo silenzio emotivo (la lirica Enigma conclude: « Sonst/sagt/niemand/etwas »). Nel 1971 esce Malina, il primo e l’unico romanzo compiuto del ciclo Todesarten; ma precedono nella composizione (quantunque usciti nel 1972) i racconti Tre sentieri per il lago: cinque episodi, o meglio esemplificazioni, di solitudine femminile e progrediente vuoto emozionale che, pur nella loro concretezza, possono definirsi ‘[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Col, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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