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tipologia: Analitici; Id: 1543348


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Massimo Robersi, Patto islamico: una sfida imperialista ai popoli arabi [sopratitolo: I "pellegrinaggi diplomatici" del monarca saudita all'insegna dell'attacco contro le forze del progresso]
Responsabilità
Massimo Robersi+++
  • Valabrega, Guido
  autore+++    
Rubrica od altra struttura ricorsiva
Politica internazionale [Rinascita] {Politica internazionale [Rinascita]}+++  
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
I "pellegrinaggi diplomatici" del monarca saudita all'insegna dell'attacco contro le forze del progresso
Palto isicunco
una s imperia .is a
ai popoli arabi
In occasione della visita in Turchia, durante la prima settimana di settembre, di re Feisal dell'Arabia Saudita — il patrocinatore del cosiddetto Patto islamico — così scriveva il commentatore politico del quotidiano indipendente di Istanbul Aksam: « Se la Turchia aderirà al Patto islamico, anche in maniera poco impegnativa, la sua politica estera entrerà in un vicolo chiuso. Non vi sarà più alcuno sbocco, nè possibilità di collaborazione con i paesi dell'Est e del Terzo mondo. Ma il pericolo fondamentale per la Turchia sarà quello di vedere la religione islamica giocare una funzione dinamica nella politica internazionale: ciò procurerebbe nuove occasioni d'azione per coloro che sono inclini a sfruttare i sentimenti religiosi. Invero tutto questo può non essere altro che un incubo; tuttavia certi indizi ci spingono a suonare l'allarme con tutte le nostre forze: grandi evoluzioni si sono registrate nell'ultimo anno nel Medio Oriente, le posizioni degli sceicchi si sono irrigidite e di fronte allo scacco del Patto di Bagdad ed agli insuccessi della CENTO, gli anglo-sassoni stanno ricercando nuove combinazioni con le monarchie rappresentate da quegli sceicchi ».
La citazione è un po' lunga, ma pure il giudizio risulta tanto esplicito e significativo che meritava d'essere sottolineato: anche una fonte non sospetta di tendenze di sinistra come il giornale turco (ed altri commenti non meno pungenti di altri autorevoli organi di stampa potrebbero essere ,egnalati) ha ritenuto doveroso cogliere lo spunto dall'arrivo del sovrano saudita per mettere in guardia tanto per ciò che concerne il peggioramento complessivo dell'atmosfera nel settore, quanto sulla specifica pericolosità dell'iniziativa con tenacia portata avanti da quel monarca praticamente dall'inizio del 1966.
Per la cronaca, Feisal se ne è poi ripartito avendo ottenuto, nel comunicato ufficiale emesso al termine delle conversazioni, un esplicito, anche se generico e variamente interpretabile riferimento « ai precetti della religione islamica che possono contribuire efficacemente al rafforzamento della comprensione reciproca e delle relazioni fraterne tra i paesi musulmani ». Il che in concreto vuol dire che un nuovo passo è stato compiuto per riuscire a agganciare e riagganciare alla linea della NATO o, più puntualmente, agli orientamenti anglo-americani, alcuni paesi dell'area mediorientale.
Di conseguenza, proprio per chiarire meglio il significato dell'operazione in corso, perchè risultino evidenti i contrasti di fondo e le lotte che stanno sviluppandosi, non pare inutile ricordare che cosa abbia rappresentato per il mondo islamico la crisi provocata circa dieci anni fa dalla istituzione del Patto di Bagdad che tanto di frequente viene richiamato alla memoria in questi giorni.
Secondo i più attenti studiasi di questio-
ni arabe, gli anni 1954-55 vale a dire
il periodo in cui la polemica pro o contro i patti di « difesa regionale » promossi dall'Occidente fu più aspra - costituirono un momento cruciale, di scelte decisive. In pratica, mentre in Asia e in Africa il movimento anticoloniale andava acquistando forza e consapevolezza, Gran Bretagna e Stati Uniti tentarono, per mezzo delle pressioni politiche e dei ricatti economici ed in stretta collaborazione con i gruppi di governo più reazionari e più timorosi di perdere i loro privilegi, di impiantare un sistema di alleanze-capestro che costituis se una cintura di « sicurezza » tanto verso i paesi socialisti, quanto verso i popoli delle colonie in fermento. Nel Medio Oriente tale progetto si concretizzò nell'alleanza « difensiva » tra Irak, Turchia, Iran, Pakistan e Gran Bretagna (con gli americani dietro le quinte) : il Patto di Bagdad, appunto. Troppo complesso sarebbe esaminare i motivi specifici che spinsero ciascuno di questi Stati all'adesione: vale la pena di dire che essa fu però avversata violentemente dalle masse popolari, che lo Scià dell'Iran, ad esempio, si affrettò a sottoscriverla perchè appena uscito dal tentativo di democrazia avanzata di Mossadegh, che in Irak la monarchia era traballante (cadde infatti nel 1958), che in Giordania, re Hussein, per la pressione popolare dovette rinunciare al proposito di inserire il suo paese nella combinazione.
Tuttavia questa rapida rievocazione delle vicissitudini del Patto di Bagdad, che doveva melanconicamente trasformarsi nel semimorto patto della CENTO, non intende per nulla essere una sorta di meccanico auspicio o previsione circa il futuro del patto islamico in gestazione. La storia, in questo caso almeno, si guarda bene dal ripetersi o dal ripercorrere cammini conosciuti; tra l'altro sono venuti maturando negli ultimi tempi fenomeni che imporranno inevitabilmente alle forze progressiste arabe non poche revisioni di strategia e di tattica.
D'altro canto esiste un retroscena storico che va tenuto presente per meglio valutare gli orientamenti e le prese di posizione dei nostri giorni, per comprendere i timori, le asprezze, l'amarezza, la decisione che traspaiono dalla stampa e dalle pubbliche dichiarazioni di . dirigenti arabi: il deteriorarsi della situazione mon-
diale si riflette a chiare tinte nel Medio Oriente, nella zona non regna la pace e• a questo incupirsi dell'orizzonte non possono non far riscontro appelli alla vigilanza e misure adeguate. Così, commentando le recenti sentenze del Cairo contro i membri dell'organizzazione clericale e terroristica della « Fratellanza musulmana », il giornale egiziano al-Massa ha inquadrato in questo modo la situazione: « Non c'è bisogno di fare molti sforzi per stabilire una collusione tra le deviazioni dei Fratelli musulmani; i complotti imperialisti-sionisti nella regione e l'azione di re Feisal in vista della creazione d'una alleanza che si qualifica islamica, ma che non è suscettibile di servire che gli interessi della reazione, dell'opportunismo e del colonialismo ».
A questo punto, proprio perchè appare un poco il bandolo della matassa che egli stesso sta intrecciando, diventa utile tornare a seguire da vicino le mosse di re Feisal. Dopo aver visitato Iran e Pakistan, Turchia e Marocco, Sudan e Somalia, egli intende recarsi in Tunisia, nel Mali e nella Guinea; scopo di queste visite è promuovere un grande incontro di capi islamici
e di uomini politici alla Mecca, nel prossimo aprile, in occasione del tradizionale pellegrinaggio in tale località sacra alla religione musulmana. Ben fornita di armi occidentali (in primo luogo di aerei e istallazioni britanniche; secondo indiscrezioni di giornali inglesi un ufficiale a riposo della RAF sarebbe stato inviato a diri- gere — come ai tempi di Glubb Pashà? - il sistema aereo saudiano) l'Arabia Saudita, costituisce dunque, insieme alla Giordania ad all'Iran, la base di partenza di una assai vasta offensiva conservatrice.
D'altra parte va aggiunto che il proposito di cui si fa portavoce Feisal non sembra essere quello di voler completamente sostituire il movimento nazionalista arabo con il richiamo all'Islam. Piuttosto egli intenderebbe soffocare le spinte rinnovatrici insite nel movimento nazionale in un mare di clericalismo: mentre il nasserismo sarebbe considerato un pericoloso estremismo rivoluzionario, comunisteggiante e sovvertitore dei valori religiosi, Feisal vorrebbe diventare il banditore d'un nazionalismo riformista, moderato, rispettoso in definitiva della faziosità clericale e specialmente intenzionato ad andare d'accordo con l'Occidente.
Tenuto conto allora dell'importanza strategica del settore, della ricchezza delle risorse petrolifere, dei fermenti indipen-dentistici che agitano i piccoli Stati della penisola arabica (fermenti che mettono in pericolo tanto le basi strategiche, quanto il controllo delle ricchezze minerarie), il Compito che Feisal s'è assunto diviene perfettamente logico, così come del tutto comprensibili sono i motivi che spingono lo Scià dell'Iran ed il re di Giordania a Simpatizzare per lui, e coerenti gli sforzi per aggirare e diffamare, piuttosto che aggredire frontalmente, i movimenti anti-colonialisti più impegnati. Non si tratta più, cioè, d'una congiura reazionaria pura
e semplice, ma d'un piano per nascondere intenzioni di mera conservazione sia sotto il mantello della fraseologia religiosa, sia sotto il paravento del mito dell'efficienza economica, della modernizzazione tecnica e persino della pianificazione.
Volendo un poco schematizzare il senso di questa « sfida » reazionaria, ci pare di poter precisare che essa si articola in due punti. In primo luogo essa fa leva sul vecchio, ma ancora tenace pregiudizio, che vi sia una assoluta incompatibilità tra comunismo ed islamismo, tra impostazione rivoluzionaria dei problemi di trasformazione sociale e rispetto delle credenze religiose e dei valori della tradizione. Ovviamente né i capi di Stato, che si dichiarano tanto ossequienti ai precetti del Corano, né i loro cortigiani conducono vita specchiata ed irreprensibile, ma quantunque, specie nelle città, gli atteggiamenti ortodossi siano in complesso in declino, l'antico allarme contro i ri- schi del comunismo ateo e distruttore di ogni sentimento morale fa ancora presa in particolare nelle campagne.
In secondo luogo la gara si sviluppa di fatto al livello dell'efficienza economica, della battaglia contro la fame, la miseria, l'analfabetismo: i nuovi regimi, gli Stati che si sono dati forma repubblicana e costituzioni evolute, sanno confortare con un conveniente contenuto le enunciazioni programmatiche e le dichiarazioni di principio? Vengono o non vengono affrontati — e sia pure con tutta la indispensabile gradualità — i problemi secolari irrisolti? E' possibile, nella presente situazione di pesanti condizionamenti non solo interni, ma internaziona-nali, dimostrare ai popoli la « vantaggio- sità » che v'è ad intraprendere la strada aspra delle difficili e costose trasformazioni strutturali piuttosto che seguire la agevole via delle facili elemosine americane?
Una risposta positiva a questi due tipi di quesiti pare del tutto legittima: l'iniziativa può tornare nelle mani del movimento progressista, i gruppi conservatori
e le monarchie retrive possono ricevere altre sonore lezioni: sia sul piano delle libertà individuali, sia al livello della ri-nascita economica e della rivendicazione della dignità nazionale, i movimenti progressisti possono accettare senza timore la gara; il cedimento di fronte alle prevaricazioni delle forze conservatrici ed alle ingerenze internazionali non è un tornante obbligatorio, a cui sia impossi bile sottrarsi.
A testimonianza dell'ampiezza di questo margine d'azione giunge utile segnalare un episodio di modesta portata ma invero emblematico. Il governo della Turchia — paese facente parte dell'Alleanza atlantica — ha vietato il 9 settembre scorso, in virtù delle disposizioni della convenzione di Montreux, l'entrata nel mar Nero attraverso lo stretto dei Dardanelli a due navi da guerra americane dotate di missili. Anche un governo conservatore, di uno Stato legato agli Stati
Kai-Uwe von Hassel, ministro dell'auto-Difesa (dal Frankfurter Allgemeine Zeitung)
Uniti da molti impegni, ha potuto quindi, volendolo, compiere un gesto in favore tanto della pace, quanto del proprio interesse nazionale.
D'altro canto è un fatto che attualmente negli ambienti arabi più responsabili la discussione intorno alle possibilità di una coesistenza ideologica tra la cultura
e le correnti religiose tradizionali, da un lato, ed una visione più moderna e spregiudicata della realtà dall'altro, è assai viva, per lo meno quanto quella sugli indirizzi da adottare per salvaguardare le vittorie ed i successi ottenuti in campo politico-economico e per procedere oltre. In effetti le correnti arabe anti-imperialiste sono giunte in prossimità d'una svolta: un ncdo di problemi molto seri ri- chiede d'essere affrontato con urgenza per arrivare a ponderate soluzioni. E infatti, essenzialmente in Egitto, Siria, Libano ed Irak, a differenti livelli e con modalità non sempre analoghe, il lavoro d'aggiornamento appare bene avviato, mentre . pure altrove, in condizioni più disagevoli (ad esempio in Giordania) non manca il contributo al dibattito. Si può aggiungere, anzi, che, almeno sul piano teorico v'è ormai una discreta consapevolezza degli obiettivi più immediati da raggiungere.
Tra essi potremmo segnalare, in campo politico-sociale, la convinzione che occorra superare spregiudicatamente quella sorta di distacco tra dirigenti di governo
e masse che la routine della vicenda quotidiana tende ad allargare. Ribadita la validità della direttiva del partito unico, quale forma più adatta ed efficiente di guida politica rispetto alle condizioni del paese, nasce piuttosto la necessità di non farne un organismo pletorico o burocratizzato, bensì uno strumento capace di accogliere e valorizzare tutti gli uomini di sinistra validi, salvaguardando tanto. la sua efficienza, quanto la possibilità di dibattito. interno. Questa discussione sul partito — pervenuta a risultati molto interessanti nella RAU — trae origini, non tanto da semplici esigenze di rinnovamento e ricambio del personale . politico alla testa dello Stato, quanto dalla evoluzione che attraversano i vari gruppi sociali e le varie classi via via che il momento eccezionale dell'unità nazionale per il conseguimento dell'indipendenza si allontana. In altre parole, se lo sviluppo « non capitalistico » dello Stato provocherà resistenze ed opposizioni tra i ceti della media e alta borghesia e tra le soprav-vivenze feudali, diventerà indispensabile un corrispondente rafforzamento della coesione tra le forze autenticamente progressiste e rivoluzionarie.
In proposito degne di essere ricordate paiono le osservazioni formulate tempo fa dal noto giornalista egiziano Heikal. Poste in luce le caratteristiche della storia egiziana, egli rivendicava tuttavia il pieno diritto per i comunisti d'esprimere, come singoli, giudizi ed opinioni sui pro-
blemi del paese, contribuendo secondo le loro forze alla vita nazionale. A condizione di non volersi costituire in partito indipendente o di non voler offendere la religione islamica, deve essere data facoltà ai comunisti, sosteneva Heikal, di dire quanto hanno da dire ed alla società nel complesso di respingere o accogliere le loro proposte. Come è noto circa un anno fa il partito comunista egiziano decideva di sciogliersi. Per venire ai nostri giorni, la nomina a primo ministro di Mohammed Sidki Soliman, direttore dei lavori della diga di Assuan, pare proprio indicare l'intenzione di puntare ulteriormente al rafforzamento della unità costruttiva tra tutte le forze valide.
Il clima politico diverso - paragonabile a quello del pluripartitismo borghese — favorisce invece nella sinistra libanese un orientamento più elastico che merita segnalare anche per evidenziare il sussistere di elementi specifici e particolarità nel campo del progressismo arabo. In beve in Libano ' le sinistre puntano più al coordinamento della loro azione, ad una iniziativa di tipo federalistico che alla formazione d'un unico partito: occorre adeguare alle singole situazioni, la tattica dello schieramento di sinistra, dicono, ad esempio i comunisti; per questo essi hanno accettato, di dar vita ad un « Fronte di partiti patriottici e progressisti » costituito dal Partito socialista progressista guidato dal ministro dei Lavori pubblici Kamal Jumblatt, dal Movimento nazionalista arabo e dal partite comunista stesso. Tra le manifestazioni 'alle quali ha dato vita il Fronte in questi mesi, ricordiamo
il comizio del 1° Maggio, nel corso del quale gli esponenti degli svariati gruppi della sinistra libanese hanno celebrato unitariamente la festa del lavoro.
Anche in Siria la lotta politica si sviluppa su analoghi binari, avendo al centro proprio il tema dell'unità contro i pericoli della reazione dentro e fuori dei confini e contro il rischio che deriva dallo staccarsi dall'impegno anti-imperialista delle correnti e delle fazioni di destra del movimento nazionale. Questo e non altro, ad esempio, è il senso dei recenti cambiamenti di governo e dei tentativi di colpi di Stato.
Di pari passo con il dibattito interno,
vanno tenuti presenti i progressi compiuti ultimamente dagli Stati più avanzati per
rafforzare i legami tra di loro. La Siria infatti, ed in una certa misura anche l'Irak, hanno ristabilito (con la riapertura dei consolati, lo scambio delle delegazioni, i frequenti incontri tra espo-
nenti politici) buone ed efficienti relazioni con la RAU e l'Algeria, . avviando
così a formazione quel blocco unitario d'energie che solo può contrapporsi efficacemente . al raggruppamento delle monarchie reazionarie.
Definito il carattere strumentale della iniziativa di re Feisal dell'Arabia Saudita, e sottolineato il tipo della risposta che tende a dare lo schieramento progressista, resta purtuttavia qualcosa da aggiungere a proposito della configurazione che vengono assumendo i . rapporti fra comunismo e islamismo Al riguardo va rammentato che sono già stati scritti decine di volumi e centinaia di articoli: si tratta cioè d'un argomento dibattuto lungamente all'interno del movimento operaio e che non è possibile risolvere in poche righe. Nondimeno è giusto fare qualche accenno per delineare il punto d'arrivo delle discussioni odierne.
Innanzitutto, per evitare di cadere nelle volute confusioni alle quali indulgono i sostenitori del Patto islamico, è indispensabile distinguere tra categoria religiosa e categoria nazionale: se si parla di arabi ci si riferisce ad una entità nazionale che comprende 80-85 milioni di individui i quali seguono al 90 per cento la religione musulmana; se invece si parla di Islam si fa propriamente riferimento ad una fede professata da 400 milioni di persone sparse in tutto il mondo (dal Medio Oriente alla Unione Sovietica, dalla Indonesia all'Africa settentrionale). In verità tra islamismo e rinascita nazionale v'è un rapporto, perchè la religione ha generato nel corso dei secoli valori culturali ed ideali che hanno costituito per i popoli un elemento di coesione e, nei tempi più recenti, hanno fornito uno stimolo ideale contro l'oppressione colonialistica e le interferenze occidentali. Ma va aggiunto che il movimento nazionale ha sempre più accentuato il suo carattere « laico », ha sempre più rivolto il suo interesse alle esigenze dell'industrializzazione, della riforma agraria, del controllo delle risorse naturali, ecc., tanto è vero che nell'area araba numerosi sono gli esponenti di minoranze religiose che hanno assunto incarichi politici di rilievo; all'unità in nome della religione dei .secoli passati — unità che constatando la molteplicità delle « scuole » ortodosse islamiche, oltre che la presenza di consistenti gruppi di seguaci di altre religioni (cristiani, ad esempio), comporterebbe al giorno d'oggi, per essere attuata, anacronistiche coercizioni — s'è dunque andata sostituendo l'unità in nome della comunanza di territorio, del passato storico, linguistica, d'interessi -economici, in un primo tempo, e di profonde riforme e mutamenti economico-sociali poi.
Seguendo questo tipo di impostazione e rifiutando le suggestioni di tipo idealistico tendenti a staccare la storia dell'Islam dall'ambiente effettivo in cui è sorto e s'è sviluppato, è quindi possibile pervenire ad una definizione più corretta e più distesa del posto che oggi esso occupa nell'area geografica medio-orientale. Man mano che l'orientamento dei gruppi di sinistra e marxisti è divenuto più duttile, superando astrattezze e settarismi, sempre più insufficiente è apparso il tentativo di coloro che volevano ad ogni costo conciliare o dimostrare incompatibili islamismo •e socialismo sulla scorta delle citazioni e del richiamo a questo o quel versetto dei testi religiosi.
Ciò che invece va prendendo consistenza, grazie pure alla mancanza di gerarchie ecclesiastiche rigidamente organizzate ed alla autonomia delle varie correnti dell'islamismo, è la libertà di coscienza di ciascun cittadino, il diritto ad attuare scelte spirituali svincolate dalle interpretazioni di comodo di questo .o quel sovrano conservatore.
Massimo Robes-si
 
Trascrizione secondaria non visualizzabile dall'utente 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32599+++
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Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1966 Mese: 10 Giorno: 1
Numero 39
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1966 - 10 - 1 - numero 39


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