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tipologia: Analitici; Id: 1543199


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Documento di Convegno
Titolo [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Petronio, Gramsci e la critica letteraria
Responsabilità
Petronio, Giuseppe+++
  autore+++    
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Trascrizione Non markup - automatica:
Giuseppe Petronio
GRAMSCI E LA CRITICA LETTERARIA
Gramsci non fu certo un critico letterario nel senso preciso, tecnico, della parola. Critico letterario, in senso tecnico, è, infatti, chi, dedicando all'indagine critica una parte rilevante della sua attività, esprime e lascia un corpo di giudizi puntuali su autori e su opere, giudizi che o costituiscono punti fermi di riferimento ai quali ci si richiami anche piú tardi, o sono, almeno, tipici a caratterizzare, per i posteri, il gusto letterario di un'epoca.
Di questi giudizi Gramsci ne ha lasciati assai pochi, e chi spigoli nei Quaderni del carcere e nelle Lettere a raccogliersi un'antologia che documenti il pensiero di lui sugli autori maggiori della letteratura italiana, troverà molto poco. In parte, certo, per la forma incompiuta, di appunti, di note, di abbozzi nella quale le vicende della vita costrinsero Gramsci ad esprimere il proprio pensiero, un poco anche perché, veramente, l'attività letteraria e critica non fu mai, per lui, la piú rilevante, e fu, anzi, come una naturale e necessaria appendice alle sue meditazioni sulla storia civile italiana, un'applicazione alla letteratura di una sua visione nuova del mondo.
Certo, giudizi puntuali non ne mancano, e sono spesso veramente felici, tali da far rimpiangere che siano cosí pochi e Cosí frettolosi. Vorrei citare, per un solo esempio, quanto Gramsci scrisse di Pirandello, e nelle cronache teatrali che tra il '16 e il '20 compilò per l'Avanti! 1, e nelle rapide note nelle quali, quindici o venti anni dopo,
1 L. V. N., p. 223 sgg
224 I documenti del convegno
sistemò, nel carcere, quelle prime impressioni 1. La sicurezza con la quale Gramsci, ancor giovane, ancora « tendenzialmente piuttosto crociano » 2, sceverò il grano dal loglio in un'opera cosí difficile come quella di Pirandello, piú difficile allora in quel suo continuo confuso concrescere, la sicurezza, dunque, del giudizio del Gramsci è veramente notevole, e potrebbe essergli invidiata da qualsiasi critico specialista. Eccolo, infatti, cogliere la superficialità virtuosistica di Pensaci Giacomino, a proposito del quale parlerà felicemente di « pittoresco caricaturale » 3; eccolo restar freddo dinanzi a Cosí è (se vi pare), Il gioco delle parti, La ragione degli altri, Come prima, meglio di prima, per avvertire invece la sostanza poetica di Liolà, su cui scriverà una magnifica pagina'. Mentre, piú tardi, ormai maturo, pur trascurando l'opera narrativa di Pirandello (ma tutti, allora, erano abbarbagliati dal luccichio del teatro!), pose con sicurezza alcuni problemi di metodo e chiari dialetticamente il significato storico-culturale di quell'opera, in pagine nelle quali l'istanza viva del crocianesimo
— la ricerca della poetica o no del teatro pirandelliano — si arricchisce di altre istanze tipicamente gramsciane, ed il giudizio estetico
- poesia o non poesia — si inquadra in un sistema piú largo di giudizi storico-culturali: « il Pirandello si è fatta una concezione della vita e dell'uomo, ma essa è " individuale ", incapace di diffusione nazionale-popolare, che però ha avuto una grande importanza " critica ", di corrosione di un vecchio costume teatrale » 5; e ancora: « il suo teatro vive esteticamente in maggior parte se " rappresentato " teatralmente,
e se rappresentato teatralmente, avendo il Pirandello come capocomico
e regista. (Tutto ciò sia inteso con molto sale)» 6.
Giudizi letterari cosí articolati e distesi non sono però frequenti, e sarebbe difficile, chi si fermasse ad essi, collocare Gramsci tra i critici letterari o parlare di una sua importanza nella storia della nostra critica letteraria.
1 L. V. N., p. 46 sgg.
2 M. S., p. 199.
3 L. V. N., p. 281 sgg.
4 L. V. N., p. 283 sgg.
5 L. V. N., p. 46.
8 L. V. N., p. 53.
Giuseppe Petronio 225
Ma la critica letteraria non consiste soltanto in quel giudicare puntuale e concreto di cui si diceva; che è anzi, questo, come l'ultimo atto, conclusivo, di un lavoro lungo e complesso al quale attendono o collaborano piú specialisti, ognuno con un suo compito preciso. Il giudizio critico presuppone infatti una estetica, cioè una concezione generale dell'arte, senza la quale si cadrebbe nel piú trito impressionismo. Presuppone ancora l'esistenza di un gusto, e non, intendo, di una individuale attitudine del critico a cogliere nell'opera d'arte i motivi o i momenti vivi, isolandoli da ciò che arte non è, ma di un gusto ragionato e diffuso, al quale quel critico coscientemente aderisca e di cui si giovi a interpretare le singole opere d'arte, antiche o recenti. E, per non parlare dell'indagine filologica ed erudita, pur essa necessaria, presuppone uno schema storiografico, della storia letteraria e della storia civile, nel quale inquadrare volta per volta autori ed opere, riportandoli a determinati momenti o periodi. Alla educazione del critico letterario contribuiscono, dunque, forse piú ancora che i precedenti critici tecnici, i filosofi di estetica, i teorici del gusto, gli storici; sicché, io direi, alla educazione del critico italiano che si sforzi oggi di ricondurre la propria attività di studioso dei fenomeni letterari ai principi e allo spirito del marxismo, piú che i critici in senso stretto della nostra generazione e di quella precedente, sono di aiuto Marx, Engels, Mehring, Labriola, Gramsci, Lukàcs, e, come esempio altissimo di una critica tutta storicamente e politicamente impegnata, Francesco De Sanctis. Il che non esclude — è ovviò, ma sarà prudente ribadirlo — la piú severa preparazione tecnica, e la conoscenza ragionata dei propri colleghi di oggi a qualsiasi scuola appartengano.
In questo senso, dunque, l'opera di Gramsci rientra di pieno diritto nella storia della nostra critica letteraria, come quella di un uomo che all'arte, e ad una concezione e definizione di essa, ha dedicato assai del sino tempo e del suo ingegno, e che, riflettendo sulla storia civile italiana e dandone una propria originale interpretazione, ne ha dedotto — o ha lasciato spunti perché altri deducesse — una interpretazione originale della nostra storia letteraria e del suo periodizzamento storico.
Il primo problema che si ponga allora all'attenzione dello studioso di Gramsci è il rappbrto tra la sua concezione dell'arte e quella dominante al suo tempo: la concezione neoidealistica in genere, la concezione
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crociana in particolare. Un problema il cui scioglimento è assai interessante, non solo a definire nella sua originalità, nei suoi limiti e nel. suo significato storico, il pensiero estetico e critico di Gramsci, ma anche ad aiutarci a rispondere a quei marxisti o marxisteggianti di oggi, timidi ancora di fronte all'esperienza crociana, incapaci di liberarsene a fondo,. teorizzatori e banditori di non si sa quale sua universale e necessaria validità.
Ho già ricordato che Gramsci fu, e si disse, per alcun tempo, « tendenzialmente piuttosto crociano»; ho osservato ancora come le tracce della lezione crociana restino evidenti anche in pagine sue tra le piú mature; ma ha notato giustamente il Garin, richiamandosi proprio a Gramsci, che ciò che conta, nella definizione di un pensiero, non sono le affermazioni momentanee, i passi singoli che possono essere anche contraddittori tra loro, quanto lo spirito dell'opera, il suo senso ultimo, le direzioni costanti nelle quali essa è rivolta, pure tra scarti o deviazioni del momento. E — cito dal riassunto della relazione del Garin — « il crocianesimo di Gramsci — a parte una prima simpatia iniziale -- con- siste nello avere combattuto sistematicamente Croce, considerandolo la voce piú importante (e piú " pericolosa ") della vita italiana » : un'affermazione che mi pare esattissima, ma che va dimostrata, almeno per quanto concerne la critica letteraria.
Merito precipuo di Gramsci fu lo sforzo, riuscito, di storicizzare il marxismo, non accettandolo e ripetendolo come un sistema pietrificato di dogmi, ma neppure dissolvendolo in un revisionismo eversore, sibbene svolgendolo alla luce dei progressi della cultura europea, arricchendolo e rinsanguandolo di quanto il pensiero moderno aveva prodotto, senza per. questo rinnegarne i principi e lo spirito. Cosí operando Gramsci veniva ad attuare quel ritorno al marxismo, di cui piú volte, nel secondo decennio del secolo, avevano parlato i socialisti italiani, consci dei pericoli del neoidealismo, convinti della impossibilità di combatterlo con le armi ormai spuntate del positivismo, proclamanti la necessità di rifarsi ai principi di Marx ed Engels, per adattárli alle nuove esigenze della vita sociale e culturale italiana, ma incapaci, poi, di svolgere essi quel compito di cui pure avvertivano l'urgenza 1.
• 1 Per qualche esempio dr. A. SCHIAVI, «Per la cultura socialista», in Critica sociale, XXII, 1912, p. 147 sgg.; T. CoLucci, « A proposito di filosofia della storia e di marxismo », ivi, XXIII, 1913, p. 268 sgg.
Giuseppe Petronio 227
Gramsci svolse lui questo compito, e sono noti i termini nei quali lo pose: elaborazione, o rielaborazione, di una filosofia della prassi, che tenesse si conto delle conquiste particolari del neoidealismo, ma che queste conquiste assumesse organicamente in un sistema tutto diverso di principi; fondazione di un Anti-Croce e di un Anti-Gentile, che ripetesse per i due filosofi dell'idealismo italiano quanto già i fondatori della filosofia della prassi avevano compiuto per Dühring. $ logico, allora, che lo studioso di Gramsci debba oggi ricercare, nei volumi delle opere di lui, quanto della iniziale posizione « tendenzialmente crociana » è rimasto di non bruciato, ma debba soprattutto indagare quanto vi è invece di nuovo, di coscientemente diverso; è logico, soprattutto, che debba, indipendentemente dalle singole consonanze puntuali, sforzarsi di cogliere le linee direttive, originali, del pensiero di Gramsci.
Della lezione crociana era rimasta viva in Gramsci l'esigenza di non perdere mai di vista la natura particolare, specifica, dell'opera d'arte, quella natura formale nella quale consiste lo specifico artistico. Nelle note che già abbiamo citate su Pirandello egli insiste continuamente: « Ma in ogni modo rimane da studiare: 1) se esso è diventato arte in qualche momento, ecc. ecc. » 1; « Quello che importa è però questo: il senso critico-storico del Pirandello, se lo ha portato nel campo culturale a superare e dissolvere il vecchio teatro tradizionale, convenzionale, di mentalità cattolica o positivistica, imputridito nella muffa della vita regionale o di ambienti borghesi piatti e abiettamente banali, ha però dato luogo a creazioni artistiche compiute? » 2. E nelle note raccolte nelle prime pagine di Letteratura e vita nazionale, che sono lo sforzo piú organico del Gramsci per una teoria dell'arte e della critica, questa preoccupazione è costante: « Due scrittori possono rappresentare (esprimere) lo stesso momento storico-sociale, ma uno può essere artista, e l'altro un semplice untorello » 3; « Ciò che si esclude è che un'opera sia bella, per il suo contenuto morale e politico, e non già per la sua forma in cui il contenuto astratto si è fuso e immedesimato » 4. Dove vi è certo la lezione crociana, e vi è il rifiuto e come il timore di certo schematico
i L. V. N., p. 50.
2 L. V. N., p. 49.
3 L. V. N., p. 6.
4 L. V. N., p. 11.
228 i documenti del convegno
gretto positivismo che l'Estetica del Croce aveva dissolto; ma vi è anche la lezione fruttuosa del De Sanctis, e vi è lo spirito del piú serio marxismo che, con Marx ed Engels, aveva anch'esso continuamente messo in guardia dal sociologismo, dalla confusione tra contenuto e forma, dal passaggio meccanico dal giudizio storico al giudizio estetico'.
Però le stesse frasi che ho citate, e altre consimili che si potrebbero spigolare, lette nel loro contesto, che è il solo modo di leggerle, non sono affatto crociane, e sono, anzi, della concezione crociana dell'arte e della critica un superamento radicale. Tanto che, proprio in quelle note è il passo tante volte citato in questi anni, e certo di fondamentale importanza ad intendere Gramsci: « Insomma, il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro (meno che mai dal Carducci) » 2; un passo riassuntivo e incisivo, in cui la coscienza del proprio distacco da Croce si esprime in termini netti, anche se, almeno nelle righe riportate qua su, ancora negativi piuttosto che positivi.
Ma anche i termini positivi, dell'affermazione dopo la negazione, ci sono, e sono chiari, sicché l'antitesi Croce-Gramsci risiede nello spirito piú profondo delle due opere, in quella concezione del mondo che è dietro ogni sistema di pensiero e gli dà la sua impronta precisa.
La prima netta distinzione è nel fatto che il Gramsci, ritornando, al di là del neoidealismo italiano, al pensiero marxista, ritornava, in ultima analisi, alla dialettica hegeliana degli opposti, sia pure rimessa sulla testa, negando la crociana dialettica dei distinti e riemergeva cosí l'arte, e quindi la critica, in quella storia da cui il Croce le aveva cautelosamente allontanate. L'arte, per Gramsci, è forma, ma una forma condizionata dal suo contenuto, i1 quale contenuto è sempre storicamente determinato. Perciò Gramsci, in antitesi netta con Croce, mentre sottolinea sí la necessità di non confondere il giudizio storico (che è un giudizio di contenuti) con il giudizio estetico (che è un giudizio di forme), già arricchisce questa distinzione di spunti che sono tipicamente marxistici: un momento dato non è mai omogeneo; ogni momento storico pub
1 Cfr. ad esempio la lettera di Engels a Bloch del 21 settembre 1890 e quella a Paolo Ernst del 5 giugno 1890 (riportate in K. MARX- F. ENGELS, Sur la litérature et l'art, a cura di J. Freville, Parigi, 1954, p. 160 sgg.; 321 sgg.).
2 L. V. N., p. 7.
Giuseppe Petronio 229
essere rappresentato ed espresso e da chi lo rappresenta nei suoi aspetti progressivi, e da chi ne « esprime gli elementi " reazionari " e anacronistici », mentre può darsi che veramente rappresentativo sia « chi esprimerà tutte le forze e gli elementi in contrasto e in lotta, cioè chi rappresenta la contraddizione dell'insieme ,storico-sociale » 1, dove è già, come appar chiaro, tanto della problematica e delle tesi di Lukàcs 2. E se parla qualche volta di dialettica dei distinti, è per rinviarla al mondo delle sovrastrutture, non alla realtà sempre unitaria nella sua drammatica. complessità: « In una filosofia della prassi la distinzione non sarà certo tra i momenti dello Spirito assoluto, ma tra i gradi della soprastruttura,. e si tratterà pertanto di stabilire la posizione dialettica dell'attività pratica. (e della scienza corrispondente) come determinato grado superstrut tuurale » 3.
Ma non basta. Ristabilire un nesso necessario ed organico tra la. forma dell'opera d'arte ed il suo contenuto, significava riaffermare la. piena storicità dell'opera d'arte, il nesso, quindi, tra arte e storia. E. significava, ancora, ritrovare e riaffermare la storicità della critica anch'essa. tutta necessariamente impegnata, riflesso anche essa di una ideologia, di un impegno totale di fronte alla vita.
Perciò Gramsci, contro le tesi dominanti al suo tempo, ricollega le battaglie culturali alla poesia, e sostiene che ogni lotta per una nuova. società, anche se non crea immediatamente nuova arte e nuovi artisti, contribuisce mediatamente a crearli, suscitando nuovi contenuti e nuove concezioni di vita. « Il movimento della " Voce " non poteva creare artisti, ut sic, è evidente; ma lottando per una nuova cultura, per un. nuovo modo di vivere, indirettamente promuoveva anche la formazione di temperamenti artistici originali, poiché nella vita c'è anche l'arte » 4. E subito dopo, con mossa schiettamente alla Lukàcs 5, polemizza: « La ".rivoluzione silenziosa" di cui parla l'Angioletti è stata solo una serie di confabulazioni da caffè e di mediocri articoli di giornale standardizzato
1 L. V. N., p. 6 sgg.
2 Alludo specialmente ai saggi raccolti in G. LUKAcs, Saggi sul realismo, Torino, 1950.
3 Mach., p. 11.
4L.V.N.,p.9.
5 G. LUKACs, Il marxismo e la critica letteraria, Torino, 1953, p. 12 sgg..
230 I documenti del convegno
e di rivistucole provinciali. La macchietta del " sacerdote dell'arte " non è una grande novità anche se muta il rituale » '. E qualche pagina piú avanti, con formula energica e icastica: « La letteratura non genera letteratura ecc., cioè le ideologie non creano ideologie, le superstrutture non generano superstrutture altro che come eredità di inerzia e di passività: esse sono generate non per " partenogenesi ", ma per l'intervento dell'elemento " maschile ", la storia, l'attività rivoluzionaria che crea iI " nuovo uomo ", cioè nuovi rapporti sociali » 2: dopo di che cianci, chi se la sente, di sopravvivenze crociane!
Dopo di che può essere chiaro invece che cosa significhi per Gramsci contrapporre alla critica letteraria di tipo crociano quella di tipo de-sanctisiano: la critica letteraria — egli afferma continuando il passo già citato — « deve fondere la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo, con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » 3. La critica letteraria, diciamo noi, dev'essere tutta politica, critica dei contenuti e delle forme, critica di battaglia, nella quale il critico si impegni tutto, non solo come studioso e giudice di poesia, ma come uomo, ed uomo di sangue e di crucci.
Certo, Gramsci sa bene che tale è sempre la critica, anche quando affermi o creda di essere oggettiva, al di fuori o al di sopra della mischia. E comincia infatti proprio da lui quello « smascheramento ideologico » del Croce che si è da poco ripreso e che occorre condurre fino in fondo 4; Gramsci, cioè, sa bene che il Croce è il critico di una « fase difensiva » non piú « aggressiva e fervida », o, diremmo noi, che con lui, il piú intelligente e operoso dei conservatori italiani, la critica letteraria si afferma autonoma, non impegnata, formale, perché solo cosí, in una falsa oggettività, isolando il critico, come l'artista, in una torre d'avorio, essa può servire la causa della conservazione culturale e politica: negare la
L. V. N., p. 9.
2 L. V. N., p. 11.
3 L. V. N., p. 7.
4 Cfr. soprattutto E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari, 1955; M. AB-BATB, La filosofia di B. Croce e la crisi della società italiana, Torino, 1955, per cui mi permetto rinviare ad una mia recensione in Mondo operaio, IX, 1956, n. 3.
Giuseppe Petronio 231
propria natura ideologica può essere, in un determinato momento storico, la piú comoda e utile delle ideologie!
Ma qui proprio è la differenza tra il tipo di critica propugnato dal Croce e quello del De Sanctis e di Gramsci; una differenza che è, originariamente, ideologica, ma si fa presto tecnica. La critica d. Croce, voglio dire, serve un'ideologia conservatrice; quelle di De Sanctis e di Gramsci servono ideologie progressive; ma, intanto, per servire ognuna la propria ideologia, l'una diviene critica della pura forma, della distinzione netta tra poesia e non-poesia, tra struttura e poesia, e via dicendo, le altre si atteggiano come critiche dei contenuti e delle forme tutt'insieme, e tendono a fondere struttura e poesia in un tutto organico. Ecco, dunque, perché dicevamo assurdo affermare che per Gramsci si possano conciliare crocianesimo (o neoidealismo) e marxismo; il problema di Gramsci è
invece quello di giungere ad una fase ulteriore e nuova storicamente
aggiornata — del marxismo, che riassotira in sé, in una sintesi superiore, il neoidealismo. In una pagina di Estremo interesse egli si chiese una volta quale dovesse essere l'atteggiamento della filosofia della prassi di fronte a Croce e a Gentile, e concluse: « in realtà si riproduce ancora la posizione reciprocamente unilaterale e criticata nella prima tesi su Feuerbach, tra materialismo e idealismo e come allora, sebbene in un momento superiore, è necessaria la sintesi in un momento di superiore sviluppo della filosofia della prassi » 1. E la critica letteraria alla quale Gramsci aspira, quella di cui tratteggia le linee ideali e che qualche volta consegue, è una critica in cui, nello spirito e nella metodologia di un marxismo evolutosi coi tempi, siano sussunte e riassorbite le parti vitali della critica crociana; vitali, perd, veramente, solo se cosí riassorbite e sussunte.
Deriva da tutto quanto si è detto almeno un'altra differenza di fondo. L'estetica crociana conduceva logicamente a negare la possibilità e la legittimità di una storia letteraria; per Gramsci non vi è altra critica che non sia un frammento o un capitolo di una organica storia letteraria.
Chi, infatti, si raccolga pazientemente i passi delle opere gramsciane
M. S., p, 91.
232 I documenti del convegno
di carattere letterario, noterà che, anche se si tratti (e spesso per le ragioni pratiche e contingenti che tutti conoscono) di notazioni o osservazioni su un singolo scrittore o su una singola opera, il carattere dell'osservazione è sempre storico, ed il giudizio non è mai di gusto, ma scaturisce dal collocare lo scrittore o l'opera in un sistema di rapporti, e tende sempre a delineare, sia pure per rapidi cenni, il «,panorama ideologico» 1 che è intorno ad esso. Sicché, in ultima analisi, potremmo dire che tutti i giudizi critici che abbiamo di Gramsci non sono che frammenti di una storia letteraria, di quella storia letteraria che egli non scrisse, ma di cui ci ha lasciato il disegno e lo scheletro.
Che è, poi, il punto in cui la critica letteraria di Gramsci meglio coincide con quella di De Sanctis, ma è pure il punto in cui ne diverge con maggiore energia 2.
Tutti e due, infatti, mirano a risolvere il giudizio critico in un giudizio storico, inquadrando opere e autori in una storia della letteratura che sia una storia della civiltà italiana sub specie litterarum. E tutti e due perciò disegnano - Gramsci disegna -solo, De Sanctis vi aggiunge i colori — una storia civile italiana dalla cui trama si spicchi e rilevi, pur tutt'una con essa, la storia letteraria, simile al volto umano che Dante scorge, dipinto dello stesso colore e pur tutto in risalto, sull'una delle circonferenze divine.
Ma la storia civile italiana che Gramsci tratteggia è poi tutta diversa da quella del De Sanctis, come dev'essere necessariamente diversa la visione che della storia italiana ha il marxista Gramsci da quella che aveva avuta, alla fine del Risorgimento italiano, il democratico De Sanctis.
La visione storica del De Sanctis era — sono cose ormai note — democratica e progressiva, ma era, tuttavia, quella di un borghese democratico educatosi al Romanticismo e tempratosi nelle lotte risorgimentali; di un uomo per cui la letteratura italiana aveva avuto il gran vizio di non essere popolare e realista, ma per cui pure popolare aveva ancora, su per giú, l'accezione che gli aveva data il Berchet nella sua Lettera semiseria. Mentre per Gramsci il male che aveva minato nei secoli la
1 M. S., p. 17.
2 Per quanto segue mi permetto rinviare ad un mio saggio « Di che fanno la criticai critici? », in Mondo operaio, IX, 1956, fasc. 8-9.
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storia italiana era stato il suo carattere classista, il non essere popolare
e nazionale, dove però popolare aveva il significato preciso, di classe, che poteva dargli on socialista o comunista educatosi su Marx ed Engels
e tempratosi nelle lotte operaie.
La differenza è radicale, e non solo da un punto di vista ideologico; ché anche qui è possibile osservare come una differenza ideologica divenga immediatamente differenza formale, tecnica, sicché la diversa visione storiografica comporta uno spostamento di accenti in ogni giudizio, e apra prospettive nuove, e determini una problematica fino allora nemmeno intravista.
Indicare nei suoi particolari questa problematica gramsciana non è compito di chi studi Gramsci critico letterario; basterà accennare al punto di partenza, al lievito fermentante in ogni pagina. Per Gramsci la storia della letteratura si fa tutt'uno con la « storia della formazione
e dello sviluppo dei gruppi intellettuali italiani », in uno sforzo di ristabilire, o stabilire, dopo tanti secoli, l'unità tra intellettuali e popolo. Si tratta perciò di riandare la storia passata italiana a cogliere le vicende
e le ragioni del distacco tradizionale tra gli uni e gli altri, per scoprire in esse le cause di certi malanni, che furono si storici o storico-civili (dominazioni straniere, mancata unità nazionale, arretratezza economica,
e via dicendo), ma furono anche, per la stessa ragione, nello stesso momento, culturali: cultura falsamente umanistica, accademismo letterario, Arcadia, brescianesimo, e cosí via dicendo.
In questo modo le classi subalterne, escluse fino allora dalla storia letteraria, vi entrano di pieno diritto, e la storia della letteratura diventa una storia nazionale-popolare. Le aveva escluse la storiografia romantica, compreso il De Sanctis, senza forse una precisa coscienza; le aveva escluse coscientemente il neoidealismo italiano, che aveva affermato con orgoglio i diritti della propria classe, sola protagonista di storia. Ora invece queste classi subalterne invadono se non il proscenio lo sfondo; non parlano qualche volta, ma la loro muta presenza colorisce e qualifica il dramma che si svolge piú avanti, cosí come il Convitato di pietra per essere muto non resta però estraneo al dramma, che egli condiziona con la sola sua ombra.
Ecco, allora, che nelle pagine dei Quaderni del carcere è una miniera inesausta di spunti e di temi, altamente suggestivi i piú, che Gramsci ha potuto accennare e porre, non svolgere, ma che affascinano oggi il
234 1 documenti del convegno
nostro intelletto, e la cui soluzione potrebbe arricchire la nostra visione della storia letteraria italiana. Si pensi, per un esempio solo, all'attenzione rivolta a certe forme popolari d_ letteratura, quali il romanzo d'appendice 1, la bellettristica 2, e si rifletta come, ancora una volta, la delineazione di un « panorama ideologico n completo, la delineazione di un quadro storico piú ampio e meno convenzionale, l'entrata in scena di nuovi umani interessi, permettano una visione e comprensione piú mature degli stessi aspetti tradizionali: una concezione nuova dell'Ottocento risorgimentale
e un'attenzione alla vita e alla cultura, in esso, delle classi subalterne, permettono di intendere meglio, su uno sfondo piú largo anche la storia
e la cultura borghesi, se è vero che queste vissero non isolate, ma in un vivo continuo ricambio con la vita, la cultura, le lotre delle classi popolari, alla cui attività quella delle classi egemoniche fu spesso una reazione, non comprensibile se non vista in rapporto alle azioni che polemicamente la determinarono.
Lo schema storiografico sotteso alle interpretazioni del De Sanctis era il frutto della storiografia romantica, e poggiava tutto su un conflitto, a volte drammatico, tra età — medioevo, Illuminismo, Romanticismo — nelle quali la letteratura era stata impregnata di serie convinzioni religiose
o civili, ed età — Umanesimo, Rinascimento, e poi via via, Seicento barocco, Arcadia — nelle quali, invece, staccandosi dalla vita reale, era stata mera cultura, o pura arte, o giuoco, per alto ed esperto che fosse.
La critica letteraria successiva ha accolto e, in un certo senso, ha mantenuto fino ad oggi quello schema; ma lo ha progressivamente attenuato, scolorito, smussato; ne ha espunto ogni senso di conflitto o di dramma, e, fattasi tutta tecnica e culturale, svuotata del senso della dialettica, si è sforzata di rivalu.are, per ogni fase storica, gli elementi, che sempre vi sono, di confusa anticipazione del futuro, di stanco proseguimento del passato. Cosí Umanesimo e Rinascimento sono stati da alcuni anticipati di secoli, mentre altri ha sottolineato quanto in essi restava vivo di medievale e cattolico; ma, e dagli uni e dagli altri, sono stati
1 P., p. 32; L. C., pp. 28, 44, 73.
z P., p. 29 sgg.
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svuotati cosí della loro carica polemica, hanno perso significato e colore. Nello stesso modo, i primi secoli della letteratura italiana sono apparsi piú una continuazione in volgare della letteratura latina medievale, che il frutto di una nuova situazione storica e sociale; cosí come il secondo Settecento è stcto ora ritratto verso la prima arcadica metà del secolo, ora rigettato verso l'Ottocento, è apparso ora continuazione dell'Arcadia ora presentimento del Romanticismo (Preromanticismo), senza piú, in alcun caso, quei larghi motivi innovatori che il De Sanctis vi aveva scorti, trutto della nuova cultura illuministica. Voglio dire, insomma, che paral- lelamente alla riduzione della poesia a pura forma, e cioè al suo svuotamento culturale e sociale, si è avuto, per le stesse ragioni, ne fossero o no consci i singoli critici, uno svuotamento dello schema storiografico costruito, sul lavoro dei secoli precedenti, dai romantici. Ed è ovvio: ridotta l'opera d'arte a «poesia » senza un substrato politico-sociale, tutte le opere d'arte diventano piú o meno simili tra loro, senza nemmeno piú differenziazioni profonde di stile.
Gramsci, invece, riintroduce nella critica la considerazione dell'« elemento maschile », cioè della storia, ed ha della storia, marxisticamente, una concezione tutta dialettica e drammatica; ed ecco, allora, che i singoli periodi riacquistano vita e colore, si rifanno individualità concrete, ognuno con caratteristiche sue, anche se in esso sopravvivano residui cul_urali del passato anche se si affaccino le prime anticipazioni del futuro: basti, a chiarire questo senso dialettico e drammatico che il Gramsci ha della poesia, la sua interpretazione di Dante: « il vecchio "uomo ", per il cambiamento, diventa anch'esso "nuovo ", poiché entra in nuovi rapporti, essendo stati quelli primitivi capovolti. Donde il fatto che, prima che il " nuovo uomo " creato positivamente abbia dato poesia, si possa assistere al " canto del cigno" del vecchio uomo rinnovato negativamente; e spesso questo canto del cigno è di mirabile splendore; i1 nuovo vi si unisce al vecchio, le passioni vi si arroventano in modo incomparabile ecc. (Non è forse la Divina Commedia un po' il canto del cigno medievale, che pure anticipa i nuovi tempi e la nuova storia?) » '.
Il Gramsci ritorna cosí allo schema romantico-desanctisiano; ma vi ritorna, s'intende, arricchendolo di quel senso, che abbiamo già fatto
1 L. V. N., p. 11.
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notare, della storia d'Italia quale contrasto e conflitto tra « intellettuali » e « popolo ». I punti sui quali egli ha maggiormente fissato la sua attenzione sono stati perciò l'età comunale, il periodo dell'Umanesimo, del Rinascimento e della Riforma, il Risorgimento; e, al solito, le sue sono non tanto trattazioni argomentate e distese, quanto notazioni fuggevoli e pure organiche, spunti che vanno sistemati e sviluppati.
Le origini sono state cosí legate energicamente al formarsi di una borghesia comunale, mentre la sua concezione, cosí originale, del Comune quale il « governo di una classe economica che non seppe crearsi la propria categoria di intellettuali e quindi esercitare un'egemonia oltre che una dittatura » 1, permette una interpretazione tutta nuova della letteratura dei primi due secoli: mi si permetta citare, quale atto di modestia e pagamento di un debito, le suggestioni che io stesso ne ho tratte per lo studio della poesia didattico-allegorica del Duecento` e per una moderna collocazione storica del Decameron 3, e, meglio, l'aiuto alla delineazione, che si va ora diffondendo, di una « età comunale » che comprenda il Duecento e il Trecento, ponendo luogo al contrasto ormai secolare che fa di questi due secoli ora un proseguimento del Medioevo, ora un'anticipazione dell'Umanesimo.
Piú feconda ancora la concezione bifronte — o meglio: dialettica — dell'Umanesimo e del Rinascimento, quale « l'espressione culturale di un processo storico nel quale si costituisce in Italia una nuova classe intellettuale di portata europea, classe che si divise in due rami: uno esercitò in Italia una funzione cosmopolitica, collegata al Papato e di carattere reazionario, l'altro si formò all'estero, coi fuorusciti politici e religiosi ed esercitò una funzione cosmopolitica progressiva nei diversi paesi in cui si stabilí, o partecipò all'organizzazione degli Stati moderni, come elemento tecnico nella milizia, nella politica, nell'ingegneria ecc. » 4. Il che gli permette, ancora una volta, di ritornare al De Sanctis, ma ad un De Sanctis rinvigorito della sua piú democratica concezione storiografica: «Esso [l'Umanesimo} ebbe il carattere di una restaurazione, ma,
L. C., p. 138; dr. anche I., p. 22 sgg.; P., p. 155; R., pp. 5-10; 18 sgg.; ecc.
2 Poemetti del Duecento, a cura di G. PETRONIO, Torino, 1951.
3 G. PETRONIO, « La posizione del Decameron », in La rassegna della letteratura italiana, a. 61°, s. VII, aprile-giugno 1957.
4 R., p. 15.
Giuseppe Petronio 237
come ogni restaurazione, assimilò e svolse, meglio della Masse rivoluzionaria, che aveva soffocato politicamente, i principi ideologici della classe vinta, che non aveva saputo uscire dai limiti corporativi e crearsi tutte le superstrutture di una società integrale. Solo che questa elaborazione fu " campata in aria ", rimase patrimonio di una casta intellettuale, non ebbe contatto col popolo-nazione. E, quando in Italia il movimento reazionario, di cui l'Umanesimo era stato una premessa necessaria, si sviluppò nella Controriforma, la nuova ideologia fu soffocata anch'essa e gli umanisti (salvo poche eccezioni) dinanzi ai roghi abiurarono » 1: dove le intuizioni della storiografia romantica e desanctisiana sul carattere formale della letteratura rinascimentale trovano una conferma e una spiegazione, e mille fatti rimasti « mitici » diventano « storici », si fanno chiari nel loro significato storico-culturale: valga per tutti il caso-Machiavelli, di cui Gramsci riesce a fissare, forse per primo, il profondo rapporto con la situazione storica italiana ed europea 2.
Lo stesso sguardo educato alla comprensione dialettica della storia ed alla considerazione della parte che in essa hanno avuta le forze subalterne, il Gramsci appunta sul Risorgimento, ed anche qui la visione tradizionale, monarchica e moderata, dell'Ottocento svela la sua faziosa fallacia, ed anche qui Gramsci semina spunti e germi che attendono di essere svolti e sistemati. Se perciò qualcuno ha potuto giustamente parlare della necessità di uno studio del De Sanctis « secondo Gramsci » piuttosto che «secondo Croce », potremmo dire che anche lo schema della letteratura italiana va oggi approfondito, chi voglia rifarlo secondo interessi democratici e moderni, « secondo Gramsci », e non secondo la concezione moderata e liberale di cui il Croce ha dato gli esempi piú alti 3.
1 R., p. 27.
2 Per Umanesimo e Rinascimento cfr. ancora I., p. 36 sgg.; M. S., p. 85 sgg.; per il Machiavelli cfr. soprattutto Mach., p. 3 sgg.; 115 sgg.; 211 sgg.; R., p. 13; L. C., p. 47. Per un esempio recente della fertilità di alcune intuizioni gramsciane sul Rinascimento, oltre ai saggi ben noti di E. Garin, cfr. A. TENENTI, Il senso della morte e l'amore della vita nel Rinascimento, Torino, 1957.
3 Cfr. V. GERRATANA, « De Sanctis-Croce o De Sanctis-Gramsci », in Società, VII, 1952, n. 3, p. 497 sgg. Sul tema di questa comunicazione si possono inoltre consultare utilmente il saggio di C. SALINARI, « Il ritorno di De Sanctis », in Rinascita, IX, 1912, n. 5, con la replica di B. CROCE, « De Sanctis-Gramsci », in Lo spettatore italiano, V, 1952 ,n. 7; e le recensioni di N. SAPEGNO a Letteratura e vita nazionale (in Società, VII, 1951, n. 2) e di E. JACOMELLI, « Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno di A. G. », (ivi, VI, 1950, n. 1).
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Ma vi è ancora di piú. Rinnovare gli schemi estetici indicando un nuovo modo di leggere, rinnovare gli schemi storiografici indicando un punto nuovo di vista, significa aiutare non solo ad una diversa e nuova comprensione dei « contenuti » delle singole specifiche opere d'arte, sib-bene proprio ad una valutazione nuova e diversa delle varie opere d'arte, proprio in quanto opere d'arte, in quanto forma.
Se è vero, infatti, che « nessuna opera d'arte può non avere un con tenuto, cioè non essere legata a un mondo poetico e questo a un mondo intellettuale e morale » 1, e se è vero che forma e contenuto sono due astrazioni, poiché ciò che si dice forma non è che la naturale, organica, necessaria espressione di quel contenuto, sarà vero che ogni conoscenza o valutazione nuova della ideologia di uno scrittore e del posto che gli spetta nella storia, porterà per logica forza di cose ad una valutazione nuova e del suo valore poetico e del carattere della sua poesia, e spiegherà meglio, o in modo diverso, i caratteri formali dell'opera sua. II che significa poi rivalutare la critica letteraria sottraendola all'arbitrio deI gusto individuale per farne, invece, un'espressione delle grandi correnti culturali e ideali.
Cosí gli appunti o spunti sparsi di Gramsci sono assai suggestivi non solo per lo storico letterario, ma anche per il critico autore di monografie (di monografie, però, idealmente sciolte, sempre, in una storia coerente ed organica!), inteso a studiare questo o quello scrittore. Valga qualche esempio a chiarire.
Manzoni interessò Gramsci soprattutto per la parte ch'egli ebbe nella annosa « questione della lingua » e per quanto poteva giovargli a delineare quella storia dei gruppi intellettuali italiani che era tra le sue ambizioni maggiori. Manzoni, cioè, lo interessò soprattutto per la sua posizione ideologica di « moderato » e di cattolico; e per questo egli studiò seriamente l'atteggiamento psicologico dello scrittore nei riguardi dei suoi personaggi « popolani » ed « umili » : « questo atteggiamento è nettamente di casta pur nella sua forma religiosa cattolica; i popolani, per il Manzoni, non hanno " vita interiore ", non hanno personalità morale profonda; essi sono " animali ", e il Manzoni è " benevolo " verso di loro,
1 L. V. N., p. 79.
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proprio della benevolenza di una cattolica società di protezione degli animali... L'atteggiamento del Manzoni verso i suoi popolani è l'atteggiamento della Chiesa cattolica verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di medesimezza umana... » '.
Un tale giudizio può essere accettato o rifiutato; va, a dir meglio, discusso, concretamente, filologicamente, ad accertare se ed entro quale misura sia esatto e rispecchi la mentalità del Manzoni, quale essa ci si manifesta in concreto nei Promessi sposi. Ma qualora esso risulti esatto, in tutto o in gran parte, esso spiana la via ad un nuovo giudizio estetico del romanzo, o, in genere, dell'opera manzoniana: il giudizio che del Manzoni aveva dato il De Sanctis è tutto legato alla sua distinzione tra « liberali » e « moderati » e « democratici », alla sua persuasione, una cinquantina di anni dopo la pubblicazione del romanzo, che occorresse ora assorbire l'ideale nel reale, come stava infatti facendo il nuovo realismo o naturalismo europeo. E da questa sua concezione del rapporto, nei Promessi sposi, tra ideale e reale nacquero tutti i suoi saggi, fino alle piú minute osservazioni puntuali. Piú tardi la critica letteraria italiana, seguendo il processo involutivo della nostra cultura e della nostra società, si sforzò di eliminare il peso del reale nel romanzo per accentuare quello dell'ideale:
« nell'arte del Manzoni — scrisse una volta il Momigliano —l'ideale sovrasta la realtà, la domina e le dà valore, cioè la chiave della sua poesia è in cielo e non in terra » 2.
Accettare invece la posizione di Gramsci significa vedere in modo nuovo il rapporto tra ideale e reale, notare le « notevoli tracce di bre-scianesimo » 3, di spirito aristocratico, di tradizione controriformistica che sono nel libro, e rendersi conto, quindi, della psicologia dei personaggi, del taglio di certe scene (per un esempio, quelle di folla: i tumulti a Milano), dello stile e della lingua, e intendere, quindi, i limiti della Popolarità del romanzo. Non è un caso, perciò, che dalle pagine di Gramsci abbiano preso le mosse le pagine piú nuove e piú notevoli che si sono avute in questi ultimi anni sul Manzoni: da quelle di Natalino Sape-
L. V. N., p. 73.
2 In L'esame, I, 199, pp. 65-6.
3 L. V. N., p. 77.
 
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