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tipologia: Analitici; Id: 1543196


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Tipologia Documento di Convegno
Titolo [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Martano, Il problema della autonomia della filosofia della prassi nel pensiero di A. Gramsci
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Martano, Giuseppe+++
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Giuseppe Martano
IL PROBLEMA DELLA AUTONOMIA DELLA FILOSOFIA
DELLA PRASSI NEL PENSIERO DI A. GRAMSCI
Nella caratterizzazione di una posizione speculativa come « autono- ma » gli osservanti sostenitori di una « tecnica » filosofica tradizionale non possono prescindere dal convincimento che una dottrina debba necessariamente gravitare su di un nucleo di idee nuove o rinnovate, e che su di queste debba svilupparsi un coerente « sistema », la cui legittima candidatura al successo sia garantita dalla ferrea armatura di un apparato logico formalmente privo di contraddizioni.
Non è in questi termini che si pone il problema dell'autonomia della filosofia della prassi, ché in termini siffatti ne sarebbe facile la soluzione con una contestazione di ogni possibilità di farlo. Un rapido excursus sulla visione storica gramsciana renderà ragione della contestazione che agevolmente potrebbero muovere sulla questione dell'autonomia i tradizionalisti della tecnica, ma nello stesso tempo chiarirà i termini nuovi entro i quali il problema viene oggi riproposto.
La nascita della filosofia della prassi ebbe luogo quando il mondo culturale dell'ottocento viveva nel conflitto tra idealismo e positivismo. La filosofia della prassi storicamente si inseriva tra i due fronti della contesa, battendo in breccia da un lato i1 rinnovato teologismo in cui ii nucleo romantico della cultura tedesca era andato classicamente collocandosi per opera di Hegel (e l'arma strappata dalla Sinistra alla scuola fu proprio lo spirito critico ed inimanentistico ispiratore dell'idealismo), dall'altro il dogmatismo della filosofia positiva, della quale però gli he-
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geliani di sinistra apprezzavano il carattere di concretezza che vanta ogni forma di « scientismo » .
Questa posizione iniziale della filosofia della prassi, mentre diventava storicamente operante sul piano degli eventi, speculativamente si prestava a diventare preda del conflitto ideologico che si combatteva sul piano della cultura: sicché la dottrina visse, per dirla con Gramsci, di combinazioni. In un prima momento il trionfo positivistico rese agevole che si attribuisse al marxismo, per il suo rigido economicismo e per quella chiara determinazione (scientifica rispetto all'utopismo filantropico) dei mezzi di lotta, l'etichetta di « materialismo » divenuta via via quasi l'esclusivo segnatalo dell'ortodossia; in un secondo momento l'idealismo fece il suo tentativo di riscatto e di rivendicazione, con una tendenza correttiva dello hegelismo e cioè in direzione antimetafisica ed antiteologiz-zante. L'acuta analisi gramsciana considerò anzi «combinazione piú rilevante » tra le due quella idealistica per « intellettuali puri », mentre la combinazione ortodossa si rivelava piú conforme all'aspettativa di uomini legati all'attività pratica.
La spiegazione del fenomeno è ovviamente intuitiva, se si consideri l'imprescindibilità del legame che col mondo culturale avverte l'intellettuale, e il bisogno che avverte invece l'uomo politico di uno stimolo all'azione: e s'intende facilmente come la filosofia della prassi abbia avvertito l'inderogabile necessità, diagnosticata da Gramsci, di fare i conti con la cultura (filosofia classica tedesca) e con le masse.
Con la cultura la filosofia della prassi non poteva se non storicizzarsi come momenta della vita dell'intelligenza europea, e ricercare le proprie radici nel Rinascimento, nella Riforma, nel calvinismo, nella Rivoluzione francese, nel liberalismo, nello storicismo; con le masse, d'altra parte, non poteva esimersi dal compito di offrire un sistema ben definito di formule rinnovatrici e debellatrici delle forze di conservazione della società borghese.
Siffatta alternativa impediva che la filosofia della prassi indugiasse a fornire in espliciti e ben connessi termini dottrinari le premesse razionali ferme per soddisfare l'intransigente esigenza tecnicistica dei filosofi (di tipo tradizionale) di un orientamento ideale saldo e di un sistema: cosa che, del resto, sarebbe stata in contraddizione col fondamento attivistico della filosofia della prassi, che è dottrina del movimento. In verità sempre la caratterizzazione delle dottrine dei grandi pensatori che ope-
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rano sforzi di sintesi diventa difficile: fu difficile per il bifronte Hegel — insieme tanto romantico e classico, tanto antimetafisico e tanto teologo, — e perciò non sorprende che sia difficile per Marx, che si rivela ora hegeliano, ora feuerbacchiano, ora materialista.
La filosofia della prassi nasce priva di un nucleo speculativo iniziale autonomo; a prima vista pare che la sua dottrina giustapponga spunti di dottrine diverse, e la caratterizzazione piú semplice di essa si pub ottenere definendola una ancora non composta sintesi di idealismo — per il senso dialettico della storia —, di illuminismo — per la nota fondamentale dell'esaltazione dell'individuo in luogo di un astratto Logo agente nella storia —, e di liberalismo economico — per il fondamentale teorema del meccanicismo e dell'automatismo regolatore delle forze economiche, anche se nell'automatismo si è inserito, in un iniquo rapporto uomo-struttura, l'atto umano di arbitrio.
Per il suo programma di sottrarre la storia al dominio della trascendenza e di ricondurla all'azione del protagonista uomo, la filosofia della prassi accentua il motivo critico della lotta alla metafisica, ai metaumano, e orienta i suoi sforzi verso una ricerca di immanenza, integralmente depurata da ogni residuo di trascendenza e di teologia. Ma non assolve tale compito il vecchio individualismo. Tra idealismo e individualismo non c'è possibilità di compromessi: storicismo l'uno e antistoricismo l'altro, dottrina dell'assoluto l'uno, dottrina della singolarità l'altro. Come salvare la storia e porvi « au milieu » la realtà dell'uomo?
Di qui le prime contraddizioni storiche nella dottrina della filosofia della prassi, e di qui gl'interessati « distinguo » tra ideologia e dottrina filosofica: il marxismo, si trovò utile dire, è ideologia rivoluzionaria e non dottrina, quasi che un'ideologia non comportasse, implicita o esplicita, una Weltanschauung.
Contra l'idealismo, la filosofia della prassi negò il concetto dell'uomo in generale, e si volse al dileggio di tutti i concetti unitari (ossia degli « universali »), sottoponendoli proprio alla storicità di ogni concezione del mondo e della vita; ma perciò precisamente si assistette al sorgere di una tendenza della filosofia della prassi al dogmatismo, al suo trasformarsi in « credo » ideologico, addirittura fino a cadere inavvertitamente nelle secche del materialismo, ossia di un'altra forma di metafisica.
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Tutto ciò è l'inevitabile conseguenza di ogni irrilevante sforzo di inalveamento della filosofia della prassi nelle correnti del pensiero tradi- zionale, laddove rilevante rimane il nuovo modo di concepire il mondo e l'uomo, anche se il lavorio di sistemazione non è riuscito ancora a liberarsi dei vecchi schemi di classificazione.
Anzitutto occorre avvertire 1) che la nuova concezione aspira a soddisfare non sdltanto il ristretto mondo intellettuale, ma tende a diventare concezione di popolo, e 2) che perciò in un primo momento la filosofia della prassi non può mirare che a realizzare una coscienza rivoluzionaria nuova piú che a dare a se stessa un fondamento speculativo saldo, effet- tivamente rispondente soltanto al bisogno di appagamento del mondo dei dotti.
Tuttavia a voler fare i conti anche col mondo della cultura, con gli intransigenti giudici che contestano la carenza di una premessa razionale, si deve prima insistere in una chiarificazione storica concreta dei germi impliciti nell'ideologia, poi dimostrare, e 10 faremo da un nostro punto di vista, che recenti orientamenti del pensiero rampollati — sia pure polemicamente — sul tronco del marxismo e respiranti nella nuova atmosfera sembrano dare risposta al problema dell'autonomia speculativa, proprio nel senso prospettato dall'acuta intuizione gramsciana.
Abbiamo detto che lo hegelismo rappresenta solo un passo verso l'immanentismo: ed è vero perché risolve l'antico rapporto tra Dio e natura, tra pensiero e mondo oggettivo, stabilendo l'immanenza del reale nel pensiero, anzi l'identità assoluta. Ma poiché il pensiero, per Hegel, è astratto Logo universale, la trascendenza di esso rispetto alla concretezza dell'autocoscienza, ossia dell'uomo storico, non è chi non veda. E né Spaventa, né Croce, né Gentile, hanno eliminato dalle loro dottrine a programma antiteologizzante un residuo di metafisica e di trascendenza sussistente perfino nell'immediatezza dell'Atto gentiliano.
Di fronte a siffatto fallimento di ogni sforzo critico proteso verso l'immanentismo radicale, il marxismo presentò la sua istanza di costituirsi come dottrina storicistica, ma di tipo umanistico in senso stretto. La sua pretesa debolezza speculativa sarebbe consistita nell'incapacità di offrire una nuova formulazione della dottrina dell'uomo e del rapporto uomo-natura, sul piano di una speculazione che, sbarazzatasi della metafisica, ponesse l'uomo al centro del mondo. L'u uomo in generale », ossia in termini di tecnica filosofica l'uomo astrattamente concepito come univer-
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sale essenza, no; l'uomo concepito, secondo il sensismo e il meccanicismo, come singolare individuo finito, nemmeno. Di qui ancora la contraddir zione, l'incertezza del fondamento speculativo, la deficienza di autonomia, la possibilità di opposte « combinazioni » dottrinarie.
A questo punto insorge la significativa istanza del Gramsci, che trova oggi conferma sempre piú chiara in tendenze del pensiero contemporaneo.
11 Gramsci sente l'esigenza a) di confutare la necessità di inserire la filosofia della prassi nei vecchi filoni della tradizionale metafisica, b) di mantenere vivo il concetto di dialettica, come superamento continuo di posizioni, c) di tentare una fondazione dell'umanesimo su basi e forme diverse dalle antiche.
« La funzione e il significato della dialettica possonoessere concepiti in tutta la loro fondamentalità, solo se la filosofia della prassi è concepita come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale del pensiero, in quanto supera (e supe- rando ne include in sé gli elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali, espressioni delle vecchie società. Se la filosofia della prassi non è pensata che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime... Scissa dalla teoria della storia e della politica, la filosofia non può essere che metafisica, mentre la grande conquista della storia del pensiero moderno, rappresentata dalla filosofia della prassi, è appunto la storicizzazione concreta della filosofia e la sua identificazione con la storia » 1.
Infatti lo spirito critico del pensiero moderno ha combattuto l'antico oggettivismo e le relative posizioni ontologiche, fondate sulla costante aristotelico-tomistica della storia del pensiero. Il trionfo del soggettivismo non ha impedito, però, che lo spirito venisse ugualmente en-tificandosi, e che i1 Soggetto universale venisse fondando una nuova metafisica e una nuova teologia. Prima dell'idealismo tedesco il problema verteva sui rapporti tra natura ed Ente trascendente: i sistemi panteistici, piatti e statici, riducenti la storia ad una pura illusione, avevano élimi-
1 M. S., pp. 132-133.
I documenti del convegno
nato il trascendente rispetto alla natura, ma avevano ricollocato la trascendenza dell'Essere totale nei riguardi dell'uomo. Insomma nell'idealismo l'Assoluto-oggetto è diventato Assoluto-soggetto, sicché nel panlogismo come nel panteismo l'uomo storico è giuoco, maniifestazione, strumento dell'Assoluto.
Contro le due metafisiche combatte, secondo il Gramsci, l'umanesimo della sinistra hegeliana. Ma una fondazione di una teoria dell'uomo come « primum » di ogni filosofare, l'idea di uomo-protagonista della storia, principio dell'azione e dell'essere, non ha avuto un'adeguata sistemazione dottrinaria, e il rapporto uomo-natura è rimasto vago ed incerto, essendo mancata alla filosofia della prassi una non-contraddittoria postulazione teorica: anzi rimanendo per essa condannata la nozione dell'uomo ad essere contesa culturalmente dall'idealismo e dal materialismo, e perciò a persistere, in sostanza, problematica ed ambigua.
Difesa, nel senso di cui sopra, la dialettica, i1 Gramsci intuisce la necessità di fondare teoreticamente la nozione di uomo e del suo rapporto con la natura.
Un significativo nucleo speculativo offre il Gramsci per la fondazione di una dottrina dell'uomo.
Egli comincia anzitutto con l'escludere in maniera assoluta l'identificazione della nozione di uomo con quella di individuo. L'uomo non va concepito come il singolo nel suo « singolo momento », ma « come una serie di rapporti attivi (un processo) in cui se l'individualità ha la massima importanza, non è pero il solo elemento da considerare. L'umanità che si riflette in ogni individualità è composta di diversi elementi: 1) l'individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura r 1.
L'uomo perciò non è personalità se non attinge la coscienza di tali rapporti.
È facile notare qui che l'attingimento della personalità (nel senso gramsciano dell'espressione) denuncia l'errore d'impostazione delle dottrine metafisicizzanti nel senso tradizionale della parola. L'alterità, la trascendenza, la metafisicità, sono condizionate proprio da ogni proposta
1 M. S., p. 28.
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di una teorica dell'uomo come individuo; è la nozione di individuo che pone immediatamente la realtà del metafisico; superata la nozione di individuo e attinta quella di personalità, viene sic et rimpliciter travolta la posizione dualistica individuo-alterità che è alla base delle vecchie metafisiche. In altri termini il rapporto individuo-natura sorge da una precritica (e perciò ancora acritica) contrapposizione di termini che attende un superamento: l'unità personale dell'uno e dell'altro è superamento dialettico della precedente coscienza individualistica, che va considerata come una tappa per il raggiungimento della coscienza personale.
Tale intuizione, che trova conferma nell'emergenza di spunti dottrinari del pensiero contemporaneo perfettamente consoni, ci pare scorgere in alcuni fondamentali pensieri del Gramsci, anche se non rafforzata dalle considerazioni che sulla scorta di lui oggi si possono fare.
Il Gramsci, piú che soffermarsi sulla fondazione filosofica del concetto, preferisce arricchirne l'intuizione di contenuto: si diventa persona dando un indirizzo razionale al proprio individuale impulso vitale, per sua natura arbitrario, e contribuendo a realizzare nel migliore dei modi la volontà razionalizzata. « L'uomo è da concepire come un blocco storico di elementi puramente individuali e soggettivi e di elementi di massa e oggettivi o materiali coi quali l'individuo è in rapporto attivo. Trasformare il mondo esterno, i rapporti generali, significa potenziare se stesso, sviluppare se stesso » 1. Siffatta nozione di persona è enunciata in termini piú eminentemente politici nelle Note sul Machiavelli, quando il Gramsci scrive di uomo-massa e di uomo-colletrivo.
A parer nostro, solo sfuggendo, come voleva Gramsci, alla contesa tra i due indirizzi tradizionali, col ripudio di entrambi, la filosofia della prassi potrà arroccarsi su di una ben piú munita posizione speculativa: precisamente sulla posizione del personalismo contemporaneo.
Il personalismo, pur nella varietà delle sue formulazioni, tende univocamente a lottare (fosse pure, talora, soltanto un punto di partenza!) contro ogni residua forma di teologismo dogmatico, e a cercare il fondamento critico di tutto il reale in un'indagine che non tolleri salti al di là dell'interiorità coscienziale.
1 M. S., p. 35.
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• Si profilò chiaramente un indirizzo in tal senso già nella silenziosa opera di Charles Renòuvier, tendente a sostituire all'io legislatore kantiano la realtà della coscienza di soggetto e oggetto, ossia rapporto, relazione, o meglio ancora realtà della persona che si identifica con la coscienza mediante il superamento del concetto di individualità. Ma si trattò di balenio intuitivo iniziale, se si pensa alla ricaduta finale renouvieriana nella metafisica monadologica.
Piú precisa e scevra da preoccupazioni metafisiche (in quanto fiorita sul tronco del psicologismo brentaniano) sorgeva un'identica istanza nel pensiero di Edmund Husserl, che contro gli idealisti propose la sostituzione dell'io trascendentale col soggetto personale, coscienza concreta. Per Husserl la coscienza è unità di io e mio (ossia insieme di auto-coscienza ed etero-coscienza), e la sua posizione altamente critica sta nell'affermazione che « non si può dire nulla di un ente se non in quanto se ne ha coscienza, giacché la sua esistenza è costituita dalla coscienza stessa ». Ma quando Husserl non sa sottrarsi alla tentazione di una descrizione f e-nomenologica del contenuto coscienziale e riprende l'antico refrain del- l'io persistente nel mutare dei suoi stati, e finisce con lo strappare l'io correlato alla relazione per renderlo capace di descrivere altri io (ancora l'insidia del vecchio pluralismo monadistico!) allora si perde l'occasione di salutare l'avvento di una nuova era speculativa con la davvero piú « rilevante combinazione » possibile tra personalismo husserliano e umanesimo marxista.
Né il concetto scheleriano di persona riesce a sfuggire alla ricaduta nel trascendente.
L'attacco kierkegaardiano non solo alla tradizionale logica astratta ma anche a quella hegeliana del concreto, nella quale l'individuo viene in- ghiottito nell'infinito abisso dell'eternità, rivendica l'individualità esistenziale, rovesciando i termini del movimento eterno-temporale, e, ponendo come prius ònnicondizionante l'individuali à (temporalità), vi include, in una dialettica senza superamento e destinata ad un perenne angoscioso scacco, l'invocazione all'eterno. Non ci pare felice per lo sforzo di salvare il valore della persona questa tesi che pone l'accento sulla individualità invocante. Tale originaria prospettiva inficia tutti gli sforzi in senso personalistico che ha inteso fare l'esistenzialismo: sicché l'anarchismo dell'esistenza singolare esclude ogni piano di sviluppo armonico con l'es-
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sere a noi precluso, e pregiudica definitivamente la possibilità di una « storicizzazione » dell'esistente.
Su di una via piú conforme alla chiara posizione prospettica del Gramsci si è posto il Mounier, in uno scritto, che reca la data del 1934, piú tardi divenuto capitolo del libro Rivoluzione personalistica e comunitaria. È chiaro all'intuito del Mounier che il personalismo non si fonda con un ritorno al tramontato individualismo, e tanto meno con l'esaltazione del superuomo nietzscheano. All'individuo, che è coscienza aggressiva, capricciosa, caparbia, il Mounier oppone la persona che è « dominio, scelta, formazione, conquista di sé » e tutto ciò ha sapore gram-sciano e pare tendere come « direzione di esperienza » alla fondazione nel senso auspicato; ma quando, escludendo la coincidenza di persona e coscienza, il Mounier definisce la persona « un centro invisibile a cui tutto si riporta » ... « ospite segreto dei minimi gesti della mia vita... », che « non può cadere direttamente sotto lo sguardo della mia coscienza », allora un germe metafisico rode il tessuto iniziale, e l'incontro con la tra- scendenza comincia, e diviene palese nella distinzione delle due vie che si aprono — secondo il Mounier — all'uomo, per condurre l'una all'apoteosi della persona eroica, l'altra sugli abissi della Persona autentica.
Ci pare che, se la filosofia della prassi cerca la sua autonomia in una fondazione di una premessa umanistica saldamente ancorata alla legge della dialettica, le sorti dell'impresa, per una precisa indicazione gram-sciana, siano oggi strettamente legate alle sorti dell'altra impresa speculativa: l'autonomia speculativa del personalismo, verso cui stanno tendendo notevoli sforzi del pensiero contemporaneo.
Fondazione della nozione di persona e innesto vivo del ritmo dialettico in essa, eliminandovi la stessa pericolosa distinzione (tra persona e dialettica) e realizzandone invece la perfetta identità: ecco in termini attuali il problema dell'autonomia speculativa della filosofia della prassi, che va sganciata definitivamente dai tentativi di presa dell'idealismo, e, ancor piú, del materialismo.
I problemi del personalismo, proprio nella direzione chiaramente indicata dal Gramsci, possono essere qui oggetto di un fugace cenno. Occorre proporsi di:
a) tentare la caratterizzazione del dato immediato della personalita
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e dimostrare l'irriducibilità di essa (e perciò l'insignificanza e l'infondatezza di un problema della sua origine) ad un acritico dato meta-personale. Identificare la persona con la coscienza (che è insieme, husserlia-namente, coscienza dell'io e dell'altro che è pur « mio »);
b) riconoscere l'impossibilità di definire, mediante la dialettica, la persona, perché la persona è il primum dialettizzante, e non dialettizza-bile per contrapposizione di concetti. Dialettica e persona sono tutt'uno. La persona non è né finita né infinita ma è il centro in cui si dialet-rizzano finito ed infinito, eterno e temporale, singolare e plurale, io e mondo, individualità e universalità. È la stessa intersezione degli opposti la luce in cui la realtà della persona si rivela, è il loro comporsi in sintesi cosciente, i•1 ridiventare tesi di antitesi nuove aspiranti ad una piú alta sintesi cosciente. Della persona non si dà concetto perché concet-tualizzandola la si opporrebbe dialetticamente ad un opposto. La nozione intellettualistica della persona deriva dalla illegittima sua riduzione all'io, con la relativa opposizione del non-io e l'immediata perdita dell'unità sintetica originaria del rapporto. Nello stesso tempo non si deve pensare che la persona vada colta con un atto mistico, perché la distinzione tra intuito immediato ed intellezione riflessa è già essa frutto dell'attività dialettizzante della persona, e non può la persona cogliere se stessa attraverso le forme della sua stessa attività;
c) risolvere nell'unità personale la dialettica necessità-libertà;
d) constatare che l'individualismo sorge proprio quando la persona si puntualizza e si chiude in sé, mentre il portato della fondazione della nozione di persona non potrà essere che il socialismo;
e) proporre una nozione di persona come punto di interferenza di opposti (non di natura ontica, beninteso), rispondendo a coloro che esigono la « sistemazione » che essa non è possibile nei vecchi schemi, perché la vita è dialettica (cioè superamento di quelli) e si ribella alle determinazioni statiche di una logica superata.
La dialettica non può essere della sola materia, ma nemmeno sarà dello astratto pensiero. La dialettica è la legge della coscienza umana, in cui anche un elementare esame psicologico scorge un continuo rinnovarsi di irrequietezze, contrasti, placamenti.
Su tale via ci spinge il limpido presentimento di prospettiva del pensiero di Gramsci, articolantesi proprio sui due cardini della « personalità » e della « dialettica ».
 
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in: Catalogo ISBD(G); Id: 1+++
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Livello Bibliografico Monografia+++
Tipologia testo a stampa
Area del titolo e responsabilità
Titolo della pubblicazione Studi gramsciani
Titoli e responsabilità
Istituto Antonio Gramsci+++   promotore+++    Studi gramsciani   atti del convegno tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958   Primo convegno Internazionale di Studi Gramsciani tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958+++
  • Primo convegno Internazionale di Studi Gramsciani tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958
 
Area della pubblicazione/stampa/distribuzione
Pubblicazione Roma+++ | Editori Riuniti+++ | Anno: 1958
Area riferimenti identificativi
Segnature esterne a KosmosDOC
SBL0494340  OBNCF E+++   
Identificativi nazionali
BIB-codice SBN - Italia IT/ICCU/UBO/3562170 
BIB-codice SBN - Italia IT/ICCU/SBL/0494340 
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BIB-codice SBN - Italia IT/ICCU/LO1/1297041 
BIB-codice SBN - Italia IT/ICCU/BRI/0420839 


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