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tipologia: Analitici; Id: 1543188


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Tipologia Documento di Convegno
Titolo [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] U. Cerroni, Gramsci e il superamento della separazione tra società e Stato
Responsabilità
Cerroni, Umberto+++
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Umberto Cerroni
GRAMSCI E IL SUPERAMENTO DELLA SEPARAZIONE
TRA SOCIETÀ E STATO
La separazione appare come il rapporto normale in questa società.
MARX
Al fondo della opera critica e ricostruttiva di Marx sta una costante istanza unitaria: l'istanza, cioè, mirante ad afferrare nella sua pienezza e totalità l'unità del mondo oggettivo (natura e società) organato secondo leggi che vanno bensí specificandosi socialmente al livello della natura umana, ma che sempre conservano una loro integrale adeguatezza e sufficienza oggettiva. Questa istanza unitaria, in pari tempo ipotesi e sperimentazione, cioè costruzione scientifico-razionale, sta altresí alla base dell'opera programmatica di Marx incardinata sulla necessità storico-teorica di unificare la conoscenza umana in un'unica scienza positiva, capace di escludere ogni apriorismo e ogni deontologia per saldarsi ai criteri univoci della scienza non piú soltanto in relazione alla natura ma anche in relazione alla storia e alla società umana. È però da notare come questa opera di depurazione antimetafisica e antispeculativa non resti confinata nelle sfere della conoscenza, ma si trovi necessariamente ad essere condizionata da una reale trasformazione della società. Per precisare questo condizionamento storico della ricostruzione teorica, che vedremo operante anche in Gramsci, varrà riferire un passo del Capitale che, sebbene attinente specificamente alla religione, ci sembra riferibile nei suoi termini generali all'intera coscienza sociale mistificata della società divisa in classi (coscienza sociale, del resto, che dalla mistificazione speculativa trae una essenziale e indistruttibile analogia con la religione).
106 I documenti del convegno
Il passo di Marx è il seguente: « Il riflesso religioso del mondo reale può scomparire, in genere, soltanto quando i rapporti della vita pratica
quotidiana presentano agli uomini giorno per giorno relazioni chiaramente razionali fra di loro e fra loro e la natura. La figura del processo vitale sociale, cioè, si toglie il suo mistico velo di nebbie soltanto quando sta, come prodotto di uomini liberamente uniti in società, sotto il loro controllo cosciente e condotto secondo un piano » 1. Che l'affermazione di Marx sia riferibile ad ogni aspetto della coscienza sociale pub desumersi in particolare dalla seguente caratterizzazione di tale coscienza sociale: « In genere la riflessione sulle forme della vita umana, e quindi anche l'analisi scientifica di esse, prende una strada opposta allo svolgimento reale. Comincia post festum e quindi parte dai risultati belli e pronti del processo di svolgimento» 2.
Se queste proposizioni sono accolte resta sanzionata sul piano teorico-razionale anche l'istanza di unità tra teoria e pratica, la necessità di trasformare oltre che di conoscere il mondo o, in altri termini, resta provata la priorità dell'elemento materiale oggettivo. E resta in pari tempo fissata nella sua portata storica e teorica la rivoluzione copernicana operata da Marx. E ciò perché viene delineata la necessità scientifica della impostazione critica generale del pensiero marxiano nei confronti delle forme tradizionali della coscienza sociale e non soltanto dei loro metodi e criteri, la necessità scientifica, cioè, della dissoluzione critica non solo della religione, ma anche della economia politica, della politica, del diritto ricondotti nel quadro di quella unica scienza positiva della società già accennata come categorie storiche della coscienza sociale mistificata. In secondo luogo viene razionalmente — scientificamente — motivata la trasformazione reale della società conosciuta con metodo scientifico, cioè secondo le sue leggi naturali-specifiche.
Il programma di costruire una società nuova, radicalmente rivoluzionata e unificata secondo le sue leggi oggettive, in cui « la figura del
processo vitale sociale... sta come prodotto di uomini liberamente uniti in società » s'impone insomma come compito cardinale della stessa riforma intellettuale. Di ciò Gramsci ha piena e articolata consapevo-
K. MARX, Il Capitale, Roma, 1951, vol. I, 1, p. 93.
2 Op. cit., p. 89.
Umberto Cerroni 107
lezza. Basti qui citare i seguenti due passaggi (in polemica con Bukharin):
« La radice di tutti gli errori del Saggio e del suo autore... consiste appunto in questa pretesa di dividere la filosofia della prassi in due parti: una
" sociologia " e una filosofia sistematica. Scissa dalla teoria della storia e della politica, la filosofia non può essere che metafisica, mentre la grande conquista della storia del pensiero moderno, rappresentata dalli filosofia della prassi, è appunto la storicizzazione concreta della filosofia e la sua identificazione con la storia ». E ancora: « La filosofia della prassi è lo " storicismo " assoluto, la mondaniz'a>ione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia. In questa linea è da scavare il filone della nuova concezione del mondo » 1.
Questa coerenza con la impostazione di Marx si svolge in Gramsci anche in relazione all'essenziale problema della concreta ricostruzione della società, imposta come si è detto da una puntuale esigenza scienti-
fica (oltre che storica di classe).
Scrive Gramsci ripetutamente che fine ultimo della rivoluzione comunista è la creazione di una « società regolata » ovvero il « riassorbi-mento della società politica nella società civile » 2. Tralasciando i problemi attinenti alle forme e ai ritmi del processo che a ciò conduce (su cui è ancora illuminante l'analisi di Lenin) preme piuttosto verificare sul piano teorico l'essenzialità di quel « riassorbimento » ai fini già accennati di una ricostruzione unitaria della società umana e della coscienza sociale.
A tal fine appare utile ricordare una acuta polemica di Lenin con Struve circa la natura dello Stato 3. Affermava Struve che la critica marxista dello Stato sarebbe stata «unilaterale » giacché, trascurando il fatto che « lo Stato è prima di tutto organizzazione dell'ordine » , avrebbe pro-
dotto all'estremo la critica dello Stato postulandone la fine — e dimen-
ticato cosí che la sua criticabilità è esclusivamente condizionata dalla struttura economica della società. Sicché — concludeva Struve — essendo tratto caratteristico dello Stato soltanto il potere coercitivo, una volta mutata (rivoluzionata) la struttura economica della società, nulla si oppone.
M. S., pp. 133, 159.
2 Mach., p. 94. Nello stesso vol. vedi anche pp. 128, 130 e 132.
3 Vedi V. I. LENIN, Il contenuto economico del populismo in Opere, Roma, 1954, vol. I, pp. 431-432.
108 I documenti del convegno
alla persistenza di tale potere, cioè dello Stato. A Struve, Lenin obiettava che il potere coercitivo non può essere assunto come tratto caratteristico essenziale dello Stato; « il potere coercitivo esiste in qualsiasi convivenza umana, nel sistema gentilizio come nella famiglia, ma là lo Stato non c'era » 1. In che cosa dunque consiste il « tratto caratteristico dello Stato » ? Citando Engels, Lenin ricordava a Struve che « uno dei caratteri distintivi essenziali dello Stato... consiste in un potere pubblico distinto dalla massa del popolo » . E, dopo aver esemplificato con Engels a proposito della nascita di un « potere pubblico » in seno alla società gentilizia (nascita che appunto intaccò sostanzialmente la specificità di tale società), concludeva affermando che « la caratteristica dello Stato è l'esistenza di una particolare classe di persone nelle cui mani si concentra il potere ». E specificava ulteriormente: « Nessuno, naturalmente, potrebbe chiamare Stato una comunità in cui " l'organizzazione dell'ordine " sia diretta a turno da tutti i suoi membri ».
Questa citazione di Lenin serve a precisare come e perché nel pensiero marxista la critica dello Stato (inteso non come potere coercitivo, ma come separazione della « organizzazione dell'ordine » dalla totalità del popolo, dalla società) assuma posto essenziale. E serve altresí a documentare come Gramsci, anche a questo proposito, sia strettamente coerente alla impostazione di Marx e Lenin. Come Marx e Lenin, infatti, Gramsci avverte che « solo il gruppo sociale che pone la fine dello Stato e di se stesso come fine da raggiungere, può creare uno Stato etico, tendente a porre fine alle divisioni interne di dominanti e dominati ecc., e a creare un organismo sociale unitario tecnico-morale » 2. Di piú: soltanto partendo dalla precisazione di Lenin circa la natura dello Stato se ne può intendere il condizionamento economico di classe che non discende già (soltanto) dalla deliberata volontà del gruppo dominante di opprimere, ma proprio dalla sostanziale e strutturale caratteristica dello Stato come risultanza necessaria della divisione della società in classi. Soltanto cosí, cioè, si può evitare l'errore soggettivistico — che non fu evitato, per esempio, dal Vyscinski — di concepire il condizionamento di classe
1 Struve, a sostegno della sua tesi, aveva affermato appunto che anche il sistema gentilizio conosceva lo Stato, che lo Stato, dunque, rimane anche quando vengono eliminate le dassi (cioè nel comunismo).
2 Mach., p. 128.
Umberto Cerroni 109
dello Stato e del diritto come derivante dalla volontà del gruppo dominante 1. E, finalmente, soltanto cosí si può preservare l'integrità rivoluzionaria della critica marxista allo Stato borghese moderno ove la separazione tra potere pubblico e popolo non può essere sanata se non dalla totale trasformazione delle strutture economiche e della stessa « macchina statale ». Con le parole di Gramsci si può altrimenti dire che senza un riassorbimento (sia pure graduale) del potere politico nella società dei produttori la trasformazione radicale dello Stato borghese non è possibile. Piú in generale — e in termini politici — non è possibile risolvere l'antinomia della società borghese moderna senza sopprimerla con un integrale rivoluzionamento delle sue strutture economiche e politiche.
Ma vediamo di approfondire ulteriormente il problema del superamento della separazione tra Stato e società, in cui abbiamo visto riposare una caratteristica generale della società divisa in classi. L'analisi di Marx ha lucidamente dimostrato, in polemica con Hegel e poi con Proudhon e la socialdemocrazia di destra, che quella separazione scaturisce
1 Esaurire nella volontà della classe dominante la struttura oppressiva dello Stato, mentre chiaramente riproduce una concezione idealistica-volontaristica dello Stato, riconduce a quella « superstizione politica » da cui metteva in guardia Marx : « Solo la superstizione politica immagina ancora oggi che la vita civile debba essere tenuta insieme dallo Stato, mentre, al contrario, è lo Stato, in realtà, che è tenuto insieme dalla vita civile » (K. MARX, La Sacra famiglia, Roma, Ed. Rinascita, 1954, p. 131). Di piú, riducendo alla volontà oppressiva della classe dominante la natura oppressiva dello Stato si scivola necessariamente nella vecchia teoria della violenza criticata da Marx, Engels e Lenin anche in sede politica. Naturalmente quella volontà esiste, solo che essa si trova a poter operare come oppressiva in forza di un processo storico-sociale che genera lo Stato come « comunità illusoria », cioè come parte (classe) che opera illusoriamente per tutta la società. Su un altro piano, in relazione cioè al diritto, viene ancora piú nettamente rilevata la necessità di evitare questa soluzione volontaristica. Vyscinski, che pure aveva affermato « non l'arbitrio, ma lo stato delle forze produttive genera il diritto e la legge» (dr. Voprosy teorii gosudarstva % prava, Moskva, Gosinrizdat, 1949, p. 21) esaurendo il diritto nella « norma » esprimente la volontà della classe dominante, trascurò proprio di stabilire un durevole collegamento tra quella norma e il rapporto reale che fornisce ad essa la materia su cui deve pronunciarsi: tutto tornava così a ridursi all'analisi della volontà della classe, quindi alla identificazione dei connotati di classe della norma, senza che prendesse slancio la ricerca scientifica capace di saldare la norma alla realtà, di ritrovare in definitiva nella struttura economica l'anatomia del diritto. Una ricerca del genere (sia pure limitata da una scarsa considerazione del momento normativo-statuale) avviarono invece altri due giuristi sovietici, Stucka e Pasciukanis.
110 I documenti del convegno
necessariamente e naturalmente dal processo di sviluppo economico, cioè dalla divisione del lavoro e conseguente privatizzazione dei prodotti del lavoro, dalla frantumazione, insomma, dell'organismo lavorativo umano atomizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. L'esigenza naturale di quella unità dell'organismo lavorativo viene cosí a imporsi « alle spalle dei produttori » conferendo a tutto il processo economico carattere cieco e caotico, spezzandolo nella antinomia tra interesse particolare e interesse generale, tra privato e pubblico, e affidando la necessaria mediazione allo Stato divenuto « illusorio interesse generale » in quanto nesso sociale ipostatizzato, entificato. L'universale umano, inglobato nella mediazione interindividuale o generica del lavoro, si fa per sé stante spezzando in concreto l'unità naturale del genere, con ciò stesso costruendosi soltanto come falsa mediazione, come arbitraria universalizzazione di una parte soltanto della società (la classe dominante).
Se è vero che questa origine del potere politico non dipende dalla volontà di una classe, ma dal processo storico-economico reale, ben si comprende che la critica dello Stato non può esaurirsi nella critica della volontà di classe che lo anima: deve svolgersi come radicale critica del processo di separazione dello Stato dalla società. E se questa critica, poi, vuole divenire effettivamente incisiva sulla realtà dovrà tradursi, come lucidamente vide Gramsci, nella costruzione di « un nuovo ordine sulla base del quale sia resa impossibile l'esistenza della società divisa in classi e il cui sviluppo sistematico tenda perciò a coincidere con un processo di esaurimento del potere di Stato, con un dissolversi sistematico dell'organizzazione politica di difesa della classe proletaria che si dissolve come classe per diventare l'umanità » 1. Un tale ordine appare logicamente possibile soltanto mediante una radicale riforma della società che possa « realizzare l'unità della classe lavoratrice al di sopra delle categorie determinate dalla divisione del lavoro » 2. Con eguale acutezza Gramsci vide altresí la profonda tendenziale trasformazione che nella nuova società vivrà lo stesso ordinamento giuridico, il cui fine sarà di realizzare le condizioni stesse del suo esaurimento. Lo Stato nuovo avrà infatti non già « un diritto costituzionale del tipo tradizionale, ma solo
1 0. N., p. 136.
2 0. N., p. 29. Ma vedi anche p. 95.
T
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un sistema di principi che affermano come fine dello Stato la sua propria fine, il suo proprio sparire, cioè il riassorbimento della società politica nella società civile » 1.
Se si tiene presente la somma di indicazioni date da Marx a questo proposito, si vedrà agevolmente come la nuova società esaurirà con una critica reale le altre forme tradizionali della coscienza sociale; e non solo la religione, ma anche la filosofia (integralmente ridotta a metodo scientifico dell'analisi storica e logica) e la stessa politica che gradualmente si esaurirà nello « autogoverno della società » . E cid non già per artificiosa soppressione della vita politica, ma anzi per un suo generale potenziamento, per un processo cioè di generale immissione di tutto il popolo all'esercizio diretto della sovranità, reso ormai possibile proprio dal processo economico che, dissolvendo i fondamenti stessi della divisione in classi (divisione del lavoro, appropriazione privata, contrapposizione tra lavoro privato e lavorò sociale ecc.), aprirà necessariamente le porte al riassorbimento del potere politico nella società dei produttori.
A questo punto emergono due elementi che possono motivare plausibilmente l'affermazione della superiorità umana della nuova società. In primo luogo, in forza di un processo economico irrevocabile, la fine della divisione in classi comporta la fine della ineguaglianza reale degli uomini. In secondo luogo si esaurisce nella sua motivazione storico-economica la esistenza della eguaglianza soltanto formale (giuridica) degli uomini. Piú precisamente scompare il terreno stesso che postulò — come positivo progresso storico — l'eguaglianza politico-giuridica degli uomini. Tale eguaglianza, nata dalla soppressione del privilegio feudale cui si contrappone il diritto della società borghese, è sostanzialmente « l'astrazione dalla società civile, dalla sua condizione reale » resa possibile e necessaria dalla astrattezza stessa del lavoro nella società mercantile-capitalistica (ove il valore sovrasta sul valore d'uso).
Quando Gramsci delinea i tratti caratteristici del nuovo Stato socialista (di transizione) pone sempre l'accento sul concetto di « autogoverno delle masse » proprio per sottolineare la fine dell'antagonismo tra pubblico e privato, il progressivo riassorbimento delle funzioni politiche nelle funzioni sociali. Egli scrive per esempio: « Il tipo di Stato proletario
1 Mach., p. 94.
112 1 documenti del convegno
non è la falsa democrazia borghese... ma la democrazia proletaria che realizzerà la libertà delle masse lavoratrici; non il parlamentarismo, ma l'autogoverno delle masse attraverso i propri organi elettivi; non la burocrazia di carriera, ma organi amministrativi creati dalle masse stesse, con la partecipazione reale delle masse all'amministrazione del paese e all'opera socialista di costruzione ». Di piú. Si ripete in Gramsci una prospettiva che Marx stesso aveva appena accennato quando nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico affermava che « in uno Stato razionale conviene piuttosto •far l'esame per diventare calzolaio che funzionario esecutivo dello Stato », che cioè si deve ridurre la funzione politica a funzione sociale. Ora, in una bellissima nota dell'Ordine Nuovo Gramsci, sia pure di passaggio soltanto, vede lucidamente lo stesso problema quando rileva (a proposito della censura) che nella società odierna « l'impiegato dello Stato è un mezzo, non è un'attività... È una satrapia, non è una funzione » 1. E si tratta invece proprio di ridurre il mezzo ad attività, la carica a funzione. E ancora: « A differenza dello Stato borghese che è tanto piú forte all'interno e all'esterno quanto meno i cittadini controllano e seguono l'attività dei poteri, lo Stato socialista domanda la partecipazione attiva e permanente dei compagni alla vita delle sue istituzioni ». Concetto, questo, che si trova quasi identico in Lenin: « L'ulteriore sviluppo dell'organizzazione sovietica dello Stato deve consistere in ciò che ogni membro del Soviet debba partecipare permanentemente all'amministrazione dello Stato oltre che alle assemblee dei Soviet; e inoltre deve consistere in ciò che la popolazione venga spinta in massa e gradualmente sia a partecipare alla organizzazione sovietica, sia ad assumersi la responsabilità dell'amministrazione statale » ~.
È infine utile segnalare due conseguenze che ci sembrano discendere da quanto è stato esposto. Oltre, infatti, a permettere una connessione organica tra rapporti di produzione e istituzioni politico-giuridiche e a porre in luce la realizzazione pratica della critica teorica alla società divisa in classi, la prospettiva che abbiamo cercato di inquadrare consente di riproporre la distinzione tra la teoria marxista dello Stato e due concezioni che rischiano di riemergere al di sotto di essa. Alludiamo
O. N., p. 441.
2 V. I. LENIN, Opere, ed. russa, vol. XXVII, pp. 129-130.
Umberto Cerroni 113
alla « teoria della violenza » (nelle varianti blanquista e soreliana) e all'anarchismo, contro cui i teorici del marxismo si sono nettamente pronunciati.
Circa la « teoria della violenza » occorre dire che, pur profondamente estranea al marxismo, essa rischia di riaffiorare ove venga perduto di vista il collegamento genetico tra le forme storiche dei rapporti di produzione e le istituzioni politico-giuridiche, le quali vengono ad essere unilateralmente considerate come elementi « sovrastrutturali », ideologici e quindi esclusivamente connessi con la « volontà di classe ». I pericoli sono particolarmente evidenti sul piano della teoria del diritto. Qui infatti si apre la possibilità di considerare il diritto soltanto come « volontà della classe dominante trasposta in legge », formula che fu bens' usata da Marx ma con allusione alla sola norma. Ché infatti è sempre presente 'in Marx (e in Lenin) il concetto della duplice composizione del diritto (come rapporto e poi come norma) 1. Ne consegue, inoltre, fatalmente un appiattimento del diritto nella politica, una esclusiva considerazione del momento coercitivo del diritto (come Gramsci acutamente vide) e non anche la sua adeguatezza ai rapporti di produzione. Cosí, ad esempio, può accadere che la critica del diritto borghese contemporaneo venga prevalentemente limitata alla « violazione della legalità borghese » e non estesa invece alla sua stessa natura di « norma eguale per condizioni diseguali » (Marx).
Per quanto riguarda l'anarchismo, egualmente esso rischia di riaffiorare ove vengano trascurati i fondamenti storici determinati di ogni organismo statuale e giuridico, la loro relatività e dipendenza dai rapporti di produzione. In questo caso la critica dello Stato e del diritto torna ad esercitarsi su quei concetti di « Stato in generale » e di « diritto in generale » che arbitrariamente trascendono le categorie storiche determinate. Lucidissimo, in proposito, è il pensiero di Gramsci il quale
« La legislazione sia politica che civile - scrive per esempio Marx non fa che pronunciare, che verbalizzare la volontà dei rapporti economici » (Miseria della filosofia, Roma, Ed. Rinascita, 1949, p. 68). E ancora, esplicitamente contro la riduzione del diritto a norma : « tutte le istituzioni di carattere collettivo vengono mediate dallo Stato e ricevono una forma politica. Di qui l'illusione che la legge riposi sulla volontà, ed invero sulla volontà libera, avulsa dalla sua base reale. Del pari il diritto viene allora ridotto alla semplice legge » (Ideologia tedesca, Milano, Ed. IEI, 1947, p. 132).
114 I documenti del convegno
definí l'anarchismo come « la coscienza sovversiva elementare di ogni classe oppressa » e in pari tempo « la coscienza diffusa di ogni classe dominante » . « Poiché — spiega Gramsci — ogni oppressione di classe ha preso forma in uno Stato, l'anarchismo è la concezione sovversiva elementare che pone nello Stato in sé e per sé la cagione di tutte le miserie della classe oppressa. Ogni classe diventando dominante ha realizzato la propria concezione anarchica, perché ha realizzato la propria libertà ». L'anarchismo, insomma, è « la concezione " marginale " di ogni classe oppressa » sicché « il borghese ridiventerà anarchico dopo la rivoluzione proletaria... si accorgerà nuovamente dell'esistenza di uno Stato... » . II nuovo Stato socialista sarà dunque quella « fase della lotta di classe, fase suprema, in cui il proletariato ha il sopravvento come forza politica organizzata » , lo Stato « che viene usato dalla classe operaia e dai contadini per garantire la propria libertà di sviluppo, per eliminare completamente la borghesia dalia storia, per consolidare le condizioni materiali in cui nessuna oppressione di classi può ancora determinarsi » j. Sarà, insomma, lo Stato di transizione, di cui parlava Lenin, verso il comunismo ove « ogni problema e bisogno è pubblico, deve essere risolto socialmente dal piú limitato al piú universale, gradualmente », ove cessa, cioè, per storico esaurimento dei suoi presupposti materiali, la scissione tra individuo e società, tra Stato e società: « La differenza essenziale tra il regime capitalista e il comunismo consiste appunto in ciò: nell'essere il regime capitalista fondato sull'individuo-cittadino in latta con lo Stato e quindi con la società, mentre i1 comunismo avrà per base cellule già organiche di compagni solidali, i quali risolvono i loro problemi e soddisfano i loro bisogni non singolarmente, in lotta gli uni contro gli altri, come problemi e bisogni privati, ma nella sfera sociale della comunità » 2. II comunismo, dunque, si prospetta come quella condizione necessaria per la realizzazione integrale della critica marxista (o se si vuole della filosofia), per la ricostruzione unitaria, insomma, del genere umano sotto il profilo del lavoro e del pensiero.
O. N., pp. 398-399. 2 O. N., pp. 442-443.
 
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Titolo della pubblicazione Studi gramsciani
Titoli e responsabilità
Istituto Antonio Gramsci+++   promotore+++    Studi gramsciani   atti del convegno tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958   Primo convegno Internazionale di Studi Gramsciani tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958+++
  • Primo convegno Internazionale di Studi Gramsciani tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958
 
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Pubblicazione Roma+++ | Editori Riuniti+++ | Anno: 1958
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