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tipologia: Analitici; Id: 1543116


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Tipologia Periodico
Titolo Giuseppe di Vittorio, Premesse della unità del movimento sindacale
Responsabilità
Giuseppe Di Vittorio+++
  • Di Vittorio, Giuseppe ; ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
LA RINASCITA 3
Premesse della unità del movimento sindacale
Per valutare esattamente la portata politica
e storica dell'unità sindacale raggiunta in Italia, sulla base del Patto di Roma, mediante la costituzione dell'unica Confederazione Generale Italiana del Lavoro, è neeessario ricordare la situazione sindacale preesistente al fascismo
e che non era, naturalmente, che uno dei riflessi della situazione politica generale del paese, nella quale fu possibile al faseismo la conquista del potere, malgrado l'opposizione decisa della classe operaia e della grande maggioranza del popolo. Bisogna richiamarsi alla situazione prefascista perchè è certo ehe essa, nelle sue grandi linee, si sarebbe riprodotta quasi automaticamente, nel campo sindacale, se non ci fosse stato il Patto unitario di Roma; come lo ha confermato ciò ehe è avvenuto nelle prime regioni liberate "del Mezzogiorno, dove con la rinascita dei Sindacati liberi sorsero due Confederazioni, una rossa e una bianca.
Riferendoci alla divisione sindacale del pe-
riodo prefascista, non teniamo eonto delle scis-
sioni secondarie che si verificarono nell'ambito
del movimento sindacale che possiamo generi-
camente definire rosso, come la scissione anar-
co-sindacalista, l'autonomismo del Sindacato
Ferrovieri e di altre Federazioni e Camere del
Lavoro. Queste scissioni, secondarie nello stesso
campo classista, avevano il carattere d'opposizione all'indirizzo riformista e accentratore della vecchia Confederazione Generale del Lavoro: opposizione che avrebbe potuto (e dovuto) esercitarsi all'interno della stessa Confederazione, attorno alla quale tutti i Sindaeati elassisti, secessionisti od autonomi, non cessavano di gravitare. Del resto, queste scissioni erano, sotto certi aspetti, una espressione della crisi di sviluppo del movimento operaio e socialista moderno ed erano tutte in corso di superamento, giacchè la vecchia Confederazione Generale del Lavoro, tra il 1921 e il 1923, andava gradualmente riassorbendo tutti i Sindacati e parti di essi che se n'erano staeeati in precedenza.
La vera e profonda divisione sindacale, quella che ebbe le più gravi conseguenze per tutti i lavoratori — e che avrebbe potuto averne ancora, e di più gravi — era quella ehe divideva i lavoratori organizzati in due campi distinti e perciò inevitabilmente in lotta tra loro: il campo dei Sindacati rossi (fondamentalmente delle correnti comunista e socialista) e il campo bianco dei Sindacati cattoliei. Era questa, dunque, la divisione fondamentale che bisognava superare ed eliminare, se si voleva veramente realizzare l'unità sindacale in Italia. E questo risultato fu raggiunto col Patto di Roma. Ma, per far sì che questo risultato sia duraturo, è anehe necessario scoprire le cause della profonda lacerazione che si era prodotta nel campo del lavoro, per vedere se ed in quale misura esse sono state superate, per cui il perpetuarsi della Iacerazione stessa sarebbe stato l'effetto di un puro mimetismo, privo di ragioni oggettive.
Quali furono, dunque, le cause determinanti d'una scissione sindacale a base religiosa, in un paese come il nostro, dove non c'è stata nè ci può essere lotta di religioni? Noi crediamo di ricercarle nell'ambiente storico particolare in eui sorse e si andò sviluppando il movimento operaio in Italia.
E' noto che, in ragione del ritardo con cui sorse e si sviluppò l'industria in Italia, anche il movimento operaio moderno sorse naturalmente in ritardo rispetto ad altri paesi. Ma se vogliamo riportarci alle prime origini del movimento operaio italiano, dobbiamo risalire alle Società Operaie di Mutuo Soccorso, che sorsero nel periodo del Risorgimento e sotto l'impulso di quel primo movimento di riscossa nazionale, dal quale esse ricevettero un'impronta particolare. Infatti, la prima Società Operaia italiana sorse a Torino proprio nella fase dei più ardenti entusiasmi popolari del 1848, ad iniziativa dell'operaio tipografo Vincenzo Stef-fenone. E questa esordi nella sua attività con tendenze sindacali molto più spiccate delle consorelle che sorsero più tardi, essendo riuscita, nello stesso anno .della sua nascita, a concordare un vero e proprio contratto collettivo di lavoro (una « tariffa »), che risulta essere il primo contratto del genere stipulato in Italia.
Ben presto altre Società consimili sorsero nello Stato ligure-piemontese nel quale, — data la funzione storica che il Piemonte si era assunta, — le condizioni oggettive erano più favorevoli al sorgere di organizzazioni popolari ed operaie. In effetto, al I Congresso Operaio Italiano, ch'ebbe luogo ad Asti nel 1853, parteciparono ben 30 Società Operaie del Piemonte e della Liguria. In seguito, specialmente dopo la• guerra del 1859, nella misura stessa in cui si sviluppava il processo di unificazione nazionale e si realizzavano, quindi, condizioni di maggiore libertà, sorgevano e si moltiplicavano le Società Operaie, di categoria e generali, anche in altre regioni d'Italia. Tanto che, nel 1867, si contavano già 537 Società Operaie ed il loro numero salì ad oltre 900 nel 1870.
In origine, queste Società non avevano quasi nulla del Sindacato. Erano delle Società Operaie e patriottiche di mutuo soccorso, senza contorni più definiti.. Ma non v'è dubbio che attraverso queste sue Società, la classe operaia faceva i primi timidi passi per differenziarsi dalle altre classi e tendeva a portare un proprio contributo alla rivoluzione nazionale ed a dare una propria interpretazione alla parola libertà, da tutti acclamata — allora come ora — ma alla quale gli operai davano — e danno anche ora — un contenuto più concreto di giustizia sociale, ehe invece era ed è tuttora temuto e combattuto aspramente dai ceti reazionari, per i quali la parola libertà non ha mai avuto, e non avrà mai, altro significato che quello di riconoscere ad essi la libertà di aff a-
4 LA RINASCITA
mare il popolo per moltiplicare le proprie ricchezze. Queste tendenze della classe operaia si esprimevano col suo schieramento all'estrema sinistra del movimento nazionale. Quasi tutte le Società Operaie avevano acclamato a proprio Presidente onorario l'eroe del. Risorgimento che più di ogni altro simboleggiava le speranze e le aspirazioni sociali delle masse popolari: Garibaldi.
E poiché l'esistenza, allora, della « questione romana », aveva dato a tutto il movimento del Risorgimento un'impronta nettamente anticlericale (nonostante l'effimero successo ch'ebbe la prima fase della politica di Pio IX), era naturale e inevitabile che anche le Società Operaie ricevessero e portassero per lungo tempo la stessa impronta anticlericale, sia nel periodo in cui esse furono influenzate direttamente dal Mazzini, sia nei periodi suecessivi in cui furono influenzate dal Bakunin e poi penetrate dai primi rudimenti dell'ideologia marxista.
Ora, il movimento sindacale moderno sorse in Italia appunto sulla base delle antiche Società Operaie. Si ricorderà, infatti, che fu il Congresso Nazionale delle Società Operaie di Milano (il 2 e 3 agosto 1891), che lanciò ai lavoratori italiani la parola d'ordine di organizzarsi in Sindacati e in Camere del Lavoro, come unico mezzo di autodifesa collettiva contro l'eccessivo sfruttamento padronale. Noi possiamo considerare quel congresso come l'atto di nascita ufficiale del nostro movimento sindacale organizzato su scala nazionale. Sorto sul troncone delle vecchie Società Operaie, poteva il movimento sindacale italiano non ereditare da esse una spiecata impronta anticlerieale? Il fatto è ehe questa impronta fu ereditata e si andò poi aecentuando quando i cattolici tentarono di ostacolarne la marcia. Per i cattoliei, contrastare il cammino ascensionale del movimento operaio, con la sua impronta anticlericale e socialista, fu uno degli aspetti principali della loro lotta contro il dilagare dell'anticlericalismo. Per i cattolici militanti di parte popolare e democratica, quindi, si poneva questo dilemma: o rimanere ostili al movimento operaio e confinarsi nella stessa trineea coi ceti padronali e aristocratici retrivi e reazionari, accampati come nemici del popolo e del progresso, oppure dar vita a un proprio movimento sindacale che conciliasse la difesa delle giuste rivendicazioni dei lavoratori con le proprie convinzioni religiose. Naturalmente, lo stesso dilemma si poneva alla Chiesa cattolica come tale e su un piano molto più generale.
Per- l'a Chiesa cattolica un'opposizione esclusivamente negativa al movimento operaio e socialista racchiudeva il rischio di diventare e di apparire alla coscienza di milioni di lavoratori, come la chiesa dei ricchi e come strumento della lotta di questi contro i poveri. Il che avrebbe determinato un crollo della sua influenza sulle grandi masse popolari. Anche la Chiesa come tale, dunque, aveva interesse a dar vita a un proprio movimento sociale e sindacale. Fu in queste particolari condizioni storiche che sorse il movimento sindacale cattolico, mentre appare ovvio che, se il movimento sindacale preesistente non avesse avuto la spiccata impronta anticlericale di cui abbiamo parlato, tanto la Chiesa quanto i singoli cattolici militanti di parte popolare e democratica, avrebbero avuto più grande interesse — dal punto di vista della difesa della religione — di far parte di quel movimento, anziché formarne uno proprio, secessionista, che limitava la loro sfera d'azione e soprattutto d'influenza. E questo, -- cioè, il mantenere un movimento sindacale unito, — era ed è tuttora il più grande interesse di tutti i lavoratori.
Ma il sorgere del movimento sindacale cattolico suseitò le più cupide speranze nei circoli padronali e reazionari d'ogni risma — clericali e anticlericali — i quali seorgevano in esso l'antidoto del movimento operaio, lo strumento destinato ad arrestarne la marcia. Perciò i circoli reazionari fecero sempre del loro meglio per approfondire la divisione dei lavoratori in rossi e bianchi, e gridavano allo « scandalo ogni volta che un Sindacato cattolico concordava e svolgeva un'azione comune con un Sin- dacato classista. Non è per caso, nè per motivi etici e religiosi, che ancora oggi il Risorgimento Liberale definisce aberrante ed antina-turale l'unità sindacale fra la corrente cattolica e quella comunista e socialista. Il fatto è che i padroni — cattolici o massoni — sono stati sempre uniti nella stessa organizzazione, senza ehe nessun Risorgimento Liberale se ne scandalizzasse. Non si capisce perché dovrebbero scandalizzarsi - i lavoratori della propria unità! Ed essi se ne scandalizzano così poco, che l'hanno rapidamente realizzata in tutte le ' province dell'Italia liberata, senza nessuna eccezione.
Gli è che i motivi storici che determinarono l'orientamento anticlericale del movimento sin-
dacale italiano, e quindi resero inevitabile
la naseita d'un sindacalismo particolare cattolico, — sono stati completamente superati. La divisione sindacale, nell'attuale situazione dell'Italia, non avrebbe nessun motivo valido, nessuna base obiettiva. Essa non potrebbe essere desiderata e provocata che dai padroni più esosi e reazionari, i quali vedono nella divisione dei lavoràtori la principale possibilità di batterli tutti.
La stessa Chiesa cattolica, per le sue finalità religiose, non avrebbe' nessuna convenienza a sollecitare la rinascita d'un movimento sindacale particolarista cattolico (anche sotto forma di Associazioni professionali) perchè non avrebbe nessun interesse a spingere altre correnti a fare lo stesso, a provocare quindi una scissione sindacale di fatto ed a riaccendere per questa via i focolai spenti dell'anticlericalismo tradizionale.
Intanto, quale ampiezza assunse il vecchio movimento sindacale cattolico? Quali vicende caratterizzarono il suo sviluppo?
Certuni dei militanti sindacali cattolici fanno risalire la nascita del loro movimento ad un Congresso cattolico tenuto nel 1894, nel qua-
LA RINASCITA 5
le furono elaborate ed emanate per la prima volta alcune norme d'azione social e sindacale, ispirate ai principi della famosa enciclica Rerum Novarum. Basandosi sulla logica cristiana, intesa in un senso angusto e formale, secondo la quale anche padroni ed operai sono fratelli (e quindi debbono collaborare e non lottare tra di loro) l'accennato congresso stabilì di contrapporre ai Sindacati di classe dei Sindaeati cattolici misti, nei quali avrebbero dovuto organzzarsi assieme padroni e lavoratori. Ma la realtà dei fatti non tardò ad aver ragione della logica formale. Infatti, un successivo congresso cristiano-sociale, che si tenne a Bologna nel 1903, dovette costatare il fallimento del tentativo di formare dei Sindacati misti di padroni e lavoratori, e decidere la costituzione di Sindacati di tipo classista, composti, cioè, esclusivamente di lavoratori (1). E' da quell'anno che data la ,ereazione dei primi Sindaeati operai cattolici.
Questo movimento, per quanto sostenuto attivamente dai parroei, si sviluppò assai stentatamente, nonostante che nel campo puramente religioso la Chiesa cattolica non avesse nessun rivale in Italia. Infatti, solamente nel 1911 fu costituito un primo organismo nazionale cattolico di carattere sindacale, denominato « Unione economico-sociale dei Cattolici a, che dichiarava di contare 104.164 aderenti, in grande parte contadini.
L'eccessiva lentezza con cui si sviluppava in quegli anni il movimento sindaeale cattolico, non era dovuta soltanto alla grande popolarità che si erano già conquistata i preesistenti Sindacati rossi, con le clamorose vittorie ch'essi avevano riportate, riuscendo a strappare ai padroni e allo Stato dei miglioramenti economici e morali molto notevoli, in favore di tutti i lavoratori. Quella lentezza era soprattutto dovuta al fatto che l'azione sirdacale dei cattolici era, in quell'epoca, troppo timida, troppo impregnata della concezione corporativa e collaborazionista che aveva condotto il movimento sociale-eattolico al fallimento dei sindacati misti; era ancora — crediamo noi — troppo direttamente controllata e frenata da veseovi e prelati conservatori, influenzati a lor volta da circoli padronali. E ciò mentre i lavoratori, compresi i lavoratori cattolici militanti, erano costretti a constatare che solamene con l'azione collettiva più energica i Sindacati riuscivano a piegare la protervia dei padroni ed a conquistare le loro giuste rivendicazioni.
Una conferma di quanto abbiamo asserito crediamo di ,trovarla nello sviluppo impetuoso che lo stesso movimento sindacale cattolico ebbe dal 1918 al 1922, quando, ,aceanto al Partito
(1) Si ricorderà anche che il fascismo volle esordire, nel campo sindacale, con la creazione di « Corporazioni miste ». composte di padroni e di lavoratori, appunto per realizzare la piena collaborazione di classe, ch'era il nucleo centrale del'e sue «teorie» sociali. Ma poi dovette anch'esso rinunciarvi e creare dei Sindacati separati di padroni e di lavoratori, che i fascisti, per pudore collaborazionista, chiamavano « dirimpettai ».
popolare italiano, sorgeva la Confederazione Italiana dei Lavoratori, che si componeva di 10 Sindacati Nazionali di categoria e di 25 Uffici del Lavoro (questi ultimi corrispondevano alle Camere del Lavoro). Fu questo il periodo aureo anche del sindacalismo cattolico. Fu il periodo in cui i Sindacati cattolici non si limitavano più a predieare la collaborazione di classe, non raeeomandavano più ai propri aderenti di continuare a lavorare durante gli scioperi proclamati dagli altri sindacati. Fu, invece, il periodo in cui anche i Sindacati cattoliei organizzarono e promossero degli scioperi per far trionfare le legittime rivendicazioni dei lavoratori: scioperi eondotti separatamente ed anche in co- mune eoi Sindacati: rossi. In altri termini, i Sindacati cattolici ebbero un notevole sviluppo quando e dove dimostrarono di essere anch'essi arditi ed energici difensori degli interessi dei lavoratori. Questa esperienza è ricca d'insegnamenti!
Il 1921 segna l'apice dello sviluppo di tutti i sindacati liberi italiani. Ecco i dati numerici relativi alle due Confederazioni antagoniste di allora: Confederazone Generale del Lavoro, iscritti: 2.200.000; Confederazione Italiana dei lavoratori, iscritti: 1.178.00, in maggioranza contadini.
Per una esatta valutazione dei rapporti di forza in quell'epoca fra le due Confederazioni, bisogna tener conto di numerose organizzazioni che, pur muovendosi nella grande scia della Confederazione Generale del Lavoro, (quali: l'Unione Sindacale Italiana, il Sindacato Ferrovieri Italiani, la Federazione Nazionale dei Lavoratori dei Porti, la Camera del Lavoro di Genova e provincia e numerose altre Camere del Lavoro autonome), non erano iscritte alla Confederazione stessa. Il Sindacato Ferrovieri vi aderì più tardi nel 1923. Computando gli aderenti alle citate organizzazioni, si può calcolare che il numero degli iscritti al comnlesso dei Sindacati rossi che facevano capo alla Confederazione Generale del Lavoro, nel 1921, sline-rasse largamente i tre milioni. Comunque, i dati riportati dimostrano che la divisione nel campo del lavoro era ormai un fatto tutt'altro che trascurabile.
La scissione sindacale cattolica ebbe una presa relativamente debole sulla classe operaia propriamente detta dei grandi centri industriali, ma aveva assunto vaste proporzioni fra le masse contadine, specialmente in alcune regioni del Nord: per cui la scissione stessa aveva' soprattutto il carattere d'una profonda divisione fra la classe operaia ed i contadini, fra le città e la campagna. Il che non ne diminuiva la gravità.
Una lunga e tragica esperienza ci ha insegnato ch'era appunto sulla divisione sindacale che anche nel periodo prefascista puntavano i ceti plutocratici e reazionari per tenere in iscac-co le rivendicazioni più legittime dei lavoratori. E fu ancora sulla carta della divisione che puntò il fascismo per battere separatamente i due settori fondamentali nei quali erano divise le forze del lavoro: quello « rosso » e quello « bianco ».
6 LA RINASCITA
Dal 1921 al 1923, i colpi principali dei criminali armati del fascismo furono concentrati contro i « rossi ». Per battere più tranquillamente questo settore delle forze del lavoro — e rendere impossibile l'unione dei due settori contro di esso — il fascismo non si accontentò del tentativo di rassicurare i « bianchi » con la sua propaganda. Volle assicurarsi la partecipazione del Partito popolare al primo governo di Mussolini. Poi, una volta battuti i « rossi », il fascismo non ebbe più bisogno della collaborazione governativa dei cattolici e si gettò con tutte le sue forze contro le loro organizzazioni sindacali, cooperative e politiche, battendole alla loro volta. Le conseguenze di quella duplice sconfitta, che fu sconfitta unica di tutti i lavoratori e dell'in-tiero popolo italiano, le stiamo purtroppo scontando amaramente ancora oggi, perchè sia necessario insistervi.
L'unità sindacale realizzata col Patto di Roma fra le correnti sindacali fondamentali del nostro paese, è innanzi tutto il risultato della terribile esperienza del ventennio fascista; è l'espressione della volontà unanime degli operai, dei contadini, dei tecnici, degli impiegati, dei lavoratori tutti, di non prestarsi mai più — con le loro divisioni — al giuoco infernale dei loro peggiori nemici; è la realizzazione concreta della loro volontà di lottare uniti per difendere i propri interessi, per conquistare nuovi diritti, per concorrere con la loro unione a mantenere unite tutte le forze democratiche e progressive del paese, e contribuire con esse a formare "un nuovo Stato democratico e popolare, una nuova Italia più giusta, più libera, più umana, basata principalmente sulle forze del lavoro unito. rappresentato dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro. Questa unità è un fatto positivo di grande portata; è, per tutti i lavoratori, una conquista ch'essi non si lasceranno sfuggire.
E' per questo che l'unità sindacale ha trionfato di tutti gli ostacoli, ha liquidato tutti i tentativi scissionisti, è diventata una realtà viva
tutte le province liberate, da Messina ad Ancona, da Lecce a Firenze. E lo sarà maggior-
mente domani, nei grandi centri industriali del Nord, dove il fiore della classe operaia italiana lotta con le armi in pugno contro l'invasore tedesco, per affrettare quella liberazione nazionale che condiziona la rinascita del paese.
II consolidamento dell'unità sindacale e lo sviluppo della C. G. I. L., pongono una serie di
problemi e aprono davanti al proletariato italiano ampie prospettive. Ma, di tutto questo, tratteremo in prossimi articoli.
GIUSEPPE Di VITTORIO
L'Amministrazione de " La Rinascita „ si è trasferita in Via IV Novembre, 149. La corrispondenza e i vaglia devono essere inviati a tale indirizzo.
Politica Italiana
Necessità di fare da sé
La visita all'Italia del Primo Ministro Churchill, il suo colloquio col Presidente Bonomi, il ricevimen-
to degli altri ministri italiani e certe voci messe in circolazione in questa occasione, hanno contribuito a diffondere nei circoli politici un senso di euforia. Si parla di modificazioni dello statuto dell'Italia nei confronti con le grandi Potenze alleate, si parla della concessione all'Italia della legge « depositi e prestiti »,. si lascia prevedere una riduzione del famoso « controllo » alleato, cioè l'attribuzione al governo italiano, finalmente, del potere di governare l'Italia. Corrisponde questa euforia a qualcosa di reaLe; corrispondono a una prospettiva reale questi cambiamenti che si lasciano prevedere? A noi rincresce dover fare la parte del diavolo, ma ci sembra non esista motivo per esserne così sicuri. Come una doccia fredda è venuto del resto il messaggio dello stesso signor Churchill, nel quale si ricorda che il popolo italiano deve essere « punito » per il fatto di essersi lasciato per tanto tempo governare dai fascisti, e intanto le settimane passano, gli avvenimenti militari precipitano, e la posizione dell'Italia resta quella che era. Il brutto è che nel ftattempo, ipnotizzati dal miraggio di non si sa quali miglioramenti che dovrebbero arrivare dall'America, dall'Inghilterra, o da un altro paese qualunque, dirigenti politici e uomini di governo sono rimasti più o meno paralizzati, mentre avrebbero forse potuto fare parecchie cose utili se invece di guardar tanto lontano si fossero occupati concretamente ,delle cose che stanno loro tra i piedi.
La situazione internazionale del nostro paese è quella che è. E' la situazione di un paese che dopo aver minacciato e aggredito mezzo mondo è stato sconfitto; di un paese, quindi, contro ii quale giustamente si dirige la diffidenza generale delle nazioni aggredite. Abbiamo già dimostrato parecchie volte e continueremo fino alla sazietà a ripetere che non esiste manovra sapiente o intrigo tortuoso di politica in- ternazionale il quale possa sanare questa situazione. 1 nostri diplomatici dilettanti, i quali sognano gli allori di Cavour dopo ,Novara e vorrebbero ricalcar quelle orme, dimenticano soltanto che il popolo italiano nel 1848-49 era stato battuto in una guerra giusta, che ad esso si rivolgevano le simpatie di tutti i popoli civili, e che anche la politica dinastica di Cavour non poîeva non trarre beneficio da questa circostanza. La prima cosa che si deve fare se si vuole che il nostro paese risorga, è di riconquistarsi almeno un minimo di simpatia delle libere nazioni d'Europa, il che non si ottiene nè lamentandosi nè tessendo manovre ed intrighi, ma combattendo per cacciare i tedeschi• dal nostro paese, operando energicamente per distruggere ogni residuo del regime fascista e restando uniti per veder di risolvere a poco a poco, con le nostre stesse forze e con uno spirito di solidarietà nazionale, i nostri problemi più urgenti.
Né si deve dimenticare che le risorse economiche e finanziarie del mondo, -immediatamente dopo questa guerra, saranno assai limitate, che saranno molti i pretendenti a un aiuto immediato e che tra questi vi saranno senza dubbio popoli aggrediti e calpestati dal fascismo, paesi devastati dalle bande di Hitler e di Mussolini, nazioni che per la causa della libertà hanno dato la miglior parte di se. Qualunque possano essere le modificazioni dello statuto legate dei nostro paese, è difficile supporre che il nostro paese possa venire tra i primi nella gara per la ripartizione delle risorse esistenti. Anche per questo motivo, dunque,
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 30908+++
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Testata/Serie/Edizione Rinascita | mensile ('44/'62) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1944 Mese: 8
Numero 3
Titolo KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 3 - agosto


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