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tipologia: Analitici; Id: 1472486


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo (9 Domande sul romanzo) Italo Calvino
Responsabilità
Calvino, Italo+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
6 ITALO CALVINO
ITALO CALVINO
1) Definiamo bene i termini della questione. Cosa intendiamo per romanzo? Cosa intendiamo per crisi? Molti intendono per romanzo: « romanzo di tipo ottocentesco ». Allora non c'è più nemmeno da parlare di crisi. Il romanzo dell'Ottocento ha avuto uno sviluppo così pieno, lussureggiante, vario, sostanzioso, che quel che ha fatto basta per dieci secoli. Come può venire in mente di aggiungergli qualcosa ? Coloro che vorrebbero che si scrivessero ancora romanzi ottocenteschi, fanno torto a ciò che dicono di amare.
Recentemente, il romanzo è stato definito da Moravia (in contrapposizione al racconto) come romanzo d'ossatura ideologica. C'è stata crisi, in questo senso ? Si, ma nell'ideologia, prima che nel romanzo. Il grande romanzo fioriva in un'epoca di sistemi filoso-ficï che cercavano di abbracciare tutto l'universo, in un'epoca di concezioni del mondo totali; oggi la filosofia tende — più o meno presso tutte le scuole — a isolare i problemi, a lavorare su ipotesi, a porsi obiettivi precisi e limitati; a ciò corrisponde un diverso procedimento di racconto, di solito con un solo personaggio rappresentato in una situazione limite; e questo proprio presso gli scrittori più ideologici, come Sartre e Camus.
Un altro modo di definire il romanzo è quello (storico e sociologico) di considerarlo legato all'apparire del libro come merce, quindi d'una letteratura commerciale, d'una — come ora si dice — « industria culturale ». Difatti i primi romanzi che meritino d'esser detti tali, quelli di Defoe, uscirono senza il nome dell'autore, sulle bancarelle, con l'intento di rispondere ai gusti del popolino, avido di storie « vere » di personaggi avventurosi. Nobile origine; io non sono tra coloro che credono che l'intelligenza umana stia per morire uccisa dalla televisione; l'industria culturale c'è sempre stata, col suo pericolo di scadimento generale dell'intelligenza, ma da essa è sempre nato un qualcos'altro nuovo e positivo; direi che non c'è terreno migliore per la nascita di veri valori che quello graveolente delle esigenze pratiche, della richiesta di mercato, della produzione di consumo: è di li che nascono le tragedie di Shakespeare, i feuilletons di Dostojevskij e le comiche di Cha-
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plin. Il processo di sublimazione dal romanzo come prodotto mercantile al romanzo come sistema di valori poetici é avvenuto am-
piamente e in più fasi nel corso di due secoli. Ma adesso pare che non si possa più rinnovare: non c'è stata una rinascita del romanzo attraverso i « gialli » né attraverso la « fantascienza »: pochi gli esempi positivi nel primo caso, pochissimi nel secondo.
Una definizione più interna al fatto letterario ma che in qualche modo non é che una traduzione di quest'ultima é quella del romanzo come narrazione avvincente, come tecnica per imprigionare l'attenzione del lettore facendolo vivere in un mondo fittizio, partecipare a vicende di forte carica emotiva, costringendolo a non abbandonare la lettura per curiosità di « quel che succederà dopo ». Questa definizione ha il vantaggio di potersi applicare anche alle incarnazioni più antiche del romanzo: l'ellenistica, la medievale, e poi cavalleresca, picaresa, larmoyante ecc... È contro questo aspetto del romanzo che s'appuntò per secoli l'accusa d'immoralità da parte di religiosi e moralisti; accusa non del tutto ingiusta, si badi bene, e simile a quella che ora anche noi spesso muoviamo al cinema e alla televisione, quando ce la prendiamo con la coatta passività dello spettatore, portato ad accettare tutto quello che lo schermo gli riversa nel cranio senza poter dare forma a una partecipazione critica. A parte le differenze sostanziali tra la lettura — sempre « faticosa », pausata e critica — e lo star li come stupidi a guardare il video, bisogna dire che questo pericolo di « cattura » del lettore era già nel romanzo tradizionale (sempre nel romanzo deteriore, ma spesso anche nei capolavori) e ne costituiva una ragione di fascino ineguagliabile come anche d'impalpabile fastidio per chi non vuol. essere « catturato » da niente e da nessuno. Nel romanzo del Novecento l'elemento « avvincente » s'è andato perdendo (restando caratteristico di quel tipo di letteratura commerciale noto appunto col nome di suspense) e la partecipazione richiesta al lettore é sempre più una partecipazione critica, una collaborazione. Crisi o non crisi, questa ? Crisi senz'altro, ma positiva. Anche se la narrazione non si propone altro fine che di creare un'atmosfera lirica, è solo con la collaborazione del lettore che questa nasce, perché l'autore può solo limitarsi a sugge-
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rida; anche se non si propone altro che un gioco, lo stare al gioco presuppone sempre un atto critico.
Dunque, nessuna di queste varie definizioni di romanzo ci parla di qualcosa che è necessario o possibile tenere in vita oggi. Non ci sarebbe che da concludere che continuare a discutere del romanzo, a fissarci su questo concetto, è una perdita di tempo. L'importante è che si scrivano dei bei libri, e, nella fattispecie, delle belle storie: se sono romanzi o meno, cosa importa ? Come il romanzo aveva avocato a sé funzioni di tanti generi letterari, così ora ridistribuisce le sue funzioni tra il racconto lirico, il racconto filosofico, il pastiche fantastico, la memoria autobiografica o di viaggio o di confronto di sé con paesi e società ecc...
Non esiste più la possibilità d'un'opera che sia tutte queste cose insieme ? Ecco una nostra lettura recente: Lolita. La virtù di questo libro è che può esser letto contemporaneamente su molti piani: storia realistica oggettiva, « storia di un'anima », rêverie lirica, poema allegorico dell'America, divertimento linguistico, divagazione saggistica su un tema-pretesto, ecc... Per questo Lolita è un bel libro: per il suo esser tante cose insieme, il suo riuscir a muovere la nostra attenzione in infinite direzioni contemporaneamente. Devo riconoscere (malgrado che ciò minacci di portarmi lontano da quelli che sonò stati le mie preferenze e i miei orientamenti di lettura finora; anche quelli espressi nelle altre risposte a questa inchiesta, che vanno considerate cronologicamente precedenti al discorso che sto per fare) che oggi esiste un bisogno di letture che non si esauriscano in una direzione sola, un bisogno che non viene sfamato da tante opere magari perfette ma che hanno la loro perfezione proprio nella loro rigorosa unidimen-sionalità. Ad esse è possibile contrapporre una non vasta serie di libri contemporanei la cui lettura e rilettura ci ha dato un particolare nutrimento proprio perché ci possiamo immergere in essi verticalmente (cioè perpendicolarmente alla direzione della vicenda) con continue scoperte ad ogni strato o livello, quello di commedia umana, quello di quadro storico, quello lirico o visionario, quello dello scandaglio psicologico, quello allegorico e simbolico (delle allegorie e dei simbolismi più diversi), quello dell'invenzione
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d'un proprio sistema linguistico autonomo, quello della rete dei riferimenti culturali ecc... (Per esempio, su libri come questi Denis de Rougemont può scrivere il recente saggio a proposito di Musil, Nabokov, Pasternak; saggio che è una delle cento chiavi in cui possono essere letti quei tre libri). E, riflettendoci un momento, non tarderò ad ammettere che le possibilità di lettura su piani multipli è una caratteristica di tutti i grandi romanzi di tutte le epoche: anche di quelli che la nostra abitudine di lettura ci porta a credere di leggere come qualcosa di stabilmente unitario, unidimensionale.
Ecco dunque che giunto a questo punto mi pare di poter azzardare una nuova definizione di quel che oggi (e perciò sempre) il romanzo é: un'opera narrativa fruibile e significante su molti piani che si intersecano. Considerato alla luce di questa definizione, il romanzo non é in crisi. È anzi la nostra un'epoca in cui la plurileggibilità della realtà é un dato di fatto fuori del quale nessuna realtà può essere accostata. E c'è una corrispondenza tra alcuni dei romanzi che oggi si scrivono o si leggono o si rileggono e questo bisogno di rappresentazioni del mondo per via d'approssimazioni pluridimensionali, magari composite, in cui un'unità di nucleo mitico, un rigore interno — senza il quale non esiste opera di poesia — sia da riscoprire al di là delle varie lenti di cultura, di coscienza, di estro e mania personale che compongono il loro cannocchiale. Insomma romanzi come era romanzo — faccio un nome solo tra quelli che mi vengono in mente — il « Don Chi-sciotte ».
2) La corrispondenza tra cultura d'una data epoca e letteratura creativa ha il suo giusto terreno d'attuazione nel modo di vedere il mondo, cioè nei mezzi d'espressione (behaviourismo-He-mingway; positivismo logico Robbe-Grillet ecc...). È naturale però che ci sia oggi anche una narrativa che si pone come oggetto le idee, la complessità delle suggestioni culturali contemporanee ecc... Ma a farlo riproducendo delle discussioni di intellettuali su questi argomenti, c'è poco sugo. Il bello è quando il narratore da suggestioni culturali, filosofiche, scientifiche ecc... trae invenzioni di racconto, immagini, atmosfere fantastiche completamente nuove;
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come nei racconti di Jorge L. Borges, il piú grande narratore <« intellettuale » contemporaneo.
3) Il pericolo della « nouvelle école » è di restringere il discorso della letteratura a quello, forse più rigoroso ma certo più limitato, delle arti figurative. Sul rifiuto della psicologia non ho nulla in contrario, ma il guaio è che la « nouvelle école » volta le spalle a tutto tranne che alla psicologia. Le voyeur di Robbe-Grillet é un racconto bellissimo finché non si scopre che tutta la vicenda gravita sul fatto che il protagonista è un paranoico. E La jalousie, opera di grande rigore ed efficacia, é uno studio psicologico, anche se rappresentato attraverso una enumerazione di oggetti invece che introspettivamente. Robbe-Grillet dovrebbe portare la sua geome-trizzazione fino in fondo, espungere ogni vibrazione psicologica. E Michel Butor dovrebbe geometrizzare di più la forma, tenersi in un'economia chiusa di racconto. A L'emploi du temps basterebbe essere più secco e sarebbe il perfetto romanzo-labirinto che vuol essere. E La Modification sarebbe un bellissimo racconto, fosse ridotto a un quarto delle sue dimensioni.
4) Non dipende dagli scrittori ma dal moto dei tempi. Quando ho cominciato a scrivere io, una quindicina d'anni fa, pareva fosse diventato naturale lo scrivere oggettivo: veniva da scrivere la storia di tutti quelli che s'incontravano per la strada. Ci sono tempi in cui le storie sono nelle cose, é il mondo stesso che tende a raccontarsi, e lo scrittore diventa uno strumento. E ci sono tempi — come oggi — in cui il mondo di per sé pare non avere più spinta, nelle storie del prossimo non si legge più una storia generale, e lo scrittore allora pue) dire del mondo solo quello che sa in rapporto a sé.
5) La letteratura rivoluzionaria é sempre stata fantastica, satirica, utopistica. Il « realismo » porta di solito con sé un fondo di sfiducia nella storia, una propensione verso il passato, reazionaria magari nobilmente, conservatrice magari nel senso più positivo della parola. Potrà mai darsi un realismo rivoluzionario? Finora non abbiamo esempi abbastanza probanti. Il realismo socialista in Unione Sovietica é nato male, soprattutto perché ha avuto per padre putativo uno scrittore decadente e misticheggiante come Gorki.
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6) Il linguaggio trasparente come un'acqua limpida é un arduo ideale stilistico, che si può raggiungere soltanto con un'estrema attenzione alla scrittura. Per lasciar parlare le cose » bisogna saper scrivere estremamente bene. Tutti gli stili possono esser buoni; l'importante è non scrivere terroso, sbavato, impreciso, casuale.
7) Il dialetto può servire come falsariga alla lingua d'uno scrittore, cioè come punto di riferimento in determinate scelte linguistiche. Una volta stabilito che sotto al mio italiano c'è il' dialetto x, sceglierò di preferenza vocaboli, costruzioni, usi, che si rifanno al clima linguistico x, anziché vocaboli, costruzioni, usi che si rifanno ad altre tradizioni. Questo sistema può servire e dare coerenza e perspicuità a un linguaggio narrativo, finché non diventa una limitazione alle facoltà d'espressione; allora non c'è che mandarlo al diavolo.
8) Il romanzo storico può essere un ottimo sistema per parlare dei propri tempi e di sé.
9) Amo soprattutto Stendhal perché solo in lui tensione morale individuale, tensione storica, slancio della vita sono una cosa sola, lineare tensione romanzesca. Amo Pusckin perché è limpidezza, ironia e serietà. Amo Hemingway perché è matter of fact, understatement, volontà di felicità, tristezza: Amo Stevenson perché pare che voli. Amo Cechov perché non va più in là di dove va. Amo Conrad perché naviga l'abisso e non ci affonda. Amo Tolstoj perché alle volte mi pare d'essere li li per capire come fa e invece niente. Amo Manzoni perché fino a poco fa l'odiavo. Amo Chesterton perché voleva essere il Voltaire cattolico e io volevo essere il, Chesterton comunista. Amo Flaubert perché dopo di lui non si può più pensare di fare come lui. Amo Poe dello Scarabeo d'Oro. Amo Twain di Huckleberry Finn. Amo Kipling dei Libri della Giungla. Amo Nievo perché l'ho riletto tante volte divertendomi come la prima. Amo Jane Austen perché non la leggo mai ma sono contento che ci sia. Amo Gogol perché deforma con nettezza, cattiveria e misura. Amo Dostojevski perché deforma con coerenza, furore e senza misura. Amo Balzac perché è visionario. Amo Kafka perché è realista. Amo Maupassant per-
ché è superficiale. Amo la Mansfield perché è intelligente. Amo Fitzgerald perché é insoddisfatto. Amo Radiguet perché la giovinezza non torna piú. Amo Svevo perché bisognerà pur invecchiare. Amo...
ITALO CALVdNO
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32293+++
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1959 Mese: 5 Giorno: 1
Numero 38
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38


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