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tipologia: Analitici; Id: 1472445


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Benno Sarel, Intellettuali e classe operaia nella Germania orientale durante la crisi del '56
Responsabilità
Sarel, Benno+++
  autore+++    
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
INTELLETTUALI E CLASSE OPERAIA NELLA GERMANIA ORIENTALE DURANTE LA CRISI DEL '56
Nel 1953, con la rivolta di giugno, l'esperienza operaia si era imposta, nella Germania Orientale, all'intera società. Il cosiddetto periodo liberale succeduto alle giornate di giugno aveva reso possibile una alleanza tra operai e intellettuali. Nel 1954$5 l'attività e le esperienze operaie si erano affermate di nuovo ed erano diventate per molti intellettuali un elemento costante di riferimento. Nel 1956 la crisi che si sviluppa nelle democrazie popolari rende più acute e mette a nudo le contraddizioni della società, ponendo di nuovo all'ordine del giorno l'unione fra operai e intellettuali. Questa unione sembra essere, per così dire, scritta nello sviluppo stesso della società della Germania Orientale.
* * *
Quella che si potrebbe chiamare la rivolta degli intellettuali si sviluppa, nel. 1956, seguendo una linea autonoma. Tuttavia è essenziale di porla in rapporto alla classe operaia. La critica più violenta contro il burocraticismo ufficiale non parte dai r vecchi » intellettuali, bensì dagli studenti e dai giovani quadri formati dal regime. In questo ambiente la presenza del mondo operaio è esplicita. Per un verso, i giovani intellettuali sono in gran parte di origine operaia, per un altro verso, essi si sentono continuamente ripetere che, se possono studiare, lo devono unicamente alla classe operaia e al suo regime. L'ideologia che é stata loro insegnata è un marxismo a scientifico » e scolastico, ma dove tutto esiste in funzione del proletariato.
Gli intellettuali stessi, in quanto uomini, sono legati ai rapporti di produzione stabiliti dal regime. Salvo poche eccezioni, non possono lavorare che per lo Stato, e vien loro richiesto di considerarsi come parte integrante della classe operaia e, insieme, di fondersi con il gruppo dirigente.
Tuttavia, a un certo momento, si produce una svolta: ciò avviene quando l'ideologia degli intellettuali, che concepiscono la società in funzione della classe operaia, tende ad acquistare una coscien-
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za piena, mentre, d'altra parte, gli uomini, resi esperti da dure esperienze, non possono e non vogliono più sopportare il modo di vita imposto dal regime.
L'atteggiamento che il regime vuole che gli intellettuali assumano nei confronti della classe operaia — atteggiamento che effettivamente gli intellettuali tendono ad assumere nel 1956 — dovrebbe essere il riconoscimento del posto occupato dalla classe operaia nella società. E' certo che gli operai sono, come sotto il capitalismo, degli oppressi; il prodotto, non appena esce dalle loro mani, sfugge loro; essi non hanno influenza né sulla sua finalità economica, né sulla sua trasformazione tecnica; e nemmeno possono organizzare il lavoro che crea il prodotto. Dal momento che gli operai non possono oggettivarsi nei loro prodotti restano, per riprendere il termine di Marx, alienati e fondamentalmente stranieri alla società in mezzo alla quale vivono. E tuttavia il fatto che il regime della Germania orientale ponga la classe operaia al centro della società è ben altro che una vuota for- mula; è il punto di arrivo di una evoluzione storica basata sul riconoscimento della funzione del lavoro. Ciò significa anche la convinzione che la società moderna non pue, trovare la sua realizzazione al. di fuori della classe operaia. La fabbrica moderna modella gli operai e nello stesso tempo è da questi modellata. Ma tra fabbrica e società c'è un rapporto, e nella misura in cui la pianificazione della società riproduce la pianificazione della fabbrica non fa che sottolineare questo rapporto. In altri termini, la realtà stessa pone un nesso tra intellettuali e operai; ciò che è in concreto importante è di capire il modo con cui si pongono i rapporti fra gli uni e gli altri, nonché la maniera con cui gli intellettuali cercano di integrarsi nella classe operaia.
La società della Germania orientale si presenta, secondo la sua ideologia ufficiale, come una estensione della classe operaia. Sono gli intellettuali del regime che, concependo la società come operaia e considerando se stessi in questo quadro, sottolineano l'armonia e l'unità di una società siffatta. Sono, ancora, gli intellettuali formati dal regime che tentano di integrarsi nella lasse operaia e di concepire se stessi in funzione di quella. Questi intellettuali evolvono, nel 1956, verso una presa di coscienza essenziale: la sola possibilità che essi hanno di realizzarsi in quanto uomini e in quanto intellettuali è di allearsi con la classe operaia, riempiendo cosí di un contenuto concreto la loro posizione ideologica.
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Le circostanze concrete della rivolta degli intellettuali sono legate alla evoluzione che subisce il mondo sovietico dopo il XX Congresso. Gli intellettuali si sentono allora liberi di parlare, soprattutto prendono poco a poco coscienza che la critica rivolta al regime non pub limitarsi a questo o quel punto particolare ma deve, al contrario, investire progressivamente tutti i settori. La critica degli intellettuali é in primo luogo una protesta contro l'ingerenza totalitaria nel loro lavoro specifico, contro la burocrazia gretta e limitata da cui dipendono. Ma l'evoluzione degli intellettuali ha cause diverse e bisognerebbe prendere partitamente in esame ciascun ambiente e ciascun settore. I primi a ribellarsi sono i ricercatori e gli scrittori. La critica dei tecnici direttamente inseriti nella produzione viene un poco più tardi e resta più circoscritta. Per i primi hanno soprattutto importanza le loro preoccupazioni intellettuali, per gli altri la loro posizione sociale.
Gli scrittori, gli artisti, i ricercatori si limitano in genere a una protesta appassionata contro la mancanza di libertà che grava sulla loro attività. Dei letterati e dei filologi costituiscono, verso l'autunno del 1956, dei gruppi clandestini d'opposizione. Ma in genere si tratta di casi limitati a fatti individuali o locali. Ben diversa é la situazione nel settore degli economisti e dei filosofi, costretti dalla logica, stessa della loro attività ad opporsi al regime.
Gli economisti partono da una esperienza concreta, quella delle conferenze economiche organizzate nel 1955 dagli organi preposti alla pianificazione, per ricavarne una nuova interpretazione teorica della società in genere e del ruolo della classe operaia in specie. I filosofi invece partono dallo studio della teoria marxista e giungono alla creazione di organizzazioni clandestine destinate ad accogliere intellettuali e operai.
Fin dal gennaio 1956 il prof. Fritz Behrens — che nel 1955, non dimentichiamolo, appariva come il teorico del cosiddetto corso « diret-torialista », cioè di una tendenza che sottolineava, nell'impresa, l'importanza dei quadri dirigenti — prende posizione contro i metodi dei direttori d'impresa e nello stesso tempo contro il centralismo burocratico della pianificazione. I partigiani del regime, in seno all'Istituto delle Scienze Economiche diretto dal Behrens, sono visibilmente sulla difensiva. In aprile Behrens constata, in un articolo pubblicato nella rivista di teoria economica « Wirtschaftssenschaft », che le speranze poste in un modernizzamento della tecnica non sono fondate. « Man-
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chiamo di carbone, di acciaio... Non potremmo modernizzare la tecnica con la rapidità che desideriamo anche se sfruttassimo tutte le possibilità, ciò che è ben lungi dall'essere il caso nostro ». Secondo F. Behrens, l'unico modo per elevare l'economia del paese è di utilizzare completamente nelle imprese la giornata lavorativa: cosa che — come egli dimostra — dipende dalla organizzazione del lavoro, cioè in definitiva dalla coscienza operaia.
Nel corso dell'anno l'atteggiamento del prof. Behrens si precisa, mentre la maggioranza dei membri dell'Istituto delle Scienze Economiche evolvono nello stesso senso. Il prof. Behrens si dichiara per una larghissima libertà dell'impresa ma, nello stesso tempo, questa libertà per lui ha senso solo se l'iniziativa creatrice degli operai può espandersi. Egli afferma che la socializzazione della proprietà non è sufficiente e che è necessario passare alla socializzazione della amministrazione di questa proprietà: cioè, egli prosegue, bisogna passare alla gestione della economia da parte dei lavoratori. Behrens afferma che lo Stato deve cominciare a scomparire fin dal periodo di transizione, periodo nel quale si trova la Repubblica Democratica Tedesca; che il primo nemico del socialismo è la burocrazia; infine che Stato e burocrazia stanno reciprocamente assimilandosi.
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La figura di 'gran lunga piú notevole nella cultura filosofica della Germania Orientale è quella del prof. Ernst Bloch di Lipsia. In realtà egli è, insieme a. Lukàcs, uno dei pochissimi filosofi marxisti del cosiddetto mondo orientale. Quando E. Bloch rientrò dalla emigrazione nel 1947, i dirigenti del Partito — che conoscevano superficialmente la sua filosofia — lo accolsero come una personalità intellettuale rappresentativa, capace di dar lustro al regime. Da anni il prof. Bloch insegna a Lipsia e forma degli scolari che, a loro volta, diventano assistenti o incaricati nelle varie università della Germania Orientale. L'influenza del prof. Bloch è rimasta a lungo limitata nell'ambito dei seminari di filosofia: il suo insegnamento, astratto com'era, non sembrava presentare alcun addentellato con la realtà. Per anni il solo appunto che gli venne mosso dagli intellettuali che gravitavano intorno al segretario del Partita fu la mancanza di presa di posizione politica, il suo rifiuto di aderire al Partito. Di colpo, nel 1956, senza che lo stesso Bloch abbia modificato in nulla la sua
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condotta, le idee da lui professate sono diventate forze politiche e ideologia del movimento reale.
Partito da Hegel per arrivare a Marx, il prof. Bloch poneva al centro dei suoi interessi i problemi della coscienza. Il secondo volume della sua opera intitolata « Il Principio Speranza » (Das Prinzip Hoffnung) é stato pubblicato nel 1955. Joachim Streisand, uno dei migliori studiosi della giovane generazione, commenta il libro, nel « Zeitschrift für Geschichtswissenschaft » (N 5, 1956), sottolineando che esso pone il nesso fra azione umana e presa di coscienza, fra attività effettiva e intenzione, fra realtà della coscienza umana e realtà delle istituzioni che la comprendono. Queste categorie che Bloch pone in rapporto, continua Streisand, non debbono essere confuse fra loro, come avviene troppo spesso.
Bloch parte dall'idea che l'attesa, la speranza, l'anticipazione, « l'intenzione in rapporto a un possibile non ancor realizzato », mentre caratterizzano la coscienza umana, sono anche elementi fondamentali della realtà nel suo complesso. Fer comprendere la realtà é necessario tener conto del contenuto che gli uomini, sul piano della coscienza, danno all'azione loro. Secondo Bloch l'intenzione, la speranza, l'anticipazione degli uomini, per quanto siano soggettive, presentano innumerevoli punti di contatto con la realtà, la quale altro non è che un reciproco rapporto del soggettivo e dell'oggettivo. Basandosi sul Marx giovane, Bloch prevede il momento in cui soggetto e oggetto sono destinati a confondersi l'un nell'altro. Filosofo della categoria del possibile, fenomenologo dell'anticipazione -- per riprendere i termini di Streisand, — Bloch appare come lo storico del pensiero utopistico, altrimenti detto del pensiero rivolto verso l'avvenire. Bloch lega la sua filosofia alla esistenza del proletariato. Secondo lui, solo dopo la nascita del proletariato e quella del marxismo, filosofia del proletariato, é diventato possibile, in filosofia, di rivolgersi verso il futuro.
L'insegnamento del prof. Bloch acquista una attualità politica nel 1956, quando è posto nuovamente il problema della coscienza del proletariato e, più concretamente, del rifiuto degli operai di riconoscersi nelle istituzioni che si dicono promanare da loro. Dapprima le autorità chiedono a Bloch di riconoscere di essere un filosofo idealista e di non dichiararsi più marxista. Naturalmente Bloch rifiuta e, nell'autunno del 1956, gli viene tolta la cattedra.
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Da anni nei seminari del prof. Bloch si studiava l'opera filo-sòfica del Marx giovane, e gli studenti avevano avuto modo di prendere familiarità con alcuni concetti fondamentali come quello della alienazione dell'operaio nell'oggetto prodotto, dell'operaio che diventa egli stesso oggetto pur restando soggetto poiché conserva la possibilità di vedersi come oggetto. Bloch professava anche la teoria della natura di classe della tecnica. Riteneva che la tecnica industriale é borghese perché concepita in funzione del prodotto (sotto il capitalismo, in funzione del mercato) e non in funzione del produttore. Così come è, la tecnica contribuisce ad alienare l'operaio e a separarlo dal suo prodotto.
Nel 1956 queste discussioni perdono il carattere astratto che avevano fino allora. L'ambiente universitario, nel suo complesso, si modifica. Migliaia di studenti di ogni facoltà effettuavano da anni dei periodi di lavoro nelle fabbriche. In seguito alle loro osservazioni, ma anche grazie ad inchieste organizzate all'uopo, si erano intraprese, soprattutto negli istituti di filosofia di Lipsia e di Berlino, delle ricerche sperimentali sulla coscienza operaia. Anche presso i giovani storici, presso alcuni studenti di letteratura e di filosofia, si ritrovano le idee del prof. Bloch. Poiché l'insegnamento del marxismo é obbligatorio in tutte le facoltà, capita spesso che gli assistenti e gli incaricati nel campo delle scienze sociali siano degli ex alunni del prof. Bloch. Un allievo di Bloch, incaricato di filosofia all'Università di Jena, Richard Lorenz, propane l'idea di una ricerca sui rapporti fra la soggettività individuale e la situazione oggettiva, quale è data dalle istituzioni della Repubblica Democratica Tedesca. E il Lorenz, sulla linea del pensiero di Bloch, suggerisce che non possono esistere istituzioni né Stato socialista se gli uomini non li considerano come tali e non si comportano in conseguenza. Lo stesso prof. Bloch dea finisce il dogmatismo che caratterizza l'ideologia ufficiale a controrivoluzione all'interno del marxismo ».
***
In tal modo nel 1956 la teoria marxista, che era stata ampiamente insegnata anche se tenuta sotto il moggio, riprende il suo valore rivoluzionario. Come il movimento operaio di opposizione si sviluppa all'interno delle istituzioni ufficiali di cui é la negazione, così
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l'ideologia rivoluzionaria cresce in seno all'ideologia ufficiale, usa i suoi stessi concetti, pur essendole radicalmente opposta. I giovani filosofi sono spinti dalle loro preoccupazioni intellettuali a cercare il legame con la classe operaia e ad assumere nello stesso tempo un atteggiamento rivoluzionario.
A Berlino, durante i mesi di ottobre novembre, un giovane incaricato di filosofia, che aveva precedentemente insegnato a Lipsia, Wolfang Harich, organizza un gruppo clandestino di opposizione. Fin dall'aprile 1956 Harich si era espresso, nell'organo della Lega Culturale « Sontag », per la libertà di discussione e contro il dogmatismo. Affermava che per poter affermare il carattere erroneo di una opposizione é necessario osservarla da una prospettiva piú elevata, in una fase sucessiva del pensiero. Harich dirigeva la « Rivista Tedesca di filosofia » e nello stesso tempo era membro della direzione di « Aufbau », casa editrice della Lega Culturale. In tal modo la casa editrice, la « Rivista di Filosofia » e la rivista « Sontag » diventarono le roccheforti della opposizione intellettuale berlinese. Nelle sue note — pubblicate in seguito frammentariamente — Harich definisce la sua attività « azione rivoluzionaria di classe » e prende come esempio la rivolta operaia del 1953. Harich e i suoi compagni, tutti membri del S.E.D., intendevano, come gli oppositori polacchi, di agire all'interno del Partito. Ma nello stesso tempo essi erano convinti che una azione condotta nella sola zona sovietica di occupazione sarebbe stata votata all'insuccesso e che era necessario assicurarsi delle allean- ze al di là delle frontiere, approfittare insomma della peculiare situazione del paese, posto tra la Polonia e la Germania Occidentale.
Harich aveva organizzato un gruppo centrale di cinque membri che si riuniva clandestinamente e di cui facevano parte la sua segretaria, il direttore della casa editrice « Aufbau », uno dei redattori della « Rivista di Filosofia » e un giovane economista, con l'incarico particolare di prendere contatti nelle imprese. Questo gruppo ristretto aveva lo scopo di elaborare il progetto di programma che do. veva essere poi sottoposto all'esame del Comitato Centrale, dei Comitati Regionali e della redazione della rivista teorica del Partito. Nello stesso tempo era preso in esame il problema di organizzare una conferenza per discutervi i problemi ideologici. Come dimostrano i contatti presi con alcuni ambienti intellettuali polacchi e con un giornale neutralista di sinistra della Germania Occidentale (« Die Andere Zeitung »), Harich intendeva diffondere il suo programma
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nella Repubblica Democratica Tedesca muovendo dalle sue frontiere orientali e occidentali.
Harich non ha avuto il tempo di elaborare dei programmi politici. Gli appunti che ha lasciato permettono tuttavia di precisare alcuni dei suai punti di vista. Appare chiaro in primo luogo che Harich, partigiano di una larghissima iniziativa affidata agli organi locali, affermava la necessità del decentramento amministrativo e economico. Le sue idee collimavano can quelle del prof. Behrens — col quale si proponeva di prendere contatto — per quel che concerne la scomparsa dello Stato burocratico che soffoca la creatività delle masse.
Inoltre Harich era avversario del « centralismo democratico » del Partito, che egli chiamava centralismo burocratico. Secondo lui, tutte le decisioni dovevano essere prese nelle riunioni dei gruppi di base — di impresa o di quartiere — riunioni alle quali i non iscritti al Partito dovevano avere libero accesso. Il Partito, così inteso, avrebbe dovuto essere il luogo dove si fondessero l'attività degli intellettuali e quella degli operai.
***
Anche l'evoluzione del mondo studentesco é estremamente caratteristica della crisi che attraversa il regime nel 1956. I 90.000 stu- denti della Germania Orientale sono in maggioranza di origine operaia e oltre 9000 di loro sono stati operai o contadini (1).
Per anni il più forte appoggio del Partito é stata la gioventù universitaria, e la svolta del 1956 indica chiaramente che i giovani non solo prendono coscienza della incapacità e dell'isolamento del regime ma anche che non riescono più a sopportare le condizioni di esi-, stenza che vengono loro imposte.
Tuttavia gli studenti, nella loro quasi totalità, godono di borse di studio relativamente importanti, uguali, comunque, e anche supe- riori a quelle di cui godono i giovani lavoratori. Ma, a causa della sua pianificazione, l'università ricorda in modo straordinario una of- ficina destinata a preparare degli ingegneri, degli insegnanti, dei filosofi: il tutto secondo le norme ideologiche in vigore e secondo le necessità del piano generale.

(1) Presso ogni università esiste una « Facoltà operaia e contadina » dove in tre anni i giovani lavoratori acquistano una cultura equivalente a quella di un Cancelliere.
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Il programma di studi è estremamente pesante e comporta da 30 a 40 ore settimanali di corsi obbligatori. I seminari e i gruppi di studio sono diretti, in linea di massima, da un responsabile eletto, che è membro dell'Aktiv della F. D. J. Ogni università ha il suo « rettore per gli affari studenteschi » il quale, giusta il carattere del regime, accoppia funzioni di sorveglianza e funzioni sociali: aima materialmente gli studenti quando ne hanno bisogno, ma anche s. r-veglia la loro disciplina e il loro stato spirituale, e collabora con la organizzazione universitaria della F.D.J. Per quanto riguarda la F. D.J., essa rappresenta — come il gruppo di Partito all'interno della fabbrica — il senso civico della nuova società. I membri dell'Aktiv della F.D.J. in seno agli studenti debbono sorvegliare gli studi dei compagni, aiutare, in linea di massima, quelli che sono indietro e far eliminare i fannulloni e gli zucconi. Le borse, di tre categorie, vengono assegnate dal rettore per gli affari studenteschi dietro parere dei responsabili della F.D.J.
Lo stesso oggetto dell'insegnamento é determinato dalle autorità culturali del regime, le quali indicano anche i testi da usare, vietano i viaggi all'estero e ordinano le epurazioni delle biblioteche. In tal modo le norme generali della società vengono realizzate in modo analogo sia nell'università che nella fabbrica. Gli studenti — come gli operai — che respingono il modo di applicare tali norme respingono implicitamente il regime.
Dal 1952 tutti gli studenti debbono trascorrere un periodo obbligatorio di 6 settimane nelle fabbriche o nelle campagne. Questa disposizione si applica non solo ai futuri ingegneri o pianificatori ma anche ai futuri letterati o filosofi (2).
Per molti studenti questo obbligo è sentito come una imposizione fastidiosa. Altri invece vi vedono un mezzo per imparare il mestiere del dirigente. E certo comunque che per molti giovani il periodo tra- scorso in fabbrica costituisce l'occasione per un contatto reale con gli operai. Grazie alla loro origine sociale e ai periodi trascorsi in fabbrica, gli studenti possono essere considerati come un trait-d'union tra operai e intellettuali. Si aggiunga il fatto che, anche all'interno della università, non vi è soluzione di continuità tra studenti e pro-
(2) In genere gli studenti in discipline umanistiche trascorrono i loro periodi di lavoro negli uffici del sindacato, del Partito, della Gioventù Comunista, nella redazione di un giornale d'impresa, ecc.
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fessori, grazie alla presenza di un gran numero di assistenti e di aiuti che sono nello stesso tempo vicini e ai professori e agli studenti.
Non vi è dubbio che nel 1956, nei mesi successivi al XX Congresso, l'attività di opposizione degli studenti non esce dai limiti delle riunioni universitarie. Tuttavia, grazie alla diversità delle questioni dibattute, queste riunioni - dove si discute ora del sistema di insegnamento, ora degli «errori» di Stalin, ora del problema dei viaggi in Germania Occidentale, ora dei periodi da trascorrere nelle fabbriche — contribuiscono a chiarire le idee dei giovani intellettuali. Nello stesso tempo in cui Walfang Harich organizza il centro di opposizione che si è visto, numerosi gruppi clandestini si formano nelle università e anche in alcuni licei (3). Ricordiamo il caso di due gruppi di studenti della università di Berlino, uno di studenti di storia e uno di studenti di filosofia, che sembra abbiano elaborato, ciascuno indipendentemente dall'altra, un programma politico (4). E' da menzionare anche il gruppo degli studenti di chimica di Halle, che si è posto in modo concreto il problema di una azione comune con gli operai (5).
Non c'è dubbio che l'opposizione operaia e l'opposizione degli intellettuali avrebbero finito con l'unirsi. Tuttavia nei mesi successivi al XX Congresso, mentre la critica degli intellettuali è viva .e aperta, l'iniziativa degli operai, che pur sarebbe di importanza fondamentale, resta in secondo piano. La tattica del regime consiste allora nello sfruttare questo sfasamento e nel conciliarsi gli operai per opporli agli intellettuali.
Ma non è facile applicare questa tattica. È urgente di rialzare la produzione. Alla fine di giugno Ulbricht è costretto a constatare che il numero delle imprese in perdita aumenta, mentre le macchine utensili sono circa per tre quarti « di qualità inferiore al livello mon-
(3) Nel novembre 1956 sei studenti liceali di 17-18 anni e un giovane meccanico di Dresda prendono contatto con gli impiegati della azienda tranviaria e li incitano allo sciopero. Il capo di questo gruppo è uno studente borsista, figlio di operai; questi, al momento dell'intervento russo in Ungheria aveva chiesto ai compagni (del corso di masso) di fare un minuto di silenzio. Per condurre a buon fine il progettato sciopero dei tranvieri, uno degli studenti si impiega come fattorino (cfr. e Saechsische Zeitung », 14 nov. 56 e 19 genn. 57).
(4) Cfr. a Neuer Weg », marzo 1957.
(5) Cfr. a Forum a, febbraio 1957.
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diale ». Come sottolinea lo stesso Ulbricht, identica — o appena migliore — é la situazione in svariati settori, come quello della radio e degli apparecchi di segnalazione, quello delle macchine tessili delle macchine tipografiche, delle locomotive ecc. (6). D'altra parte i diversi gruppi che formano il ceto dirigente sono disuniti. Un provvedimento a vantaggio degli uni scontenta gli altri, mentre invece la cosa importante è proprio di non correre il rischio, come nel 1953, di una rottura in seno al regime. Di qui una politica indecisa e esitante, risultato di un compromesso fra tutte le politiche seguite fino allora.
Per tutto l'anno si insiste sulla importanza della funzione che debbono avere i direttori di impresa e una ordinanza dell'8 dicembre 1955 aumenta il loro potere. Tuttavia la stessa ordinanza aumenta in egual misura il diritto di controllo degli organi centrali dei vari settori industriali. Nello stesso tempo ritorna in primo piano l'apparato del Partito. Certo, si ha cura di specificare che il comitato di impresa del Partito deve rafforzare l'autorità del direttore; ma nello stesso tempo si ricorda che, secondo l'articolo 70 degli statuti, la funzione principale in seno all'impresa spetta al comitato. Si fa di tutto per aumentare l'importanza del sorvegliante sul luogo di lavoro. Ma contemporaneamente viene richiesto al sindacato (le cui responsabilità vengono allargate anche in altri campi) di affiancarsi ai sorveglianti.
Ma anche il sindacato e il Partito, malgrado i provvedimenti presi in loro favore, vengono sottoposti a critiche da parte degli organi superiori. Il Partito (a partire dal giugno del 1953) e il sindacato (a partire dall'estate del 1954) si erano limitati, obbedendo alle direttive ufficiali, a collaborare con i quadri tecnici della impresa.
Nel 1956 vengono rimproverati per questa loro sudditanza. Il fatto é che le direttive ufficiali sono spesso ben lungi dall'essere nette. Ogni volta che si inaugura un nuovo corso, si lascia, all'interno della nuova politica, un posticino per la vecchia. Si chiede adesso ai comitati d'impresa del Partito e del sindacato di non limitarsi più alla sola collaborazione con i quadri tecnici e di piazzare una
parte dei propri effettivi presso i comitati delle varie sezioni di una impresa. Ma subito la rivista a Die Arbeit » (dicembre 1956) rileva
che gli effettivi sindacali sono raramente degli operai qualificati e che tuttavia si comportano in modo arrogante con gli operai semplici:
(6) « Neue Deutschland s, art. del 2 agosto 56.
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essi credono che « per risolvere i problemi sindacali delle imprese sia sufficiente di aver studiato, alla scuola dei quadri, i principt del marxismo leninismo » (7).
Nei confronti degli operai il regime si sforza di tornare alla politica di appello alla cooperazione, che aveva seguita nel 1954. A par- tire dalla primavera del 1956 i consigli di produzione vengono convocati con maggior frequenza, tornano ad essere oggetto della attività sindacale e tendono a sostituire le conferenze economiche che erano state istituite nel 1955 con lo scopo di aumentare l'autorità dei quadri tecnici nell'impresa. Contemporaneamente viene fatto appello agli operai con accenti appassionati. « Si pub migliorare la tecnica, dichiara uno dei dirigenti sindacalisti, ma la forza produttiva principale resta l'uomo » (8). L'organo teorico del Partito, « Einheit », basandosi su alcune pubblicazioni sovietiche, constata che i pianificatori, definid una « casta » ingannano l'operaio. I pianificatori affermano che l'operaio non pub partecipare alla elaborazione del piano, dáto il suo orizzonte ristretto. Invece, ribatte la rivista, la difficoltà fondamentale consiste nella mancanza di partecipazione operaia alla gestione delle imprese. Lo stesso fascicolo di « Einheit » (agosto 1956) stabilisce la seguente graduatoria nei fattori della produttività del lavoro: 1) la coscienza degli operai, « cioè la volontà di utilizzare in modo completo i mezzi di produzione esistenti »; 2) la salute degli operai; 3) la loro qualificazione; 4) l'organizzazione del lavoro; 5) il livello tecnico dell'impresa e i metodi di lavoro. Solo un anno prima la tecnica e l'interesse materiale erano stati posti in primo piano.
Verso l'autunno del 1956 il regime lancia l'idea di allargare la partecipazione operaia alla gestione delle imprese. Questa idea sarà ripresa in modo molto piú energico due o tre mesi dopo. Per il momento ci si limita ad affermare la necessità di un allargamento dei diritti sindacali di cogestione e una codificazione di questi diritti. Lo scopo perseguito è senza dubbio quello di integrare l'attività operaia e di opporsi nello stesso tempo agli intellettuali che richiedono, come si è visto, « una gestione sociale della proprietà socializzata ».
Tuttavia la stessa politica operaia del regime è irta di contraddizioni. Come già nel 1955, alcuni direttori di fabbriche procedono di autorità ad un aumento delle norme. Certo, il dirigente sindacale
(7) e Die Arbeit », ottobre 1956.
(8) « Die Arbeit », ottobre 1956.

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Lehman li rimprovera vivacemente e chiede loro di indennizzare gli operai per le perdite di salario subite. Ma non è nemmeno possibile di scontentare troppo i direttori: nello stesso momento in cui si richiede l'allargamento della cogestione operaia viene proclamato che « anche nell'impresa socialista é necessario che il personale osservi una perfetta disciplina e il diritto di decisione spetti al direttore. Infatti la cogestione sindacale non può estendersi a tutti i problemi del processo tecnologico, dei metodi di fabbricazione e, più generalmente, della produzione » (8b'8)
Il problema delle norme di lavoro continua nel 1956, come negli anni precedenti, a caratterizzare la vita quotidiana delle imprese. Una conferenza riunita in giugno a Lipsia per tentare di risolverlo non raggiunge nessun risultato tangibile. In effetti tra sindacalisti e pianificatori si va facendo strada un contrasto. Entrambe le parti affermano con forza che ogni provvedimento suscettibile di provocare un ribasso dei salari é fuori discussione. Ma i pianificatori vorrebbero che venisse indicata sulla cartella di accompagnamento dei pezzi prodotti la norma « tecnicamente fondata », calcolata in base ad uno studio ,del lavoro stesso. All'operaio verrebbe concesso un supplemen-
to di salario contabilizzato a parte. I pianificatori sottolineano con forza che solo in questo modo sarebbe possibile una previsione con-
creta della produzione della fabbrica; con questo metodo il salario
reale e il salario risultante dal compimento della norma potrebbero avvicinarsi grazie ad un più rapido aumento della produttività del
lavoro (9). Sembra che a questi argomenti i sindacalisti si limitino a
contrapporre la realtà delle fabbriche. Essi, mentre obbiettano che la stessa nozione di norma di lavoro é storicamente variabile, sottoli-
neano che gli operai non accetterebbero una separazione fra il salario e il compimento della norma e, in linea più generale, che delle norme tecnicamente fondate non possono essere stabilite senza la partecipazione degli operai (10).
Nel corso dell'autunno la situazione si fa più tesa, anche se, nello stesso tempo, sembra che debba alla fine chiarirsi. Bisogna tener conto
(8b1ß) « Die Arbeit », ottobre 1956.
(9) Cfr., in « Die Arbeit », novembre 1956, l'art. di Hans Thalmann, a Un punto capitale nello stabilire le norme ».
(10) Cfr. «Die Arbeit », marzo, agosto e ottobre 1956.
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dell'eco che hanno nella Germania Orientale i fatti di Polonia e di Ungheria. « Fra gli intellettuali progressivi delle nostre università » lamenta il Giornale degli studenti comunisti «é quasi una moda adesso di portare la Polonia come un esempio da seguire » (11). E ancora: « Si dimentica (dal XX Congresso) che nessun paese può vivere di sole discussioni D. La stampa polacca é letta, tradotta ed é imi possibile impedirne la diffusione. La rivista teorica del Partita é costretta a rispondere ad un articolo polacco che, criticando il regime di Berlino Est, afferma, parafrasando Marx: «Uno spettro perseguita anche i paesi dell'oriente europeo, e spaventa non solo i capitalisti ma anche gli stalinisti: lo spettro del socialismo umanista ».
Influenzati dall'esperimento polacco e resi ormai sensibili a quello di data più antica della Jugoslavia, gli intellettuali, a partire dallo autunno, lanciano la formola dell'autogestione operaia. Alcuni studenti che si trovano in periodo di lavoro nelle fabbriche domandano: « Che fine ha fatto il ruolo dirigente della classe operaia? ». Dicono che gli operai sono malcontenti e svogliati sul lavoro. E aggiungono con aria di sfida: « Chi ci risponderà a questi problemi all'università? » (12).
Intanto il regime, spaventato dalla piega che prendono gli avvenimenti in Polonia e Ungheria, si affretta a istituire nelle imprese i Gruppi di combattimento, formazioni composte essenzialmente da membri del partito, che erano state organizzate sulla carta l'anno precedente. Si tratta adesso di fornir loro delle armi. Ma la parola d'ordine del Partito « il fucile vicino al banco di lavoro » non oltrepassa lo stadio dell'agitazione. Le armi non vengono consegnate ai Gruppi di combattimento, ma sono conservate al sicuro. Qualche mese dap() il membro del comitato centrale Hennecker é costretto a confessare che la istituzione nelle imprese dei Gruppi di combattimento é stata fatta con danno della loro solidità ideologica (13).
Durante il mese di novembre, nel momento in cui da parte del. regime si temono dei movimenti rivoluzionari e da parte dell'opposizione si teme un intervento sovietico come in Ungheria, il Partito riesce ad organizzare alcuni gruppi di operai che manda alle riunioni universitarie. « Perché vi ribellate contro il regime degli operai e dei contadini ? chiedono questi operai agli studenti e agli intellettuali,
(11) « Forum », I quindicina di settembre 1956.
(12) a Forum », seconda quindicina di settembre 1956.
(13) « Neue Deutschland », 2 febbraio 1957.
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« chi vi ha dato i mezzi per studiare se non gli operai col loro lavoro? » (14). Quando gli studenti rifiutano di partecipare a queste riunioni, il Partito si affretta a cogliere il pretesto per cercare di convincere gli operai della ostilità degli studenti.
Come si é visto, nel 19% il Partito ha ripreso un ruolo di primo piano in seno alle imprese. Cid é reso necessario dalla situazione nelle fabbriche, dove si tende a diminuire l'importanza del direttore. Nel 1956 il Partito si pone nuovamente in modo diretto come il prin., cipio unificatore del collettivo di fabbrica. Dal canto suo, l'opposizione supera ormai la fase rivendicativa e tende ad investire tutti i settori.
Il Partito sta attraversando una grave crisi. Tre anni di calla-borazione con i quadri tecnici dell'impresa hanno avuto non solo l'effetto di accentuare la burocratizzazione del suo apparato ma anche, e soprattutto, di diminuire fra gli iscritti il numero degli operai industriali. « Una parte dei nostri responsabili se ne sta al di sopra della sfera degli operai » scrive il periodico dei militanti di partito. « Essi non possono più avere una coscienza esatta della vita del semplice operaio nel mondo della produzione » (15).
Nel momento in cui sta alleggerendo l'apparato dei comitati di impresa immettendo alcuni dei suoi effettivi nei comitati dei vari settori di una stessa impresa, il Partito promuove una campagna per il reclutamento di 50.000 operai industriali. Ma le organizzazioni del Partito, preoccupate soprattutto di presentare ai loro superiori dei rapporti rosei, si affrettano ad amplificare i risultati di questa campagna e a trasformarla in « una caccia alle cifre e alle percentuali » (16).
Per la forza stessa delle cose i problemi della struttura e della composizione sociale del Partito sono fra i più discussi nel 1956. Quando il regime rimprovera agli intellettuali il loro isolamento, questi ribattono che il Partito stesso si trova isolato dagli operai. E' certo che nessuno resta persuaso quando il Partito afferma, in risposta ad alcuni universitari, che le masse possono realizzare i loro compiti solo se dirette da un partito — che é sottinteso sia il S.E.D.
(14) « Junge Welt », 17 dicembre 1956.
(15) «Neuer Weg », aprile 1956.
(16) « Neuer Weg», settembre 1956.
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— che sia compatto e guidato da un gruppo di dirigenti « dotati di cultura e di qualità eccezionali » (17).
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Abbiamo visto quale era la posizione di Wolfang Harich rispetto al problema del Partito. Fritz Behrens, che resta nell'ambito della legalità, non si pronuncia su questo problema. Ma il regime — per l'occasione Naumann, membro del comitato centrale — interpreta il suo silenzio in questo modo: se egli contrappone l'iniziativa operaia a ciò che chiama pianificazione burocratica significa anche che contrappone classe operaia a Partito, poiché pianificazione e Partito non sono che una sola cosa (18).
Un assistente del prof. Behrens, Arne Benary, membro dell'Istituto delle Scienze Economiche, mette in discussione le tesi di Lenin sul Partito. Lenin, fa presente Benary, affermava the la spontaneità operaia, abbandonata a se stessa, porta a un predominio dell'ideologia borghese fra gli operai. Senza mettere in dubbio le tesi di Lenin, Be-nary afferma che non possono però applicarsi alla situazione della Repubblica Democratica Tedesca, dove l'ideologia borghese non é ormai più predominante. La conclusione che ne trae Benary è che un partito fortemente centralizzato non é più necessario (19).
Nelle principali biblioteche pubbliche la lista dei libri messi all'indice é ancora rispettata. Ma nelle biblioteche degli istituti univer- sitari rifanno la loro comparsa Trotzki, Zinoviev, « Dieci giorni che sconvolsero il mondo », ecc. La leggenda della infallibilità di Stalin, col suo crollo, trascina seco quelle di Pieck, Ulbricht, Thaelmann, L'intera storia ufficiale del Partito é rimessa in discussione. La critica del presente rimanda a quella del passato, mentre regime e Partito sono respinti in blocco nelle persone dei capi.
La critica al Partito si diffonde in ambienti che vanno dall'università alla fabbrica. La reazione dell'operaio che domanda ai quadri del Partita quale è il suo ruolo nella produzione é la stessa di quella dell'intellettuale che arriva alla conclusione che l'apparato del Partito
(17) a Freiheit », 2 maggio 1956.
(18) a Einheit », gennaio 1957.
(19) a Einheit », aprile 1957.
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deve sparire. Si avverte il Partito come una cosa insieme inutile, incapace e dedita ad una intollerabile dittatura.
Verso la fine del 1956 due concezioni del socialismo tendono a precisarsi ed a contrapporsi. Per l'una, il Partito concepisce la classe operia come classe dominante e se stesso come coscienza operaia; per l'altra, gli intellettuali dell'opposizione scoprono l'esistenza di una classe operaia indipendente, ed il loro problema appunto é di definire il socialismo in rapporto a questa classe.
Per l'una e per l'altra, in seno al regime come in seno all'opposizione, il socialismo é in certo qual modo una estensione di ció che é la classe operaia. Ma per il Partito gli operai esistono, sono soggetti di storia solo se si riconoscono in lui: per l'opposizione la società può svilupparsi solo se può verificarsi l'indipendenza degli ,operai. Di fatto appare chiaro che lo stesso termine di a socialismo» indica delle realtà opposte, i cui elementi corrispondono tra di loro e insieme si contrappongono in modo radicale, cosí come si corrispondono e si contrappongono la fotografia e la sua negativa.
Intellettuali e operai, privi come sono di proprietà e lavorando per lo Stato, costituiscono i due gruppi più integrati della nuova so- cietà. Essi giudicano questa e le si oppongono dal di dentro. In un certo senso la loro unione é legata alle concezioni stesse del regime, il quale riconosce l'esistenza degli operai e degli intellettuali solo se sono uniti in un rapporto nel quale i primi siano la massa ed i secondi la coscienza.
Nella ideálogia delle democrazie popolari é sufficiente che operai e intellettuali siano unità perché la società venga concepita come tendenzialmente unitaria. Ma nei casi concreti il problema della unione degli intellettuali e degli operai con le altre classi sociali continua ad essere aperto. Ciò resta vero sia per il regime che per l'opposizione.
Nel 1956 le campagne ed i ceti medi urbani stanno in una posizione di attesa. Ma non c'é dubbio che queste classi, per il fatto solo di esistere, hanno una importanza considerevole. Ciò é dimostrata dall'atteggiamento tenuto sia dall'opposizione che dal regime. Il prof. Viewieg, presidente dell'Accademia delle Scienze Economiche
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Agrarie e seguace di Fritz Behrens, si dichiara favorevole alla sop- pressione delle aziende agricole collettivizzate. Quando a Harich, voleva che la piccola industria e il piccolo commercio tornassero in mano privata. Non é raro il caso, durante le discussioni che si svolgono nelle università, sentire questo studente o quell'intellettuale esprimere ammirazione per il liberalismo del mondo occidentale.
Orientandosi in primo luogo verso una intesa con l'impresa privata delle città — intesa che nello stesso tempo costituisce un tentativo di assorbimento — il regime offre, e talora impone, la sua partecipazione, in quanto azionista (in genere col 51% delle azioni) alle imprese private. Giuridicamente l'impresa resta privata, ma il suo carattere — si sottolinea - é cambiato. La contraddizione implicita nel fatto che gli operai addetti alle imprese private sono nello stesso tempo degli sfruttati ed i padroni del paese é — almeno formalmente — scomparsa. Ormai il regime consiglia a questi operai di dedicarsi con tutte le forze al loro lavoro. Tuttavia l'impresa resta privata. Il proprietario riscuote dallo Stato uno stipendio in quanto amministratore delegato e, nello stesso tempo, intasca una parte degli, utili per le azioni che possiede. Inoltre egli é libero di organizzare la produzione come meglio crede (20). Insomma, basta un cambiamento nello stato giuridico dell'impresa perché il concreto lavoro degli operai — che resta sempre il medesimo — sia considerato in modo diverso. Mentre il regime non tollera l'esistenza di organi ope- rai indipendenti, é disposto ad accettare un settore privatistico. Si aggiunga anche che il regime non considera come fondamentalmente diversi i rapporti di produzione che esistono nell'impresa privata e quelli che esistono nell'impresa statale.
Nel corso del 1956 l'opposizione si sviluppa da una fase ancora disorganica verso una fase organizzata, dalle discussioni nei gruppi di base degli organismi ufficiali verso l'urto con i vertici della società. Ma durante il mese di novembre, dopo il secondo intervento sovietico in Ungheria, l'opposizione indietreggia di nuovo verso la base e verso una nuova fase priva di organizzazione. Degli studenti vengono arrestati a Berlino, Halle, Lipsia e Dresda. Tuttavia l'atmosfera
(20) a Einheit », marzo 1957.
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resta quanto mai tesa. In seguito Harich doveva dichiarare: « In quei giorni di novembre) ho sentito nelle strade di Berlino il soffio della rivoluzione francese » (21). Il periodo apertosi con il XX Congresso del PCUS termina, a quanto pare, il 29 novembre, quando Harich, di ritorno dalla Germania Occidentale, é tratto in arresto sotto l'accusa di essere agente dell'imperialismo. L'argomento dell'autorità e della forza fa di nuovo la sua comparsa.
Gli intellettuali cessano di esprimersi e ben presto la voce del mondo ufficiale è, ancora una volta, la sola a farsi sentire. L'opposizione continua, profonda, tenace, nelle università come nelle fabbriche, ma é certo che ha fallito nel tentativo di diffondersi in tutti gli strati della società. Ormai l'iniziativa é del regime. Questi tenta di captare il movimento di opposizione, di assorbirlo, affermando che nella società unita sotto la sua guida solo un gruppo di intellettuali ha cercato di pescare nel torbido.
In dicembre ha inizio una discussione su un progetto ufficiale per la istituzione di comitati operai. Apparentemente questa discussione non fa che riprendere il principio — sostenuto sia dal regime che dall'opposizione — dell'autogestione operaia. Ma é indicativo il fatto che venga elaborata una teoria dei comitati operai, che riprende alcune idee dell'opposizione degli intellettuali, proprio nel momento in cui più violenta é la reazione contro gli intellettuali. Un articolo di « Einheit » di dicembre riassume questa teoria. L'autore, un insegnante alla scuola centrale del Partito, parte dal concetto che la classe operaia finora ha esercitato il suo potere al livello dello Stato, della pianificazione al centro, ma non al livello dell'impresa. La colpa di ciò viene addossata alla burocrazia. Ora, gli operai, strettamente condizionati come sono dal loro lavoro e dai rapporti sociali che si stabiliscono sulla base del loro lavoro, sono in grado di concepire la società solo in funzione del ruolo da loro svolto nell'impresa. E' ne-, cessario di modificare, per mezzo dei comitati operai, i rapporti esistenti nelle fabbriche e di assegnare finalmente agli operai una funzione dirigente. Per quanto riguarda le modalità di elezione dei comitati ed i limiti esatti delle loro competenze, l'autore dell'articolo si limita a dichiarare aperta la discussione in proposito e a precisare che il comitato sindacale difenderà, come in passato, gli interessi operai, soprattutto nelle questioni salariali. Quanto alla direzione, do-
(21) « Forum », seconda quindicina di marzo 1957.

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vrà prendere in considerazione il punto di vista del comitato operaio, senza tuttavia che il principio della direzione unica dell'impresa e della responsabilità personale del direttore possa essere messo, in qualunque modo, in discussione. Il Partito dovrà esercitare la sua funzione unificatrice in seno al comitato operaio, al comitato sindacale e alla direzione. In tal modo gli eventuali conflitti non acquisteranno mai un carattere generale. L'impresa, conclude l'articolo, dovrà formare una collettività unita dotata di autonomia per ciò che concerne la sua organizzazione interna e delegata dal potere operaio di gestire una parte della proprietà sociale. Questa collettività avrà dunque a cuore gli interessi generali della classe operaia, rappresentata dal regime. In parole povere, l'impresa dovrà tener conto, come è avvenuto finora, delle direttive impartite dagli organi centrali della pianificazione.
Il 1956, caratterizzato da una crisi di eccezionale ampiezza, si chiude dunque con un tentativo del regime di bloccare le agitazioni con la creazione di un nuovo organo che possa essere integrato nel sistema sociale della fabbrica e che si rifà agli operai. Dal punto di vista dello sviluppo interno del regime, si direbbe che un « corso operaio debba succedere al « corso tecnocratico » (si ricordi il cosiddetto di-rettorialismo) del 1955. In realtà si tratta di una svolta effimera. Infatti poche settimane dopo il « corso operaio » viene messo da parte e torna in auge una nuova forma di « direttorialismo ».
BENNO SAREL
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1958 Mese: 1 Giorno: 1
Numero 30
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30


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