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tipologia: Analitici; Id: 1472443


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Sergio Solmi, Distrazioni
Responsabilità
Solmi, Sergio+++
  autore+++    
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
DISTRAZIONI

Il leopardiano Dialogo della Moda e della Morte risente di un’epoca in cui la moda, per la sua persistente ieraticità, conservava, più di oggi,

i suoi legami con la morte, che l’ideale moderno del comfort ha in parte erosi.

La moda come precorrimento e riassunzione estetico-simbolica di fasi storiche. Una certa pettinatura sconvolta, a fiaccola, pre-esistenziali-stica, primo sintomo della seconda guerra mondiale. Nella primavera del 1948, l’apparizione per le strade di certe enormi gonne tipo abat-jour preannuncio la schiacciante vittoria della Democrazia Cristiana.

Il gusto delle forme ridondanti, del plantureux (Lollobrigida, Marilyn Monroe), che ha sostituito il mito androginico e vampiresco del primo scorcio di secolo. Ci sono precedenti storici (rivedere, quando possibile, nella Vita di Goya di Eugenio D’Ors, il capitolo dedicato alla Maya desnuda). Un ideale erotico da pouponnière ha preso il posto della Vamp che ha dominato l’epoca simbolista, quella dannunziana e quella immediatamente postdannunziana.

Quali pronostici se ne possono trarre? Non sembra semplice. Vedere quel curioso scrittore americano di fantascienza, Fritz Leiber, e quali presagi apocalittici deduce da queste indicazioni del gusto e dell’eros collettivi. Non è detto, purtroppo, che la predisposizione all’infantilismo, quale denunciata dalla moda americaneggiante, dal gioco di « lascia o raddoppia », dalla lenta ma inesorabile sostituzione del vino con la coca-cola, debba ricondurci all’innocenza, riaprirci i cancelli del paradiso terrestre.

« # #

Il mio amico Piero Martina, figlio di operai torinesi di vecchio ceppo, è un concentrato di « torinesità », come si vede anche dalla peculiare eleganza del suo segno pittorico. Non è perciò un caso, ma devo leggerlo in termini di destino, il fatto che, dopo tanti anni, sia lui a condurmi su di una sconquassata « giardinetta », in un rapido giro per la mia vecchia città.94

SERGIO SOLMI

Sfuggo i vortici neri, i buchi fondi del ricordo e del dolore. Al Valentino, malamente ostacolato da uno dei soliti concorsi automobilistici* la rapida veduta del passeggio domenicale sullo sfondo del fiume, con la collina a ridosso, carica delle ville variodipinte che l’« epoca Guaiino » cominciò ad aggiungere alle due stratificazioni tradizionali dell’architettura torinese, l’epoca Carlo Felice e quella Umbertina. L’incanto coloristico, il lento armonioso movimento dei passeggiatori, e si opera tosto il clic psicologico, l’assunzione del paesaggio al cristallo del «già veduto », all’eternità momentanea di cui sono materiati i ricordi profondi* Soltanto, oggi li posso rileggere in termini di technicolor, mentre ieri, tutt’al più, in quelli di illustrazione da Domenica del Corriere. Tornando a Milano, alla Stazione Centrale, un manif esto-ra:/# e illuminato in trasparenza mi offre uno specimen dei paradisi colorati che già ci apersero la pubblicità degli alimentari sulle riviste americane, o il cinerama. Scampati al napalm e ai campi di concentramento della seconda guerra mondiale, il secolo ci assiepa delle sue preziose e nitide immagini, dei suoi balocchi confortevoli, dei suoi più accreditati panorami serviti al minuto, ci lascia intravvedere la promessa di sempre più delicate anestesie. Ringrazio il secolo.

# # #

I BRUCHI. Verso la fine d’ottobre, sulla facciata del muro esposto a mezzogiorno, cominciavano a discendere, provenienti dall’orto retrostante, i bruchi verdi delle cavolaie. Una certa mattina, ispezionando la superficie scabra, scorgevo, appese ai loro robusti fili, le crisalidi in cui alcuno di essi si era tramutato, mentre altri, originariamente parassitati da certe farfalline carnivore, erano schiattati, esprimendo i loro voraci ospiti, un mucchietto di minuscoli bozzoli gialli, presso ai quali pendeva una floscia e morta spoglia.

Mi stupivo, considerando la nessuna cautela dei bruchi nello scegliere il luogo della loro metamorfosi : il più spesso sulla parte bassa del muro, in una tenue scanalatura fra le pietre, a portata del primo passante che avrebbe potuto, con un leggero gesto della mano distratta

o curiosa, sopprimere il gracile individuo. Dovevo concluderne la pressoché totale trascendenza del nostro al loro mondo: deducibile dallo stesso volo capriccioso e spezzato delle farfalle, analogo nella sua funzione al colorito mimetico, predisposizione organica e meccanica delle specie contro la morte, improvvisamente materializzantesi nella rossaDISTRAZIONI 95

voragine d una gola d’uccello, nella rete o nella mano concava d’un ragazzo. Pericoli cui l’individuo, con le sue risorse d’istinto autonomo, non potrebbe parare. Nell’orizzonte lenticolare, scabro e circoscritto, di questi bruchi, non entravano evidentemente le immense ombre dei passeggiatori in attesa del tram.

Quest’anno, la cavolaie hanno disertato il muro: e sì che, dalla porticina spesso socchiusa, per tutto l’inverno hanno continuato ad occhieggiare le enormi rosacee dei cavoli color verde antico. Durante la primavera, l’orto è scomparso: è stato trasformato in terreno da costruzioni, e scorgo operai che vanno e vengono con attrezzi e sacchi di cemento. L’unica crisalide che fossi riuscito a rintracciare, ultimo superstite esemplare della stirpe, s’è disseccata senza schiudere il volo al delicato insetto. Mi piace fantasticare che l’intera colonia ha « previsto » fin dallo scorso autunno la prossima distruzione del suo ambiente vitale, ha per tempo emigrato e deposto altrove le sue uova. Forse nell’acquisto e nel perfezionamento lento, attraverso i millenni, di questa capacità di «previsione», è il suo «progresso». Penso agli insetti razionali (e giganti) che scienziati immaginosi come Hòrbiger hanno situato nella remota preistoria del nostro mondo, e la cui mostruosa intelligenza s’è a poco a poco automatizzata in quello che chiamiamo istinto (in base alle convenzioni logiche che presiedono alla nostra «ragione»).

Sempre mi ha colpito questa trascendenza reciproca delle forme di vita, che moltiplica in una dimensione disperata l’inevitabile trascendenza delle singole coscienze tra loro. Mi sono spesso perduto a suppormi da quel punto di vista talmente esterno e remoto, di fronte a cui le modificazioni della nostra storia, i progressi della nostra tecnica, non abbiano più senso del dilatarsi d’una muffa, di un lichene sopra una roccia, del ramificarsi di una vegetazione. Vivere nell’immanenza è, in ogni caso, una scelta — sia pur necessaria — un superare con un gesto di volontà il momento di colorita vertigine e smarrimento che è forse la nostra prima e più autentica reazione al mondo, per incanalarci nelle strutture razionali che a quel mondo danno un senso almeno internamente valido per l’esplicazione del nostro ciclo vitale. Ma guai se quel brivido di pungente irrealtà, o di nulla, o di extratemporalità, guai se quell’aria d’abisso non fiatasse di tanto in tanto sui nostri volti. Un impegno terrestre troppo insistito, un eccesso di realtà ci renderebbe la vita impossibile. I nostri atti resterebbero per sempre imprigionati in un blocco atrocemente impensabile, come nelle mitiche immagini dell’inferno. La salvezza è nel fatto che, senza saperlo o sapendolo, noi pen96

SERGIO SOLMI

siamo e viviamo sul filo esatto (furia contraddizione. Per questo, finché durerà la storia dell’uomo, vi saranno sempre, sui ripiani dell’Himalaya, monaci tibetani a contemplare attoniti un cielo indecifrabile.

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Credendosi solo nel tram fermo al capolinea, all’una di notte, in attesa dell’ultima corsa, il giovane missino in maglione nero butta indietro le spalle, si atteggia fiero sporgendo il mento nel noto profilo imperatorio. Mi sforzo di immettermi in lui, di combaciare col suo orizzonte. Probabilmente questa equivoca e travagliata democrazia deve apparirgli una fase d’oscuramento transitorio imposta dalla malasorte al nostro paese, al termine della quale si ridischiuderà infallibilmente una visione luminosa di risorti fasci littori e aquile romane. I dati dell’attuale situazione internazionale non hanno probabilmente per lui molto senso, tantalizzato come ancora dev’essere dalla perfida Albione e la corrotta Francia, i sacri confini e il « mare nostrum ». Mi viene in mente, come caso limite, cosa ebbe a raccontarmi cinque o sei anni fa un amico di ritorno dal Brasile, di certe comunità giapponesi dell’in-terno, che non credevano ancora che il Giappone avesse perso la guerra, anzi vi si sussurrava sottovoce che la potente flotta del Mikado stava ancora pattugliando gli oceani e controllando il traffico verso le Americhe.

Penso a quanto sia tirannica, superiore ad ogni ragionamento, la forza di una consuetudine, di un amore, di un legame di «clan». A come, nel determinarsi di una vocazione religiosa, abbia probabilmente contribuito una folla d’elementi inconsci, un raggio tra le vetrate di una chiesa nell’ora del vespro, un odore d’incenso, una musica d’organo, infinitamente più di tutte le teologie di questo mondo. A come, nello svegliarsi di un destino di rivoluzionario, abbia giovato indubbiamente di più un’infantile frequentazione di ambienti piccolo-borghesi, percorsi da un fremito di risentimento e di riscossa, che non tutti i testi marxisti. Penso alla forza di una tradizione famigliare, d’una rivelazione puerile, su cui si sono sedimentati a poco a poco i ricordi e gli affetti, su cui è piovuto ad un certo momento un lume di consacrazione.

Alain giustificava queste ragioni dell’irrazionale, e lo stesso fanatismo, che gli sembrava inerente alla natura umana, e per cui non esistono guerre che non siano di religione. Ad esso rimediava la cultura, « che rende adorabile la diversità ». Ma questo ideale e integrale liberaDISTRAZIONI

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lismo è rintracciabile unicamente in certe punte supreme della civiltà, e lo sforzo storico, nel suo profondo, lo ignora. Attraverso il processo dissolvitore della cultura, le idee finiscono con lo smussare la loro punta, col tendere indefinitamente a un’armonia (o combustione), con l’ordinarsi secondo una dialettica che tutte le accolga e giustifichi e disponga come sfumature o sfaccettature d’un’ipotetica unica idea. Correlativamente, in un simile clima a poco a poco la particolarità passionale e tradizionale decade a costume, e di lì a poco si dissecca e sperde. Perciò il reale progresso sarebbe, in pari tempo, un progressivo diradarsi e affievolirsi dell’impeto vitale: che le passioni, e gli interessi che ne sono a fondamento, mantengono invece sveglio, alimentando di continui errori ed illusioni, e di forti verità parziali, lo sviluppo della condizione umana nel tempo.

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Il giornale del lunedì reca il solito lamentevole elenco di sciagure automobilistiche, schiacciamenti, affogamenti, intere famiglie distrutte ecc. Chi conosca la prudenza, la cautela vitale del medio borghese italiano — e d’altri paesi — che sembra addirittura rasentare, specie in certe sue dichiarazioni, la pavidità, non può non stupirsi della leggerezza e dell’entusiasmo con cui innumerevoli suoi campioni si offrono quotidianamente, e il più delle volte senza alcun bisogno, ai sacrifici sanguinosi del Moloch Velocità. Chi non salirebbe mai su un aeroplano di linea (mezzo di gran lunga meno micidiale, secondo le statistiche, di quello automobilistico), non esita a lanciarsi a più di cento all’ora sulle inefficienti strade italiane ingorgate dal traffico domenicale.

Probabilmente la ragione principale sta nel fatto che ogni epoca impone, a determinati ceti, un certo modello di vita, a cui è necessario uniformarsi sotto pena di squalificarsi, di decadere, di « restare esclusi ». È il senso originario del motto noblesse oblige. Probabilmente il rischio di una disgrazia automobilistica tiene, nella nostra epoca, il posto di quello che poteva essere il rischio di un torneo per un cavaliere rinascimentale, o quello di un duello per un borghese delPOttocento (elevato statisticamente al cubo secondo le dimensioni dell’era democratica). È pur sempre singolare notare come la nostra civiltà, che ha diminuito in misura così considerevole l’insicurezza quotidiana in confronto ad ogni altro tempo, mantenga così vastamente aperto un altro genere di rischi, nel suo fondo essenzialmente gratuito. Né si vuole, qui, alludere a quelli più propriamente sportivi, perché gli sport pericolosi, come l’alpinismo,98

SERGIO SOLMI

interessano pur sempre una proporzionalmente limitata categoria di persone. Ma il comune automobilismo si allarga a ceti sempre più imponenti, e tende a diventare universale persino da noi.

Per quanto grande possa essere la nostra pietà per le vittime, è ancora una volta rassicurante attestare questa persistente generosità, arditezza e « gratuità » della natura umana, sotto tante incrostazioni di egoismo e di conformismo.. Nietzsche si consolerebbe, vedendo per sempre smentito il mito ironico, che apre lo Zarathustra, degli ultimi uomini che hanno trovato la meschina felicità. Esto todos caballeros.

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DISCESA AI VERDI INFERNI. Forse un oscuro principio di spiegazione posso trovare in questo specimen di foresta vergine in una serra del Palmengarten di Francoforte, dove nell’aria soffocante del bagno caldo vaporano acqua e linfa, mi frusciano sul volto gl’immensi cuori venati e lanceolati, i capelli vermiformi, le aeree cucurbite le lame dentate delle felci, le spazzole dei paletuvieri. Qui dove ogni pianta avvinta all’altra in amplessi indecifrabili ha laria di attingere la vita alla vita delle compagne, l’arbusto parassita nidifica nel grembo contorto dell’albero surrealista e ne esprime fiori di sangue, da contratte guaine spingono

i duri falli giallastri. Quanto nel mondo animale si polarizza almeno potenzialmente in dolore e piacere, in bene e male negli stadi cosiddetti superiori della coscienza, in questa società vegetale cessa di aver senso, si appiana e si eguaglia in un unico flusso costante, quasi una pietrificazione organica che perennemente ritrasforma e identifica vita e morte nell’implacabile sovrapporsi dei suoi strati. Il filo della liana che avviluppa, la spina che trapassa, la ventosa che sugge non sono più strumenti di sofferenza o di voluttà, ma semplici laboriosi organi di conservazione e di trasmissione. Forse questo inferno vegetale rappresenta, rovesciato, quel punto supremo dell’estasi mistica dove bene e male, trionfo e vergogna, il letto dell’amore e la ruota del supplizio, sono la stessa cosa.

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COLORI. Di contro all’eguale cielo estivo, d’un chiaro freddo cobalto impresso su di un invisibile nero (« l’azur, qui est du noir » diceva Rimbaud), il fogliame immobile dei pioppi, d’un verde spento sotto una bianca polvere d’eternità. Guarda, è un Morandi.DISTRAZIONI

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Ma se tolgo gli occhiali neri, Morandi scompare. È un bandone d’azzurro uniformemente squillante, astratto, innaturale. Un azzurro di Picasso, dice mia figlia.

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LA FIERA. L’odore della fiera di paese, che m’incantava bambino. Un odore, a tratti, raccolto e grave di stoffe di cotonina nuove, che mi riportava a un altro parallelo trasognato ricordo: quello di buie piccole mercerie nei vicoletti di vecchie città di provincia, dove quell’odore intensamente dominava (e più tardi, ritrovandolo, in esso avrei voluto addormentarmi, quasi al richiamo del sepolto, imperseguito filo di un oscuro e tranquillo e tuttavia un tempo possibile destino). Oggi invano, di bancarella in bancarella, l’olfatto persegue l’antico, indimenticato e pur irriproducibile aroma. Il cotone pare ormai quasi ovunque sostituito dal nylon, mentre le mostre rigurgitano dei prodotti standardizzati e uniformi che si trovano tali e quali nei grandi empori cittadini. Altra volta il giocattolo, il coltelluccio, la pantofola esprimevano i caratteri grezzi ma elaborati e individuali del lavoro artigianale, differivano non soltanto secondo i gradi e le zone delle loro finalità utilitarie, ma anche secondo la loro origine — regione, tradizione e mestiere. Inoltre, avevano tutti un odore: di legno, di stoffa, di metallo, che riconduceva direttamente gli oggetti alle sostanze esistenti in natura donde erano sortiti per effetto dell’opera manuale. Oggi, come sotto forma di nylon e altri ritrovati sintetici tende a sostituire lana, seta e cotone, la plastica rapidamente soppianta anche le altre materie, vetro o terraglia, legno o pelle animale, coi prodotti interscambiabili della sua anonima e indifferente magìa trasformatrice. Così, la stessa fiera di paese, mentre ci occlude sempre più i canali col passato, ci introduce, con queste sue multiformi e squallide meraviglie, alla civiltà eguagliatrice, interscambiabile, asettica e «inodora» del domani.

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TUTTO INSIEME I satelliti artificiali hanno cominciato a descrivere le loro orbite in cielo, i razzi tenteranno presto la Luna. A Benares o a Lourdes moltitudini immense sfilano in processione implorando purificazioni e miracoli, e ricreando integralmente pezzi di medioevo o di antichità immemoriale. In modernissime cliniche il cuore è estratto dal torace di un uomo che ha cessato appena di vivere, e riprende a battere100

SERGIO SOLMI

dopo una breve operazione I Nambikwara vaganti nell’interno del Brasile descritti da Levy-Strauss, nudi ancora come Adamo, si nutrono di radici e cavallette e dormono la notte sotto gruppi di palmizi le cui foglie, piegate e unite alla cima, forniscono loro un provvisorio riparo. Sotto quelle incerte cupole vegetali chiacchierano e ridono beati, perpetuando un Eden crepuscolare, una squallida e pidocchiosa età dell’Oro.

Più davvicino ancora. Abbiamo visto in Russia Sovietica, negli scorsi decenni, i concetti d’una filosofìa razionale, sottratti al loro ambiente vitale di libera critica, ossificarsi in dogmi in tutto simili a quelli elaborati dalle teologie medioevali, attirare scomuniche, provocare abiure e confessioni pubbliche, accendere « auto-da-fè ». Danilo Dolci ha incontrato nelle regioni più depresse della Sicilia i superstiti adoratori del Sole e della Luna, identificati in Gesù e la Madonna. Magìa e rSciame : negli Stati Uniti, durante la proiezione di un film, pubblicità invisibili adocchio cosciente passano sullo schermo a ripetizione per una minima frazione di secondo impressionando il subconscio degli spettatori, che, negli intervalli dello spettacolo, si precipitano ad acquistare la coca-cola o il pop-corn in detta pubblicità raccomandati: l’avvenire sarà degli automi, in ferro o in carne.

Tutto insieme. L’umanità comincia ad entrare nella sua nuova dimensione spaziale con queste sue mobili e confuse stratificazioni, recentissime o remotissime, con queste sue innumerevoli striature ribelli all’intelletto, mescolate come in un mostruoso cocktail di ere. L’uomo crocifisso al corso della sua intera storia penosamente si stira, si dilata, tenta l’avventura cosmica.

Sergio Solmi
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32287+++
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1958 Mese: 1 Giorno: 1
Numero 30
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30


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