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tipologia: Analitici; Id: 1465200


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Luca Toschi, Varietà e documenti. Un romanzo sconosciuto nella Toscana neoclassicista
Riferimento diretto ad opera
anonimo [ma Luigi Ciampolini], Viaggio di tre giorni, 1832, Firenze, Stamperia Granducale all'Insegna di Pallade {Viaggio di tre giorni / anonimo [ma Luigi Ciampolini]}+++   saggio su+++   
Responsabilità
Toschi, Luca+++
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
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UN ROMANZO SCONOSCIUTO
NELLA TOSCANA NEOCLASSICISTA
1. Un ex-combattente di Missolungi, ritiratosi in volontario esilio nel contado campano, riceve un messaggio: il mittente, per lui persona quasi sconosciuta, lo invita a recarsi immediatamente a Napoli per comunicargli un segreto, tanto importante da non potersi affidare alle carte. La mattina dopo, « a ore undici, con tempo sereno, con vento di Ponente segnando il termometro 18.8, l'igrometro 64, ed il pluviometro 0,02 », dopo falsa partenza su mula troppo ombrosa, ha inizio il viaggio, circa quaranta miglia fatte un po' a piedi, un po' in diligenza, per la campagna, per la città, visitando manicomi, caffè affollati, alberghi, teatri, negozi alla moda, case nobili e borghesi, catapecchie. Alla fine il segreto resterà tale: colui che ne possedeva la chiave nel frattempo sarà morto.
Potrebbe trattarsi dell'intreccio di una moderna opera dell'assurdo; è invece l'esile trama attorno a cui è stato costruito il Viaggio di tre giorni, pubblicato anonimo nel 1832 (Firenze, Stamperia Granducale all'Insegna di Pallade). L'autore si può identificare con certezza in Luigi Ciampolini, uno sconosciuto per la critica, o quasi: napoleonico prima, liberale poi, è in Grecia durante la guerra d'Indipendenza contro i Turchi; neoclassicista, che non disdegna però una professionale collaborazione con l'« Antologia », è ai suoi tempi scrittore pressoché ignorato. Eppure conosce Leopardi, Giovan Battista Niccolini, il tragediografo e carbonaro Francesco Benedetti, Giovanni Rosini, il Giordani, Filippo Pananti, ed è noto al Foscolo; anzi, l'incontro con quest'ultimo, come ci confessa in una sua breve autobiografia finora inedita, si rivelò per lui molto importante: « `Io vi conosco', mi disse egli il Foscolo, venendomi incontro e stendendomi cortesemente la mano, e mi recitò il sonetto La Venere Italica scolpita da Antonio Canova [stampata dal Ciampolini nel 1812], facendomi encomio che soddisfece molto alla mia ambizion-cella. E Foscolo era uno di quegli scrittori, che mi andava a genio e per le sue poesie e per le stravaganze del suo vivere e per quella fibra risentita che mi pare di avere comune seco lui ».
Il Viaggio di tre giorni si colloca alla fine di una carriera caratterizzata da un perdurante sperimentalismo che, dopo la pubblicazione di canonici Idilli (1817 e 1822), si era misurato con le storie coeve (Le guerre dei Sulliotti contro All Bascià di Janina: Commentario, 1827), per approdare infine, nel 1832, alla narrativa con La presa di Ravenna (cronaca del sec. VIII). Con ciò il Ciampolini non si proponeva certamente di intervenire nella querelle del giorno, scrivendo un romanzo storico in antitesi al modello romantico dominante (segni in tal senso appaiono marginali); tentò solo un approccio preliminare ad un codice a cui, piú che a qualsiasi altro, il pubblico di quegli anni sembrava interessarsi. Una scelta di genere, quindi, che rivela un intellettuale attento al mutamento allora in atto del proprio ruolo e animato dalla precisa volontà di impegnarsi in un lavoro che avesse una reale incidenza sociale, al di là della logica imposta da rigidi schieramenti culturali. Dopo poco, infatti, confermò l'elezione romanzesca, e stavolta,
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messe da parte titubanze e mezze misure, propose col Viaggio una soluzione antitetica rispetto a quelle che il romanzo italiano si ostinava ad offrire.
È noto che la nostra narrativa, uscendo da una stagione settecentesca povera di elaborazioni originali e faticando a coprire la crescente domanda di una borghesia sempre meno sprovveduta, pagava il prezzo di una dura, crisi non piú arginabile con semplici variazioni sul solito tema (d'importazione) dell'historical novel. Il Ciampolini, allora, proponeva l'abbandono di ogni mediazione, anche storica, per la ricerca di un piú diretto confronto con il presente. L'intenzione dispiacque a tutti, ai neoclassicisti, certamente, ma non meno ai loro avversari i quali si mostravano titubanti — un'estrema autocensura? — a dare cittadinanza letteraria a materiali attinti dalla contemporaneità, preferendo relegarli, semmai, con ombre e contraddizioni, nella narrativa popolare. Anche il Tommaseo, che oggi gode di una seconda fortuna proprio come sperimentatore, al momento di annunciare il volumetto sull'« Antologia », lo liquidava come « uno scherzo d'ingegno », e nient'altro; poco davvero per un lettore altrove cosí attento.
2. La scelta dell'impianto odeporico come asse portante del Viaggio di tre giorni colloca saldamente il romanzo all'interno di una tradizione letteraria che, per quanto finora ignorata dalla critica, ebbe eccezionale diffusione nei primi decenni del secolo. Comparvero in quel periodo il Viaggio e maravigliose avventure d'un veneziano ch'esce la prima volta delle lagune e si reca a Padova ed a Milano, di Francesco Contarini, il Viaggio nelle mie tasche, di Luigi Bassi, solo per citare i due libretti giunti al grande pubblico che rispecchiano i limiti piú caratteristici di questi prodotti: il primo, edito a Milano dal Silvestri nel 1818, riesce ad andare oltre il semplice divertissement, risultato massimo a cui era pervenuto il suo autore ai tempi delle polemiche antifoscoliane e del « Poligrafo », ma dimostra un'ispirazione macchiettistica ancora interamente settecentesca; il secondo, di cui resta una stampa mantovana del '23 (distribuita sempre a Milano dal Silvestri), documenta quanto fosse difficile attingere dal quotidiano il materiale narrativo, senza lasciarsi avviluppare nel sentimentalismo e nel moralismo, corollari inevitabili delle pubblicazioni di marca reazionaria, e non solo. « Scorsi assai regioni, vidi molti uomini, e mi convinsi che se diversificano le gradazioni de' colori, l'impasto è per ogni dove lo stesso » afferma, appunto, solennemente, l'anti-illuminista Bassi in uno dei capitoli centrali (p. 68). Ed in effetti queste opere, che sembrano volere riscattare la letteratura odeporica del secolo precedente dall'acquitrino dell'erudizione e dell'antiquaria in cui era caduta, dimostrano di avere rinunciato ad ogni istanza realistica; e, mentre propongono un allettante viaggio nella contemporaneità, illudendo magari il lettore di avere rinunciato a certo esotismo dilettantistico proprio del secolo XVIII in nome di una concretezza nuova, si rivelano alla fine dei non-viaggi nei turbamenti epidermici di un esasperato narcisismo, ovvero di un quotidiano legalitario dove accade solo il prevedibile. Né tale conservatorismo verrà abbandonato in anni successivi (per esempio, in Un viaggetto alla città di Milano fatto nel mese di Giugno del 1832, di G. S. D. C., Milano, Manini, 1834), a parte il notevole Viaggio sen-
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timentale al camposanto colerico di Napoli (Napoli, Stamperia Del Fibreno, 1837), in cui la tragedia delle genti napoletane sembra non dare tregua alla penna dell'autore, Lorenzo Borsini; ma siamo ormai alle soglie degli anni '40.
Tutta questa letteratura, facile e di grande consumo, riconosce nell'autore di A Sentimental Journey Through France and Italy, Laurence Sterne, il suo nume tutelare ed ispiratore: frati mendicanti, già ricchi di spiriti marziali eppure miti, misericordiosi (lo stesso Fra Cristoforo manzoniano si rifà in qualche modo a quell'archetipo), misteriose donne gentili, tabacchiere palpitanti, servitori suscettibilissimi, asini morti, polsi languidi, filles de chambre, guanti galeotti, lettere per Mesdames, Marie abbandonate, affollano questi romanzi (oltre ad animare gli epistolari privati dell'epoca). Ma già ad una prima lettura si rivelano repertori svuotati dei loro contenuti originari e completamente riadattati secondo i dettami morali e strutturali dei fortunatissimi Voyage autour de ma chambre ed Expédition nocturne autour de ma chambre (usciti rispettivamente nel 1794 e nel 1825) in cui Xavier de Maistre, fratello del piú noto Joseph, aveva sperimentato un nuovo modo di viaggiare, ritirandosi in una stanza, nascondendosi a tutto il mondo, prendendo lezioni di umanità dal servo e dal cane. Una restaurazione in piena regola, condotta mediante un'intelligente manipolazione di motivi illuministici.
In tal senso l'insegnamento del Foscolo era rimasto senza effetto e l'austria-cante Paride Zajotti, collaboratore assiduo della « Biblioteca Italiana », in un citatissimo articolo sul romanzo, poteva definire il Viaggio sentimentale dignitoso, il Tristram Shandy assolutamente improponibile, dato che « l'avviluppo delle passioni, degli affetti, dei sentimenti, delle idee » veniva presentato in quell'opera privo del necessario `ordine' e `controllo' razionale. Il giudizio, pubblicato (la coincidenza si fa ironia) nel settembre 1827, all'incirca quando nel cimitero di Chiswick veniva tumulato l'ultimo grande lettore di Sterne, non destò clamorose reazioni. Anche sul versante democratico, a causa del malinteso rapporto fra letteratura e impegno risorgimentale, la traduzione del Sentimental Journey, coinvolta nella crescente sfortuna critica del suo autore, non riusciva, assieme alla Notizia intorno a Didimo Chierico, a liberarsi dal giudizio che ancora oggi la vuole assolutamente legata ad un momento di disimpegno e di rinuncia e non, invece, ad una ricerca (iniziatasi con l'Ortis e con il Sesto tomo dell'Io, ripresa in ultimo con le Lettere scritte dall'Inghilterra) di forme narrative adeguate alle nuove esigenze, memore delle esperienze piú mature del romanzo settecentesco.
3. Accennare alla presenza di aspetti sterniani nel Viaggio del Ciampolini è d'obbligo, però è poco; per la quantità dei riferimenti, infatti, si potrebbe parlare quasi di plagio: basti ricordare il protagonista, cosí simile al parroco Yorick; il suo servo Lorenzo, contadino ma sensibilissimo e affezionato al padrone come La Fleur; Belinda, la bella giovine diventata pazza, sorella gemella di quella Maria di Moulins già ripresa dal Foscolo nel personaggio di Lauretta; e poi Amelia, per la quale il riferimento alla piú famosa Elisa è automatico; il monaco, il fuoco dei cui occhi arde come quello del frate di Calais; il vecchio soldato monco, simile in tutto a quello incontrato da Yorick a Montreuil, etc...
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Non solo: capitoli brevissimi si alternano ad altri lunghissimi; il xxiii, rubricato come « La piú bella pagina della mia storia che non verrà né censurata, né confutata, né screditata, né riprovata », si presenta come un foglio bianco; è perciò « un Capitolo di tutto nostro genio, un Capitolo che non lasci desiderio al lettore, un Capitolo inappréciable, un Capitolo per eccellenza, il Capitolo dei Capitoli » (pp. 79-80). Nel caso in cui l'autore, per motivi personali, non abbia interesse a concludere il racconto intrapreso, senza pensarci due volte lascia tutto lí e passa avanti (cap. xiri). La disinvoltura sperimentale, oltre ad improntare il linguaggio del volume (ogni lingua è ammessa, meglio se non esiste, se frutto di pura fantasia), induce il Ciampolini a rinunciare ad un point of view unico: egli, infatti, riesce a creare una serie di centri narrazionali ben distinti, identificabili ora nel binomio autore-attore, con una visione soggetta a limiti spaziali e temporali precisi (fine cap. XL), ora nell'autore onnisciente (tipico il caso della seconda parte del capitolo xxv), a volte suggerendo contemporaneità fra tempo di lettura e di scrittura, a volte negandola mediante il registro memo-rialistico.
L'impressione che si tratti di un collage diventa certezza dinanzi all'inserimento, nell'esile trama del romanzo, di materiali che l'autore propone inaspettatamente al lettore, senza prima averli amalgamati e organizzati. Vediamoli con ordine: nel capitolo Ix si riporta la storia del Cavaliere con le corna sul cappello, fingendola letta in un libro rinvenuto per caso dal protagonista, una di quelle opere che i servi tengono « sempre fra mano, facendole viaggiare, dalla cucina alla stalla, dalla stalla alla camera, dalla camera alla sala », tanto simile ai romanzetti in voga nel secolo del Chiari e tanto biasimati dal Baretti; nel capitolo XII si inserisce la vicenda narrata dal Marchese dell'assedio senza quartiere fatto dal Signor Gottardo, gentiluomo di Haarlem, a Guglielmina, vedovella reticente di Amsterdam; nel capitolo XVII la descrizione-Avvertenza per l'uso del Panoptico, strumento di ottica eccezionale; una ricetta per fare ritratti, nel capitolo xvIII; la trascrizione accurata del taccuino di un Narciso di alto lignaggio, con il prospetto esatto delle Scommesse alla Corsa, nel capitolo xxiv; una sfilza di quesiti posti al lettore, nel capitolo xxvii; un breve, ma esauriente, trattato su « la domanda » (capitolo xxix). Questa tecnica narrativa arriva fino al punto che l'autore (cap. =VI) `racconta' se stesso impegnato a scrivere in un album di Milady tre caricature, poi inserite senz'altro nel romanzo, e mette il capitolo XXXVIII tra « (Parentesi) », giacché lo considera non rilevante, intrecciando bruscamente un colloquio privato con un ignoto interlocutore intorno ad un'altret-tanto ignota Ortensia. Un procedimento da fare invidia a tutte le avanguardie del '900. E non sono questi gli unici imprevisti a cui andava incontro un lettore sprovveduto del 1832.
Le `libertà' concesse dal Ciampolini all'io narrante travalicano le motivazioni addotte in nota al capitolo intitolato Frammento, uno degli ultimi, in cui l'Editore, per giustificare il salto dal capitolo xLVI al Lxiv, spiega come la pubblicazione del Viaggio di tre giorni sia stata fatta da « carte » pervenute mutile. Tale rivelazione finale, infatti, da ricollegarsi, com'è ovvio, alla fortunatissima tradizione del manoscritto ritrovato, sorprende il lettore con una duplice ricomposi-
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zione: sul piano dell'intreccio si viene contemporaneamente a sapere della morte di colui che aveva spedito il biglietto, primo motore della vicenda, si mette a fuoco la figura di Belinda, si assiste all'incontro con l'amico scomparso dopo Missolungi; sul piano strutturale, la suddetta nota fornisce il filo conduttore di un mosaico altrimenti troppo casuale. Si tratta di una coincidenza non fortuita, giacché viaggio storico e viaggio scrittorio avvengono di pari tempo, e si configurano come due momenti fra loro strettamente connessi.
Via via che il narratore dipana il suo itinerario, il romanzo si popola di personaggi, sarcastici paradossali tragici `sentimentali', secondo un'alternanza di patetico e comico che, sia detto subito, non nega l'amarezza di fondo, attenuata appena nell'impagabile serie di graffiti: Lorenzo, il già ricordato servitore; alcuni garzoni addetti al traghetto, violentemente chiassosi ma ubbidienti agli ordini del minaccioso navalestro; i clienti di un caffè di Capua, la cui borsa e cuore vengono messi a dolorosa prova dal cappello di un mendicante paralitico: l'eterogeneo equipaggio della carrozza, e cioè il Marchese Alfonso, « emerito cicisbeo, fashionable, profumato, incipriato, caudato », il Capitano Paffenhoffengelter-kendstork, « uno di quei tanti Baroni dei quali è popolata la Germania », l'Abate, accademico « indagatore, scopritore, saggiatore, copiatore, espurgatore di rancidi codici e pergamene », sempre pronto ad omaggiare la sorella del Marchese, suo protettore, con « commissioni per la mercantessa di mode, pel medico, pel parrucchiere ».
E ancora, ad accrescere la nota del grottesco, il sapiente chiuso in manicomio, impegnato nella sua cella a scovare « un coordinamento enciclopedico dell'universale scibile », secondo la ben nota scienza denominata « enciclomistico-pandomatica »; lo statista folle, troppo assorbito per concedere udienza; l'« uomo ben vestito e di grave aspetto », il medico della clinica psichiatrica, sospettato a sua volta di pazzia; l'uomo morto da 2756 anni, nella battaglia di Roncisvalle; l'ignota Belinda; la famiglia del povero indebitato; il cavaliere G...., amante di Madama Susanna, attricetta che vive in compagnia di un pappagallo, di uno scimmiotto, di una cagnetta, di Fulgenzio, suo marito; Amelia, misteriosa amica del viaggiatore; una dama inglese. E altresì, l'« amico di tutti »; Donna Livia e la figlia Fanny, la loro modista di fiducia, il profumiere Mr. Johnston, Mr. Léger; « Contini, Marchesini, Baroncini, tutti ben attillati, speronati, grands hommes de boudoirs, de salons et cafée »; un vecchio povero che parla col cane morto di fame; un anziano Barone, « avanzo del secolo passato », che trascorre la sua giornata tra fiori, vini e cavalli, infastidito soltanto da amministratori lestofanti; l'attore comico che, dopo anni di frustrazioni chiamato infine alla tragedia nella parte di Giuda, si impicca incidentalmente sulla scena; il ladro gentiluomo; il finto Signore; il padre con figlia scimunita; l'ex-ministro, prima ricercatissimo ora scansato da tutti; il monaco... e tante altre figure minori.
Non si tratta quindi di una galleria di personaggi, quanto di una folla, dove rapporti e relazioni sono del tutto estrinseci, anche se, indubbiamente, li accomuna una tensione di fondo morale e civile. In tal senso oltre ai numerosi spunti patriottici presenti nella figura del viaggiatore, va visto il profilo dell'amico morto prematuramente (dove si adombra la vicenda del Benedetti) il quale « riprendeva
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la stupida tolleranza di tanti secoli, biasimava amaramente il vanto inverecondo delle avite glorie, l'inerzia di noi presenti, mostrava gli esempi, additava i rimedi. Folgore erano i detti suoi e fiamma devastatrice che ratta si apprende agli animi gentili [...] Oh! potess'io in ogni cuore gentile ridestando la tua memoria accenderlo ad un tempo di quella santa carità di patria [...] ma la mia penna non ispande torrenti di luce... ella segna soltanto alcune traccie fosforiche » (pp. 27-9).
La medesima esigenza di rinnovamento etico e politico che provoca la reazione del viaggiatore dinanzi alla dorata gioventú napoletana: « Si, lo spirito si esala in quel loro festevole conversare, come il volatile dei profumi, se si arricciolano o si scompongono con disinvoltura il ciuffetto, o lisciansi i mustacchi, le favorite o il pizzo terribile del mento! Salve speranza e decoro della patria » (pp. 138-9). E lo stesso tono polemico non risparmia la cultura, imputata di isolamento, venga essa rappresentata dallo erudito quanto sterile Abate, dai rigorosi seguaci del Purismo (p. 142 n.) oppure dall'intellettuale pazzo, ostinatamente legato ad astrazioni di enciclopedistica ascendenza.
A questi motivi, ancora in odore di letteratura, si affiancano poi episodiche ma risentite proteste di sincero sdegno civile, come quando l'autore attacca, senza mezzi termini, il privilegio, specie nel capitolo xxxiv in cui descrive con disarmante serietà e ricchezza di particolari la guerra scoppiata fra il Capitano e l'Abate, armati di molliche di pane, spuntate forchette, coltelli da tavola, e il successivo armistizio, stipulato la mattina del 19 maggio 1831, mentre l'Austria, sconfitte le Provincie Unite insorte, stava scatenando la sua feroce reazione contro i patrioti. Il tono, certo, è per lo piú moderato, in linea con la posizione tipica di tanta intellighentia toscana ruotante attorno all'« Antologia »; ma questo moderatismo basta a far sí che l'autore proponga nel capitolo xxvii una serie di quesiti (al lettore ma anche ad un se stesso che di lí a poco, davanti ad un questuante, scoprirà inaspettatamente ipocrita) in cui si afferma l'uomo essere defraudato dei suoi diritti quando manca di una casa, di un lavoro, di un'educazione, e si auspica cosí una piú equa distribuzione delle ricchezze. E altrove non perde l'occasione per criticare il sistema doganale, la crudeltà della vita militare, i manicomi disumani.
È questo un aspetto da non sottovalutare, perché conseguenza prima del bisogno avvertito dal Ciampolini di stabilire un piú diretto contatto fra la scrittura e il proprio tempo, l'Italia della Restaurazione. Tuttavia, leggendo, si avverte che l'impianto `aperto' su cui poggia l'opera non ha un valore puramente strumentale, come nei già ricordati resoconti di viaggio in cui piccole storie, vari accidenti si presentano come semplici spunti per riflessioni ed ammonimenti, quasi che la vicenda si riduca a fare da spalla al piú sostanzioso apparato gnomico.
Sono questi gli anni in cui il romanzo storico (dal Guerrazzi al D'Azeglio) si mostra restio a rinunciare ad un congegno narrativo che non sia strettamente didascalico, a momenti parabolistico, con l'inevitabile resultato che i messaggi sulla strategia risorgimentale finiscono con il limitare fortemente l'autonomia di personaggi come Ettore Fieramosca o Francesco Ferrucci. La volontà di sviluppare una letteratura civile, in altre parole, continuava a caratterizzarsi per un malinteso rapporto finzione-realtà, linguaggio romanzesco-messaggio ideologico.
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Il Ciampolini sembra volere reagire proprio a questo, cercando di ridare alla fictio il ruolo e la dignità che le spettano, senza con ciò abbandonare il proprio assunto civile.
4. Nel manicomio di Aversa il viaggiatore aveva ricevuto dallo scienziato la carta illustrativa del Panoptico, « istrumento di recentissima, e quasi miracolosa invenzione ». Esso funge da microscopio, che fa apparire un semplice pungiglione il Picco dello Spitzberg (ai lettori che ignorino cosa sia tal posto, l'autore offre una presa di tabacco, purché tacciano), e da telescopio — si potranno scrutare sulla Luna i monti, i fiumi, i mari, le foreste, i porti, le città, le piazze, i quadrupedi, i bipedi, i volatili, i rettili. Con questa meravigliosa macchina è poi possibile vedere al di là dell'acqua, delle mura, studiando cosí gli atteggiamenti, le azioni, l'etica, ma anche i tessuti cellulari, le vene, i nervi degli uomini. Tali sono le prestazioni della sconvolgente invenzione che non solo consente di osservare ciò che normalmente è vietato vedere; ma anche deforma a piacere la realtà con grande vantaggio degli Orientalisti, Occidentalisti, Odeporici, Antiquarj, Traduttori, Commendatori, Critici, Giornalisti, Giureconsulti, Medici, Economisti, Finanzieri, Speculatori, Banchieri, Negozianti. Questo Panoptico si configura, insomma, come un Acromicrotelodiplodiforocaloidroisomatico e un Caliscopio; ma chi non ha un Caliscopio? avverte il Ciampolini: « Tutti ne hanno uno ai loro comandi, come non è da dubitare, perché ciascuno tratteggia e colora secondo il proprio appetito ed ingegno »; e già aveva detto: « Ed io pure ho il mio Caliscopio » (p. 65).
La lunga riflessione-spiegazione, collocata strategicamente al centro del volume, quasi invocazione alla Musa di classicistica memoria, investe i punti cardinali della scrittura ciampoliniana: rifiutati criteri ambiguamente mimetici (in questo senso l'insegnamento del romanzo storico non era stato inutile), vi si sostiene l'assoluta arbitrarietà di ogni lettura del reale. Cosí, allorquando « Sir Gualtero Scott t...] scrive istoricamente i romanzi, e in foggia romanzesca l'istoria » (p. 78); agli « abili scrittori di viaggi » non mancano mai « qualche facezia, qualche trovata piacevole, qualche frottola erudita », di marca — quanto a « spirito e sentimento » — francese, inglese o tedesca (pp. 12-4), questo fiorentino risponde alla crisi del romanzo, ormai in fase avanzata, facendo intraprendere al lettore un viaggio con cui vuole risvegliare la sua sensibilità civile (« pungendo con un flagello di rose ») ma piú che altro condurlo nelle officine dell'invenzione, svelandone meccanismi e arnesi.
Dopo avere pubblicato quest'opera il Ciampolini non scrive nient'altro. La sua penna si blocca, ed è molto probabile che in ciò abbia giocato la gelida accoglienza riservata al suo lavoro. Scrive nel novembre del 1832 ad un amico molto caro, Giuseppe Ajazzi: « Petite et accipietis nisi quod male petatis, dice il Vangelo, se non erro. Però a questi tristi tempi questa regola che esser dovrebbe infallibile falla sovente, come n'ebbi io certissima pruova. Iddio faccia sí che non t'avvenga, dolcissimo Amico; audiat te Dominus et bene audiat sí che tu possa divenire col tempo anco Mandarino di prima classe che allora ti sovverrai anche di me, la piú umile creatura di questo sozzissimo pantano chiamato Terra,
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nido di Ladroni, covo di vipere, serpajo immondo, sentina d'ogni colpa, vergogna di chi lo creò » (Biblioteca Riccardiana e Moreniana di Firenze, Palagi, 382, 24).
Decisamente quelli non erano tempi favorevoli per lui, impegnato a costruire contraddittori con romanzi che gli si rivelavano sempre piú confezionati e am-mansitori, utili ad una borghesia tesa alla ricerca di un'identità, anche culturale, su cui impostare la `rivoluzione' del '59-'60. Il romanzo storico (ma non solamente quello, come si è un po' accennato) avvalendosi — rarissime le eccezioni — di una nuova mitologia, si configurò subito come il linguaggio piú idoneo attorno cui organizzare una precisa politica del consenso. Era la nuova retorica, un impianto non estrinseco, non intercambiabile, connaturata all'essenza stessa del nuovo potere, che, mentre agiva al proprio interno dandosi chiare coordinate ideologiche, attuava verso le altre classi (si ricordi come gli scritti del democratico Guerrazzi venissero letti ad operai e contadini) una imbonitoria manipolazione.
Il Ciampolini, un minimo della letteratura — ché altro non si vuole certo farlo diventare —, con questo Viaggio metteva in discussione un tale apparato. La manifestazione, la messa a nudo della macchina faceva saltare il cerchio incantato, che espandendosi creava un'adesione sempre piú vasta al futuro assetto sociale. La borghesia non cercava piú un'arte con cui misurare se stessa e confrontarsi con le altre classi sociali; l'arte (e l'acuirsi delle repressioni politiche sarà in tal senso dannoso) non era chiamata a svolgere un dibattito, a risvegliare il senso critico dei lettori, degli ascoltanti; i tempi non lo consentivano. Laurence Sterne, Denis Diderot erano per il momento accantonati; che il Ciampolini con la sua prosa recuperasse potenzialità espressive del romanzo, troppo presto cadute in disuso, poco interessava: il nostro `terzo stato' aveva già fatto la sua scelta, salendo sul pulpito domenicale.
LUCA Tos CHI
Nota bio-bibliografica
« Se io guardassi alla mia fede di nascita sarei venuto al mondo li 8 Agosto 1786, a ore ... del mattino; ma siccome non ebbi perfetta cognizione dell'esser mio che circa l'anno 1792, da questo punto daterò l'epoca dell'esser mio [...] E la mia prima sensazione fu il dolore. Affranto dal male appena reggevami in gambe. Una vecchia serva da un lato, un bastoncino dall'altro sorreggevano le deboli membra a gran stento [...] Appena cominciai a fare uso di me cominciarono le tribolazioni di ciò che volgarmente chiamasi educazione che dovrebbe piuttosto appellarsi snaturamento e strazio della puerizia ». Cosi il Ciampolini in una nota autobiografica ricorda la sua prima infanzia trascorsa ad Empoli presso il nonno paterno, educato da una zia un po' particolare: « in procrearla Natura s'ingannò avrebbe dovuto formare un uomo, tanto era ella simile a femmina. Cavalcava magistralmente, tirava di spada, trattava benissimo armi da fuoco ».
Furono anni difficili, come ebbe modo di ricordare piú volte, e maggiormente lo furono quelli trascorsi nella casa paterna. Ecco come ci riporta l'incontro con la madre: « La sera ch'io giunsi non essendo i miei genitori in casa gli aspettai con grande impazienza e quando giunsero per fare una sorpresa a mia madre mi nascosi dietro una porta e quando fu per entrar nella stanza le saltai al collo per baciarla ... ma la Sig. Laura (cosí chiamavasi mia madre) adontandosi pel turbamento che avevole recato con quell'improvvisazione mi sgridò e svillaneggiò e invece delle aspettate carezze mi salutò con un pajo di ceffoni: e questo fu il primo accoglimento che ebbi da mia madre ». Da quel momento in poi fra Luigi e i genitori si venne creando un baratro incolmabile, tanto che nel marzo del '37, ancora a proposito della madre,
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scriveva: « Uscito dal tuo grembo a questa vita / Tu mi discacci, ed a venal m'affidi / Dura nutrice, né i pietosi stridi / Ascolti del tuo error, madre pentita ». Cosí, dopo avere frequentato le scuole Pie Fiorentine pensa di concorrere ad un posto gratuito nel collegio Ferdinando di Pisa, e Io vince.
Terminati, per volere del padre, gli studi legali, decide di dedicarsi alla letteratura sotto la guida del Pagnini, del Rosini, maestri a tanta gioventú liberale del nostro Risorgimento. Sempre a Pisa si lega al Pignotti, al commediografo coetaneo Francesco Benedetti, di cui resta amico sino alla fine. Tornato a Firenze viene assunto nell'amministrazione napoleonica, con nomina del 19 marzo 1810 a « verificatore di pesi e misure per il Circondario di Firenze », ma insoddisfatto del proprio lavoro si dedica sempre piú all'approfondimento della lingua latina e greca. « E perché le opere di Virgilio mi andavano a genio piú di quelle di ogni altro sentendomi gran propensione per la poesia pastorale mi proposi di dettare una bucolica parendomi esser noi scarsi in quel genere né sapendo tollerare (lo dirò francamente) che tante laudi fossero state date in ogni tempo alle Egloge del Sannazzaro che rispetto a sí gran scrittura e ai Greci Bucolici mi pare non solo autore da poco, ma [...] ridicolo ». Da qui nascono numerosi idilli oltre ad una Venere Italica scolpita da Antonio Canova (in AA.vv., Per la Venere Italica scolpita da Antonio Canova, Pisa, F. Didot, 1812) e all'edizione, curata assieme a Vincenzo Nannucci, delle Rime del Poliziano.
Caduto Napoleone, si trova come molti altri senza impiego; fa allora domanda per insegnare, ma non viene accolta, né gli giova avere scritto Per il faustissimo ritorno di Sua Altezza Imperiale e Reale Ferdinando III (Firenze, Stamperia Granducale, 1814). Ormai è compromesso con il passato regime, e l'intima amicizia con uomini come il Benedetti, i legami con il « Gabinetto letterario e di belle arti all'insegna di Pallade », che oltre a pubblicare opere di classici è occasione di periodiche riunioni patriottiche, non migliorano certo la sua posizione dinanzi al Buongoverno Segreto (si vedano le carte a lui relative presso l'Archivio di Stato di Firenze).
Nel 1816, in un'Anacreontica. Sopra la propria cetra, rimasta fortunatamente inedita, scrive: « Vorrei cantar gli Atridi / Cadmo cantar vorrei. / Ma il plettro a' versi miei / "Solo risponde amor" [...] Febo a cantar l'imprese / D'Alcide invan m'ispira, / Che la protervia Lira / "Solo risponde Amor". / Armi, battaglie, Eroi, / Dunque per sempre addio; / Ché il facil plettro mio / "Solo risponde Amor" ». Si è, infatti, innamorato di una giovane donna inglese che lo spinge a lasciare Firenze e ad iniziare viaggi che lo porteranno con maggior frequenza a Roma. Pubblica, intanto, nel '17 gli Idilli (Firenze, all'Insegna dell'Ancora) e continua a comporne dei nuovi che vedono la luce nel '22 (sempre Firenze, Stamperia Granducale), quando decide di lasciare l'Italia e partire per la Grecia, abbandonando l'amministrazione della « Libreria all'insegna di Pallade » e rinunciando per il momento ad approfondire i legami con la nascente « Antologia ».
Del suo esilio volontario si sa poco; non partecipa in prima persona alla guerra d'Indipendenza, se ne sta a Corfú, rifiutando comunque — e di lavorare aveva bisogno! — la cattedra che a Zante il governo, nella persona di Lord Guilford, gli aveva proposto; preferisce mettere su, con Vincenzo Nannucci e Scipione Casali, un « negozio di vendita di libri, carte e altri generi ». Va intanto raccogliendo materiale sulla guerra tra i Greci e i Turchi, e nell'isola di Corfú dall'ottobre 1825 all'aprile 1826 stende il primo abbozzo di quell'opera che, tornato in patria, pubblicherà col titolo Le guerre dei Sulliotti contro Ali Bascià di Janina: Commentario (Firenze, Ronchi, 1827).
Sempre nel 1827 incomincia a collaborare assiduamente all'« Antologia » e le recensioni scritte per il periodico fiorentino si rivelano molto interessanti per misurare l'evoluzione determinatasi in lui durante la parentesi greca. Qui è sufficiente ricordare il commento ai Canti popolari della Grecia moderna raccolti e pubblicati da C. Fauriel, tomi 2 in 8°, Parigi 1824 (aprile 1827), in cui si preoccupa di sottolineare come tale raccolta, contrariamente ai « canti selvaggi venutici dalle foreste della Germania e dalle montagne della Scozia », non rappresenti « ingegnose e bizzarre fantasie dei Greci », bensí possa costituire prezioso « materiale per la storia delle loro miserie, delle loro prodezze, per lo spazio di quasi quattro secoli »; mentre, in seguito, soffermandosi sul Cours de littérature Grecque moderne par Jacovaki Rizo Nerulos etc., Genève 1828, 8° (agosto 1931), si rivela attento ad evidenziare i condizionamenti subiti dalla letteratura e dalla lingua ellenica con la perduta libertà. Poco prima, presentando la versione greca del Discorso di Renato Cartesio e di alcune opere di Bernardin de Saint Pierre, aveva rimproverato al traduttore « una troppo solenne dignità classica », mentre avrebbe « potuto fare uso di una dicitura piú piana e meno squisita [...] tenendosi piú vicino al modo comune di favellare ». I tempi che lo vedevano vicino al Biondi, all'Amati, al Sestini, al Betti, al neoclassicismo piú inerte e conservatore, sono definitivamente tramontati.
706 VARIETÀ E DOCUMENTI
Nel 1832 escono La presa di Ravenna (cronaca del sec. VIII), (Firenze, Stamperia Granducale all'Insegna di Pallade), e il Viaggio di tre giorni (Firenze, Stamperia Granducale all'Insegna di Pallade). Poi, con l'acuirsi della crisi politica e culturale, la sua produzione si riduce bruscamente: collabora alle Biografie degli Italiani, curate da Emilio de Timpaldo, fa qualche traduzione, pubblica nel '40 una nuova edizione delle Prose e poesie (Firenze, S. Ricordi, G. Piatti), in cui inserisce una lettura del XIII canto del Purgatorio. Eletto, nel maggio del 1835, a fare parte dell'Accademia della Crusca, si impegna perché si acceleri la pubblicazione del vocabolario (riceverà l'incarico di scrivere la lettera dedicatoria premessa alla prima parte); ma piú di ogni altra cosa, in questo momento di sbandamento generale, sembra essere preso dalla Storia del Risorgimento della Grecia, iniziata nel '34 ed edita, postuma, nel '46. Il governo greco, nel frattempo, gli ha dato incarico diraccogliere in tutta Europa libri ed opere per formare la nuova biblioteca d'Atene. « Or crescono gli anni e che mi resta? il vanto / Non di fama perenne od il sorriso / De' figli o estremo della sposa il pianto / Morbi, dubbi, terrori in folto stuolo / S'avventan contro me da me diviso / Pellegrin sulla terra infermo e solo ». Muore il 30 aprile 1846.
Altre opere del Ciampolini: Sessione del Parlamento d'Otaiti, « Antologia », aprile 1832; Frammento del dialogo: Il Leopardi, Firenze, s. t., 1841; poi in AA.VV., Raccolta di prose e poesie inedite di vari autori viventi, Firenze, s. t., 1842; Girolamo Vasari, in AA.VV., Omaggio alla memoria del dottor Girolamo Vasari, Forli, s. t., 1844; La isoletta del lago, in AA.VV., Monumenti del Giardino Puccini, Pistoia, tip. Cino, 1845; Pietro Aretino e Ludovico Ariosto: dialogo, per le nozze Pesenti Orsucci-Dini, a cura di Ugo Mariani, Pisa, Nistri, 1880.
Presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (mss. da ordinare) esiste un bel fondo ciampoliniano con materiale inedito; si segnalano, oltre alle citate note autobiografiche, Del principale ufficio della storia, uno schema de La presa di Ravenna, la traduzione dell'Edipo Re di Sofocle, Rime, appunti per le poesie pastorali. Numerose lettere sono consultabili presso la stessa biblioteca e la Forteguerriana di Pistoia (una ricca corrispondenza tenuta con Niccolò Puccini). Altri documenti presso l'archivio del gabinetto « Vieusseux », la biblioteca Ric-cardiana Moreniana, l'Accademia della Crusca, a Firenze.
Interventi della critica sull'opera del Ciampolini: K. X. Y. [Niccolò Tommaseo], Viaggio di tre giorni, Firenze, Stamp. Granducale a spese di L. Giuliani all'insegna di Pallade, 1832, « Antologia », marzo 1832, pp. 149-52; ORESTE RAGGI, Prose e poesie di Luigi Ciampolini. Firenze, per G. Piatti, 1838, « Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti », gennaio-marzo 1839, pp. 59-63; G[IUSEPPE] A[JAzzI], Luigi Ciampolini, « Archivio Storico Italiano », 1846, app. t. III, pp. 772-5; PIETRO CONTRUCCI, Cenni sulla vita e sugli scritti del cavaliere Luigi Ciampolini letti nell'I. e R. Accademia Pistoiese di Scienze, Lettere ed Arti il 26 luglio 1846, premessi a LUIGI CIAMPOLINI, Storia del Risorgimento della Grecia, cit., pp. xI-xxIV; GIUSEPPE ARCANGELI, Biografia di Luigi Ciampolini, « Rivista di Firenze », 10 febbraio 1847 (poi in Poesie e prose, vol. II, Firenze, Barbéra, Bianche e Comp., 1857, pp. 543-53); LUCIANO SCARABELLI, Storia del Risorgimento della Grecia del cavaliere dott. Luigi Ciampolini, Firenze, Piatti, 1846, « Archivio Storico Italiano », 1847, app. t. iv, pp. 99-108; GIOVAN BATTISTA PRUNAJ, Luigi Ciampolini e la Storia del Risorgimento della Grecia (appunti di un pronipote), « La Rassegna Nazionale », 1 agosto 1897, pp. 405-13; RAFFAELE CIAMPINI, Pagine inedite per una vita del Foscolo, in Studi e ricerche su Niccolò Tommaseo, Roma, Ed. di « Storia e Letteratura », 1944, pp. 253-255; LUCA TOSCHI, Foscolo lettore di Sterne ed altri « sentimental travellers », comunicazione tenuta il 6 maggio 1979 al Convegno « Ugo Foscolo fiorentino ed europeo » i cui Atti sono in corso di stampa presso Le Monnier.
Per un'ampia panoramica sul romanzo italiano di primo Ottocento, dr. il fondamentale SERGIO ROMAGNOLI, Narratori e prosatori del Romanticismo, in AA.VV., Dall'Ottocento al Novecento, vol. VIII della Storia della Letteratura Italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Garzanti, 1968, spec. il cap. I.
CATERINA SFORZA NEL « MITO » GRAMSCIANO
Gli studiosi di Gramsci hanno avvertito da tempo che l'opera di Machiavelli costituisce un punto di riferimento concreto di tutta l'evoluzione teorica e politica dell'autore dei Quaderni del carcere. In una lettera lo stesso Gramsci ricorda infatti che il professor Umberto Cosmo fin dal 1917 insisteva perché il suo
 
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Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 11 Giorno: 30
Numero 6
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6


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