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tipologia: Analitici; Id: 1465146


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Giorgio Rochat, Varietà e documenti. Il genocidio cirenaico e la storiografia coloniale
Responsabilità
Rochat, Giorgio+++
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
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vane autore, Maria-Mincuccio, e di un intellettuale furono commentati gli atteggiamenti dei vari partiti della coalizione governativa.
Lu cuverne cu lu mal de ventre vaie cercanne cugini e parente. E risponne u signore Pacciardi m'accuntente de nu poco de larde.
E risponne Giuseppe Romita: Ero malate ma sel guarite. E risponne Villabruna
E risponne Saragat: tene l'ucchie sta fortuna.
Agge cantato lu Magnificat Pe) risponne pure Tupini
guerra 'n famiglia nun è fine.
Il ritornello era composto da tre strofe che si alternavano:
Don Alcide Don Alcide
tutto fernesce (finisce) e to nun ci cride (credi)
Chiamatelle amice e parente
e fallelle u testamente.
E risponne Palmiro Togliatti
Fanne sempre cane e gatti.
Come si può ben vedere, la rampogna anticipava la protesta per la legge truffa.
Ieri, mentre approntavo queste note e chiedevo informazioni di canti e poesie, in cui comunque si accennasse a Togliatti, il cinquantenne Nilvetti Atti-
lio, stagnino che fu già, da giovane, artista del canto napoletano nelle riviste di varietà e che con una voce squillante da contralto si esibisce al microfono nelle feste popolari, mi ha detto di aspettarlo. È venuto poco dopo a dirmi di aver composto alcuni versi in onore di Togliatti, cantabili sul motivo di « A Rossa » del noto maestro Cioffi: « Viate chella mamma ch' l'ha fatte / Riceva tutt' a gente r'o paese. / È nate nu uaglione e tene 'n faccia / doie schiocche 'e russe e nu ranate (di melograno) / Viate chella mamma de Togliatti ».
ROCCO SCOTELLARO
IL GENOCIDIO CIRENAICO E LA STORIOGRAFIA COLONIALE
In una recente nota polemica un esponente della storiografia coloniale piú legata ai temi e miti del passato, Enrico De Leone, ha vivacemente attaccato un mío articolo di vari anni fa sulla repressione italiana della resistenza delle popolazioni cirenaiche culminata nel 1930-31, prendendo in particolare di mira l'espressione di genocidio che avevo usato per definire la politica di Mussolini e De Bono, Badoglio e Graziani I. Purtroppo il De Leone, invece di discutere i risultati di
t ENRICO DE LEONE, Il genocidio delle genti cirenaiche secondo G. Rochat, in « Intervento », 1979, tm. 38-39, pp. 12 dell'estratto, che polemizza con La repressione della resistenza araba in Cirenaica nel 1930-31 nei documenti dell'archivio Graziani, in « Il movimento di liberazione in Italia », 1973, n. 110, pp. 3-39.
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questo e di altri miei studi paralleli 2, indulge in una polemica soltanto negativa che si limita a criticare le mie affermazioni con abbondanza di distorsioni, falsificazioni e diffamazioni personali, senza mai entrare nel merito dei problemi, ossia la natura ed i costi della repressione della resistenza cirenaica. Una replica non sarebbe perciò necessaria; ma l'occasione è opportuna per una puntualizzazione della questione, condotta sulla base di una piú ampia documentazione 3, e incidentalmente si presta ad alcune osservazioni sulla storiografia coloniale di ispirazione nazional-fascista.
Chiariamo rapidamente i termini della questione. Fino al 1923 il dominio diretto delle forze italiane in Cirenaica si limitava ai centri costieri, mentre l'interno era controllato dall'organizzazione politico-religiosa della Senussia. Dal 1923 al 1929 la ripresa offensiva italiana, condotta con grande superiorità di armi e di mezzi tecnici, portò alla conquista di tutte le regioni desertiche e semidesertiche, ma si infranse sull'altipiano del Gebel contro la guerriglia senussita diretta da Omar al-Mukhtar. Nel 1930-31 le forze di Badoglio e Graziani (rispettivamente governatore della Libia e vicegovernatore della Cirenaica) riuscirono a venire a capo della resistenza senussita sul Gebel grazie ad una serie di misure repressive eccezionali, tra cui spicca la deportazione delle popolazioni seminomadi che avevano alimentato la guerriglia. La storiografia coloniale ha sempre sorvolato sul prezzo di questa politica, mentre a me sembra che la lucida determinazione delle autorità italiane nella condotta della repressione e le cifre disponibili sul drammatico calo della popolazione cirenaica nei primi anni Trenta autorizzino a parlare di genocidio. Ma lasciamo la parola alla documentazione.
Tutte le valutazioni sulla popolazione della Cirenaica in epoca coloniale sono approssimative, per l'ovvia difficoltà che prima i turchi e poi gli italiani avevano di controllare l'interno di una regione vastissima prevalentemente abitata da seminomadi. E infatti un censimento turco del 1911 dava un totale di 200.000 anime, mentre le valutazioni delle autorità italiane passano da 180-200.000 nel 1921-22 a 225.000 nel 1928 (italiani e stranieri sempre esclusi, in queste come nelle cifre successive). Queste valutazioni sono accettate senza discussioni nelle pubblicazioni ufficiali italiane del dopoguerra 4 e convalidate dal piú illustre studioso di storia cire-
2 Cfr. G. R., Il colonialismo italiano, Torino, Loescher, 1973; PIERO PIERI-G. R., Pietro Badoglio, Torino, Utet, 1974; G. R., Colonialismo, in AA.VV., Il mondo contemporaneo, a cura di Nicola Tranfaglia, vol. I, Storia d'Italia, tomo I, Firenze, La Nuova Italia, 1978, pp. 107-20. Rinvio a quest'ultimo studio per una rassegna organica della produzione sulla conquista italiana della Cirenaica.
3 Il mio articolo 1973 era basato esclusivamente sulle fonti edite e sull'archivio di Graziani; successivamente mi sono stati aperti l'archivio del ministero delle colonie e quello dell'esercito. Questa nuova base documentaria è stata utilizzata nella mia relazione su La repressione della resistenza in Cirenaica 1927-31, presentata nel novembre 1979 al convegno di Bengasi sulla grande figura di combattente di Omar al-Mukhtar. Questa relazione è attualmente in corso di stampa in un volume collettaneo su Omar al-Mukhtar curato da Romain Rainero per l'editore Marzorati, cui rinvio per un quadro articolato della politica italiana di repressione.
4 Cfr. ELIO MIGLIORINI, Il territorio, in AA.VV., Il territorio e le popolazioni, Roma, Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa, 1955, pp. 98-99; si veda anche ENRICO DE AGosTual, Le popolazioni della Cirenaica, Bengasi, Governo della Cirenaica, 1923.
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naica, l'Evans-Pritchard, che scrive: « The population of Cyrenaica is probably round about 200.000, of whom about a quarter live in the towns, the remainder being tended Bedouin and a few thousand oasis dwellers » 5. Accettiamo quindi la cifra approssimativa di 200.000 anime per i primi anni della dominazione italiana, ma registriamo che negli anni Trenta i censimenti italiani danno totali assai piú bassi per la popolazione araba della Cirenaica, intorno ai 140.000. Queste cifre vanno prese con qualche cautela; in particolare il censimento del 21 aprile 1931, che dà un totale di 142.000 arabi 6, non è attendibile perché non tiene conto della deportazione in corso della popolazione, ma continua a dare come dimoranti nelle regioni di origine gli 80.000 seminomadi che, secondo una lettera di Graziani al ministro De Bono, alla stessa data erano rinchiusi nei campi di concentramento tra Bengasi e la Sirtica 7. Dovrebbe invece essere utilizzabile il censimento del 1936, quando ormai la Cire-naica era pacificata, i campi di concentramento disciolti e iniziato il rientro dei profughi dall'Egitto: ebbene, questo censimento dà una popolazione araba di 142.500 anime (E. Migliorini, Il territorio, cit., p. 98).
Si ha quindi la scomparsa di circa 60.000 persone tra le valutazioni ufficiali degli anni Venti ed i censimenti degli anni Trenta. In piccola parte si tratta di un'emigrazione forzata verso l'Egitto, che nel 1934 accoglieva ancora circa 12.000 dei 20.000 seminomadi che vi si erano rifugiati negli anni piú duri della repressione italiana 8; ma la maggior parte degli scomparsi non può che essere addebitata, direttamente o indirettamente, alle operazioni italiane del 1930-31 per lo schiacciamento della resistenza. Si tratta di circa 50.000 arabi (assai di piú, se si prende per buona la valutazione ufficiale del 1928), da rapportare non al totale della popolazione cirenaica (gli abitanti delle città e delle zone circostanti ormai inseriti nell'economia urbana e quelli delle oasi dell'interno, 70-80.000 in tutto,
5 EDWARDS E. EVANS-PRITCHARD, The Sanusy of Cyrenaica, Oxford, Clarendon Press, 1948, p. 39 (traduzione italiana Colonialismo e resistenza religiosa nell'Africa settentrionale. I Senussi della Cirenaica, introduzione di Vittorio Lanternari, Catania, Edizioni del prisma, 1979). Evans-Pritchard, uno dei maggiori antropologhi contemporanei, con una diretta e profonda conoscenza del mondo arabo e africano, visse in Cirenaica nel 1942-44 come ufficiale britannico, in mezzo alle tribú del Gebel. La sua opera sulla Senussia è certamente la piú autorevole in materia, ma è sistematicamente ignorata dalla storiografia coloniale italiana, a cominciare dal De Leone, che giunge ad attribuire a me cifre e giudizi di Evans-Pritchard regolarmente citato.
6 Il De Leone rettifica questa cifra in 136.200 (Il genocidio cit., p. 4) perché dimentica la popolazione delle zone desertiche, che porta appunto la popolazione araba della Cirenaica a 142.000. Un altro grossolano errore del De Leone a p. 11, dove Omar al-Mukhtar diventa « successore » del senusso Mohammed Idris, anziché suo rappresentante generale sul Gebel.
7 Il vicegovernatore Graziani al ministro De Bono, 2 maggio 1931, in ASMAI (archivio storico del ministero dell'Africa italiana), posizione 150, cartella 22, fascicolo 98. Nella preparazione della sua opera La colonizzazione dell'Africa del nord (Padova, Cedam, 1960) il De Leone aveva visto questo archivio e questo stesso fascicolo, senza però utilizzare i documenti che avrebbero offuscato il quadro idilliaco da lui fornito della « pacificazione » della Cirenaica.
8 Graziani ed Evans-Pritchard, con valutazioni separate, fanno ascendere a 20.000 anime l'emigrazione forzata in Egitto negli anni della repressione. Secondo il « Bollettino informazioni del comando delle truppe della Cirenaica », parte di questi fuggitivi morirono di fame e malattie; alla fine del 1934 ne erano rimpatriati circa 2.250, mentre altri 12.000 restavano in Egitto. Rinvio al mio articolo 1973 ed alla mia relazione in corso di stampa per l'indicazione delle fonti d'archivio. La cifra di 6.500 fuorusciti data in E. DE LEONE, La colonizzazione cit., vol. it, p. 561, è priva di qualsiasi base.
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furono esonerati dalle operazioni di deportazione), bensì ai 120-130.000 seminomadi del Gebel, del Bengasino e delle regioni predesertiche, dove piú forte era stata la resistenza senussita.
Dinanzi all'eloquenza di queste cifre, la storiografia coloniale tradizionale ha scelto il silenzio. Valga l'esempio del volume che la ministeriale collana « per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa » dedica a Il territorio e le popolazioni, per mano di noti esperti come Migliorini e De Agostini, in cui le valutazioni della popolazione degli anni 1911-28 ed i censimenti degli anni Trenta sono allineati senza alcuna riserva sulla loro validità e senza alcun commento su quanto documentato; ed anche il De Leone, nella sua storia della colonizzazione dell'Africa settentrionale, non fornisce alcuna cifra sui costi umani della conquista italiana, ma si preoccupa soltanto di minimizzarli fino a smentire lo stesso Graziani, che, forte della protezione della dittatura fascista, poteva permettersi una certa brutale sincerità 9. Non potendo poi controbattere le mie conclusioni sul prezzo della conquista italiana sul piano della documentazione scientifica, il De Leone avanza dubbi indiscriminati su tutte le valutazioni italiane della popolazione cirenaica negli anni Venti, che pure furono accettate dalle autorità coloniali e dagli studiosi piú autorevoli, e tenta di ovviare alla mancanza di argomenti e pezze d'appoggio con attacchi personali, secondo le tradizioni della storiografia nazional-fascista 10. Il problema di fondo rimane: come mai la popolazione araba della Cirenaica passò dai 200.000 stimati da Evans-Pritchard (e dai 225.000 della valutazione ufficiale italiana del 1928) ai 142.500 del 1936? Fino a prova contraria (ma deve trattarsi di prova documentata e scientificamente valida e non di falsificazioni propagandistiche) questo drammatico calo della popolazione può essere attribuito soltanto alle operazioni di repressione del 1930-31.
Una conferma indiretta della durezza con cui venne condotta la repressione italiana è data dalle cifre disponibili sulle vicende del bestiame cirenaico, incomplete, talora contraddittorie e sempre discutibili, ma ugualmente capaci di segnare una tragica linea di sviluppo. Limitiamoci a capre e pecore, la principale risorsa delle popolazioni, che ne possedevano poco piú di un milione (secondo testimonianze diverse tra il 1910 e il 1928), tanto da alimentare un'esportazione annua di 100-150.000 capi verso l'Egitto (secondo fonti italiane) I1. Nella primavera del 1928 pecore e capre salivano ancora a 1.100.000 secondo il Ciasca, il piú autorevole storico colonialista italiano 12; ma due anni piú tardi le popolazioni deportate ne poterono condurre con
9 Cfr. E. DE LEONE, La colonizzazione cit., vol. II, p. 558, secondo cui « ad el-Aqaylah fu costituito un vero e proprio campo di concentramento per 3.500 persone considerate piú indiziate ». Frasi come questa presuppongono lettori cosí inesperti da non rilevare che Graziani, in due libri pubblicati da Mondadori negli anni Trenta e largamente diffusi, parla esplicitamente di campi di concentramento per diecine di migliaia di persone nell'estate 1931 e di un campo di punizione di el-Agheila con 7.000 deportati, accusati soltanto di legami di parentela con guerriglieri riconosciuti (gli indiziati di complicità con la resistenza venivano passati per le armi sul campo), cfr. RODOLFO GRAZIANI, Cirenaica pacificata, Milano, 1932, p. 104, ripreso testualmente nel successivo Pace romana in Libia, Milano, 1937.
10 Secondo il De Leone, soltanto « un personaggio che si direbbe non italiano » può scrivere pagine come le mie di denuncia dei crimini del colonialismo fascista in Cirenaica (Il genocidio cit., p. 8). Nel 1980 questi schemi cari alla propaganda del regime fascista sembrano decisamente fuori posto e servono soltanto a celare la mancanza di validi argomenti scientifici.
11 Cfr. E. E. EVANS-PRITCHARD, op. cit., p. 37; J. L. MIELE, L'imperialisme colonial italien de 1870 à nos jours, Paris, Cedes, 1968, p. 180.
12 RAFFAELE CIAscA, Storia coloniale dell'Italia contemporanea, Milano, Hoepli, 19402, p. 551.
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sé solo 600.000 13. Nel 1931, secondo dati di Graziani, pecore e capre erano ridotte a 67.000, perché la loro sopravvivenza si era rivelata incompatibile con la chiusura delle popolazioni in duri campi di concentramento in regioni povere di acqua e di pascoli 14. Una curva analoga seguono i dati sul massacro di cammelli, cavalli e bovini, che passano dalle diecine di migliaia alle migliaia, con un calo oscillante tra 1'80 e il 90% 15. Solo a pacificazione avvenuta le autorità italiane si preoccuparono di favorire la ricostituzione parziale del patrimonio zootecnico cirenaico. Tutto ciò la storiografia nazional-fascista lo ha sempre taciuto, rinunciando a collegare le cifre pur disponibili, riportate ad esempio da autorevoli studiosi francesi come il Déspois e il Miège. Questo preconcetto rifiuto della realtà documentata, quando turbi la difesa a oltranza della « civilizzazione » fascista in Libia, diventa poi la copertura dei silenzi della storiografia moderata: valga l'esempio della monumentale biografia di Mussolini del R. De Felice, che tace sulle operazioni di riconquista e pacificazione della Libia (come poi sulla repressione della resistenza abissina) e sulle responsabilità personali del dittatore, sempre minutamente informato e spesso incitatore a nuovi massacri 16
E allora ribadiamolo chiaramente, senza badare alle proteste dei colonialisti nostalgici: per schiacciare la disperata resistenza delle popolazioni del Gebel cirenaico, Badoglio e Graziani (subito coperti da De Bono e Mussolini) non esitarono a pianificare un autentico genocidio, che coinvolse approssimativamente 120-130.000 seminomadi, in pratica tutti gli abitanti del Gebel e delle regioni predesertiche. Scriveva Badoglio dando il via alle operazioni di deportazione: « Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo e ben preciso tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento, che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine, anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica »".
Circa ventimila seminomadi fuggirono in Egitto (o vi si erano già rifugiati negli anni precedenti), dove trovarono disoccupazione, miseria e molti di essi la morte; da ottanta a centomila furono invece deportati in cinque grandi campi di concentramento e in una diecina di minori, situati tra Bengasi e el-Agheila, cioè in una regione povera di acqua e di risorse 18. Il loro bestiame fu massacrato
13 E. E. EVANS-PRITCHARD, op. cit., p. 189; CARLO GIGLIO, La confraternita senussita dalle sue origini ad oggi, Padova, Cedam, 1932, p. 144.
14 Il vicegovernatore Graziani a Balbo, Badoglio e De Bono, 26 aprile 1934, in ACS-FG (archivio centrale dello stato, fondo Graziani) busta 5, fascicolo 9, sottofascicolo 6.
15 Anche J. L. MIEGE, pur dando cifre lievemente diverse, arriva alle stesse conclusioni: « La `pacification' avait, entre 1926 et 1932, entraîné la disparition de près de 9/10° du cheptel (réduit de 898.000 à 106.000 têtes) » (op. cit., p. 180).
16 Rinvio alla mia recensione Il quarto volume della biografia di Mussolini di Renzo De Felice, in « Italia contemporanea », 1976, n. 122, pp. 89-102.
17 Il governatore Badoglio al vicegovernatore Graziani, 20 giugno 1930, in ACS-FG, b.1, f2, sf.2. Anche Graziani scrisse e pubblicò che « il governo [era] freddamente disposto a ridurre le popolazioni alla piú squallida fame » (R. GRAZIANI, Cirenaica pacificata, cit., p. 105).
18.11 totale di 80.000 deportati è attestato da diverse fonti italiane (Giglio, una relazione parlamentare, Graziani) e da Evans-Pritchard (cfr, il mio articolo 1973). Sulla scorta della citata lettera di Graziani del 2 maggio 1931, che dà appunto un totale di oltre ottantamila internati a quella data, cui bisogna aggiungere i morti nelle dure marce di trasferimento e nei primi dieci mesi di prigionia, ritengo che furono deportate centomila persone o poco meno. Va da sé che tutte queste cifre sono approssimative, anche se sorrette da testimonianze di prima mano.
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o lasciato morire, il Gebel ridotto a terra bruciata; gli indomabili guerriglieri di Omar al-Mukhtar, privati dell'appoggio della popolazione e di ogni possibilità di rifornimenti, dopo 15 mesi di disperata resistenza vennero annientati. I campi di concentramento (centinaia di tende addossate le une alle altre in ordine geometrico, chiuse da un doppio reticolato)19 furono provvisti di latrine, di pozzi e di un reparto di carabinieri per la sorveglianza diretta, ma non di assistenza sanitaria (nel 1931 vi erano due medici per 60.000 prigionieri) e neppure di un servizio di vettovagliamento. Le autorità italiane affidarono infatti la sopravvivenza dei deportati alle loro povere riserve ed ai magri salari procurati dai lavori stradali avviati per l'occasione, intervenendo solo sussidiariamente con distribuzione di viveri. Non c'è purtroppo da meravigliarsi se fame e malattie mieterono diecine di migliaia di vittime; una cifra precisa non è però ricostruibile, perché una sorta di autocensura collettiva, non sappiamo quanto spontanea, fa sí che gli archivi conservino pochi documenti sui campi di concentramento 2D. Quelli esistenti sono però eloquenti e ci dicono, ad esempio, che il campo di Soluch nella primavera 1933 aveva solo piú 13.000 dei 20.000 internati di due anni prima, praticamente privi di risorse ed afflitti da un'epidemia di tifo petecchiale dinanzi alla quale l'organizzazione sanitaria (tanto vantata da Graziani e dai suoi incensatori) era completamente disarmata 21.
Secondo Badoglio e Graziani, i campi di concentramento tra Bengasi e el-Agheila dovevano diventare sede permanente dei seminomadi, trasformati progressivamente in agricoltori e pescatori. Questo programma dovette però essere abbandonato perché le grandi opere in corso di realizzazione sul Gebel (strade militari e infrastrutture per la colonizzazione e l'immigrazione italiana) richiedevano molte braccia a buon mercato. Alla fine del 1933 i resti delle fiere tribú furono ricondotti sul Gebel e, sotto lo stretto controllo delle forze di polizia coloniale, stanziati nella parte piú povera delle loro terre tradizionali, da cui non potevano trarre mezzi di sussistenza adeguati; gli uomini erano quindi costretti a lavorare nei cantieri stradali, con un salario inferiore a un terzo di quello degli operai italiani, mentre i loro figli venivano educati nei « campi ragazzi », che preparavano gli ascari per i battaglioni coloniali libici.
19 A quanti mostrano di credere che la deportazione fosse un provvedimento sopportabile per popolazioni seminomadi, consigliamo di guardare le fotografie dei campi di concentramento incluse nei volumi di Graziani e nello splendido catalogo della mostra organizzata in occasione del citato convegno di Bengasi 1979 su Omar al-Mukhtar, Si veda anche il recente lavoro giornalistico di ERIC SALERNO, Genocidio in Libia, Milano, Sugarco, 1979.
m Dobbiamo però ricordare che la documentazione conservata dall'AsMAI è stata scremata dei pezzi piú compromettenti dal ministeriale « comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa », che, senza il minimo riguardo per le regole scientifiche della conservazione dei fondi documentari, provvide negli anni Cinquanta a prelevare una parte della documentazione archivistica, mai utilizzata e solo oggi in corso di restituzione. $ quindi possibile che tra qualche tempo le vicende della deportazione delle popolazioni cirenaiche possano essere conosciute con maggiore completezza.
Rinvio al mio articolo 1973 ed alla mia relazione 1979 per la documentazione e l'ampliamento di tutto quanto riguarda i campi di concentramento.
VARIETÀ E DOCUMENTI 455
Questi elementi, strappati con fatica agli archivi coloniali, non sono sufficienti per una ricostruzione dettagliata e completa, ma ci permettono di parlare chiaramente di genocidio: è vero che i morti furono presumibilmente soltanto cinquantamila su centoventimila seminomadi, all'incirca il 40% della popolazione coinvolta nella repressione (le perdite furono percentualmente piú elevate per le tribú del Gebel); ma i superstiti non poterono riprendere le loro occupazioni tradizionali, perché furono rinchiusi in « riserve indiane » e sfruttati come manodopera non qualificata (come meravigliarsi perciò del loro profondo odio verso la « civilizzazione » italiana che per loro rappresentava solo miseria, morte e spoliazione?). La repressione attuata da Badoglio e Graziani, in conclusione, si propose la distruzione di una società secolare, attraverso l'eliminazione fisica di buona parte dei seminomadi, lo sconvolgimento della loro vita tradizionale e la sottrazione dei loro mezzi di sussistenza (il bestiame). Nella storia della nostra civiltà abbiamo altri esempi di genocidio, anche su scala maggiore (basti pensare ai fasti del colonialismo inglese, francese o statunitense), se questo può consolare qualcuno. A noi spetta però denunciare le responsabilità del colonialismo e del fascismo italiano verso le genti del Gebel cirenaico, a infamia dei protagonisti e dei loro difensori
e ad ammonimento degli italiani di oggi.
GIORGIO ROCHAT
BORIS TOMASEVSKIJ, DELLA POETICA
Il potere stimolante che ancor oggi, a molti anni di distanza, continuano ad esercitare gli scritti dei formalisti russi, trova una delle sue giustificazioni nel fatto che, in essi, anche gli errori sono felicemente intaccati dall'intelligenza,
e che questa finisce col contagiare assai piú di quanto quelli non sopraffacciano.
E non intendiamo soltanto alludere alle loro esegesi dei testi letterari (i saggi del Vinogradov e del Tomasevskij sullo stile del Puskin, o dello Sklovskij sul Tolstoj, restano tuttora fondamentali; la Tecnica del comico in Gogol' dello Slonimskij ha dischiuso le vie ad un puntuale intendimento dell'arte gogoliana,
e permane una piattaforma dalla quale è impossibile prescindere; e potremmo continuare ampiamente a elencare opere e nomi di componenti o fiancheggiatori della scuola, dal Tynjanov allo 2irmunskij), ma riferirci anche, e soprattutto, ai loro tentativi di consegnarci una teoria della letteratura. O — come essi preferivano dire — una « poetica » del linguaggio dell'arte.
Un secondo, e piú riposto, motivo è nella libertà che derivava loro da una attitudine a contraddirsi (e che fu oggetto, fra i piú insistenti, d'accusa da parte dei loro censori), a bilanciarsi in aure di oscillante equilibrio fra speculazione
e prassi, e a tentar di sanare le intermittenze che insorgevano nella teoria allorché questa dilatava nelle zone della realtà testuale. Di qui la possibilità di spazi dischiusi al giuoco della perspicacia; e la validità di certe notazioni incidentali che venivano a incrinare le premesse.
Non altrimenti che sotto questa luce vanno intese le prese di posizione pru-
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31352+++
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Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 7 Giorno: 31
Numero 4
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4


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