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tipologia: Analitici; Id: 1464889


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Tipologia Periodico
Titolo Alessandro Lami, recensione su Margherita Isnardi Parente, Città e regimi politici nel pensiero greco, Torino, Loescher, 1979, pp.266
Riferimento diretto ad opera
Margherita Isnardi Parente, Città e regimi politici nel pensiero greco, Torino, Loescher, 1979, pp.266 {Città e regimi politici nel pensiero greco / Margherita Isnardi Parente}+++   recensione+++   
Responsabilità
Lami, Alessandro+++
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una opposizione binaria moderato-terrorista, in cui moderato assume il valore negativo e viene assimilato a aristocratico, realista ecc.); l'esistenza di situazioni politiche nelle quali l'unanimità di giudizio è data per obbligatoria e l'unico tipo di discorso accettato è quello epidittico, che prevede l'identità di conoscenze fra emittente e ricevente (però se l'unanimità è solamente postulata e non reale, il procedimento ermeneutico permette di riconoscere i reali atti linguistici che vengono attuati: una chiave di interpretazione, ad esempio, per numerosi messaggi e ordini del giorno di solidarietà nell'Italia d'oggi).
Il valore e l'importanza del libro di Gumbrecht, lo si vede dal taglio dato alla recensione, sono soprattutto di ordine teorico, sia dal punto di vista linguistico (i principi della pragmatica sono applicati, credo per la prima volta, a testi storici), sia dal punto di vista della sociologia politica (per le analisi di processi tipici della prassi politica moderna); ma non va sottovalutato il contributo che viene dato alla conoscenza di tre momenti importanti della Rivoluzione Francese. Del resto la scelta di tale momento storico come caso esemplare per lo studio delle convenzioni di interazione comunicativa istituzionalizzate è condivisa da molti altri romanisti tedeschi. Lo si è visto anche al recente « Romanistentag » (Saarbrücken, 26-28 settembre 1979), nel quale una densa sezione, diretta dallo stesso Gumbrecht e dalla Schlieben-Lange, era dedicata proprio a « Lingua e letteratura nella Rivoluzione Francese »: le analisi di testi politici (come, ad esempio, i « Cahiers de doléances ») si sono affiancate a quelle sul lessico politico della Rivoluzione e a quelle sulla sua politica linguistica. Dagli studi in questi tre settori di contatto fra lingua e Rivoluzione Francese (coltivati, naturalmente, anche in Francia ed ora in parte anche da noi), proviene una gran messe di informazioni, di interpretazioni ed anche di ipotesi nuove di cui gli storici non possono non tener conto.
MICHELE A. CORTELAZZO
MARGHERITA ISNARDI PARENTE, Città e regimi politici nel pensiero greco, Torino, Loescher, 1979, pp. 266.
Accade spesso di ripetere la definizione aristotelica secondo la quale « l'uomo è un animale politico », ma non altrettanto spesso di riflettere sul singolare fatto per cui se ne travisa e nello stesso tempo non se ne travisa il senso. Lo si travisa obiettivamente in quanto per il filosofo di Stagira politikon aveva il significato molto preciso di « animale atto (o destinato) a vivere nella polis », cioè in un'organizzazione politica che non ha assolutamente corrispondenze nel mondo moderno; eppure non lo si travisa in quanto, in quella traduzione, si esprime in qualche modo la continuità di una riflessione sulla società e sulla socievolezza umane che appunto per noi trova la sua origine nella polis greca. l; senza dubbio paradossale questa pur problematica compatibilità delle nostre considerazioni politiche che si rivolgono ad un mondo quanto mai complesso e articolato, con quelle che originariamente riguardavano una realtà, economicamente e socialmente, per lo meno meschina al confronto e storicamente effimera nell'ambito stesso della civiltà ellenica. Il paradosso, a dire il vero, è già avvertibile in quella perentoria ed unilaterale definizione di Aristotele — il quale non prevede al di qua e al di là della polis nessuna umanità, ma o bestie o dèi —, che si afferma quando ormai la polis era al suo tramonto in un periodo di vasti sconvolgimenti economici e politici, ed il suo modello ideologico era profondamente logorato da tutta una serie di sollecitazioni conseguenti che spingevano in ben altre direzioni. Ora, non solo la nostra parola `politica' con buona parte della sua terminologia tecnica ha origine
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nelle minuscole, rissose e spesso grette comunità degli antichi Greci; per piú versi dagli ideologi greci della polis abbiamo anche mutuato, consapevolmente o meno, il modo stesso di impostare alcune generali questioni politiche e filosofico-politiche. Quella dell'eguaglianza politica (isonomia), della libertà e del totalitarismo (per i Greci specificamente, tirannia), del rapporto tra individuo e stato (anche se in questo modo si dà una rappresentazione in termini liberali della questione, del tutto estranei al modo di concepire dei Greci), del valore della legge, il dibattito sulla democrazia, nonché il problema storico-teorico del sorgere delle società umane. Da qui un interesse per la riflessione greca sulla polis che non può essere solo filologico. In verità, dal momento che l'esperienza della polis segnò tanto profondamente e definitivamente la civiltà ellenica, ben oltre i due secoli (v e Iv a.C.) che la videro al centro cosí delle arti e della letteratura come di appassionate meditazioni, il pensiero greco anche in questo
campo è alla radice e costituisce di fatto una componente fondamentale della nostra cultura.
Esiste naturalmente una sterminata letteratura .sul pensiero politico greco, sulla quale orienta per altro assai bene una succinta ma esauriente nota bibliografica della stessa Margherita Isnardi Parente (pp. 39-44: stupisce però che non vi si faccia cenno almeno di Die politischen Theorien des Altertums, Wien 1910, le « sei bellissime conferenze » di Hans von Arnim cosí apprezzate da Sinclair, autore di una classica trattazione della materia accessibile anche in traduzione italiana: Il pensiero politico classico, Roma-Bari 1973). Ma si può ben dire che il libro della Isnardi Parente, la quale aveva già curato per la stessa collana un altro bel volume (La filosofia dell'Ellenismo, Torino 1977), trova una sua precisa collocazione. Ad un vasto pubblico viene infatti con esso offerta la concreta e fruttuosa possibilità di mettersi in contatto diretto con testi fondamentali del pensiero politico greco. Una rapida e densa sintesi introduttiva (pp. 9-35) rappresenta preliminarmente i termini e i caratteri essenziali di quella riflessione, dall'età arcaica al termine dell'Ellenismo. I testi sono raggruppati in cinque sezioni (I. Il problema dell'eguaglianza e la critica della città democratica, pp. 45-81; II. La struttura della città, pp. 83-108; III. La politica come scienza di un'« élite », pp. 109154; IV. La definizione della legge e la tipologia dei regimi politici, pp. 155-215; V. Teorie politiche e disegni utopistici nell'età ellenistica, pp. 217-266); e si organizzano secondo un ordine che è insieme storico e problematico, cosa che in alcuni casi non deve essere riuscita troppo agevole ed è perciò tanto piú encomiabile. Ad ogni sezione è stata poi premessa una nota che, di volta in volta, costituisce un approfondimento ed una precisazione delle considerazioni svolte nell'introduzione, mentre è subito capace di orientare il lettore sul contesto storico-culturale in cui si colloca ogni gruppo di testi. Si tratta insomma di un brillante ed efficacissimo accorgimento espositivo, che del resto era già stato utilizzato con successo dall'autrice in un prezioso volumetto èdito da Sansoni (Sofistica e democrazia antica, Firenze 1977), in cui veniva affrontata la stessa materia in un ambito culturale e storico molto piú limitato, pur se eccezionalmente importante e decisivo e quanto mai frastagliato.
La scelta dei testi, in una traduzione italiana limpida e accurata (solo a p. 123 nella traduzione di Senofonte, Mem. iv, 2, 2-11, è sfuggito un importante « non »: si legga al rigo 2 « non si possa ») rappresenta esemplarmente la storia e l'atteggiarsi caratteristico del pensiero politico greco nell'impostazione e nella risoluzione dei problemi che per primo intravide e affrontò. È cosí possibile seguire qui nei suoi momenti essenziali l'appassionante dibattito sulla democrazia nel v sec.: il suo elogio, unito ad un vibrante patriottismo, nel dialogo tra il Coro e la regina Atossa nei Persiani di Eschilo, e il confronto con gli altri regimi politici, la monarchia e l'aristocrazia, in Erodoto, III, 80-82: discussione tipicamente greca anche se, nell'occasione, affidata ad interlocutori persiani; fino al celeberrimo Epitafio
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di Pericle riportato dallo storico Tucidide dove sono esaltate la psicologia e l'etica della democrazia; e soprattutto fino alla sua ampia giustificazione teorica, rivestita di splendide vesti mitologiche, da parte del sofista Protagora. E la sua critica. Nel corso del secolo, infatti, nell'infuriare della guerra del Peloponneso, e nelle difficoltà e nel ricambio sociale della classe dirigente ateniese, crollò il sogno illuministico, legato all'ambiente pericleo, di una completa razionalizzazione politica. Si assisté cosí ad una vera e propria trahison des clercs, di cui danno testimonianza le disparate voci della sofistica piú recente. Almeno teoricamente essa prese le distanze dalla polis democratica e dalla sua ottimistica ideologia, mettendone in luce spregiudicatamente contraddizioni e antinomie. Si teorizza allora il contrasto tra `natura' e `legge', è affermato il diritto `naturale' del piú forte, si svela il potere a fondamento di ogni regime con un conseguente relativismo politico. È il tiranno Crizia, discepolo della sofistica e di Socrate, che chiude il dibattito alla fine del secolo, e non solo con brillanti ed acuminate armi critiche (è il teorico della religione come instrumentum regni estremamente sofisticato ed efficace, e della menzogna politica: un insegnamento, questo, che sarà tenuto presente anche da Platone, figlio di una sua cugina, cfr. pp. 81 e 130-133); ma anche spietatamente con una brutale « critica delle armi », all'ombra di una guarnigione laconica.
Col iv sec. si ha da un lato un decisivo approfondimento teorico delle questioni sollevate nel secolo precedente (basti pensare a Platone e Aristotele). Con la socratica è per esempio portata alle sue estreme conseguenze teorico-politiche l'analogia strutturale già prima sostenuta tra la techne (attività artigianale, professionale, provvista di metodologia scientifica) e la politica, che è quindi dimostrata scienza, necessariamente propria di una élite di competenti. Ma dall'altro è un secolo che politicamente si muove all'insegna di un moderatismo nostalgico, come giustamente sottolinea l'autrice (pp. 24, 26), lontano le mille miglia dalle arditezze e dalla spregiudicatezza vivace d'idee di quello precedente. Continuo,
e politicamente tendenzioso, è il richiamo alla « costituzione dei padri » (la patrios politeia);
e si teorizza dei pepaideumenoi come classe dirigente, di coloro cioè che provvisti di una cultura generale e generica sono in grado di dialogare con i competenti delle singole arti
e di governarli. Essi non sono certo gli aristocraticissimi filosofi o gli uomini « regi » di Platone, ma nemmeno la loro può essere l'assemblea di « architetti, fabbri, calzolai, commercianti e marinai » che fu la base di discussione tra Socrate e Protagora (Prot. 319 d). Nonostante gli elementi di continuità del dibattito politico, sono poi presenti nel pensiero del iv sec. anche varie sollecitazioni in direzione dell'astensionismo e del disimpegno che si affermano persino in Platone, come acutamente rileva l'Isnardi Parente (p. 114). La stessa teorizzazione dei pepaideumenoi in Aristotele a livello politico rivendica evidentemente un'autonomia e una separatezza dei filosofi. Del resto l'idealizzazione del principe illuminato (in Isocrate) che a volte si colora di tinte spartane (in Senofonte, in cui è da presupporre un richiamo al laconismo militante d'opposizione) ed anche orientali (sempre in Senofonte con l'idealizzazione della monarchia persiana nella Ciropedia), condanna di fatto il complesso dei cittadini all'esilio dalla politica. A questi non resta che conformarsi, sul piano etico, al modello di virtú offerto dal principe; solo l'intellettuale si riserva ancora un pallido impegno politico: offrire cioè a sua volta la presentazione al principe di quelle virtú che deve prendere a modello. Per altro, sia detto di passata, il iv sec. presenta delle assolute novità su un piano che per noi è strettamente legato a quello politico: Eubulo nella politica attiva e proprio Senofonte, teoricamente, testimoniano (oltre ad Aristotele) di un interesse eccezionale per l'economia.
Stranamente quando il principe venne davvero, con Filippo il Macedone e soprattutto con suo figlio Alessandro, gli intellettuali greci si sottrassero anche a quest'ultimo compito. Rigoroso fu per esempio l'astensionismo politico predicato da Epicuro, che si interessò invece al problema dell'origine della società umana richiamandosi direttamente alle dottrine del y sec.; un po' meno lo fu quello della Stoa, dove è possibile cogliere per altro interessanti tracce di un cosmopolitismo destinato ad andare ben al di là del pur timido panellenismo isocrateo (il massimo punto di apertura `internazionalistica' del pensiero politico greco classico). Alla fine dell'ellenismo fiorisce poi tutta una trattatistica sulla monarchia in cui, accanto a tratti stoici, sono presenti componenti e suggestioni mistiche proprie della sensibilità religiosa dell'epoca. Ma è soprattutto il pensiero utopistico di questo periodo che testimonia, come nell'utopia di Iambulo (presso Diodoro Siculo), del crollo totale delle idealità della polis. Si tratta di « una fantasia antropologica in cui gli stessi connotati della città sono scomparsi per dar luogo a una società non organizzata in gruppi cittadini, non retta da leggi, comunitaria e tribale, in un quadro naturale eccezionale. È la negazione della città » (p. 33). Il libro però si chiude con una nota ottimistica. Nelle elucubrazioni di Polibio intorno alla costituzione romana, che utilizzano « gli schemi tipici del costituziona-
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lismo classico greco », l'autrice ravvisa infatti « la perdurante vitalità della città nel tardo Ellenismo » (p. 35). Anche se legittimamente ci si potrebbe chiedere se in esse non si abbia, in qualche modo, l'altra faccia della medaglia rispetto all'utopia di Iambulo, l'incapacità cioè di cogliere la realtà di Roma — che aveva davvero qualcosa da spartire con le primitive aristocrazie greche — con categorie libresche da parte di un intellettuale che proveniva da un'area periferica dove quel che restava della polis erano da tempo vuoti riti ed esteriore cerimoniale.
Si possono ben tralasciare osservazioni troppo minute e particolari; ma su un punto mi sento di dover esprimere un'opinione radicalmente opposta a quella di Isnardi Parente; un punto che, se nulla toglie ai meriti indiscutibili di quest'ottima antologia ragionata, è tuttavia capitale per l'apprezzamento dell'intera storia del pensiero politico greco. Intanto non viene mai esplicitamente rilevato dall'autrice, che il nucleo essenziale di quel pensiero risale a due soli secoli, il v e il iv (si è visto, per esempio, come da ultimo Polibio si richiami direttamente al costituzionalismo classico). Questo fatto permette di sottolinearne un altro che •ancora l'autrice non pare cogliere in tutta la sua importanza: e cioè che quel patrimonio di idee è stato elaborato oltre che in un lasso di tempo cosí limitato, in uno spazio localmente ancora piú ristretto: ad Atene. Di ateniesi o di intellettuali strettamente legati ad Atene — il lettore deve esserne avvertito — sono i testi che vengono presentati. Ciò ha ovviamente il suo significato, e ci permette di arrivare al punto. L'autrice fa iniziare la storia del pensiero politico greco con l'affermarsi della polis aristocratica, « all'insegna di una prospettiva egualitaria », cosicché la prima parola d'ordine politica sarebbe stata nell'età arcaica il richiamo alla lotta contro il tiranno in cui si sarebbe espressa la resistenza del gruppo degli eguali aristocratici. Ora, non pare proprio che dalle lotte degli aristocratici sia emerso un qualche pensiero politico. E non mi sembra che si possa sostenere che « tra l'aristocrazia e la democrazia ... non esiste alcuna soluzione di continuità, né alcun radicale cambiamento di idealità politiche », come dice l'Isnardi Parente (p. 10) e come spesso si ripete. Su questo piano invece l'affermazione della polis democratica costituisce una decisiva `rottura'. E solo con essa infatti che nasce il pensiero politico: e le stesse idealità aristocratiche cominciarono ad avere rilevanza nella riflessione politica, autonomamente o in quanto accolte e trasformate dall'ideologia democratica, solo dopo e solo in rapporto con la polis democratica.
Un egualitarismo aristocratico non si è mai espresso politicamente prima di essa nell'età arcaica: a meno che non si vogliano, noi, interpretare cosí le violente risse nobiliari. Il poeta Alceo fu molto impegnato, anche con i suoi carmi, in simili lotte; ma la sua potente immagine della «nave senza nocchiere in gran tempesta» (fr. 326 LP) ebbe rilevanza come allegoria politica solo in chi, successivamente, ne mutuò il motivo. Ed anche di fatto, oltre a regimi aristocratici in cui appunto questo `egualitarismo' si manifestava solo nella forma di continue lotte reciproche tra i capi dei vari ghene, vi potevano esserne altri come a Corinto, dove i Bacchiadi detenevano da soli, senza altri `eguali', il potere (la Pizia li definí mounarchoi). Pure l'antitirannismo aristocratico non si elevò mai ad un livello di coscienza politica nell'età arcaica. Forse a quello di `coscienza di classe', se si pensa agli sconvolgimenti economici e sociali che portarono alle varie tirannie greche. Cosí in Teognide di cui viene riportato un passo in questa antologia: forse nel suo irriflesso sentimento di classe aristocratico aveva conservato una dolorosamente viva memoria di quando Teagene, tiranno della sua città, Megara, nel secolo precedente — uno dei primi in Grecia —, era arrivato al potere alla testa di una ribellione di contadini poveri che avevano massacrato le greggi dei grandi proprietari. Ma è tanto poco avvertibile in Teognide un pensiero politico in qualche
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modo elaborato, quanto se ne esprime per esempio nei giuramenti aristocratici di odio implacabile contro il demos. E, d'altra parte, quando l'aristocratismo giunse piú tardi al livello di coscienza politica non fu poi cosí incompatibile con la tirannia (con certa tirannia aristocratica almeno), come mostra Pindaro, « l'amico dei tiranni ». Per il periodo arcaico solo i testi di Solone hanno pieno diritto di figurare nell'antologia: solo per lui si può parlare di cosciente progetto politico e di riflessione politica meditata, e solo per lui si può parlare di un'influenza, ma anche di una laicizzazione, del delficismo, « un'etica di misura, che tradotta in termini politici diventa un'etica d'ordine » (p. 11).
I regimi aristocratici dell'età arcaica non poterono creare uno spazio politico che permettesse la nascita di una qualsiasi riflessione, né oggettivamente in quanto queste comunità erano costituite su basi ancora troppo `naturali', familiari (e il fatto che gli Spartiati si definissero homoioi sembra richiamare piú un'ideologia `razziale' che politica); né soggettivamente: basti pensare solo all'esclusivismo xenofobo, alla rigida gerontocrazia, ai riti segreti e misteriosi che caratterizzarono la vita `politica' spartana anche piú tardi. La filosofia, e la filosofia politica, spartana è un'invenzione dell'aristocratico ateniese Platone; e il sofista Ippia che ad Atene poteva disquisire sul contrasto tra `natura' e `legge', a Sparta doveva limitarsi a non problematiche e non anticonformistiche trattazioni « intorno all'origine delle città, alle colonie, alle imprese, poiché gli Spartani, per il fatto che volevano esercitare l'egemonia, si compiacevano di questo genere di trattazione » (DK, VS, 86 A 2, tr. M. Untersteiner). In questo campo, come in altri, essi dettero prova di una straordinaria laconicità. Sembra cosí di poter concludere che se la società schiavistica della Grecia antica creava le condizioni economicamente necessarie per il sorgere di un pensiero riflessivo, fu solo l'aprirsi di uno spazio politico con l'avvento della democrazia che ne costituí la condizione sufficiente, soprattutto per quel che riguarda il pensiero politico: « toccava ad Atene di diventare il maggiore stato schiavista della Grecia classica. Cosí il paradosso finale della storia greca arcaica è questo procedere di pari passo della libertà e della schiavitú » (M. I. Finley, Gli antichi Greci, tr. it. Torino 1965 [1963], p. 41).
ALESSANDRO LAMI
ANDREA ZANZOTTO, Il Galateo in Bosco, prefazione di Gianfranco Contini, Milano, Mon-dadori, 1978, pp. 120.
Il Bosco, del quale ci parla in mille modi Andrea Zanzotto nel suo nuovo libro, è, come egli stesso ha precisato in una nota, soprattutto il colle del Montello, dove Giovanni della Casa compose il suo Galateo: « là si elaborarono, nella Certosa, nell'Abbazia — la prima del tutto scomparsa, l'altra ridotta a rovine — rime e rime, versi italiani e latini »; nondimeno, aggiunge sempre Zanzotto in nota, « nel suo territorio si svolsero le battaglie che portarono alla vittoria italiana contro l'Austria-Ungheria nel 1918 ». Infine, dalle lontananze del passato alla fisionomia allucinata, ai tratti irregolari, sghembi, di un presente che pure non ha soffocato la suggestione e l'incanto del luogo: « Restano oggi, di quel luogo unico, lacerti di zone selvose, ville per weeken-disti, appoderamenti agricoli — eppure c'è sempre qualcosa della Grande Selva, della sua bellezza e vigoria che aleggia come un rimorso, un ricordo, in un terreno vago ».
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31350+++
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Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 3 Giorno: 31
Numero 2
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2


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