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Il segmento testuale Marx è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 837Analitici , di cui in selezione 40 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] F. Alderisio, Riflessioni di A. Gramsci sul concetto della finalità nella filosofia della prassi in Studi gramsciani

Brano: [...]erita la sua veduta circa la filosofia della prassi: « Ecco perché la proposizione del passaggio dal regno della necessità a quello della libertà deve essere analizzata ed elaborata con molta finezza e delicatezza » 1.
Altra considerazione di Gramsci che a me sembra pure orientata o convergente verso il nostro tema è quella sul concetto di regolarità e necessità nello sviluppo storico, a cui giunse il « fondatore della filosofia della prassi » (Marx); ma non proprio per « una derivazione dalle scienze naturali », bensí con « una elaborazione di concetti nati nel terreno dell'economia politica, specialmente nella forma e nella metodologia che la scienza economica ricevette da Davide Ricardo », (la cui impostazione delle leggi economiche Gramsci riteneva necessario studiare). Infatti Ricardo « non ha avuto importanza nella fondazione della filosofia della prassi solo per il concetto di " valore " in economia, ma ha avuto un'importanza " filosofica ", ha suggerito un modo di pensare e d'intuire la vita e la storia ». Tale modo di pensare è,[...]

[...]sviluppo della filosofia della prassi.
Ed ecco ora l'osservazione piú diretta e calzante sul concetto della finalità, lasciataci da Gramsci nei suoi « quaderni », per quanto anch'essa sia rimasta alla fase di una semplice obiezione polemica e di una vaga e generica presa di posizione teoretica. E un'annotazione avente per titolo « La teleologia » 1 e fa parte delle molteplici critiche che Gramsci scrisse contro il Manuale popolare di sociologia marxista di Bukharin. Egli fra l'altro lamentava che tale libro proprio « nella questione della teleologia » apparisse piú vistosamente difettoso, poiché a tale proposito quel saggio popolare presentava « le dottrine filosofiche passate su uno stesso piano di trivialità e banalità, cosí che al lettore pare che tutta la cultura passata sia stata una fantasmagoria di baccanti in delirio... Cosí il Saggio presenta la quistione della teleologia nelle sue manifestazioni piú infantili, mentre dimentica la soluzione data da Kant. Si potrebbe forse dimostrare che nel Saggio c'è molta teleologia inconscia,[...]

[...]r rendere manifesto alcunché di preciso
e netto in tale senso nella precedente e migliore letteratura del materialismo storico, per quanto si sentisse sicuro di non deviare dall'intimo spirito di esso e dal suo immancabile sviluppo teoreticopratico. Ma fu certamente per un avverso destino che egli non poté accorgersi di cam
62 I documenti del convegno
minare — anche per il detto orientamento — sulle stesse orme (starei quasi per dire anche di Marx: in verità, di un Marx assai poco conosciuto o rilevato, e ancor meno approfondito) dell'altro grande teorico della filosofia della prassi, il quale proprio il predetto orientamento cominciò ad aprire ed a proporre negli ultimi anni della sua attività scientifica in alcuni manoscritti inediti intorno alla Dialettica della natural. Un tale documento interessantissimo di scienza e filosofia della natura, — in cui si proclama che « la dialettica, spogliata del misticismo », è ormai divenuta « una necessità assoluta per la scienza, che ha ormai lasciato il terreno sul quale bastava fare uso delle categorie fisse », che[...]

[...]è mistico, perché la categoria in Hegel appare come preesistente, e la dialettica del mondo reale appare solo come un suo riflesso »; e che quindi « in realtà la cosa va capovolta »; ed è piuttosto e solo « la dialettica del cervello... un riflesso delle forme di movimento del mondo reale, della natura cosí come della storia » 2. Ma si è trattato ancora e non di piú che di una ripetizione del famoso « capovolgimento» feuetibacchiano e piú ancora marxistico, cioè soltanto di una inversione del rapporto tra
1 ENGELS, op. cit., pp. 198, 2034.
2 ENGELS, op. cit., p. 197.
64 1 documenti del convegno
i momenti dialettici, e non della soppressione di uno di essi (cioè del momento ideale, a vantaggio di un monismo realistico o materialistico). E infatti Engels si spinge quasi a dare — ad es., rispetto al morfologo Richard Owen, che aveva scritto di una « idea archetipa » che si sarebbe manifestata in organismi animali in diversi aspetti sulla terra, già « moho tempo prima dell'esistenza di quegli animali che attualmente la esemplificano » — u[...]

[...]oè di quello reale, estrinseco e materiale, bensí significava solo un'inversione del rapporto tra i due momenti dialettici, qual era stato inteso da Hegel; e certo la significava con la precedenza e preminenza, in agni senso, del reale, estrinseco e materiale rispetto al suo opposto. Non si trattava dunque di una decapitazione dell'uomo perché potesse camminare sulle proprie gambe, anziché sulla propria testa, come secondo una notissima immagine Marx aveva criticamente raffigurato il movimento della dialettica — secondo lui — astratta
e mistificatrice di Hegel. E poiché questa inversione del rapporto tra l'ideale e il reale, anche nell'immagine della testa stante all'ingiú, anziché eretta sulle spalle e sulle gambe (con la forza delle quali soltanto é possibile portare il proprio corpo e camminare), riguarda — nel concetto
e nell'immagine — direttamente il rapporto tra il fine e la causa, o il fine e il mezzo (o i mezzi), e può quindi bene sviluppare ed arricchire l'esposizione del pensiero di Gramsci in rapporto al tema propostomi, imp[...]

[...]agine — direttamente il rapporto tra il fine e la causa, o il fine e il mezzo (o i mezzi), e può quindi bene sviluppare ed arricchire l'esposizione del pensiero di Gramsci in rapporto al tema propostomi, importa che io esamini anche ciò che egli ha scritto sul detto motivo critico della filosofia d'ella prassi contro la concezione del mondo storico ponente l'uomo « con la testa all'ingiú » . Gramsci dunque, in una lunga riflessione filologica su Marx e Hegel j, comincia con l'avvertire che « nello studio dello hegelismo di Marx » occorre ricordare che questi (il quale ebbe « carattere » — e Gramsci fece pur bene a rilevarlo —« eminentemente praticocritico ») aveva partecipato alla vita universitaria di Berlino pochi anni dopo la morte di Hegel (1831), cioè quando doveva essere ancora vivissimo « il ricordo dell'insegnamento orale di Hegel e delle discussioni appassionate » da esso già suscitate, e soprattutto in riferimento alla storia concreta. E in tali discussioni certamente « la concretezza storica del pensiero di Hegel doveva risultare molto piú evidente » di quanto in avvenire possa essere risultato dallo stud[...]

[...]ivissimo « il ricordo dell'insegnamento orale di Hegel e delle discussioni appassionate » da esso già suscitate, e soprattutto in riferimento alla storia concreta. E in tali discussioni certamente « la concretezza storica del pensiero di Hegel doveva risultare molto piú evidente » di quanto in avvenire possa essere risultato dallo studio degli « scritti sistematici » del filosofo. Cosicché Gramsci espresse l'avviso che « alcune affermazioni » di Marx dovettero essere legate proprio a quella « vivacità conversativa: per es., l'affermazione che Hegel fa camminare gli uomini
1 M. S., pp. 701, in fine al frammento « Marx ed Hegel » .
66 1 documenti del convegno
con la testa in gin » . E qui è importante riferire che lo stesso Gramsci tentò di ricondurre in qualche modo alla fonte hegeliana questa plastica e notissima immagine critica di Marx (e che fu poi anche di Engels), raffigurante un uomo capovolto, che stando con la testa in basso e con le gambe per aria si sforzi tuttavia di camminare (come sanno fare i saltimbanchi), e diretta quindi a riprodurre — con immediato e irresistibile effetto di comicità — la strana posizione che all'uomo sarebbe stata data dalla concezione hegeliana della filosofia della storia e, anzitutto, da quella del diritto e dell'eticità. Difatti Gramsci osservò che l'immagine degli « uomini con la testa in giú » dové derivare dallo stesso Hegel, poiché questi se ne era servito « parlando della Rivoluzio[...]

[...]poiché questi se ne era servito « parlando della Rivoluzione francese » , e scrivendo che « in un certo momento della Rivoluzione francese (quando fu organizzata la nuova struttura statale) pareva che il mondo camminasse sulla testa, o qualcosa di simile ». Egli inoltre (affidandosi ancora ad un suo vago ricordo, per l'impossibilità in cui si trovava di riscontrare le fonti) aggiunse anche che il Croce si sarebbe una volta domandato « di dove i1 Marx abbia preso questa immagine » ; ed in conclusione della sua notazione filologica tornò a scrivere che quella immagine si trovava « certamente in un libro di Hegel (forse la Filosofia del diritto: non ricordo) »; o che piú veramente gli appariva « scaturita da una conversazione tanto è fresca, spontanea, poco " libresca " » . E in una breve nota a questo punto si legge — a proposito sempre della suddetta immagine — che A. Labriola aveva scritto: «Gli è proprio quel codino di Hegel che disse come quegli uomini (della Convenzione) avessero pei primi, dopo Anassagora, tentato di capovolgere la no[...]

[...]i sta sui piedi, e non si hanno buone gambe, non si può portare in giro il proprio corpo, né si può portare alcunché sulle proprie spalle o sulla propria testa. Ma oltre la vaga indagine filologica, indicata
piuttosto che eseguita — da Gramsci, sull'origine dell'immagine degli « uomini con la testa all'ingiù », e oltre la riferita citazione del Labriola (risalente esattamente .a una fonte hegeliana 1), nulla è possibile trovare, nella filologia marxistica, che di quella immagine in essa pur tanto ripetuta nel senso critico datole da Marx e da Engels valga a scoprirne l'origine e la fonte vera, e forse anche a precisarne storicamente l'esatto senso e valore, tanto positivo nell'uso fattone dallo Hegel, quanto negativo nell'uso a controsenso e a distorsione critica, a cui ben presto quell'immagine della testa (resa, da eretta, rovesciata) era stata comicamente ridotta da qualche spiritoso antihegeliano, o piú verisimilmente da un riformatore di sinistra del sistema di Hegel. Ed io confesso di aver provato un certo disappunto per non aver trovato alcuna soddisfazione ad una
1 Cioè alla Filosofia della storia di Hegel (cap. ulti[...]

[...]egolare la realtà spirituale. E con ciò si ebbe una splendida levata di sole, e tutti gli uomini pensanti hanno celebrato questa epoca ».
68 1 documenti del convegno
siffatta curiosità filologica (che non è però solo filologica), nella vasta
e ricca ricerca filologicofilosofica intrapresa dal Lukàcs in una sua pregevole opera 1, in cui con grande diligenza e discernimento ha indagato
e ripresentato le fonti del pensiero hegeliano e di quello marxistico, ed ha adoperato assai di frequente, ed a scopo critico, la frase auf den Kopf quasi come un trito ritornello o uno scongiuro.
però un fatto che il nostro A. Labriola, la cui illuminata e profonda ortodossia marxistica è fuori discussione anche rispetto alla revisione critica della filosofia della storia di Hegel, si astenne tuttavia dall'usare — a scopo di critica — quell'immagine della testa umana rovesciata, cosí com'era stata, se non foggiata, adoperata anche da Marx. Né si può supporre che il Labriola l'avesse ignorata, o non l'avesse rilevata, ma piuttosto che egli, piú avveduto e moderato critico della posizione hegeliana in materia di filosofia della storia e di etica e politica, non intendesse di spingere la sua critica fino al segno di un totale rovesciamento o capovolgimento di quella. Ed io non ritengo qui fuori luogo di richiamare una chiara allusione al senso astrattamente realistico o materialistico, cioè troppo unilaterale, che quell'immagine aveva assunto contro l'idealismo hegeliano, cioè l'allusione che ad essa fu fatta dallo Spaventa in un[...]

[...]felice congiungimento dell'evoluzione naturalistica con la dialettica del pensiero Antonio Labriola altamente lodò il suo antico maestro in una lettera a Engels del 14 marzo 1894).
Felice Alderisio 69
bile trattare la filosofia della storia « sulle nude tre dita dell'Idea in sé, Idea fuori di sé e Idea in sé e per sé, senz'altro » (o, in altri termini, soltanto « sulla testa delle Idee, o dello Spirito », come suonava il ritornello critico dei marxisti), cosí Spaventa proseguiva: «Quel che non posso ammettere è il dommatico autaut del realismo e dell'idealismo, dell'a posteriori e dell'a priori; o con buone gambe, ma cieco; o veggente, ma zoppo. Hegel stesso ha sempre protestato contro questa mutilazione dell'integrità dello spirito scientifico. E pure ci ha di quei che annunziano di aver superato Hegel, sacrificando la luce , degli occhi al facile uso delle gambe » 1.
Mi sembra infine un'opportuna conclusione di questo lavoro di ricerca sul concetto della finalità in un indirizzo teoreticopratico, che sempre piú consapevolmente e con [...]



da Eugenio Garin, Gramsci nella cultura italiana in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]ervazioni valgono tanto più quanto più il pensatore dato é piuttosto irruento, di carattere polemico e manca di spirito di sistema, quando si tratta di una personalità nella quale l'attività teorica e quella pratica sono indissolubilmente intrecciate, di un intelletto in continua creazione e in perpetuo movimento, che sente vigorosamente l'autocritica nel modo più spietato e conseguente ».
Gramsci — é noto — si riferiva a un eventuale studio su Marx: eppure ai nostri orecchi suonano indicativi proprio per uno studio sulla sua opera i suoi avvertimenti: distinguere fra scritti compiuti e pubblicati, e scritti postumi; fra lavori conclusi (« un'opera non può essere mai identificata col materiale bruto raccolto per la sua compilazione: la scelta definitiva, la disposi zione degli elementi componenti, il peso maggiore o minore dato a questo o a quello degli elementi raccolti nel periodo preparatorio, sóno appunto ciò che costituisce l'opera effettiva »). Delle lettere converrà usare con cautela: «un'affermazione recisa fatta in una lettera n[...]

[...] è chiaro che lavorando praticamente a fare storia si fa anche filosofia... » (15').
Commentare questo testo fino in fondo, seguirne la genesi e discuterne il senso, porterebbe ad un'analisi completa del pensiero di Gramsci, che a me non compete: sarebbe necessario infatti seguire il maturare della sua riflessione attraverso la lotta politica, che lo portò a leggere, o a rileggere con occhi resi diversi da eventi decisivi, le pagine medesime di Marx (16). Ma in tale prospettiva, e nel modo d'intendere il filosofo « individuale », andrà ricollocata tutta la sua impostazione delle vicende degli intellettuali italiani: tutta la sua storia della filosofia, della cultura; anzi, a un certo punto, tutta la storia italiana cercata nel concreto degli individui pensanti e operanti, pensanti in quanto operanti, e capaci di rendersi conto, e di rendere conto in precise proposizioni teoriche volte a suscitare nuove azioni.
Comunque a qualche conclusione preliminare sembra possi
(15) M.S. 2334
(16) Sono da rileggere gli articoli del '18, quali La c[...]

[...] nel concreto degli individui pensanti e operanti, pensanti in quanto operanti, e capaci di rendersi conto, e di rendere conto in precise proposizioni teoriche volte a suscitare nuove azioni.
Comunque a qualche conclusione preliminare sembra possi
(15) M.S. 2334
(16) Sono da rileggere gli articoli del '18, quali La critica critica (a Il grido del popolo », 12 gennaio 1918): « La nuova generazione pare voglia ritornare alla genuina dottrina di Marx, per la quale l'uomo e la realtà, lo strumento di lavoro e la volontà non sono dissaldati, ma si identificano nell'atto storico. Credono pertanto che i canoni del materialismo storico valgano solo post factum, per studiare e compren' dere gli avvenimenti del passato, e non debbano diventare ipoteca sul presente e sul futuro... »; o Il nostro Marx (4 maggio 1918: a non è un mistico né un metafisico positivista; è uno storico... »). Poi vennero altre letture di Marx, letture di Lenin, e, soprattutto, esperienze decisive.
GRAMS CI NELLA CULTURA ITALIANA 163
bile giungere circa il linguaggio gramsciano: e respinta la tesi degli ' inconditi abbozzi', degli articoli di giornale occasionali, e delle lettere edificanti, sarà da considerarsi con cautela anche il concetto di una frammentarietà dovuta a una situazione anormale di lavoro — concetto in cui rischia di insinuarsi l'idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l'elaborazione del periodo dal '2[...]

[...]toria della nostra cultura — ma non so, per ora, quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all'esaurimento dall'interno di tante tesi ha dato proprio l'analisi gramsciana, la quale, sottolineando con singolare energia la solidarietà di certi ideali e di certe visioni con una situazione, ha aperto la strada ad altre scelte e ad altre possibilità. E come sul terreno dottrinale a un certo Hegel, à un certo Marx, a un certo Labriola e, magari, a un certo Machiavelli, oppose un'altra possibilità interpretativa, cosí a un'altra storia d'Italia volle saldare un'altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un'Italia capace di riscattare in tutta la sua storia altre possibilità costantemente vinte, soffocate o mistificate. E proprio perché era un politico e non un filosofo — e con ciò si vuol dire solo che era anche uno storico e un filosofo serio, e non un p[...]

[...]chiama in una lettera nel '31) compare nei volumi delle opere una diecina di volte circa, e sempre
II
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 165
lia non a caso culturalmente crociana e gentiliana, che aveva scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall'intrinseco » certe posizioni — ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola: ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che é vivo da ciò che é morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.
La rottura con una certa tradizione e la lotta per un'altra Italia, si configurano così — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella stessa storia d'Italia: rappresentan[...]

[...]n conto che anche in posizioni legate al « positivismo » non mancavano temi fecondi (basterebbero i richiami a Vailati, l'accenno alla teoria della «previsione» in Limentani ecc.). Ma la sua battaglia era altrove.
(19) O.N. 7 (7 giugno 1919).
166 EUGENIO GA1tIN
ramente, per usare ancora un'espressione gramsciana, « la protesta del divenire storico contro ogni irrigidimento e ogni impaludamento del dinamismo sociale ». E prosegue: « la critica marxista all'economia liberale é la critica del concetto di perpetuità degli istituti economici e politici; é la riduzione a storicità e contingenza di ogni fatto, é una lezione di realismo agli astrattisti pseudoscienziati ».
Non é facile staccarsi da questi testi gramsciani, così limpidi e precisi, sul processo storico come effettiva conquista di libertà, contro ogni mistificazione del socialismo, contro ogni esperantismo pseudomarxista che non tenga conto della vita reale di un popolo (20). Tutti gli articoli del '19 andrebbero sottolineati con quelle loro dichiarazioni nettissime: « l'esperienza liberale non é vana, e non può essere superata se non dopo averla fatta »; « la creazione dello stato proletario non é... un atto tumaturgico: é... un farsi, é un processo di sviluppo ». L'urto contro le cristallizzazioni in nome del processo di liberazione umana produce, é vero, una scissione, che é di tutti: gruppi contro gruppi, l'uomo contro se stesso; ma « lo scisma del genere umano non può durare a lungo. L'umanità tende [...]

[...], é un processo di sviluppo ». L'urto contro le cristallizzazioni in nome del processo di liberazione umana produce, é vero, una scissione, che é di tutti: gruppi contro gruppi, l'uomo contro se stesso; ma « lo scisma del genere umano non può durare a lungo. L'umanità tende all'unificazione interiore ed esteriore, tende ad organarsi in un sistema di convivenza pacifica che permetta la ricostruzione del mondo ». Gramsci combatte senza posa per un marxismo che sia davvero, com'egli dice, umanismo integrale: e proprio per questo non esita a ribellarsi contro ogni economismo e ogni determinismo assoluto: « La pretesa — ribadisce — presentata come postulato essenziale del materialismo storico, di esporre ogni fluttuazione della politica e dell'ideologia come un'espressione immediata della struttura, deve
(20) O.N. 45, 9, 15 18. A proposito dell' esperantismo é interessante l'articolo La lingua unica e l'esperanto, « Il grido del popolo m, 16 febbraio 1918 (con le iniziali A. G.): «Quale atteggiamento devono prendere i socialisti in confronto [...]

[...] ricorrente richiamo a Kant che decapita Dio, mentre Robespierre decapita il re, non vuole indicare soltanto il rapporto fra una « tranquilla teoria » che cambia le « idee », e una rivoluzione che muta la società: vuol richiamare al problema della traduzione varia in linguaggi nazionali di posizioni dottrinali « equivalenti ». La gramsciana filosofia della prassi, se respinge ogni mistificazione speculativa, rifiuta ogni esperantismo; traduce il marxismo in italiano, ossia intende rispondere alle richieste maturate lungo la storia italiana in modo ad esse appropriato (26). Non è, insomma, un formulario di risposte prefabbricate, ma un modo di individuare le domande, e un metodo per rispondervi realmente, non evasivamente.
Né Gramsci poneva limite alcuno alla storicità della filosofia della prassi: nata quale « manifestazione delle intime contraddizioni da cui la società é stata lacerata... non può evadere dall'attuale terreno delle contraddizioni »: anch'essa ' provvisoria ' in nome della « storicità di ogni concezione del mondo e della [...]

[...]tazioni gramsciane dì importanti movimenti sono particolarmente insufficienti o almeno discutibili: basterebbe pensare all'atteggiamento di fronte al positivismo, e, per altro verso, all'apprezzamento del modernismo. Nel primo caso, anche se probabilmente converrebbe andar molto cauti, _per non incorrere in frettolose revisioni, e tener distinte cose distinte, e rendersi ragione di pur sempre validi temi polemici (e andare magari a rileggersi il Marx di Loria, del 1902) (30), é certo che
(30) Cfr. A. Loxln, Marx e la sua dottrina, Palermo, Sandron, 1902, p. 64 (da un art. del 1 aprile 1883): a Carlo Marx... è la, produzione fatale dell'età.. Era il 1840. La vecchia metafisica era morente, il nuovo positivismo non era ancor nato. Era dunque troppo tardi per essere metafisico, troppo presto per essere positivista. Studioso della filosofia hegeliana, ei tentò ringiovanirla, associandola all'indagine delle scienze storiche e giuridiche; e più tardi, quando il nuovo indirizzo della scienza ebbe vasto trionfo, egli si immerse nell'investigazione realistica, studiò la vita sociale, e tentò di innestare nel tronco delle sue teorie filosofiche le immense nozioni positive, che aveva acquisite. Ma l'ant[...]

[...]nella sua analisi di questi punti nodali, e nei
cancellato. Malgrado la sua cognizione meravigliosa della vita reale, ci rimase un metafisico in mezzo a una generazione di positivisti, vagheggiando la determinazione dell'Idea fra genti che non ne comprendevano il nome ». Presso lo stesso editore, nella x Biblioteca di scienze sociali e politiche », n. 32, nel 1900, Croce aveva riunito i suoi a saggi critici » su Materialismo storico ed economia marxista (e nella stessa collana il liliale ' positivista' Tarozzi si incontrava con l'ineffabile Enrico Ferri. I sarcasmi di Engels, o di Labriola, erano ben lontani dal raggiungere l'amena leggerezza di quei valentuomini: nel confronto dei quali — non si dimentichi — si collocava Croce. Del resto sul e positivismo » è da rileggere sempre tutta la lettera di Labriola a Engels del '94 (Roma 1949, pp. 14650).
(31) P. 16 (cfr. 1. 28 sgg.; L.V.N. 2045; R. 6 sgg.).
174 EUGENIO GARIN
suoi debiti verso interpreti e critici (che per Machiavelli, ad esempio, vanno dal De Sanctis al Croce e al Russo), s[...]

[...] formale kantiana, opposta al non velleitario dover essere di Machiavelli, al suo dannarsi per la terrestre res publica; nella dialettica PrincipeDiscorsi; nella figura MachiavelliRousseau; in Machiavelli rivoluzionario, si trova puntualizzata la posizione di Gramsci e la sua distanza da Croce. Non si trattava solo di rovesciare la formula
(36) Mach. 10, 40.
(37) Mach. 147 (e 117).
(38) P. 202.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 177
crociana di Marx « Machiavelli del proletariato » in un MachiavelliMarx del « popolo » fiorentino e italiano del '500. Con la proclamata « moralità » del Principe si rifiutava così la « distinzione » di tipo crociano come l'idea teologale ad essa congiunta di una « natura » umana, per risolvere con forza ogni « forma » trascendentale nella società umana pacificata: e questo nel punto stesso in cui il dover essere della res publica si poneva come norma di un rigorismo e di un'intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizia, si sacrifica — paradossalmente — anche l'anima: che è una forma di ascesi che invano si cer[...]

[...]ilmente sulla prospettiva cosí originale in cui l'opera di Gramsci si colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando così largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un'elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i ' mistificatori ' del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti — Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa — e Croce per quanto contribuì a mantener vivi i primi due. Ma dalla guerra mondiale in poi Gramsci ripercorrerà a ritroso, sempre più chiaramente, nella lotta prima, nella chiusa meditazione dopo, il cammino crociano; Croce aveva ritrovato, nel distacco da Labriola e nella revisione dell'hegelismo, una direzione « kantiana » di « forma » non storicizzabili: un ' sistema ' della ' filosofia dello spirito', una ' natura u[...]

[...]mo, una direzione « kantiana » di « forma » non storicizzabili: un ' sistema ' della ' filosofia dello spirito', una ' natura umana' assoluta. Gramsci, al contrario, non si limiterà a rifiutare l'atto spirituale taumaturgico, e solo retoricamente operoso, per ritrovare il positivo e il concreto processo storico, vivo e reale nel lavoro delle società umane. Anche l'ultimo « aroma speculativo » svanirà: nella critica alla doppia mistificazione del marxismo — sia in direzione idealistica che materialistica — e nella elaborazione di una originale ' concezione del mondo' si consoliderà nitidissimo un integrale umanismo storico: uomini veri, reali, che vivono convivendo in reali rapporti: mobili, in un processo condizionato insieme e libero.
Limpido e preciso qui Gramsci é veramente nostro (39), ossia
(39) Cfr. CROCE, a Quaderni della Critica », 8, 1947, p. 86.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 179
di quanti credono nel compito critico di una cultura volta a liberare gli uomini in terra, per costruire una città giusta: per la sua moralità impi[...]



da Cesare Luporini, La metodologia del marxismo nel pensiero di Antonio Gramsci in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: LA METODOLOGIA DEL MARXISMO
NEL PENSIERO DI ANTONIO GRAMSCI
Questo titolo — « la metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci » — potrebbe dar luogo ad un equivoco che è bene eliminare subito. Si potrebbe, cioè, essere indotti ad attribuirci l'intento di ricostruire ciò che è essenziale, filosoficamente, nel pensiero di Gramsci, quale uno sforzo di intendere e interpretare il marxismo alla stregua di una pura o mera metodologia (salvo, naturalmente, a vedere di che cosa esso sarebbe la metodologia).
Tentativi di questo genere, nei riguardi del marxismo, furono fatti, com'è noto, nel passato ed hanno tutta una storia che non sarebbe punto lecito giudicare e tanto meno liquidare in blocco e in astratto, cioè indipendentemente dal contesto di problemi e di indirizzi ideali, e dalle concrete situazioni culturali, in cui sorgevano. Si tratta, apparentemente, di una questione vecchia, ed a qualcuno verrà fatto di ricordare come il Croce, nei suoi scritti intorno al marxismo della fine del secolo, addirittura negasse che il marxismo, o più esattamente il « materialismo storico » (con la quale designazione si tendeva allora a comprendere tutta la dottrina) fosse da considerare un « metodo », nel mentre che gli toglieva anche il carattere di « teoria », riducendolo a empirico « canone d'interpretazione storica » (1). Ove, allo storico delle idee, soprattutto interessa la convergenza delle due negazioni, che appare sintomatica di un certo atteggiamento di pensiero in formazione. Infatti più tardi il Croce verrà identificando la « teoria », anzi, la filosofia (tutta la filosofia, cioè la sua filosofia) con la « metodolog[...]

[...]a anche il carattere di « teoria », riducendolo a empirico « canone d'interpretazione storica » (1). Ove, allo storico delle idee, soprattutto interessa la convergenza delle due negazioni, che appare sintomatica di un certo atteggiamento di pensiero in formazione. Infatti più tardi il Croce verrà identificando la « teoria », anzi, la filosofia (tutta la filosofia, cioè la sua filosofia) con la « metodologia della storia ». Quell'abbassamento del marxismo da « metodo » a « canone » conteneva, a fortiori, anche la negazione (con
(1) B. CROCE, Materialismo storico ed economia marxistica, Bari, 19275 (Cfr. particolarmente le pp. XI, .9, 13, 15, 79, 86, 111).
182 CESARE LUPORINI
tro il Labriola con cui Croce era in discussione) che esso fosse una « filosofia », ossia una autonoma concezione delle realtà (2).
Nel clima filosofico odierno la parola « metodologia » si presenta carica di nuove suggestioni e riferimenti determinati a dottrine e tendenze filosofiche che erano ancora poco sviluppate negli anni di Gramsci e comunque, allora, inoperanti in Italia. Si tratta di interessi sorti su un terreno diverso da quello della ricerca storica e delle scienze umane (politica[...]

[...]no, anche nel nostro paese, buona parte delle giovani generazioni degli specialisti di filosofia, dovrebbe essere a ciò particolarmente favo
(2) Op. cit., p. 90.
(3) A. GRAMSCI, II materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, p. 136. II passo è, caratteristicamente, citato da Ludovico Geymonat nel saggio Caratteri e problemi della nuova metodologia (in Saggi di filosofia neorazionalista, Torino, 1953, pp. 7374).
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 183
revole. Indubbiamente quegli spunti sono indicativi di alcuni fra gli interessi più originali di Gramsci (4). Essi tuttavia non sono isolabili, se li si vuole intendere e non fraintendere, se non si vuole commettere cioè una sopraffazione intellettuale, dalla metodologia del marxismo come vive ed opera in Gramsci: cioè del procedimento effettivo con cui egli elabora i concreti problemi di cui si occupa. Rilevare questa effettiva, esplicita o implicita, metodologia, é il primo compito; ed é ciò a cui qui si cerca di recare un contributo.
Ora, proprio a questo punto potrebbe sorgere l'equivoco a cui mi riferivo in principio. Conviene perciò dichiarare subito che il marxismo non è per Gramsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » (5). Il momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente, nel pensiero di Gramsci, e non sono separabili senza grave deformazione. Non si tratta solo della prova che di ciò si può ricavare da innumerevoli passi citabili, ma del nesso profondo, organico, del suo pensiero.
Vorrei richiamare qui, per un[...]

[...] (di quell'ideale lo Husserl veniva da tempo elaborando e applicando il metodo). Ricordo ciò perché quella tesi ci appare storicamente annunciatrice di tanti successivi indirizzi e procedimenti concettuali (penso non solo alla fenomenologia husserliana, ma alle correnti, di assai diversa origine, che appunto amano chiamarsi «metodologiche») (7) che si sono immensamente dilatati, che oggi campeggiano largamente nel mondo filosofico e coi quali il marxismo non può non trovarsi in discussione.
Ora è interessante notare, mi sembra, che in Gramsci si trova, e tutt'altro che accidentalmente, una concezione del filosofo la quale contiene una risposta a quell'atteggiamento. Si tratta proprio del « filosofo », non in un senso generico, ma nel senso professionale. Gramsci, che è stato critico così severo ed acuto della storia della filosofia elaborata, come avviene tradizionalmente, sulla linea dei «filosofi individuali » e della successione dei loro sistemi, non manifesta per il filosofo professionale il disprezzo pregiudiziale di cui si compiacq[...]

[...]ezza » (Weisheit, Weltweisheit),
(7) Cfr. I. M. BOCHENSKt, Europäische Philosophie der Gegenwart, Bern 1951, p. 32. « Sowohl die mathematische Logik als auch die Phänomenologie sind vor allem Methoden, nicht inhalhiche Lehren. Beide sind aus einer Besinnung auf die Grundlagen der Wissenschaften hervorgegangen und versuchen, diese durch eine rationale Methode neu zu begründen ».
(8) Il materialismo storico ecc., cit., p. 24.
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chiamare filosofia ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni concezione del mondo e della vita ». Siamo sul terreno, potremmo dire, almeno come atteggiamento di
fondo, delle odierne filosofie metodologiche. « Tuttavia aggiun
ge Gramsci — c'è una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvicina più agli altri uomini di ciò che avvenga per gli altri specialisti. L'aver fatto del filosofo specialista una figura simile, nella scienza, agli altri specialisti, é appunto ciò che ha determinato la carica[...]

[...] gli operai di Torino, di cui sappiamo, o con i compagni di persecuzione, di confino e di carcere (fino a quando gli fu possibile), che egli veniva istruendo idealmente e politicamente, di cui veniva formando la personalità di quadri rivoluzionari del partito della classe operaia. Non è una notazione marginale che si intende qui fare, ma tale, mi sembra, che ci avvicina a comprendere il modo in cui Gramsci concretamente concepiva l'efficacia del marxismo, e che ha significato universale. «Formare la personalità » significa, ci dice Gramsci, dar « coscienza dei rapporti in cui si entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volontario » : poiché si tratta di modificarli. « L'uomo attivo di massa — egli scrive (e va sottolineato il termine «attivo») — opera praticamente, ma
(10) Op. cit., p. 4.
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non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasfo[...]

[...] universale. «Formare la personalità » significa, ci dice Gramsci, dar « coscienza dei rapporti in cui si entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volontario » : poiché si tratta di modificarli. « L'uomo attivo di massa — egli scrive (e va sottolineato il termine «attivo») — opera praticamente, ma
(10) Op. cit., p. 4.
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non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma ». Ed aggiunge: « La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto col suo operare » (11).
L'operare praticamente, che già richiede in se stesso un conoscere, é il punto di leva e di riferimento (« una lotta di classe che già esiste », avevano detto di « esprimere » i fondatori del marxismo nel Manifesto) per la modificazione della « concezione del mondo » (della «coscienza teorica »), onde portarla a coerenza con le esigenze e i presupposti di quell'operare, innalzandola a un livello superiore, quello appunto della coerenza e consapevolezza critica, prodotte dall'analisi dei rapporti storici e sociali in cui si opera. E' molto interessante il modo in cui Gramsci collega questi concetti con l'intento educativo che aveva presente. Quei rapporti « importa conoscerli geneticamente, nel loro modo di formazione, perché ogni individuo non solo é la sintesi dei rapporti esistenti m[...]

[...]ta tesi col detto famoso del « proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca », detto che, naturalmente, ha assunto un significato estensivo, generale, per il proletariato rivoluzionario. Gramsci si guarda bene dal prendere questo motto quasi un emblema, un blasone, come spesso superficialmente e retoricamente è stato fatto, ma cerca di comprenderne ed elaborarne il significato. Ed uno dei significati f ondamentali è questo: che il marxismo, proprio in quanto è filosofia, ossia « concezione del mondo », quella concezione del mondo che tende ad unificare coerentemente innanzi tutto la coscienza della classe rivoluzionaria nella sua azione collettiva, è, per questa sua intrinseca natura, filosofia di massa (« concezione di massa », « concezione unitaria di massa »). Non in un senso, naturalmente, deteriore e antiscientifico, o sottoscientifico, ma in un senso nuovo e rivoluzionatore del concetto tradizionale di « filosofia ». (E certo tale espressione potrà fare arricciare il naso a chi non sa staccarsi da quest'ultimo). Ossia[...]

[...]nale di « filosofia ». (E certo tale espressione potrà fare arricciare il naso a chi non sa staccarsi da quest'ultimo). Ossia, è una filosofia che, nella storica concretezza del suo svolgimento, attinge dal movimento delle masse, dalle esperienze di esso e della sua direzione, la sua stessa ragione di essere e gli elementi del proprio sviluppo critico. Ma questo fatto, ossia questo legame fra la coscienza in trasformazione di
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grandi masse umane e la criticità filosofica (che naturalmente ha molteplici gradi ed elementi di mediazione) è un fatto assolutamente nuovo e rivoluzionario nella storia, il quale modifica le dimensioni stesse del filosofare (introducendo in esso quello che potremmo dire un nuovo parametro, un coefficiente ulteriore che muta i precedenti rapporti) e con ció trasforma anche la figura tradizionale del filosofo individuale, per dar luogo a quello che Gramsci chiama « il filosofo democratico », cioè al « filosofo convinto — com'egli dice — che la sua personalità non sia limitata al prop[...]

[...]ziate o autoannunziate, del filosofare (o della cultura) in quest'ultimo secolo,
dopo Hegel, a parte i contenuti dottrinali, hanno la loro radice reale e trovano una loro spiegazione nella situazione indicata da Gramsci in queste parole,
Questo fatto nuovo e rivoluzionario del presentarsi nella storia umana di una filosofia critica e scientifica come filosofia di massa, come « concezione unitaria di massa », è ci() onde Gramsci caratterizza il marxismo, in quanto movimento reale e inteso nella
sua potenzialità di svolgimento, quale « riforma popolare dei tempi moderni»: nel senso di « riforma intellettuale e morale ». Nel
(13) Op. cit., p. 27.
(14) Passato e presente, p. 30.
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qual termine « riforma », evidentemente, non vi é nulla di contrapposto a « rivoluzione 2.; non vi é neppure la più lontana sfumatura di riformismo. È una riforma che ha come propria origine e contenuto appunto quel fatto nuovo e rivoluzionario, il quale prima di indirizzarsi a dirigere il movimento reale delle masse lo riflette ed esprim[...]

[...]a assume prima e dopo la conquista stabile del potere da parte della. classe rivoluzionaria. Il significato specifico e globale di tale « riforma » é per Gramsci, indubbiamente, quello di una radicale rivoluzione culturale. E tuttavia, a mio avviso, egli ha utilmente adottato questo termine di « riforma », non solo e non tanto perché si tratta di un momento diverso da quello della rivoluzione politica e nei rapporti di produzione (i classici del marxismo si sono sempre preoccupati, in generale, di mettere in luce la differenza di ritmo fra il movimento strutturale e i movimenti delle sopra strutture e, in questi ultimi, fra quanto accade sul piano degli eventi politici e le più lente trasformazioni delle coscienze, del costume ecc.), ma perché in esso si indica meglio l'aspetto educativo, ossia l'efficacia di un'azione costante, espansiva, razionalmente diretta, sulle coscienze, in connessione, naturalmente, alla lotta politica e alla rivoluzione e trasformazione dei rapporti sociali. La « riforma » nelle idee e nelle coscienze é qualcosa[...]

[...]nte alla rivoluzione politica e sociale,. ma essa deve venire operata e perseguita attivamente e consapevolmente da chi dirige (e comprende tanto la fase prerivoluzionaria e prestatale, quanto quella postrivoluzionaria e statale, con le grandi differenze fra l'una e l'altra). Gramsci ha sentito molto acutamente la complessità dei problemi che si propongono ad una classe subalterna quando essa si trasforma in classe autonoma e
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dirigente: « dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone — egli dice — nasce concretamente l'esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale» (15). Nel quadro di tali questioni, strettamente saldato al l'interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comunismo come movimento reale: il nesso fra dirigenti e diretti, governanti e governati, educatori ed educati, su cui egli ripetutamente ritorna.
Ma quella nozione gramsciana del [...]

[...]ostruire un nuovo ordine intellettuale e morale» (15). Nel quadro di tali questioni, strettamente saldato al l'interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comunismo come movimento reale: il nesso fra dirigenti e diretti, governanti e governati, educatori ed educati, su cui egli ripetutamente ritorna.
Ma quella nozione gramsciana del marxismo come a riforma intellettuale e morale » di massa ha anche un altro campo di validità. Essa collega idealmente il comunismo, inteso appunto come movimento reale, ad altri fenomeni storici di un certo tipo, consentendo di cogliere gli elementi di analogia e di segnare nello stesso tempo le radicali differenze (essa serve perciò tanto alla metodologia storiografica quanto alla 'prospettiva o previsione del futuro, nella cui elaborazione entriamo come parte attiva e volontaria). Vi sono state infatti nella storia altre riforme intellettuali e morali di massa, che avevano profonde radici socia[...]

[...]nomica e politica, il problema della loro unificazione culturale, coinvolge, in un orizzonte più ampio, quello della unificazione culturale di tutti gli uomini. E l'orizzonte, virtualmente universale, di svi
(15) II materialismo storico ecc., cit., p. 80.
(16) Cfr. op. cit., p. 86.
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luppo e di dilatazione della società socialista e comunista, onde Lenin aveva scritto (1913) che « il punto essenziale della dottrina di Carlo Marx è l'interpretazione della funzione storica mondiale del proletariato come creatore della società socialista ».
Ciò riguarda, in modo non estrinseco ma intimo, la natura della filosofia marxista, che è prima di ogni altra cosa, la teoria rivoluzionaria della classe operaia e si rivolge innanzi tutto ad essa (Marx, Engels, Lenin, si preoccuparono sempre molto dell'educazione « teorica » degli « operai coscienti » e ne curarono attentamente i progressi, anche di piccoli gruppi), ma che assegna nel medesimo tempo alla rivoluzione proletaria un significato universale di riscatto dell'integrale umanità dell'uomo, dilacerata dalla divisione della società in classi antogoniste, le quali fondano la loro esistenza su « sistemi di sfruttamento » del lavoro, succedentisi storicamente. Integrale umanità dell'uomo che non è intesa nel marxismo (a differenza dei precedenti umanesimi, religiosi o no) come un dato me[...]

[...]ca » degli « operai coscienti » e ne curarono attentamente i progressi, anche di piccoli gruppi), ma che assegna nel medesimo tempo alla rivoluzione proletaria un significato universale di riscatto dell'integrale umanità dell'uomo, dilacerata dalla divisione della società in classi antogoniste, le quali fondano la loro esistenza su « sistemi di sfruttamento » del lavoro, succedentisi storicamente. Integrale umanità dell'uomo che non è intesa nel marxismo (a differenza dei precedenti umanesimi, religiosi o no) come un dato metafisico od originario da ripristinarsi, ma come una esigenza posta in forma determinata dallo svolgimento storico, come un fine e un punto di arrivo (neppur esso, naturalmente, da intendersi in senso assoluto o metafisico). «L'umano è un punto di partenza o un punto di arriva, come concetto e fatto unitario? », si chiese Gramsci. « In quanto posto come punto di partenza » la ricerca stessa di esso non è, egli risponde, che « un residuo ' teologico ' e ' metafisico ' » (17). Proprio per questo la concezione marxista «c[...]

[...]osta in forma determinata dallo svolgimento storico, come un fine e un punto di arrivo (neppur esso, naturalmente, da intendersi in senso assoluto o metafisico). «L'umano è un punto di partenza o un punto di arriva, come concetto e fatto unitario? », si chiese Gramsci. « In quanto posto come punto di partenza » la ricerca stessa di esso non è, egli risponde, che « un residuo ' teologico ' e ' metafisico ' » (17). Proprio per questo la concezione marxista «che ' la natura umana' sia il ' complesso dei rapporti sociali' è la risposta piú soddisfacente — dice Gramsci — perché include l'idea del divenire: l'uomo di viene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e perché nega l'uomo in generale: infatti i rapporti sociali sono espressi da diversi gruppi di uomini che si presuppongono, la cui unità è dialettica, non formale ». E ancora precisa: « Si può anche dire che la natura dell'uomo è la 'storia' se appunto si dà a storia il significato di ' divenire', in una ' concordia discors' che non parte dall'unità, ma ha in sé le rag[...]

[...]li, e perché nega l'uomo in generale: infatti i rapporti sociali sono espressi da diversi gruppi di uomini che si presuppongono, la cui unità è dialettica, non formale ». E ancora precisa: « Si può anche dire che la natura dell'uomo è la 'storia' se appunto si dà a storia il significato di ' divenire', in una ' concordia discors' che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile ».
(17) Op. cit., p. 31.
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Perde allora senso, dal punto di vista marxista, — attraverso questa negazione dell'uomo in generale — la domanda « che cosa è l'uomo » ? All'opposto, possiamo dire: essa acquista un significato concreto che è un significato di movimento, o svolgimento consapevole, e come tale essa, potremmo aggiungere, è indirizzante, pratica, regolativa. « Se ci pensiamo — scrive Gramsci — vediamo che ponendoci la domanda che cosa è l'uomo, vogliamo dire: che cosa l'uomo può diventare, se cioè l'uomo può dominare il proprio destino, può ' farsi', può crearsi un vita ». Quella domanda « è nata da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri [...]

[...] noi stessi ', della nostra vita, del nostro destino (18). E ciò vogliamo ' oggi' nelle condizioni date oggi, della vita ' odierna ' e non di qualsiasi vita e di qualsiasi uomo » (19).
Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell'uomo in storia (« l'uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti »), sia pure intesa la storia, come si è visto, in un senso « non formale », vada perduta la componente naturalistica del marxismo. E tuttavia questa sarebbe un'interpretazione assai unilaterale, perché incompleta (e diverrebbe tendenziosa), del pensiero di Gramsci. Una volta egli, trovandosi ad adoperare l'espressione « genere umano » (« storia del genere umano ») si ferma a chiosarla, osservando: « fatto che si adoperi la parola ' genere', di carattere naturalistico, ha il suo significato » (20). Che cosa intendeva qui dire Gramsci ? Egli ha respinto risolutamente, nel medesimo contesto, l'idea che « l'unità del genere umano » possa esser « data
(18) Ma nello stesso tempo Gramsci ne esamina subito anche le radici [...]

[...]to, da speciali, cioè determinati modi di considerare la vita e l'uomo. Il più importante di questi modi è la "religione" ed una determinata religione, il cattolicismo ».
(19) Op. cit., p. 27. Queste ultime parole di Gramsci potrebbero richiamare alla mente il « wir fragen jetzt, hier, für uns » dello Heidegger. Anche eisgenze presentate in forma speculativa e unilaterale nell'esistenzialismo possono trovare il loro luogo concreto nell'umanismo marxista.
(20) Op. cit., p. 31.
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dalla natura ' biologica ' dell'uomo ». Gramsci osserva che « le dif ferenze dell'uomo che contano nella storia non sono quelle biologiche » e che «neppure ' l'unità biologica' ha mai contato gran che nella storia » (21). E tuttavia, ripetiamo, il « carattere naturalistico » dell'espressione genere umano ha per lui «il suo significato ». II fatto é che Gramsci non pensa neppur lontanamente a negare l'esistenza di quella unità (o comunità) biologica dell'uomo, comunque prodottasi, bensì la sua incidenza rilevante nella storia umana. La naturali[...]

[...] ha mai contato gran che nella storia » (21). E tuttavia, ripetiamo, il « carattere naturalistico » dell'espressione genere umano ha per lui «il suo significato ». II fatto é che Gramsci non pensa neppur lontanamente a negare l'esistenza di quella unità (o comunità) biologica dell'uomo, comunque prodottasi, bensì la sua incidenza rilevante nella storia umana. La naturalità dell'uomo, in senso puramente biologico, è per Gramsci, come per tutto il marxismo, soltanto un presupposto della storia umana. Non può esser cercata li quell'unità dell'umano che sta dinanzi a noi come un obiettivo, posto dallo svolgimento storico. Ma, d'altronde, quel « presupposto » della storia (umana) non è, sotto un altro riguardo, inoperante in essa. Potremmo dire: non più in quanto oggetto della biologia (che appunto astrae, considerando l'uomo, dallo svolgimento della sua storica socialità), ma in quanto oggetto della economia politica, ossia di una scienza storicoumana, che il marxismo, in quanto ne ha fatto la « critica », ha integralmente storicizzato. Sotto[...]

[...]rcata li quell'unità dell'umano che sta dinanzi a noi come un obiettivo, posto dallo svolgimento storico. Ma, d'altronde, quel « presupposto » della storia (umana) non è, sotto un altro riguardo, inoperante in essa. Potremmo dire: non più in quanto oggetto della biologia (che appunto astrae, considerando l'uomo, dallo svolgimento della sua storica socialità), ma in quanto oggetto della economia politica, ossia di una scienza storicoumana, che il marxismo, in quanto ne ha fatto la « critica », ha integralmente storicizzato. Sotto tale aspetto l'uomo rimane pur sempre, insuperabilmente, natura, ma di una naturalità ormai inglobata nella storicitàsocialità umana e funzione di essa. E tuttavia (contro ogni idealismo), un momento irriducibile di questa. Questa é la posizione integralmente marxista; e qui, ci sembra, é il più rigoroso fondamento materialistico del marxismo, Scrive Marx nel Capitale: « La tecnologia rivela il comportamento attivo dell'uomo verso la natura, l'immediato processo di produzione della sua vita, e quindi anche dei rapporti del suo vivere sociale e delle rappresentazioni spirituali che ne scaturiscono » (22). Questa posizione ci riporta, per il suo contenuto, alla rivoluzione filosoficometodologica compiuta da Marx e da Engels negli anni fra il 1843 e il 1846, e che li condusse alla conquista del « materialismo storico ». Tale posizione, in quel medesimo passo
(21) a Neanche "la facoltà di ragionare" o lo "spirito" — aggiunge Gramsci — ha creato unità e può esser riconosciuto come fatto "unitario", perché concetto solo formale, categorico D.
(22) K. MARx, 11 capitale, Vol. I, Sez. IV, n. 89.
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del Capitale, Marx la contrappose allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « portavoce » di siffatto materialismo, nonché le correlative « rappresentazioni astratte e ideologiche » che essi mettono fuori « non appena si arrischiano al di là della loro specialità »). Questa é anche la posizione di Gramsci: «L'umanità che si riflette in ogni individualità é composta di diversi elementi: 1) l'individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e 3° elemento non sono così semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti [...]

[...]n sono così semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Così l'uomo non entra in rapporti con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica » (23).
A chi ben guardi questa posizione (che abbiamo riscontrato in Marx e in Gramsci) comporta la centralità del materialismo storico nella filosofia marxista. Ossia, la centralità della considerazione dell'uomo nel suo nesso permanente e attivo con la natura (dal cui svolgersi e complicarsi storico si sviluppa tutta la storia sociale umana), come dell'unico punto di partenza concreto che possediamo per ogni altra considerazione sul reale. E' il punto di partenza teorizzato riassuntivamente, ma incisivamente, da Marx nelle undici tesi su Feuerbach (testo capitale per Gramsci) e il cui principio gnoseologico fu espresso da Lenin come « criterio della prassi ». Ma qui conviene essere molto chiari, perché quanto stiamo dicendo contiene un preciso elemento polemico. Non sembrano conciliabili con questa posizione a cui Gramsci é fedele (e la riteniamo l'unica rigorosamente critica, oltreché corrispondente alla stessa genesi storica della dottrina) quelle forme di esposizione del marxismo, ancorché compiute a scopi didascalici, nelle quali il « materialismo storico » appare, secondo una implicita logica classif[...]

[...]i su Feuerbach (testo capitale per Gramsci) e il cui principio gnoseologico fu espresso da Lenin come « criterio della prassi ». Ma qui conviene essere molto chiari, perché quanto stiamo dicendo contiene un preciso elemento polemico. Non sembrano conciliabili con questa posizione a cui Gramsci é fedele (e la riteniamo l'unica rigorosamente critica, oltreché corrispondente alla stessa genesi storica della dottrina) quelle forme di esposizione del marxismo, ancorché compiute a scopi didascalici, nelle quali il « materialismo storico » appare, secondo una implicita logica classificatoria e non dialettica, come caso particolare di applicazione (alla società) di un più generale « materialismo dialettico », la descrizione del cui contenuto sembri poter prescindere dalla presen
(23) 11 materialismo storico ecc., cit., p. 28.
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za dell'uomo nel mondo. (Questa osservazione di per sé non implica la pretesa che sia la presenza dell'essere umano, e tanto meno il suo pensiero, ad introdurre la dialetticità nel reale). Eppure quell[...]

[...]ne di per sé non implica la pretesa che sia la presenza dell'essere umano, e tanto meno il suo pensiero, ad introdurre la dialetticità nel reale). Eppure quelle forme di esposizione sono oggi le più diffuse e generalmente riconosciute.
Credo che si tratti di una questione non scolastica e formale, ma di sostanza. Solo quell'atteggiamento mentale, ci sembra, che serba come costante punto di riferimento la prassi umana sensibile, può garantire il marxismo dalle intrusioni di materialismo metafisico (che non basta respingere a parole). Siffatto atteggiamento mentale, che fu proprio dei fondatori della dottrina, ci sembra l'unico che consenta la possibilità di permanente ricostruzione e svolgimento del contenuto di ciò che si é venuti chiamando « materialismo dialettico » in forma tale che questo rimanga sempre aperto ai nuovi resultati e ai metodi in trasformazione delle scienze della natura, verificandoli e discutendoli in un'adeguata concezione filosofica. Esigenza, se non erriamo, che fu proprio posta dai classici, in particolare dallo E[...]

[...]o di ciò che si é venuti chiamando « materialismo dialettico » in forma tale che questo rimanga sempre aperto ai nuovi resultati e ai metodi in trasformazione delle scienze della natura, verificandoli e discutendoli in un'adeguata concezione filosofica. Esigenza, se non erriamo, che fu proprio posta dai classici, in particolare dallo Engels, il quale si occupò più da vicino di tali questioni. E ciò contro ogni contrazione scolasticodogmatica del marxismo stesso.
La metodologia marxista di Gramsci, che si affinò, sotto questo riguardo, nella discussione critica ciel manuale del Bukharin (24), ed ha come filo conduttore la persuasione profonda della integrale autonomia filosofica del marxismo (senza perciò tagliare i fili che storicamente lo congiungono alla precedente tradizione di pensiero), ci tiene ben lontani dal rischio suddetto. Qui é necessario aggiungere che, se é vero che il marxismo come rivoluzione filosofica é coincidenza di naturalismo e umanismo (i quali nella loro compiutezza si convertono l'uno nell'altro), può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, soprattutto per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nel marxismo), una certa attenuazione dell'istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo senso. Chi scrive lo ritiene. A Gramsci interessò soprattutto il lato
(24) Op. cit., pp. 117168.
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umano (e quindi anche ideologico, superstrutturale, storico) della questione dell'oggettività, attorno a cui le sue riflessioni sono di grande importanza e originalità. Ma per quanto concerne il grave problema del nesso fra questa oggettività e la naturalità si é ormai come al margine estremo dei suo interesse e della sua meditazione. E non é detto che qui non si verifichi qualche oscillazione o incertezza. Gramsci é sempre lontanissimo dal contentarsi di ripetere formulazioni precostituite, per quanto esse possano apparire suggestive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e [...]

[...]costituite, per quanto esse possano apparire suggestive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e vederle in tutte le loro connessioni, e appunto per questo é un maestro di metodo. La questione che abbiamo dinanzi é quella della difficile saldatura obiettiva (ossia non più soltanto nel soggetto umano, come prassi sensibilerazionale) fra naturalità e storicità, che é indubbiamente, credo, il punto teorico più delicato di tutta la filosofia marxista. Da quel margine estremo, che si é detto, Gramsci indicava, tuttavia, lo sviluppo ulteriore della ricerca nell'approfondimento della tesi di Engels che « l'unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e questa é dimostrata da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e delle scienze naturali ». Ove Gramsci commentava dicendo che questa formulazione « contiene il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva » (25). Notazione storicistica squisitamente gramsciana. Eppure solo chi avesse gli occhi bendati di dogmatis[...]

[...]) Op. cit., p. 142.
(26) « ... sono le opposizioni diametrali, rappresentate come irreconciliabili ed insolubili, le linee di demarcazione e le differenze fra le classi fissate violentemente quelle che hanno dato alla moderna scienza teorica della natura il suo ristretto carattere meta
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Il giro del discorso sembra averci allontanato dal punto principale intorno a cui esso verteva, e cioè dall'interpretazione gram sciana del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma intellettuale e morale », « riforma popolare dei tempi moderni ». E tuttavia è un allontanamento solo apparente, perché il contenuto critico del marxismo non é concepito da Gramsci come indifferente o superiore e distaccato rispetto alla concretezza del movimento reale di cui esso é la teoria.
L'esigenza di far convergere storicamente l'aspetto di « filosofia di massa » del marxismo con la soluzione dei compiti teorici e scientifici più alti e complessi, cioè l'esigenza di una « cultura integrale », che sulla base della classe rivoluzionaria, possegga una espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò in Gramsci essenziale alla dinamica stessa del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità. Anche l'identificazione dialettica operata da Gramsci fra filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia ecc. ) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato (come criterio di interpretazione storiografica) (27) o proiettata verso il futuro — non é comprensibile senza
fisico. Il riconoscimento che queste opposizioni e queste differenze in verità sono presenti nella natura, ma con una validità solo relativa, e che invece quella rigidità o quella assoluta validità con cui sono presentate viene introdotta[...]

[...]portante, ad esempio, a questo riguardo la nozione gramsciana di quella che è la filosofia di un'epoca: a Dal punto di vista che a noi interessa, lo studio della storia e della logica delle diverse filosofie dei filosofi non è sufficiente. Almeno come indirizzo metodico, occorre attirare l'attenzione sulle altre parti della storia della filosofia; cioè sulle concezioni del mondo delle grandi masse, su quelle dei più ristretti
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quella dimensione nuova del filosofare (non ha nulla a che vedere, ad esempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico).
Anche la polemica contro l'idealismo, che si svolge in Gramsci attraverso una serie estremamente differenziata di motivi (legati in gran parte a circostanze della cultura italiana, e special mente alla discussione cól crocianesimo), e conduce a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, é innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza del[...]

[...]sempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico).
Anche la polemica contro l'idealismo, che si svolge in Gramsci attraverso una serie estremamente differenziata di motivi (legati in gran parte a circostanze della cultura italiana, e special mente alla discussione cól crocianesimo), e conduce a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, é innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo » (28), valida per tutti gli uomini, nella realtà di oggi; cioè fede e senso comune non di gruppi ristretti, legati al privilegio sociále, ma dell'intiera umanità associata. Per converso, la polemica di Gramsci contro le penetrazioni nel marxismo di materialismo volgare o metafisico, benché si svolga su un piano strettamente teorico, comporta anche la relativa giustificazione storica di quelle penetrazioni, come caratteristiche di una fase ancora arretrata del movimento reale (rivoluzionario) di cui il marxismo è espressione. (29).
All'una e all'altra polemica è costantemente sottesa la persuasione della autonomia critica e originalità filosofica del marxismo, che, come si è detto, è il filo conduttore di tutto il pensiero di
gruppi dirigenti (o intellettuali) e infine sui legami tra questi vari complessi culturali e la filosofia dei filosofi. La filosofia di un'epoca non è la filosofia di uno o altro filosofo, di uno o altro gruppo di intellettuali, di una o altra grande partizione delle masse popolari: é una combinazione di tutti questi elementi che culmina in una determinata direzione, in cui il suo culminare diventa norma d'azione collettiva, cioè diventa « storia » concreta e completa (integrale). La filosofia di un'epoca storica non é d[...]

[...]e stessa gli elementi di un ulteriore sviluppo per diventare da interpretazione della storia filosofia generale ».
In queste parole, a chi ben guardi, troviamo delineato, e nei suoi termini polemici e in quelli costruttivi, l'intiero ambito in cui si muove, sotto il riguardo teorico e metodologico, il pensiero di Gramsci. Vi è da fare anche un'altra osservazione, che credo assai caratterizzante: quella «indipendenza e originalità filosofica del marxismo » è vista da Gramsci non semplicemente come un data, come una cosa già fatta, ma come un elemento di svihippo e di conquista continua delle sue più profonde implicazioni. E ciò nel quadro di una lotta ideale in cui sono presenti non solo e non tanto astratti termini ideologici (schematizzati
(30) Ció vale soprattutto nei confronti dell'idealismo, o « neohegelianesimo », italiano del Croce e del Gentile, che prese l'avvio, alla fine del secolo, dalla discusssione col marxismo ed a quella é' sempre rimasto, in qualche modo, legato.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 201
ai loro estremi in ideal[...]

[...]on semplicemente come un data, come una cosa già fatta, ma come un elemento di svihippo e di conquista continua delle sue più profonde implicazioni. E ciò nel quadro di una lotta ideale in cui sono presenti non solo e non tanto astratti termini ideologici (schematizzati
(30) Ció vale soprattutto nei confronti dell'idealismo, o « neohegelianesimo », italiano del Croce e del Gentile, che prese l'avvio, alla fine del secolo, dalla discusssione col marxismo ed a quella é' sempre rimasto, in qualche modo, legato.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 201
ai loro estremi in idealismo e in un certo tipo di materialismo),
ma concreti portatori di essi, da un lato gli « intellettuali ' puri elaboratori delle ideologie delle classi dominanti », dall'altro le masse popolari, in certo modo depositarie del « senso comune ». Quella lotta ideale in cui il marxismo esplica e sviluppa, di fatto, la sua autonomia filosofica, si presenta così immediatamente come momento necessario di una complessa lotta reale. In Gramsci questo nesso non va mai perduto, non è mai obliato.
Quel medesimo nesso determina, ci sembra, il suo modo di concepire lo svolgimento e l'esposizione del marxismo come filosofia. Soprattutto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto alla classe rivoluzionaria il problema dell'egemonia (direzione politica e culturale sull'insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col « senso comune ». La nozione di « senso comune » diventa perciò fondamentale.
Essa, nel contesto gramsciano, é ben più complessa del convenzionale riferimento che sotto tale denominazione serve molto spesso ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento staticamente contrapposto alla «criticità» della filosofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima analisi, con essa conciliabile). Il « senso comune » no[...]

[...]enze, 1957, p. 186 e seg).
202 CESARE LUPORINI
presa le ideologie dominanti di gruppi e di classi (in cui, per esempio, la loro « verità » s'impone alle classi subalterne come superstizione) (32). E' il terreno cioè in cui si producono e mantengono, in funzione della divisione della società in classi antagonistiche, le resistenze a ogni spinta unificante della coscienza umana. L'assunto implicito, reperibile in molte esposizioni dogmatiche del marxismo, di una propria conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che comporta la mancanza di approfondimento di questa nozione nella sua effettiva realtà storicosociale) si presenta così come inaccettabile al pensiero di Gramsci, tale da frenare Io sviluppo della « filosofia della prassi » nella sua capacità riformatrice delle coscienze di grandi masse umane. (E giova qui ricordare che tale assunto non fu mai proprio dei classici del marxismo).
Questa presentazione della posizione di Gramsci potrebbe anche venir fraintesa unilateralmente. A Gramsci, che si era forma[...]

[...]opria conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che comporta la mancanza di approfondimento di questa nozione nella sua effettiva realtà storicosociale) si presenta così come inaccettabile al pensiero di Gramsci, tale da frenare Io sviluppo della « filosofia della prassi » nella sua capacità riformatrice delle coscienze di grandi masse umane. (E giova qui ricordare che tale assunto non fu mai proprio dei classici del marxismo).
Questa presentazione della posizione di Gramsci potrebbe anche venir fraintesa unilateralmente. A Gramsci, che si era formato e aveva lottato in continuo contatto con le masse lavoratrici, non sfugge ciò su cui Lenin aveva richiamato l'attenzione, scrivendo: « Sarebbe il più grande errore e il peggiore che possa commettere un marxista, quello di credere che le masse popolari, costituite da milioni di esseri umani (e soprattutto dalla massa dei contadini e degli artigiani) condannati alle tenebre, all'ignoranza e ai pregiudizi da tutta la società moderna, possano uscire da queste tenebre solo seguendo la retta via di un'istruzione puramente marxista » (33). È, anzi, proprio un problema di tale natura che guida la sua ricerca. La discussione col « senso comune », che egli prospetta come elemento essenziale dello sviluppo costruttivo e della diffusione del marxismo, accanto alla lotta politica e sociale (e a chiarimento di essa), non é mai concepita come frattura con quel medesimo « senso comune ». E ciò non solo per ragioni di opportunità o concretezza politica ed educativa, ma per quel che il « sen
(32) «... per le grandi masse della popolazione governata e diretta la filosofia o religione del gruppo dirigente e dei suoi intellettuali si presenta sempre come fanatismo e superstizione, come motivo ideologico proprio di una massa servile ».
(33) LENIN, Il significato del materialismo militante (trad. it. in MarxEngelsmarxismo, Roma, 1952, p. 445).[...]

[...]uel medesimo « senso comune ». E ciò non solo per ragioni di opportunità o concretezza politica ed educativa, ma per quel che il « sen
(32) «... per le grandi masse della popolazione governata e diretta la filosofia o religione del gruppo dirigente e dei suoi intellettuali si presenta sempre come fanatismo e superstizione, come motivo ideologico proprio di una massa servile ».
(33) LENIN, Il significato del materialismo militante (trad. it. in MarxEngelsmarxismo, Roma, 1952, p. 445).
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 203
so comune » racchiude di positiva esperienza storica delle masse subalterne (la « cultura democratica » in esse storicamente immanente e da liberare, come aveva dichiarato Lenin) e in ultima analisi, per la struttura stessa genericamente umana del senso comune, per gli elementi di sperimentalismo che esso contiene, risultato e condizioni del pratico operare.
La critica dunque dei contenuti ereditari del « senso comune » si appoggia, dialetticamente, su di esso e muove non alla sua distruzione, che sarebbe proposito insensato, ma alla sua riforma e sostituzione con una concezione più[...]

[...]ta delle classi popolari, il lavoro, e non si presenti pertanto, entro certi limiti, come connessa alla scienza. Essa concezione nuova magari assumerà inizialmente forme superstiziose e primitive come quelle della religione mitologica, ma troverà in se stessa e nelle forze intellettuali che il popolo esprimerà dal suo seno gli elementi per superare questa fase primitiva ».
Queste ultime parole di Gramsci, così strettamente connesse all'idea del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma popolare », ci conducono al problema della sua fase moderna di svolgimento: rispetto, intendo dire, all'intiera epoca storica in cui viviamo. La questione é sempre considerata da Gramsci in rapporto a quella del potere e dello Stato e della loro conquista da parte della classe operaia. Non é possibile qui entrare
(34) Il materialismo storico ecc., cit., p. 226.
204 CESARE LUPORINI
nei particolari (ed il tema è oggetto di un'altra relazione), ma è essenziale ricordare che attraverso questo collegamento opera in Gramsci, in maniera decisi[...]

[...]lasse operaia nella « epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie », i problemi delle alleanze di classe, della direzione politica su altri gruppi sociali, della connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e della direzione culturale: problemi nei quali si è straordinariamente allargata, a contatto con lo sviluppo reale, nel nostro secolo, la problematica marxista dello Stato, e di cui fu maestro Lenin. Ora, è importante notare che qui fanno nodo e si articolano tutti gli elementi teorici del pensiero di Gramsci: « L'egemonia realizzata — egli scrive (riferendosi alla rivoluzione di Ottobre) — significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica » (35).
La quale asserzione, a questo punto, non avrebbe bisogno di ulteriori chiarimenti. Ma essa guadagna la pienezza del suo significato se la proiettiamo in un contesto concettuale più largo. Scrive altrove Gramsci: « La proposizione contenuta nella Introduzione alla ' Critica dell'Econ[...]

[...]igente (cioè di uno Stato) equivale alla creazione di una Weltanschauung. L'espressione che il proletariato tedesco è l'erede della filosofia classica tedesca come deve essere intesa? Non voleva indicare Mari l'ufficio storico della sua filosofia divenuta teoria di una classe che sarebbe diventata Stato? Per Ilie' questo è realmente avvenuto in un territorio determinato ». Cfr. op. cit., p. 32 e passim.
(36) Op. cit., p. 39.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 205 I
riografici, che si è costretti a tralasciare, si collega a questa affermazione. Sono i problemi relativi alla realtà e storicità delle soprastrutture (la discussione di Gramsci con lo storicismo idealistico è in gran parte legata a questo tema), alla eredità storicoculturale, al nesso fra ideologia, scienza, filosofia, e, ancora una volta, fra filosofia e politica; sono i problemi, soprattutto, relativi alla questione della oggettività (e correlativamente della soggettività, non solo individuale ma di gruppo), intorno ai quali Gramsci, come si , è accennato, presenta suggestioni e [...]

[...]e del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano ' spirito' non é un punto di partenza ma d'arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario ecc. La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione... » (37).
È un modo di considerare le cose che pone immediatamente il problema del marxismo come soprastruttura. Ma vi è, dice Gramsci, « una differenza fondamentale tra la filosofia della prassi e le altre filosofie: le altre ideologie sono creazioni inorganiche perché dirette a conciliare interessi opposti e contraddittori; la loro ' storicità' sarà breve perché la contraddizione affiora dopo ogni avvenimento di cui sono state strumento. La filosofia della prassi invece non tende a risolvere pacificamente le contraddizioni esistenti
(37) Op. cit., p. 142.
206 CESARE LUPORINI
nella storia e nella società, anzi è la stessa teoria di tali contraddizioni... » (38). La filosofia[...]

[...]so individualmente o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione » (40).'
Qui è il nocciolo del modo in cui Gramsci intende la dialettica, secondo che egli aveva appreso, congiuntamente, dalla sua strenua esperienza di lotta e dalla lezione dei classici (si pensi, in particolare, al metodo con cui Marx svolse la polemica contro Proudhon nella Miseria della filosofia, considerata da Gramsci un momento essenziale della formazione della « filosofia della prassi ») (41). Così, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l'irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità »), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare un'asserzione del Graziadei, che presentava Marx « come unità di una serie di scienziati » Gramsci commenta: « Errore fondamentale: nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettualmente un'età storica, che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all'avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata » (42).
CESARE LUPORINI
(38) Op. cit., p. 237.
(39) L'espressione a .mener le brache al mondo » ripresa da Gramsci contro Croce per indicare il moderatismo della sua filosofia, era stata dal Croce stesso adoperata nella introduzione al primo fascicolo de La Critica.
(40) Op. cit., pp. 9394.
(41) Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, p. 31 (in nota).
([...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] N. Bobbio, Nota sulla dialettica in Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Norberto Bobbio
NOTA SULLA DIALETTICA IN GRAMSCI
1. Il tema centrale per lo studio del marxismo teorico è pur sempre il tema della dialettica. Che significa « dialettica »? Che significa, in particolare, « dialettica » nel linguaggio marxistico? Ha il termine « dialettica » un significato univoco? Se ha piú significati, qual rapporto vi è tra gli uni e gli altri? Se alcuni significati sono tra loro eterogenei, è legittimo, o almeno opportuno, l'uso di un termine unico? Nonostante il numero incalcolabile di pagine scritte sull'argomento, rimangono pur sempre zone d'ombra, che meriterebbero di essere illuminate con metodo analitico rigoroso. Si ha l'impressione che nel linguaggio quotidiano del marxismo il termine « dialettica » abbia eccessiva fluidità, e nasconda tra le sue pieghe significati vari mal connettibili tra loro, ch[...]

[...]termine « dialettica » un significato univoco? Se ha piú significati, qual rapporto vi è tra gli uni e gli altri? Se alcuni significati sono tra loro eterogenei, è legittimo, o almeno opportuno, l'uso di un termine unico? Nonostante il numero incalcolabile di pagine scritte sull'argomento, rimangono pur sempre zone d'ombra, che meriterebbero di essere illuminate con metodo analitico rigoroso. Si ha l'impressione che nel linguaggio quotidiano del marxismo il termine « dialettica » abbia eccessiva fluidità, e nasconda tra le sue pieghe significati vari mal connettibili tra loro, che sono poi la maggior fonte di confusione e d'inutili dispute.
Gramsci è uno scrittore marxista. Usa egli il termine « dialettica » e come lo usa? Ha il termine « dialettica » nel suo linguaggio un significato univoco? Quali sono i diversi significati del termine nel linguaggio gramsciano? Tra i diversi significati, quali sono i prevalenti? Ha il concetto di dialettica rilievo nel pensiero di Gramsci? È un concetto centrale o marginale nel suo sistema dottrinale? Quale uso egli ne fa e per risolvere quali problemi? Non mi pare che il tema della dialettica in Gramsci sia stato sinora affrontato con l'attenzione che l'importanza del concetto richiede. Eppure per comprendere la filosof[...]

[...]ne nel linguaggio gramsciano? Tra i diversi significati, quali sono i prevalenti? Ha il concetto di dialettica rilievo nel pensiero di Gramsci? È un concetto centrale o marginale nel suo sistema dottrinale? Quale uso egli ne fa e per risolvere quali problemi? Non mi pare che il tema della dialettica in Gramsci sia stato sinora affrontato con l'attenzione che l'importanza del concetto richiede. Eppure per comprendere la filosofia di uno scrittore marxista è utile cominciare dal concetto ch'egli ha della dialettica e dall'ufficio che gli assegna.
Non pretendo con questa nota di rispondere esaurientemente a
74 I documenti del convegno
tutte le domande che mi son poste, bensí, soltanto, di avviare una ricerca che potrà servire da contributo a quello studio minuto e organico sulla filosofia di Gramsci, che, se non sbaglio, dopo i primi studi esplorativi e alcuni saggi parziali, non è ancora stato scritto. Questa nota consiste semplicemente nella raccolta di passi sulla dialettica, tratti dai Quaderni — raccolta che non presumo completa —, o[...]

[...]a compiuta dal Croce nel campo dell'arte e della logica, esce in questa osservazione: « Anche per la dialettica si presenta lo stesso problema; essa è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, ma è anche perciò una nuova tecnica » 1. Non ci interessa qui la questione della tecnica; ci interessa l'affermazione che per Gramsci la dialettica è un nuovo modo di pensare, anzi una nuova filosofia. In questo senso egli si riallaccia alla nota tesi marxiana ed engelsiana, secondo cui il metodo dialettico era stato il lato rivoluzionario di Hegel, e aveva segnato una svolta nella storia della filosofia. Il legame tra dialettica e rivoluzione filosofica compiuta dal marxismo, è ribadito ancor piú esplicitamente in un passo, anch'esso di origine engelsiana, nella polemica con Bukharin: « La funzione e il significato della dialettica possono essere concepiti in tutta la loro f ondamentalitd, solo se la filosofia della prassi è concepita come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale del pensiero in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali, espressioni delle vecchie società » 2. Questa « fondamentalità » della funzione e del signifi[...]

[...]enza delle nazioni piú progredite d'Europa: la filosofia classica tedesca, l'economia classica inglese e l'attività e scienza politica francese » 3. Con queste parole Gramsci condanna la disintegrazione dell'unità del materialismo storico; unità che egli ritiene fondata esclusivamente sull'uso del metodo dialettico.
Si osservi che questa insofferenza per la separazione della dialettica « come specie di logica formale », dal corpo delle dottrine marxistiche, è ribadita anche a proposito della Storia del materialismo del Lange. Gramsci ritiene che quest'opera sia stata la causa di alcune grossolane interpretazioni materialistiche del marxismo, le quali hanno fatto del marxismo una dottrina materialistica corretta dalla dialettica, ma, ciò
M. S., p. 132.
2 M. S., p. 129.
3 M. S., pp. 128129.
76 I documenti del convegno
facendo, — qui ritorna il suo concetto principale — si è assunta la dialettica come « un capitolo della logica formale e non come essa stessa una logica, cioè una teoria della conoscenza » 1.
Proprio perché la dialettica è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, è un modo di pensare difficile, non da tutti: essa va contro il senso comune, che è dogmatico e si fonda sulla logica formale, mentre essa è critica, è la critica per eccellen[...]

[...]igioniera degli schemi astratti della logica formale » 3.
L'interesse che Gramsci aveva per il problema della dialettica può anche essere testimoniato dal progetto che egli andava accarezzando di approfondirne lo studio: in un passo bibliografico sono citate, come opere da cercare, la Dialettica dei Padri Liberatori e Corsi, e i due volumi Dialettica di Baldassarre Labanca, oltre al capitolo « Dialettica e logica » nei Problemi fondamentali del marxismo di Plekhanov 4.
3. Quanto all'uso del termine « dialettica » (e derivati), si trovano nella pagine di Gramsci i diversi significati che il termine ha assunto nel linguaggio marxistico. Si possono distinguere almeno due significati fondamentali: il significato di « azione reciproca » e quello di « processo per tesi, antitesi e sintesi ». Il primo significato appare quando l'aggettivo « dialettico » è unito a « rapporto », « nesso », e forse anche « unità »; il secondo, quando è unito a « movimento », « processo », « sviluppo ». È inutile dire che i due significati sono nettamente diversi. Quando parlo, poniamo, del nesso dialettico tra uomo e natura, voglio intendere che l'uomo agisce sulla natura e la natura sull'uomo, e mi
1 M. S., p. 151.
2 M. S., pp. 132133.
3 [...]

[...]M. S., p. 59.
Norberto Bobbio 77
oppongo a chi ponesse il problema con questa alternativa: « $ l'uomo che agisce sulla natura, o è la natura che agisce sull'uomo? ». Quando, invece, parlo dello sviluppo dialettico dalla società feudale alla società borghese, cadrei in errore se intendessi che la società feudale agisce sulla società borghese e, viceversa, la società borghese agisce sulla società feudale: il senso esatto, del linguaggio hegelianomarxistico di quella espressione, è che la società borghese è l'antitesi, è la negazione, della società feudale, e, cosí dicendo, mi contrappongo a chi sostenesse essere la società borghese il prodotto di un'evoluzione della società feudale. A questi due significati Engels, nella Dialettica della natura, ne aggiunge un altro. Per Engels le leggi della dialettica sono tre, vale a dire, oltre alle leggi della compenetrazione degli opposti (azione reciproca) e della negazione della negazione, anche quella « della conversione della quantità in qualità e viceversa » J.
In Gramsci si trovano tutti e tr[...]

[...]ma sono termini a relazione biunivoca, nel senso che, come gli intellettuali influiscono sulla massa dando ad essa la consapevolezza teorica delle sue aspirazioni, cosí la massa in fluisce sugli intellettuali, dando ad essi, con l'espressione dei propri bisogni, una funzione storica reale. Gl'intellettuali decadono quando il nesso si rompe. Del resto, questo rapporto tra intellettuali e massa non è che un aspetto del rapporto fondamentale per il marxismo e per Gramsci, a cui si applica il principio dell'azione reciproca, voglio dire del rapporto fra teoria e pratica. Parlando di identità di teoria e pratica, Gramsci intende identità dialettica nel senso di teoria che si giustifica praticamente e di pratica che si giustifica teoricamente. Leggo il passo che mi sembra piú significativo: « Se il problema di identificare teoria e pratica si pone, si pone in questo senso: di costruire su una determinata pratica una teoria che, coincidendo e identificandosi con gli elementi decisivi della pratica stessa, acceleri il processo storico in atto, re[...]

[...]il razionale si fa reale, conclude: < Il ragionamento si basa sulla reciprocità necessaria tra struttura e superstrutture (reciprocità che è appunto il processo dialettico reale) » 2.
L'uso di gran lunga piú frequente e indubbiamente anche piú importante del termine « dialettica » nel linguaggio gramsciano è quello corrispondente al significato di « processo tesiantitesisintesi ». Aggiungiamo che è anche il significato piú genuinamente hegelianomarxistico; basti pensare che confluisce nel concetto di « divenire » . Proprio a proposito del divenire, della distinzione fra progresso e divenire, ci si imbatte in quest'uso del termine: « Nel " divenire " si è cercato di salvare ciò che di piú concreto è nel " progresso ", il movimento e anzi il movimento dialettico (quindi anche un approfondimento, perché il progresso è legato alla concezione volgare dell'evoluzione) » 3. È chiaro che qui con « movimento dialettico » si vuole indicare, in contrapposizione alla concezione evolutiva del corso storico, una concezione per cui il corso storico pro[...]

[...]40. Il corsivo è mio. Si veda anche p. 230.
3 M. S., p. 33. Il corsivo è mio.
4 M. S., p. 40. Il corsivo è mio.
Norberto Bobbio 79
lettica » in confronto al precedente risulterà da quel che diremo nel paragrafo successivo. Basti dire, ancora, in questa sede di analisi puramente terminologica, che la dialettica come concezione della storia (e della natura) è legata strettamente all'idea che la realtà storica (e, secondo le interpretazioni del marxismo, anche quella naturale) sia contraddittoria,
e che la dialettica sia lo strumento adeguato per comprenderla, e, cornprendendola, superarne le contraddizioni. Ora, il rapporto fra filosofia
e consapevolezza delle contraddizioni è sempre presente nel pensiero di Gramsci, nel quale il marxismo è, in quanto filosofia, superiore alle filosofie precedenti, e quindi anche allo hegelismo, solo nella misura in cui ha acquistato piú piena consapevolezza delle contraddizioni, e si pone, anzi, da se stesso came un elemento della contraddittorietà della storia. « In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma
e uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente
o inteso come intiero gruppo soci[...]

[...]olo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenze e quindi di azione » 1.
Non manca, infine, in Gramsci il riferimento del termine « dialettica » al principio o legge del passaggio dalla quantità alla qualità. Ne parla ripetutamente nella critica al materialismo volgare di Bukharin. In un passo, lamenta che il Saggio popolare non sciolga uno dei nodi teorici del marxismo, vale a dire, appunto « come la filosofia della prassi abbia " concretato " la legge hegeliana della quantità che diventa qualità » 2. Altrove si vale del principio in funzione polemica contro l'evoluzionismo volgare « che non può conoscere il principio dialettico col passaggio della quantità alla qualità » 3; altrove, ancora, contro la teoria della previsione nella storia, che parte dal presupposto che le forze contrastanti siano riducibili a quantità fisse, mentre cid non accade perché « la quantità diventa continuamente qualità » 4.
1 M. S., pp. 9394. Il corsivo è mio.
2 M. S., p. 16[...]

[...]stanti siano riducibili a quantità fisse, mentre cid non accade perché « la quantità diventa continuamente qualità » 4.
1 M. S., pp. 9394. Il corsivo è mio.
2 M. S., p. 163.
3M.S.,p.125.
4 M. S., p. 135.
80 I documenti del convegno
4. La funzione del concetto di dialettica nel pensiero gramsciano è centralissima, ed è legata quasi esclusivamente al secondo significato sopra illustrato che è, come si è detto, il significato genuino hegelianomarxistico. Il concetto di dialettica serve a Gramsci per caratterizzare il marxismo come filosofia nuova, e a dare battaglia, secondo l'interpretazione di Marx piú volte ripetuta da Engels, su due fronti: contro l'idealismo hegeliano, che è dialettico, sí, ma fa un uso speculativo della dialettica, e contro il materialismo volgare che è, sí, antidealistico, ma non è dialettico. Hegel, per Gramsci, ha avuto il merito di presentare tutte in una volta, seppure in un romanzo filosofico, le contraddizioni che prima risultavano soltanto dall'insieme dei sistemi. Ha dialettizzato i due momenti della vita del pensiero, materialismo e spiritualismo, ma in modo speculativo, onde è risultato il famoso uomo che cammina sulla testa.
I continuatori di Hegel hann[...]

[...] filosofia della prassi le era indispensabile per trovare qualche nuovo elisir » 2, la battaglia su due fronti continua, e spetta ad una ripresa genuina della filosofia della prassi (è il compito che Gramsci si pone) di ricostruire l'unità dialettica perduta.
Com'è noto, nei frammenti gramsciani il fronte materialistico è rappresentato da Bukharin, quello idealistico da Croce. Nei rispetti di Bukharin e di Croce, Gramsci rinnova le critiche che Marx ed Engels avevano mosso rispettivamente al materialismo meccanicistico e alla filosofia di Hegel. Quale rimprovero muove, fra gli altri, Gramsci a Bukharin? Uno dei rimproveri è proprio di aver trascurato la dialettica:
1 M. S., pp. 9394 e 87.
2 M. S., p. 87.
Norberto Bobbio 81
« Nel Saggio manca una trattazione qualsiasi della dialettica. La dialettica viene presupposta, molto superficialmente, non esposta, cosa assurda in un manuale che dovrebbe contenere gli elementi essenziali della dottrina trattata... » 1. Questa mancanza si può spiegare, secondo Gramsci, con due motivi, uno di cara[...]

[...]e umane sono considerate come passive e non consapevoli, come un elemento non dissimile dalle cose materiali, e il concetto di evoluzione volgare, nel senso naturalistico, viene sostituito al concetto di svolgimento e di sviluppo » '2.
Per quel che riguarda l'atteggiamento di Gramsci verso Croce, è noto che per lui fare i conti colla filosofia crociana voleva dire compiere la stessa opera distruttivacostruttiva, di critica e di inveramento, che Marx aveva compiuto con Hegel, anche se talora il novello Hegel gli si presenta piuttosto nelle vesti di un nuovo signor Dühring 3. Chi abbia presenti le pagine che il giovane Marx dedica alla critica della filosofia speculativa di Hegel (pagine che peraltro Gramsci non poteva conoscere), troverà frequenti analogie in alcune pagine che Gramsci dedica a Croce. Il vizio fondamentale della filosofia di Croce è per Gramsci di essere ancora una filosofia speculativa, e in tal modo egli ritorce l'accusa che Croce aveva mosso al marxismo di essere una filosofia teologizzante per
1 M. S., p. 132. Il corsivo è mio.
2 P., p. 190.
3 Si veda, ad esempio, M. S., pp. 44, 200.
82 I documenti del convegno
aver ripresentato nella struttura il principio di un dio ascoso 4. Basterà ricordare un passo fra i molti che si potrebbero scegliere: « La filosofia del Croce rimane una filosofia " speculativa " e in ciò non è solo una traccia di trascendenza e di teologia, ma è tutta la trascendenza e la teologia, appena liberate dalla piú grossolana scorza mitologica » 2. Solo la filosofia della prassi si è liberata da ogni residuo di tr[...]

[...]l Croce, una storia di mosche cocchiere » 4. Con altre parole: la storia del Croce è una storia delle idee, e di conseguenza dei portatori e creatori delle idee che sono gli intellettuali; ovvero è una storia in cui le contraddizioni reali sono percepite attraverso le teorie che rispecchiano queste contraddizioni, ancora una volta una storia dell'uomo che cammina colla testa e non coi piedi. L'analogia con alcuni passi dei Manoscritti del '44 di Marx è sorprendente: Marx aveva rimproverato Hegel di aver trasferito il movimento della storia reale nella coscienza e di aver descritto un movimento storico che non era quello dell'uomo reale, ma della coscienza con se stessa.
5. La polemica di Gramsci con Croce ha molti aspetti. Quello che abbiamo sinora toccato è uno degli assalti ch'egli muove alla roccaforte crociana. E da notare ora che il concetto di dialettica è impegnato anche in un'altra critica, che per essere piú volte ripetuta e per il fatto di involgere insieme con Croce una piú ampia tradizione di pensiero,
1 M. S., pp. 190, 230.
2 M. S., pp. 190191[...]

[...]na in un vasto disegno storico che dovrebbe risalire sino al neoguelfismo del Gioberti e valersi, come categoria di comprensione storica, dei concetti di rivoluzione passiva del Cuoco e di rivoluzionerestaurazione del Quinet. Ebbene, Gramsci ritiene di poter spiegare l'atteggiamento del Croce mostrando che questi aveva frainteso la dialettica; per Gramsci, il concetto che Croce ha della dialettica non corrisponde alla conoezione genuina hegelianomarxistica, anzi rappresenta « una... mutilazione dell'hegelismo e della dialettica » J. È lo stesso errore che Marx rimprovera a Proudhon in un celebre passo della Miseria della filosofia, cosí spesso citato da Gramsci nei momenti cruciali da farcelo annoverare fra le fonti piú importanti della sua riflessione sul marxismo 2. Marx accusava Proudhon di aver frainteso il significato della dialettica, che è movimento di opposti o passaggio dall'affermazione alla negazione e alla negazione della negazione, dal momento che aveva preteso di distinguere in ogni evento storico il lato buono e il lato cattivo, e conservare il primo eliminando il secondo. E spiegava: « Ciò che costituisce il movimento dialettico è la coesistenza dei due lati contraddittori, la loro lotta e la loro confusione in una nuova categoria. Basta in realtà porsi il problema di eliminare il lato cattivo, per liquidare di colpo il
1 M. S., p. 185.
2 M. S[...]

[...].
2 M. S., pp. 104, 185, 221; Mach., p. 31, n. 71. «La Miseria della filosofia è un momento essenziale della formazione della filosofia della prassi; essa può essere considerata come lo svolgimento delle Tesi su Feuerbach, mentre la Sacra famiglia è una fase intermedia indistinta di origine occasionale » (Mach.; p. 31, n.).
84 I documenti del convegno
movimento dialettico »1. Altro che eliminare il lato cattivo: « È il lato cattivo — ribadiva Marx — a produrre il movimento che fa la storia, determinando la lotta » 2. Qui Marx metteva in rilievo ciò che è il nucleo del pensiero dialettico, cioè la forza della negatività nella storia. Ed ecco come Gramsci, in polemica con Croce, rileva la stessa difficoltà: « L'errore filosofico (di origine pratica!) di tale concezione consiste in ciò che nel processo dialettico si presuppone " meccanicamente " che la tesi debba essere " conservata " dall'antitesi per non distruggere il processo stesso, che pertanto viene " preveduto " come una ripetizione all'infinito, meccanica, arbitrariamente prefissata. In realtà si tratta di uno dei tanti modi di " mettere le brache al mondo "[...]

[...]le, — prosegue Gramsci — l'antitesi tende a distruggere la tesi, la sintesi sarà un superamento, ma senza che si possa a priori stabilire ciò che della tesi sarà " conservato" nella sintesi, senza che si possa a priori " misurare " i colpi come in un "ring " convenzionalmente regolato » 4. Ci troviamo di fronte, indubbiamente, a uno dei nodi, forse al nodo principale del pensiero gramsciano, in quanto erede, interprete, continuatore del pensiero marxista. Qual è il rapporto fra tesi e antitesi? Vi è un pensiero che tenta di mettere l'accento sulla tesi sia che pretenda di conservare nell'antitesi una parte della tesi (il « lato buono » di Proudhon) sia che, come si legge in un altro passo, pretenda di sviluppare tutta la tesi fino af punto di riuscire ad incorporare una parte dell'antitesi stessa 5 : questo pensiero è una falsificazione della dialettica e sfocia nel riformismo. II
Miseria della filosofia, trad. it., Roma, 1949, p. 91. Vedi anche pp. 9899.
2 Op. cit., p. 99.
3 M. S., p. 185.
4 M. S., p. 185. L'identico concetto viene e[...]



da Georg Lukacs, Problemi della coesistenza culturale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]a che la coesistenza dei due sistemi — dopo aver eliminato dapprima di fatto e poi su un piano sempre più decisamente istituzionale la possibilità di soluzioni belliche — può essere soltanto una forma nuova della lotta di classe internazionale. In una conferenza da me tenuta nell'estate del 1956, indicavo già che la domanda di Lenin «chi a chi?» é il fondamento dinamica di agni coesistenza, di ogni dialogo all'interno della coesistenza. Da parte marxista, ciò é stato sempre affermato. Ora ciò che importa é che i politici e gli ideologi occidentali pervengano alla convinzione che anche la loro posizione, sia che venga esaminata nel campo della politica e dell'economia, della filosofia o dell'estetica, é una posizione di classe e non già la « rivelazione» di una ragione posta al difuori della società. Da tale convinzione non scaturisce affatto che i dialoganti debbano intendere il proprio punto di vista in modo relativo. Possono benissimo continuare a considerarlo l'unico giusto, così come facciamo noi marxisti; il riconoscimento teorico de[...]

[...]lla convinzione che anche la loro posizione, sia che venga esaminata nel campo della politica e dell'economia, della filosofia o dell'estetica, é una posizione di classe e non già la « rivelazione» di una ragione posta al difuori della società. Da tale convinzione non scaturisce affatto che i dialoganti debbano intendere il proprio punto di vista in modo relativo. Possono benissimo continuare a considerarlo l'unico giusto, così come facciamo noi marxisti; il riconoscimento teorico dell'inevitabilità del fondamento di classe nella pretesa di universalità sociale da parte dell'avversario, non deve portare ad un relativismo autocritico, giacché tale pretesa, pur essendo riconosciuta inevitabile sul piano sociale ed economico, può essere criticata su quello teorico come contraddittoria e insostenibile, così come avviene per l'ideologia capitalistica del punto di vista del marxismo. Di conseguenza, non si tratta di compiere ritirate né concessioni, ma soltanto di comprendere storicamente la posizione reale dell'avversario, di polemizzare contro ciò che egli realmente intende e deve necessariamente intendere, partendo dal suo punto di vista.
Il principio realmente attivo che determina la tendenza all'universalità di una 'formazione sociale, risiede naturalmente
PROBLEMI DELLA COESISTENZA CULTURALE 3
nella struttura e nella dinamica della sua economia. Pertanto, una analisi veramente ampia ed esauriente della coesistenza dovrebbe prendere le mosse di qui. Ma poiché[...]

[...]aumento del numero di coloro che partecipano del tempo libero, e la crescente incapacità di utilizzarlo in modo umano, creano uno dei problemi culturali di fondo del nostro tempo, del quale i teorici del mondo borghese cominciano ad occuparsi sempre più intensamente. In tali circostanze, appare ovvio che i problemi culturali acquistino, per la decisione fra le alternative sociali, un'importanza che alcuni decenni fa sembrava inconcepibile. Anche Marx, che circa cento anni fa esaminava questo problema, e che nella «riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo» scorgeva uno stato al quale «corrisponde la formazione artistica, scientifica etc. degli individui grazie al tempo divenuto libero per tutti e grazie ai mezzi a disposizione di tutti », giudicava che tale stato potesse esSere realizzato soltanto nel socialismo. Invece — e questo Marx nel 185758 non poteva in alcun modo prevedere — già nel capitalismo si è realizzato un tempo libero socialmente considerevole. Evidentemente, esso viene manipolato in modo conforme ai propri interessi dal capitalismo, che nel frattempo ha sottomesso al proprio dominio l'intera fabbricazione dei mezzi di consumo fino alla organizzazione della vita culturale. Questa contraddizione tra la crescente rilevanza sociale del tempo libero ed il suo vuoto interno parimenti crescente, la sua incapacità di soddisfare realmente gli uomini e tanto meno di conferire alla loro vita un piú alto contenuto, cos[...]

[...]ei mezzi di consumo fino alla organizzazione della vita culturale. Questa contraddizione tra la crescente rilevanza sociale del tempo libero ed il suo vuoto interno parimenti crescente, la sua incapacità di soddisfare realmente gli uomini e tanto meno di conferire alla loro vita un piú alto contenuto, costituisce oggi uno dei problemi culturali centrali nei Paesi capitalistici ad alto livello di sviluppo.
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Marx credeva ancora che tale livello delle forze produttive avrebbe potuto essere raggiunto soltanto nel socialismo. Dato i1 suo metodo schiettamente scientifico di analizzare soltanto le forze motrici che introducono il futuro e fare anche intorno a queste soltanto accenni generali che possano chiarirle come prospettive, egli non ha affrontato i problemi concreti del « regno della libertà », secondo la sua definizione posteriore. Le tendenze generali deformanti, sia teoriche sia pratiche, del marxismoleninismo nel periodo staliniano hanno come conseguenza che agli uomini che soffrono per il vuoto[...]

[...]produttive avrebbe potuto essere raggiunto soltanto nel socialismo. Dato i1 suo metodo schiettamente scientifico di analizzare soltanto le forze motrici che introducono il futuro e fare anche intorno a queste soltanto accenni generali che possano chiarirle come prospettive, egli non ha affrontato i problemi concreti del « regno della libertà », secondo la sua definizione posteriore. Le tendenze generali deformanti, sia teoriche sia pratiche, del marxismoleninismo nel periodo staliniano hanno come conseguenza che agli uomini che soffrono per il vuoto capitalisticamente deformato del loro ozio, alla base divenuta astratta del loro sviluppo umano, non si profila alcun modello socialista, non viene prospettata una via d'uscita socialista. Inoltre — e ancora una volta si tratta di un fatto di somma importanza — non esiste alcun sostituto immanente al capitalismo per la mancanza di una prospettiva socialista come modello e via d'uscita.
Ai nostri fini, é sufficiente aver indicato ,i contorni più generali di questo nodo di problemi. Abbiamo int[...]

[...]logica in senso più
6 GEORG LUKACS
stretto tale lotta si verifichi da secoli, cioè fin da quando l'analfabetismo delle classi oppresse tende sempre più rapidamente a scomparire.
Naturalmente, in Occidente molti consideranno queste affermazioni una volgarizzazione della cultura. E tale sarebbe se si assumesse che ogni filosofia, ogni opera poetica etc. sia sorta soltanto allo scopo di adempiere a tale funzione nella lotta di classe. Ma il vero marxismo è ben lontano da tale concezione. Esso sa benissimo che, da un lato, ciascun ideologo è nato e cresciuto in un determinato Paese, in un.a determinata epoca, in una determinata classe. Le impressioni ed influenze che formano la sua personalità si rivelano, di necessità, in tutto il suo modo di pensare e di sentire e quindi anche nella sua produzione. Questo effetto dell'ambiente sociale può naturalmente essere anche di tipo repulsivo; così, ad esempio, Federico Engels, figlio di un industriale, divenne comunista.
Ciò modifica in modo sostanziale il contenuto di classe nel singolo, ma non [...]

[...]nno distrutto una ontologia religiosa che durava da più di un millennio, dando così una nuova fisionomia a tutte le lotte sociali sul terreno della concezione del mondo.
Se si vuole addivenire ad una valutazione realistica di tali lotte nel presente, bisogna intendere il concetto di concezione del mondo in senso assai vasto, ben oltre l'ambito della filosofia in senso stretto. Questa tendenza è sempre stata presente in modo assai accentuato nel marxismo, ma non certo esclusivamente in esso. Ad es., William James iniziò le sue lezioni sul pragmatismo con una citazione di Chasterton, il cui contenuto approvava senza
PROBLEMI DELLA COESISTENZA CULTURALE 7
riserve. Chasterton inizia i suai saggi con le parole: « Vi sono individui — ed io tra questi — che ritengono che per un uomo la cosa praticamente più importante sia la sua concezione del mondo. Per un affittacamere che esamina .il suo inquilino é certo molto importante conoscere le entrate di costui, ma ancor più importante é conoscere la sua filosofia ». Se si sviluppa fino in fondo q[...]

[...]iose o irreligiose, ad esso legate — abbia occupato questo spazio in nome di un irrazionalismo conforme al nostro tempo. E la polare complementarità di queste posizioni immediatamente antitetiche definisce sostanzialmente l'ambito delle concezioni del mondo dominanti in Occidente. Va a onore di Sartre di non potersi accontentare filosoficamente di questa polarità e di sforzarsi di continuo di superarla.
E' possibile contrapporre con successo il marxismo a questa problematicità di principio di tutte le concezioni del mondo, é poSsibile, cioè, tra di essi un dialogo fecondo? Certamente, non con gli eredi del periodo staliniano. Costoro alla raffinata manipolazione della conoscenza contrappongono soltanto una grossolana rigidezza, alla irrazionalità della prassi umana, delle questioni importanti dell'esistenza umana, soltanto una rigidezza dogmatica. E quando, nel periodo successivo al XXII Congresso, alcuni marxisti cercano di correggere la manipolazione dogmaticamente grossolana accettando qualcosa dalle filosofie occidentali — la semanti[...]

[...]oblematicità di principio di tutte le concezioni del mondo, é poSsibile, cioè, tra di essi un dialogo fecondo? Certamente, non con gli eredi del periodo staliniano. Costoro alla raffinata manipolazione della conoscenza contrappongono soltanto una grossolana rigidezza, alla irrazionalità della prassi umana, delle questioni importanti dell'esistenza umana, soltanto una rigidezza dogmatica. E quando, nel periodo successivo al XXII Congresso, alcuni marxisti cercano di correggere la manipolazione dogmaticamente grossolana accettando qualcosa dalle filosofie occidentali — la semantica etc. nel campo del materialismo dialettico, la microsociologia etc. in quello del materialismo storico — si trovano in errore. La (( esigenza del giorno» per la teoria e la prasSi dei comu
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nisti è la conoscenza marxista di ciò che di nuovo si é avuto, dopo la morte di Lenin, nei mutamentti strutturali, nelle tendenze di sviluppo etc. della vita sociale. Vi sono nuovi fenomeni di massa che non possono essere risolti appellandosi a Marx e a Lenin. Già nel 1922, introducendo la NEP nel capitalismo di Stato, Lenin diceva: «Neppure a Marx venne in mente di scrivere anche soltanto una parola in proposito, ed egli è morto senza aver lasciato neppure una citazione esatta o indicazioni inconfutabili. Perciò ora dobbiamo cercare di aiutarci da soli 0. Krusciov nél suo discorso a Bucarest ha applicato questo metodo di Lenin in modo coraggioso ed esatto alla nuova situazione, alle . affermazioni, esatte a suo tempo, di Lenin sul rapporta tra l'imperialismo e l'inevitabilità della guerra. Ciò significa, da un lato, che esiste tutta una serie di fatti nuovi, soprattutto econo mici, sia nel campo capitalista sia in quello marxista, che [...]

[...]ndicazioni inconfutabili. Perciò ora dobbiamo cercare di aiutarci da soli 0. Krusciov nél suo discorso a Bucarest ha applicato questo metodo di Lenin in modo coraggioso ed esatto alla nuova situazione, alle . affermazioni, esatte a suo tempo, di Lenin sul rapporta tra l'imperialismo e l'inevitabilità della guerra. Ciò significa, da un lato, che esiste tutta una serie di fatti nuovi, soprattutto econo mici, sia nel campo capitalista sia in quello marxista, che i classici del marxismo non poterono esaminare perché ai loro tempi non esistevano, e dall'altro, che Stalin ed i suoi seguaci hanno deformato su questioni importanti il metodo marxista, trasformandone la vitalità e l'apertura in irrigimento. I nuovi fatti della vita possono essere decifrati unicamente mediante una rinascita del metodo marxista, un riesame spregiudicato su questa base, non incorporando acriticamente riflessi borghesi altrettanto acritici del nuovo sviluppo nel metodo staliniano rimasto — nell'essenza — immutato.
III
Potrebbe sembrare che con tale analisi della situazione ideologica del capitalismo e del socialismo Si venga a sottrarre alla coesistenza culturale ogni terreno intellettuale. In realtà, avviene esattamente il contrario: soltanto attraverso questo bilancio critico del presente è possibile spianare la via del futuro, la via verso la coesistenza culturale, che si avrà inevitabilmente. A tal fine, la [...]

[...]ntrario: soltanto attraverso questo bilancio critico del presente è possibile spianare la via del futuro, la via verso la coesistenza culturale, che si avrà inevitabilmente. A tal fine, la premessa evidente é la resa dei conti con l'eredità
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staliniana quanto alla concezione socialista del mondo. Ciò, naturalmente, vale soltanto per coloro che sono in grado di comprendere il carattere di concezione generale del mondo proprio del marxismo. Da Max Weber a Wrigth Mills, non sono pochi coloro che — in misura maggiore o minore — l'hanno compreso. E' difficile, invece, stabilire un dialogo su questo argomento con coloro che, come Madariaga, ritengono che la concezione del mondo di Lenin fosse: «O mi dài ragione o ti sparo». Per questo, Madariaga é rimasto sorpresa e urtato perché in un mio precedente l'ho nominato insieme a Enver Hodsha; per questo non ha compreso come il tertium corn parationis sia stato semplicemente l'adesione (presa di posizione affermativa) di entrambi alla guerra fredda e addirittura alla guerra calda. L'[...]

[...]orpresa e urtato perché in un mio precedente l'ho nominato insieme a Enver Hodsha; per questo non ha compreso come il tertium corn parationis sia stato semplicemente l'adesione (presa di posizione affermativa) di entrambi alla guerra fredda e addirittura alla guerra calda. L'Occidente — nel suo stesso interesse — dovrà comprendere che l'alternativa attuale della visione del mondo e del metodo socialisti é la scelta tra il ristabilimento del vero marxismo e la sua applicazione ai nuovi fenomeni del presente e l'irrigidirsi sui metodi deformati di Stalin, non già — come spesso si ritiene — tra Molotov e Köstler.
Se qui la lotta per trovare una via è evidente almeno ai pensatori più avanzati, la grande maggioranza concepisce 'la situazione ideologica dell'Occidente in modo indubbiamente troppo statico; né, sostanzialmente, ciò muta per il fatto che la valutazione pratica dello stato attuale assuma talvolta la forma di una ((critica della cultura ». Dietro questa staticità o questo sviluppo immutabilmente uniforme alla superficie, la realtà [...]

[...]ttive di tale sviluppo. Per noi, questo fatto Storico ha soprattutto una importanza ideologica. Infatti, una sua conseguente attuazione richiede un ripensamento ideologico quanto lo richiede nel mondo socialista il superamento dei metodi staliniani. Osserviamo, incidentalmente che la parola «quanta» dovrebbe essere messa tra virgolette, giacché il ripensamento ideologico del mondo borghese ha una struttura, una dinamica etc. differenti da quello marxista. Ma, per limitarci soltanto all'essenziale, quanto più coerentemente questo nuovo orientamento viene attuato sul piano pratico, tanto più viene a trovarsi in aspro contrasto con la generica manipolazione oggi imperante e basata sul neopositivismo. Infatti, essa considera lo stato odierno già, ed erroneamente, come un dominio degli interessi collettivi della società. Alcuni ideologici vanno tanto oltre da negare addirittura il carattere capitalistico dell'economia. Ma per quanto abilmente si possano manipolare i problemi che qui emergono
PROBLEMI DELLA COESISTENZA CULTURALE 13
— ad esemp[...]

[...]SISTENZA CULTURALE 15
questo terreno é possibile una manipolazione quanto mai raffinata, che spesso è più efficace di una manipolazione brutale. Infatti, mentre nel mondo socialista, dopo la crisi della teoria staliniana, concezioni del mondo fino allora tenute lontane stanno vivendo un periodo di prestigio acritico, la raffinata manipolazione che predomina a Occidente é ampiamente riuscita a diffondere nell'opinione pubblica la credenza che il marxismo sia una dottrina e un metodo totalmente superati, di cui non è affatto il caso di occuparsi seriamente; abbiamo già accennato, peraltro, alle eccezioni costituite dai migliori.
Io credo dunque che le due grandi trasformazioni, provocate dallo sviluppo economico, di cui abbiamo parlato sopra, porteranno a conoscere la concezione del mondo — le concezioni del mondo — dell'avversario, per poter realmente confutare il reale avversario di classe. La gran maggioranza delle lotte fra concezioni del mondo nel nostro tempo avviene ancora in modo tale che — nel migliore dei casi — viene «persuaso»[...]

[...]a concezione monolitica é cieca tanto di fronte allo sviluppo ineguale dei differenti campi di cultura quanto alle controversie reali all'interno di un sistema particolare. Soltanto respingendola si può arrivare a comprendere come le posizioni da noi sostenute possano sempre trovare alleati totali o parziali, anzi, che può accadere addirittura di assimilare criticamente la dottrina o il metodo di un ideologo dell'altro sistema. Così, ad esempio, Marx ha incorporato Darwin o L. H. Morgan nella sua concezione del mondo, che ne è risultata arricchita e concretizzata. Ovviamente, oggi non si riesce a scorgere un'analogia con questo esempio, ma ciò non significa affatto che un marxista possa ignorare i contrasti ideologici esistenti in Occidente, per esempio le posizioni assai contraverse sul problema dell'alienazione, la coraggiosa posizione di Sartre in tutte le questioni coloniali, i suoi tentativi di assimilare il materialismo storico, l'onesto comportamento di N. Hartmann verso le questioni ontologiche della filosofia della natura, verso i problemi della teleologia, le ricerche di Werner Jäger sulla vita spirituale greca, le concezioni archeologiche di Gordon Childe, etc., che rivelano in modo assai chiaro alcuni di questi contrasti. Ma non si deve dimenticare che [...]

[...] la moda. Paragonando ad esempio N. Hartmann con Heidegger o con i neopositivisti, Werner Jäger o Gordon Childe con gli sproloqui mistificatori di Jung o di Kerényi, appare chiaro da quale parte stiano gli avversari reali e da quale altra i possibili alleati su problemi particolari.
Per l'ideologia occidentale, il superamento del giudizio culturale monolitico si concentra intorno alla comprensione della vera essenza della d'ottrina e del metodo marxisti. Indubbiamente, anche su questo terreno sono in atto tentativi che dimostrano una onesta volontà di comprendere, anche se ancor oggi sono,. com'è naturale, sporadici e per lo più assenti negli ideologi più influenti. Tuttavia é sintomatico e significativo che mentre alcuni decenni or sono ifreudiani cc di sinistra » cercavano di correggere Marx,con iniezioni di teorie del loro maestro, oggi invece assistiamo al tentativo di rendere attuale Freud integrandolo con Marx. Fenomeni analoghi sono visibili anche in altri campi anche se, senza dubbio, attualmente sono assai scarsi; infatti, domina an. cora quella compiaciuta ignoranza alla quale abbiamo già accennato. Ma non si deve dedurne che l'impostazione dei problemi sia sempre ed esclusivamente monolitica, giacché contrasti esistono ovunque in tutti i problemi; ad alcuni abbiamo accennato nell'ultima parte.
Se la coesistenza economica e politica continuerà a progredire, questo processo di differenziazione, e con esso la presa di posizione differenziata, dall'assimilazione di certe teorie all'alleanza su si[...]

[...] resistere, può essere facilmente
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confermato in base alle esperienze storiche. Del resto, oggi lo possiamo riscontrare come fenomeno largamente diffuso sia nel capitalismo sia nel socialismo. Nell'altro caso, si dimostra che ogni concezione del mondo, proprio perché scaturisce sempre da un determinato essere sociale, é internamente assai sensibile. Per rifarci ad un esempio meno recente: l'assimilazione di L. Morgan da parte di Marx ed Engels rafforzò grandemente il materialismo storico, mentre l'assimilazione di Kant da parte di Bernstein e Max Adler ha largamente e lungamente paralizzato il materialismo dialettico. Ma poiché questo rischio si basa su un'alternativa reale, é impossibile sfuggire ad esso. Ogni fatto importante scoperto, ogni apertura di un nuovo terreno metodologico, perfino ogni «scoperta» sensazionale, anche se inesatta, pone ciascuna concezione del mondo di fronte a una tale alternativa, e spesso le decisioni apparentemente ovvie, comode o radicali sono proprio le più pericolose. Casi, molti socialist[...]

[...]mpossibile sfuggire ad esso. Ogni fatto importante scoperto, ogni apertura di un nuovo terreno metodologico, perfino ogni «scoperta» sensazionale, anche se inesatta, pone ciascuna concezione del mondo di fronte a una tale alternativa, e spesso le decisioni apparentemente ovvie, comode o radicali sono proprio le più pericolose. Casi, molti socialisti, nei quali l'irrigidimento contro l'Occidente ha indebolito la capacità critica di autodifesa del marxismo, negli ultimi tempi assai spesso hanno accettato acriticamente tutto ciò che viene dall'Occidente, come se il marxismo avesse perduto tutti i suoi poteri di immunizzazione.
QueSto saggio non intende pronunciare dei giudizi sui problemi ideologici, anche se l'autore non ha mai nascosto di essere un deciso seguace del marxismo. Ciò che qui si é voluto tentare é piuttosto di indicare la funzione sociale e la sorte sociale delle concezioni del mondo nel campo delle" formazioni sociali. Tale funzione consiste nella valutazione orientativa all'interno di un mondo sociale dato; la conoscenza della realtà concreta attuale e della prospettiva del suo sviluppo in questo caso non è per l'individuo fine a se stesso ma uno strumento per una vita vissuta pienamente. La verità dell'immagine del mondo, la giustezza della prospettiva, la forza liberatrice di contenuto dell'orientamento etico decidono della capacità di reSiste[...]

[...]ercato, al di là delle difficoltà attuali, specifiche e prevedibilmente condannate ad essere superate dallo sviluppo futuro, di accennare alle sue prospettive, che — eliminate le meschine polemiche attuali — annunciano, a quel che è dato di vedere, una sostanziale e aspra lotta ideologica tra i due sistemi. L'autore di questo saggio non vuole nascondere la sua persuasione che in questa gara tra concezioni dei mondo nella coesistenza culturale il marxismo, che avrà ritrovato se stesso e sarà ridiventato autentico, risulterà vittorioso.
GEORG LUKACS
(Traduzione di G. Panzieri Saija)



da [Le relazioni] P. Togliatti, Gramsci e il leninismo in Studi gramsciani

Brano: [...]sere fatta alla tradizione politica e culturale italiane. Gramsci è un politico italiano. Si collega alle più vitali correnti del pensiero politico e deH’azione politica del nostro paese. Però questo non basta! La sola tradizione italiana non avrebbe fatto di Gramsci ciò che egli è stato come politico, e come politico nel quale non vi è più traccia del provincialismo nostrano. Alla tradizione del pensiero italiano si accompagnarono lo studio del marxismo, il contatto con la classe operaia e con la realtà della vita internazionale e nazionale quale gli apparve dai primi anni della esistenza e poi, via via, gli episodi di una lotta che si faceva sempre più aspra. In questo quadro spetta un posto a parte come fattore, io credo, decisivo, di sviluppo ideale e pratico, a Lenin e al leninismo.

Riconoscono oggi anche coloro che non aderiscono al giudizio nostro, che l’opera di Lenin ha mutato il corso della storia, ha aperto un’èra nuova nello sviluppo degli avvenimenti mondiali. Tale è la realtà. L’opera di Lenin deve essere collocata, analo[...]

[...]strettamente uniti, fusi quasi 'l’uno nell’altro, e ciascuno di essi contiene una teoria e una pratica, è il momento di una realtà effettuale in isviluppo, una dottrina, cioè, che non solo viene formulata, ma messa alla prova dei fatti, dell’esperienza storica e che nella prova dell’esperienza storica si sviluppa, abbandona posizioni che dovevano essere abbandonate, conquista posizioni muove, e crea, quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al marxismo questo suo carattere creativo, lo libera dalla pedanteria delle interpretazioni materialistiche, economicistiche, positivistiche delle dottrine di Carlo Marx, fa del marxismo, in questo modo, ciò che deve essere: la guida di un’azione rivoluzionaria.

Ritengo che l’apparizione e lo sviluppo del leninismo sulla scena mondiale sia stato il fattore decisivo di tutta la evoluzione di Gramsci come pensatore e come uomo politico di azione. È il fattore che determina il ritmo del movimento, dà un carattere lineare agli sviluppi ideali e pratici, consente di giustamente valutare anche gli errori, il loro valore e la critica di essi, e di inserirli in un complesso unitario.

Negli scritti giovanili di Gramsci — che è da dolere non abbiamo potuto essere pubblicati, [...]

[...]asione mongolica. Egli tenta quindi anche una definizione del periodo precedente. Vuol dire che cos’è il secolo che si chiude, e cosi lo definisce: «Il secolo precedente non è cominciato nel 1800, è cominciato, chissà mai, il 14 luglio 1789, o un dipresso, o come altro piaccia di datare il vertiginoso erompere dell’èra liberale. Il secolo che si chiude è 1’“ èra liberale ” ».

Ma che cosa potrà essere il secolo che si apre? Mancano, al vecchio marxista italiano, gli elementi di analisi, di dimostrazione e di convinzione che gli consentano di affermare che il secolo che si apre è l’èra del passaggio al socialismo. La sua ricerca si chiude, a questo punto, con una nota di incertezza e di sfiducia : « Noi non sappiamo — dice — dove la storia andrà a finire ». È vero che subito aggiunge una giustificazione di questa affermazione, che teoricamente è giusta; non si può fare a meno, però, di rilevare che l’incertezza e la sfiducia, che permangono, sono conseguenza della incapacità di compiere quel passo, quel salto, anzi, che Lenin compiva, qu[...]

[...]cialista, come invece fecero i riformisti di altri paesi. Vi rimasero, attaccati come rémore alla chiglia della nave, ma incapaci essi pure di dare a se stessi obiettivi e prospettive che fossero evidenti e chiari, e ciò dette al riformismo italiano un aspetto anche più meschino, contradditorio in se stesso e stentato che in altri luoghi.

Tutte queste erano, in sostanza, le conseguenza negative di una concezione pedantesca, meccanicistica del marxismo e del processo stesso del movimento operaio. Mancava la concezione dello sviluppo storico, che non può essere inteso soltanto come evoluzione oggettiva dei rapporti economici attraverso alle trasformazioni della tecnica e aH’accrescimento delle forze produttive, sviluppo delle lotte parziali economiche e politiche dei lavoratori e a coronamento di quella evoluzione e di questo sviluppo una miracolosa catastrofe. Quella che mancava era la nozione stessa delle modificazioni e deH’arrovesciamento dei rapporti di potere nella società, della rottura del blocco storico dominante e della creazio[...]

[...]per scoprirla.

Sono cose che risultano particolarmente evidenti quando si leggono i primi scritti di Gramsci sulla Rivoluzione russa, in parte già pubblicati, in parte non ancora. Questi scritti contengono senza dubbio anche degli errori, affermazioni che non possiamo accettare e non sono accettabili. Mi riferisco particolarmente al famoso articolo intitolato « La rivoluzione contro il “ Capitale ” » 1 dove il « Capitale » è il libro di Carlo Marx, e la rivoluzione è quella dei bolscevichi russi neH’Ottobre 1917. L’impostazione, come si vede, è errata ed errati sono alcuni giudizi. Ma da questo scritto mi pare emerga quasi un grido di liberazione del giovane Gramsci che, vedendo ciò che è avvenuto in Russia, finalmente sente che ci si può liberare dal (pesante e ingombrante involucro dell’interpretazione pedantesca, grettamente materialistica e positivistica che era stata data del pensiero di Marx in Italia, e che era stata data anche da grandi e ben noti agitatori del socialismo.

Il Capitale in Russia era diventato — si legge in qu[...]

[...]a rivoluzione è quella dei bolscevichi russi neH’Ottobre 1917. L’impostazione, come si vede, è errata ed errati sono alcuni giudizi. Ma da questo scritto mi pare emerga quasi un grido di liberazione del giovane Gramsci che, vedendo ciò che è avvenuto in Russia, finalmente sente che ci si può liberare dal (pesante e ingombrante involucro dell’interpretazione pedantesca, grettamente materialistica e positivistica che era stata data del pensiero di Marx in Italia, e che era stata data anche da grandi e ben noti agitatori del socialismo.

Il Capitale in Russia era diventato — si legge in questo articolo — « il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’èra capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale,

1 II grido del popolo, 5 gennaio 1918. Vedilo ripubblicato integralmente in Rinascita, a. XIV, n. 4, apr. 1957, pp. 146147.Paimiro Togliatti

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prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua risco[...]

[...] alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico ».

Qui è l’errore, ma non è di sostanza. Quella che Gramsci denuncia e respinge era stata, infatti, la falsa interpretazione che del materialismo storico avevano data i cosiddetti marxisti legali. Ma egli prosegue: « I bolscevicki rinnegano Carlo Marx, affermano con la testimonianza dell’azione esplicata, delle conquiste realizzate, che Ì canoni del materialismo storico non sono cosi ferrei come si potrebbe pensare e si è pensato... Ecco tutto... [Essi] non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore, di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche ». Anche questa è una affermazione da noi oggi non accettabile. Non in Marx era avvenuta la contaminazione, ma nei trattatelli e opuscoli di propaganda quintessenziale, dove il pensiero marxista era stato ridotto a ciò che non era e non poteva essere.

« Questo pensiero — continua Gramsci — pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l’uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro volontà... Marx ha preveduto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuto la durata e gl[...]

[...]ista era stato ridotto a ciò che non era e non poteva essere.

« Questo pensiero — continua Gramsci — pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l’uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro volontà... Marx ha preveduto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuto la durata e gli effetti che ha avuto. Non poteva prevedere che questa guerra, in tre anni di sofferenze indicibili, di miserie indicibili, avrebbe suscitato in Russia la volontà collettiva popolare che ha suscitata ».

Ho indicato quali sono, in questo notevole scritto, alcune affermazioni errate. Ma conta la sostanza, che è, ripeto, un grido quasi di liberazione, per aver trovato alfine la necessaria guida, a liberarsi dalle interpretazioni pedantesche, grettam[...]

[...]he questa guerra, in tre anni di sofferenze indicibili, di miserie indicibili, avrebbe suscitato in Russia la volontà collettiva popolare che ha suscitata ».

Ho indicato quali sono, in questo notevole scritto, alcune affermazioni errate. Ma conta la sostanza, che è, ripeto, un grido quasi di liberazione, per aver trovato alfine la necessaria guida, a liberarsi dalle interpretazioni pedantesche, grettamente materialistiche ed economistiche del marxismo. In tutti i commenti, dei successivi due o tre anni, agli avvenimenti di Russia dopo la conquista del potere, sempre meglio viene elaborato e precisato questo momento da un lato, mentre dall’altro lo studio è vólto430

Le relazioni

a cogliere il nesso tra il momento internazionale e il momento nazionale della rivoluzione. Ciò che i bolscevichi russi sono stati in grado di fare è conseguenza di una trasformazione qualitativa della situazione internazionale. La catena deirimperialismo si è rotta. Si è aperto un nuovo periodo della storia mondiale. Ma la vittoria della classe operaia e[...]

[...]rofonda. È il momento — si ricordi — in cui viene diffusa ed esaltata l’opera storica, che noi oggi sappiamo come debba essere giudicata, di Alfredo Oriani. È il momento del crollo dei sistemi positivistici e del tramonto, insieme con essi, di tutta una cultura.

Come si muove Gramsci in quel momento di cosi profonda crisi? L’influenza delle nuove correnti idealistiche lo porta a respingere le volgarità delle interpretazioni positivistiche del marxismo. Egli è però, in pari tempo, agli antipodi della visione idealistica della storia e della situazione del nostro paese. Respinge con repugnanza tanto l’esasperato e ridicolo individualismo dannunziano quanto l’esaltazione nazionalistica alla quale stavano attingendo nuovo alimento ideologico i gruppi dirigenti reazionari. Nella indagine sulla storia, sulla struttura, sulla realtà attuale della società italiana il suo pensiero si ricollega invece piuttosto ad elementi che sgorgano dalle correnti razionalistiche del pensiero politico italiano dell’Ottocento.

Dei principali esponenti di qu[...]

[...]entale e dall’altro per derivarne la eguale necessità delie variazioni, oggi diremmo delle diverse « vie al socialismo » aderenti alle condizioni di ogni paese.

A questa parte del pensiero di Gramsci sono state volte parecchie critiche. Particolarmente ha concentrato la sua critica in questa direzione il prof. Rodolfo Mondolfo, il quale pure, in un notevole studio, ha riconosciuto il valore positivo e creativo della visione che Gramsci ha del marxismo e di tutto il suo pensiero. Da un lato egli afferma che questo « intellettuale collettivo », il partito, sarebbe cosa deteriore perché verrebbe dall’esterno del movimento della classe operaia; dall’altro lato trova, nel modo come Gramsci sviluppa il concetto di partito, una specie di giustificazione di una forma di tirannide.

Circa la prima critica, credo che l’errore consista nel ritenere che la dottrina del partito, cosi come Gramsci la espone e sviluppa sulla traccia di Lenin, sia qualche cosa che prescinda dalle analisi storiche, economiche e sociali di tutta la realtà. Il partito [...]

[...]i fronte alla grande massa della popolazione, il problema da porsi non è se il fatto che una minoranza conquisti il potere contraddica le norme della democrazia formale, ma è di vedere come e perché quella minoranza doveva giungere a conquistare il potere, e conquistando il potere abbia realizzato quel progresso che quella società in quel momento poteva e doveva compiere.

Anc^he la dottrina del partito fa parte di quello sviluppo creativo del marxismo che da Lenin ha ricevuto un impulso fondamentale. Anche questa dottrina respinge le pedantesche e fatalistiche concezioni dello sviluppo storico attraverso le quali il genuino pensiero marxista era stato contraffatto, reso inerte, impotente alla creazione storica.

Al prof. Mondolfo si potrebbe ricordare ciò che già gli faceva osservare Gramsci nel 1919, recensendo un opuscolo dello stesso Mondolfo dedicato alla Rivoluzione russa. « Si racconta — scrive Gramsci — che un professore tedesco di scuole medie, riuscito stranamente a innamorarsi, cosi combinasse insieme la pedagogia e la tenerezza: —Mi ami tu, tesoretto mio? — Si. — No, nella risposta deve essere sempre ripetuta la domanda, in questo modo: Si, ti amo, topolino mio! ».

Nella risposta che Lenin ha dato ai problemi [...]

[...]tedesco di scuole medie, riuscito stranamente a innamorarsi, cosi combinasse insieme la pedagogia e la tenerezza: —Mi ami tu, tesoretto mio? — Si. — No, nella risposta deve essere sempre ripetuta la domanda, in questo modo: Si, ti amo, topolino mio! ».

Nella risposta che Lenin ha dato ai problemi della Rivoluzione russa non era contenuta la domanda che Rodolfo Mondolfo crede si debba fare al politico a seconda del modo come egli interpreta il marxismo. Era però

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Le relazioni

contenuta la risposta adeguata alla realtà dello sviluppo storico della Russia, della vita sociale, economica, collettiva del popolo russo.

Ma la dottrina del partito conterrebbe dunque la giustificazione di una tirannide? Si possono trovare in Gramsci, soprattutto nelle primepagine delle Note sul Machiavelli, affermazioni che, staccate dal loro contesto, possono spaventare un ignaro. Sono invece affermazioni dei tutto comprensibili, logiche, giuste, quando la dottrina del partito è intesa come Lenin e Gramsci la intesero.

Gramsci affronta que[...]

[...]eguire una diversa via per risolvere i problemi dell’organizzazione della produzione, dei rapporti con la piccola e media borghesia produttrice e con le sue formazioni politiche. Basta ricordare come Lenin giungeva a parlare di variazioni nelle forme del potere, quando fossero entrate in azione le grandi masse umane deirOriente, come oggi sta avvenendo.

Il pensiero di Gramsci si è mosso per questa via, che è la via dello sviluppo creativo del marxismo. Su di essa è stato guidato da Lenin. Noi cerchiamo e troviamo nel suo pensiero non delle formule, ma una guida per comprendere i problemi del mondo d’oggi, per lavorare a risolvere le contraddizioni che oggi si presentano sulla scena economica e politica, e che sorgono anche là dove il potere è già nelle mani della classe operaia, dovendo allora essere trattate e portate a soluzione con metodi particolari, diversi da quelli con cui si risolvono le contraddizioni antagonistiche del mondo capitalistico.

Ma giunti a questo punto è necessario fermarsi. L’esame delle questioni nuove, che o[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] E. Garin, Antonio Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...]ano a parer suo anche ricerche come quelle del Vailati. Ora, è giusto estendere la ragione contingente di ovvi travestimenti di nomi propri a tutta la terminologia filosofica gramsciana? e, quindi, a tutta una impostazione dottrinale?
A dir vero Gramsci stesso sembrò proporsi il problema, non solo quando ritornò su alcuni testi dei suoi Quaderni rielaborandoli, ma in alcune note metodologiche del 1933. Stese, è vero, per chi intendesse studiare Marx, esse tuttavia non riescono a nascondere un chiaro accento autobiografico. E, comunque, nella loro precisazione e validità debbono pur essere tenute presenti da chiunque affronti lo studio dei volumi gramsciani.
Non a caso Gramsci si proponeva proprio il problema di chi voglia ricostruire la genesi e la struttura di una « concezione del mondo», che l'autore non abbia mai « esposto sistematicamente », e quindi non sia rintracciabile « in ogni singolo scritto o serie di scritti, ma nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti » . In u[...]

[...]tutta la vicinanza e la lontananza da Croce: si coglie ormai consapevolmente dichiarato il senso di quello che gli accadde di scrivere nel '19, a proposito dei rivoluzionari russi: hanno rotto col passato, ma hanno continuato il passato; hanno spezzato una tradizione, ma hanno sviluppato e arricchito una tradizione » 2. Quello che con efficacia fu detto di Gobetti con un'espressione gobettiana, può dirsi, con piú forza, di Gramsci: « ha letto il Marx di Lenin, non il Marx di Croce: cioè non lo ha messo in soffitta ». Ma converrà dire di piú: Gramsci non ha messo Marx né in soffitta né sugli altari: lo ha « tradotto » nel « linguaggio » italiano attuale — si ricordino le sue considerazioni sulla « traduzione » della Rivoluzione francese 3 — ossia ha alimentato i problemi del presente con la riflessione del passato, e la storia del passato ha illuminato e vivificato con le richieste del presente.
3. La storia della « tradizione culturale » italiana.
È cosí possibile ripercorrere con Gramsci tutta la storia della cultura italiana, in una prospettiva originale, saldata al presente, ossia legata a discussioni vitali, e a reali richieste. Ed è una storia in c[...]

[...]riola, affermando che la filosofia della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica, è autosufficiente, è il solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della prassi » 1), e la sua polemica condotta su due fronti: da un lato contro la « rinascita » idealistica, e dall'altro contro il positivismo del primo Novecento. E
1 M. S., p. 79.
Eugenio Garin 13
se contro quest'ultimo, contro il suo modo di fraintendere Marx e contro tutti gli atteggiamenti di deteriore « economismo » e « meccanicismo fatalista », Gramsci si vale spesso delle armi dei neohegeliani, contro il loro « revisionismo » e le loro nostalgie teologiche e speculative (« Lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa » 1) riprende le armi di Hegel (di un Hegel non « teologo » o non solo « teologo » — « la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo ») e di Marx, e in questo senso elabora il suo umanismo integrale (« il comunismo è umanismo integrale: studia, nella storia, tanto le fo[...]

[...]tteggiamenti di deteriore « economismo » e « meccanicismo fatalista », Gramsci si vale spesso delle armi dei neohegeliani, contro il loro « revisionismo » e le loro nostalgie teologiche e speculative (« Lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa » 1) riprende le armi di Hegel (di un Hegel non « teologo » o non solo « teologo » — « la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo ») e di Marx, e in questo senso elabora il suo umanismo integrale (« il comunismo è umanismo integrale: studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali ecc. » 2), il suo integrale storicismo r(« la storia riguarda gli uomini viventi », è la realtà di « tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi » 3; « la natura dell'uomo è la " storia "... » 4), la sua filosofia della prassi (« la filosofia della prassi deriva certamente dalla concezione immanentistica della realtà, ma da essa depurata da ogni aroma speculativo e[...]

[...]mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi » 3; « la natura dell'uomo è la " storia "... » 4), la sua filosofia della prassi (« la filosofia della prassi deriva certamente dalla concezione immanentistica della realtà, ma da essa depurata da ogni aroma speculativo e .ridotta a pura storia o storicità o a puro umanesimo » 5), o, in una parola, la sua « traduzione » in italiano dell'eredità valida di Marx. E quel che ipiú colpisce e, appunto, questa traduzione 6 cosí attenta alla storia italiana e degli « intellettuali » italiani, e alla reale situazione, quale si era venuta esprimendo nelle forme piú avanzate del suo tempo. Le innumerevoli note, gli appunti, che costituiscono spesso il costante contraddittorio di quelle note crociane che egli non a torto riteneva la parte piú efficace della produzione del Croce, si possono facilmente considerare una presenza costante nella vita italiana, intorno a cui è possibile alimentare un dibattito su tutti i fatti di rilievo della vita nazionale.
E qui[...]



da Graziadei (relatore), Discorso Graziadei in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]i i compagni appoggiare con tutte le forze il passaggio di tutti gli elementi proletari dall'anarchismo alla Terza Internazionale ».
Non possono equivocare che coloro che parlano di argomenti che non hanno studiato ! (Applausi da parte dei comunisti). Tesi e statuto della Internazionale comunista. Milano, Società Editrice Avanti!, 1921. Prezzo L. 2.25, pagina 83, fine. (Commenti animati).
Si dice: i principi della Terza Internazionale sono antimarxisti.
Compagni, nessuna eresia piú grande di questa ! Nessuna migliore dimostrazione che in Italia il marxismo, dalla massima parte di coloro che ne parlano, deve ancora essere compreso ! (Approvazioni da parte dei comunisti).
Voci: Ma se tu l'hai sempre combattuto!
GRAZIADEI: Io ho sempre combattuto, e me ne vanto, e mantengo tutto quello che ho detto e quello che ho scritto, su questa, come sopra ogni altra questione... (000h, 000h! da parte dei socialisti)... mantengo le mie critiche alla parte economica di Carlo Marx, che è certamente
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la parte piú caduca, ma sempre ho sostenuto, da 24 anni a questa parte, che l'essenza vitale del marxismo sta nel « Manifesto dei comuni
sti ». (Bravo I). Non è la concezione strettamente economica di Marx quella che prevale nell'importanza delle sue opere, ma è invece la parte filosofica, la parte sociale, la parte politica.
Ebbene, o compagni, é vero o non è vero che un conto è la concezione della traiettoria che trasporta il potere politico ed il potere economico, per fatalità di cose, dalla borghesia al proletariato, e un conte sono i dettagli della teoria del valore e del capitale? (Commenti animati).
Ora, o compagni, rileggete, anzi rileggiamo insieme, ciò che è la parte veramente vitale del marxismo politico e sociale in genere, cioè a dire il « Manifesto dei comunisti », cioè a dire l[...]

[...]a è invece la parte filosofica, la parte sociale, la parte politica.
Ebbene, o compagni, é vero o non è vero che un conto è la concezione della traiettoria che trasporta il potere politico ed il potere economico, per fatalità di cose, dalla borghesia al proletariato, e un conte sono i dettagli della teoria del valore e del capitale? (Commenti animati).
Ora, o compagni, rileggete, anzi rileggiamo insieme, ciò che è la parte veramente vitale del marxismo politico e sociale in genere, cioè a dire il « Manifesto dei comunisti », cioè a dire la difesa della Comune di Parigi nella lotta di classe in Francia, la critica che Marx fin da allora muoveva all'insidiosità del programma democratico socialista, rileggiamo insieme quello, e allora comprenderemo come la Terza Internazionale non sia altro che la migliore riesumatrice di questa parte vitale, parte vitale che troppi socialisti in Italia ed all'estero hanno obliterato attraverso la visione storica che dipendeva esclusivamente dalle particolarità di una congiuntura sociale.
Fu nel periodo in cui la ricchezza cresceva, i capitali si accumulavano rapidamente, le classi operaie potevano ottenere notevolissimi miglioramenti, e la democrazia borghese pareva aprire le p[...]

[...] allora che uomini di altissimo valore — che stimo e stimerò — credettero di interpretare lo spirito del « Manifesto dei comunisti » attraverso una congiuntura storica passeggera, ma la congiuntura finita le interpretazioni sbagliate si sono mostrate sbagliate, e nessuna si è mostrata piú erronea di quell'interpretazione democratica del « Manifesto dei comunisti » per cui si ritenevano impossibili, da troppi compagni, quelle guerre che invece il Marx diceva che erano inevitabili. (Bene !).
Tale è stata la incomprensione storica del « Manifesto dei comunisti », che per molti compagni il riconoscere la necessità per la borghesia della sua guerra vuol dire accettare la guerra ! Sarebbe come dire che, il riconoscere quella legge storica che secondo Marx pone il capitalismo di fronte all'altra concezione economica, dovesse portare a gridare: « Viva il capitalismo 1 » (Bene).
Dunque la Terza Internazionale attraverso l'esperienza della guerra vi dá un'espressione del marxismo che è veramente quella essenziale del « Manifesto dei comunisti » non quella che fu malamente il
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prodotto di una situazione storica felice, ma, appunto perciò, in regime borghese, necessariamente transitoria.
Si dice: ma nelle tesi della Terza Internazionale c'è del volontarismo, direi quasi c'è del mussolinismo o del d'annunzianismo. (Commenti). Alcuni parlano addirittura di bergsonismo, ignorando che Lenin ha pubblicato tempo fa un'opera magistrale contro il bergsonismo.
Orbene, non è affatto vero che la Terza Internazionale metta di moda il volontarismo, quel nobile, ma romantic[...]

[...]che la Terza Internazionale metta di moda il volontarismo, quel nobile, ma romantico ed infantile rivoluzionarismo che per ragioni storiche allignò molto tempo, e sino a poco fa anche nel nostro Partito, quando troppo pochi erano coloro che lo combattevano.
La Terza Internazionale sa benissimo, e l'ho già detto prima, che le rivoluzioni non avvengono per capricci storici, non avvengono che come il portato di molte condizioni. Ma, in accordo con Marx, tra queste condizioni pone anche la volontà collettiva di una classe operaia organizzata e cosciente. (Bene !).
Chi negasse questa volontà collettiva ed il suo giusto peso, negherebbe
il socialismo, repugnerebbe la sua nobile opera. Perché organizzate gli operai? Perché, o compagni del riformismo, nei vostri migliori tempi, ed anche oggi, avete dato tanta parte di voi alle cooperative ed alle leghe?
Perché voi stessi, che accusate la Terza Internazionale di volontarismo, credete alla volontà della potente organizzazione !
Questa è l'unica forma di volontarismo della Terza Internazionale[...]

[...]usto peso, negherebbe
il socialismo, repugnerebbe la sua nobile opera. Perché organizzate gli operai? Perché, o compagni del riformismo, nei vostri migliori tempi, ed anche oggi, avete dato tanta parte di voi alle cooperative ed alle leghe?
Perché voi stessi, che accusate la Terza Internazionale di volontarismo, credete alla volontà della potente organizzazione !
Questa è l'unica forma di volontarismo della Terza Internazionale, ed è sana, è marxista, e senza di essa tutti potremmo chiudere bottega. (Interruzioni. Rumori).
Non raccoglierò mai le miserie personali, da alcuna parte ! (Bene !).
Ma un concetto essenziale della Terza Internazionale è che noi viviamo in un periodo storico rivoluzionario, prodotto dalla guerra, e che in questo periodo non ci sono che due vie da scegliere: una è quella di chi vuole disarmare gli animi, di chi ritiene che bisogna lasciare che la borghesia rimetta in pristino la sua compagine politica ed economica, di chi ritiene che la conquista del potere politico non è possibile che in un periodo successiv[...]

[...]po costruire un'altra economia che non sia piú quella capitalista, ma che sia, per l'accresciuta coscienza politica e sociale del proletariato, l'economia del comunismo graduale. Dico del comunismo graduale, perché coloro che non hanno mai letto niente di Lenin, dicono che Lenin voleva fare il comunismo in un solo giorno ! (Applausi da parte dei comunisti).
E un altro principio della Terza Internazionale è proprio questo principio profondamente marxista e la cui discussione ha nella storia del socialismo russo e nella storia del socialismo tedesco pagine di cultura ammirabili, che sarebbe bene che venissero da noi studiate — che
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la Terza Internazionale sostiene che in linea generale e in linea particolare non tutte le categorie o le sottoclassi della classe operaia e del, proletariato sono ugualmente atte all'attacco contro la rocca del potere politico, e che perciò vi è anche qui una graduatoria di valori, e mentre il proletariato industriale deve fare ogni sforzo per attrarre verso di sé la grande massa dei lavoratori delle altre [...]

[...]nde massa dei lavoratori delle altre categorie: piccoli industriali, artigiani e contadini, tutte queste categorie vanno considerate con criteri tecnici specializzati, ed è utile di consentire ad esse solo quello che si può dare, e nulla di piú.
E la tesi agraria — che non discuto per non far perdere tempo al Congresso, ma su cui mi riservo di domandare la parola se altri ne parlerà — la tesi agraria non è che la conseguenza di questo principia marxista, che i contadini non possono essere all'avanguardia del movimento per la conquista del potere politico, ed é appunto per questo che essi vanno neutralizzati e va ad essi garantito quel minimo di condizioni che coincide con l'impossibilità di fare subito di meglio. (Commenti animatissimi).
E la Terza Internazionale, appunto perché non é romantica, appunto perché non crede alle concezioni infantili che per tanto tempo allignarono in certe regioni del nostro Paese e nel nostro stesso Partito, la Terza Internazionale pone tra le sue tesi che vi accenno appena, perché il luogo non è adatto a [...]

[...]oni, purché adoperati ad ua
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unico fine, con una continuata organicità di mezzi, di propositi e di scopi.
Ma la Terza Internazionale ha detto una parola che pareva nuova a chi non ha compreso il «Manifesto dei comunisti »: ha detto una parola nuova rispetto alla questione della democrazia.
Basterebbe questa tesi per far perdere al Congresso un'intiera seduta, e mi guardo bene dall'andare a fondo, ma dico che ha della democrazia un concetto marxista che rappresenta un grande progresso di fronte alle concezioni vaghe e generiche che si avevano prima.
La democrazia, come tutte le forme della vita, va considerata in rapporta alle classi: c'è una democrazia borghese, come c'è una democrazia del proletariato, e la democrazia proletaria, per dolorosa necessità di cose, deve tendere alla soppressione della democrazia a favore della borghesia e alla borghesia serve per il suo sfruttamento contro i lavoratori.
Non è la negazione del principio della libertà, ma è quella coercizione che è indispensabile quando si è in lotta completa e si lott[...]

[...]e, le colonie piú di altri paesi, ed a queste tendo la mano, perché la lotta del socialismo è contro il capitalismo, cioè la lotta contro l'apparente e falsa democrazia borghese internazionale. (Bene !).
E su questo terreno nasce la tesi sulle questioni coloniali e nazionali, che non voglio discutere ora, ma che mi riserbo di discutere, se altri ne parlerà.
Ed infine, se questi sono i concetti della Terza Internazionale, concetti completamente marxistici, ecco perché è nello spirito stesso, nell'animo stesso, nella necessità stessa della Terza Internazionale, la lotta, non contro gli uomini — è un'assurda interpretazione del punto 7° —ma contra la concezione riformista socialdemocratica, socialpacifista.
Perché lo è? Ma, amici miei, io ho avuto occasione, non ho fatto che il mio dovere di studioso, sia verso i compagni russi che verso quelli della sinistra tedesca, di rompere le scatole a molti compagni, russi specialmente, per comprendere intieramente il loro punto di vista.
Orbene, essi sono i primi a riconoscere, e d'altra parte se[...]

[...]suo pensiero — nel medesimo Partita coloro che dicono che bisogna approfittare delle circostanze e coloro che dicono che le circostanze vanno lasciate alla borghesia per essere risolte? Tra coloro che dicono di armare gli animi e coloro che dicono di disarmarli? Tra coloro che vogliono la preparazione militare e quelli che vi rinunziano, tra coloro che vogliono conquistare il potere politico al piú presto possibile e gli altri che credono che il marxismo sia una cosa meccanica che deve attendere che il capitalismo abbia dato luogo a tutte le sue leggi di accumulazione, per poi tra venti, trenta, quaranta anni andare alla conquista del potere politico?
Tra queste due concezioni esiste un abisso, ed è appunto perché la Terza Internazionale lo sa, attraverso l'esperienza di quattro rivoluzioni, che dice: dovete scegliere, o da una parte, o dall'altra ! (Commenti animatissimi e prolungati).
Io vi ho esposto, molto sommariamente, abusando forse anche un po' della vostra pazienza, quelli che sono, secondo me, i caratteri tipici dei principi e[...]

[...] carattere nazionale che per ragioni di dottrina e di carattere internazionalista.
Orbene, se una cosa non corrisponde ad esattezza, è questa.
Tutti sappiamo del grande dibattito di dottrina e di esperienza rivoluzionaria che c'è stato tra Zinowieff e Martoff, e il duello grandioso tra loro due non riguarda tanto la questione, del resto importantissima, della Germania, ma riguarda principalmente i grandi problemi della dottrina e della pratica marxista.
Si dice poi che ci sono delle speciali concessioni per l'Inghilterra, e si dice che è una speciale concessione quella per cui Lenin e la Terza
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Internazionale hanno consigliato i comunisti inglesi ad entrare nel « Labour Party ».
Non voglio discutere la questione del « Labour Party », perché l'ora è tarda, ma non si tratta di concessioni nel senso inteso dall'Avanti! ma di una tesi internazionale che riguarda non già la composizione del Partito comunista inglese, ma l'ambiente nel quale deve anche recarsi a lavorare quel Partito comunista, una volta che si sia composto, anche là, c[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] L. Gruppi, I rapporti tra pensiero ed essere nella concezione di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Luciano Gruppi
I RAPPORTI TRA PENSIERO ED ESSERE
NELLA CONCEZIONE DI A. GRAMSCI
Bene è affermato nel riassunto della relazione del prof. Luporini che, se « i punti di riferimento essenziali, le costanti, del pensiero di Gramsci rispetto ai classici del marxismo, sono da trovarsi nelle Tesi su Feuerbach
e nella Prefazione a Per la critica dell'economia politica,... il concetto leniniano di " egemonia "... segna la via di svolgimento attuale di questi punti di partenza ».
Gramsci, infatti, trova, il primo termine di distinzione tra quella che egli chiama filosofia della prassi (il marxismo) e le altre filosofie, prima ancora che nell'esame teoretico delle loro proposizioni, della loro coerenza logica e delle loro conseguenze speculative, nel modo in cui esse operano politicamente e sviluppano la loro funzione nella lotta per l'egemonia. Sicché, nelle analisi di Gramsci, si accompagna sempre ai rapporti tra i concetti un rapporto tra uomini, tra classi sociali, tra forze politiche in lotta, non per l'intrusione di elementi extrafilosofici, nel dibattito filosofico, ma per lo svolgimento coerente di un metodo di ricerca.
« Una delle maggiori debolezze delle filosofie immanen[...]

[...]di conoscenza, un fatto filosofico » 1.
Da questa affermazione si scorge come Gramsci faccia, da un lato, dell'unità tra l'essere e il pensiero l'elemento decisivo dell'egemonia e faccia consistere, dall'altro, il valore filosofico dell'egemonia nell'unità che essa deve reali77are tra essere e pensiero, teoria e pratica.
Distaccata dal problema dell'egemonia, la questione dei rapporti tra essere e pensiero diventa per Gramsci, come per tutti i marxisti — ma con una consapevolezza che è in lui estremamente nitida — una questione che si isola dalla pratica, « una questione puramente scolastica » (Marx, Glosse a Feuerbach, glossa II). In Gramsci l'espressione ben nota « i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mu tarlo », si porta con lucida consapevolezza sul solo terreno su cui può diventare realtà: sul terreno della lotta per l'egemonia e dell'organizzazione delle forze politiche necessarie per la sua conquista e il suo esercizio.
Nell'affrontare il problema del rapporto del pensiero con l'essere, « il grande problema fondamentale di tutta la filosofia, e specialmente della filosofia moderna » 2, Gramsci ha di fronte e deve battere le concezioni dua[...]

[...]enti del convegno
egemonia si ricollega a quello dell'unità tra essere e pensiero, questa stessa unità non può che essere concepita in polemica, da un lato, con l'idealismo, e, dall'altro, con il materialismo volgare.
Su questo aspetto della polemica gramsciana contro il materialismo volgare vorremmo soprattutto fermarci, prima di tutto perché la critica all'idealismo ci appare piú scontata e assimilata; in secondo luogo perché la polemica tra marxismo e materialismo volgare è, per molti aspetti, una polemica interna al movimento operaio e i conti, a un certo punto,. bisogna farli in casa; e in terzo luogo perché in genere molte delle critiche che si rivolgono al marxismo andrebbero in realtà indirizzate al materialismo meccanico.
Gramsci non manca di sottolineare la funzione positiva che il determinismo meccanico può svolgere in certe situazioni. Se egli critica l'idealismo e il determinismo meccanico, non si può tuttavia dire che egli ponga. l'uno e l'altro sullo stesso piano, in modo generale ed assoluto.
« Quando non si ha l'iniziativa nella lotta e la lotta stessa finisce quindi con l'identificarsi con una serie di sconfitte, il determinismo meccanico diventa una forza formidabile di resistenza morale, di coesione, di perseveranza paziente e control[...]

[...]ci pare che i1 relatore l'abbia riconosciuto là dove ha affermato che per Gramsci sembra esclusa la tesi del conoscere came riflesso. Ci sembra anche che sia; questo l'aspetto della questione che bisogna soprattutto affrontare, poiché qui si tratta non del raffronto delle posizioni di Gramsci con posizioni già superate, come in genere quelle del Bukharin, ma del raffronto del pensiero gramsciano con quanto v'è di piú alto e decisivo nel pensiero marxista; con un momento dal quale Gramsci ritiene di dover trarre una lezione di importanza essenziale.
Eludere tale raffronto significa in realtà evitare un giudizio definitivo sul pensiero gramsciano.
Una affermazione di Lenin — raffrontata a quelle di Gramsci da noi citate — basta a dimostrare la diversità delle posizioni.
i M. S., p. 41. M. S., p. 54. 4 M. S., p. 56. 4 M. S., p. 143.
Luciano Gruppi 171
« Il materialismo è l'ammissione degli " oggetti in sé " ossia fuori dell'intelletto; le idee e le sensazioni sono copie o riflessi di questi oggetti » 1.
Vi è da chiedersi se Lenin, nell[...]

[...]mo è l'ammissione degli " oggetti in sé " ossia fuori dell'intelletto; le idee e le sensazioni sono copie o riflessi di questi oggetti » 1.
Vi è da chiedersi se Lenin, nella sua polemica antidealista, e di questa soprattutto preoccupato, non rinunzi qui ad uno sviluppo conseguente, sul piano strettamente filosofico, della sua concezione dell'egemonia, non attenui e non rinunzi al carattere creativo della conoscenza cosí chiaramente affermato da Marx (cfr. Glosse a Feuerbach). A nostro parere, concependo la conoscenza come riflesso dell'oggetto nella coscienza, Lenin pone, da un lato, l'oggetto al di fuori del conoscere — vale a dire ai di fuori della storia — e dimentica, dall'altro, la natura creatrice del conoscere che il marxismo ha assunto consapevolmente e criticamente dall'idealismo. Si riproduce cosí il dualismo tra oggetto e soggetto che ca ratterizza il realismo ingenuo ed ogni metafisica.
Estremamente rivelativo è quest'altro passo: « Il " realismo ingenuo" di ogni persona sana di mente, che non è mai stata in manicomio o a scuola dai filosofi idealisti, consiste nel riconoscere l'esistenza delle cose, dell'ambiente, dell'universo, indipendentemente dalla nostra sensazione, dalla nostra coscienza, dal nostro Io e dall'uomo in generale. Questa stessa esperienza... che ha creato in noi la ferma convinzione c[...]

[...]a prassi » diventa impossibile, ed è naturale si torni al realismo ingenuo e si affermi che il materialismo lo pone a base della sua teoria della conoscenza. Per dirla in termini gramsciani, il realismo ingenuo, che può essere accomunato al senso comune, non deve piú essere superato criticamente nel « buonsenso » 1.
Posta la conoscenza come riflesso del mondo esterno — ritornati al realismo ingenuo — ci pare che alcuni capisaldi della filosofia marxista vengano meno.
Che ne è ad esempio dell'affermazione:
« Il difetto principale di ogni materialismo sino ad oggi... è che l'oggetto, reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività sensibile umana, come attività pratica, non soggettivamente » ? 2.
Concepito il conoscere come riflesso dell'oggetto, il carattere creativo del conoscere viene meno, l'oggetto, il reale ritornano ad essere concepiti solo « sotto la forma di oggetto » e « non come attività sensibile umana », proprio come Marx rimproverava a Feuerbach. Cosí l'affermazione, pur[...]

[...]erialismo sino ad oggi... è che l'oggetto, reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività sensibile umana, come attività pratica, non soggettivamente » ? 2.
Concepito il conoscere come riflesso dell'oggetto, il carattere creativo del conoscere viene meno, l'oggetto, il reale ritornano ad essere concepiti solo « sotto la forma di oggetto » e « non come attività sensibile umana », proprio come Marx rimproverava a Feuerbach. Cosí l'affermazione, pure ripresa con insistenza da Lenin: « È nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero » 3, viene ad essere sostanzialmente abbandonata poiché il concepire la conoscenza come riflesso riporta alla vecchia concezione della verità corne « adaequatio rei et intellectus », e non alla concezione secondo cui la verità si dimostra nella pratica.
La stessa affermazione conclusiva delle Glosse a Feuerbach: « I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tra[...]

[...]Glosse a Feuerbach: « I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo » perde gran parte del suo significato poiché la conoscenza che riflette, ma non crea, ritorna a distaccarsi dalla pratica e ci riporta cosí al vecchio dualismo metafisico tra essere e pensiero, pratica e teoria, politica e filosofia. Ancora una volta si ritorna alla vecchia contrapposizione del politico al filosofo.
1 M. S., p. 5.
2 K. MARX, Glosse a Feuerbach, glossa n. 1.
3 Ibidem, glossa n. 2.
Luciano Gruppi 173
A parer nostro la ragione di questo indebolimento di alcuni principi fondamentali della filosofia marxista va trovata nel fatto che, prevalendo in Lenin la concezione della conoscenza come riflesso, della idea come .copia, si attenua il principio secondo cui l'obiettività del conoscere è dimostrata dalla pratica.
Il contributo decisivo che Lenin ha dato al pensiero marxista con la sua concezione dell'egemonia e di cui Gramsci sottolinea il significato e la portata filosofica, pare interrompersi quando, dall'elaborazione del concetto di egemonia sul terreno della teoria politica, si passa alla sua formulazione piú strettamente filosofica, la quale esige che si affronti ii problema dei rapporti tra l'essere e il pensiero superando ogni residuo di concezioni dualistiche.
Gramsci si muove, proprio perché leninista, proprio perché gli preme sviluppare il concetto di egemonia in tutti i suoi aspetti — da quello della strategia e della tattica politica a quello de[...]

[...]processo storico e non come il presupposto di questo processo.
Va dunque affermata, al tempo stesso, la storicità dell'oggetto, che resta invece al di fuori della storia nelle concezioni del materialismo meccanico e del realismo in genere: « noi conosciamo la realtà solo in rapporto all'uomo e siccome l'uomo è divenire storico anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l'oggettività è un divenire, ecc. » 2.
La contrapposizione del marxismo all'idealismo, tuttavia, compiuta affermando la storicità del conoscere, resterebbe ancora illusoria poiché anche l'idealismo afferma tale storicità. Bisogna andare ancora piú a fondo per cogliere la distinzione essenziale tra la posizione gramsciana — noi diciamo marxista — e quella idealistica: essa consiste nell'affermare che il processo storico è un processo di azione, in cui teoria e pratica si uniscono, per superare quelle contraddizioni della società che determinano il carattere sovrastrutturale della conoscenza, limitandone quindi la validità obiettiva; per giungere ad una società in cui non essendo piú alienato l'uomo, anche la conoscenza è libera da alienazioni.
Pare a noi quindi che la posizione gramsciana si stacchi da quella idealistica, diventi irriducibile all'idealismo, nello stesso modo in cui il Vico si staccava da ogni possibilità di ess[...]

[...]l carattere di rifiesso, di copia, che gli era assegnato dal realismo ingenuo è che corrispondeva ad un'epoca in cui il minor sviluppo delle scienze, la minore consapevolezza della capacità trasformatrice dell'azione politica e i limiti reali di questa, avevano certamente messo meno in rilievo il carattere creativo del conoscere, in un'epoca anzi in cui il conoscere (e cosí l'agire umano) era effettivamente meno creativo. Ciò che caratterizza il marxismo è che in esso giunge a piena maturità la coscienza del carattere creativo del conoscere e dell'agire, e viene superato quanto vi era ancora di astratto, di teologico, nell'affermazione idealistica della creatività del conoscere medesimo. $ in questo senso che « il movimento operaio è l'erede della filosofia classica tedesca D.
Ci pare che il merito di Gramsci stia proprio nell'aver colto questi aspetti decisivi del marxismo e di aver collocato ál punto giusto la storicità della coscienza, collegandola alla lotta per l'egemonia.
« La coscienza di esser parte di una determinata forza egemonica (cioè la coscienza politica) è la prima fase per una ulteriore e progres siva autocoscienza in cui teoria e pratica finalmente si unificano. Anche l'unità di teoria e pratica non è quindi un dato di fatto meccanico, ma un divenire storico, che ha la sua fase elementare e primitiva nel senso di ".distinzione ", di " distacco", di indipendenza appena istintivo, e progredisce fino al possesso reale e completo di una concez[...]

[...]ocesso storico che si compie faticosamente in lui stesso, l'unità della teoria e della pratica, consentono di affermare che non si filosofa fuori dal partito, fuori cioè da una vasta esperienza collettiva, storicamente formatasi e che storicamente si sviluppa, di pensiero e di azione. In ciò consiste il carattere di partito del filosofare.
Il rilievo che il partito viene ad assumere quando ci si muove lungo questa linea di sviluppo del pensiero marxista, ci pare essere una riprova della validità di questa linea medesima. Ci pare invece che ove si insista, conducendo la polemica antiidealistica, prima di tutto sul carattere di riflesso, di copia del conoscere, anziché sul suo carattere creativo, la funzione del partito si appiattisca.
A riprova dell'argomentazione che abbiamo svolto per dimostrare che il pensiero di Gramsci non può essere in alcun modo ridotto all'idealismo, poniamo un altro quesito. Lenin afferma: « unica " proprietà " deIla materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di essere[...]

[...]fermare l'indissolubile nesso tra soggetto e oggetto, l'impossibilità di una obiettività per sé. Del resto la stessa affermazione del conoscere come fatto sovrastrutturale è essa stessa sovrastrutturale.
« La filosofia della prassi è lo " storicismo " assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia. In questa linea è da scavare il filone della nuova concezione del mondo » 1.
Si obietterà che Marx ha chiaramente affermata la priorità dell'essere sulla coscienza e che nella concezione che noi difendiamo tale priorità pare ad un certo punto distruggersi nell'unità dell'uno e dell'altra.
Noi aggiungiamo che, nel tener presente la prefazione a Per la critica dell'economia politica, mai dobbiamo dimenticare la terza delle Glosse a Feuerbach, che afferma: « La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dall'ambiente e dall'educazione... dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato ».
Inoltre deve essere chiaro che l'[...]

[...]nità dell'uno e dell'altra.
Noi aggiungiamo che, nel tener presente la prefazione a Per la critica dell'economia politica, mai dobbiamo dimenticare la terza delle Glosse a Feuerbach, che afferma: « La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dall'ambiente e dall'educazione... dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato ».
Inoltre deve essere chiaro che l'essere di cui Marx parla è una realtà ben precisa e non piú l'« Essere » della metafisica: sono cioè i rapporti di produzione e di scambio. Sono cioè il risultato dell'opera dell'uomo
1 M. S., p. 159.
Luciano Gruppi 179
medesimo, sono storia; rapporti in cui l'uomo entra, è vero, senza consapevolezza, ma che tuttavia non esisterebbero senza un suo lavoro, il quale, a sua volta, deriva sempre da un certo grado di sviluppo della coscienza. Si tratta dunque di una priorità che non rompe il rapporto tra l'essere e la coscienza, ma che anzi viene constatata all'interno di questo rapporto medesimo 1. Anche qui dob[...]

[...]o è alla base del materialismo filosofico, è la possibilità di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza ». Abbiamo già detto della critica gnoseologica a cui, a nostro parere, questa proposizione deve essere sottoposta. Il quesito che si pone è perciò il seguente: se la materia non è una realtà obiettiva, esistente fuori dalla
i Se fosse altrimenti si ritornerebbe ancora una volta a quel dualismo di
pensiero che il marxismo vuole appunto superare.
2 M. S., p. 31.
180 1 documenti del convegno
nostra coscienza, a che si riduce il concetto di materia? Diremo che deve essere abbandonato il concetto di materia in senso generale e percid assoluto che ci riporta al materialismo metafisico. Diremo che ad ogni scienza spetta di definire la propria materia, vale a dire l'oggetto della propria ricerca. L'indagine non è infatti concepibile al di fuori di quell'indagine.
« E evidente che per la filosofia della prassi la " materia " non deve essere intesa né nel significato quale risulta dalle scienze naturali (fisica[...]

[...]erciò ridotta all'economia, ai rapporti di produzione e di scambio, ad una realtà storica che è opera dell'uomo, che può essere affermata in quanto l'uomo entra in rapporto con essa e la cui obiettività è dimostrata, nella pratica, dalla lotta per mutarla.
Qui direi si compie lo sforzo di Gramsci per uscire dal materialismo meccanico proprio mentre conduce la sua polemica contro l'idealismo, per sviluppare nel modo piú conseguente la concezione marxista della creatività del conoscere.
Pare a noi che Gramsci si ricolleghi all'elevata temperie filosofica del momento in cui il marxismo ruppe il cordone ombelicale con l'idealismo e con ogni forma di metafisica comunque mascherata. Gramsci si ricollega direttamente al momento altissimo delle Glosse a Feuerbach, la cui validità Marx ed Engels tennero sempre a confermare. Ritorna nella concezione di Gramsci la ricchezza, che pare inesauribile, della prima tesi e che cosí chiaramente afferma che l'oggetto deve essere concepito non solo come tale, ma « come attività sensibile umana, come attività pratica » . L'©g
1 M. S., p. 160.
Luciano Gruppi 181
getto deve essere concepito anche « soggettivamente ». Qui all'idealismo viene chiaramente rivendicato il merito — di fronte al materialismo di Feuerbach — di aver sviluppato il lato attivo del conoscere (mentre si critica naturalmente il carattere astratto che il conoscere ma[...]

[...]o anche « soggettivamente ». Qui all'idealismo viene chiaramente rivendicato il merito — di fronte al materialismo di Feuerbach — di aver sviluppato il lato attivo del conoscere (mentre si critica naturalmente il carattere astratto che il conoscere mantiene nell'idealismo). Qui Feuerbach viene criticato perché non concepisce la attività umana medesima come « oggettiva ».
Nel fatto che Gramsci si mantenga al livello di questo filone del pensiero marxista va ricercata la sostanza leninista della sua concezione, il suo conseguente leninismo. Esso risiede nella capacità di comprendere — aI di là e grazie anche alla sua polemica con una serie di proposizioni filosofiche di Lenin — come il concetto leninista di egemonia consenta di superare radicalmente ogni determinismo economico, in filosofia, come ogni massimalismo, che in politica impacci la funzione egemone della classe operaia. È grazie anche a tutto ciò che Gramsci è riuscito a trarre tanto frutto dalla concezione leninista dell'egemonia.



da Recensione di Diego Lanza su Raymond Williams, Marxismo e letteratura, Bari, Laterza, 1979, pp. 288 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: RECENSIONI 741
RAYMOND WILLIAMS, Marxismo e letteratura, Bari, Laterza, 1979, pp. 288.
Per Marx, ricorda Williams, « tutta la teoria `separata' è ideologia, mentre la teoria genuina — la `conoscenza reale positiva' — è l'articolazione della `coscienza pratica' » (p. 94). Questa opposizione, anche se stinta col tempo e spesso volontariamente cancellata dalla stessa tradizione del pensiero marxista, esercita su Williams un forte fascino. Fascino inquietante, perché Williams sa bene che tutta la sua riflessione non può non essere `separata', né d'altra parte è personaggio da ripiegare sul consolante ossimoro di una `pratica teorica'.
Tutto il suo libro, che Laterza ha fatto bene a offrire al pubblico italiano in tempi brevi, vive in questa contraddizione: fare i conti con la tradizione senza la sicurezza di un'ottica che solo una diversa coscienza pratica collettiva potrebbe offrire. Cosí le riflessioni di Williams assumono il tono e le cadenze del discorso a se stesso, della discus[...]

[...]flessioni di Williams assumono il tono e le cadenze del discorso a se stesso, della discussione del proprio itinerario intellettuale, come egli dichiara nella vivace intro
duzione autobiografica.
Qui Williams ricorda i momenti essenziali di un percorso culturale, in cui giungono a saldarsi e a interrogarsi reciprocamente una preparazione letteraria professionale ed una per cosí dire privata consuetudine con la politica e in particolare con il marxismo. Non mancano naturalmente i nomi classici, da Lukács a Brecht, da Sartre a Goldmann e ad Althusser, fino al recupero, senza dubbio di grande importanza per Williams, di Gramsci, Adorno, Benjamin. Quel che caratterizza però Williams, e il suo stile di pensiero, è l'evoluzione del marxismo inglese dallozdanovismo ortodosso degli anni nei quali egli percorreva i primi passi del suo curriculum accademico, fino al New Left e all'acribia spregiudicata e insieme un po' nostalgica degli intellettuali separati da qualsiasi organizzazione di massa.
Il libro, ho detto, può leggersi come un monologo teorico: le punte vi appaiono sempre smussate, i dissensi smorzati; sul rifiuto polemico e intransigente prevale la pacata considerazione che sa valorizzare ogni esperienza teorica esaminata, ne sa trarre un utile per il quadro complessivo della discussione. La `e' del titolo non segna p[...]

[...]o di sistematore, ma piuttosto di indagatore insoddisfatto, di suscitatore di dubbi, di decostruttore di troppo immediate ovvietà. Dubbi, questioni, interrogativi che tutti si riconducono al nodo centrale cui ho accennato all'inizio: come è possibile un pensiero teorico che non sia completamente `separato' e quindi corporativo, irrimediabilmente conservatore, a dispetto di ogni camuffamento di novità?
Questo dunque il quadro, non di un'estetica marxista, vecchia o apparentemente nuova, ma delle condizioni di pensabilità della produzione culturale, e di quella specifi
742 RECENSIONI
camente letteraria, all'interno di un progetto, marxista, di rinnovamento. A segnare con chiarezza questo interesse dominante stanno le acute notazioni di Williams sulla dialettica tra passato e presente, tra considerazione « scientifica » di qualche cosa che è già concluso e qualche cosa che è ancora aperto, in cui ci troviamo a vivere e ad operare. Questa dialettica può essere indagata sotto diversi aspetti: sociale vs individuale, oppure struttura vs sovrastruttura. Williams non accetta questa rigida contrapposizione che reifica processi storici estremamente fluidi. La polemica, pur smorzata almeno formalmente, colpisce sempre l'affollata tr[...]

[...]erazione « scientifica » di qualche cosa che è già concluso e qualche cosa che è ancora aperto, in cui ci troviamo a vivere e ad operare. Questa dialettica può essere indagata sotto diversi aspetti: sociale vs individuale, oppure struttura vs sovrastruttura. Williams non accetta questa rigida contrapposizione che reifica processi storici estremamente fluidi. La polemica, pur smorzata almeno formalmente, colpisce sempre l'affollata tradizione del marxismo accademico e le sue desolanti sicurezze. A conclusione di una non sempre facile riflessione sul linguaggio, Williams, ampliando i termini del discorso, annota: « Allo stesso tempo, seguendo Volosinov, possiamo renderci conto di come — proprio allo stesso modo che il processo sociale altro non è che un'attività tra individui reali —l'individualità sia — in funzione dello stesso fatto squisitamente sociale del linguaggio (sia esso discorso `esteriore' o `interiore') — il fondamento attivo, tra esseri fisicamente distinti, della capacità sociale, il mezzo di realizzazione di ogni vita indivi[...]

[...] `interiore') — il fondamento attivo, tra esseri fisicamente distinti, della capacità sociale, il mezzo di realizzazione di ogni vita individuale. In questo senso preciso, la coscienza è essere sociale, è il possesso — tramite lo sviluppo di rapporti sociali attivi e specifici — di una precisa capacità sociale che è appunto il `sistema di segni' » (p. 55).
Williams individua lucidamente nella socialità della coscienza individuale il superamento marxiano dell'opposizione di interioreesteriore, soggettivooggettivo, superamento che si attua nella concretezza del processo storico e non nella proiezione metafisica dell"assoluto'. È quindi comprensibile che egli ritorni con insistenza su questo nodo: « Questa versione del marxismo », scrive ancora, « trascura in particolare il fatto che `pensare' e `immaginare' sono fin dall'inizio processi sociali (comprendendo naturalmente anche quella capacità di `interiorizzazione' che è parte necessaria di ogni processo sociale tra individui reali) e divengono accessibili solo in modo indiscutibilmente fisico e materiale » (p. 83).
Qui si trovano le premesse per affrontare anche la pM generale questione del configurarsi sociale e della funzionalità assegnata alla produzione culturale, condizione necessaria, sia essa esplicitamente o implicitamente definita, di qualsiasi eserc[...]

[...]rovano le premesse per affrontare anche la pM generale questione del configurarsi sociale e della funzionalità assegnata alla produzione culturale, condizione necessaria, sia essa esplicitamente o implicitamente definita, di qualsiasi esercizio di critica letteraria.
Williams non ha dubbi: « L'astrazione comune di `struttura' e `sovrastruttura', altro non è, dunque, che l'ostinato conservarsi proprio di quelle stesse forme di pensiero che egli [Marx] attaccava; e che a ciò egli abbia finito per dare un certo grado di sanzione — nel corso di altre argomentazioni, e date le difficoltà intrinseche a ogni formulazione di tal fatta —, è indubbiamente vero; ma è anche significativo il fatto che, ogni volta che Marx s'è impegnato in un'analisi approfondita, o ha individuato la necessità di siffatta analisi, abbia dimostrato al tempo stesso flessibilità e specificità nell'uso dei suoi stessi termini » (pp. 1034). Si è citata per esteso questa pagina perché, al di là della sua importanza specifica per illuminare un importante passaggio dell'argomentazione di Williams, chiarisce bene lo stile intellettuale dell'autore, il suo genuino desiderio di indagine, mai paralizzato dall'osservanza sacerdotale ad un presupposto testo sacro. Marx è studiato, non soltanto citato. E la validità del suo pensiero è da Will[...]

[...] di siffatta analisi, abbia dimostrato al tempo stesso flessibilità e specificità nell'uso dei suoi stessi termini » (pp. 1034). Si è citata per esteso questa pagina perché, al di là della sua importanza specifica per illuminare un importante passaggio dell'argomentazione di Williams, chiarisce bene lo stile intellettuale dell'autore, il suo genuino desiderio di indagine, mai paralizzato dall'osservanza sacerdotale ad un presupposto testo sacro. Marx è studiato, non soltanto citato. E la validità del suo pensiero è da Williams dimostrata e non presupposta.
Cosí egli distingue con molta chiarezza tra determinazione e determinismo, indicandone non solo la diversità, ma l'appartenenza ad opposti stili di pensiero: « Fu cosí che, con amara ironia, una dottrina critica e rivoluzionaria, si mutò — non solo in pratica, ma anche a questo livello di principio — in quelle vere e proprie forme di
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acquiescenza e reificazione contro cui un senso alternativo di `determinazione' s'era proposto di operare » (p. 114). Perché? Perché, cos[...]

[...] l'appartenenza ad opposti stili di pensiero: « Fu cosí che, con amara ironia, una dottrina critica e rivoluzionaria, si mutò — non solo in pratica, ma anche a questo livello di principio — in quelle vere e proprie forme di
RECENSIONI 743
acquiescenza e reificazione contro cui un senso alternativo di `determinazione' s'era proposto di operare » (p. 114). Perché? Perché, cosí facendo, si rimuove proprio il significato fondamentale della critica marxiana alla presunzione borghese di impermeabilità tra sociale e individuale, tra materiale e spirituale. Il senso del materialismo marxista non consiste per Williams nel rovesciamento del rapporto gerarchico di dipendenza, che conserva intatta la visione di una realtà rigidamente bipartita, ma al contrario nell'indicazione critica di come la realtà nella sua concretezza materiale sia profondamente unitaria, articolata, dialettica. Perciò Williams annota: « La subordinazione di tutte le attività umane (fatte salve alcune attività definite `personali' o `estetiche') alle modalità e alle norme delle istituzioni capitalistiche entrò sempre piú nella pratica. I marxisti, con l'insistere su quest'aspetto e con il denunciarlo, cadde[...]

[...]ndenza, che conserva intatta la visione di una realtà rigidamente bipartita, ma al contrario nell'indicazione critica di come la realtà nella sua concretezza materiale sia profondamente unitaria, articolata, dialettica. Perciò Williams annota: « La subordinazione di tutte le attività umane (fatte salve alcune attività definite `personali' o `estetiche') alle modalità e alle norme delle istituzioni capitalistiche entrò sempre piú nella pratica. I marxisti, con l'insistere su quest'aspetto e con il denunciarlo, caddero in un'ambiguità pratica, poiché in realtà l'insistenza costante fini per diluire la protesta. Si sente spesso ripetere che l'insistenza fu `troppo materialista', un 'materialismo volgare', quando invece la verità è che non fu mai abbastanza materialista » (p. 122). Che Williams abbia ragione si potrebbe mostrare facilmente. La rigida contrapposizione di struttura e sovrastruttura non solo appare rassicurante nella ricostruzione storiografica, offrendo una ricetta sicura ad ogni indagine, ma è soprattutto consolatoria dell'imm[...]

[...]tturata e la forma piú spesso a portata di mano è 1"ideologia' o la `visione del mondo', che è già palesemente — se pure in modo astratto — strutturata » (p. 141). In altri termini, la realtà sociale viene letta alla luce di un sistema di valori che essa stessa ha prodotto come immagine di sé. La coerenza dell'omologia è quindi meramente formale, la sua ricostruzione esclusivamente descrittiva. Si disattende perciò la pur ostentata avvertenza di Marx che altro è quel che una società è, altro quel che fa credere di essere.
La lezione di Goldmann non appare tuttavia inutile. Williams, come già ho detto, è maestro nel sostituire una scontata, e in fondo vana, polemica con una coerente, non
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eclettica, utilizzazione dei segmenti teorici analizzati. In questo caso la ricostruzione di sistemi di omologia diventa utile quando la si assuma nel quadro di riflessione teorica sull'egemonia. In ogni società v'è un sistema ideologico dominante, che tende a presentarsi come omologo alla struttura sociale; meglio: che pretende di essere[...]

[...]afica. Williams cita la celebre lettera di Engels a Bloch sulla complessità degli avvenimenti storici: « Se cosí non fosse », conclude Engels « l'applicazione della teoria ad un periodo qualunque della storia risulterebbe piú facile della soluzione di una semplice equazione di primo grado » (p. 106). Bisogna riconoscere che di siffatte equazioni, logoranti esercizi scolastici, è costellata la storia di una critica che ha sempre amato proclamarsi marxista, ma che non è mai stata inquietata dall'urgenza di mutare la propria immagine scoprendo e conquistando il proprio passato e non soltanto proiettandovi sopra la lunga ombra malinconica della sua banalità quotidiana, con lo scambiare per universale quel che è soltanto ossessivamente ripetitivo.
DIEGO LANZA


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Marx, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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