Brano: LA METODOLOGIA DEL MARXISMO
NEL PENSIERO DI ANTONIO GRAMSCI
Questo titolo — « la metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci » — potrebbe dar luogo ad un equivoco che è bene eliminare subito. Si potrebbe, cioè, essere indotti ad attribuirci l'intento di ricostruire ciò che è essenziale, filosoficamente, nel pensiero di Gramsci, quale uno sforzo di intendere e interpretare il marxismo alla stregua di una pura o mera metodologia (salvo, naturalmente, a vedere di che cosa esso sarebbe la metodologia).
Tentativi di questo genere, nei riguardi del marxismo, furono fatti, com'è noto, nel passato ed hanno tutta una storia che non sarebbe punto lecito giudicare e tanto meno liquidare in blocco e in astratto, cioè indipendentemente dal contesto di problemi e di indirizzi ideali, e dalle concrete situazioni culturali, in cui sorgevano. Si tratta, apparentemente, di una questione vecchia, ed a qualcuno verrà fatto di ricordare come il Croce, nei suoi scritti intorno al marxismo della fine del secolo, addirittura negasse che il marxismo, o più esattamente il « materialismo storico » (con la quale designazione si tendeva allora a comprendere tutta la dottrina) fosse da considerare un « metodo », nel mentre che gli toglieva anche il carattere di « teoria », riducendolo a empirico « canone d'interpretazione storica » (1). Ove, allo storico delle idee, soprattutto interessa la convergenza delle due negazioni, che appare sintomatica di un certo atteggiamento di pensiero in formazione. Infatti più tardi il Croce verrà identificando la « teoria », anzi, la filosofia (tutta la filosofia, cioè la sua filosofia) con la « metodolog[...]
[...]a anche il carattere di « teoria », riducendolo a empirico « canone d'interpretazione storica » (1). Ove, allo storico delle idee, soprattutto interessa la convergenza delle due negazioni, che appare sintomatica di un certo atteggiamento di pensiero in formazione. Infatti più tardi il Croce verrà identificando la « teoria », anzi, la filosofia (tutta la filosofia, cioè la sua filosofia) con la « metodologia della storia ». Quell'abbassamento del marxismo da « metodo » a « canone » conteneva, a fortiori, anche la negazione (con
(1) B. CROCE, Materialismo storico ed economia marxistica, Bari, 19275 (Cfr. particolarmente le pp. XI, .9, 13, 15, 79, 86, 111).
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tro il Labriola con cui Croce era in discussione) che esso fosse una « filosofia », ossia una autonoma concezione delle realtà (2).
Nel clima filosofico odierno la parola « metodologia » si presenta carica di nuove suggestioni e riferimenti determinati a dottrine e tendenze filosofiche che erano ancora poco sviluppate negli anni di Gramsci e comunque, allora, inoperanti in Italia. Si tratta di interessi sorti su un terreno diverso da quello della ricerca storica e delle scienze umane (politica[...]
[...]no, anche nel nostro paese, buona parte delle giovani generazioni degli specialisti di filosofia, dovrebbe essere a ciò particolarmente favo
(2) Op. cit., p. 90.
(3) A. GRAMSCI, II materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, p. 136. II passo è, caratteristicamente, citato da Ludovico Geymonat nel saggio Caratteri e problemi della nuova metodologia (in Saggi di filosofia neorazionalista, Torino, 1953, pp. 7374).
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revole. Indubbiamente quegli spunti sono indicativi di alcuni fra gli interessi più originali di Gramsci (4). Essi tuttavia non sono isolabili, se li si vuole intendere e non fraintendere, se non si vuole commettere cioè una sopraffazione intellettuale, dalla metodologia del marxismo come vive ed opera in Gramsci: cioè del procedimento effettivo con cui egli elabora i concreti problemi di cui si occupa. Rilevare questa effettiva, esplicita o implicita, metodologia, é il primo compito; ed é ciò a cui qui si cerca di recare un contributo.
Ora, proprio a questo punto potrebbe sorgere l'equivoco a cui mi riferivo in principio. Conviene perciò dichiarare subito che il marxismo non è per Gramsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » (5). Il momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente, nel pensiero di Gramsci, e non sono separabili senza grave deformazione. Non si tratta solo della prova che di ciò si può ricavare da innumerevoli passi citabili, ma del nesso profondo, organico, del suo pensiero.
Vorrei richiamare qui, per un[...]
[...] (di quell'ideale lo Husserl veniva da tempo elaborando e applicando il metodo). Ricordo ciò perché quella tesi ci appare storicamente annunciatrice di tanti successivi indirizzi e procedimenti concettuali (penso non solo alla fenomenologia husserliana, ma alle correnti, di assai diversa origine, che appunto amano chiamarsi «metodologiche») (7) che si sono immensamente dilatati, che oggi campeggiano largamente nel mondo filosofico e coi quali il marxismo non può non trovarsi in discussione.
Ora è interessante notare, mi sembra, che in Gramsci si trova, e tutt'altro che accidentalmente, una concezione del filosofo la quale contiene una risposta a quell'atteggiamento. Si tratta proprio del « filosofo », non in un senso generico, ma nel senso professionale. Gramsci, che è stato critico così severo ed acuto della storia della filosofia elaborata, come avviene tradizionalmente, sulla linea dei «filosofi individuali » e della successione dei loro sistemi, non manifesta per il filosofo professionale il disprezzo pregiudiziale di cui si compiacq[...]
[...]ezza » (Weisheit, Weltweisheit),
(7) Cfr. I. M. BOCHENSKt, Europäische Philosophie der Gegenwart, Bern 1951, p. 32. « Sowohl die mathematische Logik als auch die Phänomenologie sind vor allem Methoden, nicht inhalhiche Lehren. Beide sind aus einer Besinnung auf die Grundlagen der Wissenschaften hervorgegangen und versuchen, diese durch eine rationale Methode neu zu begründen ».
(8) Il materialismo storico ecc., cit., p. 24.
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chiamare filosofia ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni concezione del mondo e della vita ». Siamo sul terreno, potremmo dire, almeno come atteggiamento di
fondo, delle odierne filosofie metodologiche. « Tuttavia aggiun
ge Gramsci — c'è una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvicina più agli altri uomini di ciò che avvenga per gli altri specialisti. L'aver fatto del filosofo specialista una figura simile, nella scienza, agli altri specialisti, é appunto ciò che ha determinato la carica[...]
[...] gli operai di Torino, di cui sappiamo, o con i compagni di persecuzione, di confino e di carcere (fino a quando gli fu possibile), che egli veniva istruendo idealmente e politicamente, di cui veniva formando la personalità di quadri rivoluzionari del partito della classe operaia. Non è una notazione marginale che si intende qui fare, ma tale, mi sembra, che ci avvicina a comprendere il modo in cui Gramsci concretamente concepiva l'efficacia del marxismo, e che ha significato universale. «Formare la personalità » significa, ci dice Gramsci, dar « coscienza dei rapporti in cui si entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volontario » : poiché si tratta di modificarli. « L'uomo attivo di massa — egli scrive (e va sottolineato il termine «attivo») — opera praticamente, ma
(10) Op. cit., p. 4.
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non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasfo[...]
[...] universale. «Formare la personalità » significa, ci dice Gramsci, dar « coscienza dei rapporti in cui si entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volontario » : poiché si tratta di modificarli. « L'uomo attivo di massa — egli scrive (e va sottolineato il termine «attivo») — opera praticamente, ma
(10) Op. cit., p. 4.
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non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma ». Ed aggiunge: « La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto col suo operare » (11).
L'operare praticamente, che già richiede in se stesso un conoscere, é il punto di leva e di riferimento (« una lotta di classe che già esiste », avevano detto di « esprimere » i fondatori del marxismo nel Manifesto) per la modificazione della « concezione del mondo » (della «coscienza teorica »), onde portarla a coerenza con le esigenze e i presupposti di quell'operare, innalzandola a un livello superiore, quello appunto della coerenza e consapevolezza critica, prodotte dall'analisi dei rapporti storici e sociali in cui si opera. E' molto interessante il modo in cui Gramsci collega questi concetti con l'intento educativo che aveva presente. Quei rapporti « importa conoscerli geneticamente, nel loro modo di formazione, perché ogni individuo non solo é la sintesi dei rapporti esistenti m[...]
[...]ta tesi col detto famoso del « proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca », detto che, naturalmente, ha assunto un significato estensivo, generale, per il proletariato rivoluzionario. Gramsci si guarda bene dal prendere questo motto quasi un emblema, un blasone, come spesso superficialmente e retoricamente è stato fatto, ma cerca di comprenderne ed elaborarne il significato. Ed uno dei significati f ondamentali è questo: che il marxismo, proprio in quanto è filosofia, ossia « concezione del mondo », quella concezione del mondo che tende ad unificare coerentemente innanzi tutto la coscienza della classe rivoluzionaria nella sua azione collettiva, è, per questa sua intrinseca natura, filosofia di massa (« concezione di massa », « concezione unitaria di massa »). Non in un senso, naturalmente, deteriore e antiscientifico, o sottoscientifico, ma in un senso nuovo e rivoluzionatore del concetto tradizionale di « filosofia ». (E certo tale espressione potrà fare arricciare il naso a chi non sa staccarsi da quest'ultimo). Ossia[...]
[...]nale di « filosofia ». (E certo tale espressione potrà fare arricciare il naso a chi non sa staccarsi da quest'ultimo). Ossia, è una filosofia che, nella storica concretezza del suo svolgimento, attinge dal movimento delle masse, dalle esperienze di esso e della sua direzione, la sua stessa ragione di essere e gli elementi del proprio sviluppo critico. Ma questo fatto, ossia questo legame fra la coscienza in trasformazione di
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grandi masse umane e la criticità filosofica (che naturalmente ha molteplici gradi ed elementi di mediazione) è un fatto assolutamente nuovo e rivoluzionario nella storia, il quale modifica le dimensioni stesse del filosofare (introducendo in esso quello che potremmo dire un nuovo parametro, un coefficiente ulteriore che muta i precedenti rapporti) e con ció trasforma anche la figura tradizionale del filosofo individuale, per dar luogo a quello che Gramsci chiama « il filosofo democratico », cioè al « filosofo convinto — com'egli dice — che la sua personalità non sia limitata al prop[...]
[...]ziate o autoannunziate, del filosofare (o della cultura) in quest'ultimo secolo,
dopo Hegel, a parte i contenuti dottrinali, hanno la loro radice reale e trovano una loro spiegazione nella situazione indicata da Gramsci in queste parole,
Questo fatto nuovo e rivoluzionario del presentarsi nella storia umana di una filosofia critica e scientifica come filosofia di massa, come « concezione unitaria di massa », è ci() onde Gramsci caratterizza il marxismo, in quanto movimento reale e inteso nella
sua potenzialità di svolgimento, quale « riforma popolare dei tempi moderni»: nel senso di « riforma intellettuale e morale ». Nel
(13) Op. cit., p. 27.
(14) Passato e presente, p. 30.
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qual termine « riforma », evidentemente, non vi é nulla di contrapposto a « rivoluzione 2.; non vi é neppure la più lontana sfumatura di riformismo. È una riforma che ha come propria origine e contenuto appunto quel fatto nuovo e rivoluzionario, il quale prima di indirizzarsi a dirigere il movimento reale delle masse lo riflette ed esprim[...]
[...]a assume prima e dopo la conquista stabile del potere da parte della. classe rivoluzionaria. Il significato specifico e globale di tale « riforma » é per Gramsci, indubbiamente, quello di una radicale rivoluzione culturale. E tuttavia, a mio avviso, egli ha utilmente adottato questo termine di « riforma », non solo e non tanto perché si tratta di un momento diverso da quello della rivoluzione politica e nei rapporti di produzione (i classici del marxismo si sono sempre preoccupati, in generale, di mettere in luce la differenza di ritmo fra il movimento strutturale e i movimenti delle sopra strutture e, in questi ultimi, fra quanto accade sul piano degli eventi politici e le più lente trasformazioni delle coscienze, del costume ecc.), ma perché in esso si indica meglio l'aspetto educativo, ossia l'efficacia di un'azione costante, espansiva, razionalmente diretta, sulle coscienze, in connessione, naturalmente, alla lotta politica e alla rivoluzione e trasformazione dei rapporti sociali. La « riforma » nelle idee e nelle coscienze é qualcosa[...]
[...]nte alla rivoluzione politica e sociale,. ma essa deve venire operata e perseguita attivamente e consapevolmente da chi dirige (e comprende tanto la fase prerivoluzionaria e prestatale, quanto quella postrivoluzionaria e statale, con le grandi differenze fra l'una e l'altra). Gramsci ha sentito molto acutamente la complessità dei problemi che si propongono ad una classe subalterna quando essa si trasforma in classe autonoma e
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dirigente: « dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone — egli dice — nasce concretamente l'esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale» (15). Nel quadro di tali questioni, strettamente saldato al l'interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comunismo come movimento reale: il nesso fra dirigenti e diretti, governanti e governati, educatori ed educati, su cui egli ripetutamente ritorna.
Ma quella nozione gramsciana del [...]
[...]ostruire un nuovo ordine intellettuale e morale» (15). Nel quadro di tali questioni, strettamente saldato al l'interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comunismo come movimento reale: il nesso fra dirigenti e diretti, governanti e governati, educatori ed educati, su cui egli ripetutamente ritorna.
Ma quella nozione gramsciana del marxismo come a riforma intellettuale e morale » di massa ha anche un altro campo di validità. Essa collega idealmente il comunismo, inteso appunto come movimento reale, ad altri fenomeni storici di un certo tipo, consentendo di cogliere gli elementi di analogia e di segnare nello stesso tempo le radicali differenze (essa serve perciò tanto alla metodologia storiografica quanto alla 'prospettiva o previsione del futuro, nella cui elaborazione entriamo come parte attiva e volontaria). Vi sono state infatti nella storia altre riforme intellettuali e morali di massa, che avevano profonde radici socia[...]
[...]nomica e politica, il problema della loro unificazione culturale, coinvolge, in un orizzonte più ampio, quello della unificazione culturale di tutti gli uomini. E l'orizzonte, virtualmente universale, di svi
(15) II materialismo storico ecc., cit., p. 80.
(16) Cfr. op. cit., p. 86.
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luppo e di dilatazione della società socialista e comunista, onde Lenin aveva scritto (1913) che « il punto essenziale della dottrina di Carlo Marx è l'interpretazione della funzione storica mondiale del proletariato come creatore della società socialista ».
Ciò riguarda, in modo non estrinseco ma intimo, la natura della filosofia marxista, che è prima di ogni altra cosa, la teoria rivoluzionaria della classe operaia e si rivolge innanzi tutto ad essa (Marx, Engels, Lenin, si preoccuparono sempre molto dell'educazione « teorica » degli « operai coscienti » e ne curarono attentamente i progressi, anche di piccoli gruppi), ma che assegna nel medesimo tempo alla rivoluzione proletaria un significato universale di riscatto dell'integrale umanità dell'uomo, dilacerata dalla divisione della società in classi antogoniste, le quali fondano la loro esistenza su « sistemi di sfruttamento » del lavoro, succedentisi storicamente. Integrale umanità dell'uomo che non è intesa nel marxismo (a differenza dei precedenti umanesimi, religiosi o no) come un dato me[...]
[...]ca » degli « operai coscienti » e ne curarono attentamente i progressi, anche di piccoli gruppi), ma che assegna nel medesimo tempo alla rivoluzione proletaria un significato universale di riscatto dell'integrale umanità dell'uomo, dilacerata dalla divisione della società in classi antogoniste, le quali fondano la loro esistenza su « sistemi di sfruttamento » del lavoro, succedentisi storicamente. Integrale umanità dell'uomo che non è intesa nel marxismo (a differenza dei precedenti umanesimi, religiosi o no) come un dato metafisico od originario da ripristinarsi, ma come una esigenza posta in forma determinata dallo svolgimento storico, come un fine e un punto di arrivo (neppur esso, naturalmente, da intendersi in senso assoluto o metafisico). «L'umano è un punto di partenza o un punto di arriva, come concetto e fatto unitario? », si chiese Gramsci. « In quanto posto come punto di partenza » la ricerca stessa di esso non è, egli risponde, che « un residuo ' teologico ' e ' metafisico ' » (17). Proprio per questo la concezione marxista «c[...]
[...]osta in forma determinata dallo svolgimento storico, come un fine e un punto di arrivo (neppur esso, naturalmente, da intendersi in senso assoluto o metafisico). «L'umano è un punto di partenza o un punto di arriva, come concetto e fatto unitario? », si chiese Gramsci. « In quanto posto come punto di partenza » la ricerca stessa di esso non è, egli risponde, che « un residuo ' teologico ' e ' metafisico ' » (17). Proprio per questo la concezione marxista «che ' la natura umana' sia il ' complesso dei rapporti sociali' è la risposta piú soddisfacente — dice Gramsci — perché include l'idea del divenire: l'uomo di viene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e perché nega l'uomo in generale: infatti i rapporti sociali sono espressi da diversi gruppi di uomini che si presuppongono, la cui unità è dialettica, non formale ». E ancora precisa: « Si può anche dire che la natura dell'uomo è la 'storia' se appunto si dà a storia il significato di ' divenire', in una ' concordia discors' che non parte dall'unità, ma ha in sé le rag[...]
[...]li, e perché nega l'uomo in generale: infatti i rapporti sociali sono espressi da diversi gruppi di uomini che si presuppongono, la cui unità è dialettica, non formale ». E ancora precisa: « Si può anche dire che la natura dell'uomo è la 'storia' se appunto si dà a storia il significato di ' divenire', in una ' concordia discors' che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile ».
(17) Op. cit., p. 31.
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Perde allora senso, dal punto di vista marxista, — attraverso questa negazione dell'uomo in generale — la domanda « che cosa è l'uomo » ? All'opposto, possiamo dire: essa acquista un significato concreto che è un significato di movimento, o svolgimento consapevole, e come tale essa, potremmo aggiungere, è indirizzante, pratica, regolativa. « Se ci pensiamo — scrive Gramsci — vediamo che ponendoci la domanda che cosa è l'uomo, vogliamo dire: che cosa l'uomo può diventare, se cioè l'uomo può dominare il proprio destino, può ' farsi', può crearsi un vita ». Quella domanda « è nata da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri [...]
[...] noi stessi ', della nostra vita, del nostro destino (18). E ciò vogliamo ' oggi' nelle condizioni date oggi, della vita ' odierna ' e non di qualsiasi vita e di qualsiasi uomo » (19).
Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell'uomo in storia (« l'uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti »), sia pure intesa la storia, come si è visto, in un senso « non formale », vada perduta la componente naturalistica del marxismo. E tuttavia questa sarebbe un'interpretazione assai unilaterale, perché incompleta (e diverrebbe tendenziosa), del pensiero di Gramsci. Una volta egli, trovandosi ad adoperare l'espressione « genere umano » (« storia del genere umano ») si ferma a chiosarla, osservando: « fatto che si adoperi la parola ' genere', di carattere naturalistico, ha il suo significato » (20). Che cosa intendeva qui dire Gramsci ? Egli ha respinto risolutamente, nel medesimo contesto, l'idea che « l'unità del genere umano » possa esser « data
(18) Ma nello stesso tempo Gramsci ne esamina subito anche le radici [...]
[...]to, da speciali, cioè determinati modi di considerare la vita e l'uomo. Il più importante di questi modi è la "religione" ed una determinata religione, il cattolicismo ».
(19) Op. cit., p. 27. Queste ultime parole di Gramsci potrebbero richiamare alla mente il « wir fragen jetzt, hier, für uns » dello Heidegger. Anche eisgenze presentate in forma speculativa e unilaterale nell'esistenzialismo possono trovare il loro luogo concreto nell'umanismo marxista.
(20) Op. cit., p. 31.
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dalla natura ' biologica ' dell'uomo ». Gramsci osserva che « le dif ferenze dell'uomo che contano nella storia non sono quelle biologiche » e che «neppure ' l'unità biologica' ha mai contato gran che nella storia » (21). E tuttavia, ripetiamo, il « carattere naturalistico » dell'espressione genere umano ha per lui «il suo significato ». II fatto é che Gramsci non pensa neppur lontanamente a negare l'esistenza di quella unità (o comunità) biologica dell'uomo, comunque prodottasi, bensì la sua incidenza rilevante nella storia umana. La naturali[...]
[...] ha mai contato gran che nella storia » (21). E tuttavia, ripetiamo, il « carattere naturalistico » dell'espressione genere umano ha per lui «il suo significato ». II fatto é che Gramsci non pensa neppur lontanamente a negare l'esistenza di quella unità (o comunità) biologica dell'uomo, comunque prodottasi, bensì la sua incidenza rilevante nella storia umana. La naturalità dell'uomo, in senso puramente biologico, è per Gramsci, come per tutto il marxismo, soltanto un presupposto della storia umana. Non può esser cercata li quell'unità dell'umano che sta dinanzi a noi come un obiettivo, posto dallo svolgimento storico. Ma, d'altronde, quel « presupposto » della storia (umana) non è, sotto un altro riguardo, inoperante in essa. Potremmo dire: non più in quanto oggetto della biologia (che appunto astrae, considerando l'uomo, dallo svolgimento della sua storica socialità), ma in quanto oggetto della economia politica, ossia di una scienza storicoumana, che il marxismo, in quanto ne ha fatto la « critica », ha integralmente storicizzato. Sotto[...]
[...]rcata li quell'unità dell'umano che sta dinanzi a noi come un obiettivo, posto dallo svolgimento storico. Ma, d'altronde, quel « presupposto » della storia (umana) non è, sotto un altro riguardo, inoperante in essa. Potremmo dire: non più in quanto oggetto della biologia (che appunto astrae, considerando l'uomo, dallo svolgimento della sua storica socialità), ma in quanto oggetto della economia politica, ossia di una scienza storicoumana, che il marxismo, in quanto ne ha fatto la « critica », ha integralmente storicizzato. Sotto tale aspetto l'uomo rimane pur sempre, insuperabilmente, natura, ma di una naturalità ormai inglobata nella storicitàsocialità umana e funzione di essa. E tuttavia (contro ogni idealismo), un momento irriducibile di questa. Questa é la posizione integralmente marxista; e qui, ci sembra, é il più rigoroso fondamento materialistico del marxismo, Scrive Marx nel Capitale: « La tecnologia rivela il comportamento attivo dell'uomo verso la natura, l'immediato processo di produzione della sua vita, e quindi anche dei rapporti del suo vivere sociale e delle rappresentazioni spirituali che ne scaturiscono » (22). Questa posizione ci riporta, per il suo contenuto, alla rivoluzione filosoficometodologica compiuta da Marx e da Engels negli anni fra il 1843 e il 1846, e che li condusse alla conquista del « materialismo storico ». Tale posizione, in quel medesimo passo
(21) a Neanche "la facoltà di ragionare" o lo "spirito" — aggiunge Gramsci — ha creato unità e può esser riconosciuto come fatto "unitario", perché concetto solo formale, categorico D.
(22) K. MARx, 11 capitale, Vol. I, Sez. IV, n. 89.
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del Capitale, Marx la contrappose allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « portavoce » di siffatto materialismo, nonché le correlative « rappresentazioni astratte e ideologiche » che essi mettono fuori « non appena si arrischiano al di là della loro specialità »). Questa é anche la posizione di Gramsci: «L'umanità che si riflette in ogni individualità é composta di diversi elementi: 1) l'individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e 3° elemento non sono così semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti [...]
[...]n sono così semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Così l'uomo non entra in rapporti con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica » (23).
A chi ben guardi questa posizione (che abbiamo riscontrato in Marx e in Gramsci) comporta la centralità del materialismo storico nella filosofia marxista. Ossia, la centralità della considerazione dell'uomo nel suo nesso permanente e attivo con la natura (dal cui svolgersi e complicarsi storico si sviluppa tutta la storia sociale umana), come dell'unico punto di partenza concreto che possediamo per ogni altra considerazione sul reale. E' il punto di partenza teorizzato riassuntivamente, ma incisivamente, da Marx nelle undici tesi su Feuerbach (testo capitale per Gramsci) e il cui principio gnoseologico fu espresso da Lenin come « criterio della prassi ». Ma qui conviene essere molto chiari, perché quanto stiamo dicendo contiene un preciso elemento polemico. Non sembrano conciliabili con questa posizione a cui Gramsci é fedele (e la riteniamo l'unica rigorosamente critica, oltreché corrispondente alla stessa genesi storica della dottrina) quelle forme di esposizione del marxismo, ancorché compiute a scopi didascalici, nelle quali il « materialismo storico » appare, secondo una implicita logica classif[...]
[...]i su Feuerbach (testo capitale per Gramsci) e il cui principio gnoseologico fu espresso da Lenin come « criterio della prassi ». Ma qui conviene essere molto chiari, perché quanto stiamo dicendo contiene un preciso elemento polemico. Non sembrano conciliabili con questa posizione a cui Gramsci é fedele (e la riteniamo l'unica rigorosamente critica, oltreché corrispondente alla stessa genesi storica della dottrina) quelle forme di esposizione del marxismo, ancorché compiute a scopi didascalici, nelle quali il « materialismo storico » appare, secondo una implicita logica classificatoria e non dialettica, come caso particolare di applicazione (alla società) di un più generale « materialismo dialettico », la descrizione del cui contenuto sembri poter prescindere dalla presen
(23) 11 materialismo storico ecc., cit., p. 28.
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za dell'uomo nel mondo. (Questa osservazione di per sé non implica la pretesa che sia la presenza dell'essere umano, e tanto meno il suo pensiero, ad introdurre la dialetticità nel reale). Eppure quell[...]
[...]ne di per sé non implica la pretesa che sia la presenza dell'essere umano, e tanto meno il suo pensiero, ad introdurre la dialetticità nel reale). Eppure quelle forme di esposizione sono oggi le più diffuse e generalmente riconosciute.
Credo che si tratti di una questione non scolastica e formale, ma di sostanza. Solo quell'atteggiamento mentale, ci sembra, che serba come costante punto di riferimento la prassi umana sensibile, può garantire il marxismo dalle intrusioni di materialismo metafisico (che non basta respingere a parole). Siffatto atteggiamento mentale, che fu proprio dei fondatori della dottrina, ci sembra l'unico che consenta la possibilità di permanente ricostruzione e svolgimento del contenuto di ciò che si é venuti chiamando « materialismo dialettico » in forma tale che questo rimanga sempre aperto ai nuovi resultati e ai metodi in trasformazione delle scienze della natura, verificandoli e discutendoli in un'adeguata concezione filosofica. Esigenza, se non erriamo, che fu proprio posta dai classici, in particolare dallo E[...]
[...]o di ciò che si é venuti chiamando « materialismo dialettico » in forma tale che questo rimanga sempre aperto ai nuovi resultati e ai metodi in trasformazione delle scienze della natura, verificandoli e discutendoli in un'adeguata concezione filosofica. Esigenza, se non erriamo, che fu proprio posta dai classici, in particolare dallo Engels, il quale si occupò più da vicino di tali questioni. E ciò contro ogni contrazione scolasticodogmatica del marxismo stesso.
La metodologia marxista di Gramsci, che si affinò, sotto questo riguardo, nella discussione critica ciel manuale del Bukharin (24), ed ha come filo conduttore la persuasione profonda della integrale autonomia filosofica del marxismo (senza perciò tagliare i fili che storicamente lo congiungono alla precedente tradizione di pensiero), ci tiene ben lontani dal rischio suddetto. Qui é necessario aggiungere che, se é vero che il marxismo come rivoluzione filosofica é coincidenza di naturalismo e umanismo (i quali nella loro compiutezza si convertono l'uno nell'altro), può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, soprattutto per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nel marxismo), una certa attenuazione dell'istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo senso. Chi scrive lo ritiene. A Gramsci interessò soprattutto il lato
(24) Op. cit., pp. 117168.
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umano (e quindi anche ideologico, superstrutturale, storico) della questione dell'oggettività, attorno a cui le sue riflessioni sono di grande importanza e originalità. Ma per quanto concerne il grave problema del nesso fra questa oggettività e la naturalità si é ormai come al margine estremo dei suo interesse e della sua meditazione. E non é detto che qui non si verifichi qualche oscillazione o incertezza. Gramsci é sempre lontanissimo dal contentarsi di ripetere formulazioni precostituite, per quanto esse possano apparire suggestive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e [...]
[...]costituite, per quanto esse possano apparire suggestive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e vederle in tutte le loro connessioni, e appunto per questo é un maestro di metodo. La questione che abbiamo dinanzi é quella della difficile saldatura obiettiva (ossia non più soltanto nel soggetto umano, come prassi sensibilerazionale) fra naturalità e storicità, che é indubbiamente, credo, il punto teorico più delicato di tutta la filosofia marxista. Da quel margine estremo, che si é detto, Gramsci indicava, tuttavia, lo sviluppo ulteriore della ricerca nell'approfondimento della tesi di Engels che « l'unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e questa é dimostrata da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e delle scienze naturali ». Ove Gramsci commentava dicendo che questa formulazione « contiene il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva » (25). Notazione storicistica squisitamente gramsciana. Eppure solo chi avesse gli occhi bendati di dogmatis[...]
[...]) Op. cit., p. 142.
(26) « ... sono le opposizioni diametrali, rappresentate come irreconciliabili ed insolubili, le linee di demarcazione e le differenze fra le classi fissate violentemente quelle che hanno dato alla moderna scienza teorica della natura il suo ristretto carattere meta
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Il giro del discorso sembra averci allontanato dal punto principale intorno a cui esso verteva, e cioè dall'interpretazione gram sciana del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma intellettuale e morale », « riforma popolare dei tempi moderni ». E tuttavia è un allontanamento solo apparente, perché il contenuto critico del marxismo non é concepito da Gramsci come indifferente o superiore e distaccato rispetto alla concretezza del movimento reale di cui esso é la teoria.
L'esigenza di far convergere storicamente l'aspetto di « filosofia di massa » del marxismo con la soluzione dei compiti teorici e scientifici più alti e complessi, cioè l'esigenza di una « cultura integrale », che sulla base della classe rivoluzionaria, possegga una espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò in Gramsci essenziale alla dinamica stessa del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità. Anche l'identificazione dialettica operata da Gramsci fra filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia ecc. ) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato (come criterio di interpretazione storiografica) (27) o proiettata verso il futuro — non é comprensibile senza
fisico. Il riconoscimento che queste opposizioni e queste differenze in verità sono presenti nella natura, ma con una validità solo relativa, e che invece quella rigidità o quella assoluta validità con cui sono presentate viene introdotta[...]
[...]portante, ad esempio, a questo riguardo la nozione gramsciana di quella che è la filosofia di un'epoca: a Dal punto di vista che a noi interessa, lo studio della storia e della logica delle diverse filosofie dei filosofi non è sufficiente. Almeno come indirizzo metodico, occorre attirare l'attenzione sulle altre parti della storia della filosofia; cioè sulle concezioni del mondo delle grandi masse, su quelle dei più ristretti
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quella dimensione nuova del filosofare (non ha nulla a che vedere, ad esempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico).
Anche la polemica contro l'idealismo, che si svolge in Gramsci attraverso una serie estremamente differenziata di motivi (legati in gran parte a circostanze della cultura italiana, e special mente alla discussione cól crocianesimo), e conduce a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, é innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza del[...]
[...]sempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico).
Anche la polemica contro l'idealismo, che si svolge in Gramsci attraverso una serie estremamente differenziata di motivi (legati in gran parte a circostanze della cultura italiana, e special mente alla discussione cól crocianesimo), e conduce a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, é innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo » (28), valida per tutti gli uomini, nella realtà di oggi; cioè fede e senso comune non di gruppi ristretti, legati al privilegio sociále, ma dell'intiera umanità associata. Per converso, la polemica di Gramsci contro le penetrazioni nel marxismo di materialismo volgare o metafisico, benché si svolga su un piano strettamente teorico, comporta anche la relativa giustificazione storica di quelle penetrazioni, come caratteristiche di una fase ancora arretrata del movimento reale (rivoluzionario) di cui il marxismo è espressione. (29).
All'una e all'altra polemica è costantemente sottesa la persuasione della autonomia critica e originalità filosofica del marxismo, che, come si è detto, è il filo conduttore di tutto il pensiero di
gruppi dirigenti (o intellettuali) e infine sui legami tra questi vari complessi culturali e la filosofia dei filosofi. La filosofia di un'epoca non è la filosofia di uno o altro filosofo, di uno o altro gruppo di intellettuali, di una o altra grande partizione delle masse popolari: é una combinazione di tutti questi elementi che culmina in una determinata direzione, in cui il suo culminare diventa norma d'azione collettiva, cioè diventa « storia » concreta e completa (integrale). La filosofia di un'epoca storica non é d[...]
[...]e stessa gli elementi di un ulteriore sviluppo per diventare da interpretazione della storia filosofia generale ».
In queste parole, a chi ben guardi, troviamo delineato, e nei suoi termini polemici e in quelli costruttivi, l'intiero ambito in cui si muove, sotto il riguardo teorico e metodologico, il pensiero di Gramsci. Vi è da fare anche un'altra osservazione, che credo assai caratterizzante: quella «indipendenza e originalità filosofica del marxismo » è vista da Gramsci non semplicemente come un data, come una cosa già fatta, ma come un elemento di svihippo e di conquista continua delle sue più profonde implicazioni. E ciò nel quadro di una lotta ideale in cui sono presenti non solo e non tanto astratti termini ideologici (schematizzati
(30) Ció vale soprattutto nei confronti dell'idealismo, o « neohegelianesimo », italiano del Croce e del Gentile, che prese l'avvio, alla fine del secolo, dalla discusssione col marxismo ed a quella é' sempre rimasto, in qualche modo, legato.
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ai loro estremi in ideal[...]
[...]on semplicemente come un data, come una cosa già fatta, ma come un elemento di svihippo e di conquista continua delle sue più profonde implicazioni. E ciò nel quadro di una lotta ideale in cui sono presenti non solo e non tanto astratti termini ideologici (schematizzati
(30) Ció vale soprattutto nei confronti dell'idealismo, o « neohegelianesimo », italiano del Croce e del Gentile, che prese l'avvio, alla fine del secolo, dalla discusssione col marxismo ed a quella é' sempre rimasto, in qualche modo, legato.
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ai loro estremi in idealismo e in un certo tipo di materialismo),
ma concreti portatori di essi, da un lato gli « intellettuali ' puri elaboratori delle ideologie delle classi dominanti », dall'altro le masse popolari, in certo modo depositarie del « senso comune ». Quella lotta ideale in cui il marxismo esplica e sviluppa, di fatto, la sua autonomia filosofica, si presenta così immediatamente come momento necessario di una complessa lotta reale. In Gramsci questo nesso non va mai perduto, non è mai obliato.
Quel medesimo nesso determina, ci sembra, il suo modo di concepire lo svolgimento e l'esposizione del marxismo come filosofia. Soprattutto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto alla classe rivoluzionaria il problema dell'egemonia (direzione politica e culturale sull'insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col « senso comune ». La nozione di « senso comune » diventa perciò fondamentale.
Essa, nel contesto gramsciano, é ben più complessa del convenzionale riferimento che sotto tale denominazione serve molto spesso ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento staticamente contrapposto alla «criticità» della filosofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima analisi, con essa conciliabile). Il « senso comune » no[...]
[...]enze, 1957, p. 186 e seg).
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presa le ideologie dominanti di gruppi e di classi (in cui, per esempio, la loro « verità » s'impone alle classi subalterne come superstizione) (32). E' il terreno cioè in cui si producono e mantengono, in funzione della divisione della società in classi antagonistiche, le resistenze a ogni spinta unificante della coscienza umana. L'assunto implicito, reperibile in molte esposizioni dogmatiche del marxismo, di una propria conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che comporta la mancanza di approfondimento di questa nozione nella sua effettiva realtà storicosociale) si presenta così come inaccettabile al pensiero di Gramsci, tale da frenare Io sviluppo della « filosofia della prassi » nella sua capacità riformatrice delle coscienze di grandi masse umane. (E giova qui ricordare che tale assunto non fu mai proprio dei classici del marxismo).
Questa presentazione della posizione di Gramsci potrebbe anche venir fraintesa unilateralmente. A Gramsci, che si era forma[...]
[...]opria conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che comporta la mancanza di approfondimento di questa nozione nella sua effettiva realtà storicosociale) si presenta così come inaccettabile al pensiero di Gramsci, tale da frenare Io sviluppo della « filosofia della prassi » nella sua capacità riformatrice delle coscienze di grandi masse umane. (E giova qui ricordare che tale assunto non fu mai proprio dei classici del marxismo).
Questa presentazione della posizione di Gramsci potrebbe anche venir fraintesa unilateralmente. A Gramsci, che si era formato e aveva lottato in continuo contatto con le masse lavoratrici, non sfugge ciò su cui Lenin aveva richiamato l'attenzione, scrivendo: « Sarebbe il più grande errore e il peggiore che possa commettere un marxista, quello di credere che le masse popolari, costituite da milioni di esseri umani (e soprattutto dalla massa dei contadini e degli artigiani) condannati alle tenebre, all'ignoranza e ai pregiudizi da tutta la società moderna, possano uscire da queste tenebre solo seguendo la retta via di un'istruzione puramente marxista » (33). È, anzi, proprio un problema di tale natura che guida la sua ricerca. La discussione col « senso comune », che egli prospetta come elemento essenziale dello sviluppo costruttivo e della diffusione del marxismo, accanto alla lotta politica e sociale (e a chiarimento di essa), non é mai concepita come frattura con quel medesimo « senso comune ». E ciò non solo per ragioni di opportunità o concretezza politica ed educativa, ma per quel che il « sen
(32) «... per le grandi masse della popolazione governata e diretta la filosofia o religione del gruppo dirigente e dei suoi intellettuali si presenta sempre come fanatismo e superstizione, come motivo ideologico proprio di una massa servile ».
(33) LENIN, Il significato del materialismo militante (trad. it. in MarxEngelsmarxismo, Roma, 1952, p. 445).[...]
[...]uel medesimo « senso comune ». E ciò non solo per ragioni di opportunità o concretezza politica ed educativa, ma per quel che il « sen
(32) «... per le grandi masse della popolazione governata e diretta la filosofia o religione del gruppo dirigente e dei suoi intellettuali si presenta sempre come fanatismo e superstizione, come motivo ideologico proprio di una massa servile ».
(33) LENIN, Il significato del materialismo militante (trad. it. in MarxEngelsmarxismo, Roma, 1952, p. 445).
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so comune » racchiude di positiva esperienza storica delle masse subalterne (la « cultura democratica » in esse storicamente immanente e da liberare, come aveva dichiarato Lenin) e in ultima analisi, per la struttura stessa genericamente umana del senso comune, per gli elementi di sperimentalismo che esso contiene, risultato e condizioni del pratico operare.
La critica dunque dei contenuti ereditari del « senso comune » si appoggia, dialetticamente, su di esso e muove non alla sua distruzione, che sarebbe proposito insensato, ma alla sua riforma e sostituzione con una concezione più[...]
[...]ta delle classi popolari, il lavoro, e non si presenti pertanto, entro certi limiti, come connessa alla scienza. Essa concezione nuova magari assumerà inizialmente forme superstiziose e primitive come quelle della religione mitologica, ma troverà in se stessa e nelle forze intellettuali che il popolo esprimerà dal suo seno gli elementi per superare questa fase primitiva ».
Queste ultime parole di Gramsci, così strettamente connesse all'idea del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma popolare », ci conducono al problema della sua fase moderna di svolgimento: rispetto, intendo dire, all'intiera epoca storica in cui viviamo. La questione é sempre considerata da Gramsci in rapporto a quella del potere e dello Stato e della loro conquista da parte della classe operaia. Non é possibile qui entrare
(34) Il materialismo storico ecc., cit., p. 226.
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nei particolari (ed il tema è oggetto di un'altra relazione), ma è essenziale ricordare che attraverso questo collegamento opera in Gramsci, in maniera decisi[...]
[...]lasse operaia nella « epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie », i problemi delle alleanze di classe, della direzione politica su altri gruppi sociali, della connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e della direzione culturale: problemi nei quali si è straordinariamente allargata, a contatto con lo sviluppo reale, nel nostro secolo, la problematica marxista dello Stato, e di cui fu maestro Lenin. Ora, è importante notare che qui fanno nodo e si articolano tutti gli elementi teorici del pensiero di Gramsci: « L'egemonia realizzata — egli scrive (riferendosi alla rivoluzione di Ottobre) — significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica » (35).
La quale asserzione, a questo punto, non avrebbe bisogno di ulteriori chiarimenti. Ma essa guadagna la pienezza del suo significato se la proiettiamo in un contesto concettuale più largo. Scrive altrove Gramsci: « La proposizione contenuta nella Introduzione alla ' Critica dell'Econ[...]
[...]igente (cioè di uno Stato) equivale alla creazione di una Weltanschauung. L'espressione che il proletariato tedesco è l'erede della filosofia classica tedesca come deve essere intesa? Non voleva indicare Mari l'ufficio storico della sua filosofia divenuta teoria di una classe che sarebbe diventata Stato? Per Ilie' questo è realmente avvenuto in un territorio determinato ». Cfr. op. cit., p. 32 e passim.
(36) Op. cit., p. 39.
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riografici, che si è costretti a tralasciare, si collega a questa affermazione. Sono i problemi relativi alla realtà e storicità delle soprastrutture (la discussione di Gramsci con lo storicismo idealistico è in gran parte legata a questo tema), alla eredità storicoculturale, al nesso fra ideologia, scienza, filosofia, e, ancora una volta, fra filosofia e politica; sono i problemi, soprattutto, relativi alla questione della oggettività (e correlativamente della soggettività, non solo individuale ma di gruppo), intorno ai quali Gramsci, come si , è accennato, presenta suggestioni e [...]
[...]e del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano ' spirito' non é un punto di partenza ma d'arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario ecc. La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione... » (37).
È un modo di considerare le cose che pone immediatamente il problema del marxismo come soprastruttura. Ma vi è, dice Gramsci, « una differenza fondamentale tra la filosofia della prassi e le altre filosofie: le altre ideologie sono creazioni inorganiche perché dirette a conciliare interessi opposti e contraddittori; la loro ' storicità' sarà breve perché la contraddizione affiora dopo ogni avvenimento di cui sono state strumento. La filosofia della prassi invece non tende a risolvere pacificamente le contraddizioni esistenti
(37) Op. cit., p. 142.
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nella storia e nella società, anzi è la stessa teoria di tali contraddizioni... » (38). La filosofia[...]
[...]so individualmente o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione » (40).'
Qui è il nocciolo del modo in cui Gramsci intende la dialettica, secondo che egli aveva appreso, congiuntamente, dalla sua strenua esperienza di lotta e dalla lezione dei classici (si pensi, in particolare, al metodo con cui Marx svolse la polemica contro Proudhon nella Miseria della filosofia, considerata da Gramsci un momento essenziale della formazione della « filosofia della prassi ») (41). Così, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l'irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità »), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare un'asserzione del Graziadei, che presentava Marx « come unità di una serie di scienziati » Gramsci commenta: « Errore fondamentale: nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettualmente un'età storica, che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all'avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata » (42).
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(38) Op. cit., p. 237.
(39) L'espressione a .mener le brache al mondo » ripresa da Gramsci contro Croce per indicare il moderatismo della sua filosofia, era stata dal Croce stesso adoperata nella introduzione al primo fascicolo de La Critica.
(40) Op. cit., pp. 9394.
(41) Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, p. 31 (in nota).
([...]