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tipologia: Analitici; Id: 1543244


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Tipologia Periodico
Titolo Osvaldo Bayer, Il cimitero dei generali prussiani
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SAGGI E STUDI

IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

Ho visitato spesso il cimitero dei generali prussiani. Sta a pochi isolati dalla casa dove vivo. Vicino all’ex campo di esercitazioni della guarnigione di Berlino che poi, con Hitler, diventò l’aeroporto di Tempelhof e che da circa quarantanni vede sventolare la bandiera degli Stati Uniti. Ogni mattina, dalla mia finestra, entra l’inno nordamericano trasmesso dagli altoparlanti. Ma il cimitero militare, il Garnisonfriedhof, è più lontano; è finito in un angolo isolato. Un cimitero dimenticato e scomodo. Anacronistico. Una testimonianza di ciò che fu. I tedeschi cercano di nasconderlo con vergogna. Non figura in nessuna guida turistica. È un villaggio senza vita, di morti. Ciò spiega perché la ex grande capitale europea abbia una ferita che non si rimargina, una ferita per tutta la vita. Quelli che hanno assistito alla sua sconfitta non vogliono vivere di ricordi. E i giovani si dividono, come sempre, fra quelli che vogliono vivere la loro vita e quelli che combattono per un mondo nuovo.

Mi trovo di fronte alla tomba della famiglia Triitzchler von Falken-stein. Un perfetto monumento all’oblio. Le pareti scrostate del tempietto, le neglette corone d’alloro di ferro. Gli operai del cimitero - italiani, portoghesi - con senso pratico lo hanno scelto come deposito di falci e carriole e sacchi di concime. Mio generale! Generale Louis Triitzchler van Falkenstein, vi hanno proprio dimenticato! Neanche un soldato che sia venuto a portare un fiore al suo generale! E neppure i braccianti dei suoi antichi latifondi ad est dell’Elba si ricordano più del loro Junker, del loro « Giovin Signore ». Con tutto quell’orgoglio, con tutte quelle spalline dorate e gli stivali di cuoio, l’uniforme di taglio impeccabile e il suo monocolo in modo che l’occhio potesse lanciare fulminei sguardi di aquila! Dove è finito tutto questo? I suoi discorsi sulla patria e poi ancora sulla patria e poi sui nemici della patria? Generale Triitzchler von Falkenstein. Già il suo nome da solo faceva paura alle reclute. Gli si confondeva la lingua al solo pronunciarlo. Il suo monumento funebre conserva ancora sulle pareti le impronte di quarantanni fa, quando l’Esercito Rosso attaccò Berlino da sud per arrivare a Tempelhof. Le pallottole russe sul suo126

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monumento, generale, e li, a pochi metri la bandiera nordamericana da quarantanni. Le ferite aperte sui mattoni. Magari, qualcuno di quei contadini tartari o caucasici tanto odiati, si è divertito a cercare di interrompere il suo sonno marziale a colpi di fucile. Ma più grave di queste ferite è Poblio assoluto del popolo. La gloria teatrale delle fiaccolate e delle vuote parole di onore e patria, vuote, quando sono solo un sinonimo di interessi, privilegi, prerogative.

Mi fermo davanti alla tomba del « maggior generale e generale al seguito di Sua Maestà il Kaiser re Guglielmo Secondo, Bernhard von der Lippe ». Il tempo e Poblio hanno reso quasi illegibili le parole dedicate dallo stesso monarca al « fedele camerata »: « A te spetta l’immortale corona delPonore ». Allori ed un capro maschio coronato. No, non c’è niente di vero, niente e nessuno aspetta il generale von der Lippe. Mori definitivamente quando è morto. A nulla son servite le fanfare funebri riservate ai generali. Li, insieme alle vedove vestite a lutto, fra i mormorii degli ordini di attenti-riposo e il rumore di passi degli stivali. E il successivo discorso funebre. Dov’è finita « l’immortale corona delPonore »? Le casse da morto si sono marcite. Nel cimitero non c’è neanche un visitatore. Non ci sono fiori.

(Ma ci sono fiori a qualche isolato da qui, nel quartiere Britz, vicino alla lapide che ricorda che li è vissuto il poeta libertario Erich Muhsam. Due rose bianche ed una rosso scarlatto. Le sue poesie vengono lette costantemente a teatro, a scuola, nelle stanze degli studenti. Erich Muhsam, a cui un ufficiale del campo di concentramento di Oranienburg frantumò gli occhiali sotto i tacchi dei suoi stivali in modo che non potesse più leggere (e che sarà successo degli occhiali di Rodolfo Walsh?) e gli fracassò i pollici in modo che non potesse più scrivere (che ne sarà dei pollici di Haroldo Conti?). E alla fine lo impiccarono al tubo di scarico della latrina. Erich Muhsam. Ogni giorno ci sono fiori bagnati di rugiada e lacrime per lui).

Generale Ludwig Stern von Gwiazdowski. Ricostruisco le parole della sua pietra tombale: « Mai con le frivolezze della plebe. Il suo spirito fu sempre elevato. Riposa in pace, o ultimo cavaliere dell’eroico esercito di Yorck ». Al suo fianco il colonnello e cavalier Hans Peter Demetrius von Arnim ed il colonnello Victor barone von Eberstein, entrambi con le rispettive mogli, anonime., « E la sua consorte » o « E la sua fedele sposa », basta. Mogli di militari che non compaiono mai, se non vestite di nero nel rituale dei tamburi e dei discorsi.

(La moglie del deputato Gutiérrez Ruiz e la figlia di Zelmar Michelini, quando questi due patrioti uruguayani furono sequestrati in piena Buenos AiIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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res, mandarono un telegramma a Raquel Hartrige de Videla, moglie del generale Torge Rafael Videla, il 18 maggio 1976, chiedendo il suo aiuto in qualità di moglie del presidente. Raquel Hartrige de Videla respinse il telegramma. Questa fu la sua risposta. Respingere il messaggio disperato di due donne. Un tema degno di una tragedia greca sulPempietà).

La cappella è scura, con l’odore umido di ciò che si corrompe. La caducità viene fuori chiara quando si osserva il cortile delle cerimonie. Se n’è andato per sempre l’ultimo picchetto, quello che veniva a portare la morte con gli ottoni ed i rumori del rituale. Qui i generali stanno fra di loro. Uomini dal chepi, dal casco argentato, con nastri, decorazioni, medaglie pendenti. Uomini dalle grandi prebende e dalla grande sospettosità. Il maggior generai Paul von Schmidt scriveva nel 1904: « Dobbiamo continuare a sostenere gli ideali eterni del corpo ufficiali, ora più che mai, difronte al crescente incalzare del socialismo ». Sì, mai dalla parte della « frivolezza della plebe ». Con la patria, non con il popolo. Era un onore essere ammessi ad un ricevimento dei Krupp, di Thyssen e di Mauser, i fabbricanti dei loro ferri del mestiere. Il Kaiser aveva una stanza riservata nella residenza dei Krupp, a Essen, e quella stanza venne poi riservata a Hindenburg e a Hitler. Krupp aveva sempre un posto a tavola per tutti gli amici sudamericani e li, immancabile, c’era il nostro generale Riccheri. Al tavolo del fabbricante di cannoni non c’erano differenze di patria, o di razza o di mentalità. Erano tutti associati nella funebre liturgia delle armi. Con una sola differenza: gli uni erano venditori, e gli altri compratori. Questi guadagnavano e quelli le facevano pagare ai loro popoli. Tutti insieme furono gli inventori dei « conflitti di frontiera », delle « provocazioni » e delle diverse teorie della cosiddetta « sicurezza nazionale ».

Il trionfo di Bismarck sulla Francia di Napoleone ih avrebbe avuto, perciò, funeste conseguenze per i paesi alleati dell’Europa, come per e-sempio l’Argentina. La tecnologia militare prussiana cominciò ad invadere i mercati dei nuovi paesi che si andavano liberando nel secolo xix. La sciagurata trinità di politica, militarismo e industria delle armi dell’epoca bismarckiana (l’autentica rivoluzione industriale bellica) impose a quei paesi il modello prussiano. « La Nazione in armi » ma non per contribuire alla soluzione dei problemi sociali, piuttosto per consolidare la « sicurezza interna », i privilegi di classe. Tutto è sicurezza: non solo l’industria, le materie prime, le rotte marittime, la rete fluviale e quella stradale, le frontiere interne ed esterne, il rifornimento della popolazione, ma anche l’educazione, la religione, la cultura, la politica. Per difendersi dal nemico esterno bisogna eliminare il nemico interno che ormai si introduce furtivamente perfino nell’educazione dei bambini e può cosi corrodere le fon128

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damenta della nazione. Tutto è sicurezza, e la sicurezza deve stare dappertutto a vigilare su tutta la vita dei popoli. Il maresciallo di campo prussiano Colmar von der Goltz, autore del libro La nazione in armi, divenne, dalla sera alla mattina, il filosofo dei nuovi ufficiali argentini. Gli uomini d’arme hanno il dovere ineluttabile di vigilare sulla Patria, essi rappresentano la Nazione, sono la Nazione, in costante allerta. Gli insegnamenti dei militari prussiani che arrivano nel Cono Sud latinoamericano: il generale Korner in Cile, il colonnello Arendt in Argentina, e il generale Kundt in Bolivia, furono i primi passi verso il ridicolo ed irrazionale militarismo in paesi che avrebbero potuto essere esempi di pace e di convivenza nel mondo intero. I Krupp ed i loro cannoni furono i veri padri dell’adozione del servizio militare obbligatorio in paesi che avrebbero potuto eliminare le frontiere fra di loro poiché non c’erano e non ci sono problemi di razza, di lingua, di cultura o di origine. I « cooperanti per lo sviluppo » mandati dall’esercito prussiano introdussero la tecnologia militare in quei paesi e li resero così dipendenti. Così come gli inglesi nella marina da guerra. Repentinamente, cominciarono a spuntare come funghi i conflitti fra popoli fratelli, e i cannoni di Krupp o i fucili di Mauser cominciarono a trovarsi faccia a faccia sulle montagne, nei boschi e nelle selve e nei fiumi dell’America Latina.

Durante il Secondo Reich, quello di Bismarck, il Ministero degli Aìfari Esteri si convertì in un centro di contatti rapidi ed efficaci fra le forze armate e l’industria bellica. Il potere politico ed il potere militare, a servizio del capitale armamentista. L’affare fu straordinario. Quell’« aiuto allo sviluppo » militare lasciò orme indelebili nella vita dei sudamericani. Nel mio paese nacque il « nuovo esercito » che trionfò in cento battaglie in nome della patria e dei valori occidentali e cristiani. Tutte quelle battaglie le ha vinte contro il suo stesso popolo e le sue inquietudini.

La filosofia del maresciallo di campo prussiano conte Colmar von der Goltz è ancora presente nella classe militare argentina. Chi è questo « filosofo »? Egli presenta se stesso, a figura intera, nel libro Impressioni del mio viaggio in Argentina (Berlino 1911). Vi descrive la sua visita a quelle terre invitato, nel 1910 - ai festeggiamenti per il centenario della liberazione dalla Spagna. Erano già trascorsi nove anni dall’adozione del servizio militare obbligatorio auspicato da Riccheri. Von der Goltz scrive:

Tutti i festeggiamenti argentini hanno avuto un carattere serio e solenne (...). In questo senso il potere armato ha avuto un ruolo di protagonista con i suoi picchetti e con le sue guardie d’onore, le scorte, le bande di musica, ecc. Battaglioni di scolari hanno sfilato per le strade dando espressione — e vorrei proprio descriverla così - al militarismo, che in Argentina è molto latente,IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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poiché nello straordinario progresso della repubblica nel campo materiale, non ha perso di vista la necessità di fomentare e rafforzare lo stile militare, quello guerresco (...). Voglio qui spendere due parole sull’educazione militare dei soldati argentini. Tutto ciò che costituisce marce e sfilate è assai apprezzato a Buenos Aires. Fra noi tedeschi si parla troppo della severità delPistruzione militare; ebbene, prima di parlare dovrebbero andare in Argentina a vedere come vengono istruiti i soldati e come vengono esercitati!

Il maresciallo europeo, che qui si è compiaciuto per la buona riuscita che gli hanno fatto i soldati argentini, si esalta addirittura di puro godimento, quando descrive come vengono repressi gli operai in Argentina:

Questo paese è amministrato da un governo molto pratico e di ordine. Sinceramente, mi ha fatto molto bene vedere con che vigore reprime qualsiasi tentativo di creare disturbi nello sviluppo della vita pubblica. Nella darsena sud, alla foce del Riachuelo, era ancorata una nave piuttosto grande che, a quanto mi riferirono con eloquenti sorrisi, si stava poco a poco popolando di una ciurma fatta di carne da presidio che la polizia andava arrestando qua e là. Mi facevano notare, inoltre, che, quando si riempiva, cominciava un viaggio turistico verso la Terra del Fuoco dove venivano sbarcati. E lf veramente potevano fare tutto il casino che volevano. Si è parlato molto di uno sciopero generale che avrebbe dovuto cominciare con delle irregolarità nelle numerose linee di tram elettrici, indispensabili mezzi di comunicazione in una città cosi estesa. Ma prima ancora che cominciasse, c’erano già i soldati appostati davanti e dietro ai veicoli, con il fucile carico e, dalle precedenti esperienze, si sapeva benissimo che quelle guardie non esitavano a premere il grilletto. Così che le agitazioni furono rimandate e fino ad oggi non sono state messe in pratica. Ma, forse, la misura più efficace messa in opera dal capo della polizia di Buenos Aires è stata, prima del giorno prefissato, aver fatto arrestare un gran numero di agitatori anarchici e averli messi in galera con Pavvertimento che di fronte al più piccolo turbamento della festa del centenario avrebbe aperto le porte della prigione e li avrebbe messi nelle mani della popolazione esasperata. Fu permesso ai prigionieri di informare di questa decisione gli amici che si trovavano ancora in libertà. In questo modo li avrebbero potuti pregare di far uso di tutta la loro influenza perché fosse mantenuta la calma. Io vorrei che anche noi tedeschi imitassimo ogni tanto un po’ di questo vigore originale ed edificante e non fossimo sempre così riguardosi!

L’uniforme, il pennacchio e le decorazioni in fin dei conti coprivano il corpo di un carceriere, di un assassino vestito a festa. Cosi la pensava Puomo che ci era stato mandato dalla « terra di poeti e di filosofi » per rappresentarla nel Centenario del giorno in cui i creoli, al grido di « u-guaglianza, fraternità e libertà », si erano liberati dal colonialismo spagnolo, Lo stesso von der Goltz, tre anni dopo, sarebbe stato uno dei più130

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importanti esecutori del massacro mondiale del 1914, nella sua qualità di comandante in capo del fronte turco.

Ma non solamente uomini di questo stampo hanno seminato nel nostro paese. Vi fu anche chi vi trapiantò l’utopia. Furono i socialdemocratici, i quali a causa della repressiva legge antisocialista di Bismarck dovettero emigrare ed ai quali noi siamo grati per la fondazione di una delle linee delle origini del movimento operaio argentino. Fin dal 1892, questi tedeschi immigrati spiegarono ai loro compagni argentini, spagnoli ed italiani i pericoli del militarismo prussiano. Nel loro giornale « Vorwàrts » (« Organo degli interessi del popolo lavoratore di Buenos Aires ») scrivono:

Il Cile offre la prospettiva poco entusiasmante di venire prussianizzato. L’ufficiale prussiano Kòrner, che da un po’ di tempo si trova in quel paese, ha una grande influenza sull’esercito ed ora vuole imporre il servizio militare. Complimenti ai cileni! Se dipendesse dagli stivali prussiani, tutto il mondo diventerebbe una grande caserma. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco; prima che sia possibile prussianizzare il Cile, quel modello militare cadrà a pezzi. In Germania si comincia a muovere qualcosa (24.3.1892).

Questi infaticabili lavoratori tedeschi realizzarono i primi studi sociologici sulla vita dei lavoratori argentini. Mentre il maresciallo von der Goltz si occupava di cavalli da corsa (« Se non fosse stato per le belle donne argentine, avrei perso il mio vecchio cuore dietro i cavalli »), i socialisti esiliati scrivevano sul lavoro delle donne e dei bambini a Buenos Aires:

La Fabbrica Argentina di Scarpe di corda dà lavoro a 510 operai, dei quali 460 sono donne e bambine. Il lavoro comincia alle 6 di mattina e dura fino alle 6 del pomeriggio, con un’interruzione di un’ora e mezza a mezzogiorno. Il lavoro viene fatto a cottimo - lavoro a cottimo = lavoro criminale —. Un lavoratore zelante può guadagnare « l’enorme » somma di 10 pesos di carta alla settimana, mentre le ragazze non più di 6 pesos. Si producono dodicimila paia di scarpe di corda al giorno. Cioè in Argentina non solo esistono grandi stabilimenti industriali, come in Europa, ma qui vi è, anche, il più grande sfruttamento del lavoro di donne e bambini (« Vorwàrts », 26.3.1892).

Durante tutta la permanenza in Argentina del maresciallo tedesco conte von der Goltz, il colonnello argentino José Felix Uriburu ne fu l’accompagnatore. Venti anni dopo, nel 1930, quel colonnello, ormai con i galloni di generale, realizzerà il primo « golpe » militare contro la democrazia argentina. Così il generale Uriburu ha vinto anche lui la sua guerra. Era un militare convinto che le guerre fossero utili all’umanità. Nel 1915, in un’analisi fatta a tavolino della guerra europea, scriveva: « Ci fa piaceIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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re dichiarare che all’interesse militare che risveglia in noi questa guerra, va aggiunta una profonda attrazione che deriva dalla grandezza della lotta e dall’eroismo di coloro che l’affrontano ». Ovviamente, il generale Uribu-ru morì nel suo letto.

Lascio la parte più solenne del cimitero ed entro in un limbo: le tombe dei soldati. Centinaia e centinaia di morti allineati, come in fila per una parata. Solo che stanno in orizzontale e non c’è musica. E non ci sono nemmeno uccellini gorgheggianti e pianti. Soli con una luce grigia che si riflette fra nubi senza forma. Le lapidi sono corrose dal tempo. Fra poco finiranno nell’anonimato. Solo con un certo sforzo si possono ricostruire dei nomi: Anton Mayer, 17 anni; Eberhard Schmit, 18 anni; Josef Kron-huber, 20 anni. Centinaia di lapidi, ma in nessuna frasi come «mai con la frivolezza della plebe » (la plebe è frivola ma è quella che viene mandata al fronte), o come «a te l’immortale corona dell’onore». È strano» d’inverno le tombe restano per mesi coperte dalla neve e al posto delle lapidi ci sono dei buchi naturali, come se un calore interno sciogliesse una

o due dita di quella neve. È solamente una differenza di temperatura o c’è qualcosa di più, una protesta calda come il sangue o un grido disperato per uscire da sotto terra? Da quella terra con cui furono ricoperti quando cominciavano appena a percepire i profumi, ad accarezzare la pelle dell’amore, a guardare il cielo e ad ascoltare la pioggia? Non ho mai avuto il coraggio di farlo, ma un giorno mi piacerebbe gridar loro: andiamocene! Lasciate i generali nel loro cimitero! Disertate una buona volta! Disertare, la parola del coraggio civile e della ribellione! Ormai siamo a maggio e le api hanno cominciato a far dischiudere i fiori e ci sono labbra rosee e vino e sieste, e il lavoro e l’amicizia, e i figli, e tutto il mistero, la poesia e la musica. E il dialogo, nonostante Babele, e la pace, nonostante i Krupp. Nel 1910, nel suo viaggio attraverso l’Argentina, il maresciallo conte von der Goltz fu accompagnato da un rappresentante dei Krupp. « Il nostro piccolo gruppo si sistemò rapidamente: i miei figli, il signor von Restorff, rappresentante di Krupp, con la sua giovane moglie, e due degli ufficiali tedeschi contrattati dall'Argentina ». Nel 1980, settant’anni dopo, il rappresentante di Krupp, il principe Peter von Lobkowicz, ha dichiarato a Buenos Aires: « In Europa si dà una falsa interpretazione dei governi militari, quasi fossero delle dittature. Non sanno che qui, in Argentina, d sono uomini, i militari, che al tempo stesso sono il governo, che amano la patria e proprio per questo l’hanno protetta per non farla cadere nelle mani dei marxisti. In Argentina erano 25 milioni di abitanti contro diecimila. Io ritengo che se si tratta di difendere una società di 25 milioni di esseri sani contro diecimila, è necessario eliminare i diecimila ». La cosa132

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è semplice, Gli avvoltoi volano in basso. Il principe Lobkowicz, prima di partire, fece omaggio ai militari argentini di una statua di Sant’Ignazio di Loyola.

« Vorwàrts », Buenos Aires, 1 agosto 1900. Gli esiliati socialisti tedeschi denunciano agli argentini gli acquisti di armi presso la fabbrica Krupp da parte del ministro della Difesa argentino, il colonnello Riccheri: « Coloro che sono in favore della guerra (contro il Cile) il cui numero non è irrilevante, sono molto contenti per le buone prospettive dell’affare. Si tratta di imporre l’acquisto delle armi attraverso opportune pressioni ». Brema, Germania federale, 8 agosto 1980. Il Senato socialdemocratico di Brema riceve il comandante e gli ufficiali della nave da guerra argentina « Libertad ». (Nei cantieri di Brema vengono costruite le fregate per l’Ar-gentina, un affare importante che deve essere curato con attenzione attraverso le relazioni pubbliche). Il giorno del ricevimento, un numeroso gruppo di studenti tedeschi si mette di fronte alla nave da guerra argentina ed inalbera uno striscione con una sola parola: mòrder. Ci sono 63 tedeschi « desaparecidos » in Argentina dal 1976. Nomi come Massera, Lambruschini, Astiz, Lombardo, Alberto Lorenzo Padilla (il comandante della « Libertad ») e posti come la Scuola Meccanica delle Forze Navali, la Base Navale di Mar del Piata, la Base Navale di Bahia Bianca sono ormai un triste simbolo in tutto il mondo. La reazione degli ufficiali e dei cadetti argentini contro la manifestazione silenziosa fu immediata: scesero dalla nave e aggredirono a suon di botte e di calci gli studenti tedeschi, dei quali la metà erano donne. Costoro non risposero agli insulti ed alle botte ma mantennero spiegato per tutto il tempo il mòrder. Più tardi, gli ufficiali argentini diranno ai contriti funzionari ufficiali che « era tutta colpa degli esiliati argentini traditori della patria ».

(« Vorwàrts », Buenos Aires, 8 settembre 1892. « Noi, i “nemici della patria” siamo, nonostante tutto, i migliori patrioti, perché siamo convinti che migliaia e migliaia di persone che condividono la nostra ideologia ritorneranno a un certo momento nel nostro paese per dare una mano ad abbattere le vecchie idee, gli anacronismi e sostituirle con idee nuove e migliori. Viva la Germania! »).

L’illusione non muore, l’utopia va avanti. Non può essere distrutta né dai calcolatori delle polizie politiche, né dalla Realpolitik, né dalla morte.

Il silenzio che sale dalle tombe dei soldati mi distoglie da ricordi e da cavilli. I caduti del 1914 hanno lapidi migliori di quelli morti nel 1918. La pietra era di migliore qualità al principio della guerra; poi tutto divenne scadente, perfino la morte. Prima si moriva uno alla volta, poi aIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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dozzine. I soldati. Si chiamava Jorge Aguila, visse a Neuquén, Argentina. Era pastore di pecore a cavallo, o come diciamo noi, pecoraio. Aveva i tratti dell’indio araucano. Manteneva, col suo lavoro, la mamma e il nonno materno. Appena compì 18 anni gli misero l’uniforme e in aprile del 1983 lo mandarono alle Georgine del Sud. Appena arrivato si beccò una pallottola. Lo seppellirono lì. Ecco la storia di un soldato argentino classe 63.

A cento metri da casa mia c’è un enorme edificio di mattoni rossi. È l’ex caserma della guardia dei corazzieri del Kaiser. Oggi c’è la polizia ed è il posto dove si consegnano le patenti per le automobili di Berlino. Su una parete c’è una targa che nessuno legge più: « Questa caserma ospitò il Reggimento della Guardia dei Corazzieri creato nel 1815. Da qui il reggimento partì per il fronte il 3 agosto 1914 con 37 ufficiali, 713 sottufficiali ed i corazzieri. Il 29 ottobre 1918 ritornò dalla sua ultima battaglia a Saint Fergeaux con 31 sottufficiali ed i corazzieri. L’ultimo ufficiale cadde quello stesso giorno nell’ultimo contrattacco ». Penso, in questo caso sono caduti gli ufficiali e sono tornati i soldati. Nelle Malvine sono caduti i soldati e sono tornati gli ufficiali. Ad ogni modo, due aspetti della stessa irrazionalità. Una, l’aggressività montata su falsi valori superficialmente eroici; l’altra, una scorza fatta solo di parole e di atteggiamenti, che viene allo scoperto alla prima cannonata.

La tomba del soldato Aguila viene anch’essa ricoperta dalla neve, come quella di questi giovani morti in uniforme; non morti, uccisi. I generali prussiani se ne restano protetti dalla tettoia dei loro monumenti signorili in cui ogni notte si apre una nuova fenditura e dove — quando non passano gli aerei nord-americani che atterrano e decollano a Tempelhof

- si sentono i pezzi di intonaco che cadono sulle tombe. In questo momento i generali argentini delle Malvine stanno facendo la prima colazione. Nella nostra guerra e nella nostra resa non ci sono stati suicidi. Alcuni generali prussiani sepolti qui si fecero saltare le cervella portando alle estreme conseguenze il loro macabro ruolo, in cui erano entrati a quattordici anni, quando fecero il loro ingresso in accademia. Sono stati coerenti. Non tutti, la maggior parte è morta nel suo letto sognando di vincere a tavolino la battaglia perduta. Il maresciallo conte von der Goltz descrivendo la battaglia di Gorze, scrive così: « Abbiamo perso molte vite. Ma per quanto ciò ci rattristi, dobbiamo sopportarlo perché la Patria lo esige. Un popolo che vuole essere grande e difendere il proprio onore, non deve avvilirsi per quelle perdite ». Il maresciallo von der Goltz morì nel suo letto, con tre medici al capezzale, a 73 anni. (La domanda più intelligente che ho inteso fare da un giornalista è quella rivolta da Oriana Fallaci al generale Galtieri: Lei è mai stato in guerra?)134

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Mi allontano dalla tomba dei soldati del 14. In primavera, dei rampicanti pieni di spine gli danno un aspetto da piante d’appartamento. Neppure il verde gli è stato riservato in modo selvatico. Per lo meno poter accomodare le spalle e le braccia morte li, nella terra dove crescono fiori umili, bocche di leone, papaveri e margherite di campo. Sono morti di una guerra dimenticata che non viene ricordata nemmeno più a scuola. Ormai non hanno più un volto. Sono soldati senza figli perché sono morti quasi bambini. Forse è ancora viva qualche sorella che li ricorda in due o tre scene: la strada fino a scuola, il pranzo con i genitori, il giorno dell’addio quando partirono per il fronte. I fiori nella canna del fucile. Il Kaiser al balcone, con i suoi movimenti da burattino e le eterne parole di Patria, Dio e Fino all’ultima Goccia di Sangue. Proprio come altri burattini truculenti apparsi in altri balconi di altre latitudini. E i giornali, tutti i giornali. E il popolo, tutto il popolo. Tranne gli incorreggibili. Quelli che von der Goltz chiama con arrogante ironia: « gli ‘ apostoli ’ della pace ».

Decido di aspettare il crepuscolo perché è questa l’ora di Georg Trakl per la sua poesia « Grodek », la pagina letteraria che in diciassette versi dice più di un’intera biblioteca contro la guerra: « Nel crespuscolo rimbombano i boschi autunnali / di armi mortali / ...la notte copre ormai soldati moribondi, / il selvaggio lamento delle loro bocche lacerate ».

Georg Trakl, il giovane poeta non potette resistere alla visione di quei corpi massacrati, dei suoi compagni morti nella battaglia di Grodek dove lui stesso porrà fine alla sua vita, li al fronte. I nostri generali delle Malvine continuano a fare colazione. Georg Trake scrive « Grodek » e si suicida.

« Tutte le strade finiscono in negra putredine... ». È la visione fanta-smale di ciò che è aberrante. La barbara orgia in cui i popoli squartano le proprie frustrazioni, la loro morbosa relazione con il potere. E invece di affrontare i generali, invece di affrontare i Krupp, si mettono a distruggere dei poveri diavoli uguali a loro. Nello stesso momento in cui Jorge Aguila veniva colpito, a Kassel, Germania federale - alleata dell’Inghilterra -una delegazione di militari argentini si esercitava sul Leopard il. Un affare di milioni di dollari.

« Tutte le strade finiscono in negra putredine... ». I generali prussiani hanno perso la guerra del 14 ma hanno vinto la guerra contro il loro stesso popolo. Quando i marinai delle navi da guerra si ribellarono a Kiel al grido di « vogliamo pace e pane per il popolo! », scoppiò la rivoluzione, il Kaiser dovette andarsene e fu proclamata la Repubblica. Ma i rivoluzionari non volevano solo questo, volevano anche il socialismo. Fu quello il momento in cui i militari, che non avevano saputo vincere la guerra, si riunirono nei « Freikorps », organizzazioni paramilitari finalizzate ad eliIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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minare tutto quanto esisteva dal centro verso la sinistra. I gruppi paramili-ri, i commandi della morte o parapolizieschi, sono, nella maggior parte dei casi, creature degli alti comandi, degli stati maggiori in freddi studi di « teorie della sicurezza ». I « Freikorps » operavano con assoluta impunità, alla luce del giorno. Fu famosa la brigata Ehrhardt, comandata dal capitano di corvetta Ehrhardt. (Ehrhardt: « fin da piccolissimo ho amato molto tutto quello che serviva per sparare. E la mia prima pistola - che non serviva a gran che — me l’ero comprata con i soldi che mi davano per andare a scuola, monetina su monetina »). Questa brigata ha assassinato i liberali Erzberger e Rathenau e centinaia di lavoratori. La brigata Ehrhardt lavorava insieme ai Freikorps del capitano Berthold, del capitano Rosbach, del generale Rùdiger von der Goltz, del capitano di vascello Bogislaw von Selchow (famoso per aver fatto fucilare gli operai ribelli di Thal, in Turingia), del generale Franz Ritter von Epp, Passassino di Kurt Eisner e di Gustav Landaures, i due socialisti libertari che volevano fare della Germania il paese della pace e dell’antiautoritarismo. La brigata « paramilitare » del generale von Epp - costituita da militari, poliziotti e membri delle famiglie aristocratiche tedesche - era famosa per la sua spietatezza sia nei riguardi degli operai in sciopero sia con gli studenti o gli intellettuali « sospetti ». Praticava solo due condanne: quella a morte quando il « rosso » non era recuperabile, e le bastonate quando si trattava solo di persone sospettate contro le quali non c’erano prove. Con Rosa Luxemburg applicarono tutte e due le pene contemporaneamente. Gli autori di questo atroce crimine - che nonostante siano trascorsi più di sessantanni continua ad essere un incubo nella storia tedesca - furono il capitano di vascello von Pflug-Hartung e i tenenti Vogel e von Rittgen. Prima la colpirono. Ordinarono al soldato Otto Runge di colpirla col calcio del fucile senza pietà. Il tenente Vogel la trascinava - Rosa aveva 48 anni - torcendole il braccio in modo che i colpi la cogliessero bene. Quando la trascinarono a spintoni in macchina era già semi-inconsciente. Il soldato Runge riferirà ai giudici che « quando la ‘ portarono a fare una passeggiata’ il tenente Vogel le sparò un colpo in testa». Buttarono il cadavere nel canale Landwer. Quando i militari tornarono all’hotel Eden, che era la loro base, uno dei presenti disse: « ormai la vecchia porca sta nuotando ». Il tenente Ropke, scattando sugli attenti si presentò al capitano Weller e lo informò: « Il cadavere di Rosa Luxemburg è stato gettato in acqua, capitano ».

(Prot. n. 3358 - Rosa Ana Frigerio
Rapporto sulla situazione dei diritti umani in Argentina, Organizzazione degli Stati Americani, Commissione Interamericana dei Diritti Umani, OEA/Ser.136

OSVALDO BAYER

l/v/ii.49 doc. 1.9, 11 aprile 1980. Approvato nella 667a riunione della quaran-tanovesima sessione tenutasi Pii aprile 1980: Il diciassette giugno viene denunciato: Rosa Ana Frigerio, di anni 20, è stata arrestata il giorno 25 agosto 1976 nella casa dei suoi genitori, via Olavarria n. 4521 a Mar del Piata, provincia di Buenos Aires. La vittima che era studentessa di agraria nell’istituto inta di Balcarce, sezione delPUniversità Nazionale di Mar del Piata, durante un suo viaggio da questa città a Mar del Piata, il 24 agosto 1974, fu vittima di un incidente automobilistico. In conseguenza di questo incidente ebbe la colonna vertebrale deviata ed il medico consigliò un intervento chirurgico. Fu operata il 26 aprile 1976. Dopo il suo ricovero che durò tre mesi a causa di un’infezione, le fecero un innesto. Durante questo periodo il suo stato di salute fu grave. A luglio tornò a casa sua con un’ingessatura dalla vita fin sotto il ginocchio che l’immobilizzava totalmente fatta eccezione per le braccia. Il giorno del suo arresto si trovava in queste condizioni. Anteriormente, per lo meno tre volte si erano presentate in casa della vittima delle persone che affermarono di appartenere alle Forze di Sicurezza, per interrogare Ana, cosa che fecero senza la presenza di estranei. In fine, il 25 agosto, cinque o sei persone in abiti civili, con un’ambulanza, la portarono via su una sedia. Dissero al padre e alla madre che l’avrebbero portata alla Base Navale della Marina Militare di Mar del Piata. Mentre la vittima veniva incarcerata, altre persone, che affermarono anch’esse di appartenere alle Forze di Sicurezza, perquisirono la sua stanza, senza trovare, apparentemente, alcunché di interessante.

Dopo il trasferimento della vittima alla base, il padre (denunciante), vi si recò varie volte, ma ricevette dal posto di guardia soltanto risposte evasive. Il

10 settembre, un tenente chiamò il denunciante per telefono dalla Base, e lo informò che sua figlia era agli arresti nella Base a disposizione del Potere Esecutivo Nazionale. Da questo momento, il padre si recò numerose volte alla Base dove fu ricevuto da vari ufficiali fra questi il tenente che gli aveva telefonato ed altri.

Di fronte a questi fatti, il denunciante interpone ricorso di habeas corpus nel febbraio del 1977 presso il Tribunale Federale di Mar del Piata davanti al giudice Ana Maria Teodori. In questa causa, che porta il n. 768, si allega il 1 marzo 1977 una comunicazione del Comandante della Base, che dice testualmente: « Ho il piacere di informarLa che, in riferimento alla pratica del 3 c.m., relativa alla causa n. 767 titolata 4 Contessi Frigerio Antonieta s/ Ricorso di Habeas Corpus a favore di Frigerio Rosa Ana ’, quest’ultima si trova agli arresti a disposizione del Potere Esecutivo Nazionale, essendo implicata in attività sovversive ». La comunicazione porta la data del 25.2.1977.

Il 31.3.1977 il denunciante ha ricevuto una citazione della Marina Militare con cui viene invitato a presentarsi il giorno seguente per ordine del Comandante della Base. Il giorno seguente alle 9, il denunciante fu ricevuto dal suddetto comandante accompagnato da un capitano. Costui gli disse più o meno che: Rosa Ana è (o era) agli arresti nella Base ma è stata uccisa dai suoi compagni in uno scontro l’8 marzo.IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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Insoddisfatto da questa risposta, il denunciante insistette nella sua azione legale e un mese più tardi ottenne un certificato di defunzione nel Registro Civile in cui si dice che Rosa Ana è deceduta per « arresto cardiaco, trauma cardiotoracico ». Cioè una causa contraddittoria e completamente diversa da quella addotta dal Comandante e che induce ad altre supposizioni. Il 31 marzo i suddetti ufficiali consegnarono un foglio senza firma che dice: « Cimitero del Parco, tomba 1133 - Sezione Tombe Temporanee Settore B », comunicando che la vittima è sepolta in quel luogo. Il denunciante ha cercato di ottenere l’esumazione del cadavere per verificare l’esattezza di quanto riferito nei rapporti ufficiali, ma fin’ora senza risultato.

Durante quell’incontro i denuncianti reagirono con violenza, accusando gli ufficiali loro interlocutori di averla uccisa, senza ottenere alcuna risposta. Il capitano si limitò a dire che il paese era in guerra e che la vittima « conosceva delle persone ».

Il governo argentino in una nota pervenuta a questa commissione dell’oEA, il 27 marzo 1980, rispose così:

« Rispetto alla comunicazione pervenuta al Governo Argentino da parte di codesta Commissione Interamericana dei Diritti Umani, rispetto al caso in oggetto, si precisa quanto segue:

Che Rosa Ana Frigerio è stata arrestata da forze legali nell’agosto del 1976 essendo l’arresto e il luogo di detenzione comunicati ufficialmente ai familiari dalle autorità corrispondenti e in vista di possibili legami con bande di delinquenti terroristi. Dato che la parte in causa confessò la sua militanza in detta banda senza tuttavia aver partecipato a eventi delittuosi, nonché la propria decisione di uscirne e di collaborare fornendo informazioni, le autorità che l’avevano arrestata considerarono necessario fornirle protezione, nonché mantenere all’oscuro della situazione la sua famiglia, per le stesse ragioni, rispetto alla possibilità che fossero oggetto di rappresaglia da parte dell’organizzazione terrorista a cui aveva appartenuto Rosa Ana Frigerio, per vendicarsi della sua defezione. Per questa ragione la summenzionata fu ospitata in un luogo dove collaborò con il personale responsabile dell’antiterrorismo. L’8 marzo 1977, in base ad informazioni ottenute dalle autorità, vennero effettuati vari sopralluoghi nelle località che Ana Rosa Frigerio ed un altro detenuto indicarono come rifugio della banda e come depositi di armi ed esplosivi. Entrambi accompagnarono le forze legali per un sopralluogo, ma arrivati a breve distanza da una casa che essi avevano indicato come localizzata nella via Mario Bravo, angolo con via Esteban Echeverrìa, a Mar del Piata, prov. Buenos Aires, vennero ricevuti da una fitta scarica di armi da fuoco di grosso calibro proveniente dall’interno della casa, fatto che provocò la morte - in situ - di Rosa Ana Frigerio. Nella stessa occasione morì l’altro detenuto ed un ufficiale venne gravemente ferito. Bisogna far presente che nessuna di queste circostanze vennero comunicate in quel momento attraverso le normali vie come misura tattica di controinformazione. A posteriori, le autorità informarono la famiglia di Rosa Ana Frigerio sull’accaduto e comunicarono il luogo dove era seppellito il suo cadavere.138

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Dobbiamo far notare che il Giudice Federale di Mar del Piata autorizzò, il

25.4.1979, la famiglia a portare via il corpo di Rosa Ana Frigerio per metterlo nel cimitero che gli sembrasse più opportuno, cosa che fin’ora non è accaduta J. Questo spiacevole episodio, tipico di una aggressione non convenzionale, com’è quella che stava vivendo l’Argentina, va interpretato nel contesto della lotta che il popolo argentino insieme alle sue autorità, ha dovuto affrontare contro il flagello del terrorismo ».

La Commissione dell’oEA, il 9.4.1980, nel suo 49° ciclo di sedute ha studiato il caso, alla luce delle informazioni ottenute durante Pindagine ‘ in loco * oltre a quelle già in suo possesso, come pure della risposta del Governo Argentino anteriormente citata, ed ha adottato una risoluzione che nelle sue parti analitiche e risolutive recita:

« Considerando

1. - Che alla luce degli antecedenti ricordati si deduce che la signorina Rosa Ana Frigerio è stata arrestata da forze legali il 25 agosto 1976, e che lo era ancora quando è morta P8 marzo 1977.

2. - Che la risposta del Governo Argentino non chiarisce i fatti denunciati né smentisce le dichiarazioni rese dal denunciante.

3. - Che il Governo Argentino non ha fornito alla Commissione nessun’informazione che permetta di arguire che le indagini legali del caso furono efficienti e tese a verificare i fatti confusi che produssero la morte della signorina Ana Rosa Frigerio.

La commissione interamericana dei diritti umani

DICHIARA:

1. - Che il governo delPArgentina sappia che tali fatti costituiscono violazioni gravissime del diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza ed integrità della persona (art. 1); al diritto alla giustizia (art. xviii) ed al diritto di protezione contro Parresto arbitrario (art. xxv), della Dichiarazione Americana dei Diritti e Doveri delPUomo.

2. - Raccomanda al governo delP Argentina: a) di disporre un'indagine completa ed imparziale al fine di determinare la autorevolezza dei fatti denunciati; b) a norma delle leggi argentine, siano puniti i responsabili di detti misfatti; e c) venga inviata una relazione alla Commissione in un termine massimo di 60 gg., sulle misure prese per mettere in pratica le raccomandazioni espresse nella presente risoluzione.

3. - La Commissione darà comunicazione di questa Risoluzione nella

1 Qui il generale Videla commette un falso marchiano nella comunicazione alla oea: il cadavere di Rosa Ana è stato esumato appena PII dicembre 1982 e si trovava in una tomba sotto la denominazione N.N. (Ved. « Clarìn » e « La Prensa », 12.12. 1982).IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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Relazione Annuale del?Assemblea Generale della Organizzazione degli Stati Americani in conformità con Part. 9 (bis), comma c, iii dello Statuto della Commissione; la Commissione stessa, in considerazione delle misure adottate dal Governo, potrà modificare la decisione adottata ».

Il comandante della Base Navale di Mar del Piata era l’ufficiale di vascello J. J. Lombardo, che poi - divenuto contrammiraglio - fu il comandante delle operazioni navali sul fronte delle Malvine. Il nostro ufficiale di marina vinse la battaglia contro una ragazza paralitica, Ana Rosa, ma ha perso la battaglia navale).

Il capitano Weller si recherà sul canale per verificare l’esito dell’impresa condotta a termine contro la donna indifesa. Nel giudizio che ne segui, il capitano avrebbe ammesso: « Quando arrivai sul ponte vidi un fagotto scuro sull’acqua ». Il famoso giornalista tedesco Egon Erwin Kisch

- che più tardi avrebbe dovuto andare in esilio — scrivendo la cronaca del giudizio, dirà: « Quell’oscuro fagotto era Rosa Luxemburg. La grande erudita, l’autrice di opere sociologiche, una eccellente stilista della lingua tedesca, una donna incredibilmente buona verso gli esseri umani e verso gli animali, e per tutta la vita impegnata a costruire un mondo migliore ». Rosa, colei che scrisse questa frase: « Libertà per i sostenitori del governo, i membri di un partito - anche di maggioranza - non è libertà. Libertà è sempre e solo la libertà di chi pensa in modo diverso».

Con gli anni si seppe tutto. I nomi dei militari assassini divennero pubblici. I componenti i gruppi paramilitari ebbero sorti diverse. Alcuni vennero assassinati dai loro stessi compagni d’arme, come « traditori ». La democrazia di Weimar fu assai debole con loro, parlamentò, accettò, protesse. Il risultato fu che la maggior parte di loro tornò allo scoperto con Hitler facendo anche carriera. Il comandante Hoss, per esempio, entrò nel 1933 nelle ss; diventerà il comandante del campo di concentramento di Auschwitz. È finito sulla forca il 16.4.47.

Nel cimitero dei generali prussiani sono seppelliti alcuni di quegli ufficiali dei « Freikorps », nelle tombe di famiglia. I loro nomi non compaiono nelle lapidi. Perfino i loro figli ne hanno vergogna. Tutte quelle uniformi, quelle fiaccolate, quei cordoni dorati ed argentati, quelle coccarde, i galloni e le spalline, la tattica e la strategia e le mappe, tutti quei chepi e quei baschi inclinati, quel parlare d’onore e di senso dell’onore, di episodi di valore, quell’arroganza e quell’orgoglio, tutta quella puntigliosità, tutta quella vanità ed eleganza per poi massacrare col calcio di un fucile una meravigliosa testa femminile o per far percorrere un’assurda via crucis ad una ragazza paralitica.

Entro nel recinto speciale del cimitero. Nonostante lo stato di abban140

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dono è evidente che qui giacciono gli ufficiali dell’aristocrazia. Un muro li separa da quelli non altrettanto elevati nel rango sociale.

Eduard von Know, ammiraglio, cavaliere dell’aquila nera

Maggiore Friedrich von Zeidlitz

Generale Arthur von Wentzky und Petersheyde

Generale Gynz barone von Wolff e sua moglie Melanie von Staff Reitzenstein baronessa von Wolff.

In questo caso la moglie porta il suo cognome. Dipende forse dai suoi antecedenti familiari la valida eccezione? Ernst von Salomon, sottotenente e membro delle brigate paramilitari, scriverà in questi termini sulle donne degli operai di Amburgo che nel 1920 andarono in piazza a protestare in favore dei loro mariti e dei loro figli:

Le donne strillavano e ci mostravano i pugni. Cominciarono a lanciarci delle pietre, delle pentole e ogni sorta di oggetti. Erano degli esseri rozzi, con giacche da operaio, con i grembiuli bagnati e con le gonne lacere, i volti arrossati e accigliati per la rabbia e tutte spettinate. Continuarono a minacciarci coi bastoni, con sassi, con pale ed altri attrezzi. Sputavano, grugnivano, gridavano; le donne sono quanto di peggio in questi casi. Gli uomini fanno a botte; ma le donne sputano e strillano anche ed è dura dare loro un pugno in piena faccia.

(Hebe Pintos de Bonafini, presidente delle Madri della Plaza de Mayo: « Ci cacciarono dalla Piazza con le mitragliatrici cariche come se stessimo in guerra e sono arrivati al punto di dare Tordine di caricare! Allora noi abbiamo risposto Fuoco! »).

Quello di von Salomon è un linguaggio tipico della destra che ha trovato la sua massima espressione nel nazismo che userà l’indefinibile e ambigua parola « virilità » fino alla noia. Nella frase del militare-scrittore Ernst Junger si nasconde una vera e propria chiave psicologica: « Benché

10 non sia nemico delle donne, mi irritava sempre il tipo femmina quando

11 destino della guerra mi conduceva in ospedale. Dalle azioni maschili, energiche e logiche della guerra, entravo in un’atmosfera di indefinite irradiazioni ».

(Archivio del fdcl, Centro di Ricerca e Documentazione per P America Latina di Berlino. Trovo una lettera del generale argentino Albano Harguinde-guy, ministro degli Interni di Videla, alla professoressa Hilde Kaufmann, direttrice del Dipartimento di Criminologia dell’Università di Colonia, nella Germania federale. Chiedo come ha fatto ad arrivare fin lì questa lettera. L’archivista mi dice che è stata mandata dalla professoressa Kaufmann poco prima di morire, nel 1982. L’Università tedesca di Colonia si era interessata nel 1976 di un prigioniero politico argentino: il professor Roberto Bergalli, specialista inIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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criminologia, arrestato per ordine di Harguindeguy. Il crimine del professor Bergalli consisteva nell’aver difeso con coerenza i diritti umani. Dopo il suo arresto fu sottoposto a brutali castighi nel carcere de La Piata. L’ultima volta che fu picchiato ne usci in grave stato. Sia in Germania federale che in Spagna che in Italia, il professor Bergalli è conosciuto negli ambienti universitari dove ha tenuto delle lezioni della sua disciplina. L’Università di Colonia incaricò la professoressa Kaufmann di andare in Argentina e di chiedere li, a Videla e ad Harguindeguy, di concedere il visto di uscita al detenuto. L’Università di Colonia aveva deciso di designarlo come cattedratico nel suo claustro. A Buenos Aires la professoressa parlò con Harguindeguy. Costui promise che « si sarebbe occupato del caso ». Dopo circa sei mesi senza ulteriori notizie, la professoressa Kaufmann scrisse al generale argentino - in termini assolutamente corretti ed umili, ma con molta fermezza - per ricordargli la promessa fatta. Il militare argentino montò virilmente in collera e, il 31 dicembre 1976, le rispose testualmente:

« Come ufficiale dell’Esercito Argentino non posso tollerare che Lei, Signora, nonostante la sua condizione di donna, che io rispetto, possa ricordare a me qual è il valore della parola data. A un ufficiale di un esercito che ha un concetto della stessa che va molto oltre ciò che taluni stranieri possono immaginare sul valore della parola data per un ufficiale dell’Esercito Argentino. Un esercito che ha sempre usato le sue armi per liberare i popoli. Che non si è mai valso della propria forza per soggiogarli o per commettere genocidi. Signora: non ho bisogno, come Generale [sic, con la maiuscola] della Nazione e come individuo - civile o militare - con un cognome onorevole ereditato dai miei genitori e che io cerco di lasciare ai miei figli altrettanto onorevolmente, le torno a ripetere, non ho bisogno che nessuno mi ricordi che ho impegnato la mia parola d’onore per un azione futura che riguarda il caso di cui si tratta ».

Come un vero uomo. I nostri generali forse non combattono fino alla promessa « ultima goccia di sangue » ma sanno come rispondere ad una « signora » soprattutto se è straniera. Le frasi che scrive dipingono a tutto tondo questo generale forgiato nei safari in Africa del Sud e nei campi di polo che è anche uno degli esecutori fondamentali della guerra sporca. Ma il generale è magnanimo con le signore, per questo aggiunge:

« Tuttavia, per sua tranquillità éd al fine di tranquillizzare la sua emotività, le ripeto che non appena saranno esaurite tutte le pratiche legali e sia trascorso il tempo previsto dalla legge perché il Potere Esecutivo possa riunire tutti i dati necessari per la soluzione del caso, il mio Ministero emanerà l’opportuno decreto per consentire la partenza del dott. Bergalli per la Repubblica federale tedesca. Spero che il suddetto professore, nel suo lavoro e nelle lezioni universitarie, in Germania e sotto la sua tutela, a causa di alcuni preconcetti e per una certa formazione alquanto ideologizzata che indubbiamente gli appartiene, non semini nella mente di coloro che saranno suoi discepoli, cioè nella mente della gioventù tedesca, idee disgreganti che potrebbero attentare contro la costituzione stessa di una nazione democratica, il che significa attentare - in poche142

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parole - alla libertà dell’uomo, il bene più prezioso che Dio ha dato a noi mortali costretti ad attraversare tutte le vicissitudini di un mondo sempre più conflittivo. Dottoressa Kaufmann, il dottore Bergalli le potrà fornire artatamente la sua personalissima versione dei fatti che accadono nel mio paese. Non mi preoccupa né ci preoccupa quanto potrà dire fuori dalla verità. La verità è Tarma che i popoli devono imbracciare per difendersi dai falsi profeti che, attraverso la predica della democrazia e del rispetto dei diritti umani, cercano di sovvertire e di cambiare i regimi al fine di, una volta realizzato ciò, annullare la libertà e non permettere la benché minima sopravvivenza di un qualsiasi diritto per i cittadini »).

Il cimitero comincia ormai a tingersi del colore dell’ombra. Assomiglia ad un immenso monumento all’aggressione e all’obbedienza, le due caratteristiche essenziali della vita militare, dell’educazione castrense. La ripetizione stentorea di frasi come « Si vis pacem para bellum », « La guerra è una continuazione della politica con altri mezzi », « La guerra è la madre di tutte le cose » e quelle del generale von Seeckt: « L’onore dell’ufficiale non consiste nel sapere meglio o nel voler di più, consiste nell’obbedienza », trova nel cimitero dei generali la sua migliore espressione, la sua sintesi. Ma c’è ancora una sintesi migliore di questa filosofia militare, ed è l’altro cimitero a circa ottocento metri da questo, dove sono sepolte le vittime dei bombardamenti di Berlino, dal 1943 al 1945. Li ci sono delle lapidi che coprono una madre con cinque figli, delle famiglie intere, dalla bisnonna al bisnipote. Aggressione e obbedienza. « La miglior difesa è l’attacco ». La totale identificazione con la volontà dell’autorità. Il generale è il Papa e il Papa è il generale. « Con questo onore imposto con la forza - fa notare lo psicosociologo tedesco Josef Leifert - la classe sociale dominante, utilizzando l’etica professionale tradizionale, possiede il mezzo migliore per una felice manipolazione degli ufficiali ». Lo slogan delle forze paramilitari hitleriane, le ss, era un’emozionalizzazione del principio militare dell’obbedienza: « Il mio onore è la fedeltà ». Obbedienza ed aggressione contro pacifismo e ribellione. Il pacifismo è la ribellione per eccellenza. La persona aggressiva ha come valore fondamentale l’obbedienza. Cioè, « la custodia dei valori eterni » - nel mio paese argentino, i militari e la loro corte civile la chiamano « valori occidentali e cristiani » oppure « essenza dell’argentinità » - contro la problematicizza-zione, la costante sfiducia verso l’autorità e i valori sottintesi e imposti, che non sono altro che i decaloghi delle classi dominanti. Sfiducia e ribellione contro i cosiddetti «codici d’onore». Questi codici con i rispettivi « tribunali d’onore » che servono sempre da coprivergogne alla corruzione degli « arrivati ». L’ipocrisia ed il fariseismo di tali codici d’onore vengono a nudo nella falsità di certi dettagli delle nórme di comportamentoIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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sociale. Per esempio, il colonnello Spohn, consigliere di « questioni d’onore », scriveva nel trattato Doveri professionali e sociali dell’ufficiale, nel 1915: « Le relazioni carnali con donne pubbliche sono permesse e non sono affatto riprovevoli in un ufficiale a condizione che avvengano nell’intimità. Ma il militare mette in pericolo il suo onore d’ufficiale se, per esempio, si mostra pubblicamente al braccio di una di queste donne. Con questo comportamento schiaffeggia la società e l’ingiuria tanto più se commette la sfacciataggine di salutare, in questa condizione, le signore che incontra. Quest’ultimo caso è offensivo e ferisce l’onore ».

I codici d’onore, l’obbedienza come principio, fanno si che l’abito faccia il monaco. L’uniforme, le spalline, i segni visibili del rango per mezzo di nastrini e di allori, sono dei mezzi per imporre l’autorità. Il rango affoga qualunque dubbio, qualunque insicurezza, qualunque critica. Non è, pertanto, necessario imporre il proprio parere con l’idea, la discussione, la persuasione fondata su argomenti. Imporsi - con questo metodo e questi attributi - è già di per sé un’aggressione. « L’aggressione -scrive Leifert - nei militari è qualcosa di sottinteso ed è una necessità categorica. La famosa frase del maresciallo von Moltke: ‘ La guerra è un elemento dell’ordinamento divino del mondo. La pace eterna è un sogno, e neanche un bel sogno ’, definisce in modo evidente questa necessità di aggressione ». Il sociologo Alexander Mitscherlich aggiunge: « Perché l’aggressione arrivi al momento di scarico deve incontrare un nemico, e se non l’incontra, se l’inventa ».

L’uniformità non accetta la critica. Per questo l’odio dei militari verso gli intellettuali che mettono in dubbio i criteri tradizionali di autorità ed onore e la sfiducia verso quel sistema politico che promuove discussioni di base. Il generale tedesco Wolf, conte di Baudissin - uno degli ideologi del nuovo esercito germanico dopo la sconfitta del 1945 -, racconta che quando entrò nella carriera d’ufficiale, durante la Repubblica di Weimar (1919-1933), gli ufficiali dell’Esercito prima di cominciare a mangiare alzavano il primo bicchiere per brindare in onore dello sconfitto Kaiser che chiamavano « nostro vero comandante ». Avevano bisogno della verticalità, tenevano in sospetto la Repubblica e ne temevano il pluralismo. E ciò accadeva nonostante che quegli ufficiali avessero giurato la difesa della costituzione della nuova democrazia. Questo spergiuro non costituiva per loro mancare all’onore come invece lo era passeggiare sotto braccio di una ragazza « disonorata ». Lo stesso generale Baudissin sottolinea che questa posizione « nazionale » - come viene chiamata - contro la democrazia fu fatale, perché quegli ufficiali, nella grande maggioranza, nel 1933 passarono armi e bagagli al fascismo hitleriano. Il 2 agosto 1934 dal più alto maresciallo all’ultimo soldato dovettero giurare obbedienza incondiziona144

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ta al Ftihrer in cerimonie ad hoc. Da questo momento, l’esercito tedesco fu una pedina in più nel programma e nella politica di sterminio di Hitler. L’investigazione storico-scientifica attuale sulla base della documentazione ritrovata è giunta alla conclusione che l’esercito non solo era ben informato dei massacri eseguiti dagli squadroni ss ma che vi partecipò diretta-mente, con l’autorizzazione dei marescialli von Manstein, von Reichenau, Ritter von Leeb, von Kuchler, Ritter von Schobert, il colonnello generale Busch ed il colonnello generale Hoepner, fra gli altri.

(Generale Santiago Omar Riveros - comandante di istituti militari nel 1976 - nell’alludere alla repressione 1976-1980: « Abbiamo fatto la guerra con la dottrina alla mano, con gli ordini scritti dei comandi superiori, non abbiamo mai avuto bisogno, cosa di cui ci accusano, di organismi paramilitari, ci era sufficiente la nostra capacità e la nostra organizzazione legale per combattere faccia a faccia le forze irregolari in una guerra non convenzionale (...) Questa nostra guerra è stata condotta dalla Giunta Militare del mio paese attraverso gli Stati Maggiori (...) Guerra cui ho partecipato per Grazia di Dio »).

I marescialli Keitel e Jodl, comandante in capo e capo dello Stato Maggiore della Wehrmacht durante l’ultima guerra impostarono tutta la loro difesa personale al Tribunale di Norimberga sul grande alibi dell’obbedienza agli ordini superiori.

(Interrogati dalle Madri di Plaza de Mayo sul perché reprimessero cosi delle donne disarmate, gli ufficiali della Polizia Federale rispondevano invariabilmente con il tabù « obbediamo agli ordini »).

Sfiducia ed odio verso i critici esterni, e come contrapposizione, un acceso spirito di corpo. Alcuni anni dopo Tultima guerra cominciarono le pratiche di commilitanza fra ex ufficiali nemici. Gli aviatori da caccia inglesi - per esempio — che avevano difeso Londra dalla Blitzkrieg aerea tedesca, si danno appuntamento ogni quattro anni con gli ex aviatori dei bombardieri nazisti, loro ex nemici. Li accompagnano le loro mogli ed a volte anche i loro nipotini. Passano due o tre giorni in case di campagna, al mare o in montagna fraternizzando sui temi della guerra e ricordando le prodezze reciproche. Le riviste settimanali documentano tali incontri e pubblicano fotografie di anziani sorridenti che mimano con i gesti immaginarie battaglie aeree. Titoli nostalgici come « I veterani dimenticano i rancori », « In fondo, eravamo tutti dei soldati », o « Le aquile uniscono le loro ali ». I bambini sepolti dalle macerie, i corpi orribilmente bruciati dal fosforo, il terrore delle donne incinte, la vulnerabilità dei vecchi di fronte al vile attacco dall’alto, tutto ciò non conta. Il disperatoIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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che lancia una bomba in mezzo alla strada è un terrorista, colui che lancia mille volte quella bomba dal cielo può perfino essere un eroe, o per lo meno uno che « obbedisce agli ordini ». La formula è facile. Ora perfino il termine di « guerra sporca » è onorevole. Il generale Videla — cercando di dare un tono serio e responsabile alla sua voce — ha parlato di guerra sporca per spiegare sequestri e torture ed assassini, liquidazione di intere famiglie, furti di beni altrui. « Guerra sporca » è ora un salvacondotto per la morale, un permesso universale. L’ex pilota di bombardiere tiene le mani alla stessa altezza, una dietro l’altra e racconta — sorridente e nostalgico — come riuscì a lanciare tutte le sue bombe prima che uno « Spitfire » gli mitragliasse la coda. Le mogli dei veterani lavorano all’uncinetto e, sorridenti, prendono il tè. I nipotini giocano con « Mirages » e « Super Etendard » in miniatura. C’è un che di idilliaco, la pace che si conquista in vecchiaia quando si è compiuto il proprio dovere. Che è la cosa più difficile e scabrosa. La difficoltà consiste nel comportarsi bene nei confronti dell’umanità e di se stessi. Nel 1914 si compiva il proprio dovere usando la pala della fanteria infilata nella Mauser e, nel corpo a corpo, si doveva tagliare così la gola del nemico. Con la baionetta si doveva infilzare il ventre, un poco più sù, il colpo era perfetto quando raggiungeva lo sterno. Nel 1920, generali inglesi, francesi e tedeschi si riunirono per mettere a frutto un’idea: progettare cimiteri comuni per i soldati caduti; tedeschi, inglesi e francesi, tutti insieme, tutti mischiati. Unirli nella morte. Questa parve loro un’idea geniale. E i giornali pubblicarono brillanti editoriali che inneggiavano al valore « umanistico » di una simile idea. Il poeta anarchico tedesco Erich Miihsam propose, invece, di costruire un’unica tomba per tutti i generali, senza differenze di nazionalità, per seppellirceli vivi insieme ai fabbricanti di armi. Questa idea fu esecrata dai pulpiti delle chiese come prodotto di una mentalità malata ed eversiva.

Riunioni di affratellamento fra ex nemici. Il fatto è che nelle norme morali e di condotta del militare, il militare che gli sta di fronte - tranne gli irregolari, i guerriglieri, i civili armati - è solamente l’avversario della sfida. Gli inglesi in questo sono maestri. Danno alla guerra un certo tono sportivo. Furono loro a inventare il carisma di Rommel ed a dargli il soprannome di « volpe del deserto »: il maresciallo tedesco che compariva e scompariva con i suoi carri armati, un mago che innovava tutta la scienza militare. Tutto ciò sotto la formula: se lui è così abile e noi lo sconfiggiamo, è segno che noi siamo migliori.

(Quando, nella seconda guerra mondiale ad Anzio e a Nettuno in Italia, la colonna di testa dell’invasione alleata era in pericolo, gli inglesi parlarono del146

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valore degli aviatori italiani - fino a quel momento nemici - che con voli radenti cercavano di spiazzare i cannoni antiaerei della flotta. Sempre gli inglesi furono i primi ad elogiare - tramite i portavoce e gli addetti stampa del Ministero della Difesa - gli aviatori argentini chiamandoli coraggiosi e temerari. Cominciava cosi un’altra leggenda. Solamente a guerra finita, nel rapporto finale, gli inglesi espressero la loro sorpresa per i falsi obiettivi scelti dall’aviazione argentina. Invece di concentrare gli attacchi sui grandi convogli di trasporto truppe e far fallire l’attacco si contentarono di attaccare le navi-scorta, con effimeri trionfi; arrivarono ai bordi esterni ma non osarono arrivare al centro. Prima di definirli coraggiosi e temerari bisognerebbe ridefinire quei valori. È forse più coraggioso colui che ha una maggiore carica di aggressività, chi vede la sua grande opportunità di emergere nell’unico modo in cui sia capace, cioè sparando all’impazzata, chi, forse, ha collezionato più insuccessi nella sua vita privata e di relazioni? O si tratta della semplice emozionalizzazione della guerra

- questa pericolosa seduttrice, come l’ha chiamata Anna Seghers - perché altrimenti, come spiegare il fatto che migliaia di semplici soldati si siano lanciati cantando all’attacco delle trincee nemiche nella Grande Guerra? Erano diventati all’improvviso tutti coraggiosi? Il mondo cambierà quando insegneremo nelle scuole il coraggio civile, cioè la capacità spontanea di ribellarsi contro un’ingiustizia? Il « valore » degli aviatori argentini non fu notato affatto durante la brutale repressione di Videla-Massera-Agosti. Nessuna voce di brigadiere o di sottotenente si alzò a protestare contro i brutali trasporti aerei dei prigionieri politici argentini che durante il volo venivano umiliati e castigati duramente; non fu udita nemmeno una voce di quei coraggiosi per protestare contro la scomparsa dei bambini, le torture alle donne incinte o l’assassinio di migliaia di persone).

Quando nel 1945 cominciò la guerra civile, inglesi e nordamericani inventarono la leggenda di Rommel antihitleriano. Ne avevano bisogno per offrire un modello per un nuovo esercito tedesco. Ma gli storici, questi simpatici segugi con denti di carta che riescono a denudare certe figure inventate al momento opportuno dagli interessi creati, hanno messo allo scoperto la vera « volpe del deserto ». Una volpe, è vero, ma arram-picatrice. Sono state pubblicate le sue lettere a Hitler che sono un capolavoro di adulazione e servilismo. Quanto al suo « genio militare » ormai è chiaro che le sue vittorie si basavano sull’assoluta mancanza di rispetto per la vita dei suoi soldati, specialmente degli alleati italiani. Non gliene importava niente di perdere vite umane pur di raggiungere un obiettivo o di portare a termine un’azione spettacolare. La sua famosa resistenza contro Hitler, nel 1944, è stata solo la fase finale del suo opportunismo: quando si rese conto che era impossibile vincere la guerra cercò di capovolgere la sua situazione. Ma il suo padrone, prima tanto adulato, fu più rapido di lui.IL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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(Jorge Luis Borges, l’intellettuale che nel 1976 aveva detto che « i militari argentini erano dei gentiluomini » - che però quattro anni dopo, quando il progetto militare cominciò a mostrarsi perdente, passò clamorosamente alla « resistenza » - quando andò in Germania, nel 1982, espresse il personale desiderio di incontrare Ernst Jùnger, il geniale e raffinato scrittore, il grande ammiratore della guerra come atteggiamento di virilità e di purificazione, lo stesso che, come tenente dello Stato Maggiore aveva partecipato alla prima guerra mondiale, poi nei corpi paramilitari dando la caccia agli operai e poi nella seconda guerra mondiale come alto ufficiale. Jùnger, il creatore del cosiddetto « nihilismo eroico » concepì letterariamente la raffinatezza per eccellenza, il non plus ultra dei piaceri, il grande bagno di sangue, di fuoco e di acciaio, il gusto di partecipare alla guerra come a uno spettacolo, la guerra come azione igienica e poetica per il maschio. Ebbe la fortuna (secondo lui) di partecipare alle due guerre. Tormenta d’acciaio è uno dei suoi libri esegetici sul massacro degli esseri umani. Contiene frasi profonde e ben espresse del tipo di questa sulla partenza per il fronte: « Domani, sì, forse domani mi schizzerà il cervello fra le fiamme ». Mentre il poeta Trakl non resisterà al dolore di fronte al massacro di Grodek, a Ernst Jùnger gli effluvi della polvere, del sangue, delle viscere incancrenite dei morti e della merda delle trincee lo riempivano di aromi e scriveva:

« Il sangue vorticava nel cervello e nelle vene come prima di una notte d’amore violentemente desiderata, anzi, in forma ancora più calda e stravolgente. Il battesimo del fuoco! L’aria era carica di una mascolinità così debordante che ogni respiro ubriacava, tanto che avremmo potuto scoppiare in pianto senza sapere perché. Oh! cuori maschi che siete potuti arrivare a provare tutto questo! ».

L’ex militare Jùnger, il portavoce dell’estetica della destra, parla con sincerità e fermezza virile: « Ovviamente, noi ci sentiamo più a nostro agio con un nemico di razza che non con un pacifista o con un internazionalista. E certamente, ciò che facciamo in un campo di battaglia, uccidendoci fra di noi, è più importante che finire col formar parte di un enorme purè ». Con la parola purè, Jùnger allude al miscuglio di razze, di nazioni, all’eliminazione delle classi, alla repubblica, in una parola, al socialismo. Più tardi Jùnger si rassegnerà e si dedicherà ad esaltare i valori dell’individualismo. Sempre contro il « purè » ma ormai senza più bisogno del fuoco e dell’acciaio. L’individuo, come una roccia che si oppone al mare, al flusso, all’inondazione. La lunga conversazione fra questi due aristocratici della vita e della parola, Junger-Borges, fu di una tenera e cortese nostalgia. Borges realizzava così il suo sogno argentino di parlare con l’ammirato europeo di cui aveva letto Tormenta d’acciaio. L’europeo lo ricevette con educata condiscendenza. Più tardi dichiarerà di non essere molto aggiornato sulla letteratura latinoamericana, ma che tuttavia « per me è stato un piacere conversare con il signor Borges » - pronunciato con la g francese).

Mi sembra che sia già suonato l’Angelus. Ora chiuderanno il cimitero. È Torà in cui nei monumenti funebri pieni di fenditure si danno appunta148

OSVALDO BAYER

mento i generali prussiani per spiegare le loro battaglie perdute. Sono vecchi, consumati e curvi ma nelle loro vuote orbite brilla sempre la speranza: un’altra occasione, l’ultima occasione. Questa sì, definitiva. Ora sì che gli « apostoli » del pacifismo saranno definitivamente sconfitti.

Quelli che giacciono senza più nessuna speranza, senza nessuna ulteriore occasione, sono i soldati morti. Se ne stanno nel loro limbo dove non sono altro che una massa nebulosa con qualche breve lamento da affogato di tanto in tanto. Questi non torneranno.

(La guerra delle Malvine non è finita, dicono i generali argentini mentre fanno colazione. Ma il pastore Aguila e i marinaretti di 18 anni della « Generale Belgrano » hanno chiuso definitivamente, per i secoli dei secoli. Non ci sarà nemmeno un Giudizio Universale).

Ma nell’attesa della loro battaglia finale e del loro definitivo trionfo, la storia è crudele, cinica e sarcastica con gli scheletri dei generali che giacciono a Gamisonfriedhof. La storia deve essere un dio grasso, volgare e sudicio a cui piace fare scherzi grossolani. Al cimitero dei generali prussiani è stato tolto un pezzo di terra ed il comune di Berlino lo ha affidato alla comunità ottomana. Ora c’è il cimitero turco di Berlino, dove vengono sepolti i poveri dell’Anatolia, emigrati durante l’epoca delle vacche grasse del capitalismo per raccogliere la spazzatura e lavorare alle interminabili catene di montaggio delle fabbriche di automobili e di televisori. Hanno avuto un posto proprio nel cimitero dei generali per seppellire i loro umili morti. I morti turchi avanzano sulla terra degli aristocratici marescialli. Ormai la tomba che guarda verso la Mecca del turco Tufanin Ruhima, morto il 5 ottobre 1982, sta a cinque metri dal generale Erich Werner August Wilhelm von Livonius. E continuano ad avanzare. Sono morti che portano vita: da questo lato, il cimitero si anima la domenica di donne con fazzoletti in testa e di bambini che ridono, che piangono e che gridano. È un’offensiva che i generali non si aspettavano. La vita non si arrende. Per ogni pallottola che cerca la morte, un filo d’erba spunta per sentire la brezza.

trad. di Alessandra Riccio

Osvaldo Bayer

* El cementerio de los generales prusianos: dal prossimo volume Exilio, Buenos Aires, Legasa, redatto a Berlino, ove Bayer nel 1976 prese dimora dovendo lasciare PArgentina. Nato nel 1927 a Santa Fe da famiglia di origineIL CIMITERO DEI GENERALI PRUSSIANI

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tedesca, studiò a Buenos Aires ed Amburgo, segretario di redazione di « Garin » e responsabile del Sindacato dei giornalisti, è autore di scritti come la biografia di Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia, Los Anarquistas e Los vengadores de la Patagonia tràgica in quattro volumi; il film di Bayer La Patagonia rebelle, sul massacro dei braccianti nel 1921, fu presentato e premiato a Berlino nel 1974.

Le citazioni che figurano nel testo sono state tratte da:

Paul von Schmidt, Das deut sche Offizierskorps, Berlin 1904; Colmar Graf von der Goltz, Reiseeindrucke aus Argentinien, Berlin 1911 e Denkwiirdigkei-ten> Berlin 1929; José Félix Uriburu, La guerra actual, prefacio, Buenos Aires 1915; Friederich Freksa, Kapitàn Ehrhardt, Berlin 1924; Otto Runge, Der Mord von Rosa Luxemburg und Karl Liebknechtì Klassenbuch 2, Luchterhand, Darmstadt 1972; Egon Erwin Kisch, Rettungsring an einer kleinen Bruke, in « AIZ », J. 7, 1928; von Salomon, Die Geàchteten, Berlin 1930; M. Moncalvil-lo, Inchiesta su « Humor », fotocopia s.d.; Josef Leifert, Soldatenehre-Kritik eines Mythos, Freiburg 1933; Ratgeber in Ehrenfragen aller Art, Teil II, Berlin 1911; Wolf de Baudissin, Die zornigen alten Mànner, Hamburg 1979; Helmut Krausnick e Hans-Heinrich Wilhelm, Die Truppe des Weltanschauungskrieges, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart 1980; Ernst Junger, La lucha corno expe-riencia interior, Berlin 1922 e Sangre y fuego, Berlin 1929; Discorso pronunciato alla Giunta Interamericana di Difesa a Washington il 24.1.1980 dal Comandante in Capo deirEsercito Argentino; « La Nación », Buenos Aires,

28.7.1980.
 


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Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1984 Mese: 3 Giorno: 31
Numero 2
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2


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