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tipologia: Analitici; Id: 1543115


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Tipologia Periodico
Titolo relazione di Costantino Lazzari sotto presidenza Azimonti, Discorso Lazzari
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Trascrizione Non markup - automatica:
SEDUTA ANTIMERIDIANA DEL GIORNO 17
Presidenza: Azimonti.
Discorso Lazzari
AZIMONTI, presidente: La parola a Lazzari.
LAZZARI. (Applausi): Cari compagni ! Io ho riassunto in una proposta-conclusione, che è stata pubblicata sull'Avanti ! di pochi giorni fa, il punto di vista nel quale, secondo me, bisognerebbe mettersi per risolvere la questione intricata nella quale si trova il Partito. Per potere per') avere in mano gli elementi sufficienti onde decidere di fronte ai propositi chiaramente espressi di credere di risanare i mali del nostro Partito, di migliorare le sue condizioni nazionali ed internazionali per mezzo di una scissione, è necessario che noi risaliamo all'esame delle origini che hanno portato il Partito e il Congresso a dover trattare tale questione.
Per vedere se le ragioni, i moventi che ci hanno portato a questa situazione rispondono realmente ad una necessità naturale, ad un bisogno, ad un beneficio per le nostre condizioni di Partito di lotta e di Partita di avvenire, o non siano piuttosto il frutto di un qualche artificio o il prodotto di propositi e di sentimenti i quali sono in contrasto con quella che dovrebbe essere la giusta e ragionevole spinta che deve animare tutti i compagni che si iscrivono al Partito socialista italiano. Io non esito a dichiarare che se la situazione, che il Partito ha affrontato l'anno scorso nel Congresso di Bologna, era già una situazione intricata e difficile, oggi essa è diventata ancora piú grave perché appunto il risultato del Congresso di Bologna è stato quello di introdurre negli usi, nelle abitudini, nei programmi del nostro Partito, come mezzo di azione, il mezzo della violenza: il mezzo della violenza che è ripugnante in un Partito sorto, come il nostro, per reazione contro il vecchio culto ed il vecchio fanatismo di credere che le questioni sociali possano essere risolte col mezzo della violenza.
Nel 1892 il Partito socialista in Italia è sorto appunto spogliandosi di tutte queste vecchie fantasie che ci erano lasciate in eredità da tutto
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quell'atavismo delle generazioni passate, che aveva consumato se stesso per poter dare alla nostra nazionalità la sua indipendenza e la sua coesione. Attraverso circa trenta anni di lotta e di azione, il Partito si era portato compatto ad affrontare la situazione nel nostro Paese dopo la guerra e dopo la vittoria. I mezzi artificiali con cui l'anno scorso nel Congresso venne fatta trionfare questa esaltazione dei mezzi della violenza, che noi non abbiamo mai negato, ma che noi contestiamo continuamente possano e debbano essere uno dei mezzi di azione programmatici del, nostro Partito, ci ha convinti che non si è fatta abbastanza propaganda di questa verità fondamentale del nostro .movimento. Ed anche oggi noi siamo dominati da questa esaltazione per cui, forse, coloro che hanno trionfato nel Congresso di Bologna l'anno scorso, dovrebbero sentire pesare qualche rimorso per la situazione difficile che si è venuta creando a Bologna, a Ferrara ed in altri luoghi, ove appunto la facilità e l'illusione di credere che gli atti di violenza armata possano servire a maturare maggiormente i destini della classe lavoratrice d'Italia e l'avvenire della civiltà socialista, hanno messo il Partito in condizione inestricabile e difficile. (Applausi).
Noi consideriamo la violenza come una storica necessità, ma una triste necessità. Si è secondo i metodi e gli incitamenti della classe dominante, che la violenza degli sfruttati, dei dominati, può essere utile e necessaria. Però vi è anche una violenza inutile. Ed a questo proposito io mi ricordo che quando nel mese di ottobre il giornale del na stro Partito ha pubblicato un certo articolo, non mi ricordo di chi, ma di un nostro compagno, il quale inneggiava alla violenza come risposta alla violenza dei nostri nemici, e concludeva col riprendere, attraverso un antico rudero della politica antica, la massima « Occhio per occhio, dente per dente », ed il nostro giornale pubblicava questo articolo di fondo senza nemmeno un rigo di commenta, e ci faceva ritornare alla stessa sensazione etica e morale della civiltà mosaica, anche prima del diluvio universale, io allora avevo preparato un articolo che ho avuto sempre scrupolo di pubblicare. Ed in questo articolo io ricordavo le memorabili e grandi parole che sono state espresse in principio della rivoluzione russa dal nostro compagno Krilenko, un umile ufficiale diventato commissario del popolo per la guerra, il quale, ritornando dall'essere stato a sciogliere lo Stato maggiore dell'esercito russo, ha dovuto assistere impotente all'assassinio del generale Zakunine, che egli conduceva con sé dinanzi al Tribunale di Pietrogrado. Il compagno Kri-lenko ha pubblicato un proclama, che ho avuto il piacere di tradurre, che è stato pubblicato sull'Avanti! del 17, in cui richiamava i compa-
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gni soldati di terra e di mare, a considerare la inutilità della violenza e della crudeltà. Ebbene, noi abbiamo adottato, voi avete adottato, nel Congresso dell'anno scorso, questo mezzo di azione, il quale confonde l'inutilità e l'utilità della violenza e la mette semplicemente a disposizione dei nostri volontaristi, o dei nostri compagni impazienti e insofferenti come un mezzo per la liberazione o per l'espressione della loro volontà e del loro diritto. Questo è quello che ci ha portati alla situazione in cui ci troviamo: che si è creata in mezzo a noi una frazione la quale appunto viene a domandare per il bene del Partito, per il bene della causa del proletariato d'Italia, di dividere il Partito.
Dunque voi vedete, o compagni, che noi vecchi militanti ci'trovia-mo in una situazione molto complessa e ci è necessario di esporre davanti a voi tutto il quadro delle ragioni storiche, contingenti e future, per le quali la vostra e la nostra decisione potrà essere realmente una decisione seria, grave, meditata, in nome della quale noi, fuggendo da tutti quegli artifici che si adoperano in qualunque assemblea per potere assicurare ad una opinione il predominio e la vittoria, veniamo semplicemente a spiegarvi e domandarvi se la scissione, che è reclamata e voluta, proposta se volete, da una parte di noi, sia un bene o un male per la causa che noi sosteniamo.
E purtroppo per il nostro vecchio cuore di militanti, noi abbiamo cominciato le sedute di questo Congresso con un dolore. A questa tribuna si é presentato un simpatico giovinetto il quale è venuto a concludere le sue parole col chiamare « fantoccio » quel nome di unità che noi da quarant'anni a questa parte abbiamo avuto la fierezza e l'orgoglio di presentarvi in un Partito che è forza vera ed efficace, verso la quale e contro la quale i padroni del nostro Paese sono costretti a fare i conti oggi e saranno costretti a capitolare domani. (Applausi).
Oh, giovane compagno, io ti dico: Noi per quarant'anni abbiamo apprezzato i benefici della unità di tutti quegli elementi militanti, i quali, rinunciando a tutte le vecchie ideologie dei vecchi Partiti borghesi, hanno dichiarato, in base al nostro programma, di dedicarsi per la causa della giustizia e dell'uguaglianza, col proposito della espropriazione economica e politica delle classi dirigenti su un terreno e su una base chiaramente socialista. Ed è stato il secondo che si è espresso, dai primi tentativi e conati che venivano da tutta una predicazione idealistica che è stata fatta allora fino dai tempi subito dopo la Comune di Parigi. Ebbene, noi per quarant'anni abbiamo apprezzato i beni della unità: voi, in pochi anni, caro giovinetto, constatate gli inconvenienti della unità. Noi abbiamo sempre saputo che in mezzo ad ogni cosa di
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questo mondo, vi è la parte utile e vi é la zavorra, la parte dannosa. Siamo qui tutti per rimediare ai difetti dell'unità. Anche l'unità ha i suoi difetti. Sono tutti inconvenienti della vita e dell'azione degli uomini. Siamo qui per cercare di rimediare. Ma voi per rimediare chiamate e fantoccio » quello che è sempre stato il nostro culto, il nostra bisogno, verso il quale abbiamo fatto tutti i sacrifici. E voi avete portato un dolore a noi proprio all'inizio di questa discussione. Oggi i giovinetti pero dicono: Cosa importa se i vecchi hanno dei dolori? Noi andiamo avanti per la nostra strada.
Allora, o compagni, è necessario richiamarvi ad un'altra considerazione di carattere etico e morale, che io credo non debba mai sfuggire dai nostri propositi e dalla nostra azione, e nemmeno dalle nostre riunioni. Voi sapete che noi vecchi del Partita, abbiamo passato tanti dispiaceri, tanti fastidi, tanti, di tutte le qualità. Pure noi ci siamo sempre ingegnati di portare come nostro distintivo questo criterio. In tutte le nostre riunioni noi abbiamo cercato di presentarci con quell'alto concetto e quell'alto patrimonio del sentimento della fraternità, della solidarietà, della uguaglianza che tutti i nostri compagni, che sono sul nostro terreno e vogliono lottare sulle basi del nostro programma, devono avere. E per questo che noi cerchiamo nelle varie nostre manifestazioni d'evitare tutte quelle forme che possono essere ingenerose e dannose, a offensive per la lealtà, per la semplicità, per la buona volontà dei nostri compagni. Ora, purtroppo, noi abbiamo visto dagli inizi di questo Congresso come troppo facilmente si dimentichi che deve alitare sopra di noi questo alto sentimento di fraternità e di uguaglianza in nome del quale, badate, dovremmo consolarci e sentirci allargare il cuore pen---sando che il nostro Partito é diventato gigantesco sí da fare Congressi in assemblee cosí enormi, cosí numerose ove sono tutti, ricchi e poveri, sapienti ed ignoranti, e consolarci al pensiero che la fratellanza socialista diventa piú grande e vada invadendo la grande massa del popolo italiano. (Applausi).
Dunque restiamo a terra, e restiamo in terra italiana, per vedere se il rimedio che viene proposto, della scissione, risponda realmente ad
una necessità del nostro movimento. -
Il compagno Graziadei, che è venuto a parlare qui lungamente e che può portare la impressione piú fresca della sua permanenza a Mosca, nel centro della rivoluzione proletaria di Russia, ci ha comunicato l'impressione, i propositi, i risultati della missione alla quale egli ha partecipato. Noi abbiamc ascoltato con molta attenzione ciò che egli diceva per vedere se le sue conclusioni rispondevano oltre a quelle che
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sono le esigenze del movimento internazionale, a quelle che sono le esigenze del nostro movimento nazionale. In verità il compagno Graziadei ha creduto necessario, dopo il suo primo discorso di ieri mattina, di venire alla tribuna a fare una specie, non dico di atto di contrizione, ma una specie di spiegazione che poteva parere una giustificazione perché comunemente viene ritenuto che il suo atteggiamento di fronte alla guerra non fosse stato realmente un atteggiamento contro la guerra. E difatti noi ricordiamo benissimo che quando nelle nostre manifestazioni di fronte a questo grave fatto politico della guerra, noi eravamo considerati come degli elementi pericolosi e siamo stati incolpati appunto per questo, anche il compagno Graziadei faceva le sue osservazioni in proposito, ma ricordiamoci che le sue osservazioni, i suoi scritti, i suoi commenti andavano sulle colonne del Giornale d'Italia e servivano come strumento contro di noi. (Applausi). Perché il torto del compagno Graziadei e di parecchi altri — qualcuno di essi appartiene alla sfera dei dotti, degli eruditi, dei professori — il loro torto é quello di considerare generalmente tutti i fatti e tutte le necessità della vita e della storia attraverso la lente della scienza. Il fatto della guerra deve essere osservato come un fatto scientifico? Io dico di no. Il giorno in cui abbiamo assunto la posizione di militanti politici, specialmente se siamo rappresentanti politici — e il deputato Graziadei è uno dei deputati piú anziani del momento presente e successore di Andrea Costa — abbiamo il dovere di considerare questi fatti non comè fatti scientifici, ma come fatti politici e su di essi non possiamo fare le nostre esercitazioni dotte ed erudite. (Applausi, rumori).
Ecco perché noi dobbiamo tener presente la necessità di avere una visuale chiara e precisa la quale non abbia confusioni, né contorcimenti che vadano a urtare con altre necessità della vita: siamo una volontà politica e dobbiamo avere ben chiaro e preciso il nostro compito, e le decisioni che dobbiamo prendere.
Per questo, al compagno Graziadei, che come una delle conclusioni principali della sua adesione alla richiesta dell'Internazionale comunista, veniva qui a proporre una specie di scissione a scartamento ridotto, una epurazione, dicendo che egli si sentiva un pigmeo dinanzi ai giganti della rivoluzione russa, io devo rispondere: « Caro compagno Grazia-dei, noi vecchi socialisti d'Italia, non ci sentiamo né pigmei né giganti: ci sentiamo uomini naturali i quali sanno di avere un loro passato del quale devono rispondere, e un loro dovere da compiere verso l'avvenire, con lo stesso sentimento semplice e onesto col quale essi hanno cercato di compiere il loro dovere dal passato ad oggi ». (Approvazioni).
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Ma allora, mettendoci su questo punto di vista ed in questa posizione, con quella semplicità naturale e umana, cosí rispondente alla natura intima del nostro popolo, al nostro popolo italiano, di cui noi siamo l'espressione, noi che ci siamo sempre guadagnati il nostro pane ed il nostro salario lavorando per trenta o quarant'anni al servizio dei padroni, noi che abbiamo un carattere semplice e disadorno che non possono avere uomini della scienza e della dottrina, noi sentiamo come dalla nostra antica civiltà italica questa posizione di uomini semplici e naturali che non cercano di essere eroi, né cercano di diminuirsi, risponde realmente a quello che é il sentimento, l'istinto del nostro popolo. E guardate i fatti della politica come danno una giustificazione a questa sensazione che noi abbiamo. I popoli della vecchia civiltà hanno tutti un'anima speciale, tutti una psicologia speciale: avete visto il recente fenomeno che è avvenuto nella storia europea? Io meditavo stanotte e facevo passare le pagine di questo prezioso libro, che anche il compagno Graziadei ha portato a questa tribuna: « Le tesi dell'Internazionale comunista », che raccomando ai compagni di meditare per vedere quale immenso patrimonio di osservazioni, di coscienza e di onestà, vi sia in esse e come esse possano servire alla tesi che vengo a sostenere.
Avete osservato questi ultimi avvenimenti di Europa? Hanno un valore ed una importanza ed uno scopo diversi da quello che proponiamo noi, ma che rispondono per analogia, ai mezzi di sviluppo e di soluzione. Come risultato della guerra, i vincitori della guerra, l'Intesa, il blocco, la coalizione capitalistico-borghese anglo-sassone, hanno detronizzato il re di Grecia. Uno dei piú audaci avventurieri, il piú abile dell'imperialismo greco, Venizelos, era diventato l'arbitro della situazione. Il popolo di Grecia, il quale è uno dei popoli dell'antica civiltà, piú ancora, avanti di noi, che nella psicologia sua ha già liquidato questo vecchio culto verso l'eroismo degli altri, che anche per noi è roba vecchia e consumata che non risponde piú alla nostra vitalità. Ebbene, é successo questo: contro Venizelos le varie frazioni della borghesia che gli contrastavano il potere avevano armato la violenza dell'attentato. Egli è stato colpito da una palla di revolver. Ma questo non ha servito a niente. Cosa ha servito per liquidare Venizelos e la sua cricca imperialista? Ha servito semplicemente il suffragio universale ed il libero voto. Il successo elettorale della Grecia è stato quello che ha servito... (proteste dei comunisti) a liquidare Venizelos piú di quello che non abbiano fatto i mezzi violenti dei suoi rivali. (Rumori e interruzioni).
Questo dunque prova come in noi il culto dell'eroismo personale ed i propositi delle frazioni sono condannati a non avere possibilità di
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esercitare, su tutto lo spirito e su tutto l'insieme del sentimento del nostro popolo, quella forza di attrazione e di coesione che è pure necessaria perché la nostra azione di Partito possa servire a creare quella grande società in cui l'interesse del popolo italiano debba avere la possibilità di essere riconosciuto per liquidare la posizione venuta dopo la guerra.
Ma il compagno Graziadei concludeva il suo discorso in questo senso. Egli trovava che, perdurando nella sua composizione attuale, colla sua formazione delle varie frazioni, il Partito socialista era condannato alla impotenza rivoluzionaria. Quindi era naturale e logico che la Terza Internazionale domandasse al Partito socialista italiano di modificare la sua composizione in modo da rispondere maggiormente alle esigenze rivoluzionarie che erano espresse dalle deliberazioni del Congresso della Terza Internazionale. La constatazione di questa impotenza rivoluzionaria del Partito socialista italiano portava il compagno Gra-ziadei a domandare che per rimediare a questa condizione si dovesse allontanare la frazione riformista dal nostro Partito.
La frazione riformista 1 Io vorrei domandare a quattr'occhi al compagno Graziadei se egli crede proprio che quando noi avremo allontanato quei nostri compagni che si sono riuniti pochi mesi fa a Reggio Emilia ed hanno concluso la loro riunione con una deliberazione collettiva, se quando noi avremo allontanati questi compagni, il nostro Partito avrà acquistato una maggiore potenza rivoluzionaria. Io sono convinto che non sarebbe avvenuto nessun cambiamento sostanziale nella forma e nella capacità rivoluzionaria del nostro Partita. Sono convinto di questo, specialmente quando, osservando le deliberazioni di Reggio. Emilia, noi troviamo che questi nostri vecchi compagni legati al loro metodo ideale, al loro metodo riformista, sono già stati costretti ad ammettere questo concetto, che prima avevano continuamente rifiutato come dannoso alla vita del Partito, il concetto cioè dello sciopero generale, il concetto della dittatura del proletariato.
Noi, credo, dobbiamo felicitarci di essere riusciti; noi che abbiamo dominato nel Partito come maggioranza dopo il Congresso del 1912, dobbiamo felicitarci di essere riusciti a spogliare questo gruppo di nostri compagni dalle loro vecchie illusioni e dai loro vecchi spaventi. Sí, oggi anche tutta quella categoria dei Turati, dei Prampolini, ecc., non sentono piú quella paura che avevano prima di fronte alla pratica dello sciopero generale e della dittatura, e lo ammettono nelle loro conclusioni programmatiche. Noi dobbiamo quindi felicitarci nel vedere alla nostra azione coerente il Partito, e che la maggioranza vada lentamente
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sparendo. Tutti questi gruppi che avevano danneggiata la vita del Partito vengono a far si che tutti coloro che appartengono al Partito, finiscono coll'essere realmente dei militanti utili e non hanno la possibilità né la volontà di impedire la sua potenza rivoluzionaria, la quale non. potrà essere acquistata per quelle importazioni che possono venire dall'estero, per le considerazioni che sono state fatte dai nostri compagni esteri venuti a parlare a questa tribuna, ma deve venire dalla nostra potenza rivoluzionaria, dalla situazione che noi abbiamo potuto determinare perché siamo alle prese con la nostra classe dominante.
Se lo sviluppo del nostro Partita è strettamente legato e deve subire per forza tutti i sentimenti e tutte le aspirazioni che sono in mezzo-al nostro popolo, se vogliamo realmente raggiungere la nostra potenza rivoluzionaria, dobbiamo utilizzare continuamente i mezzi che abbiamo a disposizione nel nostro Paese e nella situazione nella quale ci troviamo. Certamente che la deliberazione approvata in quel Convegno che venne tenuto dai centristi e concentrazionisti a Reggio Emilia, certamente che quella deliberazione imporrebbe ad alcuni di quei compagni di scegliere chiaramente la loro via. Se il compagno Turati ha fatto sul serio quelle dichiarazioni che sono state illustrate a questa tribuna, dichiarazioni precise, specifiche per la istituzione di due Partiti con due programmi, con due obbiettivi diversi, se realmente ha fatto sul serio queste dichiarazioni, egli dovrebbe scegliere la sua via ed allontanarsi dalle nostre fila. Ma il giorno che egli e quelli che pensano e sentono come lui restano nel nostro Partita, io dico che è sufficiente per noi, è sufficiente per la nostra vitalità, per la possibilità e la libertà della formazione della potenza rivoluzionaria del nostro Partito, è sufficiente lasciare che quel principio che il compagno Graziadei ha rilevato cosí utile e cosí seducente nella sua esposizione, « la libertà del pensiero e' la disciplina nell'azione », quel principio serva . di norma e di garanzia perché la vitalità del nostro Partito debba essere sempre rivolta a quegli obiettivi, a quegli scopi, a quei mezzi che la volontà delle nostre assemblee hanno tracciato al Parlamento attraverso i diversi periodi della sua storia.
Purtroppo il compagno Graziadei trova che questa massima, di cui attribuisce a me la paternità (e che io accetto volentieri) non sia sostenuta dalle buone norme direttive della nostra vita organizzata. È vero che il compagno Graziadei dice che adesso questa massima non è piú utile, che noi ci troviamo di fronte ad esigenze speciali... Ah 1 no, compagno Graziadei. Quando tu riconosci la bontà e la forza di questa massima del passato e vieni a negarla nel presente, tu stesso sei vittima di
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un opportunismo che noi crediamo non debba essere ammesso nel sistema col quale noi affrontiamo le nostre diverse situazioni. Opportunismo politico che è stato colpito dalle deliberazioni della Terza Internazionale che ha pure vincoli e legami con questo opportunismo locale col quale si crede di sistemare in modo utile al nostro movimento. gli interni rapporti fra militanti dello stesso Partito. Io mi rifiuto di adottare questo sistema di opportunismo morale. Se c'è una massima la quale rappresenti, realmente, nella grande conquista della libertà di pensiero, la possibilità di tutta la coscienza e di tutta l'anima di coloro che sono raccolti in base al programma comune e debba citare continuamente il tesoro della propria competenza attraverso il nostro movimento, è appunto questa libertà di pensiero che è il patrimonio piú grande che sia stato conquistato dalla nostra civiltà italiana. Ora, sacrificare questa per le esigenze di un popolo di nuova civiltà, il quale si è trovato in circostanze favorevoli di compiere prima degli altri la propria rivoluzione proletaria non è giusto. Noi siamo qui a battere le mani e a dare tutta la solidarietà, e non soltanto solidarietà apparente, ma efficace, al movimento dei nostri compagni russi, ma siamo qui anche a rivendicare la dignità del nostro movimento, la necessità della sua libertà ed a prendere le nostre deliberazioni. (Applausi). E la nostra adesione alla Terza Internazionale non sia deliberazione di pigmei, non sia deliberazione di deboli, ma di uomini di spirito libero che hanno coscienza della situazione nella quale ci troviamo e vogliono portare alla Terza Internazionale una forza compatta e cosciente e non una debolezza. (Applausi).
Il compagno Graziadei diceva che noi, per i meriti che abbiamo nel passato, intendiamo ottenere delle eccezioni dai compagni della Terza Internazionale. No, noi non crediamo di avere meriti speciali:. noi crediamo, semplicemente — ed io che sono stato uno degli artefici responsabili dell'andamento del Partito durante la guerra — di avere sempre fatto il nostro dovere, tutto quel dovere che potevamo fare di fronte al dilemma della compagine socialista nazionale ed internazionale. Tutto quello che dovevamo, che potevamo fare, abbiamo cercato di farlo e quindi domandiamo ai nostri compagni di Russia non un riconoscimento dei nostri meriti, ma la valutazione chiara della situazione nella quale noi ci troviamo. Ecco perché noi non domandiamo eccezioni, ma facciamo semplicemente appello alle stesse deliberazioni della Terza Internazionale, un appello certamente molto modesto, ma onesto, per cui nella mia mozione è appunto espresso chiaramente come la nostra adesione alla Terza Internazionale abbia una sua caratteristica
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speciale. Noi abbiamo data quella adesione prima di tutti gli altri Partiti in Europa e prima ancora di quelli che hanno risposto al messaggio del marzo 1918, perché la nostra adesione alla Terza Internazionale data dalla prima riunione di Zimmerwald, la quale è stata fatta e combinata appunto per gli sforzi dei nostri compagni proletari d'Italia, che a mezzo del compagno Morgari, nostro ambasciatore internazionale, hanno gettato le prime basi di quella che è stata poi la Terza Internazionale. (Applausi).
Dunque, cari compagni, noi siamo qui a sostenere questo diritto, semplice ed onesto, che siano tenute in considerazione le caratteristiche speciali del nostro movimento, non per farci dei meriti e non per domandare eccezioni. Però noi comprendiamo — guarda, compagno Gra-ziadei, come noi siamo diretti nel nostro criterio, nel nostro giudizio, da questo alto sentimento di solidarietà e di fraternità coi compagni della Terza Internazionale — noi comprendiamo perché i compagni della Terza Internazionale manifestano delle preferenze e delle indulgenze per i compagni della Francia, dell'Inghilterra e della Germania i quali hanno compiuto meno di noi, anzi non hanno compiuto affatto, il loro dovere nazionale ed internazionale (bravo !) durante la guerra. Noi comprendiamo. E c'è qui scritto, nelle «Tesi e Statuto dell'Internazionale comunista », quel luminoso documento che è il « manifesto », ove si legge, nella prima parte, il primo documento portato. Troverete ivi espresso, in modo indiretto, questo concetto che io esprimo. Nell'orribile conflitto degli interessi capitalistici del mondo, che per 4 o 5 anni ha devastato tutta la vita morale e materiale della civiltà attuale, l'Italia non ha contato che come un accessorio, come una appendice, ed è stata trattata come una appendicite da potere risolvere e tagliare. La borghesia italiana, il capitalismo italiano, allo scoppio della guerra non era ancora arrivato ad una sufficiente potenza onde potere essere considerato nei destini della civiltà moderna borghese come una forza reale ed effettiva; quindi nella determinazione dei rapporti internazionali fra gli Stati, l'Italia, come ha contato poco prima della guerra, come ha contato poco durante la guerra, conta ancora meno dopo la guerra e dopo la vittoria. È per questo che i compagni della Terza Internazionale, nel loro bisogno di servire giustamente, legittimamente, la rivoluzione di Russia, come il faro, il centro del fuoco, della fiamma inestinguibile della rivoluzione mondiale, hanno bisogno che in questo paese, che non ha un grande valore sul bilancio dell'equilibrio internazionale e mondiale della borghesia, si desti e si sviluppi quella fiamma rivoluzionaria proletaria che purtroppo è stata una entità trascurabile in mano dei Par-
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titi socialisti della Francia, dell'Inghilterra e della Germania, Partiti so- cialisti che avevano tradizioni e passato maggiori del nostro, mezzi ed estensione maggiori del nostro, ma che erano, inizialmente, Partiti socialisti socialdemocratici e patriottici. Noi in Italia non siamo mai stati tali (approvazioni), perché fino dalle nostre origini, fino dalle origini proprie del Partito operaio italiano costituito da diciassette disperati proletari di Milano nel 1882, abbiamo sempre rifiutato di venderci alle seduzioni fatte in tutte le forme dalla socialdemocrazia attuale ed abbiamo sostenuto una lotta implacabile contro le vecchie nequizie, le vecchie menzogne che erano davanti a noi dal '48 in poi.
Ecco perché, si capisce, i nostri compagni russi debbono avere tanti riguardi per il movimento francese, inglese e tedesco. Che i compagni russi ci trattino piú o meno bene riguarda noi, però dobbiamo fare loro riconoscere che, come abbiamo compiuto fino a qui il nostro dovere, cercheremo di compierlo anche nell'avvenire.
Ecco quali sono le norme, la guida, l'indirizzo che noi cerchiamo di imprimere al nostro Partito perché il nostro Partito possa essere all'altezza dei tempi, all'altezza del movimento e degli avvenimenti che si preparano e possa affrettare questi avvenimenti con la sua forza compatta ed omogenea, sempre piú omogenea. Voi sapete che da quando si è creato il Partito, tanto lavoro si è fatto per spogliarlo delle sue scorie, dei suoi pericoli, dei suoi danni. Noi dobbiamo dire ai nostri compagni di Russia, ai nostri compagni della Terza Internazionale, i quali sono venuti a questa tribuna a dirci tante belle cose, a darci tanti bei consigli, ad esprimerci tante belle considerazioni, che debbono tener conto della situazione in cui si trova il Partita socialista d'Italia e debbono riconoscere quello che noi abbiamo fatto per la nostra vita ed anche a favore dei Partiti di tutto il mondo.
Vi ricordate nel 1912 quando il nostro Partito ha liquidato i social-patrioti e i socialdemocratici che esistevano nel nostro Partito? I Bono- mi, i Cabrini, i Podrecca, i Bissolati sono stati espulsi dal nostro Partito appunto perché erano la espressione di quella corrente, che cosí si è tolta dallo inceppare la vita del Partito. Tutto ciò non è stato mai fatto da nessun altro dei Partiti socialisti del mondo. Né Millerand, né Briand in Francia sono stati mai considerati fuori delle file del loro Partito per liquidare con questo atto la corrente di azione politica che loro rappresentavano. E noi abbiamo quindi pieno diritto di volere che si tenga conto di questi avvenimenti storici che hanno il loro valore. Ed è questo che nella nostra mozione, quando voi, all'art. 17, ci dite di romperla con la politica del riformismo, noi vi diciamo « Grazie,
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cari compagni, del consiglio: noi questo lo abbiamo già fatto nel 1912 ». (Approvazioni, applausi, rumori). E siamo pronti a farlo ancora. (Applausi). Per quella disciplina nell'azione che noi vogliamo sia resa sempre piú perfetta, sempre piú organica e piú effettiva ed efficace. Per questo mi sono scandalizzato — e lo dicevo al compagno Turati col quale sono vicino di posto e di studio negli uffici montecitoriali —quando il compagno Turati ha dato la mancia a quel ferroviere che conduceva quel treno. (Rumori). « Caro Turati, gli dicevo, questa volta l'hai fatta grossa... ». (Ilarità). Ed io ho sempre pensato che i compagni della Sezione di Milano avrebbero dovuto capire che era una bella occasione per dare una lezione, non al compagno Turati che la pub dare a noi, ma alla necessità che la disciplina sia non semplicemente una parola scritta sulla carta, ma un fatto concreto e continuo per mantenere l'azione di tutti i compagni in quella continua direttiva che è stabilita alla Direzione dai nostri Congressi, dalle nostre assemblee. I nostri compagni di Milano sono stati invece di manica larga ed è passata anche questa. (Rumori).
Ecco, come vi dicevo, che voi avete già a vostra disposizione i mezzi coi quali potere rimediare agli errori, togliere i difetti senza ricorrere a questa scissione la quale ci viene consigliata da coloro che non conoscono la nostra storia, che non hanno cognizione della vera situazione in cui ci troviamo. Da chi sono stati informati? Le informazioni che io ho dato al compagno Lenin ed al compagno Trotzki nelle riunioni di Zimmerwald e di Kienthal non portavano certamente alle conclusioni a cui essi sono venuti. (Approvazioni). Io mi ricordo che salutando i compagni di Russia, insieme ai quali facevo parte di diverse Commissioni, salutando quei compagni, perché si avvicinava il primo maggio ed era quindi necessario che io fossi in Italia, dissi al compagno Lenin: « Noi andiamo in Italia. Io ho la direzione del Partito socialista italiano. Io vi dico, compagni di Russia: Siamo nel pieno della guerra, nel pieno dei furori, degli orrori che sono scatenati nel mondo dal conflitto degli interessi degli sfruttatori del lavoro. Noi socialisti d'Italia non possiamo promettervi di fare grandi cose: vi promettiamo una cosa sola: noi non ci curveremo mai di fronte al misfatto dei nostri dominatori ». (Bravo !). Il compagno Lenin ha detto: « Questo basta per la nostra coscienza, per assicurarci della fede e della bontà del Partito socialista italiano ». Noi ci siamo lasciati, poi gli avvenimenti ci hanno travolto e oggi troviamo il compagno Lenin e gli altri compagni di Russia informati imperfettamente, non vogliamo dire artificiosamente informati, sulla situazione in cui ci troviamo. Oggi essi vengono a con-
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sigliarci ed a spingerci continuamente verso la scissione fra noi, che non è né utile né necessaria.
La direttiva di questa scissione quale è? L'anno scorso a Bologna noi eravamo agitati da questa visione che naturalmente si era introdotta anche nelle file del nostro Partito e che era conseguenza dello scatenarsi della violenza della guerra, della violenza armata cosí perfetta, cosí sistematica, cosí bene organizzata dal capitalismo che aveva cagionato il conflitto, ed aveva fatalmente, logicamente portato l'animo di molti nostri compagni ad apprezzare questa forma della violenza armata come una forma di risoluzione delle questioni e dei conflitti che esistono continuamente. Quindi si capiva che il nostro Partito era costretto a dibattersi con questa visione. Io lo chiamo un fantasma, io lo chiamo una deformazione dalle nostre vere direttive, che sono contrarie a credere che questo culto verso gli strumenti della violenza debba essere il vero veicolo che possa condurci al possesso, possa condurci a quella situazione di giustizia e di uguaglianza verso la quale noi aneliamo. È per questo che io ho sempre cercato di impedire che i nostri compagni dovessero lasciarsi trascinare da questa ondata di fanatismo verso la violenza, per la quale, con cieca fede, essi seguivano questa vecchia massima da gesuiti: « Il fine giustifica i mezzi ». Ah l no. Per me il fine non ha mai giustificato i mezzi; i mezzi malvagi non danno che fini malvagi, ed il fine buono ha bisogno di mezzi buoni. E per questo vincolo, per questa catena immediata e continua fra i mezzi ed il fine che noi siamo contro la violenza. Se c'è un esempio nella storia del mondo che può incoraggiarvi su questa via, non esito a dirvi di considerarlo. Pensate però quello che è avvenuto alla fine dell'Impero romano. Le legioni cristiane di Procaspio che si sono trovate alla guerra di Persia non hanno avuto bisogno di esercitare la violenza. La violenza armata era data dal regime dell'Impero romano: la violenza dei cristiani è stata invece questa: una violenza morale che ha tolto loro il mezzo di adoperare le armi e gli strumenti che erano dati per difendere i privilegi, e con questa violenza morale essi hanno lasciato cadere il regime iniquo dell'Impero romano. Ora questo grande esempio dovrebbe farci capire che noi apprezziamo anche oggi come la violenza sia una triste necessità storica, ma abbiamo bisogno di adoperare questa violenza non per se stessa, non come una bassa azione nostra in concorrenza con l'azione violenta dei nostri nemici e dominatori. Quando noi avremo illuminato la mente e la coscienza di coloro che maneggiano gli strumenti della violenza, avremo fatta la piú grande conquista. (Applausi della maggioranza, interruzioni dei comunisti).
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Purtroppo voi vedete come anche il nostro Partito, che può anche orgogliosamente guardare i successi elettorali di questi ultimi tempi, del 1919 e del 1920, purtroppo noi siamo costretti a considerare come siamo lontani ancora dall'avere conquistato con la nostra lotta e propaganda l'anima di questo povero proletariato italiano. Pensate alla situazione in cui si sono trovati con l'esito delle elezioni politiche del 1919. Ci avete mai pensato? Non siamo nemmeno raddoppiati come forza elettorale, e siamo quadruplicati di forza parlamentare. C'è una sproporzione evidente in questo successo elettorale politico che deve insegnare qualche cosa. Ma come? Noi abbiamo continuato per tutto il periodo della guerra nel nostro atteggiamento, nella nostra propaganda, nella nostra influenza; noi dopo la guerra abbiamo cercato di rendere sempre piú perfetto il congegno della nostra lotta e siamo arrivati a questo risultato, negativo per me, per i concetti miei, di avere cioè quadruplicato le nostre forze parlamentari e di non avere neppure raddoppiate le nostre forze elettorali. Questo risultato è quello che ci deve ammonire della situazione in cui ci troviamo e deve farci capire come le esigenze e le necessità del nostro movimento non siano finite e non possiamo fare getto di questa nostra compagine e di questa nostra forza di organizzazione. Per questo la necessità della scissione, che viene consigliata dai nostri compagni che lottano meravigliosamente per la rivoluzione russa, per la rivoluzione del loro paese, non è giusta e opportuna perché verrebbe ad indebolire noi nella lotta che dobbiamo fare non tanto contro i padroni del nostro paese, ma contro gli incoscienti, gli ignoranti e gli indifferenti dai quali siamo circondati.
Ecco, cari compagni, perché vi chiamo a considerare gravemente,. seriamente, ed anche tristemente, la situazione nella quale ci troviamo, di fronte alla necessità di decidere che abbiamo, perché la Direzione del Partito ci ha portati a decidere su questa base. La Terza Internazionale, la quale è stata male informata, in piena buona fede, ma imperfettamente, ed i nostri compagni di Russia ci consigliano continuamente, ci spingono a fare sí che questa scissione avvenga per la necessità del loro movimento e fanno appello agli organi loro speciali in Italia, coi quali si vede hanno rapporti diretti e che sono considerati come il loro Vangelo.
L'Ordine Nuovo di Torino. Sí, noi abbiamo visto con molta simpatia, anche per i muri delle città, i manifesti di questo giornale, significanti il mondo legato con le catene ed il proletariato che spezza queste catene che cascano nell'abisso del creato. È l'ordine nuovo ! Mi ricordo di essermi fermato davanti a quel manifesto. Ma guarda un po' ! L'Ordine Nuovo? Ma perché? Ma questo è ordine vecchio ! Noi abbia-
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mo sempre lavorato e lottato per quest'ordine. Noi al popolo abbiamo sempre detto questo, abbiamo sempre detto che questo era l'ordine che si doveva raggiungere in un prossimo futuro e che dovevamo preparare. Di nuovo c'è niente sotto la cappa del cielo. Dal passato preistorico, allorché gli uomini erano fratelli e che poi si sono divisi per necessità della loro vita economica, da allora siamo arrivati al punto in cui oggi si trovano. E vengono all'ordine nuovo? No. Vengono all'ordine futuro, piú perfettamente, in cui sono garantiti gli interessi dei produttori, i quali non debbono piú essere né schiavi né vittime degli speculatori e dei proprietari.
Ecco dunque. Quando mi sono trovato di fronte al gruppo dei. compagni torinesi, pieni di sapienza, di attività e di giovinezza, mi sono ricordato quando quaranta anni or sono abbiamo cominciato col Fascio operaio. Anche noi allora eravamo inesauribili di fecondità, nel gettare continuamente legna nel nostro vulcano intellettuale, nell'eccitare e gettare fuori continuamente il prodotto della nostra passione, il fremito delle nostre osservazioni. Bene; benissimo fanno i compagni dell'Ordine Nuovo. Ma ho osservato continuamente una specie di difetto nelle loro manifestazioni ed è una deficenza nel sentimento, in quel sentimento che ci deve guidare continuamente attraverso la nostra azione ed in rapporto al sentimento della fraternità e dell'uguaglianza fra di noi. (Approvazioni).
Guardate cosa mi capita di leggere in questo giornale. Vi si pubblica il programma del Partito comunista il quale viene a dire che il Partito comunista, riunendo in sé la parte piú avanzata e cosciente del proletariato... Modestia a parte, i compagni nostri di Torino si credono la parte piú avanzata e piú cosciente del proletariato. Ho piacere di constatare in essi la superba sicurezza. Noi non ci siamo mai considerati né piú avanti, né piú coscienti degli altri, ma ci siamo sempre limitati a dire che, tenendo conto della situazione in cui ci troviamo, è necessario che tutti quanti uniamo le nostre facoltà, i nostri diritti, la nostra buona volontà; dobbiamo unirci compatti, solidali, fratelli, perché nella formazione delle organizzazioni non si creino frazioni di gruppo... (applausi della maggioranza), le quali ci possano condurre, attraverso qualche eccezione degli uni e degli altri, alla costituzione di frazioni e gruppi. Ogni organismo ha bisogno di vivere e di sviluppare e di dominare e non possiamo confondere lo sviluppo delle proprie frazioni con quello che deve essere lo sviluppo e l'interesse di tutta quanta la grande massa dei nostri compagni organizzati sulle basi dei nostri programmi.
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Ecco perché, attraverso tutto questo ragionamento, io vengo a dire che è necessario che noi affrontiamo nelle sue fondamenta teoriche questa situazione che si è venuta a determinare fra di noi, con questa distinzione che viene fatta fra il Partito socialista, (che attraverso i suoi uomini ormai da 40 anni ha scritto la sua storia nel nostra paese e che può dire di essere una forza, di contare per qualche cosa, di avere dato prima di tutti gli altri la sua adesione alla Terza Internazionale), ed il Partito comunista. Mi ricordo quando avevo ottenuto dalla Direzione del Partito l'adesione alla Terza Internazionale, il primo messaggio venuto, attraverso vicende romantiche, da Mosca. Allora vi sono stati compagni che hanno fatto critiche severe a questo atto a me ed alla Direzione di allora. Il compagno Graziadei non ha mosso un dito per difendere le ragioni per le quali abbiamo dichiarato l'adesione nostra alla Terza Internazionale. (Approvazioni).
Noi abbiamo avuto sempre gelosa cura di volere che la dittatura sia la dittatura fatta dai proletari contro la borghesia, non la dittatura fatta dalle varie frazioni del Partito in seno al Partita. (Approvazioni). Ora la caratteristica calla quale oggi questa frazione, che si intitola « comunista », vuole portare la scissione fra noi, nella credenza, nella illusione di creare con questo una forza maggiore, una omogeneità maggiore nel nostro movimento, deve essere considerata molto seriamente. Contra questo nostro appellativo, questo nostro titolo di « socialisti » che noi ci siamo portati come nostro distintivo e connotato attraverso la storia delle nostre lotte, viene opposta la qualifica di « comunisti ». In Italia ha ragione di esistere questa distinzione? Io sono qui mandato anche dai contadini socialisti di Piana dei Greci. Il compagno Barbato, che mi ha incoraggiato ad accettare questo mandato, mi ha scritto una lunga lettera che fu pubblicata anche sull'Avanti ! di qualche mese fa, un po' greve e pesante, ma le cui conclusioni erano queste: In Italia, data la nostra storia, data la nostra attività, data la nostra politica, non esiste una differenza fra Comunismo e Socialismo. Noi siamo diventati socialisti quaranta anni fa, educando la nostra anima sulla base del « Manifesto dei comunisti », di Carlo Marx, del 1848. Noi ci siamo sempre considerati i veri comunisti, i soli comunisti che esistevano allora in Italia. Ci siamo chiamati socialisti perché? Perché il Socialismo esprime ed indica chiaramente che il nostro scopo è quello di capovolgere totalmente i rapporti della vita sociale moderna. Il Comunismo è per noi il contenuto di quel grande quadro, di quel grande patrimonio di civiltà che si chiama « civiltà socialista ». Il Socialismo è il contenente del Comunismo, il Comunismo è quella caratteristica
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speciale che é stata necessaria di adottare in Europa per l'abuso che venne fatto del name di socialista. Quelli che hanno fatto l'abuso hanno attaccato l'aggettivo qualificativo. Noi in Italia ci siamo sempre chiamati « socialisti » perché la nostra base era appunto quella del « Manifesto dei comunisti », il quale conclude appunto con queste memorabili parole. Meditatele compagni. A noi qui il Comitato ordinatore ha voluto ricordarcele con quel cartello perché fossero un ammonimento e dovessero consigliarci a pensare a quello che facciamo: «Proletari di tutti i paesi unitevi ». (Approvazioni, applausi della maggioranza).
Perché dice « unitevi » e non « dividetevi » ? perché dice « unite vi » e non « separatevi » ? (Approvazioni, applausi).
Perché, o proletari, la vostra unione sarà la vostra forza e la vostra divisione sarà la vostra debolezza. (Applausi della maggioranza, interruzioni dei comunisti).
Ma dice qualche cosa di piú, compagni. Meditatela questa conclusione del « Manifesto dei comunisti ». Perché non dice « Proletari comunisti di tutti i paesi unitevi » ?, (approvazioni), ma dice semplicemente: « proletari » ? Perché basta per gli interessi della civiltà futura, basta per gli interessi della rivoluzione, che tutti quei poveri individui, elementi della umanità, che vivono di lavoro e di salario, continuamente, che non hanno proprietà, non hanno ricchezze, e sono proletari, basta che essi si uniscano nella concezione della loro situazione, della loro situazione personale e della loro situazione di classe. Questo é necessario per avere in mano la leva che deve muovere il mondo.
Ecco perché il nostro compagno Carlo Marx concludeva in quel modo. I compagni dell'Ordine Nuovo credo dovrebbero capire molto dalla precisione di linguaggio di Carlo Marx. (Approvazioni). Io non ho la possibilità e non ho i mezzi intellettuali, ma ricordo che parlando una sera in casa di Engels appunto commentando la precisione di linguaggio di Carlo Marx, Engels ripeteva e spiegava la esattezza meticolosa del compagno Marx, il quale pensava che ogni parola vuole dire qualche cosa, specialmente nella pratica. Allora io dico a voi: Considerate la precisione di quella esposizione, di quella espressione. Al compagno che stava scrivendo su quella tela quelle parole io dicevo: Guardate che Carlo Marx diceva: « Proletari di tutti i paesi », perché i paesi sono quelle formazioni speciali che sono determinate dallo sviluppo dell'umanità e della civiltà. E Carlo Marx era preciso. Siamo diventati socialisti e comunisti appunto per questo e diciamo chiaramente che questa separazione che si vuole fra comunisti e socialisti in Italia è una separazione artificiale e artificiosa. (Approvazioni, applau-
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si prolungati ed entusiastici della grande maggioranza del Congresso). Voce: E allora perché vi siete divisi dagli anarchici? (Rumori, interruzioni).
Voce di un comunista: Viva il Comunismo ! (Applausi dei comunisti, tumulto).
LAZZARI: Il compagno Nicola Barbato mi ha consigliato di accettare il mandato dei contadini di Piana dei Greci di rappresentarli a questo Congresso appunto per questa, che è una ragione fondamentale e programmatica, di risolvere la questione nella quale ci troviamo di fronte a questa proposta, a questo progetto di scissione del Partito.
Io capisco perfettamente come i nostri compagni di Russia abbiano dovuto accettare questa distinzione, abbiano dovuto chiamarsi « comunisti » invece di socialisti di fronte alla confusione, alla mistificazione avvenuta nel campo socialista internazionale. Poiché bisogna pensare che in Russia anche i « riformisti » si chiamano « rivoluzionari ». Qui, in Italia, i nostri compagni sarebbero spaventati solo a chiamarsi « rivoluzionari ». In Russia la nuova organizzazione ha portato a questa distinzione; è stato necessario opporre come mezzo di selezione e di distinzione per le direttive che debbono seguire i proletari, di opporre la concezione comunista a quella che era la concezione generica, perché quelli che si chiamano comunemente « socialisti » erano tutti dei transigenti, degli accomodanti, della gente collaborazionista con le classi dominanti ed hanno dovuto scegliere questo precipitato, questo termine di distinzione, nel Comunismo, il quale rappresenta appunto il futuro ordinamento economico della società comunista. E stato necessario adottarlo in Germania, in Svizzera, in Inghilterra, in Francia, dappertutto dove c'è stata questa confusione. Da noi in Italia, adottare questo nuovo nome sarebbe un fare credere che il Comunismo é qualche cosa di diverso dal Socialismo.
Guardate a che acciecamento si arriva ! C'è stato un buon compagno del nostro Partita, un mio consanguineo, il quale mi scriveva che egli aveva accettato di fare parte della frazione comunista perché «piú avanzata » e che si è trovato poi espulso dalla frazione comunista perché non ha voluto accettare il mezzo di azione della violenza, ed egli aveva creduto, appartenendo alla frazione comunista di essere piú avanzato ! Quando si viene a mettere la questione in questo modo, e l'Ordine Nuovo viene a dire « Siamo la parte piú avanzata e cosciente... » allora si capisce che viene a determinarsi una situazione tale che un uomo di buona volontà dice: « Questi socialisti sono gente coi quali
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non c'è da fare niente: andiamo con gli altri poiché il Comunismo sarà qualche cosa di diverso dal Socialismo ».
Per evitare i pericoli che possono avvenire, io vi prego di leggere e rileggere quell'opuscoletto che venne stampato dall'Avanti !, il primo manifesto firmato anche dai compagni Bombacci, Graziadei, Bordiga, il quale finisce col rilevare che l'obbiettivo generale che dobbiamo raggiungere é la civiltà socialista. Ora se noi abbiamo in questo titolo di «c socialista » comunemente accettato in Italia, la espressione chiara e completa del grande scopo che dobbiamo raggiungere, perché noi dobbiamo, nella speranza di rimediare ai mali ed ai difetti della nostra organizzazione, cambiare la nostra qualifica e diventare K comunisti »? In questo modo accettiamo di non essere mai stati dei comunisti, mentre in Italia abbiamo adottato come base della nostra dottrina, della nostra educazione, della nostra convinzione, i principi comunisti portati dal « Manifesto » di Carlo Marx.
Per evitare questa contraddizione noi diciamo chiaramente che non accettiamo questa distinzione, che è artificiale, che viene fatta in perfetta buona fede. Ah ! sí. Purtroppo il compagno Serrati é costretto a scontare oggi quella tentazione, quella debolezza che anche egli ha avuto, di essersi lasciato trascinare l'anno scorso su questo terreno nella discussione fatta al Congresso di Bologna che era la conseguenza di questa specie di fanatismo per il miracolo della violenza e del mezzo di azione della violenza, che non era certo da adottare per un Partito come il nostro. Certo vi sono nel nostro Partita elementi i quali hanno continuamente periodi di oscillazione: sono elementi che in generale nella loro vita hanno avuto una base continuamente mobile, movimentata, e quindi nella loro mente pare di mancare al loro compito ed al loro dovere se non vanno continuamente ad elaborare teorie nuove, dottrine nuove, punti di vista nuovi. C'é della gente a cui pare mancare al loro scopo, alla loro mente pare di mancare al loro compito ed al loro dovere se altri invece i quali hanno altre qualità, e in generale siamo noi, vecchi proletari, noi che abbiamo sempre combattuto (io non sono mai stato giovane socialista) e siamo diventati socialisti quando abbiamo scoperto che il segreto dell'ingiustizia era rivelato dalla scienza socialista comunista dei nostri compagni che ci hanno preceduto nello studio della situazione sociale. Siamo diventati socialisti col nostro pensiero fisso di raggiungere quello scopo che stava scritto nel nostro programma. Il solo mezzo di azione era la lotta implacabile, continua, inflessibile, intransigente contro i nemici dell'umanità. Una volta stabilitaquesta base di azione e questo punto di arrivo ci siamo dedicati tutti,
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con ogni sforzo, per raccogliere le masse immense ed innumerevoli dei proletari d'Italia. Noi cosí avevamo la nostra funzione realmente utile per la vita e l'umanità. Questa è la missione dei proletari, i quali non credono né al signore né alla madonna, né al re, né alla repubblica, vecchi fantasmi che hanno servito al brigantaggio delle altre civiltà: ma hanno bisogno di avere dinanzi a sé l'ideale socialista. Ed è per questo ideale che noi abbiamo chiamato intorno alla nostra fede grandi schiere di nostri compagni organizzati nelle organizzazioni politiche ed economiche. Continuiamo per questa via ed adoperiamo ogni nostra energia per fare in modo che questa massa diventi piú importante, piú omogenea, piú travolgente contro i nemici del nostro avvenire e della nostra civiltà.
Ed allora ecco perché dalla nostra opera ne è scaturita quella sensazione che noi siamo della gente di fermezza e di solidità e per questo, attraverso il Partito socialista, si è raccolto questo largo consenso, e per questo si sono sfrondate, attraverso a noi, tutte le malefatte che da una parte e dall'altra vi sono state. Oh ! sí, noi abbiamo partecipato al periodo convulsivo del tempo del sindacalismo, abbiamo attraversato il periodo del riformismo e del militarismo, eppure mai la nostra fermezza, mai la solidità di coloro che dirigevano la nostra frazione socialista, rivoluzionaria, intransigente, ha potuto raccogliere intorno a sé la possibilità di dire alla maggioranza del nostro Partito che questa teoria, che questa pratica, che questa politica, la quale ci ha dato questo successo elettorale, politico ed amministrativo, del quale dobbiamo andare giustamente fieri ed orgogliosi, sia una teoria sbagliata.
Il compagno Bombacci, commentando un discorso di questo genere che facevo all'Unione socialista romana, disse che questi sono successi della legalità, ma che dobbiamo tenere conto della illegalità. Questi comunisti che oggi qui, per bocca del compagno bulgaro, sono venuti a vantare le caratteristiche della loro qualità di interpreti veri, di veri rappresentanti della Terza Internazionale, che sono venuti a consigliarci la scissione e la liquidazione dei riformisti — riformisti che noi abbiamo liquidato sino dal 1912 — non hanno ancora liquidato dal loro Partito i massoni! (Approvazioni). Questo comunista bulgaro, sapete come è venuto a presentarci il successo del Partito socialista di Bulgaria? Non è venuto a presentarci un successo di lotta violenta, ma un successo elettorale. Noi siamo qui a congratularci per i vostri successi, ma abbiamo bisogno che voi vi congratuliate dei nostri. Fino a che dura nel mondo e nelle varie nazioni, che sono una creazione artificiale dei bisogni dello sfruttamento capitalista e dei bisogni dell'investi-
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mento della proprietà privata passata attraverso i millenni della storia, ebbene fino a che dura la divisione delle nazioni, i popoli sono costretti a vivere in quella stretta collaborazione che è imposta dalla forza, dalla possibilità del regime capitalista che ha in mano la forza degli Stati, dei popoli e delle nazioni. La forza della legalità e dell'illegalità é in mano dei nostri oppressori. Attraverso i secoli essi hanno congegnato un meccanismo di Stato perfetto contro il quale noi lottiamo continuamente. Io che vi parlo, quante bastonate ho ricevuto dall'organismo giuridico dello Stato ! Noi siamo sorti di fronte a questo Stato enunciando le nostre ragioni, in nome dell'ideale nostro ed in nome del nostro coraggio, non per i mezzi della violenza. Sparare una •revolverata contro un poliziotto e contra un re è un atto straordinario, ma non risolve niente della situazione sociale. Siamo sorti contro lo Stato, in nome del nostro diritto imprescindibile, e in Parlamento quando io, ultimo venuto dopo 34 anni di fiaschi elettorali, ho potuto presentarmi, oh ! quanti vecchi parlamentari e vecchi ministri, mentre io parlavo, abbassavano gli occhi e si stringevano nelle spalle e mi lasciavano parlare e non mi facevano oggetto di tanta cagnara.
Tutto questo vale qualche cosa, ed é dunque per questo che io dico che non dobbiamo lasciarci trascinare dalla illusione che creando questa scissione, creando questo Partito comunista possiamo fare realmente uno sforzo maggiore, piú perfetto, piú violento, piú capace di quello che é necessario sia fatto anche col concorso dei nostri compagni che vogliono distinguersi col loro comunismo e che non è che una parte del patrimonio che è stato sempre voluto da noi, che non vogliamo lasciarci defraudare ma che vogliamo sia con noi. (Applausi). Anche essi colla loro forza e col loro sacrificio, col sentimento della solidarietà e della fraternità devono essere con noi che ci sentiamo uguali ad essi in capacità, in devozione alla nostra causa. (Applausi).
Io ho assistito tre volte al cambiamento di nome del nostro Partito. L'articolo 17 delle condizioni per l'adesione alla Terza Internazionale dice chiaramente che, se vogliamo servire la causa della rivoluzione mondiale, dobbiamo spogliarci della giacchetta portata fino adesso e diventare Partito comunista, cambiare di connotati, cambiare di passaporto e diventare comunisti. Noi non avevamo diflïcoltà a cambiare di nome. Io che vi parlo ho assistito tre volte al cambiamento di nome, ma allora vi erano delle circostanze che ci hanno obbligato a farlo. Perché noi nello svolgimento della nostra azione avevamo la coscienza di non aver mancato di rispetto e di devozione alle premesse che avevamo fatte ed alle chiare indicazioni del nostro programma. Noi abbiamo
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cambiato di nome semplicemente per la necessità di salvarci dai colpi della reazione che, allorquando eravamo deboli, impediva a noi di ai-ventare forti. Sí, quando il Partito si chiamava « Partito operaio » e fu sciolto dalla violenza borghese, si ribattezzò « Partito dei lavoratori ita- liani », e quando ancora, sotto Depretis, sotto Crispi, sotto Pelloux, la violenza si accaní contro di noi, dovemmo nuovamente cambiare di nome per potere continuare la nostra opera. Allora il nostro nome non poteva essere considerato che come una semplice etichetta attraverso la quale noi avevamo la possibilità di fare il nostro cammino. Oggi, dopo che abbiamo scritto delle pagine nella storia e nella politica italiana, come ha scritto il Partito socialista italiano che nella sua formula, nel suo nome cosí chiaro e comprensibile è cosí preciso, noi non abbiamo bisogno di cambiare il nostro nome.
Chi è che viene a proporci di cambiare il nome? Sono i compagni russi, verso i quali abbiamo mandato, prima di tutti gli altri, la nostra ammirazione e devozione, sono quei nostri compagni che abbiamo sempre difeso anche quando gli altri non li comprendevano e non li difendevano. Essi ci consigliano di cambiare nome. E quale ne sarebbe la conseguenza? La conseguenza sarebbe questa. Nella storia di questi quaranta anni di lotta socialista noi abbiamo distrutto attorno a noi una quantità di idoli e di altari; noi abbiamo fatto una grande rovina intorno a noi per fare sorgere questa nostra bandiera, questo nostro albero del Partito socialista italiano. Ebbene, attorno a noi si aspetta che cambiamo di nome perché allora tutti i vari gruppi dei mistificatori, dei mestatori della politica operaia debbano approfittarne per farsi mettere questa divisa che solo noi abbiamo portato onoratamente. (Applausi della maggioranza, approvazioni). E cercare 'osí di fare passare le loro mistificazioni.
È per questo, cari compagni Serrati e Baratono, che noi affermiamo che neppure l'aggiunta di quell'aggettivo qualificativo ci può servire e ci può salvare da questo pericolo, perché il giorno che noi adottassimo questo sistema di mettere un aggettivo qualificativo di « comunista » al nostro Partito socialista, daremmo il diritto a tutte le emulazioni di mettere un aggettivo qualificativo a fianco del loro socialismo per farlo passare per una merce buona. (Approvazioni). Perché dobbiamo metterci in questa situazione? Perché dobbiamo negare la nostra situazione che storicamente, materialmente, politicamente è cosí bella, buona e utile? I comunisti dicono: « Intanto voi non fate la rivoluzione ! ». Noi intendiamo, ed io l'ho sempre detto chiaramente anche in Parlamento, che la nostra funzione é quella di esercitare una ta-
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le azione politica nel nostro paese perché si debbano maturare le situazioni rivoluzionarie. Tutto lavoro questo che noi, nelle nostre lotte in Parlamento ed in paese, cerchiamo di fare per impedire al potere esecutivo della classe dominante di compiere le sue imprese. Noi abbiamo la convinzione di servire in questo modo la causa della rivoluzione sul terreno politico ove noi ci troviamo. Qualche fatto è stato compiuto, ma noi cerchiamo di maturare la situazione favorevole, perché la rivoluzione, che non pub essere un'ondata, ma un preparativo come una miscela fatta nei gabinetti di chimica, sia il prodotto di una azione continua, sviluppata contro l'interesse della proprietà e del capitale. Noi crediamo che se anche non saremo gli esecutori della rivoluzione, abbiamo l'onore e la gloria di essere stati i preparatori ed i difensori. In questo modo intendiamo servire la causa della rivoluzione e tutti gli altri modi che vengono presentati come un rimedio non possono portare che all'impotenza. Cosí è per la proposta di scissioni piccole o grandi che non possono rendere un servigio alla causa della rivoluzione.
È per questo atteggiamento, tenuto ferma anche durante la guerra, che noi del Partito socialista italiano siamo guardati dall'Internazionale con tanto interesse. È per questo che i nostri compagni dell'Internazionale credono, e giustamente, che in Italia il periodo rivoluzionario vada maturando continuamente. E questo periodo noi affretteremo in tutti i modi. L'azione compiuta dalla Confederazione Generale del Lavoro ha dimostrato come realmente anche questi uomini, che nel campo politico vogliono distinguersi con la preferenza verso un modo piú dolce di condurre la nostra politica, sanno compiere realmente la loro funzione di socialisti, massime nell'organizzazione del proletariato. (Approvazioni). Perché attraverso tutte le critiche che possono fare i torinesi dell'Ordine Nuovo, nessuno ha, poi, potuto rilevare da parte di loro un qualche abuso di potere...
Voce: Il controllo delle fabbriche !
LAZZARI: Appunto: il controllo delle fabbriche. I compagni dell'Ordine Nuovo nelle continue critiche fatte alle deficenze del nostro Partito — che riconosciamo anche noi, ma che non si accomodano con la scissione presentata — hanno accennato anche a questo. Ma avete voi visto un recente fenomeno comunista? Avete sentito come il Partito comunista boemo si sia staccato dall'Internazionale? Esso oggi ha dichiarato di staccarsi dalla Terza Internazionale: come si vede il rimedio è trapassato in un altro campo. I nostri compagni vanno rilevando come, dopo Caporetto, il discorso di Filippo Turati fu nocivo alla politica socialista. I compagni dell'Ordine Nuovo avrebbero fatto bene a
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ricordare come dopo la rotta di Asiago il compagno Turati ha investito Salandra ed ha schiacciato il Governo italiano. (Approvazioni).
Voce: Rifare l'Italia ! (Tumulto).
LAZZARI: Cosí tutto va a risolversi in uno spirito di egemonia in questi uomini che hanno la superbia di credersi la parte piú avanzata, piú cosciente, che sentono quindi la volontà di diventare i dittatori del movimento del Partito. (Approvazioni, applausi della maggioranza).
Questo spirito di egemonia è quello che ha servito l'anno scorso per venirmi addosso al Congresso di Bologna. Ma oggi noi diciamo: Sí, voi dovete giustamente esercitare il vostro spirito di egemonia, ma esercitatelo in quei modi ed in quelle forme che siano realmente l'espressione del grande spirito di uguaglianza con tutti i vostri compagni. Soltanto in questo modo avrete diritto legittimo di esercitare questa egemonia, non separandovi, non creando una debolezza fra di noi, perché la debolezza nostra sarà anche la vostra, sarà una debolezza comune.
Uno degli araldi principali di questa separazione, di questa teoriz-zazione, di questo cambiamento di nome e di domicilio del socialismo italiano è, tra gli altri, il compagno Seassaro di Milano, il quale è altamente benemerito per avere studiato il rimedio ai nostri mali anche nell'organizzazione. È arrivato a presentare un progetto di organizzazione del Partito con sezioni militari. Speriamo che abbia fatto anche le caserme ed il Ministero della guerra e le fabbriche di proiettili e di f u-cili, ecc. (Rumori e interruzioni da parte dei comunisti). Il nostro compagno Seassaro è diventato uno dei banditori di queste ragioni della frazione comunista e della sua separazione dal Partito. Il compagno Seassaro è pieno di benemerenze. Ricordo però che egli è appena appena venuto al Partito... (nuove interruzioni dei comunisti) ed .ha militato fino a ieri nelle file della democrazia cristiana... (Rumori vivaci, interruzioni dei comunisti, applausi da altre parti). È venuto al nostro Partito trascinato e sedotto dal buon esempio che abbiamo dato noi durante la guerra. Noi ci felicitiamo della sua conversione, ma io mi credo in diritto di ricordare l'alto insegnamento che ci ha dato, in quel tempo, la conversione del compagno Edmondo De Amicis il quale, entrato nelle nostre file, vi è restato semplicemente, non col proposito di diventare un ispiratore di scissioni o di divisioni, ma semplicemente per essere un buon milite e fare anche lui la sua coscienza e la sua esperienza, (approvazioni), quella coscienza che tutti possono farsi. Ed in nome di questa io dico: andiamo adagio in queste voltate se non vogliamo correre il rischio di danneggiare maggiormente la compagine del nostro Partito.
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Il nostro Partito è aumentato vertiginosamente. Era giusto. Lo avevamo preveduto. Ma ricordo che nelle ultime riunioni della Direzione durante la guerra, prima di essere arrestato, si prevedeva e si faceva già un quadro preventivo di quello che si doveva stabilire sui prevedibili successi dell'organizzazione del nostro Partito per la condotta ehe si teneva durante la guerra. Però chi ha facilitato in modo eccessivo l'andamento delle nostre forze è stata appunto la deliberazione di Bologna dell'anno scorso, la quale ha aperto il varco a tutti i fanatici della violenza i quali credevano che si potesse facilmente servire questa ,causa colla preparazione e l'esecuzione della violenza armata. Le discussioni avvenute l'anno scorso a Bologna hanno chiaramente espresso quali erano i propositi della Direzione del Partito che allora trionfava. Attraverso questa seduzione, attraverso la credenza nella forza e nella potenza di una violenza che possiamo preparare per opporre alla violenza dei nostri nemici, è stato facile raccogliere tanti elementi che nella loro passione hanno il desiderio di potere manifestare per mezzo della violenza la forza della loro convinzione e della loro volontà. Pare ad essi che la causa della rivoluzione sociale non si possa servire che in questo modo, e purtroppo noi vediamo come essi sono costretti a mettersi sullo stesso terreno spiacevole nel quale si trovano i nostri avversari, i quali possono comandare solamente con la forza della violenza brutale che è affidata ad incoscienti che servono da mercenari e da sicari.
Si capisce che il giorno che voi nelle vostre deliberazioni, vi sarete rifiutati di accettare questa scissione, che non è dipendenza della discussione avvenuta a Bologna, vi saranno elementi che non troveranno piú soddisfazione nelle vostre file perché il loro fanatismo non può piú essere soddisfatto e si allontaneranno da noi. Ma non temete, compagni, che in questo modo possano essere minate la forza di espansione e di coesione del nostro Partita. Ho sentito parecchi che attraverso la discussione delle Sezioni dicevano « che se noi comunisti non riusciremo a dominare nel Partito torneremo nelle file del Partito ». (Proteste .vivaci dei comunisti, rumori).
Voce: E vero ! è vero ! (Tumulto).
LAZZARI: Se vi sono anche fra di noi quelli che subiscono questa infatuazione a noi rincrescerà perdere dei buoni elementi, ma ne acquisteremo molti altri... (Rumori, interruzioni).
Voce: Giolitti diverrà segretario del vostro Partito !
LAZZARI: Io vi ricordo che queste discussioni non sono nuove nei nostri Congressi. Vi ricordo la terribile polemica degli anni passati che era agitata tra Marx e Bakunin che rappresentavano due poli di una
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azione che si contrastava allora per il dominio di questa forza uguali-taria che si andava presentando nel mondo. Allora non c'era stata la. guerra. La guerra mondiale non vi era stata. Vi era però la guerra del. '70. È stato necessario ancora allora separare, dividere le responsabilità e purtroppo molte cose abbiamo visto. Vi sono state diverse fasi attra- verso le quali è passato anche l'anarchismo. Esso però è rimasto come una forza filosofica dell'avvenire, non pratica; un sistema che non ha forza per liberáre dalla catena della schiavitú moderna. Per questo noi diciamo: Pensate a quello che fate.
Voce: Non siamo anarchici noi ! (Rumori).
LAZZARI: Questa scissione viene consigliata nell'interesse della Terza Internazionale. E veniamo a decidere su questa scissione. Il compa-gno Graziadei vi ha richiamati alla lettura delle pagine di questo libretto; ebbene, io vi ricordo, come ho ricordato in varie discussioni cui ho preso parte nelle diverse Sezioni, come l'alta coscienza dei nostri compagni di Russia abbia loro consigliato a definire chiaramente quale è la linea di condotta che si doveva tenere per servire realmente la Terza Internazionale e per servirla nei diversi paesi di Europa e del mondo. L'alta coscienza loro ha suggerito l'art. 16, la condizione sedicesima. Io non so se avete letto e meditato. A me è capitato leggerla e commentarla nelle riunioni preparatorie, e piú la rileggo, piú mi convinco, tanto piú legandola alle diverse frasi del manifesto, che essa rappresenta lo scrupolo dal quale si sentivano presi i compagni russi sulla possibilità per la Terza Internazionale di potere esercitare le sue funzioni e formulare le sue condizioni senza creare dei danni intorno a sé nei diversi paesi che vogliono aderirvi. L'art. 16 dice cosí:
« Nella questione come si debbano comportare nei posti responsabili dei Partiti suddetti e similari i comunisti, che ora ne formano la minoranza, il secondo Congresso della Internazionale comunista ha stabilito che, in vista dell'attuale sviluppo e dello spirito rivoluzionaria delle masse, l'uscita dei comunisti da quei Partiti non è desiderabile fino a tanto che essi hanno la possibilità di lavorare entro quei Partiti nel senso del riconoscimento della dittatura del proletariato e del potere dei Soviet, come pure nel senso della critica agli opportunisti e centristi rimasti ancora in quei Partiti. Ogni qual volta l'ala sinistra di un Partito centrista si è fatta abbastanza forte e lo sviluppo del movimento comunista lo richiede, quell'ala sinistra pub uscire complessivamente dal Partito e formare un Partito comunista.
« Nello stesso tempo il secondo Congresso della Terza Internazionale si dichiara favorevole all'unione dei gruppi e delle organizzazioni
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comuniste o simpatizzanti con i comunisti al Labour Party, sebbene questo appartenga alla Seconda Internazionale. Infatti, fino a che questo Partito lascerà alle organizzazioni, che ne fanno parte, l'attuale libertà di critica e libertà di propaganda, agitazione e organizzazione per la dittatura del proletariato e il potere dei Soviet, fina a che questo Partito conserverà il suo carattere di Unione di tutte le organizzazioni sindacali della classe operaia, i comunisti debbono assolutamente fare tutti i passi e accondiscendere a certi passi per avere la possibilità di esercitare una influenza sulle grandi masse lavoratrici, smascherare, da una tribuna piú alta o visibile alle masse, tutti i loro capi opportunisti, sollecitare il trapasso del potere politico dai rappresentanti diretti della borghesia ai ' luogotenenti operai della classe capitalistica ', per guarire, insomma, le masse, al piú presto possibile, dalle loro ultime illusioni in questi riguardi ».
Ora è possibile la deliberazione che è stata presa dal Comitato della Terza Internazionale? È possibile nella sua applicazione anche in Italia? Si, tutto é possibile. Per noi non c'é niente di impossibile. Ma è utile per il movimento italiano o dannoso? Messo sulla bilancia il risultato a cui darebbe luogo l'adottare questa forma di scissione che è indicata dagli articoli 7 e 17, noi vecchi militanti del Partito e vecchi amanti del Partita, non esitiamo a dichiarare che sarebbe dannoso. Ora il giorno che avremo messo i nostri compagni russi e la Terza Internazionale a conoscenza che applicando interamente gli articoli 7 e 17 da essi stabiliti si farebbe il danno del nostro movimento, non esito a credere che i nostri compagni diranno: Noi abbiamo bisogno di non fare il danno a nessun Partito organizzato, a nessun Partita rispettabile come il vostro che è realmente un Partito piú rispettabile di tutti gli altri.
Tutte le tirate fatte dai nostri avversari in questa discussione, sia nelle dichiarazioni della Terza Internazionale contro i socialpatriotti, contro i socialpacifisti, sono giuste, sono esatte, ma in Italia questi non esistono piú e dalle file del Partito socialista sono stati liquidati. Esiste sí, tuttora, questa frazione di concentrazione che ogni tanto dà segno della sua attività, ma finora noi abbiamo visto come questa frazione non abbia una vera influenza efficace sulla nostra politica, sulla nostra orientazione. Essa va facendo continuamente delle riserve platoniche. Ma perché vogliamo impedire questo, perché vogliamo sempre considerare che proprio soltanto noi abbiamo il monopolio e l'ipoteca di tutte le verità, della completa verità, che soltanto noi abbiamo il possesso di questa forza di vittoria? Tutti quanti accettano la lotta di classe, accettano
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l'espropriazione. Tutti hanno il diritto dì portare il contributo delle loro osservazioni, delle loro manifestazioni. Abbiamo bisogno di tirare il fiato in questa dura lotta che si continua. Ed allora diremo: Guarda Turati, cosa ci è venuto a dire ! (Rumori, interruzioni, approvazioni).
Le sue osservazioni per) non alterano niente per la condotta intransigente rivoluzionaria che si è ribadita nel 1914 quando non è piú stata possibile in Italia né la collaborazione di classe né la partecipazione al potere. E quindi noi vecchi compagni possiamo dire che gli Scheidemann ed i Noske d'Italia noi li abbiamo già liquidati. (Commenti, approvazioni). Sono i Bissolati, i Cabrini e noi da otto anni ci siamo liberati da questo pericolo e ce ne libereremo ancora. Abbiamo fede nella nostra unità, nella nostra compattezza e non abbiamo questi timori i quali ci portano oggi a seguire questa corrente, a minacciare di indebolire e di scindere e di separare le forze del Partita socialista. Perché? La scissione fra di noi diventerebbe ancora piú dannosa non tanto per le file della nostra organizzazione politica come per la sua ripercussione in mezzo all'organizzazione economica. Quanta fatica c'è voluta per distruggere tutte quelle vecchie illusioni del corporativismo antico, le quali servivano di separazione e di divisione anche in mezzo alle forze economiche dei lavoratori ! Quante fatiche, quanti di quelli che sono qui ricordano le aspre lotte che abbiamo sostenuto in seno alle organizzazioni economiche, in mezzo alle masse per vedere di creare una potenza di classe ! Ebbene, la ripercussione della nostra scissione avrebbe conseguenze fatali nella situazione nella quale si trova la compagine dei proletari.
Per tutto questo voi vedete che, quando si consideri a fondo quale sarebbe la conseguenza della scissione consigliata dalla Terza Internazionale, dobbiamo fare un grande esame di coscienza. Adesso quella che ci viene proposta possiamo chiamarla una specie di revisione delle nostre basi statutarie e programmatiche, anche piú grave di quella fatta l'anno scorso a Bologna. Ebbene, io vi dico: Sí, è giusto, è legittimo che gli uomini che sono raccolti sotto una bandiera, che hanno fatto un esame della loro situazione debbano venire alla necessità della loro revisione. I revisionisti di Germania del tempo passato erano i revisionisti del riformismo di allora e si sono poi impadroniti del potere ed il sapiente degli eruditi, il pozzo di sapienza, Kautsky, il traditore della intesa internazionale del movimento proletario, è indicato da Lenin come il piú pericoloso e nefasto degli scienziati che hanno illustrato la storia del socialismo mondiale. Kautsky è un pozzo di sapienza. Io ho avuto il piacere, la combinazione, di salutarlo e non ho esitato a dirgli: « No, la vostra dottrina è traditrice; vale piú la nostra pratica in
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Italia ». (Approvazioni). Noi non abbiamo scritto trattati, ma abbiamo fatto un'opera continua come quella del compagno Serrati che combatteva di fronte alla grande forza intellettuale anche dei nostri compagni di Russia. E una bellissima cosa. Noi italiani siamo di un'altra natura. Facciamo pochi trattati, pochi manuali e facciamo molte opere. (Commenti, approvazioni).
E da poveri, da semplici, da modesti uomini e proletari che siamo, abbiamo creato in Italia un movimento col quale le classi dominanti devono fare i conti oggi e dovranno capitolare domani. Ieri è venuto qui il rappresentante della Bulgaria a ricordarci le deliberazioni della Terza Internazionale anche sulla questione agraria. Vi siete mai accorti, leggendo i diversi manuali mandati da Mosca e da Pietrogrado come sono belli, pedagogici i consigli per diventare perfetti affiliati della Terza Internazionale? Belli, magnifici, ma non per i nostri contadini ed operai. Il nostro avvocato non fa un discorso da scienziato e da letterato, ma impone all'assemblea della borghesia italiana di ascoltarlo. (Applausi). È venuto a parlarci di questa questione agraria ma senza pensare che noi siamo in una condizione invidiabile di fronte ai nostri compagni stranieri della Francia, dell'Inghilterra, della Germania. Il nostro movimento non è tutto circoscritto nell'operaio industriale, nella popolazione di città, poiché per noi la campagna non è la nebulosa inesplicata e temuta. Noi in Italia abbiamo la superbia di avere affidato la trattazione di questa questione agraria alla Federazione nazionale dei lavoratori della terra, che è il lavoro piú avanzato, piú perfetto, piú grandioso del movimento di organizzazione dei contadini, dei lavoratori della terra che esiste in tutta Europa. (Approvazioni, interruzioni da parte dei comunisti).
MAZZONI: Cosa volete sapere voi, manica di ignoranti ! (Tumulto). La Russia ha un programma agricolo del <c Pipi ». (Nuovo tumulto violentissimo, con scambio di apostrofi fra i due gruppi nella sala e nei palchetti).
LAZZARI: Quindi, noi siamo in questa condizione favorevole. Io vi ricordo, compagni, che le vostre deliberazioni conclusive che prenderete, dovete prenderle con piena libertà di coscienza e di voto. Io non so se si sia adottato ancora il sistema deplorevole adottato al Congresso di Bologna, dei voti imperativi. Noi il giorno che abbiamo ricevuto il mandato di sostenere le ragioni dei nostri compagni organizzati, abt biamo ricevuto il mandato di venire in mezzo ai fratelli con piena libertà di coscienza di fronte a quelli che sono i diversi apprezzamenti su questa questione. Se io mi sento sullo stesso terreno di uno qualsiasi
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dei propugnatori delle varie tesi, voglio essere libero di esprimere per me e per loro l'intera espressione del mio diritto sovrano di decisione. Spero che sarete venuti in questo Congresso con questa piena libertà di coscienza nel decidere. Ricordatevi delle conseguenze alle quali andremo incontro se volete accettare questa scissione che ci viene consigliata dai nostri compagni di Russia, i quali hanno giudicato noi per le imperfette ed incomplete informazioni che hanno avuto del nostro movimento. Se volete tenere presente tutto il quadro storico del nostro movimento, credo che la maggioranza di voi dirà: « Noi siamo qui a decidere fra la unità e la scissione; quale è il maggior bene che noi possiamo fare al nostro movimento?)». Allora non esito a dichiarare che l'unico bene, inapprezzabile, indistruttibile che noi abbiamo a nostra disposizione, è l'unità colla quale possiamo portare alla Terza Internazionale una forza reale, effettiva e devota. Con una scissione si porterebbe una debolezza ed una frazione. Ora noi abbiamo il nostro precedente. Il Partito socialista italiano, sia per mezzo della sua Direzione, nel 1919, sia al Congresso di Bologna dell'anno scorso, ha confermato continuamente la sua entusiastica solidarietà colla Terza Internazionale e la sua adesione alla causa della rivoluzione mondiale. Noi manterremo questa nostra decisione, la confermeremo, anche se venisse la scissione fra noi. Coloro però che a nome di un comunismo che in Italia non è che artificiale per dividere le nostre forze, resterebbero aderenti alla Terza Internazionale potranno vantarsi di avere seguito ciecamente le norme che sono state prescritte per l'organizzazione della Terza Internazionale..
Voce da un palchetto: Piú quelle che le vostre ! (Rumori).
LAZZARI: Noi non mancheremo di mantenere continuamente, con la consapevolezza della nostra situazione e del nostro dovere, la nostra adesione alla Terza Internazionale, anche se non vi siamo ricevuti. Verrà il giorno in cui quella porta della Terza Internazionale, che ora pare si possa aprire facilmente agli anarchici ed ai sindacalisti, si aprirà trionfalmente anche a noi del Partito socialista italiano, e noi potremo entrarvi a fronte alta a portarvi il nostro entusiastico lavoro. (Ap- plausi entusiastici della grande maggioranza del Congresso. I comunisti restano assenti dalla manifestazione pure senza ostacolarla. L'applauso dura qualche minuto e si rinnova. Qualcuno grida « Viva il Comunismo ! ». Il grido è seguito e contrapposto con quello di « Viva il Socialismo ! ». Indi tutto il Congresso intona l'Internazionale).
La seduta è tolta alle ore 12,15.
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Trascrizione secondaria non visualizzabile dall'utente 


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in: Catalogo ISBD(G); Id: 9090+++
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Area di interscambio
Livello Bibliografico Monografia+++
Tipologia testo a stampa
Area del titolo e responsabilità
Titolo della pubblicazione Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia
Titoli e responsabilità
    XVII Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano. Livorno 15-20 gennaio 1921. con l'aggiunta dei documenti sulla fondazione del Partito Comunista d'Italia     17° Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano (Livorno 15-20 gennaio 1921)+++
  • 17° Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano (Livorno 15-20 gennaio 1921)
 
        Congresso fondativo del Partito Comunista d'Italia+++
  • Congresso fondativo del Partito Comunista d'Italia ; I Congresso del Partito Comunista d'Italia (Livorno, gennaio 1921)
 
Area dell'edizione
Numero dell'edizione 2 | Prima edizione: novembre 1962, Seconda edizione: febbraio 1963
Area della pubblicazione/stampa/distribuzione
Pubblicazione Milano+++ | via Sansovino 13 | Edizioni Avanti!+++ | Anno: 1963 Mese: 1 Giorno: 1 - Anno: 1963 Mese: 12 Giorno: 31
Area delle relazioni generali
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