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tipologia: Analitici; Id: 1543114


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Baratono (relatore per la mozione unitaria) con presentazione di Argentina Altobelli (presidente), e Giovanni Bacci, Discorso di Baratono
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
• SEDUTA POMERIDIANA DEL GIORNO 16
Presidenza: Altobelli Argentina.
Discorso Baratono
ALTOBELLI ARGENTINA, presidente: La parola al compagno Adelchi Baratono, relatore per la frazione unitaria.
BARATONO, (applausi) : Compagni, avrei rinunziato ad aggiungere parola...
Una voce dal palco dei comunisti puri: Avresti fatto bene. (Rumori vivissimi).
BAccI: Teniamo addirittura due Congressi, se si deve continuare cosí. Fate la proposta, ma se si deve stare tutti qui, state zitti e non interrompete !
Voci verso il palco dei comunisti puri: Non è serio quello che state facendo ! (Approvazioni).
BARATONO: Compagni, avrei fatto bene a rinunziare alla parola, come suggerisce un compagno...
Voci: E un ragazzo. Dategli il biberon ! (Rumori vivissimi). Parli Baratono ! (Applausi vivissimi. Rumori dai palchi dei comunisti puri). BARATONO: Compagni, io vi prego di non raccogliere le interruzioni e di non fare dialoghi. Alle interruzioni posso rispondere io stesso di volta in volta che me le faranno, e mi procureranno un grandissimo piacere.
Dicevo dunque, semplicemente, che se io prendo la parola dopo la relazione che ho scritto e che è stata pubblicata, gli é perché sono convinto di una cosa: non credo che le sorti del Congresso siano già decise e che quindi, come molti altri affermano, sia perfettamente inutile discutere. Non credo che una discussione aperta, esauriente, chiara, non possa modificare i risultati del Congresso, non possa spostare alcune odierne situazioni le quali sono principalmente basate sopra moltissimi equivoci.
Credo poi che qui si debba parlare non soltanto per i congressisti o per lo stenografo che manderà agli atti per il futuro storico movimento socialista le nostre parole, ma si debba- parlare soprattutto pen-
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sando a quelle masse che sono dietro noi (bene), a quelle Sezioni che vi hanno mandato essendo nella quasi totalità Sezioni comuniste, a quelle infinite moltitudini di lavoratori le quali, in questo momento, non si interessano delle nostre divisioni interne, ma si interessano di qualche cosa di piú importante per loro, che é la loro storia; a quelle masse, in nome delle quali ieri un pallido giovinetto parlava di « fantoccio unitario », ma che invece, proprio, sono profondamente unitarie. (Benissimo! Vivi applausi prolungati e ripetuti. Rumori dai palchi dei comunisti).
Compagni, io vi prego di rendere possibile la esplicazione completa del pensiero della frazione, di rendere possibile a chi viene qui senza secondi fini, senza scopi personali, senza alcun motivo egoistico o utilitario, di esprimere tutto e completamente il suo pensiero. E vedrete che ci avremo tutti da guadagnare
Lasciatemi dunque parlare, o compagni, e mi rivolgo specialmente ai compagni della tendenza comunista... (Interruzioni ripetute da varie parti, rumori prolungati. In questo momento sale sul banco della Presidenza Giacinto Menotti Serrati, accolto da uno scroscio di applausi entusiastici da parte della grandissima maggioranza dei congressisti, e da urla assordanti da parte della minoranza comunista).
Vi avverto, compagni, che io intendo assolutamente di parlare e starò qui fino a questa sera, magari, ma intendo di esporre tutto il mio pensiero. (Benissimo).
Per il vocabolario e perché non si equivochi, stabiliamo dunque subito, senza che nessuno tumulti, che io chiamerò « comunista » la frazione che cosí si vuol denominare, chiamerò « unitaria » la nostra frazione e chiamerò « concentrista » la terza frazione.
Voci: Riformista ! (Rumori vivissimi).
BARATONO: È questione di nomi, é questione di parole, e le parole hanno il significato che si attribuisce loro ! (Rumori vivissimi e prolungati).
Voci: Ma che fa la Presidenza? Fateli stare zitti !
BACCI: La Presidenza che cosa volete che faccia? Se volete che faccia qualche cosa per tenere a freno il Congresso datele i poteri necessari, se no come si fa? Non raccogliete le interruzioni e lasciate che l'oratore risponda lui, se vuole, agli interruttori.
BARATONO: Sono io che, come dicevo, intendo rivolgere alcune domande molto chiare, molto precise, ai compagni comunisti; intendo rivolgerle loro con animo sereno, nella speranza che queste domande abbiano le loro risposte ugualmente chiare e precise, e nella speranza
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che da tale alternativa di domande e di risposte venga fuori in questo Congresso, anche per le folle che stanno al di là del Congresso, una limpidezza di vedute che oggi non c'è, che la discussione cosí come è stata condotta fino ad oggi non ha prodotto.
Questa mattina le parole dei compagni della Internazionale, attraverso la lettura del compagno Kabaktceff, ci facevano l'impressione che di qui una mano di ferro calcasse sopra il Congresso, il quale, sotto la stretta si divincolava e qualche volta ancora reagiva. E io mi domandavo stamattina se questa ferrea stretta, se questo duro linguaggio, che viene da Mosca, fosse la morsa di una tenaglia, fosse il ferro di un aratro che dividendo fecondasse, fosse la necessaria imposizione di un organo superiore al quale tutti ci dobbiamo subordinare, e quindi la reazione di molti compagni fosse semplicemente il vecchio ordine di idee che si ribelli al nuovo, l'antica mentalità che non vuol cedere al fermento del nuovo pensiero; e mi domandavo, anche, se non fosse l'avvenimento che era sotto i nostri occhi questa mattina null'altro che un episodio di quella meravigliosa lotta che la Terza Internazionale va combattendo in tutto il mondo, lotta la quale non ha importanza soltanto nell'interno dei nostri Partiti, ma anche nella compagine di tutte le nazioni moderne.
Perché è la Russia che fa la politica internazionale, non soltanto dall'armistizio in poi, ma da prima dell'armistizio; è la Russia che ha condotto la guerra al suo logico fine: è la Russia che ha provocato la disfatta delle armi nella guerra, la disfatta di tutte le armi; è la Russia che ha provocato poi, davanti al pappagalleggiamento di Wilson, lo smascheramento di Versailles, dell'Intesa, e che ancora oggi seguita a fare la piú grande politica internazionale.
E mi domandavo se questo fatto che qui nell'interno del Partito socialista italiano avviene non fosse che un semplice episodio di questa grandiosa, meravigliosa lotta che la Terza Internazionale sostiene per preparare il domani a tutti i paesi; mi domandavo se non fosse altro che il medesimo di ciò che è avvenuto, per giustissima imposizione russa, nelle altre nazioni vicine a noi.
Ma quando — compagni, è tutta qui la questione — quando, per bocca del compagno Kabaktceff, la Russia . ci dice che noi, tendenza unitaria, maggioranza del Partito, siamo degli opportunisti, che soltanto per accarezzare le masse fingiamo di essere favorevoli alla Terza Internazionale; quando la Russia ci dice che noi ci accontenteremo di espellere dal nostro Partito due, tre, cinque riformisti per mantenere il
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riformismo dentro il nostro Partito, allora io mi rivolgo ai compagni comunisti e dico loro: compagni, credete veramente voi questo?
Molte voci dai palchi e dai banchi dei comunisti: Sí, sí ! (Rumori violentissimi. Interruzioni vivacissime, scambio di apostrofi. Tumulto prolungato).
ALTOBELLI, presidente: Io debbo altamente protestare contro questa intolleranza. Se si continua cosí non si potrà andare avanti. Voi non fate che provocare dei tumulti, facendo perdere un tempo che dovrebbe essere prezioso per tutti. Ricordatevi che qui ci sono anche dei rappresentanti della stampa borghese...
Una voce: Costoro fanno gli interessi della borghesia agendo a questo modo ! (Applausi. Rumori).
ALTOBELLI, presidente: ...e a nome della Presidenza dichiaro che d'ora in poi faremo allontanare dall'aula, servendoci anche delle guardie rosse, coloro che non si atterranno ai richiami della Presidenza. Sarà il miglior castigo che essi potranno avere contra l'uso di questi si-sterni veramente deplorevoli. (Bene !).
Qui ci sono i rappresentanti della stampa borghese che ci ascoltano, date loro la sensazione che sentite i nostri richiami, che sono richiami veramente da compagni a compagni, che sono richiami che vengono da persone che desiderano che il Congresso abbia il suo svolgimento e che tutti gli oratori possano liberamente esprimere il proprio pensiero, come si conviene a socialisti in un Congresso socialista ! (Applausi). Baratono ha la parola.
BARATONO: Le domande che io voglio porre alle frazioni naturalmente non aspettano una risposta da tutta l'assemblea, no: esse aspettano una risposta dagli oratori che parleranno dopo.
In ogni modo, per evitare che mi rispondiate tutti insieme, rivolgerò le mie domande al compagno Gennari, chiedendogli che cosa eravamo noi fino a ieri, che differenza c'era nella Direzione del Partito, che differenza c'era nelle Sezioni, nell'attività delle Sezioni fra quelli che oggi sono divisi? (Mormorio). A che titolo oggi alcuni di voi si sono schierati da una parte e hanno detto: la rivoluzione siamo noi? Solamente chi è con noi è con la rivoluzione? Per quali meriti del passato, su quali fondamenti oggettivi e di fatto basate questa pretesa di essere voi sob, oggi, i rivoluzionari, coloro che preparano la rivoluzione di domani? (Interruzioni. Rumori. Commenti).
La divisione è sorta solamente negli ultimi tempi della vita del nostro Partito, senza che prima nessuno si fosse accorto che c'era questa divisione nelle nostre file !
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Non parlo della distinzione fra gli elementi di destra ed i cornu-nisti, parlo della divisione tra i comunisti.
È sorta quando ci è venuto in Direzione il primo messaggio del C.E. della Terza Internazionale; è sorta solo allora, quando noi ci siamo divisi nella Direzione in maggioranza e minoranza; e poi si è propagata nel Partito socialista e nelle Sezioni.
La diversità del nostro criterio nell'apprezzamento di quel messaggio era una diversità di particolari, ed ancora oggi è diversità di particolari; non era una diversità tale da fondarsi sopra una divisione in due Partiti.
La Terza Internazionale, avendo tenuto un Congresso, il Secondo Congresso di Mosca, avendo in questo Congresso deliberato su alcune tesi, cioè su alcuni punti programmatici del nostro Partito, tesi che riguardano la vita di tutte le sezioni, che hanno quindi un valore internazionale, ed avendo da queste tesi estratto un regolamento, ossia una serie di applicazioni, o condizioni (i 21 punti), impone a tutte le Sezioni nazionali dell'Internazionale di aderire a questo regolamento.
Ieri il compagno Graziadei vi ha fatto largamente l'esposizione della questione. Al compagno Graziadei, uomo di studio, uomo di pensiero, abituato ad appoggiare le sue critiche sopra i documenti, io avrei voluto chiedere semplicemente una cosa; l'avrei chiesta alla sua lealtà: di ricordarsi cioè che tutto ciò che egli ha detto ieri, noi lo avevamo scritto, noi, unitari, contro cui egli soprattutto ha diretto ieri i suoi strali: e quindi domando a Graziadei: perché se tu, ieri, a proposito della disciplina dell'Internazionale di Mosca e del modo dell'applicazione dei 21 punti di Mosca sei perfettamente d'accordo con ciò che noi abbiamo detto, ed abbiamo detto in un articolo, non in una conferenza, ma in una relazione ufficiale della nostra tendenza, perché ti pensi tu in disaccordo da noi? Perché tu ci consideri come tuoi avversari? Giacché tu soprattutto intendesti dimostrare a questa assemblea che ci fosse un divario tra coloro che sono con te, e che soli riconosci come comunisti, e noi in questo momenta trattati quasi da socialdemocratici e da traditori.
Noi abbiamo molto chiaramente espresso il nostro pensiero: i 21 punti di Mosca hanno certamente valore internazionale. La Terza Internazionale si è trovata di fronte alla stessa situazione in tutto il mondo: la Seconda Internazionale aveva tradito perché nei Partiti socialisti dei vari paesi c'erano degli elementi socialpatrioti, c'erano degli elementi socialdemocratici che avevano fatto deviare le Sezioni del Partito. Era un postulato essenziale, una necessità assoluta per la rivolu-
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zione russa di pretendere che in tutti i paesi, finalmente, il Partito socialista prendesse la via di sinistra, prendesse la via della rivoluzione, prendesse la via di Mosca, la via della dittatura del proletariato.
In ciò Zinowieff è stato chiarissimo, e noi stessi abbiamo ricordato quella lettera di Zinowieff in data 23 ottobre al proletariato francese, che il compagno Graziadei ieri ha citato, nella quale Zinowieff dice questo: « trattasi per l'Internazionale di Mosca, non dell'applicazione di due o di dieci o di venti punti, trattasi unicamente di decidere se da ora in poi i Partiti socialisti debbano andare verso la rivoluzione e il comunismo, ovvero debbano ancora perdersi per i vicoletti della piccola borghesia stagnante nella società borghese presente ».
Comprendiamo quindi tutta la necessità che aveva il Secondo Congresso della Terza Internazionale di fissare le tesi e di stabilire i 21 punti, e riconoscemmo anzi nei 21 punti fin troppa larghezza, perché per il Partito socialista italiano è troppa larghezza ammettere, anche limitandolo all'arbitrio della Commissione esecutiva della Terza Internazionale, che qualche centrista possa prendere parte alla Direzione stessa del movimento socialista.
Voci: E i riformisti?
BARATONO: Applicazione dei 21 punti di Mosca. Noi siamo perfettamente d'accordo con l'Internazionale di Mosca, la quale domanda a tutti i paesi che la scissione dai riformisti si faccia su queste basi: se fino ad allora era stato concesso, in un modo o in un altro, ai riformisti ed ai centristi di restare nel Partito, da allora in poi, ossia a quattro mesi di distanza dalla promulgazione dei 21 punti, era detto questo: si ponesse a questi signori dell'ala destra la domanda se accettano i 21 punti. Ventunesimo punto: chi respinge per principio le condizioni e le tesi della Internazionale comunista sia espulso dal Partito.
Posizione semplicissima che Zinowieff ha ripetuto ai francesi; ma avendo detto loro di piú che cosa? Mettete il coltello alla gola a questa gente: le couteau à la gorge. E col coltello alla gola, se è necessario, anche noi porremo questa domanda ai nostri destri d'Italia, quantunque dobbiamo riconoscere, come è giusto e leale, che i nostri destri d'Italia corrispondono poi ai sinistri di altre nazioni. Ma ciò non importa niente (applausi vivissimi della maggioranza, ululati dei comunisti), anzi è gloria nostra di essere all'avanguardia degli altri paesi (esclusa la Russia) nella posizione che ha il socialismo di fronte ai problemi rivoluzionari. Non importa niente, anzi non siamo tenuti dalla stessa storia del nostro passato ad un maggior rigore; ed oggi qui noi, ripeto, anche col coltello alla gola, metteremo ai compagni dell'ala destra la doman-
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da se accettano o non accettano da ora in poi i 21 punti di Mosca, ossia i principi sanciti dalla Terza Internazionale. (Commenti animati).
E con questo noi siamo perfettamente in regola di fronte alla Terza Internazionale, di fronte ai doveri della disciplina internazionale.
La questione non può quindi fondarsi su questo punto, e non vorrei che risorgesse nei vostri oratori, con l'insinuazione che noi non ci vogliamo subordinare ai 21 punti di Mosca. Noi lo abbiamo sempre detto e riconfermato anche ultimamente: lo ripetiamo anche ben chiaramente nella nostra mozione. Noi accettiamo i 21 punti, chiediamo di applicarli in Italia come la Terza Internazionale ha domandato che vengano applicati in tutto il resto del mondo.
Non è qui la controversia, non è qui la ragione del dissenso, della discordia, della divisione, della formazione di nuovi Partiti, frantumando il Partito socialista esistente. Ci dev'essere una causa piú profonda o piú generale, che non riguarda affatto la disciplina della Terza Internazionale. Si tratta quindi di cercarla, o compagni che avete interrotto dicendo che la causa della nostra diversità di vedute sta nella Terza Internazionale. Si tratta di cercare — e Graziadei mi darà ragione — se ciò che ci divide è una questione di ragione nazionale o è una questione di ragione internazionale.
Perché nel secondo caso chi decide è Mosca, giustamente, legittimamente; ma nel primo caso chi deve decidere siamo noi.
Naturalmente il problema si è complicato per il fatto che nella polemica sono entrati dei compagni che appartengono alla Terza Internazionale, che alla polemica hanno preso parte uomini come Lenin, come Zinowieff, e che dalla loro bocca ci vengono le critiche stesse che per primi ci mossero dei compagni d'Italia, critiche che in gran parte noi avevamo accettato perché riguardanti l'orientamento e la tattica interna del nostro Partito.
Tutte queste critiche, come io osservavo nella mia relazione, in generale vengono fondate sopra una ragione di interpretazione storica, di interpretazione di fatti. Riandando alla vita del nostro Partito, da Bo-_ogna ad oggi, si dice che essa presenti delle gravi avarie: che il Partito socialista italiano dopo Bologna, avrebbe avuto occasione di fare una rivoluzione vittoriosa, e non la colse per la presenza nel suo seno di elementi riformisti.
Questa è la piú grave critica che si faccia, ed è una semplice interpretazione di avvenimenti accaduti sotto i nostri occhi, dei quali noi siamo competentissimi a giudicare, perché li abbiamo vissuti.
Ancora questa mattina, in quella lettera lettaci dal compagno di
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Bulgaria, si ripetevano le stesse accuse, si alludeva agli stessi fatti; ancora- questa mattina si diceva: Voi, socialisti italiani, siete stati sul punto e nella condizione di poter fare la vostra rivoluzione, di appropriarvi del potere politico del vostro paese, e non l'avete fatto perché siete stati troppo teneri verso gli elementi riformisti che sono nel vostro Partito. (Commenti).
Se non è proprio letteralmente esatto, è però questo il pensiero generale...
Una voce dal palco dei comunisti: Non è questo il senso !
BARATONO: Correggerete ancora.
A queste critiche, e quindi ai rimproveri, e quindi alla diversa tattica che dovremmo seguire se queste critiche e questi rimproveri fossero giusti, noi della tendenza unitaria che cosa rispondiamo?
Rispondiamo che noi guardiamo ai fatti, che noi guardiamo gli avvenimenti con occhio piú sereno di voi. Rispondiamo, cari compagni: non si può aver sempre ciò che si desidera, e non basta desiderare e volere per realizzare, ché, se cosí fosse, saremmo tutti felici; ma noi sappiamo per le dure esperienze che il nostro Partita ha passato, che bisogna fare i conti con le condizioni reali, e vi rispondiamo: non è questione di diversa volontà, di diverso fine, di diversa tendenza, è questione di diversa valutazione, è questione di diversa apprezzamento. Diverso, anche qui, solamente in particolari; non già diverso nel senso che anche noi non crediamo tutto quello che ci esponeva questa mattina in quella sua magnifica lettera il compagno di Bulgaria, quando ci rappresentava la crisi profonda che attraversa la borghesia, lo stato disperato della società presente, e quindi la necessità assoluta di passare ad una nuova forma di costituzione sociale. Su questo siamo tutti d'accordo ! Questa stessa critica l'abbiamo fatta mille volte anche noi, e d'accordo siamo anche su questo, che mille condizioni propizie ci sono in Italia per la rivoluzione; d'accordo siamo anche su questo: che nelle masse stesse italiane, sia pure in forma impulsiva, sia pure in forma di un meraviglioso istinto generoso che le spinge, nelle masse italiane c'è la possibilità di trascinarle all'evento ultimo. Siamo d'accordo sulla debolezza degli istituti borghesi italiani in confronto degli stessi istituti di altri paesi vicini, perché la libertà relativa che godiamo in Italia è appunto l'effetto della debolezza degli organi costituzionali italiani, i quali non poggiano su una forte e compatta classe dominante; come è anche l'effetto della nostra forza che in Italia è enormemente superiore — in relazione, si intende — alla forza che ha il Partito socialista nei paesi vicini. Siamo d'accordo su tutto ciò.
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Dove non siamo d'accordo? Su particolari, su contingenze di fatto semplicemente.
Per esempio, ne colgo una a volo: quella lettera lettaci dal compa-gno Kabaktceff a nome dei compagni di Mosca diceva che in Italia c'è uno stato di miseria disperata dopo la guerra.
Siamo sinceri, compagni che venite dai lavoratori dei campi e delle città: la miseria ci sarà, perché precipitiamo verso la disoccupazione e la fame, ma disperata miseria non c'era nel giorno nel quale, secondo-costoro, noi avremmo dovuto fare la rivoluzione e non l'avremmo fatta per l'intervento dei socialisti di destra. (Oooh, 000h ! Commenti animatissimi e prolungati).
Questi particolari non sono senza importanza, perché servono a dimostrare che appunto sopra queste piccole inezie, sopra queste quisquilie si è voluto artificialmente creare una grave divergenza di opinioni. La borghesia, dopo l'armistizio vedendosi perduta, ebbe l'istinto di lasciar libera la gara dei contadini e degli operai all'aumento di salario. È un fatto.
Voci: E la disoccupazione? E il caro-viveri? (Interruzioni. Corn-menti animati. Rumori).
BARATONO: Cercate di interpretare senza malignamenti il mio pensiero. Io non dico che le condizioni dei lavoratori italiani siano assolutamente buone: dico che nell'apprezzamento di un fatto storico, per esempio del fatto che riguarda il movimento dei metallurgici, anche piccole circostanze hanno il loro valore, e che quindi la diversa interpretazione di un fatto può avere delle gravi conseguenze nella dottrina. (Commenti).
Cosí, per esempio, noi siamo d'accordo che la rivoluzione, pur essendo un fenomeno internazionale, debba incominciare in qualche posto, e che il luogo nel quale possa incominciare la rivoluzione nell'Europa occidentale potrà essere benissimo l'Italia, perché in condizioni piú favorevoli degli altri.
Una voce: Manca il pane !
Voci: Compratelo ! (Vivissima ilarità. Commenti).
BARATONO: Dove, invece, per esempio, non andiamo piú d'accordo è quando i compagni della Russia, e specialmente in una delle ultime lettere inviate agli italiani, ci dicono con tutta tranquillità che non appena il movimento sarà scoppiato in Italia, immediatamente ci verrà l'aiuto della Francia, della Inghilterra, della Russia stessa. (Commenti. Rumori vivissimi).
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MISIANO: Non dice cosí, gesuita ! (Rumori vivissimi e prolungati. Scambio di apostrofi).
ALTOBELLI, presidente: Noi torniamo ad invitarvi a non interrompere.
BARATONO: Dice proprio cosí. È la penultima lettera firmata <c II Comitato esecutivo della Terza Internazionale », pubblicata anzi prima sull'Avanti ! di Torino, 1'11 dicembre, e poi su quello di Milano, dove c'era un periodo molto chiaro che parlava perfino, compagni, di invio di grano, aiuti da parte della Russia. Ed in quella lettera si diceva che immediatamente ci sarebbe venuto il sostegno dei Partiti socialisti delle nazioni consorelle.
È una piccola questione: in fondo noi siamo d'accordo, cioè non ci facciamo illusioni, ma il non farsi illusioni implica naturalmente, non il fatto che si esiti o che si voglia andare indietro, ma il fatto che non si voglia quello che potrebbe mal riuscire domani; il fatto che si possa domani avere una diversa valutazione dell'opportunità particolare nazionale, locale, nella quale siamo noi i giudici competenti. E questo solo noi rispondiamo a Mosca. Rispondiamo a Mosca: permetteteci di valutare la situazione nostra coi nostri occhi in ciò per cui questa situazione è nazionale, è fatto nostro, di cui noi conosciamo le condizioni, di cui noi conosciamo le cause, la portata, gli effetti.
E diciamo ancora ai compagni di Russia: non siamo affatto alieni, non escludiamo affatto che se a voi, compagni dell'Internazionale, pei bisogni dell'Internazionale, sembrasse un giorno necessario anche il sacrificio del Partita d'Italia, noi saremo pronti a farlo: ma almeno questo vi domandiamo: di poterne discutere con voi, di poterci sentire uniti con voi, non di ricevere ordini ma di avere con voi una collaborazione continua, di avere un contatto continuo fra la Direzione del Partito socialista italiano e la Commissione esecutiva della Terza Internazionale. (Bene!). Vi domandiamo un contatto piú stretto, una intimità piú amichevole, una collaborazione piú chiara e piú libera; e questo è stato chiamato essere avversari, essere nemici della Rivoluzione russa.
Ci hanno imputati per questo di voler contrastare a Mosca, noi che proprio desideriamo di andare all'unisono con Mosca !
Vedete che si continua a rivangare sul fatto della presa di possesso delle fabbriche; che da quel giorno in poi è diventato il punto sul quale piú ci combattono i comunisti d'Italia e quindi anche i compagni dell'Internazionale di Mosca. Sarebbe stato allora, specialmente, che la presenza di qualche destro nel nostro Partito avrebbe proprio impedito alla rivoluzione di aver luogo. (Interruzioni).
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Io non ne parlerei (come non citerò, se non per esemplificare, questioni particolari e tacerò del tutto di questioni personali) non ne parlerei se non ci fosse la circostanza che io era nella Direzione del Partita e che nessun altro fra gli oratori potrà riferirne come testimone oltre Gennari, perché Serrati era ancora in Russia, quantunque una vignetta lo rappresenti addormentato, in quei giorni.
Ed anche qui mi rivolgo al compagno Gennari: poniamo la questione nel fatto, senza nessuna intenzionalità, e cerchiamo di ricostruire la storia di quei giorni.
Io ricordo ciò che ho osservato; quelle ore, le ho seguite, le ho vissute; se voi credete che venga in malafede a parlare e a cercare di modificare i fatti, ditemelo subito, piuttosto che interrompermi dopo, ed io tacerò; ma se voi ammettete la buona fede di un uomo, la storia é questa, molto semplice, esposta non per difendere uomini o tendenze riformistiche, ma per dimostrare anzi, che nemmeno allora si trattò di influenza del riformismo e meno ancora di dominio che questo abbia preso sopra il Partito. Poiché, diciamolo subito, la migliore prova che i nostri socialdemocratici non dominarono sul Partito, sta nel fatto, per chi sa e ragiona, che altrimenti essi avrebbero benissimo potuto instaurare la Repubblica socialdemocratica in Italia, per cui ebbero mille buone occasioni e non lo fecero.
Ieri Graziadei diceva che bisogna guardare la realtà storica secondo certi momenti, certe circostanze che ne stabiliscono il valore; e diceva questo per svalutare l'opera dei socialisti italiani che sono stati tutti, o in grandissima maggioranza, contro la guerra, nessuno dei quali ha voluto i crediti di guerra, osservando che in Italia c'erano condizioni piú propizie che in altri paesi, e lo sforzo era perciò assai minore.
Orbene, io dico a lui la stessa cosa: riconosciamo, compagno Gra-ziadei, che l'aver preso possesso delle fabbriche, nel modo con cui s'è avverato in Italia, era una condizione assai piú propizia di quella che sarebbe stata se in quel momento il Governo, per sue ragioni borghesi, non avesse in certo senso lasciato fare e consentito. Adunque, per intanto, teniamo presente questo fattore. Né diteci subito che c'era una situazione insurrezionale sol perché i nostri operai erano in possesso delle fabbriche, dal momenta che erano in possesso delle fabbriche pacificamente.
Quei giorni, in una prima riunione alla quale presero parte solamente rappresentanti operai delle regioni piú industriali metallurgiche d'Italia, io ricordo che l'atmosfera fu molto pacifica. Erano questi operai forse dei riformisti? No, compagni, erano degli organizzatori...
Voci: Buoni quelli ! (Rumori. Commenti).
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BARATONO: ...erano degli operai diventati organizzatori. Lenin ci ha consigliato di sostituire ai riformisti degli operai; e quelli erano degli operai, come operai furono i D'Aragona, i Buozzi, i Baldesi (commenti animati), e ci venivano a narrare le condizioni morali e materiali delle loro regioni.
La Direzione del Partita non prese un atteggiamento decisivo in quel giorno. Attese gli avvenimenti. Gli avvenimenti precipitarono. (Interruzioni. Rumori. Scambio di apostrofi).
ALTOBELLI, presidente: La Presidenza è d'accordo in questo: che se c'è, come pare che ci sia, un interruttore sistematico, lo farò mettere fuori ! (Applausi).
BARATONO: Sta dunque di fatto che fino alla convocazione del Consiglio generale delle leghe noi della Direzione del Partito non avevamo una chiara intenzione, una precisa visione, una certa decisione di portare il movimento piuttosto da una parte che dall'altra. Lasciammo che si convocasse il Consiglio delle leghe. Nel frattempo la situazione generale, piuttosto che migliorata, era peggiorata, come riferirono, del resto, coloro che venivano dalle fabbriche invase, primi fra tutti i compagni di Torino. Perché lo stato d'animo degli operai non era piú a quella altezza di tensione nella quale si trovava i primi giorni. Alcuni di essi, poco educati, troppo utilitaristi forse, già domandavano, soprattutto, che si fornisse loro il mezzo di vivere giorno per giorno se si voleva che rimanessero nelle fabbriche. Mi rivolgo agli organizzatori per testimonianza.
Molte voci: È verissimo.
BARATONO: Vennero dunque quelle due famose giornate che furono impiegate in discussioni fra Direzione del Partito e Confederazione generale del lavoro, dove la Confederazione generale del lavoro, di cui io non intendo affatto portare qui alcuna scriminante, alcuna difesa per tutta l'opera sua, sta di fatto che si metteva intanto in questa posizione: di non contare piú come Comitato centrale, dal momento che si era convocato il Consiglio delle leghe, il quale era sovrano, il quale era costituente di fronte ad esso Comitato. Le nostre discussioni si svolsero in due giorni.
Primo giorno, Gennari, ti ricordi, noi non ponemmo una condizione assoluta sine qua non, e quindi non ci dividemmo recisamente da loro. Alla sera di quella domenica, noi della Direzione ci radunammo insieme, pronti, od almeno persuasi, a modificare alquanto le nostre vedute (i compagni della Direzione sono qui presenti), e a cercare una
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conciliazione tra il nostro punto di vista e quello della Confederazione generale del lavoro.
GENNARI: Tu ricordi bene, Baratono. Non ce lo avevano ancora manifestato !
Una voce: Non avete capito niente ! (Rumori vivissimi. Scambio di apostrofi).
BARATONO: Nel secondo giorno, invece, di un balzo, si posero in antitesi assoluta le due concezioni opposte: la concezione rivoluzionaria ad oltranza e la concezione sindacale che voleva contenere il movimento come movimento sindacale e quindi diretto dagli organizzatori. È qui tutta la questione, anche dal punto di vista psicologico.
Io credo che se noi avessimo voluto incanalare la discussione in questo altro senso: non chiedere tutto a un tratto la presa di possesso di tutti gli stabilimenti italiani, e quindi di non chiedere tutta in una volta la rivoluzione contro la intera classe borghese, contra tutto il regime vigente, ma ci fossimo contentati che gli operai non uscissero piú dalle fabbriche, ormai diventate loro, per legittimo impossessamento, avessimo domandato di riconoscere la proprietà collettiva di quelle fabbriche che gli industriali metallurgici e siderurgici, speculatori piú che produttori, erano ormai indegni di gestire per mille ragioni; se ci fossimo posti di fronte ad un solo avversario, che in quel momento era debole, discorde internamente fra grossi e piccoli industriali, mal visto anche dalla borghesia, mal visto anche dalla zona grigia dell'opinione pubblica, e in contrasto col Governo stesso, esso sarebbe stato abbandonato forse dal Governo, e dopo la presa definitiva di queste fabbriche si poteva an che allargare per contagio il movimento. Dico, se si fosse accettato un punto di vista rivoluzionario, ma intermedio...
Una voce: Le mezze misure !
BARATONO: Ah ! Ma tu non sai che cosa sia una rivoluzione: non hai mai letto un libro di storia ! (Applausi vivissimi).
Quando Lenin ha spossessato le fabbriche di Putiloff ha motivato la propria azione affermandone le precise e particolari ragioni, e non ha detto: ce le prendiamo per la rivoluzione ! Ha dato ragioni contingenti perché la rivoluzione non si fa tutta in una mattina. Invece, ed io ve lo dico solo per dimostrarvi lo stato d'animo degli uomini di quel giorno, invece l'urto fra Gennari, rappresentante della Direzione del Partito, la quale all'unanimità gli dette la sua solidarietà, e il Comitato centrale della Confederazione generale del lavoro, fu violento solo per questo: che c'era un'assoluta antitesi, non di tendenze politiche e di programmi, ma di sentimenti e d'abito mentale. Piangevano gli uni e gli
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altri; ma uno diceva: io credo che domani si debba fare il gran salto; e gli altri dicevano: noi onestamente e lealmente ci spaventiamo perché ci sembra un salto nel buio.
La solita voce: E allora non si fa il dirigente di organizzazioni ! (Interruzioni vivacissime. Commenti animati. Rumori vivissimi. Scambio di apostrofi violente).
BARATONO: Compagni, persuadetevi, non diamo un giudizio, esponiamo un esame dei fatti; persuadetevi che stavano di fronte due concezioni oneste, una rivoluzionaria e una sindacale. (Commenti animatissimi).
• GENNARI: E incompatibili. Di qui la necessità della separazione. Voci: Ecco la scissione !
Altre voci: L'ordine del giorno era di Bucco. Ricordatevelo ! (Rumori vivissimi. Scambio di apostrofi).
BARATONO: Io dico questo perché noi, unitari, veniamo accusati di voler difendere i riformisti e il riformismo. E non è vero. Noi difendiamo solamente, per debito di lealtà, questi che sono ancora oggi nostri compagni, perché Bologna ha consentito che fossero ancora nostri compagni, dall'accusa di essere dei traditori, dall'accusa di essere dei complottisti, dei conniventi con la borghesia.
Questa è una posizione di lealtà che noi dovevamo assolutamente lrendere di fronte a quei compagni di Mosca che asserivano: « voi avete nel vostro seno dei traditori e degli opportunisti ». Non avevamo di fronte a noi, quel giorno, dei traditori e degli opportunisti; di fronte a noi quel giorno avevamo uomini che in buona fede, onestamente, secondo la loro convinzione... (Interruzioni. Rumori vivissimi), secondo la loro convinzione che derivava dal fatto che sono abituati a condurre le lotte sindacali ed economiche, le quali sono per loro natura contingenti, che per loro natura abituano gli organizzatori ad essere molto cauti ed a prevedere tutti i pericoli, seconda questa loro convinzione in quel momento si ribellavano a questo azzardo non sufficientemente preparato, a questo impeto generoso, pensando al giorno dopo, pensando alla psicologia delle masse italiane sulle quali possiamo far conto per l'assalto alla trincea, mon non cosí ugualmente per mantenere poi le posizioni prese.
Una voce: Tu non conosci bene le masse ! (Rumori vivissimi).
BARATONO: Insomma, noi diciamo: nella valutazione delle condizioni e delle circostanze per la riuscita di una rivoluzione vittoriosa, ci volete o non ci volete mettere anche l'elemento che si chiama psicologia dell'operaio; che si chiama preparazione delle masse; che si chiama psi-
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cologia di coloro che dirigono e sempre dirigeranno queste organizzazioni. perché anche quando ci andrete voi, i piú puri tra i comunisti, i piú ardenti tra i comunisti, dovrete fare un'opera nello stesso senso che la fanno loro? (Interruzioni. Rumori).
Non dimentichiamo dunque, fra l'altro, che contro l'ordine del giorno Bucco-Schiavello e per l'ordine del giorno D'Aragona votarono in maggioranza i rappresentanti delle organizzazioni operaie.
Voci: Senza mandato.
BARATONO: La presenza e l'autorità che si dice avere nel Partito so- cialista questa nostra destra non è una causa della mancata rivoluzione, ma è, se mai, un effetto; dimostra appunto che le condizioni d'Italia, sono tali che questi destri sono ancora oggi compatibili, o erano ancora ieri compatibili nelle nostre file. (Aaah ! Aaah I). Ci potevano stare perché avevano il suffragio delle loro masse. Non si deduce, che domani ci debbano stare. Non si dice che domani il Partito socialista debba seguire la stessa via che ha seguito fino ad oggi; si dice: « andiamo a- vanti », ma il passato giudichiamolo onestamente; diciamo che nel passato, non per nostra volontà, non per nostra colpa, non per la presenza di tre, di cinque, di venti persone, ma per condizioni assai piú profonde, e nazionali e internazionali, il rivolgimento non si è potuto eseguire in Italia. Diciamo questo, onestamente, e non divenga quindi un'accusa al Partito socialista italiano non aver ottenuto ciò che non poteva assolutamente raggiungere. Non divenga un'accusa verso la Direzione, ed è strano, è meraviglioso che Gennari non accolga questa accusa...
GENNARI: Non l'accolgo. Non c'è quest'accusa !
BARATONO. ...accetti questa accusa dei compagni russi, che anche questa mattina ci hanno mosso: di aver noi tradito la rivoluzione; quest'accusa per lo meno di debolezza a di codardia, di avere sabotato una rivoluzione, che secondo Lenin e Zinowieff sarebbe riuscita vittoriosa, nella piccola Italia ! mentre all'intorno già erano caduti gli altri tentativi e infieriva ovunque la piú atroce reazione; mentre le stesse armi della Russia bolscevica erano state infrante a Varsavia; in Italia, piccolo povero paese senza risorse, che non poteva realizzare le speranze concepite a Bologna, non già per l'intervento di Turati o D'Aragona, ma per cause piú profonde e generali.
Noi discordiamo dai compagni di Mosca in questa critica che riguarda il passato recente del Partito socialista. Siamo d'accordo in ciò che riguarda l'avvenire; siamo perfettamente d'accordo coi compagni di Mosca nel desiderare un accentramento maggiore nel Partita socialista italiano, e un disciplinamento piú efficace, nonché una piú stretta
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dipendenza degli organismi sindacali. Siamo pronti ad accogliere tutte quelle riforme che voi, comunisti puri, vogliate portare nella riorganizzazione del Partito. Su tutto questo non abbiamo nessuna eccezione a fare. Siamo pronti a formare nuovi organi piú adatti e piú celeri, come siamo stati i primi a dire che la Direzione del Partito deve essere accentrata e deve imporsi con maggiore autorità di oggi. Siamo stati i primi, noi stessi, a muovere le critiche all'organizzazione passata del nostro Partito.
A tutto ciò siamo disposti, ma non siamo disposti a farci dare dei codardi, dei traditori della rivoluzione, perché noi non lo siamo mai stati ! (Applausi vivissimi. Interruzioni di Bordiga. Rumori vivissimi. Tumulto).
ALTOBELLI, presidente: Sospendo la seduta fino a che tutti non saranno a posto.
(La seduta rimane sospesa per mezz'ora circa. Altobelli ritorna alla Presidenza esortando lungamente l'assemblea e specialmente quelli che sono nei palchi a non provocare tumulti. Quindi dà la parola all'oratore).
BARATONO: Le mie parole tendevano a portarvi sopra constatazioni di fatto dalle quali, se me ne aveste lasciato il modo e il tempo, avrei potuto trarre questa conclusione: che nel Partito socialista italiano non ci sono frazioni, c'è una sola grande tendenza comunista o massimalista che coincide con il Partito e che fino ad oggi ha fatto strada insieme ed in perfetta unità e di pensiero e di azione. E volevo dimostrarvi che soltanto artificiose o almeno esagerate interpretazioni dei fatti storici sono quelle che hanno creato le ragioni della odierna scissione fra comunisti.
Non posso per?) piú fermarmi tanto sopra questa parte, e debbo passare oltre per necessità del tempo.
Noi, comunisti della tendenza unitaria, non neghiamo certamente che vi è una parte di socialisti, che Bologna ha lasciato nel Partito socialista, i quali sono alla destra del Partito. Siamo, però, discordi nel valutare il colorito speciale di questa tendenza, in modo da poterle dare una precisa qualifica, come si fa invece dai compagni di Mosca. Siamo stati in disaccordo non sull'ammettere o non ammettere che Turati, che Treves, che D'Aragona siano alla destra del Partito, ma solamente nel criterio storico su questa tendenza, nella valutazione di so-cialpatriottismo, alla quale avete poi rinunziato, o di socialdemocrazia, alla quale non rinunziate, intendendola come sinonimo di riformismo,
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nel senso storico della parola, perché nel senso storico della parola riformismo vuol dire collaborazionismo.
Di fronte a questa domanda: «esiste il collaborazionismo come frazione del Partito socialista italiano? » noi avremo errato, la storia dirà poi la sua sentenza ultima di qui a qualche anno, nessuno è profeta nel mondo, ma insomma noi crediamo di poter definire i nostri destri come frazione collaborazionista, in quanto crediamo che non esista una frazione collaborazionista, la quale porti cioè come suo programma e cerchi di attuare nella sua attività di Partito questa tendenza a collaborare con la borghesia.
Direte: sono venuti adesso a questa concezione; direte: si sono trasformati da quelli che erano; direte: hanno mutato per la via il loro programma.
Sí, è vero, nel mondo tutto muta; molti di voi che cosa erano due, cinque anni or sono?
Voci: Anche due mesi fa !
BARATONO: Tutto muta, tutto si trasforma; ma sotto - a questo fatto che noi constatiamo: che i riformisti italiani, se cosí li volete chiamare, noi li abbiamo trascinati nella nostra scia, alla nostra retroguardia, sta l'altro che non si sono opposti a noi come frazione, e non hanno punto cercato di realizzare la socialdemocrazia, mentre avevano il favore, in un certo momento, della borghesia e dei ministri del re, pronti già a divenire ministri... della repubblica.
Questo volevamo dire. Noi massimalisti, maggioranza del Partito di fatto, storicamente parlando, non abbiamo trovato un'opposizione di una frazione riformista che ci dicesse: « no, voi dovete fare in quest'altro modo, perché questa è la tattica del Partito che noi difendiamo ». Abbiamo invece trovato degli uomini, che stando per temperamento, per abito mentale o professionale, alla destra del nostro Partito, solamente adesso si sono costituiti in frazione concentrista, perché li hanno spinti a costituirla, con la loro opposizione, proprio gli estremisti di sinistra. I nostri destri hanno creato questa frazione artificiosa e artifi• ciale, hanno creato una frazione che s'aduna per dire che non esiste come frazione. Perché ieri Graziadei — scusa se ti cito cosí frequentemente, ma ciò avviene honoris causa — ieri Graziadei diceva, a proposito di Frossard: « quelle che contano sono le mozioni, non i discorsi ». E se fosse vero questo, se contasse soltanto la mozione di Reggio, se contasse la relazione di questa frazione non siamo piú di fronte ad un riformismo né ad un collaborazionismo, ma a della gente che ha corretto i suoi errori passati, ed è venuta dietro di noi.
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Di fronte a questo atteggiamento, concludiamo: non possiamo espellere una frazione intera, in quanta frazione; possiamo prendere provvedimenti individuali, in quanto possono esistere persone che, perché alla destra, individualmente contravvengono alla disciplina del Partito. E queste persone noi le abbiamo diagnostizzate altrettanto crudamente, se non piú di quanto hanno fatto i compagni della frazione comunista.
Si tratta in parte di uomini che hanno compiuto un'evoluzione, soprattutto intellettuale, e che si sono formata la loro mentalità soprattutto attraverso la vita del Partito nei tempi passati, prima della guerra, (panda cioè il Partito era in condizioni assai diverse da ora, appunto perché non c'era quella condizione rivoluzionaria che, voi tutti lo ammettete, la guerra stessa ha provocato in tutti i paesi; si sono formati una mentalità piccolo-borghese, una mentalità dunque riformi-stoide, non precisamente riformista come programma, ma con un atteggiamento riformista, con una spirito di riformista.
Il loro riformismo consiste principalmente in questo: nel collocare la meta piú in qua della rivoluzione, senza negare la rivoluzione. Guardano l'immediato presente, o vivono nella sfera del parlamentarismo e del possibilismo contingente, senza escludere che domani si possa, si debba, si voglia fare la rivoluzione.
Noi respingiamo questa mentalità che è alla destra, ma anche alla sinistra del Partita, e crediamo che sia incompatibile ormai col Partito socialista, per una semplice ragione: che non appena voi in un'azione qualunque ponete come meta qualche cosa al di qua della rivoluzione, fate del riformismo anche se quest'azione fosse violenta. Perché la differenza fra il metodo rivoluzionario e quello riformista non è nella pe-culiarietá di un certo atto: rivoluzionario sarebbe anche il mio atto di prendere questa bottiglia se questa bottiglia fosse <c tabú », se ci fosse una legge borghese che m'impedisse di prenderla; rivoluzionario è anche un atto sindacale, anche la conquista di un piccolo beneficio operaio, non appena gli diamo l'indirizzo che trascenda verso il fine rivoluzionario, viceversa riformista pub essere anche prendere di mira un ufficiale e colpire le guardie, cari compagni !
Cari compagni, molti di quelli che hanno votato per i comunisti, per quelli della frazione comunista, sono dei compagni che credono proprio a questo: che la rivoluzione consista nella rivolta domani mattina.
Voci: Non è vero ! (Rumori prolungati).
BARATONO: E tutti noi li conosciamo. Noi viviamo nel Partito, non ci bendiamo gli occhi, sappiamo vedere le cose.
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Ci sono infinite sfumature, convenitene, anche nella frazione comunista; anche là c'è una destra e una sinistra; anche lá c'è la parte born-bacciana e la parte bordighiana; non mi pare che ci sia una grande omogeneità, una perfetta unità tra queste parti...
BORDIGA: C'è, c'è
BARATONO: Tanto meglio !
Dico dunque, che noi, che viviamo nelle Sezioni, sappiamo che molti compagni, che hanno mandato qui dei rappresentanti aderenti alla frazione comunista, sono rivoluzionari perché credono ad una forma di rivoluzione che non è che l'insurrezione fine a se medesima, alla rivolta, e mentre credono che ogni riforma sia del riformismo, il loro non è che un riformismo all'inverso, già che l'episodio insurrezionale preso in sé anche come pura e semplice conquista del Governo, vale per la rivoluzione come una riforma qualsiasi, un episodio, mentre rivoluzione vuol dire quella che ricostruisce la società tutta quanta.
Quindi, dicevo, la discordia tra noi e molti elementi dell'ala destra è in questa concezione del fine, é in questa volontà del fine che diamo alla nostra azione, non nella specificità dell'azione.
E se i compagni di destra invocano Carlo Marx, come lo invocano quelli di sinistra, egli da quel ritratto laggiú sorride tranquillamente della loro opinione. Carlo Marx, come qualunque autore di genio, può avere delle interpretazioni diverse.
L'interpretazione che danno i nostri compagni intellettuali dell'ala destra è un'interpretazione, che direi oggettiva: è l'interpretazione fatalistica, il concetto che Marx abbia stabilito che dal seno stesso dell'evoluzione borghese si sviluppi, ad un certo momenta, l'opposizione del le classi sfruttate, la quale porti automaticamente, con la latta di classe, alla rivoluzione ed alla dittatura del proletariato, ed ammettano che questo fatto debba avvenire da sé quasi che la nostra volontà non ci dovesse entrare per nulla, quasi che noi fossimo trasportati da questo fiume, per cui non ci fosse altro che da aspettare che la corrente passi e raggiunga il suo termine.
Questa concezione oggettiva li porta di conseguenza a curare ciò che è la vita quotidiana, contingente, a cercare la piccola lotta, la piccola riforma, abbandonando al fato il fine ultimo da raggiungere.
Per me la loro concezione è profondamente errata. Altrettanto come questa concezione oggettivistica di Carlo Marx, che non fu mai materialistica in tale senso, dell'assoluto oggettivismo, altrettanto errata è, però, la concezione opposta di un soggettivismo, di un volontarismo marxista che fiorisce oggi, ma è vecchia, e di cui già nel sindacalismo
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soreliano abbiamo gli elementi; questo volontarismo per cui per il cosiddetto rovesciamento della prassi, è la volontà nostra, anzi di una élite, di una piccola minoranza quella che può decidere o no delle sorti della storia e della rivoluzione.
Anche tale concezione è lontanissima, a mio credere, dal pensiero di Carlo Marx, il quale non si adagia né in quella oggettività né in questa soggettività, assolutamente, ma, appunto, pone il divenire storico nella opposizione dell'una con l'altra. Sopra la constatazione della realtà storica nella quale bisogna vivere, alla quale bisogna adattare l'azione giorno per giorno, sorge l'opposizione dalla nostra volontà, dalla nostra finalità trascendentale. La rivoluzione è l'antitesi dell'idea soggettiva a questa realtà oggettiva, a questo terreno storico sul quale noi ci muoviamo. In questa opposizione, assoluta dunque e intransigente, piuttosto kantiana che hegeliana...
Una voce: Crociana !
BARATONo: ...niente affatto crociana, perché non nel soggetto stesso, ma fra soggetto e oggetto, tra volontà morale e possibilità materiale, sta, secondo il Marx, tutto il segreto della prassi rivoluzionaria che realizza la storia, sí, evolutamente, ma a condizione appunto che il fine dell'azione sia rivoluzionario. Si trasforma l'oggetto perché il soggetto vi reagisce secondo un fine che lo trascende: altrimenti ci si adatta, non si è piú causa ma effetto, non si è piú l'avvenire ma il passato. Questo sia detto ai destri. E ai sinistri sia ricordato, viceversa, che la volontà ideale, se si vuol realizzare, deve agire sulla realtà esistente e cimentarsi con la resistenza di questa, commisurando il mezzo al fine, che altrimenti agisce nel vuoto ossia precipita. Tale dunque è la prassi rovesciata di Carlo Marx.
Noi frazione unitaria siamo perfettamente sul terreno marxista, perché non vogliamo chiudere gli occhi alla realtà per fare un salto nel buio, mentre cerchiamo di attuare la rivoluzione coi mezzi che ci son dati, con tutti i mezzi, come aveva già detto Marx, che ci sono dati.
Non crediamo — magari fosse, chi non lo desidererebbe? — non crediamo che basti un manipolo audace, intelligente, ardente, a fermentare le masse solo per il suo grande valore idealistico. Questa è una religione, o qualche cosa che può avvenire solo nei primordi di un movimento ideale, una lenta preparazione per il domani; ma se voi convenite che la rivoluzione è un fatto che matura, se voi convenite che le condizioni reali della rivoluzione ci sono, se voi convenite che domani noi possiamo attuarla e, una volta al potere, dobbiamo sostituire a tutta una società formidabilmente organizzata un'altra società, che dobbiamo
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ricostruire tutto un ordine nuovo, se ammettete questo, dovete ammettere con noi che dobbiamo andare alla rivoluzione non impoverendoci, ma armandoci di tutti i mezzi a nostra disposizione (applausi vivissimi). Noi dobbiamo andare alla rivoluzione non abbandonando quel potere reale, effettivo che abbiamo conquistato fino ad oggi, non abbandonando i fortilizi della nostra battaglia, non abbandonando le nostre organizzazioni, i nostri Comuni, la nostra posizione in Parlamento, la autorità che abbiamo da per tutto, non abbandonando quello che è già patrimonio del piú grande, del piú rispettato Partita che esista in Italia — e la presenza di questi giornalisti vi dice che il nostro Partita è il piú rispettato di tutti, anche quando ci insultano, anche quando ci dileggiano. (Applausi vivissimi).
Anche quando ci criticano, anche quando cercano di farci la spia e di mandarci in galera, essi con questo solo preoccuparsi di noi in pagine intere, ogni giorno, dei loro giornali, dimostrano che il nostro Partita è il piú formidabile Partito italiano ! E perché voi volete scinderlo, diminuirlo, impoverirlo? (Applausi vivissimi).
E ritorno ai nostri destri, per concludere su questo punto, senza equivocazione.
Dicevo: esistono dei riformisti di destra che sono tali per mentalità acquisita, ed essi ormai appartengono alla famiglia borghese. I loro argomenti sono delle volte stampati sulle cantonate, nei manifesti, come ragioni contro di noi, e questa ci fa ancora onore: vuol dire che la borghesia ha bisogno di scegliere tra noi gli uomini che ci possano combattere. (Bravo ! Applausi).
Tuttavia, compagni, il passo da Bologna a Livorno deve essere propria questo; rivedere la formula « libertà di scuola nella disciplina dell'azione ».
Ieri Graziadei ricordava che egli si è giovato in altri tempi di questa principio: « libertà di pensiero, disciplina d'azione » perché le differenze erano minori. È il contrario, mi pare. Allora le differenze erano molto maggiori, allora veramente c'erano una destra ed una sinistra opposte nel Partito socialista. Ma egli ha ugualmente ragione di concludere, che oggi questa formula é assurda, perché allora non era esiziale, per il Partita, che esistessero degli uomini che parlassero in senso opposto alla volontà dello stesso Partito, ma oggi, se è vero che si sia alla vigilia di questa benedetta rivoluzione, è impossibile ammettere ciò ! (Bene !).
È impossibile, caro Turati — uomo che tutti quelli che hanno vissuto a lungo nel Partito venerano, perché da lui molto hanno impara-
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to — è impossibile, caro Turati, è impossibile, caro Treves, che il giorno in cui il Partito socialista decide un'azione, che ormai, badate, ha sempre carattere rivoluzionario, anche se si tratta di un'interpellanza al Parlamento — decide, per esempio, di non permettere l'aumento del prezzo del pane per i poveri — voi veniate fuori a criticare quest'azione ! È assolutamente inammissibile questo ! Abbiate o non abbiate ragione, nello stretto campo scientifico in cui vi mettete a discutere — perché se voi parlaste di economia politica in astratto può essere vero che sia un vano lavoro quello di cercare di diminuire il prezzo del pane, ma noi facciamo la vita politica, dove c'è una ragione politica al di fuori della scienza... (applausi) — non è ammissibile che in quel momento voi veniate fuori con una critica a questa nostra azione parlamentare.
Non è possibile, caro Turati, il giorno in cui noi tutti riconosciamo che l'orientamento di tutti i Partiti del mondo deve essere verso l'Internazionale, perché essa deciderà delle sorti di tutto il mondo, perché se abbandonassimo l'Internazionale, se dovesse cadere l'Internazionale in Russia, sarebbe finito per ora tutto il nostro movimento socialista... (Applausi vivissimi).
Voci: Siamo d'accordo !
BARATONO: E quello che dimostro !... non è ammissibile che tu venga fuori con una prefazione che mette in valore un libercolo... (applausi), perché quello che dice il libro non ha importanza come fatto e io posso dipingere lo stesso quadro che si fa delle condizioni della Russia, se vi descrivo molti paesi della nostra Sicilia dove trovo la stessa miseria e la stessa incapacità ad organizzarsi, mentre questa miseria e questa disorganizzazione che è oggi in Russia c'era anche prima, al tempo dello czarismo, e la rivoluzione non poteva modificare in un giorno. Ma a quei fatti dà valore la tua interpretazione di socialista, e quindi è assurdo che tu possa in nome della libertà di pensiero svalutare tutta quanta l'opera rivoluzionaria nel giorno che il Partito la prende ad esempio, sia pur leggendario e simbolico, della propria azione.
Voi avete inventato, compagni concentristi, una libertà che è un astratto.
Che cosa è libertà? È come la democrazia. La stessissima questione. Come la questione del diritto individuale. Ma la libertà ha un limite, è relativa. Questa libertà ha un limite in un diritto, in una libertà superiore a quella dell'individuo, il diritto, la libertà del Partito, della classe dei lavoratori, del proletariato. E voi non potete in nome della
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libertà individuale contraddire ai diritti del proletariato ! (Applausi vivissimi).
È per questa ragione che noi non possiamo piú consentire, da oggi in poi, che sia ammissibile nello stesso Partito, alla vigilia della battaglia, un contrasto di questo genere, continuo, a fare a chi piú disfa ciò che gli altri hanno fatto.
Lo abbiamo sempre detto, anche in Direzione. Noi scontiamo, caro Gennari, la debolezza della nostra Direzione passata. (Applausi vivissimi). Se noi avessimo inflessibilmente, tutte le volte, colpito gli atti indisciplinati, inclusevi le manifestazioni di pensiero che sono poi anche esse azioni vere e proprie, se avessimo colpito senza guardare all'elevatezza delle persone, noi a quest'ora non ci troveremmo a questo sbaraglio, a dividere il nostro Partito per alcuni atteggiamenti personali che fornirono le armi alla borghesia contro di noi. (Benissimo).
Ma oltre questi compagni, che sono alla destra perché sono ormai in una sfera di pensiero democratico, in una mentalità borghese, per quanta orientata e simpatizzante verso il socialismo, ed ai quali, quindi, porremo quella famosa domanda: accettate o non accettate d'ora in poi questo che è il nuovo organamento, queste che sono le nuove deliberazioni del Partito socialista italiano, e se non accettate fateci il piacere di lasciarci liberi... (Applausi).
Voci: Siamo d'accordo.
BARATONO: Malti dicono: siamo d'accordo ! Non è vero che siamo d'accordo, perché vi è tutta una frazione che esige siano cacciati Tizio, Caio, Sempronio, facendo i precisi nomi delle persone !...
Voci: No, no !
BARATONO: C'è una frazione che dice: tutti quelli che hanno aderito a Reggio Emilia, solo perché vi hanno aderito debbono andarsene; e qui è la discordia ! Noi siamo d'accordo con Mosca, perché appunto Mosca questo non ha imposto !
Dicevo, oltre queste individualità che hanno ormai una mentalità che rimane arretrata di fronte al movimento rivoluzionario, ci sono altri destri nel nostro Partito che sono a quel posto soprattutto perché sono degli organizzatori.
Voci: Sono i piú pericolosi !
BARATONO: Essi sono alla destra del Partito — come colui che io cito sempre, il nostro compagno Graziadei, ha dimostrato — sono alla destra del Partita, perché sono cosí abituati per le necessità sindacali, poiché gli stessi operai piú rivoluzionari, piú scapigliati sono quelli che li spingono sopra i gradini delle Prefetture e dei Ministeri. (Applausi.
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Vivissime approvazioni). E purtroppo il nostro movimento sindacale è impregnato di questo utilitarismo dovuto alla stessa volontà degli organizzati, ed essi si conformano a questa volontà degli operai.
Ed allora appunto bisogna distinguere e cercare di comprendere e di penetrare la situazione. Noi domandiamo una cosa molto semplice nei loro rapporti: regoliamo il rapporto tra Partito politico e organizzazione del lavoro in tal modo che d'ora in poi l'Organizzazione del lavoro sia subordinata, sia dipendente dal Partito socialista. (Benissimo I). Impadroniamoci dell'Organizzazione del lavoro, obblighiamo tutti gli organizzatori ad essere tesserati, e quindi ad essere disciplinati alle direttive del nostro Partito; cerchiamo nel modo che voi meglio crederete, nel modo che potremo stabilire d'accordo, di fissare fortemente questa unità politico-sindacale. Tutti sentiamo, tutti lo abbiamo detto, che il patto di alleanza ormai è incapace di sostenersi, davanti ai tempi; sebbene esso segni un progresso assai grande di fronte a ciò che esiste in Francia, dove c'è l'indipendenza dell'organizzazione economica da quella politica. Esso è ancora però qualche cosa che può sfuggire facilmente ai doveri politici e rivoluzionari; garantiamo questo patto di alleanza, cerchiamo insieme il modo di rendere piú forte, piú tenace questa unione, facciamo una cosa sola del Partito e della Organizzazione.
Ah, sí; apriamo le porte, allarghiamo le mura delle nostre Sezioni e il Partito socialista meglio si unifichi con la massa lavoratrice: questo sí, questo corrisponde alle condizioni d'Italia, dove le nostre Sezioni, in generale, non sono e non possono essere quel manipolo di scelti, di esaminati che vi entrino con una chiara coscienza politica, perché nelle nostre Sezioni entrano tutti quelli che domandano di entrare; dove spesso ci si esaurisce nel pettegolezzo, nelle beghe interne, mentre di fuori la massa aspetta la nostra parola come la parola di un redentore; allarghiamo pure le nostre Sezioni, fondiamo di piú il Partito con l'Organizzazione; non facciamo l'opera contraria, non dividiamo invece il Partito socialista, restringendolo, dall'Organizzazione del lavoro, non perdiamo questo enorme vantaggio, che già abbiamo sugli altri paesi, di tener subordinata a noi l'Organizzazione del lavoro. Questa è la visione unitaria. Noi non siamo contrari a nessuna modificazione che renda piú ferreo il nostro Partita, piú disciplinata la nostra azione; siamo contrari soltanto a tutto ciò che rompe la compagine, la organicità multipla del nostro Partita. Esso oggi é fondato sulla Organizzazione del lavoro. La nostra forza è là; ed è per deprecare il pericolo che questa forza vada perduta, che noi unitari non possiamo acconsentire
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a provocare l'esodo delle organizzazioni dietro i loro organizzatori, cacciandoli, sol perché tali, dal Partito. Il giorno in cui Partito e Organizzazione fossero staccati l'uno dall'altra, vi accorgereste a che si ridurrebbe la forza del solo Partito politico nel nostro paese: appunto perché il Partita politico non è moralmente superiore, né ha condizioni di dottrina, di spirito, di preparazione di nessun genere, superiori alla preparazione, allo spirito delle masse che stanno intorno a noi.
Resta adunque chiaro, o compagni, e questo volevo dimostrare, che non c'è nessun dissenso profondo, razionale, che non c'è nessuna causa essenziale che divida in questo momento il Partito comunista, il Partito massimalista, la grande maggioranza attuale del Partita socialista italiano; che queste differenze si sono volute creare su critiche fatte di certi momenti storici artificialmente interpretati.
E del resto anche se fossero vere queste critiche, anche se fosse vero tutto quello che voi avete detto del passato del nostro Partito, non è dimostrato ancora che il Partito nostro debba scindersi, non in due, di- videndoci dai riformisti, ma anche in tre, dividendoci anche dai comunisti. Non è dimostrata in nessun modo questa necessità, perché non avete potuto e non potete dimostrare, che noi della tendenza unitaria siamo dei socialdemocratici, dei riformisti o degli indipendenti alla tedesca.
Noi abbiamo voluto tutto quello che avete voluto voi, noi abbiamo fatto tutto quello che avete fatto voi, perché siamo sempre stati insieme, abbiamo lavorato concordi fino ad oggi nel Partito. Ci differen• ziamo solo in questo: che noi non vogliamo perdere quell'organamento qual'è oggi costituito dal Partito socialista.
Comprendo che ci siano forse altre ragioni che ci dividono, o meglio che distinguono alcuni che capeggiano il movimento della frazione comunista da noi unitari. Può darsi che se noi andiamo ad esaminare minutamente gli scritti di alcuni nostri compagni, troviamo altre differenze, forse piú profonde. Può darsi che ci sia una diversa valutazione, non tanto della storia del nostro Partito, quanto degli ideali del nostro Partito. Può darsi che noi a Bologna ci siamo ubriacati dicendo tutti le stesse parole — Internazionale, comunismo, rivoluzione — ma non ci siamo compresi. Può darsi che qui stia la differenza, e che sia necessaria una chiarificazione sui fini rivoluzionari, sul contenuto rivoluzionario della nostra azione.
In tal caso facciamo anche questa chiarificazione.
La Terza Internazionale ci indica esplicitamente come metodo rivoluzionario, la necessità di adoperare due grandi leve che debbono ri-
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muovere il macignó borghese: « la dittatura del proletariato, e l'uso della violenza ». Ebbene, può darsi che qui sia il dissenso, perché se qui non ci fosse, non ci sarebbe alcun dissenso.
Può darsi, ed è il fatto, che alcuni interpretino la dittatura del proletariato e l'uso della violenza in modo diverso dalla maggioranza della tendenza unitaria. Questa interpretazione sarebbe quella, lo spiego subito, che intende obbligare l'Italia, il giorno della rivoluzione, ad adoperare questi metodi, che sono generali per tutte le rivoluzioni, nello stesso identico modo con cui sono stati adoperati dai compagni russi, e da formare quindi in Italia, prima un Partito politico rivoluzionario di congiura contro il Governo borghese, al solo ed unico scopo della presa di possesso violenta e armata del Governo, e poi un'instaurazione del Governo socialista sul figurino preciso ed esatto di ciò che è avvenuto in Russia.
I russi dicono — badate, ce lo ha dichiarato Graziadei — che essi non impongono nulla di tutto ciò, che non intendono dettare le leggi precise circa la tattica, le circostanze, l'adattamento di quelli che sono i principi generali della rivoluzione per tutti i paesi del mondo. Non intendono di forzarci la mano, di darci il figurino del nostro Governo, della nostra azione specifica di un certo momento.
Per noi comunisti, per noi che discendiamo dal « Manifesto » di Carlo Marx e di Federico Engels, la dittatura del proletariato è semplicemente una concezione rivoluzionaria che si oppone alla concezione democratica. A una democrazia puramente teorica, e perciò vuota, che praticamente quindi non si è mai effettuata, si contrappone la nostra dittatura. Non c'è opposizione di diritto tra dittatura del proletariato e democrazia. C'è una contrapposizione di fatto, cioè storica, in quanto la democrazia ha mentito completamente ai suoi scopi, ha tradito sè stessa. I Governi chiamati democratici, che debbono quindi rispettare ugualmente i diritti di tutti i cittadini e di tutti gli individui, non l'hanno fatto. Hanno instaurato una dittatura di classe, di classe sfruttatrice, minoranza contro la maggioranza sfruttata, operaia, proletaria; quindi Marx ha detto: a questa menzognera democrazia noi opponiamo chiaramente, realmente, una dittatura. Con questa differenza: che noi saremo dittatori a nome di tutti coloro che lavorano, ossia a nome di tutti coloro che hanno un fondamentale diritto di essere cittadini della nuova civiltà; e riconoscendo che soltanto nel lavoro c'è l'elemento costruttivo della società, perché una società si fonda sopra il lavoro; riconoscendo che quelle classi che vivono e in quanta vivono dello sfruttamento del lavoro e non della produzione diretta, sono classi che non hanno
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dunque diritto ad essere rappresentate nella regolazione, nel Governo di questa società. Noi, socialisti, instauriamo la dittatura del proletariato perché solo in questo modo elimineremo completamente lo sfruttamento. Eliminata come classe dominante la classe degli sfruttatori, non é piú possibile ammettere che al Governo, cioè alla regolazione della società, siano chiamate persone le quali non lavorino, e quindi di diritto non appartengano a questa società. Questo è il concetto della dittatura del proletariato, la quale ad un certo punto col suo svolgimento, ossia non appena si sia annullato il capitalismo, non vi sia piú classe sfruttatrice né possibilità di sfruttare, in quel giorno stesso verrà a coincidere con la piú perfetta democrazia, con quella democrazia che ci doveva essere e non ci fu.
Adunque non possiamo tornare indietro oltre i principi della rivoluzione francese, non possiamo tornare al concetto dispotico del media evo. Questa è la concezione marxista.
GENNARI: La nostra.
BARATONO: Vuol dire che cade un altro di quei muri artificiali messi fra noi e voi, e ne sono felicissimo. (Applausi).
Ma non è questa la concezione di alcuni che invece dicono: noi vogliamo intanto preparare con i nuovi metodi di Partito politico, e poi coi nuovi metodi di Governo e di dittatura del proletariato, una società socialistica cosí intesa: che ci dia una minoranza, prima Partito politico verso il proletariato lavoratore, poi Partito di Governo verso le organizzazioni in generale del lavoro, ci sia una minoranza che s'imponga come dittatura sulla stessa maggioranza. È qui la quistione. La dittatura del proletariato diventa un dispotismo di élite di classe.
Non nego che questo possa essere un episodio necessario del momento rivoluzionario, non nego che il Partito politico abbia tutti i di. ritti, in un certo momento, di fronte alle masse, spesso retrograde, di imporsi assolutamente, non nego che nel Partito stesso una minoranza di questo Partito, ad un certo punto della vita politica si possa e si debba imporre agli altri. Se si fa in qualche posto, si fa benissimo. Nego che si possa assumere ciò come nostro programma; soprattutto nego, e insisto ancora sulle condizioni reali dell'Italia, e vi dico che se voi intendete accaparrarvi il diritto ad una dittatura proletaria in Italia nei senso di dare l'assoluto potere nelle mani di una piccola minoranza, non potreste mantenere questo potere in Italia come in Russia (applausi), appunto perché la psiche italiana è diversa da quella russa, perché noi non siamo orientali e questo consesso lo dimostra ampiamente.
Se in Italia ci fondiamo solamente sulla credenza che una minoran-
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za possa mantenere il potere, perché minoranza e quantunque minoranza, sulla maggioranza degli operai, corriamo dietro a una chimera. Ciò sarebbe fattibile solamente a condizione di fucilare continuamente la massa dei compagni ribelli, perché in Italia tutti siamo ribelli e ci ribelliamo anche al piú intelligente, al piú onorato, al piú vecchio, al piú austero che ci voglia dettar legge, di cui non siamo consensualmente persuasi.
L'Italia non è la Russia e non sperate di istituire un Partito di selezione, un Partito di congiure segrete, com'era il Partito dei rivoluzionari russi prima della rivoluzione, non sperate dopo di istituire un Governo sul tipo di quello che oggi esiste in Russia.
Analogamente circa la questione della violenza. Anche qui pub darsi che ci siano dei malintesi e degli equivoci. (Segni di vivissima attenzione).
Purtroppo nella mentalità di tanti nostri compagni, nelle nostre Sezioni, si chiamano rivoluzionari quelli che son pronti a menar le mani e si chiamano riformisti quelli che non hanno questa inclinazione. (Commenti animatissimi). E si confonde il problema della violenza con lo strumento della rivoluzione, che è tutt'altra cosa, compagni !
Purtroppo si è formata questa mentalità, che discende in parte dalla guerra, dalla teoria dell'assalto frontale alla Cadorna; la mentalità che per impossessarsi del Governo politico, quello che importa sia l'assalto frontale, sia l'assalto sulla piazza, sia il fatto della conflagrazione armata.
Purtroppo questo si crede, da molti. Se fosse cosí, noi dovremmo disperare immediatamente della rivoluzione, perché non avremmo mai un esercito sufficiente da contrapporre all'esercito della borghesia.
Voci: E allora?
BARATONO: Perché non avremmo mai armi sufficienti; per quanto la nostra preparazione segreta fosse rafforzata e intensificata, non avremmo mai armi sufficienti, che come forza bruta, che come violenza si possa contrapporre alla forza bruta, alla violenza legalizzata.
Purtroppo il solo fatto che noi siamo fuori della legge, e che la violenza che ci si contrappone, fosse anche minore, è protetta dalla legge, questo solo fatto ci mette in un'inferiorità schiacciante. Guardate il fenomeno del fascismo, che non dipende dal fatto che gli altri abbiano piú valore, piú coraggio dei nostri compagni, ma dal fatto che si sa che sparando sono poi assolti, mentre la nostra condizione è ben diversa, perché se si porta una rivoltella siamo messi in prigione. (Applausi vivissimi).
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rift—
Ed allora, compagni, l'uso della violenza ha questo senso, nel « Manifesto dei comunisti »: la violenza si contrappone alla collaborazione dei riformisti, come la dittatura alla democrazia. Solo la violenza ci può portare alla presa di possesso del potere politico, perché non ci si possano fare illusioni che venga mai un istante, caro Modigliani, in cui la borghesia ci dica: « vi lasciamo il posto, venite voi, ché non siamo piú degni di starvi »; ma deve venire il momento del conflitto.
Questa è la necessità della violenza. Ma questa violenza ha valore solo in quanto è a servizio di un'idea, in modo tale, che la forza della idea compensi la debolezza della nostra forza materiale. Vince, la vio- lenza, dove la ragione ha già vinto. Vince, credetelo pure, solo in quanto è tal forza morale che convinca anche i soldati e li faccia passare dalla nostra parte. (Applausi vivissimi).
Solo in questo. E badate, non confondete questo concetto con quello esposto, per esempio, nell'ordine del giorno di Reggio Emilia, che dice: « noi ammettiamo l'uso della violenza nel momento ultimo ». Ma quando sarà il momento ultimo? (Interruzioni. Commenti). Lo sapremo soltanto dopo ! Non ci copriamo dietro questo velo ipocrita di attesa di un ultimo momento, perché l'ultimo apparirà ultimo a cose fatte ! Sappiamo che anche il sacrificio è necessario, che anche il sangue è necessario: esso segna pur troppo le tappe del cammino del proletariato. Affermiamo però questo: la nostra violenza sia strumento di un'idea, sia strumento di preparazione morale. Non crediamo che soltanto la preparazione materiale, che soltanto l'esacerbazione dell'odio, dell'istinto di massa basti a formare un esercito rivoluzionario; si può formare un esercito insurrezionale, ma non un esercito rivoluzionario.
Ed anche qui noi siamo per rincorrere i migliori mezzi, tutti i mezzi della preparazione; non ne escludiamo alcuno nel nostro ordine del giorno di Firenze. Si intensifichi il lavoro di preparazione legale ed anche extra legale: non siamo contrari ad ogni integramento di una tale preparazione, non siamo esclusivisti, ma non si voglia confondere soprattutto la tattica socialista, comunista, con la tattica anarchica. (Applausi vivissimi).
Io concludo, compagni; non abuserò molto della vostra pazienza, della vostra disciplinata pazienza.
Ormai a Bologna non ci si può piú restare, bisogna superare le posizioni di Bologna, soprattutto bisogna superare il compromesso che si fece a Bologna in omaggio specialmente alla figura di Costantino Laz-zari. Bisogna fare un passo avanti; siamo tutti d'accordo, tutti lo vogliamo. Questo passo coincide perfettamente con l'ordine che ci viene da
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Mosca. Poiché da Mosca viene un ordine a tutti i paesi di separare il Partito comunista dagli elementi riformisti e dai gruppi riformisti, noi desideriamo la stessa cosa. (Benissimo).
Non accettiamo piú che nello stesso Partito possano coesistere le cosiddette scuole diverse, che poi si riducono ad attività diverse di ordine anche soprattutto intellettuale, di propositi diversi nello stesso Partita.
Lasciamo quindi volentieri che gli elementi che ormai non si sentono piú omogenei coi nostri principi e con la nostra tattica ci abbandonino. Lasciamo che essi lo facciano spontaneamente, pronti, il giorno che rimanendo nel Partito volessero ricadere nelle identiche pecche, pronti a bollarli a fuoco ed a respingerli immediatamente ! (Applausi).
A questi compagni dell'ala destra noi sottoporremo a firmare il ventunesimo punto delle condizioni di Mosca. Ci rifiutiamo soltanto a cacciare via dal Partito Tizio, Caio e Sempronio sul processo fatto al passato o sul processo fatto alle intenzioni, perché nelle intenzioni nemmeno i preti ci possono entrare. Domandiamo la loro adesione, la disciplina che vuol dire adesione ai ventuno punti...
Voci: Aaah, aaah ! Non vogliamo equivoci ! (Commenti animatissimi).
BARATONO: Ma non cercate voi di equivocare ! Non giuochiamo a male intenderci, compagni ! Non è concepibile, e non è mai stata concepibile una disciplina nel Partito che non sia una disciplina morale perché, qual genere di disciplina potete istituire? Quella del carcere? Disciplina vuol dire consenso sempre, e cosí è sempre stato nel nostro Partito. Ditelo, quando ciò non è stato?
Voci: Dopo Bologna.
BARATONO: Non c'è mai stato, compagni, a parte gli atti di disonestà politica, che qui non sono in questione, perché ci possono essere dei disonesti anche nelle file del nostro Partito; non c'è mai stato tra noi patto politico interno del Partito che non abbia implicata l'adesione di tutto lo spirito, di tutta la volontà a quello che si pattuiva !
Vuol dire che fino ad oggi il patto era piú largo, era piú lento, era possibile fino ad oggi ed era ammessa la convivenza delle diverse dottrine; oggi non sarà piú ammessa. E quando si domanda ad uomini onesti, ad uomini che fino a ieri furono i campioni del nostro Partito...
Voci: I crumiri. (Rumori vivissimi).
BARATONO: ...che fino a ieri anche voi compagni comunisti avete delegato a rappresentare il Partito da per tutto, perché ieri il discorso di Turati in Parlamento, l'altro ieri quello di Modigliani rappresentavano sí o no tutto il Gruppo parlamentare?... (Interruzioni. Commenti
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animatissimi e prolungati). Tutto il Partito milanese chiama ogni volta Treves a rappresentarlo nei comizi; le bastonate le hanno prese tutti i deputati, senza diversità di tendenze, fino ad oggi ! (Rumori prolungati).
Presentando dunque una mozione che come la nostra accetta i ventuno punti di Mosca nella loro integrità, e domandando a tutte le frazioni se accettano o non accettano questa mozione, domandandolo a della gente onesta, perché se non fosse stata onesta era dovere di denunziarli prima e non di sospettare adesso, noi implichiamo che quelli che votano, vi mettano il loro pieno consenso e la loro volontà. Chi senza alcuna obbligazione esterna mette la firma ad una cambiale, vuol dire che vi consente.
Presentiamo questa cambiale a tutti i compagni, presentiamola a destra come anche a sinistra. (Bene l).
Chi la firmerà, chi consentirà, sarà con Mosca, sarà con l'Internazionale. Ci intendiamo ormai in questo: sarà con la rivoluzione. Sarà con la dittatura del proletariato, come ci siamo intesi. Sara con la preparazione piú intensa del Partita, sarà con la concentrazione piú stretta delle nostre forze, con la subordinazione piú stretta dell'Organizzazione sindacale verso il Partito. Sarà per tutte le riforme che volete, sarà per quella che è la via di domani, nella quale Livorno avrà oltrepassato Bologna.
Chi firma firmerà dando il suo consenso. Se mancherà, da destra come da sinistra, ci vorrà disciplina, inflessibile rigore.
Questa la posizione, come vedete, non tanto di una frazione quan•• to proprio del Partito, che io vi ho esposto con la massima sincerità e con la massima obbiettività.
Che cosa domandiamo noi, unitari? Non abbiamo mai detto che unità voglia dire, se oggi ci sono 250 mila persone nel Partita, mantenerle tutte e 250 mila. Il nostro Partito si è sempre andato epurando.
Se vorrete, cari compagni comunisti, istituire la revisione periodica delle Sezioni, oh, noi abbiamo tutto l'interesse a seguirvi, e la desideriamo anche noi. (Applausi). Lo desideriamo anche noi questo esame dell'anima comunista, di tutti gli inscritti, i frettolosamente inscritti del nostro Partito. Facciamola pure questa revisione. Noi non escludiamo né impediamo una continua epurazione. Unità non vuol dire questo. Unità vuol dire tenere ferma quella compagine, quel complesso meraviglioso organismo che è oggi il Partito socialista italiano Vuol dire distruggere in questo Partito soltanto le immagini vaghe della fantasia, non distruggere quella che oggi è una realtà.
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Titolo della pubblicazione Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia
Titoli e responsabilità
    XVII Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano. Livorno 15-20 gennaio 1921. con l'aggiunta dei documenti sulla fondazione del Partito Comunista d'Italia     17° Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano (Livorno 15-20 gennaio 1921)+++
  • 17° Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano (Livorno 15-20 gennaio 1921)
 
        Congresso fondativo del Partito Comunista d'Italia+++
  • Congresso fondativo del Partito Comunista d'Italia ; I Congresso del Partito Comunista d'Italia (Livorno, gennaio 1921)
 
Area dell'edizione
Numero dell'edizione 2 | Prima edizione: novembre 1962, Seconda edizione: febbraio 1963
Area della pubblicazione/stampa/distribuzione
Pubblicazione Milano+++ | via Sansovino 13 | Edizioni Avanti!+++ | Anno: 1963 Mese: 1 Giorno: 1 - Anno: 1963 Mese: 12 Giorno: 31
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