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tipologia: Analitici; Id: 1472497


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Tipologia Periodico
Titolo Tibor Mende, Note sull'Iran
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Mende, Tibor+++
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NOTE SULL'IRAN
Lo Scià dell'Iran dichiarava recentemente, a Londra, ad un gruppo di giornalisti, che una rivolta nel suo paese era assolutamente impossibile. Ma lo scetticismo generale che accolse questa affermazione mostrava chiaramente che la diagnosi degli osservatori professionali era diversa da quella del Capo del paese.
Vero é che a Teheran non si nota, oggi, atmosfera di crisi. Nonostante gli attacchi delle stazioni radio sovietiche contro i dirigenti iraniani, e nonostante le voci che corrono a proposito di una oscura macchinazione diretta a provocare un sollevamento dei Kur-di, si nota oggi, dopo i recenti accordi di mutua difesa conclusi con gli Stati Uniti, un superficiale sentimento di stabilità. Semplice « segno addizionale » dicono taluni osservatori non sprovvisti di cinismo degli affari medio-orientali. Non era una analoga fallace apparenza di stabilità che caratterizzava l'Irak fino a quel mattino in cui, nello spazio di un'ora, il vecchio regime venne spazzato via?
Quale che sia il valore di queste previsioni, l'Iran é certamente entrate) in una fase nuova della propria esistenza. È questo che mi fu dichiarato senza perifrasi da uno dei membri più influenti del Governo: « Durante diecine di anni, ci siamo sforzati di restare neutrali, e la sola cosa che ci abbiamo guadagnato é stato di essere divisi e occupati. Adesso, accetteremo i nostri rischi; e accetteremo le conseguenze del nostro desiderio di conservare la indipendenza ». È vero: una fase nuova, ma una fase che, per la sua stessa natura, non può essere che transitoria.
I cambiamenti fondamentali di equilibrio delle forze mondiali consentono alla Russia post-staliniana di puntare apertamente, intorno alle proprie frontiere, sulla creazione di stati-cuscinetto satelliti, o di stati neutrali che rifiutino di essere strumento degli interessi strategici occidentali. A questa politica si accompagna un pre-
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ciso sforzo per indebolire l'Occidente spogliandolo a poco a poco delle sue posizioni strategiche e dei suoi atouts economici. L'Iran ha scelto il deciso allineamento con l'Occidente nel momento stesso in cui quei due grandi obbiettivi sovietici lo rendevano particolarmente vulnerabile. Dopo i cambiamenti verificatisi nell'Irak, la defezione strategica dell'Iran darebbe un gravissimo colpo a tutto lo schieramento occidentale fra la Turchia e l'India. E la perdita dei petroli iraniani toglierebbe all'Occidente la fonte più a buon mercato, dopo quella di Kuwait, di questa fondamentale materia prima.
Durante più di un secolo, la sicurezza iraniana è stata fondata su una formula aritmetica semplice. La potenza occidentale (soprattutto britannica) di là dai mari, meno la distanza, più l'esercito anglo-indiano in prossimità, era uguale alla potenza russa alle frontiere. Questa formula aritmetica, tuttavia, ha cessato di essere esatta quando i primi sputnik hanno incominciato a girare intorno alla terra. La formula aritmetica che l'ha sostituita era meno rassicurante: la potenza occidentale (soprattutto americana) di là dagli oceani, meno la distanza, e meno l'esercito anglo-indiano, non era più uguale alla potenza russa più la propaganda comunista alla frontiera.'
L'effetto immediato di questo cambiamento è stata una fase di esitazione. Lo Scià è stato in Unione Sovietica, e ne è ritornato impressionato. Ancora al principio di quest'anno, egli sentiva fortemente la tentazione di addivenire ad un accordo col suo colossale vicino. Poi, tutt'a un tratto, è intervenuto un nuovo cambiamento. La potenza occidentale (cioè americana) di là dagli oceani, meno la distanza e meno l'esercito anglo-indiano, ma piú i missili americani nell'Iran o nei dintorni, è tornata ad essere uguale, per un certo tempo, alla potenza russa più la propaganda comunista alla frontiera.
Quest'ultima formula aritmetica, naturalmente, non può essere che provvisoria. I missili americani possono proteggere l'Iran contro il pericolo delle pressioni militari o della conquista. Ma gli avvenimenti dell'Irak hanno dimostrato che il patto di Bagdad
impotente davanti alle rivolte interne. Dunque, durante il tempo
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di validità provvisoria dell'ultima formula aritmetica, bisogna che dei cambiamenti politici immunizzino l'Iran contro la propria debolezza interna se si vuole che la garanzia materiale abbia un effetto duraturo.
Quali sono le possibilità che ciò si verifichi, nel limitato spazio di tempo del quale dispongono gli attuali dirigenti del paese?
Per gli occidentali nutriti di classici persiani, e che non vedono nell'Iran altro che una messa in scena di magnifiche moschee e di imponenti rovine archeologiche, Teheran rappresenta una prima scossa.
Si tratta forse della meno orientale delle città orientali. Un visitatore frettoloso che non ne veda che il centro, potrebbe immaginarsi che l'Iran ha veramente raggiunto quel livello di vita che le sue risorse di materie prime e il suo eccezionale reddito possono assicurargli. Le lussuose ville di Shemiran, nel quartiere residenziale a nord della capitale, non sfigurerebbero in nessuna capitale occidentale. I palazzi e i magnifici uffici delle compagnie aeree nei quali gli iraniani ricchi vanno a prenotare il loro prossimo viaggio a Cannes o ad Acapulco, sarebbero degni di fiancheggiare una qualsiasi magnifica strada occidentale. I grandi negozi illuminati aI neon nei quali sono esposti gli ultimi modelli di automobili, le vetrine piene di Parker 61, di registratori e di magnetofoni modernissimi, potrebbero soddisfare qualsiasi clientela abituata a un secolo di prosperità. I gioielli e i vestiti delle persone che si incontrano ai cocktails eleganti, le fontane dei bellissimi giardini delle case private, la cortesia degli iraniani usi a ricevere gli stranieri, nulla. tradiscono dei metodi coi quali queste ricchezze sono state accumulate. Basta per() avere a disposizione un po' più di tempo per trovare, nella stessa Teheran, un certo numero di segni rivelatori delle vere condizioni del paese.
Non occorre un grande sforzo per scoprire che una buona parte della popolazione della capitale é ancora costretta a bere l'acqua dei nauseabondi abbeveratoi che si trovano lungo le strade. Basta una piccola escursione in autobus, e ci si trova nella orrenda miseria dei sobborghi del sud. Un visitatore un po' più curioso può anche accorgersi che le statistiche ufficiali sulla popolazione
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di Teheran ne classificano un quarto come artigiani e operai, ed un altro quarto come commercianti, funzionari, o dediti a professioni liberali. L'altra metà della popolazione si trova riunita in una rubrica di « senza professione », il che significa che fa parte di una di queste quattro categorie; proprietari non imprenditori, disoccupati parziali, accattoni, ladri.
Nonostante che quest'ultimo mestiere non sia ufficialmente riconosciuto, la presenza dei suoi molti rappresentanti é di una penosa evidenza per tutti gli abitanti della città. I giornali locali dedicano intere colonne alle loro prodezze, e danno prova financo di una specie di affettuosa comprensione nell'analizzarne i moventi. Oltre ai borsaioli, agli scippatori, ai taccheggiatori, un gran numero dei ladri di Teheran sembrano concentrati sugli accessori delle automobili. Uno straniero ingenuo potrebbe stupirsi nel vedere che, quando parcano le loro automobili, gli abitanti di Teheran ne tolgono i tergicristalli. Se non fanno altrettanto con le ruote e coi fari, é soltanto per le loro dimensioni o per il loro peso. Fatto sta che poche automobili ostentano i loro accessori perché questi sono stati rubati da tempo. È evidente che, non per puro caso, nei nauseanti labirinti del Bazar della città, i venditori di catenacci e di serrature rappresentano una categoria commerciale cospicua.
Gli uomini che dovrebbero far rispettare la legge sono degli agenti di polizia dalle splendide uniformi. Con le loro divise azzurro chiaro, coi loro calzoni gialli, coi berretti dallo scintillante stemma metallico, essi sembrano degli ammiragli per un melodramma italiano. Sarebbe però imprudente aspettarsi troppo da loro. Essi guadagnano circa 18 mila franchi al mese, e chiunque vi dirà che non si può nutrire una famiglia senza una cifra almeno doppia. Per risolvere il problema, molti commercianti mi hanno detto che essi colmano « spontaneamente » la differenza. Il loro contributo oscilla fra i cinquanta e i cento franchi al giorno. Per quanto mo- desto, questo contributo li mette al coperto da una applicazione troppo rigorosa della legge.
Quanto al resto del paese, che é grande circa tre volte la Francia, esso é in ritardo di un secolo o più rispetto alla capitale. Spesso é difficile distinguere il tracciato delle strade dal terreno in cui si
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svolgono, e buona parte dei 40 mila villaggi dell'Iran sono praticamente isolati dal mondo. I loro pochi contatti col mondo sono rappresentati dagli intendenti dei proprietari, dall'esattore delle imposte e dai gendarmi. Il contadino persiano ha una espressione comune per indicarli tutti: li chiama « i crudeli ». Su questa specie di non santissima trinità riposa quello che é probabilmente uno dei sistemi agrari più iniqui dell'Asia.
Nonostante la sua estensione, soltanto un terzo del territorio dell'Iran è utile ai suoi abitanti. Una metà circa della terra utilizzabile é tenuta a pastura e fa vivere circa cinque milioni di nomadi, ossia un quarto della popolazione del paese. L'altra meta, che costituisce forse il quindici per cento della superficie totale, è formata di terreno coltivabile. Una parte modestissma di questa é coltivata da piccoli proprietari. Una parte assai maggiore appartiene alla famiglia reale, allo Stato o agli enti religiosi. La rimanente parte, più precisamente il 56% della terra coltivabile é concentrata nelle mani di meno dell'uno per cento dei proprietari. Queste poche centinaia di famiglie feudali ricevono dai loro contadini i due terzi o i quattro quinti del raccolto, e pagano la mano d'opera da 150 a 200 franchi al giorno.
Nonostante che l'agricoltura rappresenti la metà del reddito nazionale iraniano, le imposte fondiarie non rappresentano che il 4% del bilancio del paese. Non vi é dubbio che la differenza serve a pagare le lussuose ville e le lussuose automobili che lo straniero ammira a Teheran, oppure i viaggi all'estero, oppure ancora serve a impinguare i conti che i ricchi iraniani tengono nelle banche straniere.
Su questo sfondo di miseria totale, prossima alla carestia, l'idea della riforma agraria riappare di tanto in tanto. I consiglieri stranieri, compresi gli americani, sono tutti concordi nel considerarla urgente ed essenziale. Tuttavia, l'idea non va mai oltre la fase della discussione accademica. Vi sono dei progetti, si pubblicano degli articoli nei giornali; corrono voci su enormi profitti realizzati dalla speculazione immobiliare; ma atti, nulla. Di tanto in tanto si torna ad annunciare che la parcellazione delle terre dello Stato sta per incominciare. Si pubblicano fotografie di cerimonie nel corso delle
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quali si vede lo Scià consegnare i titoli di proprietà a dei contadini che, a pagamento, entrano in possesso di vecchie terre della Corona. I membri del Governo parlano del gesto del loro sovrano con commovente entusiasmo. Ma queste cerimonie, che ormai si ripetono dal 1951, non hanno trasferito finora più di un terzo delle terre della Corona.
Se l'Iran ha ricevuto dal cielo una delle classi dirigenti più spietate e più intransigenti del mondo, ne ha ricevuto anche inesauribili ricchezze naturali sotto forma di una grossa porzione della più desiderata fra le materie prime.
Nell'aprile 1951, l'avvento alle funzioni di primo ministro di un membro del tutto eccezionale delle « mille famiglie » persiane, ha condotto alla nazionalizzazione dei campi petroliferi e della raffineria di Abadan; un complesso che, tenuto conto delle attività ausiliarie, impiegava duecento mila iraniani. Durante qualche tempo, i giovani iraniani furono pazzi di gioia. Avevano preso la Bastiglia della Anglo-Iranian Company. Poi vennero il boicottaggio straniero e le difficoltà. L'entusiasmo ebbe un riflusso. Il dr. Mossadeh venne messo in prigione e il generale Zaheti, nuovo primo ministro, si fece lo strumento della sanguinosa vendetta delle « mille famiglie ».
In mezzo alle torture, alle fucilazioni, alla delusione generale. nell'ottobre 1954 nacque un capolavoro diplomatico: l'accordo fra l'Iran e il « Consortium ». La nazionalizzazione non veniva revo- cata. Ma un « Consortium » che rappresentava numerose compagnie petrolifere internazionali, adesso in maggioranza americane e non più britanniche, si vedeva affidare l'amministrazione dei campi petroliferi e la raffineria per un periodo di almeno venticinque anni.
Il successo della nuova gestione é evidente. Dopo la nazionaliz- zazione la produzione era scesa da 32 milioni di tonnellate a 1 milione di tonnellate all'anno. Oggi, tutti i record di produzione sono stati battuti. Il record di 34 milioni di tonnellate raggiunto nel 1957 é stato superato nel 1958. E mentre Mossadeh, che si trova tuttora a domicilio coatto, ma che diventa rapidamente l'uomo più popolare del paese, assume l'importanza di un simbolo per i nazionalisti, gli italiani e gli americani preannunciano la scoperta di nuovi gia-
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cimenti e offrono agli iraniani una partecipazione del 75% in luogo della partecipazione al 50-50 convenuta col « Consortium ». L'Iran produce oggi ii 5% del petrolio mondiale, e i suoi costi sono i più bassi del mondo dopo quelli di Kuwait. Come é comprensibile, i1 « Consortium » ha progetti a lunga scadenza: nuove prospettive seno aperte sull'impero dell'Anglo-Iranian; si procede alla formazio- ne di nuovi tecnici iraniani; un porto con acque profonde é in corso di costruzione nel golfo di Abadan, in grado di accogliere le nuove super-petroliere.
Il mordente della xenofobia iraniana e la spinta delle più violente passioni politiche sono stati quasi neutralizzati. Gli stessi giovani scontenti riconoscono che l'Iran riceve una giusta partecipazione agli utili del suo petrolio, certamente la migliore che fosse possibile sperare dopo meno di dieci anni dalla imposizione delle draconiane condizioni della Anglo-Iranian. Nel 1957, il solo petrolio ha fruttato alla Persia l'equivalente di 90 miliardi di franchi, il che é bastato a coprire i tre quarti delle spese di bilancio dell'intero paese. Si tratta infatti di una cifra assai notevole, tale da aiutare qualsivoglia paese a superare le proprie difficoltà. Ma quale é l'uso che ne viene fatto?
E già da tanto tempo che l'Iran soffre di una corruzione generalizzata e un sistema di spreco quasi incredibile, che queste piaght tendono ad essere considerate come caratteristiche permanenti della vita pubblica. Superando queste scoraggianti costanti della vita quotidiana, i piani settennali dovevano introdurre una nota di speranza e lanciare il mito del progresso.
Il primo piano settennale era stato inaugurato nel 1949, ma venne sepolto senza cerimonie nel corso della crisi petrolifera, senza lasciare tracce visibili della propria esistenza. Il piano attuale, il secondo, ha avuto inizio nel 1955: ad esso é destinato il 60% dei cospicui redditi petroliferi dell'Iran. I suoi progetti sono grandiosi. Fino al momento attuale, tuttavia, la parte più spettacolosa della sua realizzazione consiste nell'immenso e suntuoso edificio che i servizi del piano hanno fatto costruire per la propria sede. E costato tre miliardi di franchi, e ospita una buona aliquota dei trecento mila
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funzionari iraniani (i cui salari assorbono i quattro quinti del bilancio statale).
L'organizzazione del piano é una proverbiale miniera d'oro per le società consulenti straniere. Gli iraniani cinici parlano con amara ironia dei suoi « progetti preliminari » che già coprono ogni chilometro quadrato del paese, ma che per sventura hanno la tendenza ad inghiottire tutte le disponibilità di fondi che sarebbero necessari per la loro realizzazione. Al livello organizzativo, i servizi del piano sono in costante rivalità coi diversi Ministeri (specialmente dopo la sostituzione del sig. Ebtehaj capo dei servizi del piano) e la rivalità fra le varie amministrazioni é causa di sgradevoli sorprese. Così é stato per la faccenda del ponte di Khorramshah: dopo « studi preliminari » che erano costati enormi somme, l'organizzazione del piano, al momento di incominciare la costruzione del ponte, si accorse che i servizi delle dogane avevano già incominciato un ponte loro.
Nonostante incidenti di questo genere, e abbastanza miracolosamente, qualche risultato é stato ottenuto. Anche se questi sono piccoli in confronto alle somme che sono costati, qua e là qualche stabilimento industriale é stato costruito; in alcune regioni incominciano a sorgere delle industrie leggere; sono in costruzione uno stabilimento di fertilizzanti, un oleodotto, una diga. Si sta creando a Teheran un sistema di trasporti pubblici soddisfacenti e, con la collaborazione dell'organizzazione mondiale di Sanità, é stata iniziata una campagna contro la malaria destinata a migliorare la salute dei contadini e ad accrescere il valore della terra in vaste zone lungo il Mar Caspio.
Anche se lungi dall'essere sufficienti, questi sforzi rappresentano pur tuttavia un principio di attività in confronto all'immobilismo del passato. L'uomo al quale gli iraniani attribuiscono i meriti di questo leggero miglioramento, é lo Scià in persona.
Dicono che, dopo il suo breve esilio a Roma nel 1953, lo Scià é diventato un altro uomo. Dopo il suo ritorno, egli ha avuto un ruolo sempre più diretto nell'amministrazione del paese. Fatto é che si ha l'impressione che egli sia la sola persona, a Teheran, che si rende perfettamente conto che l'ultima formula aritmetica sulla
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quale si fonda la politica attuale della Persia non dispone che di un breve termine. Lo Scià, dicono, cerca di approfittare per il meglio di questo termine.
Si ritiene generalmente che sia lo Scià che fa funzionare le poche valvole di sicurezza che esistono nell'attuale regime di polizia. Ma il suo zelo di riformatore é ancora esitante, ed egli ha ben pochi collaboratori dei quali fidarsi. Le sincere ma piuttosto inefficaci esercitazioni regali ad eliminare la corruzione non convincono nessuno. Le leggi che vietano ai membri del Parlamento, o perfino ai membri della famiglia reale, di fare speculazioni commerciali, non sono applicabili. Il costo dei grandi lavori in corso serve a far crescere ancora i conti bancari degli intermediari che non sono di alcuna utilità nella loro realizzazione. La gioventù istruita non trova ancora, nel paese, nessun impiego in cui il suo talento possa essere utile. E l'iraniano medio non é certamente ancora convinto che il suo nemico tradizionale, lo Stato, sta diventando il suo amico.
L'esercito, forte di 150 mila uomini, più di 25 mila gendarmi, é armato e istruito dagli americani. I suoi ufficiali vengono lusingati, benché probabilmente essi non abbiano dimenticato che, dopo la crisi petrolifera, ottocento di loro sono stati arrestati. perché sospetti di simpatie comuniste, e trenta di loro sono stati fucilati. Il Parlamento, composto di uomini di un perfetto conformismo, e l'opposizione messa in piedi dallo stesso palazzo reale, non rappresentano una forza popolare. Il partito Toudeh, che si é rifugiato nella clandestinità, e che si ritiene diretto dai comunisti, rappresenta un'incognita. La sicurezza, garantita dagli americani e dai quattrocento milioni di dollari del loro aiuto economico, tecnico e militare, non viene ripagata dagli iraniani con un amore molto maggiore di quello che veniva dedicato agli inglesi quando questi rappresentavano la principale influenza straniera. Quanto all'Unione Sovietica, per la quale gli iraniani non hanno mai avuto né simpatia né fiducia, essa ha adottato la politica del sorriso fino al giorno, ancor recente, in cui il patto di mutua difesa con gli Stati Uniti ha mutato tutte le prospettive.
Nel 1959, con un monarca riformatore sul trono, con un reddito
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sufficiente per finanziare un effettivo progresso, e con una situazione internazionale che tien lontana qualsiasi minaccia di invasione, l'Iran dovrebbe trovarsi in una situazione invidiabile agli occhi di qualsiasi paese sottosviluppato. Quel che gli rimane da fare, é di utilizzare il limitato lasso di tempo di cui ancora dispone per risolvere i suoi problemi fondamentali.
La classe dirigente, costituita da qualche centinaio di famiglie proprietarie terriere, dipende dallo Scià per il mantenimento dei propri privilegi. I contadini, che costituiscono l'immensa maggioranza della popolazione, attendono dallo stesso Sciá la propria protezione, ma, per l'appunto, contro quegli stessi proprietari sui quali, attualmente, si fonda il potere dello Scià. Tra queste due classi si sta sviluppando una nuova piccola classe media colta, che chiede soltanto una cosa: che le venga data la possibilità di rendersi utile e di porsi al. servizio della riforma e della modernizzazione.
Operare una scelta, allargare la base del proprio sostegno, questo é il problema che si pone oggi davanti al giovane Scià.
E alle frontiere con l'Unione Sovietica che l'equilibrio di potenza mondiale cambia più rapidamente. Al medesimo tempo, quello stesso miscuglio che ha già mostrato in tutta l'Asia la propria forza esplosiva, un contadiname senza speranza ed una intelligentsia delusa e disoccupata, diventa ogni giorno più infiammabile.
Nel corso di una recente intervista, lo Scià chiedeva una quindicina di anni. Nel contesto attuale, nella situazione quale essa é all'interno del paese e alle sue frontiere, non é facile che lo Sciá disponga di un termine così lungo.
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1959 Mese: 5 Giorno: 1
Numero 38
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38


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