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tipologia: Analitici; Id: 1472357


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Tipologia Periodico
Titolo Roberto Guiducci, Pamphlet sul disgelo e sulla cultura di sinistra
Responsabilità
Guiducci, Roberto+++
  autore+++    
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
PAMPHLET SUL DISGELO E SULLA CULTURA DI SINISTRA
Pensavamo che le difficoltà di presentare in termini problematici la questione della cultura di sinistra e dei conseguenti suoi rapporti interni con la politica andassero in questi ultimi tempi diminuendo o addirittura disfacendosi nell'avvio alla soluzione pratica del problema stesso, nell'inizio della sua realizzazione concreta. Nella zona incerta, ed alle volte diffidente, del trapasso, pensavamo però anche che riassumere e teorizzare i vecchi discorsi poteva costituire un aiuto al passaggio, una indicazione sui modi di esso, un contatto fecondo perché ultimo, un addio positivo.
Ognuno sa come i vecchi discorsi sul « problema della cultura » portassero con sé spesso più o meno inconsciamente una sorta di tradimento: mentre si sussurrava (o si gridava) sulle necessità della cultura, queste necessità non si concorreva poi ad avvicinarle, a farle, a oggettivarle. Spesso, quanta più il discorso dichiarava la pretesa di una presenza indispensabile, tanto più la realtà si riduceva al ripiegamento, alla chiusura, all'assenza.
Cominciare a farla, dunque, questa nuova cultura di sinistra, non. prospettarla, era l'unica possibile uscita da questa vite senza fine, da questo sterile accumulare prove da parte della cultura contro un politi-cismo eccessivo, che si ribaltava come segno inequivocabile dell'impotenza della cultura stessa. Per questo (per parecchi amici) l'accenno conclusivo ai vecchi discorsi fu un modo di trovarci subito d'accordo, una strizzata d'occhi.
Lo scritto « Sulla dialettica politica-cultura » (Nuovi Argomenti, n. 15-16, 1955) non era dunque che un modo di abbreviare rapidamente la strada, di evitare, prevenendola, la presunzione di un manifesto, di fissare nella paradossalità di uno pseudomanifesto l'esperienza fatta, ed insieme la conferma che il frutto migliore di questa esperienza era la persuasione che la proposta individualistica non aveva più senso, e la
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protesta neppure, ma occorreva materializzare il problema della cultura in cultura di fatto, cominciare ad operare, anche in questo campo, la realizzazione del proprio pensiero.
Insomma, si trattava di gettar via la scala di cui (pur con la vecchia terminologia e con il vecchio modo individualistico) ci si era serviti per salire al piano superiore.
Se dunque si può dire che il primo passo é stato fatto, che le intenzioni si stanno avviando ad una traduzione in atto, che l'organizzazione della cultura di sinistra sta uscendo in qualche primo tentativo dalle affermazioni di principio di qualche intellettuale singolo per proporsi un lavoro collettivo, facciamo attenzione. Non scambiamo ancora una volta il da farsi con il già fatto, la buona volontà con il risultato, lo stimolo con il conseguimento, l'allontanarsi o il rallentarsi di ostacoli con l'averli superati. Di qui appunto prendono le mosse le pagine che seguono, che non sono altro che un « collage » di tesi sostenute in discussione con amici comunisti, socialisti e indipendenti di sinistra, somma di discorsi nati non più sul « perché e se fare », ma sul « come fare facendo ». E in questo senso (e solo in questo) il continuare a parlare della cultura di sinistra ci sembra possa trovare ancora una giustificazione.
***
Inutile dire che le sfumature delle varie posizioni sui criteri e sui modi del lavoro da compiere sono estremamente numerose e complesse, anche perché legate a problemi particolari, ad angoli di prospettiva derivanti dalle condizioni e dai caratteri della propria attività specifica.
Senza dubbio però un elemento piuttosto diffuso e comune a molti é la larghezza dell'interpretazione del disgelo, presentato a nostro avviso troppo spesso a maglie eccessivamente larghe. Così accade che la resistenza effettuata fino a poco tempo fa a questo stesso tipo di problemi, alle volte si rovesci all'improvviso nell'estremo opposto: si dà per scontata la questione del rinnovamento della cultura di sinistra ed in sostanza si afferma che le possibilità sono a portata di mano, che é, se mai, la lentezza degli intellettuali a non afferrarle.
Ma se si chiarisce con esattezza che la funzione dell'organizzazione della cultura di sinistra é quella di essere a servizio della base, di co-
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glierne gli sforzi di rinnovamento potenziali, di riprenderli e restituirli in forme tecnicamente elaborate al fine di cooperare ad un continuo aggiornamento ideologico, liberamente dialettizzando con le posizioni politiche, già molti avanzano dubbi, parlano di unità del partito, di non distinzione fra intellettuale e dirigente, ecc., che sono poi tutti vecchi discorsi conservativi e giustificativi. E ben pochi intellettuali alla fine (ma esistono) sono disposti a cominciare a riconoscere a se stessi che se il lavoro di rinnovamento ideologico non é stato effettuato fino ad oggi che in misura molto modesta é anche perché molti uomini di cultura di sinistra, rimanendo ancora chiusi nell'atomismo tipico della tradizione borghese, non hanno saputo affrontarlo con strumenti nuovi. Cosicché essendo la loro attività rimasta (malgrado l'acquisizione di un metodo nuovo di ricerca, quello marxista) nonostante tutto astratta, e quindi relativamente sradicata ed inefficace, gli organi culturali di sinistra si sono trovati di conseguenza in posizione di inferiorità oggettiva nei confronti degli organi politici, attivi e mordenti nella realtà sociale.
Insomma, che la cultura di sinistra sia stata e sia relativamente inefficace tutti son pronti a dirlo (anche perché i fatti sono sufficientemente evidenti), ma ad approfondire cause precise e tracciare prospettive rigorose si é ancora assai poco inclini.
Così il disgelo rischia di confondere e slabbrare una situazione tormentata, anziché risolverla a fondo; e non possiamo nascondere una certa preoccupazione proprio quando sentiamo affermare che, se è vero che la cultura di sinistra era ben al di sotto delle necessità della lotta, la risoluzione del problema è ormai estremamente facile e, nella nuova e più duttile situazione, consiste semplicemente nell'impegno degli intellettuali stessi, che si mettano finalmente a lavorare sul serio, che occupino il loro posto, che esplichino finalmente e con concretezza il loro compito, ottenendo così i risultati necessari.
Senza prendere qui le difese degli intellettuali (difesa che su piano generale non avrebbe neppure senso) e ricordando francamente i loro, (i nostri) torti, vorremmo solo obbiettare, anche a costo di passare per cacciatori di complicazioni, che la soluzione non pile, essere né così semplice né così facile. Né essere immediato e spontaneo atto quantitativo di buona volontà, né frutto passivo del disgelo (condizione se mai più
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favorevole, non, di per sé, raggiungimento di risultati). In breve, se in questi mesi si è aperta una nuova situazione politica, non pensiamo che la risoluzione del problema della cultura di sinistra ne possa costituire un semplice ed automatico corollario.
E questo perché, come vedremo, il problema non è di allargare o sbloccare qualcosa che già esiste, ma di costruire pazientemente dalle radici qualcosa di diverso.
Se facessimo rapidamente insieme un'analisi degli ultimi dieci anni di attività culturale di sinistra vedremmo che si é sempre andati dicendo nei nostri partiti che le vecchie forme della cultura dovevano essere abbandonate per altre nuove e (a differenza di quanto ora si comincia, come abbiamo visto sopra, a denunciare) che queste nuove forme erano state in definitiva realizzate, che il problema era ridotto, se mai, a rendere il lavoro culturale più efficiente, a trattare alcuni temi piuttosto che altri, ecc.
Il discorso è sempre stato dunque discorso sui contenuti particolari, ben raramente, e mai a fondo, discorso sulle forme, cioè sulla organizzazione della cultura, soprattutto nei confronti dell'organizzazione politica (1).
(1) Qui conviene forse ripetere che, nel corso dello scritto, per politica e cultura di sinistra non si intendono due fatti diversi, ma due aspetti diversi di quell'unità che è l'ideologia. La differenziazione non è per contenuto od oggetto che è sempre il medesimo: la realtà economico-sociale, ma per dinamica di ricerca, per modo di procedere nel proprio lavoro specifico. Se infatti per la politica l'ideologia deve essere sempre un tutto perfettamente concluso e coerente di fronte ad ogni atto, per la cultura l'ideologia è sempre il muoversi a un fine, ed i momenti del suo sviluppo possono essere anche a linee multiple, a indirizzi intrecciati, a prospettive complesse entro limiti molto articolati e vasti. L'unità dell'ideologia (quindi fra le due facce politica e culturale) non è, di conseguenza, un a a priori », ma un risultato cui sempre tendere in un processo « ad infinitum » in cui i due aspetti interagiscono dialetticamente fra loro scambiandosi, a reciproco vantaggio, i risultati via via conseguiti.
Il non rispettare i due aspetti dello svolgimento dell'ideologia significherebbe di volta in volta ridurla ad un solo termine: di qui, i casi estremi di un politicismo integrale o della pura astrazione.
L'equilibrio sta invece in una politica nutrita culturalmente e quindi atta all'intervento non intuitivo, ma rigoroso, ed in una cultura politicamente responsabile, e cioè determinata nelle sue possibilità d'orientamento e nelle sue scelte dalle necessità concrete della pratica.
E infine come per politica marxista si intende l'aspetto di intervento come somma
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Naturalmente non abbiamo difficoltà a riconoscere che in linea di massima é vero che i partiti di sinistra non hanno mai richiesto drasticamente una adesione ed una corrispondenza totali della cultura alla loro politica. Ma non consentendo il formarsi di un luogo collettivo, specifico ed organizzato e quindi munito d'autorità, dove potesse svilupparsi la ricerca originale e spregiudicata, e di conseguenza la critica, essi hanno però favorito di fatto l'atteggiamento individualistico e l'apporto singolo, con ciò perpetuando proprio quei vizi tipici degli intellettuali, come l'atomismo e l'accademismo, che venivano così a sublimarsi in ben apprezzate e del resto comode virtù.
Ognuno di noi sa le pietose istorie degli abbecedari realistici, degli erbari lysenkiani, della « tsitatcina » o citomania dei classici, ecc.
E certamente non accenniamo qui a, questa parte negativa per riportare a galla penose situazioni che riteniamo chiaramente abbandonate (2), ma per rendere esplicito come da un determinato tipo di orga-
di tutti gli interventi a tutti i livelli, così per cultura marxista non s'intende solo l'aspetto dell'alta cultura, ma anche quello delle competenze specifiche e particolari a qualsiasi livello, come andremo più avanti meglio chiarendo.
L'accento del discorso cade sugli intellettuali solo e proprio in quanto strumenti responsabili di elaborazione della cultura, come i dirigenti di partito lo sono per l'elaborazione della politica, senza con ciò naturalmente negare la possibilità della compresenza delle due responsabilità quando questo positivamente accada.
(2) L'analisi di questi fatti va tuttavia, a nostro avviso, francamente effettuata, ma in sede opportuna. Due sono gli opposti pericoli di affrontare in modo errato la questione, modi che rapidamente potremmo definire: « idealistico » e « cristiano D.
II primo pretende la minimizzazione dei fatti sul piano dell'ordinaria amministrazione o addirittura la svalutazione di esso. (La rivoluzione costa questo ed altro. Ma il fissare i limiti di costo alla stessa rivoluzione non è all'interno della problematica rivoluzionaria, non è parte dell'ideologia, non è l'umanizzazione della .freddezza del salto dialettico?). Per questo tipo di interpretazione gli errori cadono in certo modo fuori della storia, sono scarti, rottami. Ma qui la concezione idealistica prende la mano: la storia si riduce ad una parte della storia, quella positiva, lineare, coerente e con tutti i documenti in regola; l'altra si elimina, si liquida. I panni sporchi si gettano via, non si lavano neppure in famiglia.
L'altro modo, quello « cristiano », pretende invece la confessione dei peccati. Più che l'indirizzare in modo nuovo il lavoro, ci si preoccupa della dichiarazione dei torti, si crede che sia doveroso ottenere questo esito per riscattare la storia. Poi, giudici e giudicati, salvatesi reciprocamente le anime, si possono quietare.
Ma la concezione marxista della storia è ben più drammatica: gli errori non si riparano trasponendoli fuori o al di sopra del corso storico, gli errori restano un fatto, sono, in quanto avvenuti, irriducibili.
Il loro superamento può essere, a questo punto, solo dialettico, cioè un andare oltre
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nizzazione della cultura non possono derivare che corrispondenti risultati.
E i risultati sono quelli che sono se dopo dieci anni l'interessantissima e seria inchiesta sulla cultura condotta da Cesarini e Onofri sul Contemporaneo approda a qualificarli quali: « tramonto dell'idealismo filosofico, attualità dell'antifascismo, bisogno di distensione ideologica ». Tre ovvietà, soltanto che si pensi ai tanti anni ormai trascorsi dopo la Resistenza e dopo la pubblicazione di Gramsci.
Le cose erano arrivate al punto in cui la borghesia italiana, che subito dopo il '45 aveva, insieme alle staffe, perso anche la capacità di offrire una propria ideologia, era riuscita a compiere un notevolissimo ricupero per prendere in contropiede il netto passo in avanti della classe operaia e contadina effettuato nel` dopoguerra con un imponente sviluppo quantitativo.
Di fronte al non indifferente bagaglio delle nuove sociologie, delle nuove tecniche economiche, delle nuove estetiche, delle nuove filosofie, sfornate da un lavoro collettivo soprattutto americano che non aveva mai visto l'uguale, ci si ritrovò balbettanti (non potendosi piú dinanzi ad una situazione di fatto giocare la rozza carta di dichiararne la nullità e l'inesistenza), provinciali, impreparati. Si propose finalmente di studiare i principi primi delle armi dell'avversario quando esse già sparavano all'impazzata facendo vuoti nel proprio schieramento. I politici stretti, esecutivi, erano certamente in grado di presentare apparentemente le carte in regola. A loro si dovevano l'estensione su scala nazionale
che tenga conto delle maggiori difficoltà, della più onerosa pesantezza che viene ad opporre una realtà che contiene i solchi, le tracce degli errori stessi.
Di qui la via, a nostro avviso, autentica: quella della ricostruzione storica del movimento operaio «fino al giorno prima » con i suoi successi, i suoi vantaggi, le sue difficoltà, i suoi errori.
Se davanti agli avversari occorrerà nonostante tutto dichiarare ancora sprezzantemente il nostro diritto di non accettare le loro critiche interessatamente stravolte, all'interno di noi stessi è indispensabile l'aggiornamento storiografico su piano strettamente scientifico. E del resto solo in questa sede e con questo metodo che anche dagli errori si può cavare dialetticamente il succo dell'esperienza. E poiché i due piani (verso l'esterno, verso l'interno) dovranno essere probabilmente spesso distinti fra loro, non è detto che I'articola-zione fra politica e cultura non possa giovare anche a rendere più semplice la risoluzione di questo così complesso problema.
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del Partito, la sua omogeneizzazione, la sua solida organizzazione, un ruolo giocato su piano internazionale. Essi avevano effettivamente sfruttata fino in fondo, diremmo all'ultima goccia, la forza ideologica che veniva dalla trádizione marxista. Ma avevano supposto un avversario pressoché immutabile e statico, anzi in continua involuzione, alla vigilia di una crisi. Improvvisamente se ne trovarono davanti uno diverso e rafforzato. Cioè anche una realtà economico-sociale nuova da studiare e da capire, da riafferrare e da dominare.
A questo punto su piano internazionale avvenne il disgelo. Fu una grossa vittoria della pace. Per un momento, anche all'interno la pressione dell'avversario comincia a diminuire, a mutare metodo.
Ed ora siamo a questo punto. Ma è inutile farsi delle tranquille illusioni: abbandonarsi ad una quieta attesa. La cosa più urgente da avvertire é che il disgelo deve avere una contropartita occidentale, e l'ha: la distanza, l'allontanamento delle speranze da un punto di soluzione radicale, il distendersi della tensione immediata, urgente, intransigente.
La borghesia ottusa morde il freno e sente freddo proprio ora, nel disgelo, e vorrebbe continuare la calda corsa che aveva cominciato cosl bene nella notte neomedioevale. Ma la borghesia intelligente si prepara a mettere ventimila lire nella prossima busta paga e l'operaio che le prende senza nausea è per il momento perduto.
Così mi pare valga la pena di ripetere che il disgelo è un momenta difficile della lotta, non una tregua. Ognuno di noi vede come la sinistra occidentale potrebbe uscirne anche silenziosamente ed insensibil- mente sconfitta.
Mai come ora appare una posizione astratta il mito del proletariato in quanto tale, come osso non frantumabile della storia, come Spirito hegeliano rovesciato e conficcato nella terra. Qui il lavoro degli intellettuali si rivela appunto decisivo. Mentre per i politici una parte non indifferente del loro compito si delinea nel tenere diplomaticamente la situazione ed anche, per quanto possibile, di sfruttarla, quello che si profila per gli intellettuali è di pensare criticamente tutta la propria
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ideologia, di riprendere i fondamenti per ripulirli dalle incrostazioni tattiche e provvisorie e per rielaborarli con modernità, senza concessioni; di esaminare le teorie dell'avversario non già per imitarle, ma per capirne il congegno e « girarne » i brevetti; e, soprattutto, di ricominciare a pensare « in proprio » con il coraggio della novità, dell'invenzione, della scoperta.
Dieci anni di dispersione e di mediocrità sono una grave perdita per il pensiero che„è, per sua natura, lento e faticoso. E il tempo stringe. Per questo con alcuni amici andavamo proponendo, prima del disgelo, la formazione di un gruppo di intellettuali marxisti che iniziassero questo lavoro. Individualmente qualcosa è stato fatto. Ma poco. Non è del resto possibile affrontare atomisticamente o a cerchio ristretto il lavoro necessario, nella sua vastità.
Poiché allora i Partiti di sinistra non sembravano accorgersi della urgenza di questo lavoro, pensavamo che l'iniziativa, purché fosse, potesse nascere all'esterno, benché accanto ad essi. Il « fuori » ci sembrava un modo più facile per aiutare il « dentro » ancora raggomitolato e incerto. Precisammo del resto fin da allora che il « dentro-fuori » era solo una questione provvisoria. Oggi, il « dentro » ci sembra del tutto possibile. Ma la questione veramente importante, anzi ancor oggi essenziale, è il garantire istituzionalmente dentro il « blocco storico » di sinistra, partiti compresi, la formazione di un luogo di elaborazione culturale a servizio effettivo delle esigenze della base e liberamente dialettico nei confronti delle posizioni politiche nel loro svolgimento, soprattutto se costrette ai continui sbalzi tattici, agli adattamenti diplomatici. Non c'è nulla da dire, per fare un esempio, sul fatto che il dialogo politico sia largo, larghissimo, che scavalchi i socialdemocratici e gli agnostici per toccare i cattolici. Ed i politici hanno una qualche ragione sul piano strategico di stemperare un'antica, sterile durezza, senza forza di persuasione, per incontrare un maggior numero di persone dalle quali farsi capire. Ma non è possibile ammettere che l'ideologia marxista nel suo complesso possa seguire le linee tattiche fino all'ecclettismo (3). Mi
(3) È del 27 settembre 1955 questo episodio riportato dall'Avanti!: « Una notizia ha commosso l'opinione pubblica americana. 'A Mosca il pastore Alexei Karpov ha esortato dal pulpito alla preghiera: `II nostro compagno Bulganin, Presidente del Consiglio
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pare anzi che, proprio oggi, di fronte all'allargamento delle possibilità 'tattiche, il patrimonio ideale e morale del comunismo richieda in modo particolarmente sensibile le massime cure e sia, in certo senso, da sottrarsi al gioco quotidiano, da escludersi come carta fra le altre carte. Quando Togliatti dice, a proposito dell'avvicinamento ai cattolici sul terreno di un'intesa per le rivendicazioni economiche e sociali elementari: «Che cosa hanno a che fare, a questo proposito, i contrasti fra differenti sistemi e orientamenti in filosofia? » « L'orientamento filosofico, ripetiamolo, non c'entra per nulla », certo intende che c'entra ad altro proposito, che fa parte di un altro tutto.
Ne consegue l'importanza di chiarire con fermezza (pur, comprendendo tutte le operazioni contingenti ed approvandole e favorendole in quanto tali) che se non è possibile portare tutto il marxismo ad ogni pranzo diplomatico, è indispensabile riprendere alcuni spinosi problemi, come quello della distinzione fra piano tattico (nelle sue articolazioni sindacali, parlamentari e politiche particolari) e piano politico generale (di classe, di movimento operaio, di Partito). 'Il secondo piano (politico generale) non è che il luogo, chiarito con tanta esattezza da Gramsci, dello Stato operaio e contadino in nuce, dove si esercita nel profondo la fatica rinnovatrice, dove ogni atto presente é anche costruzione di una civiltà futura. Il primo piano (tattico) può essere viceversa inteso come il luogo della diplomazia dello Stato in nuce, della sua politica estera, del suo rapportarsi con le altre classi, con gli altri partiti, con gli altri Stati, in una complessa rete di relazione (4).
dei Ministri, e il Presidente Eisenhower sono stati grandi artefici della causa della pace. Ora, cari fratelli e sorelle, preghiamo per la guarigione del Presidente Eisenhower, affinché egli possa continuare il suo grande lavoro a favore della causa della pace ». Dove, come si vede,, la colomba della pace leninista rischia addirittura di assimilarsi alla simbologia paleocristiana in un sapiente gioco caleidoscopico. Molto opportuno ci è sembrato a questo proposito il fondo di Togliatti su « Rinascita » (n: 9, settembre 1955) nella parte in cui si distingue il piano ideologico generale (in cui esistono ineliminabili distanze fra concezioni antitetiche) da quello politico contingente (in cui un accordo è possibile su questioni particolari).
(4) Estremamente importante a questo proposito ci è parso il grande discorso di Nenni in morte di Rodolfo Morandi (Avanti!, 15 novembre 1955), in cui, partendo da una concezione engelsiana della tattica, mentre si definisce da un lato la politica contingente come politica degli « acconti », si dichiara dall'altro, in modo apertissimo, il
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Ma é precisamente dentro lo Stato operaio in nuce che può cominciare un discorso non diplomatico sulla cultura di sinistra, collocarsi una dialettica feconda fra l'aspetto d'intervento (politico) e quello di elaborazione (culturale) di quell'unico complesso che é l'ideologia marxista. Senza aver affrontato, anche per linee grandissime e problema- tiche, questi quesiti di fondo, crediamo che non abbia certamente ormai senso parlare di una « questione » della cultura di sinistra.
Questi quesiti vanno dunque, come stiamo vedendo, più in là dei vizî di costume degli intellettuali di sinistra dentro e fuori il partito, vanno ben al di là della loro timidezza e della loro testardaggine a non occupare le sedie che la storia ha predisposto per loro. Il fatto é che portare avanti il marxismo non è cosa di poco conto: è portare avanti una civiltà in mezzo ad una civiltà contraria e vischiosa che pure vive, produce, si arrangia, che malgrado tutto ha sussulti, urti, scatti, invenzioni. In tutta questa vita che scompostamente pullula e contemporaneamente vermina occorre fare ordine, e per questo occorrono nervi saldi ed.. occhi bene aperti sulla lunga distanza.
Da molti sintomi sembra che sia questo il momento opportuno per mettere i puntini sugli « i », per salire sulle torri a vedere le città nel-
chi siamo e cosa vogliamo » generale: le origini, la vicenda, le sconfitte, i risultati, le speranze e i fini ultimi del movimento operaio.
Se da un lato, chiarisce Nenni, « alternativa socialista, apertura a sinistra, dialogo con i cattolici, con le loro organizzazioni, con il loro partito, sono espressioni diverse di una medesima politica intesa ad estrarre dalla società italiana tutti gli 'acconti' possibili in materia di progresso democratico e di progresso sociale », dall'altro s siamo innanzitutto un Partito fedele alla dottrina del marxismo rivoluzionario, fedele alla pratica della lotta di classe, fedele ai principii dell'internazionalismo proletario a. E se le vie che conducono al socialismo possono essere tanto quella dell'« evoluzione a che quella della « rivoluzione a, rimane tuttavia fermo che l'« obbiettivo del socialismo e delle democrazia proletaria è unico: la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, l'abolizione delle classi, e in prospettiva l'abolizione stessa dello Stato che nelle sue forme attuali, o in quelle che assume in periodo rivoluzionario, é un limite alla libertà ». Ora appunto il tradurre organizzativamente questa compresenza, questa doppia via parallela degli « acconti » e della « contabilità generale » in una articolata e contemporanea pratica politico-culturale, ci sembra il centro del problema che questi presupposti ideologici indicano, confermandone la necessità realizzativa nella vita quotidiana del movimento operaio.
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l'insieme e per capire che non è male fermarsi a qualche ripiano per osservare quel che c'è di sotto e quel che c'è di sopra senza credere che l'unico camminare serio sia quello di arrampicarsi senza soste, a testa bassa.
Alcuni affermano: per uscire dalle incertezze andiamo alla base. Andiamoci pure. Ma qui possiamo ampiamente constatare che la base stessa é spesso sconcertata, alle volte stupefatta. Il proprio padrone, il padrone taglia i tempi, mette da parte i comunisti, l'ombra del licenziamento ha lo spessore facile e sottile di un foglio di carta che può arrivare con ogni giro di posta. Krusciov beve con Tito, beve con Eisenhower. Krusciov beve. E la pace. Il pericolo della bomba atomica si fa lontano, piccolo. Togliendo una certa vite alla bomba atomica e mettendone un'altra si può andare a cavallo nella Luna. Chi arriverà prima? I sovietici o gli americani? Ma forse non ha ormai importanza. Andranno forse insieme?
Così le ideologie si disfanno e si fanno cronaca, e nel cuore scettico cresce lunga l'erba dell'opportunismo. Ognuno crede di giocare l'avversario nel tempo. Ma l'uomo alienato non ha pace nella pace. Chi muore di fame si vede rovesciata mostruosamente la garanzia della sopravvivenza biologica.
A questo livello l'ideologia torna vera. È la speranza. È ciò che fa dell'uomo alienato un uomo, malgrado tutto e subito, totale. È a questa base che occorre arrivare. Qui l'intransigenza conta, ed i « massimi morali u sono il minimo indispensabile per vivere, per non scadere a Lumpenproletariat. Qui politica e cultura sono organici, sono dentro l'uomo. Il loro senso é uguale e così il loro peso. Qui la rivoluzione ed i suoi principi primi hanno le loro radici.
Solo risalendo di qui (e molto) ritroviamo il gioco della tattica e la rarefazione della cultura. Che cosa riportare a questa base nel viaggio di ritorno? Può essa continuare ad essere il mito giustificativo delle nostre abilità diplomatiche? L'ultimo uomo che muore di fame é diventato la coscienza di tutti, ha la responsabilità del futuro, é la garanzia del moto in avanti della storia? E se la storia divagasse in lui? Se perdessimo il suo grido ?
In realtà abbiamo ancora ben poco da riportargli nel viaggio di ritorno. E la nostra coscienza é in pericolo come la sua.
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Per questo il discorso sulla politica e sulla cultura continua ad essere pesante e difficile.
Ed è inutile pensare di rispolverare i vecchi fantasmi. Viviamo in un contrasto economico-sociale diverso e complesso. Nessuno ci può conservare sottobanco i nostri valori. La conseguenza è che dobbiamo rifarceli pezzo per pezzo. Ciò significa che per le nostre lotte occorrono nuove armi pensate a fondo, preparate con pazienza, e nuovi slanci con cui rifare la nostra anima.
E poiché non sarà un bel cervello isolato a disegnare sul suo foglio di carta la nostra cattedrale gotica, bisogna mettersi insieme quanti più é possibile, con impegno preciso.
Abbiamo creduto tutti per un momento che camminare fosse già anche capire, anzi che il camminare francamente fosse l'unico modo di capire bene. Non disconosciamo questo fatto. Abbiamo soltanto scoperto che é più complicato. Ecco tutto.
Si continui dunque politicamente a camminare per capire bene, ma si riprenda anche culturalmente, moralmente, a capire per camminare bene.
Camminare con una civiltà nuova in mezzo ad una vecchia é certamente una grossa avventura. La nostra ideologia non era forse neppure completamente preparata per camminare con nuova civiltà in una pur nuova civiltà. Noi altri abbiamo una strada ancora più complessa, dunque. E può darsi il caso che la si debba percorrere senza traguardo per un tempo anche molto lungo. E ogni viaggio ha il suo rischio, ogni tentativo può culminare in una esperienza abortita. Che si arrivi non è detto. Non ci sono garanzie alle garanzie che la storia possa svol gersi, aprirsi in avanti. La forza delle cose non ci darà di più di quel che ci ha già dato. Ogni nuovo passo innanzi non potrà essere ottenuto che con precisa fatica e deliberazione.
Che gli uomini della cultura di sinistra si mettano insieme é un aspetto importante dell'« aver capito », è il punto preliminare, é la chiave. della scoperta del nuovo significato della cultura. La nuova cultura non può essere una cultura atomistica, individualistica, separata. La tradizione ci risucchierebbe. Le nostre parole si capovolgerebbero nello specchio delle parole dell'avversario. L'uomo é i suoi rapporti sociali. L'uomo nuovo sono nuovi rapporti sociali. La nuova cultura é una nuova
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organizzazione della cultura. Deve essere una nuova forma di rapporti sociali per essere un nuovo modo di pensare, di vedere e di fare il mondo.
Quando qualche amico comunista o socialista, come abbiamo accennato in principio, ci dice ormai esplicitamente che, pur con tutta la loro buona volontà, con tutta la loro autentica rivolta morale, molti intellettuali di sinistra hanno conservato in questi anni una posizione che é tradizionale dell'uomo di cultura italiano, estraneo alla realtà, legato ad una cultura che é letteraria ed umanistica nel senso piú limitativo della definizione, non interessato e non impegnato in un dibattito vivo neppure di quelle strutture che condizionano, limitano ed impediscono la sua stessa attività, tocca il segno, fa centro. Ma spesso non ne deduce forse tutte le conseguenze. Se é vero che la cultura di sinistra non ha trovato una sua nuova forma di organizzazione, ció vuol dire che non è ancora una nuova cultura o, meglio, che lo é non in senso originale creativo, ma in senso prevalentemente didascalico e ripetitivo di una cultura originale precedente. Non tosi era nei tempi vivi del movimento operaio. Nel partito di Lenin le invenzioni ideologiche diventavano modi di essere, passo avanti organico del pensare e del fare; nel partito di Gramsci il rischio ed il tentativo politico era anche ricerca filosofica, culturale, e lo sforzo di pensare era anche sforzo di vivere in modo diverso. Per questo c'è paradossalmente malgrado tutto una mezza verità nella collocazione, effettuata da qualcuno, degli intellettuali mar. xisti, anziché nel campo rivoluzionario, nella sinistra borghese, cioè, in ultima analisi, nel quadro della società borghese. Quali sono infatti le essenziali differenze fra il modo di lavorare dell'intellettuale borghese ed il modo di lavorare di molti intellettuali marxisti? Solo i politici comunisti e socialisti hanno sempre sentito di rappresentare la politica (e anche la cultura) autenticamente rivoluzionaria, proletaria, operaia, strutturata in modo originale, diverso e lontano dalle forme organizzative della società borghese.
Gli intellettuali legati ad un tipo di organizzazione tradizionale ancora pienamente borghese non potevano essere (e non si sentivano) che degli alleati, un appoggio, una frazione di sinistra dei pensiero
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borghese contro il pensiero borghese di destra. Per questo ad essi era affidato soprattutto il compito dell'attacco dell'ideologia di destra, ma non quello della collaborazione allo svolgimento dell'ideologia di sinistra. Possiamo oggi vedere con chiarezza come molti intellettuali marxisti italiani (e noi fra essi) non hanno che in misura irrilevante giovato alla politica dei partiti comunista e socialista, preveduti i loro sviluppi, prevenute le deficienze, inseriti nuovi criteri tecnici.
La vera cultura di sinistra in Italia é stata nella quasi totalità quella elaborata da Togliatti, Nenni, Longo, Morandi, ecc.; quella degli storici, degli scienziati, dei filosofi marxisti é stata prevalentemente cultura alleata, cultura di sinistra verso la cultura borghese di destra, battaglia delle idee, non idee per la battaglia in corso.
Del resto lo schema non era diverso da quello adottato nell'URSS durante il periodo staliniano. I veri filosofi, gli uomini di cultura com- pleti, erano considerati Lenin e Stalin. Il contributo dell'Accademia delle Scienze non era nelle sue linee generali che il contributo di un'alleanza, spesso era semplicemente un autorevole appoggio. Il lustro che veniva concesso agli intellettuali ritornava spesso come conferma, e non si traduceva in potere critico, in proposta inedita. I premi Stalin erano in. ultima analisi dei premi a Stalin.
A questo punto occorre decidere: se la cultura di Lenin, di Stalin, di Togliatti ecc., anche valutandola, senza dubbio alcuno, essenziale, fosse in realtà tutta la cultura marxista, allora per rinnovare la cultura dovremmo affrettarci tutti ad operare maggiormente nel partito, ma, si badi, non per esserne, come vorremmo, degli intellettuali efficienti, ma dei politici. E dovremmo dire a tutti di fare così, cercare che tutti gli intellettuali iscritti al partito e quelli indipendenti di sinistra diventino dei politici, assorbendo questa curiosa anomalia di una cultura borghese non borghese, questa piccolissima compagnia di ufficiali alleati, integrandoli nell'organico del proprio esercito. E sulla usurata obbiezione che, malgrado tutto, finché sussisterà una divisione in classi, la cultura di sinistra dovrebbe essere necessariamente aristocratica, particolare, in quanto legata allé strutture borghesi, non vale forse ormai la pena di insistere molto. Se è vero che metà degli strumenti di ricerca é in mano alla borghesia che detiene le grandi biblioteche, gli istituti, i laboratori,
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ecc., l'altra meta é in mano ai partiti di sinistra, alle loro raccolte di dati, statistiche ecc., ed alla loro possibilità di effettuare indagini su larga scala valendosi di una organizzazione estesissima e capillare.
Ma per afferrare più a fondo la questione dell'organizzazione moderna della cultura di sinistra, occorre procedere anche da un altro lato. Il grosso problema di risolvere il dualismo fra universale e particolare, fra pianificazione e autonomia, fra orientamento generale e fatto speci-
fico, porta in primo piano la questione della specializzazione. --
Marx non attacca mai la specializzazione in sé, come ricorda con esattezza Galvano Della Volpe, « é lo spirito che sta dietro la specia- lizzazione e la tecnica produttiva borghese che Marx intende colpire, è il suo carattere di tecnica estraniata dall'uomo, donde la oppressione e l'illibertá di questi nella sua vita in genere, che Marx vuole distruggere. È questo ch'egli intende quando ripete che nella società comunista nessuno ha una cerchia esclusiva di attività, ma ciascuno può specializzarsi in qualsiasi ramo. Il che significa che la specializzazione di ciascuno, inevitabile in quanto l'agire come il pensare non può essere che ... determinato o particolare o specifico se vuol essere effettivo e reale, la specializzazione é impedita di tradursi in unilateralità ... dalla libertà appunto assicurata prima e dopo. l'atto della specializzazione, ad ogni individuo, da parte della comunità reale di cui é membro, dalla società comunista, dal suo clima umano, di libertà o razionalità o totalità, di eguaglianza sociale, non meramente politica n (La liberta comunista, Ed. Ferrara, Messina, 1946).
Se tutto questo é esatto, ne discendono due considerazioni della massima importanza: la prima è che l'uomo politico non è, per il fatto, stesso di essere in una posizione di dirigenza, uno specialista (anche se può esserlo contemporaneamente, ma come uomo di cultura), la seconda che lo specialista non é, per il fatto di possedere le massime capacità nel suo particolare ramo, un dirigente politico, anche limitatamente al suo. settore. Deve esistere un punto di travaso, un luogo di confluenza di questi due aspetti, un piano dove l'accordo fra tutti . gli uomini che
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fanno ciascuno il proprio lavoro e costruiscono la loro propria vita si realizza democraticamente al più alto livello possibile.
Ma ciò non pue) avvenire per semplice buona volontà, buonsensi-smo, tranquilla tolleranza.
Le nuove prospettive vanno allontanando la primordiale figura del condottiero, sintesi della forza e dell'intelligenza. La sua monolitïcità si frammenta, si articola, assume proporzioni più modeste.
La grandezza in Stalin chiude definitivamente un'epoca. E il suo atteggiamento appare già quello di un epigono. Malenkov e Bulganin non sono « totali », non sono filosofi (e la filosofia sovietica riprende il suo ruolo specifico). Hanno bisogno di altri.. Si costruiscono tavole rotonde. Inizia il lavoro collettivo. Politica e cultura cominciano a dialet-tizzare. E dialettizzano come figure separate non perché siano due cose diverse, due provincie, due corporazioni, ma perché la cultura sta guadagnando il suo riconoscimento, sta conquistando la sua pariteticità.
E la lenta e faticosa rivoluzione della cultura non può essere in massima parte che il movimento degli specialisti, non solo appartenenti all'alta cultura, ma a tutti i livelli dove la specializzazione è in ogni uomo come lavoratore, come competente, come direttamente interessato e responsabile. E una fase della costruzione della democrazia, lo sforzo di mediare pianificazione e autonomia, universale e particolare. Dare alla pianificazione la qualificazione che é propria del lavoro singolo, condotto a fondo. Tagliarla dal generico, dalla presunzione urbanistica astratta, dai grandi schemi. Risentire la propria vita personale, il proprio peso d'uomo, la propria sensibilità morale, la propria coerenza come forze decisive, importanti, prime. Avere la certezza che la possibilità di capire il proprio pezzo di mondo é elemento insostituibile e indispensabile ad una visione del mondo. E per questo che non é piú possibile che la propria umanità venga portata su e giù per l'Europa nelle valigie diplomatiche. In questi ultimi dieci anni abbiamo tutti perfettamente capito che la politica internazionale non é che una parte di quella parte della politica che é la strategia. Quel che le é dovuto è in proporzione.
Un amico, che é stato recentemente in Unione Sovietica, fece una domanda di estrema acutezza ad un gruppo di giovani_ intellettuali :
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Voi credete ancora alle mete finali? Si crede in URSS al raggiungimento delle mete finali? ». Ci credevano, credevano ogni giorno ai loro sogni.
Anche noi crediamo ai nostri sogni, al raggiungimento della societa. socialista e, in essa, della libertà di pensiero, della democrazia diretta, della fine della burocrazia, dell'estinzione dello Stato, del suo tradursi in comportamento responsabile dei cittadini, del fare ciascuno secondo le proprie possibilità e del ricevere secondo i propri bisogni, della liberazione dall'alienazione dell'uomo, della costruzione di rapporti umani liberi e organici.
E se nell'Unione Sovietica la previsione e le prospettive marxiste si fanno società, se la filosofia può realizzarsi, da noi, che dobbiamo attendere, Gramsci ha insegnato come ci si può anticipare uomini pur nell'alienazione, come si può essere Stato operaio in nuce, come si può, cominciare a vivere una vita nuova nella vecchia, una vita vera nella falsa.
.Per questo l'emancipazione della cultura da un politicismo limitativo é la condizione stessa del marxismo come pensiero vivente, come pratica liberatoria. E se un risultato c'è, non ovvio, a questi dieci, tristi. anni di cultura di sinistra in Italia, esso é proprio nel non aver perso i. propri sogni, nel coraggio rimasto a riproporli.
Cosl si deduce facilmente che la cultura di sinistra non può essere soltanto una Sezione Culturale di un comitato centrale di partito. La cultura è il partito, come la politica è il partito. La cultura marxista. non può esaurirsi ad essere uno degli alleati della politica di sinistra. È la somma delle specializzazioni autentiche a tutti i livelli, dall'open raio e, dal contadino allo scienziato e al filosofo. È quindi naturale che capiti di domandarsi cosa significa distinguere— come vien fatto nella « Risoluzione della Sezione Culturale del PCÍ »: « Contro le ideologie dei monopoli » (2 agosto 1955) — fra Partito e intellettuali comunisti, fra
Partito-e' « riviste culturali che si ispirano' al marxismo > (Rinascita,' So-
cieth;'Critica economica, ecc.), fra « lotta politica » e (( lotta ideale ». Qui
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é l'imbocco di due strade. Se si partisse dal presupposto che la lotta politica è il tutto e la lotta ideale una parte (una sezione) relativamente autonoma, in realtà subordinata al tutto, il pericolo dell'« eccesso di politicismo » e lo scadere dell'ideologia nell'« ideologismo », di cui parlano con serena chiarezza M. Cesarini e F. Onofri nel Contemporaneo (« Un'esigenza comune », n. 31, 6-8-1955), sarebbero inevitabili. Se invece la distinzione ha un senso di pariteticità, consente il discorso, lo ascolta, é pronta ad una dialettizzazione, allora c'é da sperare bene, si può chiedere che la timida espressione usata si faccia concetto esplicito, atteggiamento, si irrobustisca organizzativamente, serva per l'avvenire.
Accenneremo più avanti al contenuto della « risoluzione ». Prima di tutto vorremmo fare una osservazione, che è anche la premessa al discorso sul contenuto. In realtà i termini del problema dell'« ideologia dei monopoli » erano noti da anni anche in Italia.
Molti intellettuali di sinistra se ne erano occupati attivamente, tanto che fra gli studiosi più insigni della materia emergono alcuni professori universitari iscritti al Partita comunista. Ma ciò che più conta è il fatto che gli operai di diverse industrie italiane del Nord avevano cominciato nell'ultimo biennio ad avvertirne la pressione e a capirne il senso. Ma le vie di comunicazione per questo messaggio non erano aperte. Mentre già il fenomeno si sviluppava vigorosamente, non se ne prendeva ancora atto: una rigida visione attendistica di una crisi del capitalismo non permetteva di coglierne le riprese. La sottovalutazione del Problema portò alla perdita di tutto un tempo prezioso nel quale l'avversario poté tranquillamente annodare e stendere le reti. Quando queste furono tirate, precipitarono situazioni di partito e di sindacato. Allora, dinanzi all'accaduto, ci si accorse della gravità dei fatti. Troppo tardi per ostacolare l'influenza dell'avversario con ben meditate critiche, con azioni tempestive. II problema era ormai divenuto un doppio problema. E si chiamarono a raccolta coloro che si erano perduti, si mandarono a studiare quelli che già avevano studiato.
Sulle linee generali del contenuto della risoluzione si può certamente essere d'accordo. Molti lo erano infatti prima, da tempo. Direi addirittura che, leggendo il testo, si provava la leggera noia di tutte le cose risapute e ovvie, e si rimasticava la tristezza dei ritardi.
Sui vari esami critici ci sarebbe invece molto da dire. Si può notare
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che vengono identificati fenomeni diversi senza vederne le distanze e quindi le caratteristiche: urbanistica con architettura, ricerche di logica pura con espedienti demagogici, correnti perlomeno laiche ed antime-tafisiche con il clericalismo più deteriore; soprattutto che non si approfondisce la differenza essenziale fra risultato scientifico oggettivo e le svariatissime mistificazioni ideologiche possibili, quindi fra ciò che, malgrado le sovrapposizioni, é scienza e ciò che in ogni caso scienza non è e non sarà.
Si può rispondere naturalmente che questa critica è eccessiva per un programma a grandi tratti, steso per indicare un orientamento politico di massima. Ma è ben qui che i conti non tornano e che si ricade sempre nella stessa incertezza. Che degli specialisti delle varie materie non abbiano messo mano rigorosamente alla stesura lo si nota subito da chiunque abbia una certa competenza in qualcuno dei punti toccati, Ma allora il manifesto è ancora una volta strettamente politico, e non
culturale nel senso sopra accennato, cioè specialistico. '
Il fatto che non lo sia preoccupa, perché da un'analisi solo approssimata è difficile escano criteri di lavoro precisi ed efficienti. Quando si intravedono solo le ombre del nemico, è arduo combatterlo con efficacia (5).
Dunque d'accordo per una presa di posizione contra l'ideologia dei
(5) Tanto è vero che dopo una pur così considerevole presa di posizione capita di leggere sul Contemporaneo n. 35, 3-9-1955, nel pezzo polemico di L. Lombardo-Radice in risposta ad una critica di Alicata: e Oggi, i neo-positivisti (e tra di essi, ricordiamolo, vi sono studiosi serissimi, e uomini vicini a noi sul terreno della lotta politica e di classe), ci dicono: `badate: noi abbiamo ristabilito il legame tra ricerca scientifica e meditazione filosofica che l'idealismo di Benedetto Croce (e di Giovanni Gentile) aveva spezzato. Voi studiosi marxisti commettete un errore combattendo contro il nuovo indirizzo, che esprime invece, e realizza per quanto si è detto, una delle vostre esigenze. Io credo si debba rispondere, mettendo i punti sulle `i', che la deformazione machista, pragmatista, ecc., delle scienze naturali portate all'estremo dal neopositivismo non è, in realtá, in contrasto con l'idealismo italiano classico; è piuttosto, anzi!, un sistematico sviluppo della impostazione idealistica del Croce e del Gentile a. Dove si vede come si possa prendere una strada estremamente dubbia e probabilmente chiusa in un campo specialistico, non volendo curiosamente tener conto proprio dell'opinione di chi, appunto, ne ha competenza specifica. Abbiamo citato questo episodio non per se stesso, ma per i suoi sviluppi singolari e positivi. Alicata, con impostazione intelligente, lasciò il passo nella risposta ad uno specialista, Galvano della Volpe, che chiari facilmente i termini esatti del problema e, ciò che più conta, apri prospettive moderne di studio e di meditazione, pur rimanendo strettamente nel campo marxista.
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monopoli, ma non esattamente in questi termini, soprattutto se la proposta di un superamento degli attuali limiti della cultura di sinistra a appare necessario non soltanto per consolidare ed estendere lo schieramento unitario di tutte le forze che si battono per la libertà della cultura italiana, ma anche ai fini dello sviluppo del marxismo, della conquista dei nuovi intellettuali e soprattutto di tecnici al Partito e del rafforzamento ideologico della classe operaia ». Per conquistare studiosi e tecnici seri, competenti nelle singole materie, soprattutto se spesso politicamente incerti o agnostici, occorre affrontare un discorso documentato che essi possano ascoltare, riconoscendone la competenza, e a cui possano partecipare sul terreno rigorosamente scientifico. Per questa via si può far comprendere a questi tecnici che un processo storicistico di demistificazione delle scienze, cioè una operazione sottile di liberazione dalle incrostazioni reazionarie ad esse sovrapposte da zelanti interpreti, da politicanti astuti, o dagli scienziati stessi impreparati in campo economico-sociale, è un vantaggio per la scienza, un modo di renderla più agile, più spregiudicata, più fecondamente libera, oltre che un modo di arrivare ad una più progressiva visione generale del mondo.
Appunto in questo ci sembra consistere il far « uso creativo e non dogmatico del marxismo », farne « l'unica corrente ideale capace di riprendere e portare avanti la migliore erediti della cultura nazionale, legandola in modo organico alla parte più viva del pensiero moderno, europeo e mondiale e arricchendola continuamente dei sempre nuovi apporti del progresso tecnico, scientifico e sociale », che sono poi profonde, antiche e chiare parole di Gramsci tradotte, il che ci fa piacere e ci dà speranza.
Ma oltre che uno sforzo di apertura ideologica, occorre farne uno anche in senso organizzativo (« misure pratiche dovranno essere fin d'ora predisposte per meglio consentire questa partecipazione» dice sempre la risoluzione).
La cultura è al bivio, chiarisce R. Bianchi Bandinelli su l'Unità del 2 settembre 1955, e siamo d'accordo con lui. E questo scritto è implicitamente anche una risposta all'invito di Bandinelli che le discussioni emerse dagli ultimi dibattiti sulla cultura proposti dalla sinistra siano « approfondite e ampliate da molti intellettuali italiani ». La cultura di sini-
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stra al bivio potrà trovare, come dice Bandinelli, nel secondo decennio del dopoguerra, una sua esplicazione piena dopo la travagliata compressione ed il difficile orientamento, o scadere a ripetizione, ad accademismo, a carrierismo scettico. Ma ogni marxista sa che la cultura non si fa solo pensandola, la cultura é sempre prima di tutto organizzazione della cultura. E, nel senso sopra chiarito, una nuova organizzazione della cultura di sinistra sarebbe già nuova cultura ed il suo primo atto di affermazione.
Se si è compreso che « un'azione culturale in cui non trovassero largo posto i temi dell'economia, della produzione e della ricerca tecnologica e scientifica, sarebbe gravemente manchevole ai fini del rinnovamento della cultura italiana, della sua liberazione dal provincialismo e dall'accademismo » (« risoluzione » citata), è breve il passo a comprendere che i vizi di dieci anni (o di sempre?) della cultura umanistica italiana non si perdono saltando da una biblioteca in un'altra (6).
Ma se a questo punto ci si dicesse che insistere oggi ancora sul problema della cultura è un po' rifare i Feuerbach verso la religione, mentre si tratta se mai di fare un discorso direttamente politico su piano economico-sociale, non potremmo che ammettere che l'obbiezione contiene molte ragioni.
(6) Accanto al tipo tradizionale di intellettuale occupato nelle scuole, nelle università, nelle case editrici, nelle biblioteche, si è andato formando nel Nord un tipo sempre più diffuso di uomo di cultura che lavora nell'industria, nelle imprese, nei servizi. Assorbiti per la massima parte dell'attività nel lavoro professionale si pone a questi intellettuali-managers l'alternativa o di accettare l'alienazione della propria specializzazione o di reagirvi sul piano ideologico, conservando il carattere pragmatico della propria competenza specifica, ma riuscendo a trasporla in una diversa prospettiva pólitico-sociale. Ma se per questi intellettuali il loro stesso lavoro è per così dire un grande laboratorio, d'altra parte il tempo di libertà che rimane loro è così esiguo che il passaggio dal mero campo tecnico a quello metodologico (in senso non astratto, ma storicistico) non è possibile se non attraverso uno scambio collegiale organizzato.
Come si vede, il problema dell'organizzazione della cultura raggiunge qui un aspetto di estrema immediatezza e chiarisce anche quale decisiva importanza avrebbe un risultato positivo in questo senso per la formazione di quella « nuova cultura a, non più soltanto umanistico-letteraria, ma organica in senso gramsciano, che ha ancora una vita tanto gracile e lenta in Italia.
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È ormai chiarissimo a tutti noi che nei dieci anni di guerra fredda. il problema essenziale era quello di resistere, ed é fuori di dubbio che la posizione di una cultura creativa, per sua natura costruttrice, era in contraddizione con una politica di « avant le déluge », a file serrate, sospettose, in agguato in arroccati caposaldi.
Fabbricare alcuni caposaldi già come case, cioè costruirli in modo che le strutture di guerra fossero già in nuce e nelle linee fondamentali abitabili anche rozzamente come dimore del futuro era forse possibile, ma era pur lecito comprendere il timore che ciò comportasse maggiori difficoltà, rischi non tollerabili. Per questo, come ognuno sa, discutere in certe congiunture poteva sembrare anche un po' tradire (anche se tradire poteva essere sotto altri aspetti il tacere). Ci limitammo a dire soltanto, ma continuamente che, se poteva sembrare un pericolo immediato il costruire i caposaldi come case, ad un certo punto tuttavia le sentinelle si sarebbero trovate esaurite e snervate da una così triste guarnigione senza prospettive e avrebbero potuto cedere più facilmente, al momento della lotta, davanti ad un nemico più abile e moderno, malgrado ìl loro cocciuto rimanere in posto. Ed a questo punto si può dire che si era giunti quando il grosso fatto nuovo, il disgelo, venne a interrompere un ciclo chiuso e precipitante.
Ora si aprono nuove possibilità, ci si rende conto che nei caposaldi gli uomini erano davvero spossati da una così lunga attesa, presi da una. incredibile stanchezza.
Ci puó risollevare il disgelo? Il disgelo, occorre vedere, sono in realtà più disgeli. Un disgelo fra Unione Sovietica. e Stati Socialisti, uno fra Unione Sovietica e partiti comunisti occidentali, e un disgelo fra Unione Sovietica e America e relativo mondo occidentale.
Il disgelo diplomatico oriente-occidente comporta la diminuzione del pericolo atomico, l'attenuarsi del logorio economico reciproco, il gioca complesso della coesistenza di due sistemi di vita diversi e contrapposti. La delegazione agricola sovietica ha cominciato ad affondare la faccia nelle angurie americane, la delegazione americana si é permessa di dare alcuni consigli sui colcoz, che sono stati diligentemente pubblicati dalla Pravda.
Noi europei occidentali rimaniamo un po' staccati da queste calde
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amicizie. Riconosciamo di essere soddisfatti che si siano ringuainate le rispettive atomiche. Poi ci rimangono tutti i nostri problemi.
Nel campo della sinistra tutto questo ci solleva dalle pesanti responsabilità di avamposti cui la guerra fredda ci aveva costretti.
E respiriamo. E ci vien naturale di parlare, di esplodere in una festa socialista e di mettere fuori la nostra personalità repressa da obblighi internazionali, di dar fine ai complessi, di dire e di fare le nostre idee, di ripartire da Gramsci e dalla Resistenza, di cercare di essere originali nella nostra, anche se limitata, originalità.
Essendo al sicuro la Rivoluzione sovietica, oseremo riparlare delle nostre? Potremo tentare di dar nuovo contenuto alla generica protesta che aumenta le schede di sinistra nelle urne elettorali, senza che l'opposizione possa risolversi in autentica costruzione di una società?
Oppure invece, ancora una volta, il prezzo della coesistenza, della fascia neutrale, ecc., deve essere la nostra rinuncia, il nostro star fermi, il frenare l'impeto della campagna meridionale, il cedere dell'operaio del Nord, il silenzio della potenzialità francese, la disperata tranquillità della desolazione spagnola, la quiete greca, l'impossibiità del riscatto tedesco?
È difficile che non sia così. Non ci sono grandi probabilità che l'America sopporti la perdita dell'Europa, senza rovesciare nuovamente la direzione della sua politica. Ancora una volta siamo legati al ricatto della pace, della sopravvivenza biologica. Ma i rapporti di disgelo fra sinistra europea e Unione Sovietica hanno una prospettiva diversa, aprono una porta.
L'URSS non ha più, in certo senso, bisogno della sinistra europea in senso strategico. Ha solo bisogno di amicizie, e quanto più alto sarà il livello del partito amico, tanto piú alto potrà essere il suo prestigio. La richiesta di fedeltà quantitativa può spostarsi in richiesta di appoggio qualitativo. Ciò corrisponderebbe per la prima volta anche ai nostri interessi più diretti.
Ma non c'è da sperare in una libera corsa. Il limite delle nostre possibilità rimane: la pace americana conta sulla nostra immobilità.
Per questo rientrano nell'ideologia reazionaria la facile euforia autonomistica, le prime voci sullo scioglimento del Cominform, l'allegria turistica dell'eventualità di una facile estensione del passaporto ai paesi
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orientali. Se c'è un vantaggio per noi é di poter essere oggettivamente, per la prima volta, in grado di stabilire rapporti paritetici con l'URSS, di poter non sciogliere, ma fare una Internazionale a tavola rotonda (7), di abituarci a rapporti di rispetto, di scambio, di attenzione e non di potenza.
L'esenzione da un legame militare (e quindi gerarchico) sublima i vincoli. La media ponderale può farsi aritmetica. Ognuno sul piano della civiltà acquista lo stesso peso. La democrazia é possibile.
La cultura riguadagna terreno. I libri valgono per il loro rigore e non perché sono libri di guarnigione. Possiamo a cuor leggero perder tempo a leggere romanzi, oltre che la « Dialettica della natura ». Ci vestiamo da civili e ci sembra di volare camminando con scarpe normali. Ma la tensione fra presente e avvenire rimane, ciononostante, irrimediabilmente contradditoria.
Se le dimensioni dell'attesa tendono ad allungarsi, se la speran-
z deve farsi durissima pazienza, tentiamo la vita nuova nella vecchia, portiamo in profondità ciò che non ci é concesso in estensione. E abba-
stanza chiaro che la politica immediata dovrà farsi ancor più diplomatica, tattica, calcolatrice di difficili e compromessi equilibri. Non è il caso che ancora una volta si giochino in questo senso tutte le carte. Se questo aspetto della politica, vediamo bene, non può coprire che
(7) È questa la tavola rotonda che veramente interessa: quella di sinistra. I dialoghi troppo aperti (aperti a tutti) per avere un senso devono necessariamente essere così generici da perdere precisamente molto di quel senso che si proponevano di avere. Per questo ad esempio la proposta di Sciolokhov per la creazione di « una tribuna di contatti creativi per tutti coloro ai quali é cara la causa della letteratura contemporanea >t (riportata su Realtà sovietica, n. 10-11, ottobre-novembre 1955) se (la un lato è senza dubbio un evidente segno positivo, e pub dare risultati sul piano distensivo, dall'altro, sul terreno dei contenuti, non copre tutte le necessità del problema. Fra i consensi italiani alla proposta (pubblicati sulla medesima rivista) senza dubbio il più esatto e centrato é quello di Franco Fortini che, pur convenendo sui vantaggi dell'iniziativa, Ione la pregiudiziale che « la creazione di un grande organismo internazionale e di un congresso dovrebbe seguire e non precedere una serie di contatti fra individui o piccoli gruppi qualificati ». Continuando un'idea, che pensiamo anche di Fortini, ci permettiamo di aggiungere che forse sarebbe opportuno che i responsabili della cultura di sinistra, prima ancora di aprire il discorso con tutti gli uomini di cultura, portassero avanti quello interno al « blocco storico » di sinistra, così che, dibattendo tecnicamente le proprie idee, potrebbero dare insieme e un contributo preciso al socialismo e il miglior esempio agli altri uomini di cultura sull'importanza e sulla serietà degli scambi di opi-nioni a livello scientifico.
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in minima parte la coscienza dell'uomo, lasciamo scoperta l'altra, diamole corda.
Come un tempo si poteva dubitare che la politica degli avamposti esaurisse tutta la sinistra (e che, se mai, una forte costruzione culturale avrebbe consentito maggiore coscienza e resistenza a quella stessa politica e al di là di essa) si potrebbe ora considerare come una limitazione che la politica della coesistenza esaurisca tutta la sinistra (anche senza pensare che un rinnovato nutrimento di contenuti piú larghi la può meglio sostenere).
Oggi i rischi, del resto, sono anche maggiori. Il fantasma della pace è più modesto che il fantasma della rivoluzione. Lo spettro del comunismo può tornare nel vecchio castello. Il destino della sinistra europea è sempre più legato al capire la sua contraddizione ed a farla lievitare. Di qui un possibile accostare alla transigenza diplomatica il coraggio ideologico, un contrapporre alla perdita delle possibilità di radicali soluzioni di fondo la forza di un patrimonio morale. La resistenza al risucchio della vecchia vita è anticiparne nonostante tutto una nuova.
Per questo la questione dello sviluppo ideologico si fa in prima fila, diventa vicino ripensamento di una più gramsciana politica operaia. E ciò si innesta oggi in una situazione oggettiva più facile e rispondente. E si rendono attuali, come abbiamo visto, la distinzione fra politica tattica e politica operaia classista, l'articolazione fra politica nazionale e internazionale, il radicale modificarsi dei rapporti fra l'URSS e i partiti di sinistra occidentali verso un piano di pariteticità, il riconoscimento che l'avversario capitalistico ha raffinato i propri strumenti e che per controbatterlo ne occorrono nuovi e più approfonditi.
Matrice e garanzia di questo gioco più complesso: la dialettica fra politica e cultura all'interno del « blocco storico di sinistra n.
Tiriamo dunque pure le somme, annodiamo i capi del discorso. Se le prospettive sopra esposte hanno una qualche esattezza, la sinistra occidentale, nuovamente giocata sul piano della politica internazionale, ha una possibilità di guadagno nel capovolgersi della guerra fredda nella coesistenza. E la carta che la sua vecchia attesa le consente: contrapporre alla pace delle armi l'arma della critica, rifare il vecchio vestito tessendo dal di dentro la nuova tela, compiere il lavoro della talpa shakespeariana ripresa. da. Mar; finché l'antica Europa vada in pezzi senza averlo pre-
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visto, senza che si siano potute prendere le debite precauzioni. È:n questa piega il difficile segreto che l'empirismo politico americano non sa e non saprà cogliere, che la sociologia analitica non saprà rilevare, in cui le human relations si troveranno impigliate e stupefatte.
C'é forse dunque ancora una risorsa in Europa, coltivata e preparata in questi ultimi dieci anni nella sua parte piú sensibile: che la cultura di sinistra, fattasi forza ideologica di fondo come nuova organizzazione della cultura, possa essere il punto in cui si riesca a dissolvere la rigida contraddizione cui i tempi moderni paiono averci condannati.
È forse tenendo questo filo che é possibile pensare che passino eure: l'uomo di pensiero che avrà resistito alla seduzione di facili richiami dopo tanta solitudine e impotenza, l'operaio che avrà capito che la sua vocazione è ben oltre i referti di un test psicotecnico, il contadino che avrà sorriso del minuscolo campo sassoso concessogli dall'alto, sapendo che la sua proprietà cominciava esattamente al di là del confine.
ROBERTO GUIDuCCI
 
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1955 Mese: 11 Giorno: 1
Numero 17
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17


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