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tipologia: Analitici; Id: 1472311


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Franco Fortini, Cronache della vita breve
Responsabilità
Fortini, Franco+++
  • ente ; ente
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
CRONACHE DELLA VITA BREVE
Come è noto, non esistono che diari pubblici; e se non c'è motivo di vergognarsi delle parole scritte più di quanto si faccia di quelle dette, perché non scrivere quel che si dice, perché non accettare la leggerezza, l'improntitudine, o la serietà, di quanto si pensa o si dice in fretta, nella vita breve che regaliamo al giornale, al libro, all'incontro con un amico? Una conversazione val bene un articolo.
So bene che il motto, il pensiero formulato approssimativamente, la pagina di diario hanno una lunga storia di vizi. Ma perché illudersi di averli dissolti tacendo? Fra solitudine e partecipazione, fra io e noi, c'è ancora un margine. Carocci e Moravia mi aprono queste cronache; sono un ospite riconoscente, ma non necessariamente l'unico; il diario a più voci è la vera giustificazione di un a solo iniziale. Nuovi Argamenti pub essere il luogo, oltre che di articoli e saggi, di un discorso più veloce e più rotto.
Incontro in tram G. M., intellettuale e scrittore. È stato per tre mesi in U.S.A., a spese del governo federale, ha visto questo e quello. « Siamo pieni di pregiudizi sugli americani. Non sono quello che la Ioro stampa, da loro politica, il cinema fan credere: sono infinitamente migliori. « Certo — rispondo - l'ho sempre pensato, mi basta supporre che cosa deve immaginarsi uno straniero dalla nostra stampa, dalla nostra politica e persino dal nostro cinema ». « Hanno soppresse le differenze di classe». «Forse è per questo che non ci intendiamo ».
Ma cosa sarà mai, mi chiedo, questo noumeno americano, o sovietico, che sta sotto gli ingannevoli, variabili fenomeni? In fin dei conti, di questi popoli e civiltà io so quello che essi mi mostrano. «Ma sono diversi». Voglio crederlo: lo provino.
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Uno scritto di M. Aloisi in Società. «Particolarmente va chiarita... l'affermazione della " partiticità della scienza" propria del linguaggio marxistico. Per alcuni la progressività e la partiticità della scienza é intesa in senso del tutto deteriore, cioè nel senso che è progressiva e quindi da lodare e seguire qualunque attività, anche solo apparentemente scientifica, pur che parta formalmente da presupposti teoretici definibili progressivi in sede ideologica e politica ». Ma guarda. Così è accaduto, prosegue l'Aloisi, che si siano applaudite le pseudo scoperte del microbiologo sovietico Bastian : « cos?, per quanto riguarda la questione della genetica e degli esperimenti di Lysenko e della Lepescinskaja, coloro che accettano in modo puerile e dete- riore il concetto di partiticità della scienza... hanno subito dichiarato la loro persuasione senza soffermarsi né sull'esame teorico della questione, né sulla natura e qualità degli esperimenti relativi, laddove è necessario discutere tutte queste cose con cognizioni di fatti e teorie, cos? come appunto avviene in Unione Sovietica. (È da notare a questo proposito che la nostra stampa ha inconsciamente favorito questo disguido poiché, affidata spesso la scelta delle traduzioni degli articoli scientifici a redattori incompetenti in materia, questi hanno scelto proprio quelli piú sensazionali, ma meno documentati) ».
Molière non avrebbe detto meglio. «Ah!! pour être dévot, je n'en suis pas moins homme... ». Le teorie di Lysenko paiono essere, oggi, assai criticate, in URSS; la sua posizione personale pare abbastanza scossa, se, sulla Pravda, uno studioso può accusarlo da far valere la propria autorità a sostegno di suoi protetti, indegni, sembra, per poca serietà scientifica, di tale protezione. Ebbene, quando, sul finire dal 1948, vi furono le famose deliberazioni sovietiche sulla genetica, che tanto scalpore suscitarono fra gli scienziati, si ebbero, in Francia e da noi, numerosi scritti sugli organi della stampa e della pubblicistica di sinistra che, se talvolta riflettevano qualche dubbio (cfr. Arnaudi, in «Terzo Stato»), nondimeno esaltavano generalmente come una sconfitta della pseudo scienza borghese e come un trionfo di quella sovietica il trionfo personale di Lysenko e la sconfitta dei suoi avversari. Nel 1949, l'editore Macchia pubblicava «Nuove vie della biologia » di Lysenko, e «Miciurin, Lysenko, Burbank trasformatori della natura», Rinascita vi impegnava un articolo, la Rassegna della Stampa Sovietica traduceva larghi estratti della discussione, Europe vi dedicava il fascicolo dell'ottobre 1948; per tacere dei quotidiani comunisti e socialisti e dei settimanali. In Società (1949, anno 5°, n. 1) Franco Graziosi così conclu-
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deva un lungò saggio sulla questione: «Nei suoi motivi più profondi, come è accaduto in URSS, questo dibattito vede contrapposte e in lotta due concezioni della scienza, due impostazioni dei suoi problemi di metodo e di ricerca, delle quali l'una è carica di inconsapevoli e inconfessati — anti-scientifici — presupposti ideologici che la legano al mondo del capitalismo e della borghesia, alla sua decadenza, alle sue contraddizioni, e non può non venire oggi appoggiata dalle forze reazionarie di ogni tipo; mentre l'altra è conseguentemente e consapevolmente legata alla coscienza sociale, agli interessi e alle aspirazioni progressive di milioni...» e cosi giustificava í «radicali provvedimenti organizzativi» presi dalle autorità politiche dell'Unione Sovietica.
Non faccia fatica a supporre e a credere che, fra gli studiosi comunisti italiani e francesi, ve ne fossero di poco persuasi della validità metodologica e dei resultati scientifici del Lysenko; che, fra costoro, nel corso di questi anni, la discussione sia proseguita; che taluni fra costoro abbiano, parlando in persona propria, pubblicato testi scientifici ispirati piuttosto ai principi opposti. L'unità ideologica del partito comunista è assai minore della sua unità politica e, probabilmente, nessuna delle pubblicazioni ufficiose del comunismo italiano può arrogarsi il diritto di rappresentare l'opinione ufficiale del partito in materia di cultura e di scienza. Tuttavia non mi risulta (fatte le debite riserve sulla mia documentazione) che sulle pubblicazioni considerate di tendenza comunista sia comparso, allora o in prosieguo di tempo, un solo scritto che criticasse i metodi ed i principi di Lysenko. Sarà stato un caso; ma lo stesso Aloisi, o gli altri cultori di discipline scientifiche, trovandosi di fronte a questo deplorevole disguido, (come oggi, con affascinante eufemismo, lo chiamano) non hanno voluto esprimere, o non hanno potuto, il proprio dissenso o almeno i propri dubbi. Sì che è davvero sgradevole che lo Aloisi, oggi, accusi i suoi colleghi e compagni (e se stesso) di scarsa oculatezza e i «redattori incompetenti» di non aver fornito testi sufficientemente attendibili.
È veramente un curioso disguido. Chi, come scrive, non ha competenza specifica in materia di genetica può relativamente disinteressarsi di sapere se Lysenko avesse torto o ragione, e sa bene che non per la prima volta supposte scoperte scientifiche si trovano ad essere smentite qualche anno più tardi, salvo esser poi riconosciute nuovamente vere. «Ma — si chiederà quel colui — non fu davvero improvvido chi, sulla scorta di documenti incompleti, lasciò che si scatenasse tanto putiferio negli ambienti della scienza? E che dire di coloro i quali gli articoli di incondizionata
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esaltazione scrissero e pubblicarono, che le riserve ignorarono o tacquero? Non hanno costoro qualche responsabilità nel ridicolo che gli Moisi fanno oggi ricadere su gli intellettuali di sinistra? ». E quel colui non può fermarsi qui: e pensa, ormai tranquillamente, che il difetto sia nel manico, ossia nel sistema. Che non è solo quello, per lunghissimi anni protratto, di prendere come oro di cappella quanto si faccia in Unione Sovietica; che è volgare, seppur non sempre falsa, accusa degli anticomunisti; ma di non aver apprestato, nel corso di tutti questi anni, nulla che valesse ad evitare il rischio del ridicolo. Di non essersi posta, (dirò ora con quanta serietà è possibile) la domanda di quali debbano essere gli strumenti politici atti a garantire uno scambio fra la cultura sovietica e quella nostra o francese. Ché non mancano certo, in Francia e in Italia, insigni biologi comunisti i quali avrebbero pur potuto intervenire nel dibattito sovietico; non è vero?
E oggi si tenta, con povera abilità, di dirci che tutto ciò fu appena un disguido; che, non essendoci da noi una opinione ufficiale del partito comunista, del disguido furon semmai responsabili i singoli. «I disguidi del possibile », come dice un nostro poeta, sono però innumerevoli. Quid juris, se domani si dovesse sapere che fu disguido la guerra batteriologica? E il proletariato italiano, che non aveva proprio bisogno di avere a propri difensori i padri della Compagnia di Gesù (i quali alla faccenda Lysenko dedicarono, adora, due dotti studi), portò le conseguenze di quel disguido, a causa del discredito che certi metodi fecero cadere su taluni degli intellettuali che erano, o si credevano, sue guide.
Per dieci anni, disguidi di questo genere, oltre al resto, ci hanno avvelenato il sangue; e abbiamo consunto (io, dico, e non pochi amici miei) un tempo, che poteva meglio esser speso, a trovar l'umiltà di non fare il giuoco degli avversari. Oggi, dopo averci fatto gravare la boriosa insipienza dei loro giornalisti, non vogliano, gli studiosi comunisti, caricarci anche del peso della loro generosità. E quando, levando il dito ammonitore, raccomandano il rispetto della scienza e la prudenza dei giudizi, rispettino o prevedano, non già la nostra (ché non l'hanno mai rispettata, per il meccanicismo che li fa spregiatori della voce di pochi) ma la voce e l'azione dei molti che, fra di loro e con noi, chiederanno ragione anche delle inutili sofferenze dalle loro leggerezze indirettamente inflitte alla classe proletaria, più bisognosa di mutare in coscienza le sue proprie verità che di barattarle con certezze illusorie.
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Ricordo, la mattina dell'U settembre 1943, sulla piazza della Stazione Nord, poche ore dopo che la Wehrmacht aveva occupata la città, un ufficiale della milizia che, fra due soldati tedeschi col mitra brandito, diceva, rivolto alla gente spaurita e frettolosa avviata tra le macerie verso i treni: « Toccatemi ora, se avete coraggio! ». E nessuno fiatava. Mi chiedo se l'ho sognato: ma no, era davvero così.
Lo hanno avuto, quel coraggio. Speriamo di averlo ancora.
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« Pensare per universali significa far parte di una società dove non siano, come dicono gli sciocchi, aboliti il dolore, l'angoscia spirituale o fisica, la problematicità della vita, ma esistano gli strumenti per condurre una comune concorde lotta contro il dolore, la miseria, la morte ». Io credo che da queste parole di Pavese si debba prendere il tono della voce per dire che rifiutiamo non solo l'interpretazione escatologica del movimento operaio, e una tolta per tutte, ma anche ogni nozione di progresso assoluto dell'uomo, conoscendo solo i progressi parziali e relativi di taluni aspetti dei gruppi umani. Uno storicismo coerente che non voglia essere né cinismo né relativismo né mobilismo deve dare ragione continua del proprio contrario, ossia rinnovar la confutazione dell'antistoricismo nel solo modo possibile, che è quello di spiegare il perché storico del rinnovarsi, in noi, della esigenza di mènein, di « consistere », di opporsi alla fluidità del tempo. Di fronte alla «tenace sopravvivenza» di quella volontà, sarebbe gravissimo errore quello di rimandarci alle pagine dei maestri, nelle quali le confutazioni sono state compiute una volta per tutte. La gente vuol sapere per che cosa gli uni o gli altri le propongono di sacrificare il presente.
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Five Years of the N.A.T.O., un supplemento del N. Y. Herald Tribune: vi si leggono alcune straordinarie pubblicità di fabbriche d'amni. La Fabrique Nationale d'Anmes de Guerre di Herstal, Belgio, pub fornirvi munizioni per calibro di 9,45,57 mm. ecc. Millions of sportsmen enjoy the famous hunting guns, ecc.... e for the defense of Democracy millions of soldiers use weapons and motors manufactured by the same plant. Incidentalmente, a pag. 16, si può imparare che il reddito medio annuo pro
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carpite è di dollari 2318 in USA, in 888 in Gran Bretagna, di 853 in Francia e di 365 in Italia. Ma non mancate l'ultima pagina tutta dedicata alla pubblicità del Martin Matador, il bombardiere senza pilota B-61. La copy si chiude con queste parole: America's great new Matador Pilotless Bomber Squadron offers one of the most eflective arguments in the world today for peaceful negotiations! You will hear more about Martin! Certo.
Bobbio, con la consueta chiarezza, ha disegnata la situazione, anzi le situazioni possibili, degli intellettuali italiani di fronte alla politica. Ma al suo discorso mi pare manchi una parte importante; la descrizione della condizione eccezionale dell'intellettuale che milita nei partiti dell'opposizione socialista, cioè dell'intellettuale comunista o socialista, condizione che non ha confronto con quella dell'intellettuale cattolico o socialdemocratico o liberale. Una delle ragioni della difficoltà che non pochi intellettuali tradizionali incontrano a stabilire gli antichi, bonari rapporti con la classe dirigente politica sta nella presenza, nei salutare scandalo degli intellettuali comunisti o, per meglio dire, nella forza del pensiero marxista sui rapporti fra classe intellettuale e classe politica. In realtà, tutto il dramma o la coan-media degli intellettuali italiani si svolge in presenza del coro muto rappresentato dal comunismo, dalla sua sfida. Basta vedere come tutte le voci di questi ultimi anni hanno assunta, a modo loro, la terminologia gram-sciana; gli amici del Mulino parlano senz'altro di egemonia loro, di egemonia di intellettuali orientati più da Dewey che da Marx, o da tutti e due, ano che dico, da un gran pantheon moderno.
Quel che Bobbio .scrive sul «spartito degli intellettuali », ossia sul sogno della terza forza intellettuale, è molto esatto. Quegli uomini sono stati incapaci di promuovere la « società fabiana» che era loro miraggio. La terza forza culturale è diventata, in gran parte, Terzo Programma: la cultura del «si-ma-però». Come i ladri danteschi, ex comunisti, acomunisti e anticomunisti han continuato a trasmutarsi d'uomini in serpi e di serpi in uomini, fissandosi a vicenda incantati (« non torcendo però le lucerne empie - sotto le quai ciascun cangiava muso»). Trasmutazioni inani: «...e il fumo resta ».
Ne parlavo, proprio con Bobbio, quest'estate, dopo le elezioni, nell'effimera euforia del vuoto governativo; e ne abbiamo discusso per anni, qui a Milano. Pregiudiziale di qualsiasi lavoro di gruppo è l'abbandono delle illusioni politiche in senso proprio e immediato, quelle illusioni che spin-
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gono periodicamente tante degne persone a firmar proclami o a tener comizi, nell'imminenza delle elezioni. Detto questo, ci siamo chiesti: è possibile che i liberai-socialisti (definizione impropria, lo so) che scrivono sul Ponte, su Comunità, su Lo spettatore e su altre tre o quattro pubblicazioni del genere trovino la novità di cuore necessaria per costituirsi in società di studi, in Fabian Society? Risposta: no. Perché? Perché finora non l'han fatto. E possibile che lo facciano i più giovani di loro, uomini meno somiglianti all'intellettuale italiano tradizionale, e per i quali Gramsci è stato un libro decisivo? Risposta: si, ma nella misura in cui gli intellettuali del Partito Comunista aprono la conversazione con loro. E qual è la condizione perché si abbia una conversazione reale fra i comunisti e quei giovani, il cui numero va crescendo ogni giorno (e che non sono più identificabili con la massa di coloro che gli anni '47-'52 respinsero fuori della presenza politica e che, a lungo, abbiamo fantasticato di « recuperare »)? La condizione è la conversazione fra i comunisti stessi; oppure uno sforzo eroico, una disciplina estrema, la rinuncia alle ambizioni accademiche, una autorganizzazione di feuo. Controprova? Le più riuscite imitazioni di quei gruppi si hanno in posizioni apertamente non-comuniste, sulle quali si trovano denari, tempo (ed equivoci) a josa. Concludendo: la trasformazione dell'intellettuale tra-cizionale in intellettuale moderno avviene sotto i nostri occhi, ma anche a nostre spese, e a ciascuno per conto proprio. Spersi nelle città, nelle nostalgie, nelle ambizioni sbagliate, nelle redazioni, nelle biblioteche, nei concorsi nel lavoro per vivere, le colpe dei padri rischiano di diventare, o son già diventate, anche le nostre.
Galvano Della Volpe versus Bobbio. Due obiezioni, di passaggio: primo, va bene il richiamo ai testi marxisti e leninisti (Rousseau contro Montesquieu) per quanto riguarda l'unità fra il legislativo e l'esecutivo, nelle « commissioni » di lavoro e nel pluralismo dei «Consigli »; ma, e il giudiziario? Secondo: manca, nel discorso di Della Volpe (così importante, illlluminante — ma, in genere, tutto quel che scrive ci è necessario) la controprova storica; che cosa è successo dei soviet? Come si articola realmente il potere proletario? Qual è il ruolo attuale della cuoca di Lenin nella macchina statale sovietica? La capisce, la dirige o la subisce?
O forse non si, deve chiedere a G. D. V. questo; perché il valore della sua nota è proprio nel richiamare il passato e nel prospettare il futuro, al di là delle attuali «difese dalla costituzione ». Cosi come il valore di quella di Bobbio consisteva, mi pare, nel richiedere al pensiero comunista, che
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cosa, delle « forane » create dal liberalismo, sopravvivesse alla classe che le ha generate. Di queste bandiere della borghesia se ne stanno impugnando parecchie: dalla linguistica alla logica formale, dal rispetto dei documenti a quello degli esperimenti scientifici. Tanta fretta é preoccupante. Che i rivoluzionari siano migliori difensori della tradizione, lo si sapeva benis-sisno e fin dai tempi di Tocqueville. Ma l'eccesso di zelo é sospetto. E dunque Galvano Della Volpe, pur senza toglier la parola ad altri, bene ha fatto a ricordarci che la democrazia comunista é un'altra cosa.
••s
Una storia di gatti. — In te!Irpi remoti, alla chiesa di San Liberato era annesso un convento. M tompo dei francesi, i frati furono espulsi, il convento divenne caserma. In anni più vicini ai nostri, abitazione di povera gente. Quasi tutto distrutto dalla guerra, il chiostro é rimasto abbandonato per vari anni, regno di gatti randagi. Ora è restaurato ed ospita una scuola, diretta da monache e frati.
La ricostruzione del chiostro é durata assai a lungo, con interruzioni e riprese. Nel cortile calce e mattoni sono rimasti abbandonati per lunghi inverni. Tale lentezza é la ragione della storia dei gatti. Questi felini hanno creduto che avrebbero potuto continuare a vivere indefinitamente fra le ortiche e le pietre sconnesse. Non erano molti: cinque o sei, gatti bastardi, così timorosi dell'uomo che un gesto bastava a farli fuggire; ma anche insolenti per la fame, miagolando ad occhi fissi, ostinati.
I muratori avanzavano ed essi si ritiravano. Sparivano anche; per intere stagioni. I muratori non erano cattivi con loro. Gettavano qualche pezzetto di pane o la coda della salacca, mentre mangiavano appoggiati al mum, dalla parte. dell'ombra. Oppure si divertivano a svegliarli, schizzando noccioli di ciliegia. Ma, alla fine, non ci fu scampo per i gatti; uno dopo l'altro, dovettero tutti perire.
Il primo fu ucciso dal camion dei mattoni, in un mattino di aprile. I'1 secondo fu messo in un sacco, sul far della sera, da un uomo cupo, che poi percosse il sacco, molto a lungo, contro un pilastro.
I1 terzo fu udito gridare per due notti; poi non si udì piú.
I1 quarto mori di malattia e fu gettato dai ragazzi su di un mucchio di rovine e li rimase tutto l'inverno, imbalsamato dalla neve, finché, a marzo, la pelliccia se n'andò a ciuffi carne il trino d'un materasso e i dentini candidi si sgretolarono.
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Il quinto, (panda i1 chiostro fu finito, e s'avvicinò il giorno dobla illau-gurazione, vagava, senza trovar luogo, per la corte odorosa di calcina. E il futuro guardiano lo cacciò per la strada. Era il più vecchio, aveva l'occhio folk e sbarrato. Traversò piano piano la via.
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«Sommersa la piccola élite europea dei baroni baltici, dei precettori francesi, che aveva dato all'Impero il senso dello Stato, la Russia non è piú che un'immensa Mongolia » (M. Lupinacci, in Corriere della Sera, 28 aprile 1954). I tram tetri, che tra mezzogiorno e l'una, da via Tommaso Grassi, via Meravigli, Piazza Fontana, trascinano bancari e stenodattilo alla periferia, e provinciali alla Fiera, recano teste chine, fra urti e soffi di pioggia ai vetri, su quelle righe. Nave anni fa, in una mattina fredda e chiara, 1'almi-co Z. — che oggi fabbrica films a successo, di sapiente dosatura — e l'amico U. — che oggi lavora per la CED — uscirono in fretta dal portone di via Solferino 28, fra i partigiani che avevano trasformata in corpo di guardia la portineria di L. Albertini, e, avviando il motore d'un auto, diretti a Piaz-zak Loreto, gettarono a due operai una copia d•ell'Avanti!, uscito allora dalle rotative «che avevano dato all'Impero il senso dello Stato ». Uno dei due guardò ill titolo e gridò all'altra: «L'han copáal ». (Ancora tre fermate; riprendiamo a leggere: «Sommersa la piccola élite europea... »).
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Dicono che negli ambienti della destra francese circoli questo bon mot, che forse lo é meno di quanto sembri: « In caso di guerra, i soli francesi che si batteranno contro l'Armata Rossa saranno i comunisti ». La battuta é falsa per quel che afferma ma è vera per quel che tace; gli altri, cioè, sauveront leurs meubles.
Conversazione con l'elettricista. Ê un uomo aperto, chiaro, intelligente. Socialista. Sa benissimo che cosa vorrebbe dive l'istaurazione di un regime rivoluzionario. Non si fa illusioni. Sa che cosa perderebbe e che casa guadagnerebbe. Ha fatto i suoi conti, e non solo per sé. Con gente come questa non si dovrebbe aver paura di nulla.
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• 11 25 marzo 1953 moriva a 36 anni, a San Francisco, lo scienziato ato-micò William Twitehell. Muniva circondato da agenti e da guardie del F.B.I. che impedivano alla sua famiglia, ai sudi genitori e ai suoi amici di avvicinasdo, perché Twitchell, nel delirio, dettava fonnule della bomba H.
Un numero de La Stampa (23 aprile). In terza pagina: Barrhelli parla dei tAngheri che vanno in ritardo alla messa o al concerto e se ne vengono via prima della fine. Una corrispondenza da Magonza spiega come gli Americani spiantino i boschi del Palatinato per le esercitazioni militari, addestrando i soldati all'atomica e alla lotta contro i partigiani. Una mucca meccanica è esposta a New York. Donna Francesca Ruspoli perde, per ordinanza del tribunale, il diritto di educare il figlio. « Le belle signore della Scala non avevano occhi che per Ingrid ». Un articolo di Sacchi racconta come. la Commissione Edilizia di Venezia abbia respinto i1 progetto Wright e come un gruppo di architetti abbia fatto capire che sarebbe stato opportuno affidare il progetto dell'edificio in questione ad un italiano...
Ed è solo la terza pagina. Sfogliando le altre: « L'arma scelta era una rivoltella silenziosa al cianuro, camuffata da portasigarette » « Lo scandalo dei miliardi: inutili sforzi dei giudici per scoprire i finanziatori »; « Le donne russe sono di 15 anni in ritardo sulla moda »; « Le notti orgiastiche di una coppia di nobili »; « Un operaio si avvelena nella sala di aspetto di Asti »; « Il cadavere di Wilma Montesi non fu trascinato dalle correnti »; «Assedio della polizia intorno a Orgosolo »; «Mosca può mobilitare 900 divisioni in un mese »; « Da 150 giorni nel fango di Dien Ben Phu ».
L'accostamento di titoli di giornali è un espediente letterario che risale, credo, a Doeblin e a Dos Passos e che il cinema ha ripreso, abusandone. Quello che bisogna mettere in evidenza è la totale disperazione di un qualsiasi quotidiano dei nostri giorni. Questa disperazione è molto più evidente in un giornale ben fatto e con uno sfondo « equilibrato » e « umanistica che non in un concitato fogliaccio della sera. L'orrore del precipizio si avverte più spesso nell'idealistica unzione del Terzo Programma che non nell'ebete ble-bla-bla delle canzonette del Secondo.
L'orrore del precipizio: parole grosse! Diciamo: quello che ci giudicherà.
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Lo scandalo Montesi sul Mulino: una paginetta evasiva (Roma è quello che è, eccetera), evitando di prendere posizione. Per paura di cadere nel moralismo, il tono del superiore distacco. I giovani del Mulino hanno già una sapienza ufficiale? L'aspirazione ad una cattedra universitaria è una sacrosanta aspirazione. Bisogna guardarsi dal fada oggetto di scherno; in tempi coeve i nostri, governati dalle vittime e dai responsabili di un trentennio di dilettantismo. Ma — c'è qualcosa che non persuade. Vorrei sbagliarmi.
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Quello che è sorprendente, nei collaboratori di Terza Generazione, è l'abbondanza. Di idee e di parole. Scrivono con una facilità straordinaria. Con quel poco che riesco a capire, non sono d'accordo; e mi vien fatto di rimettermi a quello che non capisco. Il guaio di certe pubblicazioni scritte da giovani o indirizzate a giovani si è che, dietro, c'è qualcuno che gio-vase non è più, se pur lo è mai stato. E poi, basta con questo discorrere per generazioni, con questa categoria decadente. Aspettiamo un anno o due. Quello che valgano le cosidette generazioni, credo, lo si vede solo dopo che sono state, come qualsiasi altra, sconfitte. La mia è stata battuta fra il '45 e il '49; la guerra le era stata, diciamolo pure, troppo cdnioda. La prova è venuta dopo. Credo proprio che la maturità cominci solo quando si è persuasi che non c'è proprio nulla da fare e che il fallimento è già consumato: e tuttavia si decide di far fronte; e, magari, di essere Allegri.
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Ma gli amici del Mulino debbono aver avvertito the qualcosa non andava; e, nel numero seguente, tornano sull'argomento Montesi. E, sopra-tutto, fanno i conti con Terza Generazione. E li fan bene. Eppure quando le corde si tendono (per le elezioni del giugno scorso, ad esempio) che oscure parole accade di leggere su quelle pagine bolognesi...
Tempo fa, per giuoco, avevo pensato di scrivere qualche breve ritratto di persone da me conosciute, a imitazione di certe pagine famose di Retz o di Saint-Simon. Impossibile: anche raffigurandomi la più odiosa fra quelle, non riuscivo a vincere la pietà (pietà non è la parola giusta: il compianto,

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un compianto semplice). Prova, mi sembra, di grande debolezza morale, di incertezza : posso ingiuriare, ma non riesco a giudicare freddamente. Capir tutto è perdonar tutto; .ma perdonar tutto è una colpa, un orgoglio sinistro.
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Museo degli Orrori. — Alla radio, una trasmissione da un convegno di cantastorie. Si chiamano i presenti per nome e cognome, si fanno parlare al microfono, con le loro sgrammaticature e i loro accenti dialettali; poi una soave voce femminile commenta, come fossero personaggi di un quadro o di un romanzo, col tòno delle memorie di viaggio in colonia. Mai avvertito così ingenuo il disprezzo per l'uomo, per la sua dignita, così spudorata la buona coscienza di classe. Come le signore che, in inglese, parlano, lei presente, della serva. Tanto i cantastorie non si ascolteranno. Non sapranno che la soave voce femminile si lancerà in un delicato excursus dagli aedi omerici ai trovadori della scuola siciliana, mentre sul fondo suonano le rozze fisarmoniche dei nostri popolani. Un giorno faremo sentire questa roba ai ragazzi delle scuole perché sappiano che cos'era l'Italia del XX secolo. D'altronde, è lo stile di Life, il suicida in volo, l'apparecchio che si fracassa al suolo e, accanto alla didascalia, un diagramma pieno di numeri che permette di discernere, sulla foto, la scarpa del primo pilota, la testa tronca e proiettata del secondo... Tempo fa, c'era un « servizio » sul bambino doppio, voglio dire non un bambino a due teste, né una coppia siamese: bensì due teste, quattro spalle, quattro braccia, due cuori, ma un unico addome, due gambe. Nato in America, sopravvive grazie alle cure della scienza, che sta studiando come il mostro doppio cresce, come le due teste abbiano una vita indipendente, eccetera. I genitori sono fotografati accanto al grande frigorifero, dono pubblicitario della ditta X. Y., e sorridono.
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Il diario della Anna Frank. Non si dimentica mai, leggendo, che la bambina è morta a Belsen. Se non fosse morta? Probabilinente il diarid non sarebbe stato pubblicato. Credo che non bisogna fingersi inesistenti i diari che non saranno mai pubblicati; le vite invisibili, e le morti, che non diventano pubbliche e che sono subito dimenticate, anche d'ai parenti, dagli almsci. Senza dubbio, o almeno con poche probabilità di errore, fra la piccola Frank e il ragazzo dostajewskiano divorato dai levrieri del proprietario, restera, nella memoria degli uomini, quest'ultimo. Non è merito dell'arte,
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come vin fatto di credere; ma di quel tanto di latta e sforzo e sangue che riescono a far durare e a caricare di significati esemplari un nome, un episodio. Se i nazisti avessero vinto; se vinceranno dotn•ani? I nomi dei caduti della Resistenza, qui a Milano, sono già su tristi, illeggibili lastre di bronzo, sotto gli archi bui del Broletto. Per questo ha fatto bene Thomas Mann, nella sua prefazione alle lettere dei caduti della Resistenza Europea, a insistere nel parallelo letterario con un racconto di Tdlstoj. Non è solo una precauzione antiretorica: è la certezza che, onde i trapassati vivano, c'è bisogno del nostro sangue e della nostra intelligenza e che, sotto questo punto di vista, un personaggio di romanzo e un personaggio realmente vissuto hanno le medesime esigenze. Ricorda, per questo, il canto di Si-monide in Leopardi.
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Un libro di P. Sérant sull'orientalista, occultista e storico delle religioni René Guénon, morto nel 1951, al Cairo, nella fede musulmana. Gide, durante la guerra, ne parlò come di un uomo portatore di tesi irréfutables. Ma, aggiunse, les jeux sont faits, je suis trop vieux. Curioso destino delle culture e delle religioni orientali, sistematicamente respinte dalla nostra tradizione, anzi guardate con sospetto e destinate ad essere accolte da singole personalità, veri transfughi della cultura occidentale, o da illusi o da ingenui. Nessuno fra noi che non si creda in dovere di raddoppiare le misure di sicurezza quando un autore (la Weil, ad esempio) comincia a parlare dei Veda o del Tao. Ora, nella Cina comunista — come cento segni provano — si lavora alla saldatura fra le tradizioni morali e filosofiche della nazione e la cultura hegeliano-marxista, cioè occidentale. Lo stesso Mao Tze commenta Engels con i testi di Confucio e viceversa. Da noi si ride. Staremo a vedere. Trent'anni fa chi leggeva Cernicevskj o Herzen o Dobro-liubov? O Thoreau o Melville? Oggi, se vogliamo capire che cosa sta dietro i misteri del presente ci bisogna faticar su quei testi. Quel che la cultura del colonialismo, Kipling o Tagore, non è riuscita a fare con i grandi testi dell'oriente, lo faranno gli «uomini vestiti di biù », indirettamente, costringendoci a conoscere i loro padri per poter capire i nipoti.
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Il futuro é già cominciato. — A chi, come me, ha bisogno di apere di divulgazione, quel che scrive lo Junkg basta a dare i brividi. Questa immagine degli U.S.A. 1953 è davvero difficilmente sopportabile. Notare
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che la pritna reazione di fronte alle inverasiimiii storie dei lie-detectors, dei palli su misura, delle città atámiche e delle decisioni politiche prese dopo consulto dei cervelli elettronici, è, spontaneamente, luddista o cenobitica:
« tutti », ovvero: «.andare a vivere in clima a un monte ». La seconda reazione, invece, è di meditato attihusmo: il presente degli altri non è, necessariamente, 11 nostro futuro. I nostri contadini, che a sera già si raccolgono nell'osteria intorno alla televisione, trasformano fin d'ora la TV stessa, insensibilmente (e persino quella degli americani) più di quanto non ne siano trasformati. Per ogni vittima dello Human Engeneering nasce un uomo che le tecniche della Buona Educazione Produttiva non hanno previsto o non sanno domare; non l'ingenuo ribelle, ma il calmo liberatore di sé e degli altri, il disleale che salva la lealtà suprema.
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Non so se qualcuno ha notato, nell'Ingannata di Mann, la filigrana della storia di Enea e Didone. La figlia si chiama Anna, come Anna soror; la scena della confessione, dopo la festa, e grazie all'insonnia, non è senza rapporti con la scena notturna d'ell'Eneide; l'eroe viene dal mare; l'angolo del castello presso Düsseldorf corrisponde alla gratta virgiliana... Forse mi sbaglio, mia l'allusione non sarebbe estranea al modo di coatporre di Mann. Si può fantasticare the l'Annibale di quella Didone, l'ultor della ingannata, sia Hider.
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Incontri L. S. in libreria. L'hai visto un anno fa, l'ultima volta. Sai che ti ritiene un fanatico o uno stravagante. E tu lo stimi un brav'uomo, ma chiuso in un formulario critico che non sai apprezzare. Park; è cordiale, aperto, esprime opinioni ragionevolissífine, degne. Pensi al thno perentorio che hai impiegato, nell'artirnilo che proprio oggi hai rivisto in bozze, discorrendovi del suo ultimo lavoro. Se tu avessi parlato con lui, forse, avresti capito meglio, avresti evitato di dargli un dolore. Ti persuadi di essere avventato, leggero... Ma poi, tornando a casa, ci ripensi, si deve fare quel che si può fare, con gli errori e le ingiustizie, e non cercare di capire ogni cosa. Forse, realmente, l'arte e la letteratura e la poesia non ti interessano, ecco tutto. Ha ragione P., quando dice che quelli della nostra generazione, fra i trenta e i quarant'anni, non lasceranno libri ma solo i segni della fatica compiuta per passare dalla cultura del secondo decennio fascista a quella
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d'oggi, per intenderne i termini mondiali? Ma forse sono scuse. Guardo i più giovani, quelli che han fatto l'università dopo la guerra, e che ora son sotto i trent'anni: sono molto migliori di noi, lavorano seriamente, non hanno visto bruciare le biblioteche o non se ne ricordano, non si son trovati a dover maledire i migliori anni della loro vita, a passar mesi e stagioni dietro un reticolato e, soprattutto, non sono stati percossi dall'illusione che tutto potesse ricominciare con impeto e facilità... Penso a G. F., che é tornato, dopo quattr'anai d'India, alla sua filologia; a G. C., tornato, dopo la Germania, ai suoi studi di storia — no, le generazioni non c'entrano, i responsabili siamo noi.
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Il grido di Mohammed Sceáb,in Ungaretti 1919 (Ah, vivre libre ou mourir!), questa eco stravolta delle bandiere di Valmy, prefigura il destino odierno dei nordafricani, dei balcanici, dei mediorientali illusi dall'Europa: a Sofia, a Bucarest, al Cairo, i resti della borghesia sognano Paris, la liberté, Pigalle, mentre ai piedi di Ménilmontant la tisi ammazza a migliaia gli algerini emigrati. Ricardo quoi collaborazionista siriano, nel 191'l, anche lui « discendente di emiri », inebetito dietro un'astuta ragazza di Losanna; era dottore in Sorbona, i partigiani del Plateau de Langres gli avevano strappato le unghie dei piedi, diceva; e, di notte, delirava. Ma i più giovani non si suicidano più; o rischiano la vita acanto ai residenti, ai colonnelli, ai nuovi collabos, o sono rimasti, tornati da Parigi, con i loro compagni. Non so se gli studenti vietnamiti dalla faccia color di malaria che incontri per rue Soufflot hanno bisogno di andare al Museo Carnavalet dove pendono, dietro i vetri, gli stendardi ricamati con l'antico grido.
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Les communistes et la paix. Son due o tre anni che Sartre lavora a questo libro. La terza puntata é una storia del movimento operaio francese dal '70 a oggi. Non ha finito di sorprenderci. Corretto o scorretto che sia il suo disegno, impossibile non riconoscergli una forza eccezionale, una coerenza, una intensa capacità di persuasione. I rapporti fra tradizione prou-dhoniana e marxista, tra malthusianesimo industriale e birth-control, fra ouvriers professionels.e ouvriers specialisés (chiave della odierna «sacra famiglia » operaia), fra sindacalismo della « dignità » e sindacalismo del «bisogno » — e soprattutto il ritratto della Francia, con gli armadi delle sue famiglie parigine e provinciali dove si legge la storia di mezzo secolo di paure... Somiglianze e differenze con l'Italia: funzione diversa della disoc-
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cupazione, da noi (vedi l'importante scritto di Giolitti in Società), e, a conti fatti, situazione più aperta, paradossalmente. I due terzi della Francia accerchiano dunque l'ultimo terzo, il proletariato industriale, grazie alla funzione della piccola industria, sostenuta, come l'impiccato dalla corda (e con la minaccia di aprir la botola) dalla grande; nuova accezione del termine di feudalesimo, diversa da quella correntemente usata dai nostri polemisti quando parlano dei monopoli.
Da notare: la presenza di certe sfumature lessicali che paiono venire a Sartre dal recente libro di Mascolo (Le communisme) che egli ha difeso, or non è molto, dagli attacchi di Kanapa; e, mai citata, ma presente, la Weil de La condizione Operaia. La Weil concludeva male ma vedeva bene: lo sfaldamento sindacale come conseguenza del taylorismo, il significato dell'occupazione delle fabbriche nel 1936, l'invecchiamento dell'attrezzatura industriale, l'incoscienza del ceto impiegatizio dei gradi inferiori, ecc.
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«Perché non scrivere quel che si dice? ». Devo correggermi: ci sono, in realtà, le cose che si dicono e quelle che si scrivono. Quando si scrivono le cose che si dicono, queste perdono, è ovvio, il carattere parlato, perché la scrittura, qualunque essa sia, non è una trascrizione, ma una tradizione, un sistema di referenze. Decidere di lasciar documento d'una lettura, d'una impressione, d'una conversazione val quanto crederlo degno d'una funzione pedagogica, val quanto prendersi sul serio, laccio predestinato del dilettante. L'umiltà rinvia all'orgoglio. Per questo le note e i diari e gli appunti sono sempre, moralmente, postumi e si giustificano solo con l'opera omnia. Bisogna dunque confessar l'equivoco: la scrittura dell'appunto, la pubblicazione della lettera o della pagina di diario non hanno giustificazione se non in due casi, quello di un eccezionale esperimento stilistico e quello del tentativo d'una conversazione. Il valore della conversazione consiste nel fatto che la presenza fisica fa risparmiare automaticamente (e magari ipocritamente) una quantità di premesse, di precisazioni, e trova il suo rigore proprio nel rifiuto del rigore, nella vaghezza dei sottintesi; ogni conversazione, almeno in potenza, fonda un linguaggio iniziatico, un vincolo. Ora, da noi, è fortissima la cesura tra il linguaggio specializzato e quello degli articoli-prefazioni; nel mezzo, fluttuano le conversazioni, le parole volanti. Rischiare di affidarne una parte al piombo (metter loro, come si dice, piombo nell'ala) può disegnare il profilo d'una solidarietà. Ma, certo, bisogna esser più d'uno, il monologo ostinato non può trovar grazia.
FRANCO FORTINI
 
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1954 Mese: 5 Giorno: 1
Numero 8
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8


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