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tipologia: Analitici; Id: 1472275


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Orgosolo antica [e appunti di Ernesto De Martino sul pianto rituale sardo]
Responsabilità
Cagnetta, Franco+++
  autore+++    
Area della rappresentazione (voci citate di personaggi,luoghi,fonti,epoche e fatti storici,correnti di pensiero,extra)
Nome da authority file (CPF e personaggi)
De Martino, Ernesto+++   Corpo del testo:ampio brano trascritto di+++   Appunti sul pianto rituale sardo 
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
NUOVI ARGOMENTI

y. 10 Settembre-Ottobre 1954

INCHIESTA SU ORGOSOLO i

ORGOSOLO ANTICA

Chi inoltrandosi nel centro della Sardegna diretto allo sperduto paese di Orgosolo percorra lunga la camionabile la estesa e deserta pianura di granito e di macchia bassa che, desolata e silente, va per 40 km. da Orosei a Nuoro, vede all’improvviso — come una antichissima visione naturale — levarsi un monte di pareti dolomitiche bianche e scoscese — il monte di Oliéna — primo segnale di una lunga catena di monti uguali, e da esso nascosti, che per circa 40 km. si stende sino al mare.

In contrasto con la pianura bianco-grigia e tutta uguale che si attraversa — che è una gigantesca piattaforma di granito sollevatasi tutta insieme sul mare qualche milione di anni fa — quel grande monte, con la catena retrostante, si impone subito come una montagna mitologica — quale può essere, ad esempio, il Kiliman-giaro in Africa — e, scomparendo di tratto in tratto e sempre ricomparendo per la camionabile, dà l’impressione, sempre più intensa, di un immobile, tetragono nume del luogo.

Dietro quella montagna sta il paese di Orgosolo. Chi volesse raggiungerlo direttamente dalle coste del Tirreno incontrerebbe l’ostacolo di scoscesi e 'quasi invalicabili monti a strapiombo sul mare. La via più facile per accedere ad Orgosolo è quella che passa per la città di Nuoro ed è l’accesso storico seguito dalla preistoria.

La strada che, superato ai piedi il monte di Oliena, parte da Nuoro sino ad Orgosolo per quasi 18 km. è una salita costante e impercettibile su un grande altopiano di granito, ondulato a fasce, a gobbe. Arrivati al paese di Mamojada, e quivi presa una mulat2

FRANCO CAGNETTA

tiera stretta e polverosa, rigirando per curve continue, che sono tutte nascoste e dominate da massi e da dirupi, solo qualche quercia secolare, verde vivo, interrompe il monotono bianco-grigio della pietra, il caldo ocra dei terreni alluvionali, il verde cupo della macchia che su tutto impera.

Il paese di Orgosolo è disposto a mezza costa di una montagna bassa e orizzontale « su Lisogòni » e si eleva a 591 m. sul mare. A una svolta compare all’improvviso, misterioso, chiuso; visibile centro, e inconsapevole, di una vita non mutata da millenni, di uni antica, superstite civiltà.

È la più arcaica « città » di tutt’Italia, probabilmente di tutto il Mediterraneo.

Entrando per la via principale, che attraversa come un serpente tutto Orgosolo, l’abitato si stende in salite scoscese ed in ripide discese, attraversato da viuzze impraticabili scavate nella roccia o fatte con ciottoli taglienti, veri sentieri di capre e di pecore. In alto

lo sbarra un ammasso di pietre di granito frantumato in breccia, ed in basso una scarpata di pietra di calcare ridotta a pietrisco e sabbione. L’abitato non segue alcun disegno per l’altezza e per la larghezza : le case compaiono a livello e sotto e sopra la strada.

Sotto i tetti, fatti a tegole di ardesia o di legno, a primo sguardo sembra che non vi sia differenza alcuna tra abitazioni, se non nei piani che sono di solito uno, raramente anche tre. Eccezion fatta per alcune costruzioni più moderne, tutti i muri sono edificati con grosse pietre di granito squadrate appena, sovrapposte senza calce. Le case non sono imbiancate, in generale se non intorno alle porte e finestre. Porte e finestre sembrano, spesso, buchi ricavati, sfondati nei muri. Vi sono piattaforme di balconi ma senza ringhiere, perché il ferro, probabilmente, costa caro, e questo è impiegato soltanto per robuste spranghe che chiudono le finestre a piano terra. Non vi è nelle abitazioni, nel tracciato e nel disegno, alcuna fantasia, e soltanto le sbarre accennano, a volte, ad un disegno un po’ contorto, di tipo africano. In qualche casa si vede un cortile con il pozzo, deposito di legna, stalla di bestie, e sino a cinque e sei abitazioni vi si affacciano con ballatoi, o senza.

Tutto il paese appare duro, arcigno, severo: tradisce il suoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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carattere di accampamento in muratura per pastori che vivono la loro vita altrove, sopra i pascoli, e qui tengono le pecore e le capre a riposo di tanto in tanto, e custodiscono gelosamente latte e formaggio in pastorecci fortilizi.

Di tanto in tanto, confusi indifferentemente con le altre abitazioni, si possono vedere ancora quattro o cinque « fughiles ». Sono le case più antiche di Orgosolo, e, cinquantanni fa, tutto il paese era costituito da esse. Salendo per qualche gradino costruito con estrema imperizia, consumato, si accede in una stanza bassissima, che costituisce tutta l’abitazione. Una persona di normale statura è costretta ad abbassarsi per entrare e, una volta entrata, deve restarvi china. Di estate e d’inverno, molto spesso, vi investe sin dall’ingresso, una nuvola di fumo denso, scuro, che annebbia tutto, ed un odore acre, forte, di legna bruciata. Lacrimano gli occhi, il respiro è diffìcile. Attraverso quel fumo si intravedono in alto nella stanza due travi enormi, scurissime, bruciate, che sostengono un tetto di tegole di legno aperte solo!in un piccolo foro, da cui trapela la luce; sulle mura abiti attaccati ad un chiodo e attrezzi da pastore; al centro della stanza sul pavimento, che è solo terra ribattuta, un piccolo recinto chiuso con tre o quattro mattoni, in cui si fa il fuoco. Nessun mobile, se non qualche banchetto di legno, basso, corto, da nani. Scendendo per una botola con una scala a pioli di legno, quasi sempre sconnessa, si accede ad una fossa inferiore, una specie di tana scavata nel granito, dove, qualche volta, dorme l’intera famiglia.

È la più antica forma di abitazione in muratura che si conosca e, con la sua pianta a focolare centrale, continua, con rudimentale sviluppo, uno dei tipi della casa preistorica europea.

Uscendo dai « fughiles », e riprendendo la via centrale, dopo un caos di altre case, al limite del paese, si trova uno spiazzo largo, quadrato, pieno di polvere e di pochi alberi, che, a strapiombo, si affaccia sulle campagne circostanti. Ricompare incombente, quasi dolce, eppur pauroso, il monte di Oliena che, nel percorso tra Nuoro e Orgosolo, di tanto in tanto, si era lasciato intravedere.

Questo è il paese, dall’esterno, ma quel che ancor più forse vi colpisce è la visione di uomini e di donne inconsueti. Nei giorni normali, ad un estraneo che arrivi in auto, con la corriera quotidia4

FRANCO CAGNETTA

na il paese appare quasi sempre vuoto, spopolato. Uomini non se ne incontrano perché sono tutti, o quasi tutti, ai pàscoli. Si incontrano sulla via solo donne e vecchi.

Le donne di Orgosolo, tra tutte le pastore di Sardegna — per chi ne abbia un poco esperienza —-, si possono riconoscere facilmente. Di statura alquanto più alta della media delle sarde, col corpo ben modellato, slanciato, agilissime nel sedersi ed alzarsi da terra senza aiuto di mani, hanno visi quasi sempre belli, scuri e delicati, pur se un poco rustici, con occhi neri, vellutati, che, per profondità, sembrano avere una doppia pupilla. Lo sguardo delle donne orgolesi è cupo, intenso, ardente : sembra venire da una forza strana, ignota e primitiva. Predisposte nel corpo ad una certa rozzezza e nel volto a un certo declino, sui trentanni le orgolesi si fanno dure e legnose; il viso si copre di rughe, si devasta come avviene tra le giovani in Africa : più che ad un fattore climatico ciò è dovuto, piuttosto, al lavoro sfibrante di casa e di campagna che, dalla più tenera età, sono costrette a subire.

Nel modo di vestire di ogni giorno le donne orgolesi non si differenziano più da tutte le pastore di Sardegna, ma le distingue sempre ima cura maggiore nel vestito, una dignità di sé scomparsa ormai tra uguali categorie del continente; un portamento severo, un’andatura maestosa. Portano, di solito, una gonna scura marrone

o nera che a diecine di pieghe discende sino ai piedi, come è uso in Spagna; una camicia più chiara abbottonata al collo e ai polsi; larghi mantelli in lana grezza di color marrone o nero, oppur scure mantiglie a larghe frangie, come è uso in Spagna; piedi scalzi, quasi sempre, o sandali; e un fazzoletto che copre sempre il capo e, discendendo per il viso, viene rigirato sotto il naso come tra le donne africane, a ricoprire il labbro e il mento. Il modo di saper restare immobili, pur stando in movimento; il modo di guardare, con impassibile dignità; il modo di camminare sènza gesti scomposti, con classicità, sciolte, eleganti eppur solenni, le fa sembrare quasi statue viventi, monumenti di un antico mondo.

Se vi capita di vedere una donna di Orgosolo nell’antico, ora poco usato, costume del paese, troneggiante al sommo di una scala,

o accoccolata davanti ad una porta, il paese vi si rivela allora, conINCHIESTA SU ORGOSOLO

5

sgomento direi, in tutta la sua misteriosa, millenaria profondità. È un costume fastoso, teatrale, quasi irreale e pauroso, per i ricordi che evoca.

Su una larga gonna marrone, lunga sino ai piedi, son sovrapposti tre grembiali : uno, di orbace rosso, che si chiude all’orlo con un nastro di seta verde; un altro, uguale; un terzo, più piccolo, di orbace rosso, che sormonta i primi due, ma ricamato in seta con fili d’oro, di rosso, di blu, di verde, a contrasto violento, drammatico, con disegni di fiamma, di braccia vegetali, che ricordano, stilizzati,

i contorni degli antichi candelabri Ebraici. Sopra i grembiali vi è una camicia bianca, pronunciata sul petto, chiusa con grandi bottoni d’oro a forma di una grande chiocciola, che sormontano due giubbotti: uno, di orbace rosso, con maniche larghe, ricamato con quegli stessi fili di policrome sete, con fregi di foglie, di alberi, che ricordano le tavolette di Babilonia; l’altro, funereo, stretto alla vita e senza maniche, che rinchiude il primo.

Il pezzo più singolare di tutto il costume è, però, un rotolo di seta rigida, tessuta a grana grossa, di colore giallo scuro — una specie di papiro di antichi Egiziani — che si pone sul capo e si avvolge intorno al volto, sì che — come da una remota profondità — ne spuntano solo gli occhi, e il naso (1).

Malgrado l’insieme dei pezzi, così vario ed eterogeneo, la manifesta provenienza da così antiche civiltà, quel costume ha pure una

(1) Il prezzo medio dei singoli pezzi del costume è il seguente: sa vranella su sa ’ittu sa veste sa antalena sa ’ammisa su zippone sas palas su liunzu sa caretta su sacchittiddu s’aneddu issu lumene

sos butones

sa ’orona

sas iscarpas nieddas » » zelinas

gonna L. 2.000

primo grembiule » 10.000

secondo grembiule » 10.000

terzo grembiule » 15.000

la camicia » 2.000

primo giubbetto » 10.000

secondo giubbetto » 6.000

la benda » 15.000

zucchetto » 1.500

sottoveste » 1.500 Panello del nome (con iniziali)

gr. 50 d’oro » 15.000

i bottoni d’oro gr. 50 » 75.000

fermaglio d’oro » 10.000

corona di rosario in madreperla » 9.000

scarpe a stivaletto nere » 4.500

scarpe a stivaletto gialle » 4.5006

FRANCO CAGNETTA

sua unità, una fusione conseguita in Orgosolo e, nell’insieme, sembra precedere Israele, Babilonia, Egitto, come in un’epoca comune ai primitivi, oscuri aborigini Mediterranei.

In tutto il paese si incontrano quelle donne, in costume antico, in costume moderno, sedute ferme, impietrate sulle vie, o in continuo movimento intorno alle fontane, con le anfore in testa, che portano sempre con estrema eleganza. Le vedi anche in corsa, in affanno, per motivi che non è dato intuire, ma sempre, certamente, in faccende, mai a passeggio per diletto.

È il primo, profondo segno di quel popolo
Sullo spiazzo in fondo al paese, di fronte al precipite, gigante monte di Oliena, stanno invece, quasi tutti i giorni, seduti sulla terra venti o trenta vecchi. Stanno al sole, dal mattino fino a sera, per riscaldarsi fino a che ce n’è un ultimo raggio; a chiacchierare tra loro; a giocare a carte, di tanto in tanto, accanite partite a una lira la volta. (La « Montecarlo di Orgosolo » — dicono i giovani argutamente). Il loro aspetto non è meno sorprendente di quello delle donne. Stanno lì, calmi, contenti del calore, come lucertole già stanche, dalle facce dure, squamose, eppur dolci. Alcuni portano lo antico costume di Orgosolo che consiste in un giubbone di pelli grezze di pecora, appena ricucite — come tra i popoli più primitivi —, che sormonta, a volte, ancora un altro giubbone nero, di orbace; in pantaloni larghi di tela bianca, a mezza gamba; con uose

o pezze ai piedi; ed il nero berretto frigio di Sardegna issato sulla testa. Altri portano camicie inamidate a cento pieghe, e macchiate tutte di vino; pantaloni di soldato ridotti a toppe; berretti di velluto con chiazze e strappi. Quasi tutti ricordano figure da Antico Testamento: con peli bianchi che discendono da sopra gli occhi, dalle orecchie, dai baffi, in una barba morbida, fluente, ben disposta in pieghe ondulate, che scende sino a metà petto. Hanno in mano vincastri contorti, bastoni maestosi da pastori.

Un quadro di tremila anni fa!

Questo è l’aspetto che compare per primo, superficiale, al visitatore, ma, cominciando a conoscere, a penetrare nel paese, voi vi accorgerete che esso non è così esterno, non vi tradisce : esso è rivelatore, proietta un mondo locale.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Uno sguardo ad alcuni primi dati statistici sopra Orgosolo vi dà una fisionomia del paese che lascia trapelare certo, ma non certo intendere, quello che si nasconde nel fondo in quel mondo. Per conoscere Orgosolo bisogna conoscerà i suoi uomini, parlare con loro, comprenderli : essere amico dei cittadini di Orgosolo. Bisogna, soprattutto andare a cercarli mentre fanno i pastori in campagna, sapere le loro biografie, conoscere la storia antica e moderna del paese.

Per la scarsezza di fonti ufficiali, e non avendoli raccolti il Comune, i miei dati sono stati raccolti da pastori, in inchiesta privata.

Orgosolo ha, attualmente, una popolazione di circa 4312 abitanti, con una percentuale di uomini poco superiore alle donne, e 330 famiglie (2).

(2) TABELLA DELLA POPOLAZIONE DI ORGOSOLO

SECONDO I-CENSIMENTI UFFICIALI DAL 1676 AL 1951

Stato sotto il quale si è evolto il censimento

S ®

-5 8P

•3 g«

£ fi

Totale delle famiglie

3 5 " £

0 CU

Regne de Sardeyna (Corona di Castiglia ed Aragona)

»

Regm/di Sardegna

Regno d’Italia

Repubblica Italiana

1688

1698

1728

1751

1839

1842

1848

1861

1871

1881

1901

1911

1921

1931

1936

1951

1188

1528

722

1256

2058

2077

2110

2009

1943

2174

2845

2988

2896

3062

3146

4251

599

750

897

1077

1010

1468

1466

589

778

859

1000

999

1594

1688

1830

2629

2959

3560

113

96

29

344 (fuegos) 487 ”

174 (fuochi) 530 ”

507

494

421

643

760

391

414

384

N.B. — l dati dei censimenti del «Regne de Sardeyna» (Corona di Aragona e di Castiglia) sono riportati dai documenti originali pubblicati integralmente in: Francesco8

FRANCO CAGNETTA

La maggior parte degli uomini esercitano, indiscriminatamente, il mestiere di pastori transumanti, seminomadi. Verso i primi di settembre — per il clima, e non possedendo pascoli privati — discendono nelle pianure circostanti — in Campidano, in Baronia, in Ogliastra, in Gallura — ad affittare pascoli da privati proprietari per tenere i propri greggi individuali di 50-100 capi in media. Verso i primi di giugno — e se il clima lo richiede anche oltre — ritornano in Orgosolo e vanno a pascolare, quasi tutti, nel territorio comunale, e molti ancora, perché arrivati tardi o per un pascolo migliore, in territori affittati da privati proprietari.

Ciascuno si industria, con un campo o con un orto, a fare un po’ di agricoltura ad uso familiare (grano, orzo, patate, alberi da frutta ecc.) : contadini in senso proprio si può dire che non esistono in Orgosolo.

Gli artigiani sono 57 : 20 muratori, 5 fabbri, 7 falegnami, 6 sarti, 15 calzolai, 4 barbieri. Ciascuno, in casa propria, si industria di farsi quello che gli occorre. E, di volta in volta, si rende occasionale artigiano per servire gli altri, se richiesto.

Gli impiegati sono 28, tra cui 4 professionisti: 11 impiegati per il Comune (1 segretario, 2 applicati, 1 messo, 1 bidello, 1 banditore,

1 guardia urbana, 2 guardie campestri, 1 cantoniere, 1 becchino), 1 medico, 1 farmacista (in casa), 1 ostetrica, 1 veterinario; 1 esattore;

2 per le Poste e Telegrafi (1 titolare, 1 postino); 2 per la Parrocchia (1 parroco, 1 vice-parroco).

I negozianti sono 14: 4 possessori di spacci di alimentari e vari (non esiste alcun negozio di generi specializzati); 2 di sale e tabacchi; 8 di bettole con vendita di vino, birra, acquavite.

In tutto il paese non vi sono fogne (se non un solo condotto nella strada principale); vi è la luce elettrica, introdotta da non molto a 160 volt, da una impresa privata, ma non in tutte le case; vi è l’acqua in poche fontane pubbliche, ma non nelle case, o solo in pochissime; vi è 1 pubblico telefono.

Corridore, Storia documentata della popolazione di Sardegna (1479-1901). Carlo Clausen, Torino, 1902, pp. 330. I dati dei censimenti del « Regno di Sardegna », del « Regno d’Italia » e della « Repubblica Italiana » sono riportati dalle relative pubblicazioni ufficiali. Quelli del 1951 sono ancora in elaborazione.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Gli istituti pubblici sono il Municipio, la Posta, 1 scuola con 5 classi elementari, 1 — incredibile — ambulatorio (l’acqua bollita per le iniezioni i clienti devono portarsela da casa); 1 chiesa e 12 cappelle, 1 cimitero.

Dei carabinieri e della polizia si dirà dopo.

In paese vi sono: 1 camion, 1 trattore, 5 motociclette, 10 biciclette; qualcuno ha la radio; cinema nessuno.

Se il paese sembra, a prima vista, un miserrimo paese — come tanti di Sardegna — esso è invece potenzialmente ricco, uno dei più ricchi di Sardegna.

Il territorio comunale è di 22.695 ha. di terreni — il secondo, per estensione, dopo Villagrande Strisaili, e Urzulei, di tutta la Sardegna. È importante qui rilevare in rapporto alla popolazione, ed è un indice impressionante, forse il più basso d’Italia, che la densità è di 13,5 ab. per km2.

La sua superficie territoriale, che raggiunge 40 km. circa di estensione nei punti più distanti, è tenuta quasi tutta a pascolo e a foresta.

I dati esatti della superficie tenuta a pascolo mancano. Si possono aggirare, per calcoli approssimativi sul 55 / 100 del totale. La superficie forestale — secondo i dati gentilmente fornitimi dal locale ufficio forestale — con non meno di 800.000 piante — quasi tutte quercie di leccio, poche di rovere, e perastri — è di h. 6800 (2000 Demaniali, nelle regioni Funtana Bona, Vallone, Supra-monte; 4000 Comunali, nelle regioni Fundales, Sulittu, su Pradu, Murgugliai, Mariuzza, Supramonte; 800 privati, nelle regioni Gat-toré, Lenardeddu, Monte Pertusu). Purtroppo quasi metà di tutto il patrimonio è intaccato nel frutto ghiandatico e nelPincremento — e senza alcuna misura di provvidenza da parte della Regione e dello Stato — dal bruco « Limantria dispari ». I dati esatti della superficie tenuta a coltivato, in generale orti, mancano. Si possono aggirare, per calcoli approssimativi, sul 15 / 100 del totale. Il numero del bestiame (mancan i dati esatti) si aggira, all’incirca, su 53.200IO

FRANCO CAGNETTA

capi. Pecore : 29.000. Capre : 8500. Maiali : 3000. Bovini : 2300. Asini e cavalli: 400 (3).

È un patrimonio che, indubbiamente, è tra i primi di tutta la Sardegna.

Una ricchezza sconcertante in contrapposto alla miseria, al livello di vita in cui vive la popolazione.

Per avere una prima nozione di questo fenomeno, delle sue cause, bisogna andare nelle campagne a conoscere i pastori, il territorio.

Il 17 luglio 1954 mi sono recato in località « Orgurui » a 8-9 km. dal paese ad intervistare il vecchio pastore Floris Carlo fu Giovanni e fu Sanna Maria Antonia, di Orgosolo, nato, probabilmente, il 1877. Ecco i miei appunti dell’intervista, avvenuta tramite i pastori Succu Giovanni Antonio e Marrosu Antonio, di Orgosolo.

« Mai uscito da Orgosolo. Il paese lo conosce. È da 17 anni senza andare al paese. Non va al paese da 17 anni. Prima andava ogni tanto, ogni 3 o 4 anni. Al paese? Che ci ha da farci? Sta meglio qui. Non ha mai fatto il soldato. A Nuoro ci è andato, per la leva. Ma non lo hanno voluto perché era basso. E un’altra volta

(3)

TABELLA DEL BESTIAME DI ORGOSOLO SECONDO I 2 SOLI CENSIMENTI UFFICIALI

Stato sotto il quale si è svolto il censimento

Regno d’Italia

o

-Ss 81 <s

1908

1930

rt

P «

16.313

15.892

O

102

177

Asini

21

37

Muli

Bovini

1809

1235

Suini

4156

1935

Ovini

6424

9891

c

a,

rt

o

3801

2617

N.B. — I dati dei due censimenti sono riportati dalle relative pubblicazioni ufficiali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio e dell’istituto Centrale di Statistica. Sono da ritenersi molto al di sotto del numero effettivo di bestiame esistente in Orgosolo se si tiene presente che qui è abitudine generale evitare la denunzia poiché si tiene in sospetto ogni operazione statale.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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che lo hanno arrestato. Perché gli hanno trovato un fucile qui vicino che non era il suo. Ha visto Nuoro solo nel carcere. Il Continente ? E chi lo conosce ? Non sa nemmeno che cosa è. Sta a pascolare le galline. Prima pascolava le pecore. La mattina si sveglia come le galline, alle 5, alle 6. Prima si svegliava alle 5, alle 6, come le pecore. Tiene attenzione alle galline. A mangiare, verso l’una, sa mangiare. Anche il vino sa bere, se ce n’è. Guarda sempre le galline. Il suo mestiere è questo. A dormire come le galline. Quando fa tardi. È come loro. Non sa i soldi. Se gli date 5 lire dice che è mille lire. Non sa le 1000 lire. Quelle non le sa. Troppo abbandonato! Una volta gli hanno dato 500 lire. E che se ne fa ? Ha fatto il pastore alle pecore, ora il pastore alle galline. Il letto, in vita sua, non lo conosce nemmeno adesso che è vecchio. Dorme a terra. Ha paura di guardare lo specchio. Il pettine lo ha conosciuto 10 anni fa. Conosce la fico d’india: questa sì. Il treno? E che treno? L’automobile? Lo ha visto sulla strada 3 volte. L’aeroplano? Lo ha visto passare qui sopra, 1 volta. Non sa il binocolo. Il cinema ? E che cinema ? ! La radio? Non la ha sentita. Il giornale? Lo ha visto. Non sa leggere. Non sa l’italiano. Che capisce? A modo suo. Non sa niente neppure di religione. Solo di galline. Il fucile? Quello lo sa! Non sa sparare, ci ha paura. Ma quello gli piace! Sa la leppa, il coltello. L’ha in tasca, taglia la fico d’india, per la gallina: a mangiare. E mangia anche lui. I ricordi? Non si ricorda niente. Ricorda le pecore. E ora sa le galline. Sentite che sta a parlare con le galline ? Sempre solo. Ma è sano, di mente. Sanissimo!! ».

Il suo liguaggio, intercalato a parole umane — incredibile a dirsi — aveva suoni di gallina.

È questo — ben inteso — un caso molto grave, un caso limite :

10 riporto qui solo perché si possa intendere in quali assurde condizioni si può vivere nelle campagne di Orgosolo. Ma non è un caso unico. Situazioni consimili — e conoscenze quasi uguali — le ho trovate in qualche altro pastore: Mameli Francesco fu Salvatore e fu Corsi Filomena, di Nuoro — ma in Orgosolo dal 1919 —, nato

11 1890-64 anni! —, intervistato da me in località Ghirztauru il 17 luglio 1954; Muravera Salvatore fu Giovanni e fu Catgiu Anna, di Orgosolo, nato, probabilmente, il 1877, da me intervistato in lo12

FRANCO CAGNETTA

calità vicino « Orgurui » il 17 luglio 1954. Un altro caso, forse più grave, era quello della pastora Lovicu Eufrosine, detta « zia Fru-sina », morta l’anno prima di quest’inchiesta, assente dal paese — a quanto mi dicono — da 30 anni. La vita nelle campagne è, in Orgosolo, una vita a sé, staccata in certo senso dal paese: si svolge, a volte, quasi come su un altro pianeta, in un universo chiuso.

Ma nessuno, in Orgosolo, può completamente sottrarvisi.

Si può pensare che i casi da me citati siano unilaterali: che riguardano solo 3 o 4 vecchi e uomini che vivono in condizioni di eccezione. Quale è la vita dei pastori comuni, dei più giovani, dei pastori che vivono in condizioni medie? Quale è la vita di questi pastori di Orgosolo nelle campagne?

Chi non conosce, ad esempio, la classica montagna di Orgosolo — il Supramonte — nella quale ogni orgolese che eserciti la pastorizia più di una volta nella vita è costretto a soggiornare, a fare un’esperienza che non ha paragoni con il pastore di altri paesi, non può dire, in verità, di conoscere bene il paese di Orgosolo.

E conoscere a fondo il paesaggio, il territorio — conoscere, cioè, le condizioni naturali in cui si svolge la vita del pastore — è, in Orgosolo più che ovunque, condizione indispensabile per conoscere i pastori, per comprendere il paese.

Con la guida del pastore Salvatore Marotto, del barbiere Alberto Goddi, dello studente Domenichino Muscau, di Orgosolo, dal

1 al 3 luglio 1954 mi portavo per due giorni ed una notte sulla montagna del Supramonte.

Le possibilità di accesso al Supramonte, a dire il vero, sono alquanto particolari: da centinaia di anni il Supramonte è noto non solo per la vita dei pastori, ma come il covo dei banditi del paese. Raramente orma umana — si può dire — si posa sul suo suolo, se non è quella di orgolese spinto da bisogno di pascoli o da necessità di bandito; e, più raramente, di carabiniere che si spinge a perlustrare — assai di rado — e con paura e con rischio. Da centinaia di anni sul Supramonte si svolge la vita più segreta, più drammatica del paese: è come il tempio, l’Acropoli del vero uomo di Orgosolo, del pastore e del bandito.

La montagna del Supramonte, è una immensa catena ad altoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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piano — che è il prolungamento della montagna di Oliena — è posta nel vero cuore del territorio del paese. Solo da due anni una impresa di taglio di legname ha costruito una mulattiera strettissima, in salita, tutta in giro su burroni, che per 16 km., con dislivello di 500 m., conduce sino alle falde della montagna. Chiusa la impresa, questa strada è ora nel quasi completo abbandono. Attraversandola si ha una prima impressione di quello che è il più interno, riposto territorio del paese: grandi fasce di graniti bianchi, su tutto l’orizzonte, sono coperti da una fìtta boscaglia alta quanto un uomo; grossi blocchi di pietra, di tanto in tanto, si levano, in mezzo al verde scuro, come antiche ossa mastodontiche, come preistoriche abitazioni abbandonate. Dopo due ore — penetrati in una fìtta foresta di quercie —, quasi all’improvviso, si vede sulle teste tutto il Supramonte.

Una montagna inconsueta, di tetro fascino.

Fatta a grandi fasce di rocce ad andamento orizzontale, tut-t’intorno alte pareti a strapiombo, nude, attraversate solo da fratture verticali ricoperte di bosco la rinchiudono : la rinchiudono come in un pietroso mistero, naturale, cupo, preistorico sarcofago.

La parte inferiore è, visibilmente, di dolomite: con canaloni precipiti, con declivi grigiastri di pietra, di sabbia; la parte superiore, di calcare, tutta bianca, erosa, forma un caos di massi, di rupi che, quasi sempre, luccicano al sole.

È la più remota, la più selvaggia montagna di tutt’Orgosolo.

Nell’epoca primaria — 400 milioni di anni fa — la grande impalcatura granitica che costituisce la Sardegna era emersa unita dalle profondità marine; nell’epoca secondaria il mare era tornato ad invadere e coprire le coste nord-orientali di tutta l’isola; e nella epoca terziaria, nel periodo cretaceo — 100 milioni di anni fa — una grande sollevazione aveva portato in alto tutti i depositi del fondo marino — le dolomiti (più pesanti), i calcari (più leggeri) — che, costituendo una montagna, un altopiano, si erano fermati, appena ripiegati. Passando dallo stato incandescente dell’uscita a quello successivo del raffreddamento, tutta questa montagna si era spaccata in enormi crepacci, in grandiose fratture. Erano 10014

Branco cagnetta

milioni di anni che il Supramonte stava là, arcano, immobile: la Sfinge di Sardegna.

Sopra il tetto dell’altopiano si può accedere solo per due impressionanti scalinate naturali di rocce e di boschi. Scivolose pareti, di tanto in tanto interponendosi, vi costringono spesso all’ascensione. Sulle due punte che chiudono le scalinate — « sa pruna », alta 1416 m., « Lollòine », alta 1351 m. — grandi massi naturali, modificati probabilmente dalla mano dell’uomo, vi minacciano, per tutto il tempo, a forma di feritoie, di fortilizi.

Quasi alla fine, dopo 4 ore di salita, si può vedere quasi per intero l’orizzonte di tutti i monti che rinchiudono il territorio di Orgosolo: a sud, si vede una immensa distesa di grosse quercie verdi, come sospesa in un’amosfera immobile, senza segno di vita; e, lontano, i monti dalla strana forma di buccina, per cui si chiamano il Corno di bue. A nord, si vede uno sterminato territorio deserto, pietroso, tormentato, con al centro la punta a cono del monte di Gonàri; accanto la precipite montagna di Oliena, con ai piedi la larga foresta, quasi vergine, di Murgugliai, nella quale il 1899, si scontrarono le più grandi bande dei latitanti di Sardegna (di Lovicu di Orgosolo) contro 200 carabinieri, poliziotti, soldati.

Ancora un poco e si sarà sulla tettoia dell’altopiano (quale sorpresa vi aspetta?).

A chi lo guardi la prima volta affacciandosi e quasi all’im-provviso — l’altopiano si presenta sotto gli occhi come una catastrofica, una paurosa visione. È un mondo lunare, un mondo non umano.

Una lunga e stretta pianura, lunga circa 20-30 km., colore di ossa, si stende sotto gli occhi con un paesaggio di asprezza, di drammaticità certo rara. Non vi è terra, probabilmente, che riesca a conservare così evidenti, così chiari, i segni della sua antica storia minerale, della sua millenaria vita geologica.

Certamente, come si è detto, in primo tempo era il fondo di un mare. Nel periodo cretaceo — quando nel mondo esistevano solo i rettili terrestri, acquatici, volanti, e non esisteva ancora il Continente — il mare, invadendo questa terra, ne aveva distrutto ogniINCHIESTA SU ORGOSOLO

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cresta, la aveva spianata. Restano i segni di alte rupi, superstiti, di antichi isolotti, come il colle tabulare o «tacco» di S. Giovanni, alto 1316 m. Ritiratosi lentamente nel Tirreno, il mare, poi, — agevolato da quella piana forma di tettoia — aveva disseminato il fondo, a vista d’occhio, di un caos di massi, di sassi, di ciottoli di detrito.

Nel più tardo periodo pleistocenico, nell’epoca quaternaria — quando tutte le superfici emerse erano coperte da nevi eterne — anche un ghiacciaio doveva essersi deposto sull’altopiano, come dimostrano le alte pareti laterali, lo scavo ad U che, nella parte superiore, compare quasi al centro.

Ma solo inoltrandosi, scendendo nel pianoro, il Supramonte comincia a rivelare il suo mondo strano e tenebroso, il suo segreto.

Tutta la superficie della roccia — come un immenso pavimento di pietra — compare formato di piccole scanalature, di lunghi solchi, di sottilissimi crepacci, di scarsa profondità o enormi (a volte 100-200 m.) non tali, in verità, che impediscano di camminare, ma insidiose, paurose trappole, che i pastori sogliono coprire con rami messi a traverso, con tronchi, perché le pecore e le capre non vi spariscano.

Tutto il paesaggio, invece, non ha segni di grossi solchi: alvei di torrenti, letti di fiumi, valli; ed è privo di ogni corso d’acqua superficiale. Solo in fondo, alla fine del Supramonte compare una enorme frattura tra due pareti altissime di un bianco quasi accecante: « Gorropu ».

Di tanto in tanto, in tutto il territorio, si aprono voragini circolari, imbutiformi, di piccola profondità, o tali che le pietre lanciate dai pastori non rispondono più con un tonfo di caduta — per esempio « su disterru ». Cadaveri di pastori assassinati si trovano in queste buche e qualcuna prende nome da loro, come, per esempio quella « Matteo Grua », ucciso nel 1917.

Sono le « nurre », le misteriose cavità del Supramonte, così antiche che sembrano nella denominazione ricordare i Nuragici, i primi abitatori della Sardegna.

Non vi è dubbio che si tratta di un paesaggio tipico del calcareo: di un carso.16

FRANCO CAGNETTA

Il carbonato di calcio, di cui è costituito il terreno, alla caduta delle pioggie, al contatto con l’anidride carbonica che vi è contenuta, si scioglie, si fora in tutte quelle crepe, quelle voragini, in un processo che è in corso dalle origini, da 100 milioni di anni.

Tutto il sottosuolo deve essere forato in un sistema di ranali, di fiumi sotterranei, di grotte naturali. Si conosce il fiume di « Gor-ropu », che si inabissa di un tratto nella terra, con gorgoglìi paurosi, spumeggiando in una voragine, di cui non si vede il fondo, in onde nere. Si conoscono le grotte di « sa pruna » e di « capriles », nascoste da vegetazione nelle imboccature, ma nelle quali, penetrando a lume di rami di ginepro accesi come è l’uso dei pastori, si scoprono — come per incanto — stallatati, stalagmiti, frangie, panneggiamenti; e in esse corrono su argille rosse piccoli corsi d’acqua impetuosi; stanno immobili, dalle nere acque stagnanti, misteriosi laghetti. Non è difficile trovare nei più riposti cunicoli, nel più profondo delle rocce, cartuccie abbandonate, resti di ossa di sontuosi banchetti di banditi. Diecine di rivi sconosciuti, di grotte sconosciute si nascondono, probabilmente, nelle visceri della terra.

Una lunga e coraggiosa esplorazione e una indagine accurata potrebbero ricostruire la idrografia sotterranea del Supramonte.

Una prova dell’esistenza dell’acqua nel sottosuolo — che stagna e corre come in un grande serbatoio — è data anche dalla esistenza di qualche sorgente tutt’intorno alla fascia esterna del monte, dove la copertura calcarea è stata forata.

Tutto l’altopiano, invece, in superficie, non ha una sola goccia di acqua.

I raggi del sole sono così roventi che quasi tutta la terra bolle sotto i piedi; di tanto in tanto, dilatandosi, produce crepitìi.

Quasi ogni giorno, all’improvviso, si levano venti di tramontana, quasi gelidi anche in stagioni soffocanti, e sì veloci — a 100 e più km. orari — che la stessa faccia del viandante vi viene deformata. Con il trasporto di polveri, di detriti di pietre, spazzando il suolo, questi venti hanno levigato, lisciato il pavimento in grandi lastre bianche, fino a farle luccicare.

II clima è arido, tipicamente desertico, con gran calori diINCHIESTA SU ORGOSOLO

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giorno e freddi intensi la notte, in tutte le stagioni. Alcuni giorni di estate sono più freddi di quelli d’inverno, e viceversa. Raramente si deposita neve.

La vegetazione lungo i bordi dell’altopiano è molto scarsa, o quasi inesistente: macchia bassa, ginestre e arbusti di ginepro — ma dell’altezza quasi di un uomo — questi, con le radici affondate sulla nuda roccia e le braccia dei rami, secche, tese in alto come per disperazione.

Al centro dell’altopiano, invece — dove il calcare è più duro e resistente, e lo scolo delle acque ha trascinato anche argille — si distendono grandi, immense foreste con piante di quercia di leccio, quasi tutte, e dell’altezza di 20-30 m.: foreste vergini, e inconsuete per uguale densità — probabilmente — in ogni altra regione di Europa, dalle quali, quasi, non meraviglierebbe veder spuntare un mostro preistorico. Fitti intrichi di rami — quasi simili a liane — e fogliame tutto distrutto dai bruchi, sono di tanto in tanto, interrotti solo da spianate di enormi quercie spiantate dal fulmine. Per intere stagioni qui i fulmini dominano con il loro fuoco elettrico, e di piante secolari fanno, di tratto in tratto, solo grandi mucchi di ceneri.

In tutto il territorio d’intorno, su quel cupo deserto di pietra, di alberi, di tanto in tanto si levano aquile reali e volteggiano nel cielo in diritto volo, riconoscibili nelle regioni delle nuvole; in cerca, con grandi giri di esplorazioni, di un animale vivo su cui avventarsi per sfondare il cranio, succhiare il cervello.

Dalle macchie, dalle rupi si levano anche avvoltoi con volo lento, a grandi giri, in cerca di carogne, di carne marcia su cui affondare gli artigli, il becco; e solo il sibilo del vento ed il loro stridio di uccelli feroci — simile quasi a un fischio soprumano —-interrompe, lacera il silenzio profondissimo.

Sulla terra, man mano che si avanza, piccoli ragni bianchi, a torme, ricoprono le rocce. In tutti i boschi, di inverno dormono i ghiri — cibo prelibato dei pastori — d’estate si arrampicano sulle piante, silenti. È il Supramonte, nelle foreste, anche la tana dei mufloni e dei cinghiali. Dei mufloni, i misteriosi ovini rossi dalle grandi corna, dal pelo corto e quasi senza coda, progenitori della18

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pecora; e dei piccoli cinghiali neri, poi bianchi, fortissimi, zannuti, progenitori del maiale. Corrono soli o in truppe guidate dal più forte, prosecutori di una vita zoologica già trasformata al piano e qui uguale identica da millenni, depositari dell’antico segreto della trasformazione della specie.

Qui tutto è estraneo, tetragono, insensibile ad ogni mondo di uomo.

Un Eden spaventevole!

Questo è il Supramonte, il più isolato territorio di Sardegna, il cuore dell’Orgolese, tutto avvolto nel mondo minerale, vegetale, animale; misterioso, oscuro come il territorio di un altro pianeta.

In esso vive il pastore di Orgosolo, il pastore medio, il pastore giovane: il pastore del 1954.

Quando inoltrandomi nel bosco avevo cercato — e quasi con disperazione — i primi segni, il primo volto di un uomo, mi ero trovato di fronte a indizi di una estrema, incredibile primitività.

Di tanto in tanto si trovavano piccole conche naturali, dovute all’erosione, coperte da una pietra : erano il solo segno umano, dei pastori che così conservano l’acqua delle pioggie dalla 'evaporazione solare, « sos presetos ». Bisogna sdraiarsi per terra, succhiare come le bestie.

Di tanto in tanto, nel bosco, vi erano mucchi di pietre rudimentali, per indicare la via, ad uso dei pastori.

Si sentiva lontano lo scampanio delle capre, delle pecore; ma non si vedeva un solo uomo.

Solo verso il centro, dopo 3 o 4 ore di cammino, avevo trovato le prime traccie di abitazioni, il primo segno vivo dei pastori.

Sono capanne di rami di quercia, secchi, bianchi, ammucchiati a cono — « sos pinnettos » — in forma simile a quella dei tucul africani. Seguono tutti una disposizione di più capanne, a semicircolo, con uno spiazzo nel centro, e attorno, quasi sempre, si levano grandi pietre quadrate di una antica città. Era il luogo dove sorgeva un abitato primitivo. E ancora il cerchio — 3000 anni fa come oggi — lo distingue. Di solito vi è vicina, sempre, una fonte: la vegetazione più intensa, più verde lo denuncia; ed è certo laINCHIESTA SU ORGOSOLO

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presenza dell’acqua la ragione di questa identica, immutata dislocazione.

Qualche volta i pastori abitano ancora nei Nuraghi — nelle grandi torri coniche e mozzate dell’antica civiltà della Sardegna —; ed i due Nuraghi del Supramonte — Nuraghe Mereu, e Nuraghe intro de patenti — portano sempre tracce di permanenza, di accampamento dei pastori.

In località « campu boariu » mi erano apparse di queste capanne e, all’improvviso, piccole pecore magre e macilente, grigiobianche. Di contro a noi ci erano venuti cani magri, affamati, ululanti, e non avevo inteso che fischi, urla acutissime, volare di sassi. La mia guida, Salvatore Marotto, aveva levato nell’aria un grido rauco, gutturale, e, come geni del bosco — inattesa apparizione — erano comparsi prima uno, poi due, i primi uomini del monte.

Due uomini di bassa statura, minore del normale, anziani, con facce scure e barba irsuta che da molti giorni non vedeva il rasoio, vestiti di velluto scuro e sporco, con gambali coperti da traculente borchie di metallo. Avevano parlato a lungo, in stretto dialetto orgolese, con aria di sospetto, e poi ci erano venuti incontro con lento passo, con gesti lenti — quasi immobili — coperti dai raggi del sole che filtravano tra i rami.

— Siete venuto per « bene »? Non sarete un poliziotto?

Erano 30 giorni che non scendevano in paese, non vedevano

uomini da altrettanti giorni, e da anni uno venuto da « fuori », uno straniero ad Orgosolo.

L’ospitalità di questi pastori è — passato il primo sospetto —, l’ospitalità degli uomini che scoprono, ad ogni nuovo incontro, la esistenza dell’uomo. È un’ospitalità di tempi arcaici, di uno scomparso rispetto per l’uomo.

Eravamo entrati nella capanna, il cui interno era assai rozzo, primitivo : vi erano pietre e tronchi tagliati per sedili, una caldaia, a terra, pelli di pecora per letto, e mazze, e borse di pecora alle pareti.

Mi mettevano davanti tutto quello che avevano, in recipienti di sughero: pane; latte cagliato, formaggio di pecora; una borraccia di vino.

— Mangiate! — gridava uno minacciandomi con il coltello.20

FRANCO CAGNETTA

— Bevete! Mangiate! — gridavano tutti e mi riempivano le mani.

Dovevano essere così gli ospiti dell’antico mondo, così dissimili dai molli, corrotti Trimalcioni dei nostri tempi. Si è perso ovunque, se non in queste regioni, quel rapporto di banchetto di tribù in cui l’ospitante gode, tripudia nel veder mangiare il suo ospitato, si sazia con la sua fame poiché, una volta entrato in qualche modo nella tribù, lui e l’altro sono ormai come una unità comune, quasi un solo corpo.

— Quanto tempo restate al Supramonte?

— Sei, sette mesi. Da giugno a novembre.

— E l’inverno?

— Non si può stare. Ci stanno solo i disperati. Quelli che non trovano pascolo.

Vivevano in questo paese in condizioni più dure, più tristi dei pastori di ogni altra zona : i più di essi, i piccoli e medi proprietari di gregge senza terre proprie (il novanta per cento del paese) andavano con quelle, d’inverno, in terre d’altri, cercate in concorrenza, a prezzi altissimi: magri pascoli in abbandono di secoli coperti solo di macchie magre, di scarsi corsi d’acqua. Quelli che non riuscivano a trovarli, perché arrivati troppo tardi o impossibilitati u pagare, scendevano con una marcia tragica a rubare gli altri pascoli, ad invadere campi e vigne, con rischio di fucilate, di carcere. Se non facevano questo dovevano starsene anche d’inverno, in quel monte. Le pecore dovevano cercarsi dei rami o foglie di quercie, bere l’acqua appena scesa dal cielo, prima che scomparisse nel suolo. Pioveva di continuo, i venti soffiavano paurosi, il freddo scendeva sotto zero, qualche volta c’era neve. I pastori facevano quasi una vita da acquatici, si prendevano reumatismi, polmoniti e tisi. Se vi erano, qualche volta, con tutto il gregge si chiudevano in enormi quercie bucate, in grotte. Se non potevano, restavano all’aperto, bruciavano immense quercie, che con i venti bruciavano intere, e sotto la pioggia, in poco tempo.

— E l’estate?

— L’estate è un poco meglio. Ma vedete che bella strada per venire. Vedete che caldo, che vento? Paghiamo un tanto per capo, al Comune, per starci!INCHIESTA SU ORCOSOLO

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— Quante volte scendete al paese?

— Una volta al giorno, uno per turno, se portiamo il latte al caseificio e per questa strada. Una volta anche ogni tre mesi se restiamo a fare il formaggio.

Facevano chilometri e chilometri per andare a cercare un poco d’acqua, nelle grotte. Scendevano a queste con le pecore, verso le pozze, e qualche volta sulle spalle dovevano portare le bestie per i cunicoli, ad una ad una. L’acqua era una ossessione, l’ossessione del pastore: parlavano di continuo di quando dovevano prenderla, di dove dovevano prenderla.

— Vedete che vestiti, che barba; che razza di vita!

— Che mangiate, ogni giorno?

— Mezzo litro di latte, mezzo chilo di « frue ».

— E perché?

— Tutto il latte se ne va per il caseificio, o per fare il formaggio.

— E il formaggio?

— Quello serve per pagare la terra. E se ci avanza si vende.

— Ed il pane?

— Qualche poco.

— E la carne?

— Se ci muore qualche pecora.

— Bevete il vino?

— Quello sì. Ma alle feste, se ce lo offrono... Qualche cicca, un sigarro. E niente altro.

— Dite un po’: e denaro ne avete mai?

— I soldi. Eh, i soldi! — dicevano sorridendo.

— Quelli ci pensa a levarceli il padrone della terra, l’industriale del latte... I soldi ce li hanno solo i Signori. E i Signori Preti.

— Ce ne avrete bisogno per un cappotto, per un vestito, per un paio di scarpe, se vi ammalate...

Scuotevano la testa: — I soldi... Eh, i soldi!

Era come l’evocazione di una potenza straordinaria, un rito feticista. In quell’antica economia comune concepita tra le cose, vissuta di baratti per millenni, con il denaro entrava ora il mondo moderno, astratto, artificiale. Era il primo ingresso di uno Spirito22

FRANCO CAGNETTA

nelle cose. Il feticismo naturale si trasformava in un feticismo dei concetti.

— I soldi vanno tùtti al padrone della terra, aH’industriale del latte.

Mi ero messo a fare i loro bilanci personali. Da un lato segnavo la condizione del pastore, il numero delle pecore, la loro qualità; il ricavato del latte, della lana, della carne, degli agnelli. Un litro di latte al giorno in media, un chilo di lana all’anno in media, 10-20 chili di carne in media per ogni bestia. Mostri animali per resistenza, però, animali preistorici. Dall’altro segnavo i fitti che pagavano all’anno per dieci, venti piccoli pascoli privati estivi, sempre pessimi, i fitti a capo che pagavano per i pascoli comunali estivi; i debiti contratti con l’industriale del latte che anticipava il denaro per questi pagamenti; le tasse comunali, le tasse statali (pagano le tasse questi pastori!) per bollettini, marchiatura, vaccinazione ecc.; le spese di mantenimento per le pecore (collari, campane, funi ecc.); le spese personali e famigliari di vitto, vestimento, medicine ecc. Erano bilanci poveri, incredibilmente poveri. Si aggiravano su una spesa giornaliera massima di 100-200 lire per persona. Le entrate erano sempre incerte per l’andamento delle stagioni, per gli smarrimenti, gli azzoppamenti, la moria delle pecore; per il furto subito ad opera di volpi e di pastori. Per i più fortunati, dopo una così terribile vita di stenti, le entrate riuscivano a chiudersi a paro con le uscite; per i più ogni anno finiva con 50-100 mila lire di deficit, con la vendita del gregge, per parte o per intero, con il sequestro delle bestie, dei mobili, della casa.

Erano costretti così, di tanto in tanto, a rubare qualche pecora per mangiarla, a rubare a loro simili, a poveri pastori. Era il prodotto della loro spietata situazione, del mondo del povero pastore.

Alcuni d’essi, per vivere, facevano malazioni abituali : i più do tati cercavano tra i più miseri, tra i disperati; li fornivnao di vitto, di vino, di armi e, quasi sempre, li mandavano a rubare le pecore tra gli altrui greggi. Qualche volta li dirigevano di persona, molte volte li mandavano soli di fronte alla vendetta dei derubati, all’arresto,. alla morte. Lottavano tra di loro, qualche volta si facevano banditi. ,INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Una serie di piccoli malviventi, da centinaia e centinaia di anni, riempivano le campagne in numero crescente, dopo ogni cattiva annata, carestia o guerra.

Questi erano i « banditi » di Orgosolo, i terribili « briganti » di Orgosolo.

Erano briganti che lavoravano, dalla mattina alla sera, nel lavoro dei pastori. Ed il lavoro dei pastori è un lavoro che richiede forza e, al tempo stesso — più che non si creda — conoscenze e intelligenza.

Lungo e complesso è il lavoro del pastore.

Per prima cosa, il pastore deve sapere conoscere bene, capo per capo, il suo gregge : e conosce, in, verità, ogni singola pecora come un famigliare, poiché è il suo bene supremo.

Deve saperlo tenere ripartito con una divisione che è, quasi scientifica :

sa verve’e = la pecora in generale

su mass’ru = il montone

su mazzau = il montone castrato

su anzone verranile = l’agnello nato in primavera

su anzone verrile = l’agnello nato in inverno

su sa ’aiu = l’agnello di 1 anno

sa sermentosa = la pecora di 1 anno e mezzo

sa vidusta = la pecora di 2 o 3 anni

sa brodda = la pecora anziana

sa laghinza = la pecora che non ha figliato

sa anzadina (o prossima) = la pecora che sta per figliare sa lunadia = la pecora sterile

su amadriau = il gregge intero.

Ogni pecora deve avere « su timbru » (= il contrassegno) per riconoscimento; ((sa collana» (= il guinzaglio) e ((sa ’ampana» (= campana) perché non si smarrisca.

Il primo grande lavoro del pastore è la ricerca e la scelta del pascolo.

Il paesaggio pastorale — a prima vista monotono, tutto uguale— presenta, invece, mille diversità nel tipo e nella qualità del pascolo. La sua scelta deve essere fatta non in rapporto all’apparenza visibile delle erbe, ma in rapporto alla natura del suolo, al24

FRANCO CAGNETTA

l’àndamento del clima, all’esistenza di acque, alla qualità della vegetazione. È la complessa scienza del pastore che egli apprende solo empiricamente, con l’esperienza. Il pascolo deve essere cercato per tempo; in terribile concorrenza con tutti gli altri pastori; in contrasto con un proprietario di terra quasi sempre spietato e violento; con prezzo vantaggioso che non superi — e bisogna bene calcolarlo — il frutto che (tenuto presente ogni pericolo) si potrebbe ricavare. È il rischio maggiore del pastore che, si è visto, può portarlo in tremende condizioni.

Andando a <( s’ussoria » il pascolo) per « tentare » (= guardare) le bestie, nel « tramudare » (= transumare) d’inverno in pianura, d’estate in montagna, il pastore deve sapere salvare le pecore dall’« ingrustiare » (= sparpagliarsi); da qualsiasi pericolo del suo
lo (inclinazione o frattura) delle erbe (guaste o velenose), delle acque (putrefatte o troppo impetuose), delle pioggie (scarse o eccessive), dei venti (troppo freddi o impetuosi), dei fulmini, delle volpi, dei ladri.

Quando a fine estate le pecore cominciano a « subare » (= andare in calore) egli deve sapere controllare — nei limiti del possibile — « su montau » (= la monta), per avere buon frutto. Deve sapere, nel caldo, fare « sa muriada » (= la partenza di notte) e « su muri ’ayu » (= la raccolta all’ombra).

Quando le pecore cominciano a figliare (da dicembre a marzo) comincia la grande fatica del pastore. Egli deve aiutarle. E dividere subito l’ovile:

su

cuile = l’ovile in generale

s’annile = ]a parte dell’ovile per gli agnelli

sa laghinza — la parte dell’ovile per le pecore che non hanno

figliato e i montoni sa prossima = la parte dell’ovile per le pecore prossime a figliare

o figliate

sa olladoria = la parte dell’ovile dove si dorme su pinnetu = la capanna.

Le pecore già madri non devono essere disturbate dai montoni, dalle altre, dagli agnelli. Poiché gli agnelli vogliono continuamente poppare bisogna legare loro in bocca « su camu » (= un pezzo di legno).INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Comincia allora, per primo, la mungitura. Questa avviene, in Orgosolo, in modo diverso dal consueto: il pastore, a gambe aperte, e con in mezzo un secchio, lascia passare sotto le pecore madri ad una ad una e, trattenendole con le gambe, le munge per il tempo necessario, lasciandole poi passare.

11 latte, raccolto in « malunes » (recipienti di sughero), in otri cuciti di pelle di pecora, o in recipienti di metallo — se non è portato a piedi o a cavallo, e per chilometri e chilometri, al più vicino caseificio — si deve lavorare subito.

Per prima, generalmente, si fa « sa frue » (= il latte acido), che è l’alimento tipico e principale di tutti i pastori di Sardegna.

Si pone il latte in un recipiente a fuoco e lo si fa tiepido a 40-45 gradi. Poi si prende «su ’agar’u» (= il caglio) — che è un pezzo di duodeno dell’agnello — e, staccatane la quantità di un cucchiaino circa per 4 litri di latte, riposto in uno straccio di lino, si inumidisce col latte e si spreme, in qualche goccia, nel recipiente.

Il dosaggio è operazione molto delicata: se poco, il latte non si quaglia, se troppo si inacidisce. Bisogna scuotere subito questo con una mano, perché il quaglio non si depositi tutto in una parte. Ben presto lasciato ora a freddo il latte comincia a rapprendersi: in 20 minuti si ottiene una pasta gelatinosa e consistente, la cui durezza si saggia con un dito. Appena questa lo permette, si taglia la pasta a larghe fette, e si lascia riposare per 24-30 ore. « Sa frue » è pronta ed è una sorta di Yogurth, di qualità più rozza, ma di sapore più delicato. Di ora in ora va sempre più inacidendosi e indurendosi, e bisogna consumarla in 1-2 giorni. I pastori la mangiano con « su or’ariu» (= il cucchiaio di legno o di osso di corna) e con «su tazzeri » (la scodella di legno) o, più diffusamente, poggiata sul pane di Orgosolo, di grano o di orzo, — sottilissimo, largo 4-5 millimetri, tondo come un sole, e largo 15-20 centimetri — che fa da piatto, come un pezzo di pane staccato fa da coltello da tagliare e da cucchiaio per mangiare.

Del latte che non si fa a « frue » si fa, quasi tutto, formaggio di tipo « fiore sardo ». Quando il latte — come per « sa frue » — comincia a quagliarsi, con le mani, o con « sa muria » (un asse di legno con alla punta una tavoletta quadrata) si fa a poltiglia e, po26

FRANCO CAGNETTA

stolo in recipiente sul fuoco, a 40-45 gradi, si agita lentamente, continuamente, perché non si attacchi sul fondo. Dopo mezz’ora-un’ora si tira, coagulato, e si getta in « sa forma » (== una forma di legno di perastro a scodella tonda, forata nella base). Questa si poggia su « sa ’annitta » (= due assi di legno tenute sospese) e si lascia che « su soru » (= il siero) sgoccioli, in altro recipiente. Per fare prima, e meglio, si comprime il quagliato nella forma con « sa scrimatrice » (= una tavoletta piatta di legno). Divenuta consistente come una pasta, questa si rivolta dall’altra parte, e così più volte, perché assuma da ambo i lati forma tonda. Quando la pasta ha la consistenza voluta — che si saggia con un dito — si toglie dalla forma e si lascia a riposare 10-12 ore su una tavola. Si affonda infine in « sa tina » (una mastella) con « sa salamuja » (= acqua satura di sale), e si lascia riposare ancora 24 ore. Il formaggio « fiore » è fatto. Se si vuole preservare la pasta da agenti esterni si cosparge di siero e si liscia con le mani.

Il formaggio si consuma fresco, a « ’asu mustiu » — l’antico «casus musteus» citato da Plinio — o si lascia in casa a stagionare, su assi esposte al fumo del focolare qualche volta, per un minimo di 3 mesi e un massimo di 2 anni.

Anche qualche altro tipo di formaggio è fatto in Orgosolo: per esempio: «sa tavedda», che si ottiene lasciando due giorni la pasta in salamoia e poi mettendola ad asciugare al sole; e « su ’asu muidu » (= il formaggio con i vermi), che si ottiene non scolando dalla forma tutto il siero.

Si lavora molto formaggio d’estate.

Il burro e la ricotta si fabbricano poco in Orgosolo e poco si consumano.

Altri lavori attendono il pastore:

All'inizio dei calori: «su tusorghiu» (— la tosatura). E questa avviene come altrove, ma tosando la pecora sino alla pelle.

Di tanto in tanto necessita «sa mazzadura)) (la castrazione) che si fa, dopo legata la bestia, rompendo lo scroto con una mazza arroventata, o tagliandolo con un colpo di coltello.

L’« irgannare » (= la macellazione) avviene anche con una tecnica cruentemente primitiva. Legata la pecora o l’agnello bisoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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gna cc ispoiolare », colpire cioè con un colpo nella gola recidendo la carotide, sì che ne sgorghi una fontanella di sangue (il « fodio-lu » latino). Molte volte accade, nelle annate « de fatigu » (— cattive) che bisogna uccidere tutti gli agnelli, perché poppando e facendo deperire le madri, non le uccidano. Si passa ad « incurare », a squartare cioè la pelle della pancia lungo una linea verticale sì che, affondando la mano, la pelle si possa asportare. Un altro modo di asportare la pelle è « a su buffare », cioè facendo un foro in una gamba dell’animale e soffiando così forte che tutta la pelle si sollevi.

Lavoro del pastore è anche quello di far da rudimentale veterinario. Ed al vero veterinario quasi mai si ricorre. Pratiche mediche empiriche si alternano a pratiche di magia, a « presuras » o formule. Le pecore in Orgosolo hanno, generalmente, queste malattie :

sa prummonita = la polmonite

sa gaddinosa = il capogiro per verme nel cervello

su aflenau = malattia del polmone con essudato

sas ranas o male dissu

i ’adu o dessa figu = malattia del fegato

su eie arterau = il fiele alterato

sa ùria ’e sambene = malattia del sangue

sa iscussina = la diarrea

sa buffadura = gonfiatura per puntura di biscia, ro
spo, ecc.

Lavoro del pastore è la vendita del latte, del formaggio, della lana, della carne, delle pelli, estremamente gravoso per la concorrenza estrema tra pastori e per il dominio completo che ha il compratore sul pastore. Ecco ad esempio gli « Usi e consuetudini commerciali» di Orgosolo per la vendita più importante di Orgosolo: il latte, tra pastori e caseifici (e si intenda qui baraccamenti che raccolgono il prodotto, a conto di industriali, per spedirlo a lavorare in continente). Cito da un foglio della Camera di Commercio di Nuoro (valido per tutta la provincia):

«5) La consegna avviene nel luogo indicato dal compratore. Abitualmente il caseificio.

6) Il latte viene consegnato nei mesi freddi una volta al giorno, nei mesi caldi due. r28

FRANCO CAGNETTA

7) Le spese di trasporto sono a carico del venditore.

13) La determinazione del prezzo è chiusa-, preventivamente stabilita o aperta se si conviene quello di mercato.

14) Si paga ordinariamente ogni quindicina, anche mensilmente ».

E il prezzo, chiuso, lo fa sempre l’industriale. Mai il pastore.

Unico « vantaggio » nella vendita che fa il pastore è una caparra che anticipano i caseifici (che se ne va tutta, o quasi tutta, per il pagamento dell’affitto dei pascoli), in cambio di un certo numero di litri di latte preventivato che, se non è raggiunto per le cattive stagioni, il poco rendimento delle pecore ecc., e non è colmato (e Dio sa come) in denaro, comporta il sequestro parziale o totale del gregge, della casa, dei mobili ecc., da parte dei caseifici.

Insomma, secondo l’abituale considerazione orgolese: un contratto « capestro ».

Stanno male i pastori di Orgosolo, in tutte le loro categorie:

« Su mere » è proprietario di greggi e, quasi mai, proprietario di pascolo. Sottosta, generalmente, alla sorte del pastore: schiavo del proprietario di terra, schiavo delPindustriale del latte.

È consuetudine in Orgosolo che « su mere » affidi ^ del proprio gregge a « su cumpanzinu » che vi aggiunge y$ e tiene in cura tutto il gregge, per 3 o 5 anni. A questo termine tutto il nuovo gregge, diminuito o aumentato viene diviso a ì/2. La vita di « su cumpanzinu », per il lavoro diretto, è peggiore di quella di « su mere ».

Ma è « su terraccu » che sta peggio di tutti : prende un cappotto, un paio di scarpe all’ingaggio, 5-6 pecore a fine d’anno, o — oggi — 100-400 lire giornaliere. Suo il lavoro più grave, sua la più grave privazione.

Questa la vita dei pastori del Supramonte, dei pastori medii, dei più giovani nelle campagne di Orgosolo. Paurosa per condizioni naturali, penosa per gravità di lavoro.

Per conoscerla sempre meglio bisogna, ora, scendere in paese.

su mere su cumpanzinu su terraccu

= il padrone = il socio = il servo.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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# * #

Il paese di Orgosolo presenta per l’etnologo un terreno di osservazione che, per primitività di strutture sociali e per manifestazioni di mentalità e cultura proprie solo alle civiltà primitive, è difficile trovare ancor oggi, forse, in qualsiasi altro paese d’Italia e d’Europa. Per una convergenza di motivi ambientali e-storici (che cercheremo poi di indicare tutt’insieme) il paese si presenta come uno di quei piccoli mondi quasi perfettamente isolati e con una sto ria abbastanza semplice che sembrano destinati alla specifica ricerca dell’etnologo. Tra quasi tutti i paesi di Sardegna (che tutti in passato hanno attraversato una analoga situazione) Orgosolo è quello che ha maggiormente conservato basi economiche e forme ideologiche tali che lo fanno vivere ancor oggi nei più antichi « cicli culturali »‘ che si conoscano tra le popolazioni dell’Europa.

In maniera evidente, e con forme quasi lineari, in Orgosolo si presenta, innanzitutto, imo schema di costituzione della società, di struttura sociale, che, secondo la denominazione dell’etnologia classica delle scuole di Mòdlig, Schmidt, Montandon, Menghin, prende il nome di « grande famiglia » o « grande famiglia pastorale » (die Grosse Familie). È la forma sociale che, sviluppatasi nel tardo paleolitico e nel neolitico tra i primi pastori delle steppe dell’Asia centrale, diffusasi per millenni tra quasi tutti i popoli Indo-europei e Semiti-camiti; si può ritrovare oggi, con forme quasi lineari, solo nelle zone montuose più isolate e ad economia unilateralmente pastorizia della Russia (Ciukci, Tungusi, Samojedi, Tartari, Mongoli, Calmucchi, Ostiachi, Kirghisi), della Turchia, della penisola balcanica (Slavi zadruga, Albanesi) e, parzialmente, della Spagna.

Lo studio della organizzazione particolare che ha la famiglia in Orgosolo (e così, seppure con forme più contaminate, in quasi tutti i paesi della Barbagia), costituisce la chiave di volta per una larga comprensione di quasi tutta la locale società. Questa, infatti, si può dire che, per quella propria organizzazione, sia arrestata, o quasi, soltanto alla famiglia: le forme sociali più sviluppate e superiori, che costituiscono invece la nostra società, lo Stato, sono quasi estranee o, solo adesso, iniziano ad intaccarla.

In tutte le terre in cui il suolo si sfrutta in modo primitivo,30

FRANCO CAGNETTA

solo a pascolo (come è il caso di Orgosolo e dei popoli su citati) la necessità economica di una sempre maggiore concentrazione di greggi al fine di ottenere, con gli scarsi frutti che se ne conseguono, almeno il minimo vitale per l’individuo e le sue associazioni, determina un allargamento particolare dell’organizzazione della famiglia.

L’ambiente economico autosufficiente, non necessitoso di scambio, che è proprio della pastorizia unilaterale, determina, altresì, una chiusura nella famiglia, rendendo difficile ogni suo sviluppo ed i rapporti con le forme superiori.

Tra queste due leggi, con continua alternanza, si muove tutta la vita e la civiltà locale.

Analizziamo, pertanto, questo schema in Orgosolo:

La famiglia in Orgosolo, come in tutt’Europa, è costituita oggi dall’unione biologica e sociale dell’uomo e della donna in forma « monogamica ». La poligamia è sconosciuta e condannata.

Sino al secolo scorso in Orgosolo (come in tutta la Barbagia, e particolarmente nei paesi di Oliai e Olzai) era ampiamente praticata ed accettata dalla pubblica opinione la unione « naturale » tra l’uomo e la donna, senza sanzione civile o religiosa se non il consenso delle famiglie. È il « matrimonio di prova » di cui parlano molti autori da Lamarmora a Gramsci.

Dalla guerra 1915-18, con la maggior penetrazione e pressione dello Stato e, in particolare, della Chiesa, quella unione si può dire quasi scomparsa ovunque, sostituita dal matrimonio con sanzione civile o religiosa, e la stessa opinione pubblica è largamente trasformata, poiché si respinge e si condanna oggi quel primitivo istituto.

L’uomo e la donna, statalmente coniugati, costituiscono insieme una unità organica famigliare che si allarga e si sviluppa con la nascita dei figli. Ma, da questa, la famiglia di Orgosolo assume un carattere particolare, che è quello tipico, appunto, della « Grande Famiglia ».

La posizione dell’uomo, che adempie alla funzione economica principale di cercare i pascoli, di condurre i greggi, di trarne i frutti è, in essa, preminente. La posizione della donna, che adempieINCHIESTA SU ORGOSOLO

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alla funzione economica secondaria dei lavori di casa e dei lavori agricoli (orti) è, invece, subordinata.

Tenuto presente il valore economico inferiore della donna e la sua mancanza di iniziativa (la sua subordinazione) la verginità è particolarmente considerata dall’uomo nella scelta del matrimonio.

Con la nascita della prole i figli maschi e femmine rimangono con i genitori, e subordinati. La subordinazione tra i fratelli è a seconda dell’età, rispettando la primogenitura. La subordinazione delle sorelle è per i fratelli a seconda dell’età, e per le sorelle, poi, a seconda dell’età.

La scelta matrimoniale dei figli venuti in età di matrimonio avveniva, in Orgosolo, sino alla guerra 1915-18, ad opera dei genitori. Si promettevano i candidati, senza che si conoscessero, in una età che oscillava dagli 8 ai 15 anni. La bambina promessa doveva parlare abitualmente del suo futuro marito con il termine « su ziu ». La conoscenza tra i candidati avveniva, quasi sempre, solo all’atto del matrimonio. Questo uso però, oggi, pare totalmente scomparso: solo alcune donne mi hanno detto che, sia pure con il futuro consenso dei candidati, esso è vivo, ancora, in qualche famiglia.

Gon il matrimonio dei figli i maschi con la nuova moglie rimangono, in Orgosolo, generalmente nella casa dei genitori. Le donne vanno in casa del marito o, raramente, rimangono nella famiglia originaria.

Con la nascita dei nipoti anche questi rimangono nella casa dei nonni, e subordinati. La subordinazione dei nipoti è per il nonno, per il padre, per gli zii in ordine di età, per la madre, per i fratelli e cugini in ordine di età. Non risulta subordinazione propria, se non di rispetto, per la nonna, le zie, le sorelle, le cugine. La subordinazione delle nipoti è per il nonno, per il padre, per gli zii, fratelli e cugini in ordine d’età; per la madre, per le zie, sorelle e cugine in ordine di età.

Si viene, così, a costituire un grosso gruppo famigliare che va da 10-30 individui, in media, a più di 100, che abitano una stessa casa o case attigue (ove possibile), con alla sommità il padre più anziano è (( su mannu » (= il patriarca), subordinatamente il primogenito o, se è celibe o senza figli, il padre più anziano tra i suoi52

FRANCO CAGNETTA

fratelli. Si tenga presente che il criterio di età ha valore unitamente a quello di capacità nel lavoro di pastore. Il vecchio orgolese impossibilitato per età a lavorare perde automaticamente l’autorità di « mannu ». Ma, in generale, egli rimane valido sino a 70-80 anni e più. Tutti i membri della famiglia, quasi sempre, sono fortemente cementati dal vincolo e, quasi sempre, fortemente rispettosi di quella gerarchia.

La struttura generale gerarchica che si riscontra in questa famiglia si può studiare, con molto profitto, nella ripartizione generale della sua proprietà.

I beni di famiglia (greggi, casa, orti, mobili, oggetti, denaro) restano generalmente indivisi (= proprietà « famigliare ») e regolamentati dal padre più anziano « su mannu » (= proprietà « paterna »). Esiste un termine in Orgosolo che indica indifferentemente la proprietà famigliare patriarcale e la famiglia patriarcale proprietaria ed è: s’ereu (dal catalano, = l’eredità).

Si tenga presente come ciò è dettato dalla necessità fondamentale di aumentare il potenziale delle greggi, e non frammentarle con divisioni.

La divisione dell’« ereu » non avviene, generalmente, neppure con la morte del padre più anziano, « su mannu », e passa automaticamente al primogenito o, tra i suoi fratelli, al padre più anziano, che, automaticamente assume la funzione di nuovo « su mannu ». Quando la divisione avviene per varie ragioni (e questo raramente) invale il criterio gerarchico secondo cui il primogenito,

0 il padre più anziano tra i suoi fratelli, riceve quasi tutto; seguono

1 maschi secondo la loro gerarchia; ed infine le femmine che rice vono poco, secondo la loro gerarchia. Queste, all’atto del matrimonio hanno però in anticipo, generalmente, la parte che è loro assegnata, proporzionalmente, da « su mannu » o da un consiglio di famiglia.

Gli stessi lavori indispensabili alla vita dell’individuo assumono qui un carattere di lavoro collettivo (famigliare) diretto e distribuito gerarchicamente (patriarcale).

II lavoro più importante, il lavoro pastorizio, viene eseguito solo dagli uomini sotto la direzione del padre più anziano, « suINCHIESTA SU ORGOSOLO

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mannu ». È questo che si incarica, con il concórso di un consiglio di famiglia a volte, di cercare il pascolo e trattarne l’acquisto. Il gregge, a seconda dell’importanza numerica, viene guidato da tutti gli uomini della famiglia con funzioni secondo la gerarchia, o distribuito per numero di capi relativamente all’importanza che ciascun padre ha nella famiglia e con compiti gerarchici. La vendita del latte, la migrazione, la mungitura, la fabbricazione del formaggio ecc. vengono, abitualmente, condotti dagli anziani; i più giovani provvedono ai lavori minori ed ai più pesanti — custodia del gregge, trasporto del latte, ecc.

Uguale vita collettiva, ma con minore distinzione gerarchica, ha anche il lavoro delle donne. Il più importante è, certamente, la fabbricazione dello speciale pane di Orgosolo che si fa per molti chili, per quintali a volte, e che serve in campagna, per uno, due tre mesi, agli uomini.

Merita un cenno particolare questo lavoro, che non è specifico di Orgosolo, e comune, invece, a tutti i paesi della Barbagia.

Una volta ogni 7-15 giorni, o un mese, 10-15 donne si riuniscono in cucina o, a volte, in una piccola stanza costruita apposta fuori della casa, dal pavimento di terriccio e dal tetto bassissimo. Alcune di esse, le più robuste, con le braccia nude impastano farina, acqua, lievito in larghi e quadrati impastatoi di legno poggiati per terra. Ottenuti alcuni comuni panelli li spianano con un matterello in larghe schiacciate rotonde e, raccoltele, le pongono a riscaldare appena qualche istante in un forno rudimentale a cupola, acceso con frasche e legna. Subito ritrattele le chiudono in strette strisce di tela, lunghe sino a 4-5 metri (decorate, a volte, con linee trasversali azzurre, nere, marrone) e le lasciano a riposare, o lievitare, per qualche tempo. Quindi le ritirano e le mettono a cuocere con larghe pale di legno sul fuoco vivo del forno. Presto quelle schiacciate si gonfiano come quasi due cappelli cinesi vuoti all’interno, riuniti solo nel giro esterno, e, cavatele, le tagliano in due orizzontalmente con un lungo coltello. Le rimettono ancora nel forno per poco tempo fino a che diventano dorate, croccanti ed allora il pane e fatto. Ritiratolo dal forno, lo ripongono nei larghi cesti sardi di asfodelo, che sono fatti per quésta conservazione.34

FRANCO CAGNETTA

In Orgosolo questo pane ha vario nome, secondo più tipi :

Carta ’e musica = il pane ili generale (« carta di musica »

perché croccante)

o « limpidu » o « carasau »

sas ispianadas = il pane di grano

sas tondinas = il pane di orzo

su orgathu = il pane più tondo e più lavorato.

La coabitazione di uomini e di donne nella casa, ciò che in modo completo avviene raramente — se si considera la necessità degli uomini di stare nelle campagne, di migrare — si manifesta altrettanto in carattere collettivo (famigliare) e gerarchico (patriarcale). Non vi è divisione vera e propria di uomini e di donne in due parti ma una tendenza accentuata. Il padre più anziano, <( su mannu », dorme nel letto con la propria moglie, e così fanno abitualmente tutti i figli più anziani sposati; i giovani dormono abitualmente per terra, su una stuoia, in cucina; le donne giovani in una stanza con un letto per una, se possibile, o uno per più.

Anche i pasti — quando la famiglia è riunita — avvengono in modo collettivo e patriarcale. Al centro della cucina si mette in generale in terra una tavola quadrata bassissima, quasi a fior di terra con una sola scodella e tutti mangiano secondo la gerarchia incominciando dal padre più anziano — ma anche secondo la gerarchia dell’appetito — attingendo con le mani, il coltello o le posate. In antico questo avveniva con un enorme vaso di sughero riempito di « sa frue ». Ora questo uso va scomparendo, si mangia normalmente, e l’alimentazione stessa è migliorata. Il cibo abituale d’oggi del pastore è una minestra di brodo di pecora con pasta arrossata dal pomodoro — ima minestra tipica di tutta la Barbagia — chili di pasta, un po’ di pecora bollita (se c’è) e formaggio pecorino. Uno straordinario modo di cuocere la carne, che non è solo di Orgosolo ma di tutta la Barbagia, consiste, in campagna, nel cuocere una intera pecora in ima buca di terra riempita di brace e ricoperta di frasche e ancora terra, a fior di suolo. È questo un modo che deriva quasi sempre dall’essere stata la pecora rubata e, così messa a cuocere, l’eventuale suo proprietario non si accorge neppure del banchetto che si sta per fare alle sue spalle. In Orgosolo si fa abbastanzaINCHIESTA SU ORGOSOLO

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uso di vino forte, di tipo « canonau » e di un caffè eccellentissimo ed offerto in ogni casa, tostato a perfezione. Si fanno di tanto in tanto, nelle feste, banchetti formidabili con interi agnelli e capretti bolliti od arrostiti, con « sa ’orda » (intestini di pecora arrestiti), con damigiane di vino, birra e in un’atmosfera da fastosi e grandi banchetti deH’antichità.

Ma è soprattutto nella educazione dei propri figli che il carattere arcaico e patriarcale della famiglia pastorale si manifesta a pieno. In generale, il piccolo orgolese va alla scuola pubblica per 2, 3 classi elementari, poi viene ritirato e messo subito in campagna: e qui dimentica tutto quello che ha imparato. L’analfabetismo in Orgosolo, ufficialmente, è nella proporzione del 60-70 per cento, ma, tenuto conto di questo « ritorno all’analfabetismo » è del 90-95 per cento, cioè quasi generale. La famiglia all’educazione pubblica, di cui diffida, preferisce una sua propria educazione famigliare: questa consiste solo nella educazione pratica alle greggi, al lavoro pastorale. Il bambino povero orgolese già1 vestito da adulto con i pantaloni lunghi ed i gambali, con il viso chiuso sempre in un sentimento di timore, di odio contro tutti, è il vero volto del pastore orgolese. A 7-8 anni, per mangiare, egli è costretto a lasciare la famiglia, a partire lontano. Gran parte del lavoro di sorveglianza delle bestie, marce interminabili, notti passate tra temporali, volpi, ladri, e sempre dormendo a terra, con la brina o con la neve, lo fanno adulto anzi tempo. Se ima pecora gli si perde, si azzoppa, o gli è rubata, è privato a lungo di ogni cosa che gli occorra, non mandato a casa, picchiato con le mani, con la cinghia, col bastone. Bisogna che impari a non distrarsi mai, a non farsi ingannare, a sapersi rivalere. Vada pure a rubare un’altra pecora, se gli manca. Gli uomini lo deridono, lo scherniscono: per una crudele rivalsa, perché pensano che si deve fare le ossa, che deve saper essere un uomo, un buon pastore. Educato dalla natura, e dall'uomo solo al bastone ed al furto, egli tace : impara a pazientare ed aspetta solo di essere grande per rifarsi, per rivalersi. Deve essere un padrone, e non un servo. L’educazione di questa società pastorale, della « grande famiglia », ne fa un individuo isolato, quasi zoologico, che negli altri non vede che un possibile pericolo, un nemico. Egli non impara36

FRANCO CAGNETTA

altro modo che di sopraffare o di essere sopraffatto, di dominare o di essere dominato. È il più antico, il più vivo segreto di tutta la nostra terra, dell’Italia meridionale in particolare, sì che l’uomo moderno, coperto di secoli di civiltà, non nasconde, al fondo, che

il pastore di terre povere rimasto in quella vita primitiva, nelle origini di millenni. Il carattere, la fiducia in sé, la straordinaria forza di saper rimanere solo; come l’istinto di solidarietà famigliare; la generosità per l’altro, la « fratellanza » sono però, altrettanto, il prodotto di questa antica vita, di questa educazione, che ha il suo centro di diffusione nella «grande famiglia». Un uso precedente, ora scomparso, che si può ritrovare tra i pastori Ebrei della Bibbia (Deuteronomio XV, 14) era, per esempio « sa ponidura » : il regalo di una pecora da parte di ogni gruppo famigliare a quel pastore che per cattive annate, per furto ecc. avesse avuto il gregge distrutto.

Naturalmente, con il procedere degli anni, con lo sviluppo sociale, con la penetrazione e la crescente pressione dello Stato la « grande famiglia », come istituto tipico e integrale, si va oggi disgregando in Orgosolo. Le eccezioni alla regola si fanno sempre più numerose, più estensive. La trasformazione è lenta, impercettibile; scoppia, di tanto in tanto, in casi clamorosi. Pur, legata alla più profonda struttura economica, alla pastorizia unilaterale, questa forma sociale continua ad essere il pilastro e il baluardo di tutta la vita e civiltà orgolese. Da « grandi famiglie » e da rapporti propri allo sviluppo di questa forma si può dire, infatti, che sia costituito tutto

il paese di Orgosolo: un insieme, una «tribù» di «grandi famiglie ».

E una tribù di « grandi famiglie » legate tra di loro in modo molto stretto è, in un certo senso, Orgosolo.

I matrimoni che qui avvengono di frequente in modo « endogamico », cioè in famiglia (tra cugini, tra zìi e nipoti ecc.) si mescolano a quelli « esogamici » più frequenti, cioè fuori della famiglia.

Questa parentela tra due « grandi famiglie » distinte crea una « alleanza » che viene considerata — e lo è per un verso uno sviluppo interno di « sangue » della grande famiglia. I nuovi mariti — i cognati — entrano a far parte come parenti di « sangue » e

lo sono. Tutti i di loro famigliati, impropriamente, vengono consiinchiesta su orgosolo

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derati anche parenti di « sangue ». Si viene a creare una sola, e più vasta « grande famiglia » che si considera unita « ab antiquo ».

Una forma più avanzata di questa parentela artificiale ritenuta anche parentela di « sangue » è il « comparatico ». I compari vengono scelti per ragioni di simpatia, di vicende della vita, di interessi: essi si legano, soprattutto, come testimoni nei battesimi, nei matrimoni, con « figliocci », o come compari di S. Giovanni. Anticamente esisteva in Orgosolo un rito di comparatico che consisteva nel mescolare il sangue fatto sgorgare appena dai due polsi. Ora questo è scomparso ed è rimasto solo il rito simbolico nello scambio di qualche regalo, secondo le possibilità, in grano, in pecore, in oro ed in bestiame. Al comparatico possono prendere parte gli uomini e le donne, ma divisi. I comparatici misti sono eccezionali. Le famiglie dei « compari » entrano a far parte l’una nell’altra come una sola e più estesa « grande famiglia ».

Le maggiori tra le « grandi famiglie » abbracciano un ventesimo, un decimo del paese, ed in alcuni periodi speciali, come i Cossu e i Cornine della famosa « disamistade », dal 1905 al 1926, quasi metà del paese.

Esse non si sciolgono se non con la morte, e, solo più modernamente, per dissidi vari economici, coniugali, politici, ecc.

L’elemento che contribuisce non già all’accrescimento e allargamento di questi grandi gruppi, bensì al loro restringimento e divisione discende, altrettanto, in Orgosolo, dalla « grande famiglia ». Esso è insito nella distribuzione interna della ricchezza e nell’interna subordinazione.

I fratelli minori, i celibi, i giovani, le donne, con il corso degli anni, e dei secoli, vengono a costituire man mano una società patrimonialmente più povera e che, nella divisione del lavoro, adempie ài compiti più umili di subordinati. Di contro stanno i primogeniti, i padri anziani, e anche le donne che essi sposano, che vengono a costituire man mano una società più ricca e nei lavori privilegiata: i proprietari di greggi e i superiori.

Con l’estensione del processo, nei secoli, in tutti i gruppi di famiglia, questo viene a conformarsi con una partizione generale del paese in due «classi». La «classe» è, essenzialmente, il solo38

FRANCO CAGNETTA

elemento che in questa società si stacchi dalla grande famiglia vera e propria o, più esattamente, quello che divide il paese in due classi di « grandi famiglie ». Esse sono quella di « sos proprietarios » (i proprietari) detta anche di « sos meres » o « sos prinzipales » (i padroni, i principali) e quella di « sos poveros » (i poveri) detta anche di « sos terraccos » (i servi).

La esistenza di uguale divisione sin dal tardo impero romano si può comprovare, in tutta la Sardegna, dai contemporanei documenti e, in particolare dalla « Carta de Logu » di Eleonora Giudi-chessa di Arborea (un codice legislativo che è il più importante documento di storia medioevale sarda). Allo stato attuale la divisione, che può essere altrettanto antica in Orgosolo, è quasi completa: il paese compare come spaccato in queste due grandi classi pastorali.

I rapporti, tra queste due classi (che non vanno affatto intese in senso moderno, ma solo antico) sono rapporti speciali di una unitaria società famigliare e patriarcale, di una « tribù ».

Esiste uno stato di pace e di colloquio tra le due classi; e, contemporaneamente, esiste tra di loro uno stato di guerra e di lotta.

«Sos proprietarios» o «sos meres» o «prinzipales» ostentano nei riguardi di « sos poveros » o « sos terraccos » un atteggiamento paternalistico di protezione, di apparenti atti di bontà, di promesse, di manifestazioni di simpatia che (sempre nel loro interesse, temendo il peggio) manifestano affittando qualche pascolo a prezzo appena più umano; trattando i servi delle greggi sempre alla buona, quasi da pari a pari, con non visibili differenze di vita, di vitto, di vestimento; allacciando qualche volta (per lusinga) un « compari-zio » con il povero. Se il povero o servo dimostra però di comprendere la differenza sostanziale che intercorre tra di loro, se manifesta intelligenza, energia, spirito di indipendenza, il padrone o superiore scopre di colpo, allora, il suo disprezzo, comincia a sospettarlo come un nemico, come il futuro ladro delle sue greggi, delle sue terre, dei suoi averi; e apre le ostilità apertamente con l’oppressione, con la denunzia a torto o a ragione per ogni minimo fallo, con l’angheria, con rappresaglie, con l’omicidio.

La formazione di questa classe di « sos proprietarios » o « sos meres» o «sos prinzipales» è avvenuta ed avviene in OrgosoloINCHIESTA SU ORGOSOLO

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(come in tutta la Sardegna) in modo assai speciale: con la rapina di pecore altrui, con il furto, con l’appropriazione violenta di terreni comunali e delle terre più povere ed indifese tra le private, con l’usura, con l’abuso del potere, se detiene il Comune, con amicizie tra le autorità.

Non mi è stato possibile ricostruire in Orgosolo (poiché manca ogni dato ufficiale) una tabella che indichi esattamente tutte le proprietà private delle terre (secondo la estensione e la qualità) e delle greggi (secondo il numero e la qualità), delle case di abitazione e negozi, del liquido ecc. I dati in mio possesso sono tutti empirici, e fornitimi dal contadino Pietro Bassu e da qualche altro pastore.

La proprietà più importante del paese, formatasi intorno al 1870, dopo le leggi nazionali di scorporo dei terreni comunali ed ecclesiastici, era quella di Diego Moro, rapinatore, usuraio, ladro di terre comunali e private, valutata all’atto della sua morte, il 1905, in 200.000 lire oro. Fu la causa prima di tutta la grande e sanguinosa « disamistade » (inimicizia) durata dal 1905 al 1927 in paese, che ho avuto modo di ricostruire analiticamente in un mio studio sulla rivista « Società » del settembre 1953 sotto il titolo « La disamistade di Orgosolo ». Da essa discendono oggi le più grandi proprietà di Orgosolo: dei Monni, dei Podda, dei Corraine, dei Moro. Una loro valutazione esatta non mi è stata possibile effettuare (ed è possibile solo, forse, ad enti statali). Ecco, intanto qualche dato approssimativo che posso fornire sulle più importanti:

Fratelli Podda: 800 pecore, 80 buoi, 18 cavalli, 220 capre, 230 h. di pascolo.

Corraine Nicolò : 200 pecore, 40 buoi, 5 cavalli, 104 h. di vigna e oliveto.

Moro Luigi: 450 pecore, 47 buoi, 2 cavalli, 183 h. di pascolo.

La famiglia Monni, discendente da Serafino, un prestatore di denari venuto da Dorgali, e composta oggi di 6 fratelli, suoi discendenti, con circa 50 figli, è quella che possiede la proprietà più sviluppata di Orgosolo. Essa è costituita dalla catena dei negozi più importanti del paese, da case di abitazioni, da caserme di carabinieri, da terreni, da greggi, da denaro. Sin da quando si è installata40

FRANCO CAGNETTA

in Orgosolo questa famiglia, e quasi sempre, ha avuto nelle mani

il Comune e l’Ambulatorio, influente presso il clero e le autorità di polizia, contando oggi, tra i suoi componenti, un senatore d.c. (il solo deputato italiano nato in Orgosolo ma vissuto sempre fuori): l’avv. Antonio Monni.

Una poesia popolare assai diffusa nel paese, e che qui pubblico solo per documentare lo stato d’animo popolare nei riguardi di una parte di questa famiglia, dice:

A ti descriere sa gente villana Seminatrice de sos curantismu Suni in bidda sa razza Monniana Cun su podere dà s’istriccinismu E sun gontrade su comunismu Cun sa democrazia cristiana Chi sfruttana e cundennana e confinana Chi furana e chi occhini e rapinnana (4).

La tronfia arroganza della classe sociale dei proprietari e signori di Orgosolo ho avuto modo io stesso di sperimentare diretta-mente, allorché, nel corso della mia inchiesta, per evitare la rivelazione di verità, alcuni di loro hanno osato farmi minacce di morte, se non sgombravo, minacce che hanno avuto il solo effetto di dimostrarli tra i più incivili e i più disprezzabili gruppi sociali di Sardegna.

La classe di « sos poveros » o « sos terraccos » ha, nei riguardi della classe superiore un atteggiamento anche troppo paziente, controllato, seppur astioso e, direi, invidioso.

In fondo a ciò sta la opinione primitiva che, poiché il modo quasi unico di arricchirsi rapidamente in una sola vita è qui la rapina, l’appropriazione, l’usura, occorrono pur per questo qualità da

(4) Lascio il testo sardo scorretto, secondo lo scrittore. Eccone la traduzione:

Per descriverti la gente villana seminatrice di oscurantismo vi è in paese la razza Monniana che col potere dà l’ostracismo.

E sono contro al comuniSmo con la democrazia cristiana e sfruttano e condannano e confinano e rubano ed uccidono e rapinano.INCHIESTA SU OSGOSOI-O

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« uomo ». Esiste un termine particolare in Orgosolo per indicare questo uomo esecrato, eppur stimato : « su abile » (l’abile), « su baiente » (il valente). La miseria con tutto quello che comporta è profondamente disprezzata. Il termine che definisce il povero in Orgosolo è, nel particolare ambiente, quasi offensivo : « su rimitanu » (l’eremita, il pezzente). In ogni famiglia c’è il problema di fare del proprio figlio un « ornine bonu », non nel significato di uomo buono, ma in quello latino di uomo non soggetto a vita servile. Ogni uomo che pensi che per la sola povertà deve andar chino, che sua moglie ed i suoi figli possono, per un caso qualsiasi, andare all’elemosina; che per la sola povertà è accusato da tutto il paese, e quasi sempre, di dabbennaggine, di inettitudine, di poltroneria, è sempre un uomo disposto ad ogni delitto, ad ogni malazione pur di liberarsi. L’aspirazione generale — come in tutte le società di pastori — è, in fondo quella di diventare ricco e superiore.

Cova però nel sangue di questi diseredati il ricordo cocente delle pecore, delle terre, dei denari loro rubati o sottratti con inganno dai ricchi; cova il ricordo delle umiliazioni, delle sofferenze, dei lutti subiti in passato; cova il presente di una vita tristissima e grama che debbono sopportare. Di tanto in tanto, e molto spesso, essi si ricordano di essere sensibili, ostili, ribelli a una ingiustizia immeritata, a una crudele sopraffazione.

La lotta contro il ricco e l’uomo di migliore condizione si svolge, così, in modo aperto o nascosto, con il furto di pecore, con gli sgarrettamenti, con il furto nelle campagne, con la loro devastazione, con il ricatto, con il sequestro, con l’omicidio.

Assai di recente, dall’ultimo dopoguerra, tutta la lotta tra le due classi è andata assumendo in Orgosolo anche un aspetto più moderno, che la mitiga e la nobilita (come vedremo) : una lotta culturale e politica; ma, in generale, si deve ritenere che essa si svolge quasi tutta, ancora, con i metodi primitivi o « barbari » che sono propri della struttura e tradizione locale.

Parrebbe, a questo punto, che l’esistenza di Orgosolo si sviluppi per intero in un « ciclo culturale » di pastori, chiuso in una organizzazione famigliare, la quale nell’interno è divisa in individui isolati, quasi zoologici, nell’insieme in due grandi e rudimentali42

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gruppi di classe. È questo il mondo patriarcale, straordinariamente antico e sorprendente, di quasi tutti i paesi della Barbagia. Ma il paese di Orgosolo gode fama particolare ed eccezionale di paese che si distingue tra tutti questi : in Sardegna è considerato il paese della « vindicada » o « vindicau » (vendetta) e della « bardana » (razzia), un paese di cupi assassini e di terribili ladri di pecore. Sin dall’inizio dell’800 esiste una letteratura giornalistica che contribuisce a sottolineare solo questo aspetto del paese, a spargerne il terrore, ed è raro che non si aggiunga sempre al nome del paese l’aggettivo «maledetto» o non si consigli, accuratamente, di evitarlo. Quasi in tutta la Sardegna sono pochi i sardi che vi abbian messo piede, senza alcun impegno che li costringesse, e meno ancora quelli che ne parlino senza una paura esagerata o che non preferiscano tacerne. Quasi tutti i pastori dei paesi confinanti, solo a fare il nome di Orgosolo, non riescono a nascondere un gesto di sgomento, di timore, ed il pastore orgolese sino al secolo scorso (come riferisce, ad es., l’abate Angius) era talmente temuto dai pastori delle pianure in cui svernava che questi credevano incontrandolo, addirittura, che fosse sicuro presagio di tempesta atmosferica.

La situazione criminale, in verità, in Orgosolo non è normale : da molti anni è oramai il solo paese della Sardegna in cui si può dire che esistono come « istituti sociali » veri e propri la « vendetta » e la « bardana ». Se esistesse una statistica degli omicidi, ferimenti, conflitti, ricatti, sequestri di persona, grassazioni, e di reati come furto di pecore, sgarrettamenti, furti di campagna, distruzioni di viti e colture, incendi di boschi ecc., probabilmente Orgosolo (almeno in rapporto a questi due « istituti » che li originano) sarebbe quasi ogni anno in testa ai paesi di Sardegna. Da uno studio dei giornali sardi dal 1901 al 1954 (e con l’approssimazione possibile), ho rilevato che in Orgosolo (e specie nei mesi caldi che coincidono con la presenza della popolazione dei pastori), si verificano un omicidio in media ogni due mesi (6 all’anno) con un minimo mensile di 0 ed un massimo di 8, anche 2-3 in un giorno, per una percentuale annua di 1 ucciso su 600 abitanti. I reati agrari commessi da orgolesi (e specie nei mesi freddi nelle pianure in cuiINCHIESTA SU ORGOSOLO

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discendono), si verificano con una media di 1 alla settimana (52 all’anno), con un minimo di 0 ed un massimo di 12, ma anche 5-10 in un giorno e di gravità eccezionale (come distruzioni di interi greggi, campi, boschi) ecc., per una percentuale annua di

1 reato su ogni 80 abitanti. E si deve considerare che questa statistica vale solo per i reati denunciati, o pubblicamente conosciuti, mentre non riguarda quelli taciuti per paura, per compromesso ecc.

Il paese di Orgosolo si distingue per questo, oggi, da tutti i paesi di Barbagia. Ieri, quasi tutti i paesi di Barbagia avevano una analoga situazione. Per esempio Fonni nel 1800 o Olzai o Orane in questo secolo hanno eguagliato, a volte, questi indici statistici. La struttura sociale e la cultura di questi paesi sembra però essere ancora uguale, o quasi, a quella di Orgosolo.

Quale è dunque la ragione del sopravvivere in Orgosolo di una situazione sì particolare e, soprattutto, di istituti sociali come la « vendetta » e la « bardana » che in tutti gli altri sono quasi scomparsi? Quale è la ragione strutturale, e culturale, della turbolenza continua di Orgosolo?

Il problema è tra i più difficili e complessi che imponga una storia delle montagne di Sardegna ma, al tempo stesso, è tra i più importanti e decisivi per chiarire le basi ultime ed essenziali della storia di queste società.

10 non credo che il problema possa essere mai risolto dallo studioso che lo guardi da un punto di vista statico della «odierna» economia. Poiché la spiegazione si può trovare solo, a mio parere, in una economia (struttura e cultura) che c’è stata e non si vede in Orgosolo se non in numerosi e reperibili elementi che sono sopravvissuti e come incastrati nell’attuale « ciclo culturale » dei pastori

o della « grande famiglia ».

Si tratta di mettere in luce struttura e culture di un « ciclo » precedente: e ciò è desumibile soltanto, oggi, da uno studio della mentalità e del carattere degli orgolesi (le soprastrutture sono le più lente a trasformarsi), dal soccorso di notizie archeologiche e storiche sul paese, e dallo studio di ancor esistenti, fondamentali ma apparentemente secondari istituti locali.

11 pastore di Orgosolo, se lo si osserva attentamente, è certa44

FRANCO CAGNETTA

mente diverso da quello di tutti i vicini paesi. Il pastore di questi o il pastore tradizionale e proprio della « grande famiglia » (quale

lo Huntington, ad esempio, ha individuato nei suoi lineamenti generali) è, in generale, un individuo isolato, gregario, conservatore, falso, pavido, di intelligenza tarda e mansueto. Il pastore orgolese invece, in generale, è un individuo più associativo, più individuale, fondamentalmente guerriero ed aggressivo, insofferente, coraggioso, di intelligenza astuta e crudele. Questi caratteri lo fanno assomigliare, certamente, ai popoli di un « ciclo » precedente a quello pastorale (al più antico che si conosca in tutta la storia dell’Europa), il « ciclo culturale » che l’etnologia classica chiama dei « cacciatori e raccoglitori » o delle « orde ».

Molti dati di osservazione storica e sulla mentalità e il carattere posso qui avanzare per convalidare questa tesi, ma, soprattutto, varrà a convincere il lettore uno studio dei due principali e particolari istituti sociali del paese, e cioè la « vendetta » e la razzia.

Si tenga conto, innanzitutto, che Orgosolo, tra tutti i paesi della Barbagia, è ancora oggi il solo che conservi nel proprio territorio foreste quasi vergini, e sterminate, a differenza di tutti i paesi vicini che nel secolo scorso (come in tutta la Sardegna) ne sono stati spogliati da una speculazione privata.

La selvaggina (diminuita fortemente in tutta la Barbagia) è più facile a trovarsi ancor oggi nel territorio di Orgosolo, e specie per razze zoologiche preistoriche, come i mufloni.

Nel corso della mia gita effettuata sul Supramonte ho avuto la fortuna di fare un ritrovamento archeologico di una certa importanza : in località « sas baddes » (le valli), ai limiti di un bosco che confina con un largo prato di terra alluvionale, e cioè un’antica palude, ho rinvenuto i resti di un abitato del neolitico (epoca della pietra levigata), costituito da una officina litica con frammenti di pugnali e punte di frecce; resti calcificati di ossa di animali, tra cui un teschio ben conservato di scimmia antropoide, bacini di bue e frammenti di animali da individuare; e numerosi residui di abbozzi statuari, tra cui, ben conservati, una testa di cinghiale e due di bue. Su questo ritrovamento (per il quale mi riservo, effettuati gli studi, di dare una comunicazione integrale) mi limito qui ad osservare

IINCHIESTA SU ORGOSOLO

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come possa darci un elemento per congetturare la esistenza in Orgosolo, nel neolitico, di un popolo di cacciatori. L’etimologia stessa del nome del paese, secondo il più autorevole studioso di lingua sarda, Max Leopold Wagner, significa «guado, terreno acquitrinoso » palude (5). Ciò, presumibilmente, fa pensare ad un abitato di cacciatori.

Notizie storiche sugli abitanti di Orgosolo quali cacciàtori sono numerose ma di tradizione soltanto orale. Allo stato attuale non esiste più nel paese un solo individuo che viva della sola caccia, ma sino a 50 anni fa, e specialmente tra i banditi, secondo notizie avute da quasi tutti gli abitanti, esistevano cacciatori abituali, di mestiere.

L’abitante di Orgosolo è conosciuto in tutta la Sardegna come un meraviglioso cacciatore. Abile, astuto, paziente, testardo in modo eccezionale egli si sopraeleva su tutti gli altri sardi, e specialmente nella caccia del cinghiale e del muflone (oggi interdetta), secondo qualità che possono discendere soltanto da tradizioni storiche.

Una antica caccia oggi scomparsa che per la sua singolarità vale qui a lungo ricordare era la caccia tra l’uomo e l’avvoltoio, da cui discendeva anche una sorprendente forma particolare di gioco. Questo antico gioco, di cui non ho qui più trovata traccia alcuna, ma che è assai vivo ancora nel ricordo di qualche vecchio orgolese era la « lotta » tra l’uomo e l’avvoltoio : non l'uccisione di un ani
(5) « Il guaio è che non conosciamo il significato delle radici palcosarde se non in rarissimi casi, cioè quando esistono appellativi analoghi. Un tale caso è quello di Orgòsa, che proprio a Orgosolo si usa, come potetti verificare sul posto, per designare un terreno umido: l’uscita osa appare in numerosi toponimi (Ollosa, Malosa, Pesurtosa ecc.).

Così pare che orgosa sia un derivato da org(a), ad ogni modo, siccome il significato di orgosa è accertato, abbiamo il diritto di credere che il nome del paese Orgosolo sia in diretta dipendenza da orgosa, e così lo saranno altri toponimi simili disseminati nel cuore dell’isola. Proprio vicino ad Orgosolo vi è Badu Orghe, dunque un « guado » (teireno acquitrinoso); e una regione chiamata Orgolasi.

Certo non possiamo sapere se tutti questi nomi risalgono alla radice org di orgosa : per quelli cominciati con orgos lo riteniamo sicuro.

Il basco e il berbero non sembrano offrire nessun tipo affine; ma il greco antico (attico) ha 5pya « terra umida, grassa e fertile ».

La somiglianza di forma e di significato fra il vocabolo greco e il vocabolo sardo può essere un puro gioco del caso, ma ove il vocabolo greco fosse mutuato da qualche lingua asiatica — il che non ci pare inverosimile — si potrebbe anche trattare di lontane sopravvivenze mediterranee ». Bibliotheca romanica cdendam curat W. v. Wart-burg. Series prima. Manualia e commentationes. III. La Lingua Sarda di M. L. Wagner. Casa editrice A. Francke. S. A. Berna (195IX PP- 289-91.■16

FRANCO CAGNETTA

male che assaliva le pecore, del nemico delle greggi, ma un ludo, nna mimesi, uno spettacolo che si generava da quella lotta ragionevole.

In una fossa scavata nella terra l’orgolese poneva una carogna putrida di pecora, di capra, e se l’osceno odore non attirava l’avvoltoio, sulla cima di un’altura, in zona ventilata, egli uccideva ed arrostiva un cane. Giungeva ben presto da chilometri, da distanze incalcolabili, attirata dall’odor nauseabondo e dalla fame la fiera celeste, isolata o a schiere, e si avventava rutilante sulla carogna per ingozzarsi e riempirsi di carne marcia. Per distruggere gli avvoltoi l’or-golese, che oggi usa il fucile, poneva forti uncini di ferro legati a corde nelle carcasse, perché, ingoiandoli, nella sua ingordigia l’uccello potesse rimanere preso, accoppato, trucidato a colpi di pietra. Ma molte volte, trasformando tutto in una sottile pazzia, in un « gioco », senza mettere gli uncini, l’orgolese sfidava direttamente l’animale satollo, lo eccitava, lo aggrediva, e lo combatteva a colpi di bastone. Si scatenava una lotta barbara, terribile, una sfida tra forze umane e meramente animali, con la posta dello scempio e della morte: un mulinello di rostri e di bastoni, di penne, di ali, di braccia. Era la lotta più misteriosa, più antica e più segreta del paese. Risaliva a ragioni primitive della specie umana: suggeriva l’idea degli uomini che contendono al caos le distinzioni dell’essere, che cercano di distinguersi dalla forza del bruto con le astuzie, con l’intelligenza, il lavoro, lo strumento. L’orgolese giocava, mimava inconsciamente l’origine dell’uomo.

Anche il più grande zoologo di Sardegna del XVIII secolo, padre Francesco Cetti S.J., ricorda questa lotta (6).

Che l’abitante di Orgosolo fosse probabilmente un popolo cacciatore (e guerriero) può essere sottolineato anche, indirettamente, dall’abilità e dalia fama che in passato ha avuto, ed ha ancor oggi, come cavaliere. Gli orgolesi, chi li vede per la prima volta a cavallo, strappano un grido di entusiasmo. Basta guardarli con le gambe nervose e sottili strette alla pancia del cavallo, senza sella e senza staffa, slanciarsi con in mano la criniera tra uno svolazzo

(6) Francesco Cetti, Gli uccelli di Sardegna. Presso Giuseppe Piattoli. Sassari. MDCCLXXVI, p. 23.

IINCHIESTA SU ORGOSOLO

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di pelli o di lucenti panni, tra balzi, dirupi, precipizi. I primi cavalieri di Sardegna.

L’amore quasi incredibile che l’orgolese porta per le armi, qualsiasi genere di armi, può essere un segno, ancora, della origine antichissima e lunghissima, da un popolo in eminenza di bellicosi cacciatori. Imbracciando il fucile oggi, come ieri la clava e l’arco con le frecce; l’orgolese sembra nato in quella positura.

I migliori tiratori sardi — e ne fa fede la tradizione dei banditi

— discendono da Orgosolo.

Un altro elemento che potrebbe denunciare l’origine orgo-lese dai «cacciatori» è la generale crudeltà che essi dimostrano contro gli animali o gli uomini che lottano. Ho assistito, per esempio, all’uccisione di una pecora, ed ho avuta la netta impressione che il colpo inferto per la morte non è certo quello del pastore, dell’ex padrone della bestia, ma, piuttosto, quello del nemico, del cacciatore.

La crudeltà degli orgolesi per i cani, per es., è innaturale in un paese di pastori. Uno dei giochi infantili, ed adulti, degli orgolesi, è per es. quello della gratuita lapidazione di un cane, non sino alla ^ morte; ancora peggio, quello del suo completo spellamento sì che poi se ne scappi, ancora per poco, vivo; dopodiché succede, abitualmente, una vera orgia di fischi, di urla micidiali. Questa stessa crudeltà di cacciatori si può riscontrare, con evidenza, nella tortura, nell’omicidio, nello scempio di cadaveri. Da tale crudeltà, approfondita dalla macellazione nella società dei pastori, discende il carattere alquanto sanguinario, l’abitudine frequente al sangue.

Poiché il ciclo culturale dei « cacciatori » si accompagna sempre, o quasi sempre, con una attività specifica di « raccoglitori » vale qui citare un importante ed ancor esistente istituto che ha una forte sopravvivenza in Orgosolo (già diffuso in tutta la Sardegna) che è, esattamente, quello dell’« Ademprivio ».

L’« Ademprivio », il quale è un uso civico locale così diffuso e tenace che dai tempi della legislazione aragonese (1325) sino alle leggi italiane di abolizione (1865-77) era stato codificato come « diritto », è l’abitudine di tutto il paese di riunirsi per andare nei boschi, gratuitamente e senza ostacolo (ora soltanto per uno o due48

FRANCO CAGNETTA

periodi dell’anno) a fare legna, pietre, ghiande ed altri frutti che si trovino. L’ademprivio come « diritto » è rimasto sino ad oggi solo in Orgosolo.

In esso è da individuarsi il più antico e primitivo istituto agrario locale e, tenuto conto lo scarso sviluppo che sino ai nostri giorni ha avuto in Orgosolo l’agricoltura e potrebbe, forse — come in altre zone d’Italia dove esistono analoghi usi civici — avere le sue più lontane radici in una consuetudine propria a « raccoglitori ». Naturalmente avanzo questa ipotesi in modo solo dubitativo e non credo che si potrà mai effettuarne la comprova, mancando del tutto i documenti di tradizione ed i residui culturali che potrebbero certificarne quella origine.

Ma per indicare i caratteri probanti (e non soltanto ipotetici come i precedenti) di una origine dai cacciatori e raccoglitori (ciò che serve a chiarire il problema specifico strutturale e culturale della « turbolenza » di Orgosolo) vale qui studiare soprattutto e innanzitutto l’istituto della « vendetta », negli innesti e nelle proprie forme che ha preso nella società contemporanea dei pastori o nell’attuale ciclo culturale della « grande famiglia ».

L’istituto della vendetta, più che ogni altro, ha reso celebre Orgosolo negli ultimi anni non solo in tutt’Italia, ma in tutt’Eu-ropa. Per il numero dei reati ad essa connessi, e per la continuità e spettacolarità che essi presentano, si deve ritenere che, in questo settore, Orgosolo rappresenti, oggi, il più importante paese di tut-t’Europa.

L’istituto della « vendetta », ben intesi, assai diffuso tra popolazioni a struttura economica e culturale primitiva in tutto il mondo, è stato largamente studiato per singole zone e codificato nei lineamenti generali dall’etnologia. Ma una ricerca sulla « vendetta » in Orgosolo non è stata neppur tentata (se non in articoli giornalistici), sebbene l’importanza del paese risulti a prima vista, ed una analisi possa comportare utili apporti, per l’impianto generale di questo problema nell’etnologia.

Generalmente l’etnologo studia la origine strutturale e culturale della « vendetta » prescindendo da ogni identificazione con particolari « cicli culturali » (poiché si ritrova, infatti, in tutte leINCHIESTA SU ORGOSOLO

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società e le culture) e lo definisce, un fenomeno ideologico valido in assoluto, agevolato da strutture particolari e da particolari culture : ma fondamentalmente fatto « sacro », « ragione magica », « dovere ».

La « vendetta », che sempre si origina in strutture economiche che portano ad una formazione della società in gruppi « chiusi » trova sempre il suo movimento in un fatto culturale. Tutti gli uomini che si ritengono esistenti (discendenti e legati) in una singola unità il cui elemento comune è considerato ideologicamente il sangue in primo luogo, e, secondariamente, altro elemento ideologico come il totem in antico, l’amicizia modernamente ecc., all’atto in cui viene intaccata dall’esterno, da altri uomini (e nelle società « chiuse » da un altro gruppo analogo) la propria comune unità con spargimento di sangue od altra offesa, sentendo minacciata la comune esistenza e con ciò la propria e singola sentono la necessità di intervenire con un atto che in qualche modo tenga lontano ed elimini il pericolo e, al tempo stesso, protegga e reintegri la propria comune unità e, con ciò, la propria e singola esistenza. In generale questo atto di « vendetta » si configura con un altro atto uguale a quello ricevuto: spargimento di sangue contro spargimento di sangue, offesa contro offesa.

L’etnologia ha cercato lungamente di ritrovare quale è la necessità culturale che spinge alla « vendetta » e sino ad ora sono state avanzate sempre ragioni generali, ragioni che prescindendo da una particolare economia, si limitano ad una spiegazione religiosa, ad una « ideologia » staccata da ogni particolare società. Il problema è rimasto « astratto » : si fa ricorso a un « uomo » uguale

o valido per ogni società, a un uomo « eterno ».

Io credo che la soluzione del problema della « origine » o « necessità » della vendetta si possa invece collegare ad una particolare società economica e ad un particolare periodo storico dell’umani-tà: al ciclo definito in etnologia «dei cacciatori e raccoglitori».

È nota in etnologia la importanza decisiva che in tutte le società primitive ha la estensione o generalizzazione dell’« esperienza fondamentale », del lavoro principale in una singola e delimitata unità economica e sociale.50

FRANCO CAGNETTA

Il momento fondamentale per il ciclo dei « cacciatori e raccoglitori » è la caccia, la lotta tra l’uomo e la bestia; una lotta fonda-mentale che coincide, altrettanto, con un momento generale, quale il momento del rischio della esistenza, della vita di fronte alla morte.

La connessione ideologica tra la caccia e la « vendetta » potrebbe, probabilmente, essersi generata in questo modo:

Il cacciatore vedendo in tutto il suo mondo che se si perde sangue, di uomo o di bestia, si perde la vita, ritiene, in modo primitivo, che il sangue è l’elemento fondamentale della vita, del mondo. Nel corso della sua esistenza il cacciatore trova, altrettanto, che lui e un suo « fratello » sono uniti nel sangue, per l’elemento fonda-mentale del mondo e della vita. Se un suo fratello è ferito, perde sangue e muore, essendo entrato in gioco l’elemento fondamentale della vita e del mondo, il sangue, anch’egli, avendolo in comune, è posto di fronte all’esperienza decisiva del rischio della esistenza, della vita di fronte alla morte. Nel momento della caccia, quando il cacciatore perde il sangue ed è in pericolo di vita, colpito dalla bestia, il solo modo che ha di non continuare a perder sangue e non morire è quello di far perder sangue alla bestia e farla morire. L’unico modo proprio di difendersi e salvarsi, cioè, si configura come il solo modo di ferire e far morire. L’estensione di questa esperienza della caccia a tutta la vita, al mondo totale — secondo la generalizzazione propria del primitivo — conduce alla applicazione generale anche nella sola società umana, ai rapporti tra soli uomini, nella lotta tra uomo e uomo. Si ingenera la « vendetta ».

La « vendetta », nasce e non può nascere che da una società di cacciatori; la sua estensione può avvenire solo quando questa attività sia preminente: cioè in un «ciclo culturale» di cacciatori che è, appunto, noto all’etnologia come « ciclo dei cacciatori e raccoglitori ».

Rimane il problema della sua persistenza in un qualsiasi ciclo che gli si sostituisca, e, per esempio, nel ciclo dei pastori della « grande famiglia », nel quale l’« esperienza fondamentale », il lavoro principale non è più, certamente, la caccia ma la domesticazione e l’allevamento.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Secondo gli studi del Mòdlig, Schmidt, Montandon, Menghin, è nota la tendenza, suffragata da numeroso materiale, a far discendere il ciclo dei pastori della « grande famiglia » da un precedente ciclo di « cacciatori e raccoglitori ».

Con la cattura dell’animale (un momento fondamentale della caccia oltre l’uccisione), nel ciclo dei « cacciatori e raccoglitori » si viene ad introdurre gradualmente un’altra esperienza importante: ila domesticazione, poi l’allevamento. Il momento di passaggio da questo primo ciclo al secondo, lungo a yolte per millenni, non è certo ricostruibile, né si può dire che esso sia originato od importato. Rimane però un forte legame tra il ciclo dei « cacciatori e raccoglitori » e quello dei pastori; e la stessa cultura di questi, specialmente nella «grande famiglia», viene molto influenzata.

Sebbene si sia passati dalla lotta cruenta alla domesticazione e aH’allevamento, rimane pur sempre come « esperienza fonda-mentale », lavoro principale del nuovo ciclo, il rapporto tra l’uomo e la bestia. Un momento subordinato di questo, ma importantissimo, e residuo di quel ciclo precedente, è ancora quella pur sempre cruenta lotta che è l’uccisione dell’animale domesticato e allevato, la macellazione della pecora. Il generale ambiente ideologico proprio della società dei cacciatori, il cui elemento fondamentale è il « sangue », con la formazione della società dei pastori in una famiglia sempre più forte che si riconosce legata per elemento fondamentale col « sangue », viene qui ribadito e, per questo verso, rafforzato.

Dove, come quasi sempre avviene, la coesistenza dei due diversi cicli permane e una società di cacciatori nell’insieme mantiene un peso consistente rispetto alla società dei pastori, la cultura generale del primo ciclo ha fortissime possibilità, certamente, di persistere.

Per il caso di Orgosolo queste leggi mi pare che possano benissimo essere comprovate. La società di Orgosolo, società antichissima di pastori e di cacciatori sopravvissuti sino al secolo scorso, presenta per i suoi caratteri strutturali e culturali tutte le condizioni per l’esercizio della « vendetta ».

E più la società è chiusa in grossi gruppi (« grandi famiglie »)52

FRANCO CAGNETTA

e la mentalità o cultura si limita nel circolo ristretto e primitivo che ne discende, più la « vendetta » ha motivò di divampare ed incendiare in tutto il paese come legge generale interna della società. Diviene allora « disamistade » (inimicizia).

Una osservazione attenta ed analitica dei modi propri, passati e presenti, della « vendetta » in Orgosolo ci permette da un lato di ricavare preziosi elementi che comprovano l’esistenza di una mentalità o cultura (di un’« anima ») primitiva, per dirla con Levi Bruhl; e, dall’altro, di individuare in essa un uso così largo, che si è venuto a profilare con un vero e proprio « codice » o « diritto consuetudinario » locale ed una vera e propria prassi giuridica o « procedura consuetudinaria » locale.

È interessante notare per la datazione dell’istituto della « vendetta » in Orgosolo che esso si può far risalire con la massima certezza a tempi primitivi, poiché nelle forme proprie che ha oggi nel paese si possono ritrovare usi e consuetudini di giure che risultano incorporati e codificati nella prima raccolta di leggi sarde, la « Carta de Logu » di Eleonora Giudichessa di Arborea (XIV secolo) — il più antico ed importante documento scritto che ci permette di far luce sulla storia popolare sarda dell’alto medioevo (7-8).

Ho domandato, innanzitutto, a diecine e diecine di orgolesi quale credono che possa essere la ragione che rende necessario lo esercizio della « vendetta » nel paese. Quasi tutti mi hanno risposto che questa è « sa justissia » (la giustizia) — non la « sola », aggiungeva qualcuno, ma quella « vera » —; e « su conno tu » (la tradizione, il fatto che si è sempre fatto così). Nel corso di queste domande mi è occorso di ritrovare anche alcune altre spiegazioni più specificamente culturali, che si possono inquadrare in un ciclo di mentalità o cultura precedente, propriamente « primitiva », perché legata a un mondo magico; e in un ciclo più moderno che generalmente si può dire risalente al mondo ideologico medioevale.

Giovanni Antonio e Francesco Succu, tra i più notorii esecu
(7-8) La sua edizione critica è: Carta de Logu de Arborea. Testo con prefazioni illustrative, a cura di E. Besta, nella rivista: Studi sassaresi pubblicati per cura di alcuni professori della Università di Sassari. Anno III, sez. I. Tip. G. Dessi, Sassari, 1903-04, pp. 222.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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tori di « vendette » in Orgosolo e principali superstiti della grande « disamistade », oggi sui 70 anni, hanno avuto a dirmi che un ucciso, se non si sopprime il colpevole deH’assassinio, torna « a gridare e sbraitare » nella sua famiglia e nel suo parentado; e che una «goccia di sangue», non corrisposta, porta «sfortuna» a tutta la famiglia e al parentado che l’ha versata.

Queste due antiche credenze, proprie di un mondo magico, anteriori, sono oggi generalmente prese in poca considerazione e sostituite quasi sempre da postulazioni di principio che richiamano l’« onore », il « prestigio ». Avendole riferite ad anziani e soprattutto ai giovani le ho viste quasi sempre derise come « stupidaggini di vecchi » ma, persino tra i più scettici, ho sempre trovato di fronte ad esse una certa sospensione e, in qualche caso, persino un dubi-toso riaffiorare di quell’antica superstizione.

La « vendetta » come istituto giuridico si presenta, innanzitutto, in Orgosolo con una confusione e simbiosi dei tre poteri legislativo, amministrativo ed esecutivo, e con una confusione e simbiosi di diritto privato e pubblico, come avviene in ogni « diritto » barbarico.

Dedurrò ora da numerosissimi casi concreti di « vendetta » da me studiati nella cronaca di Orgosolo una generalizzazione o tipizzazione, non indicando ogni volta, ovviamente, i lunghi casi particolari, poiché quello che qui interessa è in generale la legge del movimento. Per una idea concreta del movimento di una « vendetta » in Orgosolo rimando il lettore al mio citato studio sulla famosa «vendetta» tra i Cossu e i Corraine durata in Orgosolo dal 1905 al 1927 con innumerevoli fatti di sangue e uccisioni.

Una legislazione generale della « vendetta » non esiste, ovviamente, in codice scritto o in un codice vero e proprio che si tramandi oralmente, tuttavia nel costante ritordo di « vendette » che hanno gli orgolesi è rintracciabile un vero e proprio « corpus » consuetudinario di usi e tradizioni a cui mantengono sempre fede.

Posso indicare qui intanto le leggi generali più costanti e rispettate, che è possibile rintracciare, in modo vario, tra quasi tutte le società in cui si pratica la « vendetta ».

Alla « vendetta » in Orgosolo partecipano tutti i membri ma54

FRANCO CAGNETTA

schi delle « grandi famiglie » implicate (i congiunti più prossimi, i famigliati, gli affiliati come compari amici, ecc.) dall’età puberale sino a tarda vecchiaia. La limitazione al solo mondo maschile (non ho notizie di « vendette » eseguite da donne) discende certamente dall’essersi l’istituto originato in ima società di cacciatori, e cioè una società già organizzata in una divisione di lavoro maschile e femminile, riprodotta e ribadita nella successiva società dei pastori.

Secondo il modo della « vendetta » riscontrabile in tutte le forme di società divise in grandi gruppi « di sangue » a questa partecipano tutti gli interessati con una « solidarietà attiva » (colpire il responsabile o uno del suo gruppo) ed una « solidarietà passiva » (accettare la responsabilità del colpevole in tutto il gruppo da cui sia uscito).

I moventi della « vendetta » sono in Orgosolo, legati come ovunque ad un danno «economico», in primo luogo quelli primari o «naturali» di versamento di sangue umano vero e proprio (omicidio e ferimento); in secondo luogo quelli secondari o «artificiali» come il versamento di sangue di animali (sgarretta-menti), esteso poi a qualsiasi danno, furto di pecore, furto e danneggiamento di campagne ecc.; o il versamento subordinato di sangue umano (ma assai più raramente) come per lo stupro, esteso poi a ratto, rottura matrimoniale ecc. Un elemento « artificiale » considerato però come offesa al « sangue », ed assai importante in Orgosolo, è ancora la denunzia alla estranea autorità statale, carabinieri, polizia, magistratura ecc.

I perseguibili per « vendetta » sono in Orgosolo il responsabile diretto, senza distinzione di età e di sesso, poi il padre più importante del gruppo avverso, « su mannu », e tutti gli uomini in ordine di importanza e di età, non esclusi i bambini, come più volte ebbe a verificarsi durante la « disamistade ».

L’interesse particolare e proprio della « vendetta » in Orgosolo, oltre questi caratteri generali, sta però nel fatto che durante il suo esercizio si profila un vero e proprio « processo penale » secondo il modo della più antica tradizione sarda conosciuta, appunto, attraverso la « Carta de logu ».

Cercherò di indicare i singoli momenti secondo moderne corINCHIESTA SU ORGOSOLO

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rispondenze, tenendo presente che nel « processo orgolese », naturalmente, esiste sempre una grande rozzezza e, spesso, una contemporaneità di momenti.

Avvenuto il fatto di sangue e l’offesa vi è, dapprima, la « denunzia ».

Il carattere di questa è generico, privato e pubblico, indirizzata a tutto il proprio gruppo di « sangue » e, come monito, al gruppo di « sangue » che è colpito. È manifestata attraverso parole di cordoglio e di ira, segni visibili di lutto e « lamenti funebri ». Ogni orgolese non si rivolgerà mai o quasi mai, o soltanto formalmente, ad una estranea autorità statale: molte volte questo atto è considerato come un reato altrettanto grave che il fatto di sangue od ogni altra offesa.

Alla denunzia segue subito l’« indagine ».

Questa è effettuata dall’individuo maggiormente colpito, parente, compare, amico ecc. e più volte in un concorso collettivo. Qualche volta, ma raramente, ci si attiene alla voce pubblica che indica l’uccisore, il feritore, il colpevole di danneggiamento, di furto ecc.; ma, il più delle volte viene effettuata una vera e propria indagine aperta o celata con ricerca di corpi del reato, interrogatori, confronti, al fine di individuare il colpevole e se possibile ottenere con inganno o tortura la confessione. Un celebre caso è, per es., quello delle indagini effettuate da Onorato Succu il 1917 in occasione del rapimento di due bambini. A volte le indagini durano per anni ed anni con una tenacia incredibile nella ricerca del colpevole, e, una volta identificato, la vendetta scoppia quando il fatto è già stato quasi ovunque dimenticato.

Un modo proprio di indagine orgolese per un reato minore, il furto di pecore, viene eseguito con i modi propri primitivi che sono codificati nella «Carta de Logu»: il danneggiato o chi per lui va a cercare il sospettato, lo interroga, porta testimoni a carico, ascolta testimoni a discarico ed ha diritto ad una perquisizione in casa o nell’ovile. Se qui si rinviene indizio o corpo di reato e il sospettato o il padrone della casa e dell’ovile non sanno giustificarsi e non fanno il nome dei colpevoli vengono « ipso facto » ritenuti per colpevoli.56

FRANCO CAGNETTA

Al momento dell’indagine segue quello del « giudizio ».

L’amministratore del processo, il protagonista, secondo un antico uso codificato ancora nella « Carta de Logu » non è generalmente uno solo ma abitualmente un piccolo consesso. Di esso fanno parte l’individuo maggiormente danneggiato cui si uniscono famigliari, compari, amici, che svolgono una o più discussioni sull’entità del reato, sulla colpevolezza del sospetto, sul modo di punire. Una sentenza viene emessa dall’individuo maggiormente colpito o dal membro più autorevole del consesso con il consenso di tutti gli altri.

Indicherò qui, dapprima, quel tipo di sentenza che si chiude sempre con la decisione di uno spargimento di sangue. Per i reati minori viene di solito stabilito che si cominci con mio spargimento di sangue animale, sgozzamento di pecore o sgarrettamento più abitualmente (e cioè taglio dei tendini di una gamba, così che l’animale diventi inservibile). Per i reati più gravi — e sempre per l’omicidio — viene abitualmente comminata sentenza capitale.

L’imputato non viene ammesso al giudizio e, tenuto all’oscuro, non gli si dà la possibilità di difendersi, adducendo prove, testimoni e avvocati rudimentali.

Esiste però in Orgosolo una sorta di « citazione » che consiste in alcuni segni simbolici premonitori, legati in generale a una simbologia di sangue, come lo sgozzamento o lo sgarrettamento di una pecora davanti alla casa od all’ovile di chi ha offeso, la deposizione, quivi, di qualche palla di fucile o altro oggetto mortale, qualche croce di asfodelo, bandiere nere e così via.

A termine del giudizio interviene la designazione dell’« esecutore ». L’esecuzione è delegata generalmente tra gli stessi giudicanti all’individuo più colpito o al più importante o capace del consesso. Raramente si ricorre, malgrado si dica il contrario, a un esecutore professionale o a un sicario che è in generale un bandito. L’esecutore non è mai delegato da solo ma con esecutori supplementari i quali, per le ragioni tecniche dell’omicidio, sono necessari, in generale, come guardia del corpo, pali, protettori.

È di straordinario interesse rilevare che l’esecuzione della sentenza viene delegata non ad un solo individuo ma sempre aINCHIESTA SU ORGOSOLO

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più di uno poiché l’antico diritto sardo, abitualmente, non conosce altra forma. L’uso locale dell’esercizio collettivo della giustizia era così invalso ed è ancor oggi così radicato che tutti i governi, da quello spagnolo a quello italiano, lo hanno dovuto elevare in Sardegna a proprio istituto. Nel periodo di dominio spagnolo e piemontese l’istituto locale era l’« incarriga » e cioè l’imposizione ai maggiorenti di un paese di ricercare, catturare od uccidere il responsabile di un reato grave, pena, nell’insuccesso, una punizione collettiva, generalmente una multa. Era indispensabile poiché la forza pubblica statale poteva considerarsi ;— come oggi — impotente a tenervi la giustizia, poiché estranea e nemica di queste popolazioni. In tutto il periodo del dominio italiano, dal 1849 al 1954, questo istituto ha avuto sempre vita e vive ancora, sia pure in forma non importante come in passato, ma solo parallelo alla forza pubblica statale, ed è conosciuto sotto il nome di « baracellato » o «compagnia baracellare ». Questa è composta di cittadini incensurati, volontari o estratti a sorte, che hanno il compito di battere periodicamente le campagne con ronde, intervenendo, quando sia necessario, con il diritto al conflitto. La storia del « baracellato » in Sardegna — un istituto diffuso d’altronde nel medioevo in tutta Europa con nomi e forme varie — è molto lunga e complessa, con continua soppressione e restaurazione, poiché quasi sempre si trasforma in vere associazioni a delinquere, ma è pur sempre necessario per sostituire la forza pubblica statale qui impotente ed inadeguata. In Orgosolo in quest’anno non esisteva la «compagnia baracellare» poiché due o tre anni fa si è dovuta sciogliere per delitti da essa compiuti e non si è potuta riattivare per un collettivo rifiuto della popolazione a farne parte.

L’applicazione della sentenza avviene con il momento della « esecuzione ». In generale in Orgosolo prima della esecuzione avviene anche una specie di « notificazione » della sentenza.

Al giustiziando gli esecutori, a viso aperto o mascherato, ripetono in breve le ragioni che lo hanno portato alla morte e, immantinente, lo uccidono.

I modi di assassinio in Orgosolo (e si potrebbe farne un Grand58

FRANCO CAGNETTA

Guignol) sono di ogni tipo, in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni circostanza.

Generalmente si usa oggi il mitra ma, indifferentemente, anche il fucile, poco la rivoltella, la scure, il pugnale, la pietra, le mani per strangolare. Assai diffuso è l’omicidio operato precipitando il giustiziato in un pozzo o in una nurra, sì che al tempo stesso, ne scompaia il cadavere. Sconosciuto, invece, è l’omicidio per avvelenamento.

L’audacia orgolese nell’uccidere sulla pubblica piazza, davanti alla casa sulla strada, davanti alla caserma dei carabinieri ecc. ha una fama in tutta la Sardegna. L’omicidio avviene però sempre in modo tenebroso e non conosco casi di omicidi avvenuti dopo rissa

o colluttazione a viso aperto. La capacità di sparire degli assassini di Orgosolo ha altrettanto, in tutta la Sardegna, larga fama.

Si può dire che al delitto segua sempre P« esemplarità ». Il cadavere viene abbandonato, generalmente, in luogo visibile o trascinato, a volte, davanti alla casa, né si tralascia mai di lasciargli qualche sfregio, mutilazione o scempio visibile. Per quanto si possa sostenere l’influenza in questo delle leggi spagnole, questo uso è in verità assai più antico, se si ritrova codificato nella « Carta de Logu », e risale, addirittura, a presupposti e residui di cultura e mentalità primitiva. In generale sono quasi legge in Orgosolo due mutilazioni: il taglio delle orecchie per i ladri di pecore, poiché le pecore portano da antichissimo tempo il segno di proprietà sull’orecchio (esiste persino un termine locale per indicare i tagliatori di orecchie: «sos muzzurros »); e il taglio della bocca sino alle orecchie per i falsi testimoni, come è comprensibile. La mutilazione di una parte ritenuta particolarmente responsabile per il tutto è uso caratteristico ed assai conosciuto in tutte le società primitive.

Quando ad Orgosolo si uccide si ha l’impressione che sia stata eseguita una sentenza capitale. E l’omicida può sparire in mezzo alla gente e quasi confondere la sua responsabilità in una responsabilità più larga e più profonda. Dopo queste esecuzioni il paese rimane generalmente tranquillo e non è per timore di rappresaglie e tanto meno per « omertà » (che è un termine esterno) che cadeINCHIESTA. SU ORGOSOLO

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nel silenzio anche l’eco dei misfatti. È piuttosto, e solamente, l’antichissima « legge » di Orgosolo.

Il vecchio principio primitivo che la vendetta è inestinguibile (quello appunto che conduce all’assassinio) è però attenuato anche in Orgosolo da qualche principio che la considera estinguibile (e così conduce a punizioni « minori »).

In generale si possono dire aumentate le vendette « minori » o

lo spargimento di sangue « secondario » che si ha con lo sgozzamen-to e sgarrettamento di pecore. Questo reato, che non ha pari in tutta Italia per estensione, è un vero flagello della economia orgolese, come ieri lo era, e forse ancor oggi, di tutta la Sardegna : patrimoni ingenti vanno distrutti. L’intensità del fenomeno è tale che ogni mattino, come mi scrivono da Orgosolo, esiste un vero e proprio « bollettino informativo ».

Anche le soluzioni della « vendetta » con una « pacificazione »

o vendetta « simbolica » sono assai in uso. Il principio della « conciliazione » si trova anche, costantemente, nel diritto sardo, anzi si può dire che la « Carta de Logu », in contrapposto alla vendetta, a questo si informi.

Qualche volta quando si sia pure versato sangue, se le circostanze lo consentono ed il reato è preterintenzionale o, almeno, eseguito in circostanze meno gravi, si pratica anche, seppur raramente, l’antico istituto di « su abbonamentu » (o conciliazione). Il colpito si reca dall’offensore e se, tramite « pacificatori » si giunge al riconoscimento della colpa da parte del responsabile, e ad una chiarificazione delle due parti, si conviene un risarcimento che è, oggi, in generale, pecuniario. Il principio del risarcimento pecuniario discende, propriamente, dalla legislazione medioevale sarda, dalla « Carta de Logu ».

Ma esiste anche una specie di « abbonamentu » più antico con spargimento di sangue non umano ma animale nel caso, ad es., di invasione abusiva di pascolo o di seminato da parte di una pecora

o di un gregge. Il danneggiato ha il diritto di fare immediatamente l’esecuzione della bestia, o di più bestie, consegnandone il cadavere,

o i cadaveri, al loro proprietario. È dato ritrovare in questo modo un antico principio di riscatto sacrificale, di « simbolica » vendetta,60

FRANCO CAGNETTA

che nel medioevo, per es. si può ricollegare ai processi contro gli animali. L’uso di questo era così vasto e diffuso che la « Carta de Logu » e la legislazione spagnola lo stabiliscono come istituto che prende il nome di « maquizia ».

Ma ancor più che nell’« abbonamento » il principio della conciliazione o della « vendetta simbolica » ha la sua manifestazione più importante in Orgosolo nelle « paghes » (paci) che di tanto in tanto si realizzano.

Ogni volta che si sia verificato un eccesso di delitti (omicidi, ecatombi di bestiame ecc.) rovinoso per le famiglie e le proprietà di ambo i gruppi in contesa si può addivenire, in generale tramite «pacificatori» (che sono sempre uomini del paese e mai autorità statali, vescovi ecc., come si dice), ad ima serie di abboccamenti e, poi, ad un concilio generale, al quale intervengono tutti i responsabili (assassini), e i padri e membri importanti delle parti, al fine di discutere e di cercare un qualche accordo che, generalmente oggi, si svolge su un terreno di interesse, di compensazioni pecuniarie. È questo il caso, per es. delle celebri « paghes » tra i Cossu e i Cornine, dopo 22 anni di lotta accanita e sanguinosa, che riuscirono a conciliarsi ed a por termine alla grande « disamistade ».

La composizione in danaro, propria ancora del medioevo, trova però il suo fondamento e la sua possibilità in una composizione « simbolica » della vendetta. Questo aspetto è da ricondursi invece, e solamente, alla mentalità e alla cultura dei primitivi.

Il modo più tipico di questa conciliazione nel paese è il matrimonio tra un uomo del gruppo dell’ucciso ed una donna del gruppo dell’uccisore. Il versamento di sangue verginale presenta il carattere di riscatto simbolico del sangue versato nel precedente omicidio.

Un altro elemento arcaico di analoga compensazione è il versamento del sangue di pecore e di capre, uccise davanti a tutti nei banchetti che si tengono sempre in Orgosolo in occasione di « paghes ». Anche qui lo spargimento di sangue animale ha il valore di riscatto simbolico del sangue versato in tutte le precedenti vendette.

L’istituto della «vendetta» è così diffuso nel paese di Orgosolo che si può ritenere, a mio parere, inestinguibile, almeno finoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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a che non saran modificati la struttura più profonda dell’economia del paese ed i più profondi rapporti sociali di struttura delle « grandi famiglie ».

Il continuo alimento alla vendetta viene dato ora (e, naturalmente, anche in passato) oltre che dalla lotta tra le grandi famiglie, dalla lotta sociale tra le due classi, tra i ricchi e i poveri. Questa si articola così largamente nella « vendetta » che si deve cercare in essa, di volta in volta, lo sviluppo proprio e locale di una primitiva lotta di classe.

L’istituto della « vendetta » contribuisce così grandemente alla formazione della mentalità e del carattere degli orgolesi che, per il suo esercizio millenario, si può dire che, quanto nessun altro in Italia, questi possono considerarsi un antico popolo guerriero che, per concorrenza di economia e di cultura, è riuscito a sopravvivere sino ai nostri giorni.

Ma per porre in evidenza questo carattere « guerriero » (che è un aspetto generale della discendenza dai «cacciatori e raccoglitori») bisogna indubbiamente studiare l’altro istituto, a questo fine più interessante: la «bardana».

L’istituto della « bardana » o razzia è un istituto locale antichissimo.

Le sole notizie che si hanno su tutta la regione delle montagne già piene di foreste che circondano Orgosolo, (la Barbagia), dalla epoca delle più antiche popolazioni locali, che si può far risalire al 5000 a C., sino ai nostri giorni, non parlano che di popoli locali che, riuniti in piccoli gruppi, discendevano nei vicini territori a rapinare bestiame e prodotti agricoli, a devastare abitati, ad attaccare e spogliare le truppe colà inviate o più raramente stanziate, disparendo, quasi sempre irraggiungibili, tra le foreste e nelle montagne.

Per il periodo « preistorico » o Nuragico, per il quale non esistono notizie scritte, si può dedurre dai monumenti archeologici, e specialmente dai « bronzetti sardi » ritrovati in Barbagia, che questi popoli dovevano essere organizzati in società di guerrieri, cacciatori e pastori. Per il periodo cartaginese (VI-IV sec. a. C.) Pausania e Diodoro ci parlano di predoni che, continuamente turbolenti, ave62

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vano impedito la occupazione del loro territorio. Per il periodo romano (231 a. C. - IV sec. d. C.) Zonara, Diodoro, Livio, Floro. Varrone, Cicerone, Tacito, Procopio, Giustiniano e qualche iscrizione epigrafica ci parlano di popolazioni di instancabili predoni, combattuti continuamente ma irriducibili, contro i quali non si era potuto fare altro che limitarli con ima cintura militare nel loro territorio, dando a questo il nome di Barbaria, terra non romana. Non diverse sono le notizie medioevali da papa Gregorio I ai documenti del « Codice diplomatico », e così per l’epoca moderna in raccolte di leggi, documenti di polizia, libri di viaggiatori ecc.

In tutto il mondo sono conosciuti popoli consimili come, per es., nell’antichità i Germani i Celti, i Baleari, i Pannoni, gli Sciti i Parti ecc.; nell’epoca medioevale gli Unni, i Vandali ecc.; nella epoca contemporanea i Berberi, i Beduini, gli Arabi ecc.; ma l’esistenza ancor oggi di popoli predoni nel territorio italiano è una sorpresa per la maggior parte degli italiani.

E, in verità, l’attività dei predoni di Barbagia (limitata oggi soprattutto al paese di Orgosolo) costituisce per le popolazioni confinanti (Fonni, Urzulei Oliena, Villagrande ecc.) e per quelle delle pianure in cui scendono in transumanza (Campidani, Baronia, Ogliastra, Gallura ecc.) uno dei problemi più gravi come è tra i più gravi della economia di Sardegna.

Uno studio attento ed analitico delle forme e dei modi della « bardana » o razzia orgolese può permettere di mettere in evidenza elementi speciali che si devono far risalire non alla struttura economica e sociale del ciclo odierno della « grande famiglia », ma piuttosto a quello del ciclo anteriore dei « cacciatori e raccoglitori ». Al tempo stesso, può porre in rilievo che la serie dei reati connessi non possono catalogarsi tranquillamente tra quelli di « delinquenza comune » : furto, abigeato, grassazione ecc.

La larghezza e l’intensità dell’esercizio della « bardana » devono farla ritenere invece, e piuttosto, un « istituto » sociale discendente dalle origini e sopravvissuto in questo paese.

Alla « bardana », innanzitutto — e questo elemento sorprende chi si avvicini al problema — prendono parte quasi sempre non delinquenti comuni ed elementi abnormi dalla società riuniti inINCHIESTA SU ORGOSOLO

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« associazioni a delinquere », come avviene generalmente in tutta Italia, ma abitanti del paese di Orgosolo che hanno abitualmente un normale mestiere e, per tutto il resto, conducono una vita pacifica. Essi non costituiscono una associazione a delinquere o « banda » a carattere stabile, permanente, ma soltanto a carattere momentaneo, transitorio. Compiuta la « bardana », e magari una sola in tutta la loro vita, essi ritornano alle abituali occupazioni. La « bardana » è per la coscienza comune e per la coscienza giuridica locale un lavoro come un altro, un affare qualunque e, per questo aspetto, può essere considerato un fenomeno come per es. il contrabbando in alcune particolari società di zone di frontiera.

Alla « bardana » in Orgosolo partecipano, in generale, solo gli uomini (non ho notizie di « bardane » fatte da donne) senza limitazione di età (dall’età puberale a tarda vecchiaia), e di ogni mestiere, famiglia e classe sociale.

I modi di costituire la associazione per la « bardana », tenuto presente il criterio generale di una scelta per capacità naturale ed esperienza, avvengono, di volta in volta, in Orgosolo, in due modi particolari: questi corrispondono, in grandi linee, ai due modi particolari delle due grandi e rudimentali classi sociali del paese.

II primo modo (che è quasi sempre quello dei « poveri » organizzati in (( bardana » per arricchirsi alle spalle di un <( ricco ») è per <( invito »: il promotore o i promotori invitano i prescelti, generalmente tra i parenti e amici; ognuno provvede per sé alle necessità di armamento, vitto, mezzo di trasporto; non esiste un vero e proprio capo o si elegge il più anziano, più capace, ed esperto; il bottino viene diviso in parti uguali o anche proporzionale all’im-portanza dei membri.

Il secondo modo (che è quasi sempre quello dei « ricchi » organizzati in « bardana » per aumentare il proprio patrimonio alle spalle di un altro « ricco ») è per « arruolamento » : il promotore

o i promotori provvedono direttamente, e più generalmente attraverso un loro delegato o più delegati, ad invitare ed arruolare i prescelti, generalmente tra parenti od amici dei delegati. Forni -scono Parmamento, il vitto, qualche genere voluttuario come vino e tabacco e sempre, o quasi sempre, una quota fissa di ingaggio,64

FRANCO CAGNETTA

salario del delitto; il bottino va al promotore o ai promotori con percentuale al delegato o ai delegati e, qualche volta, con un premio a tutti gli arruolati, uguale o proporzionale alla parte avuta.

L’organizzazione di rapine da parte di «ricchi» è la «bardana» abituale: si può dire che la «bardana» è la via maestra della formazione della proprietà.

Questo fatto è stato più volte documentato.

I proprietari di Oliena, paese confinante con Orgosolo, il 1870 così scrivevano in petizione al Parlamento : « i delinquenti sono tra le persone tenute per buone e per condotta e per posizione sociale... meriterebbe la sua seria attenzione il sapere che questi individui così riuniti ad hoc non sono banditi né persone miserabili, ma tra i più influenti e superiori ad ogni sospetto (9) ». Il Procuratore del Re, a Nuoro, Sisini, il 1899 così scriveva nella relazione riassuntiva dell’anno giudiziario: « Gran parte dei delitti è opera di persone che non basiscono nella miseria, sibbene di gente più o meno abbiente. Solo il povero ed il pezzente spesse volte cala nella rete della giustizia e ne riporta la meritata pena, ma i grossi delinquenti che hanno agio e modo riescono ad eluderla. I furti più grossi si commettono col concorso di molti, e quelli che ne sono la mente e l’anima trovano il modo di mostrarsi al pubblico al momento che il reato viene consumato.... Il numero stragrande dei furti non potrebbe avere luogo senza l’aiuto di coloro che con biechi fini vogliono arricchirsi senza badare ai mezzi, e costoro non li troviamo tra i poveri, ma sibbene tra coloro che del furto non hanno bisogno per vivere, tra gli agiati» (10). Il colonnello On. Pais-Serra il 1896 nella inchiesta parlamentare da lui condotta sulle condizioni della p. s. in Sardegna per incarico di Crispi, così scriveva: «Non è raro il caso che partecipino a rapine agiati pastori, e spesso ve ne ha di coloro che seguitano i loro affari, resi più prosperi dal bottino ricavato in siffatte

(9) Avv. G. M. Lei-Spano, Presidente dell’Associazione Economica Sarda. La questione sarda. Con dati originali e prefazione di Luigi Einaudi. Bocca, Torino, 1922, pp. 112.

(10) Egidio Castiglia, Undici anni nella zona delinquente. Dessi, Sassari, 1899, pp. 82-84.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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imprese; e se non se ne vantano non se ne sentono però né rimorso né vergogna, come se si trattasse di agiatezza acquistata (11) ».

Se i « ricchi » sono i promotori della « bardana » per arruolamento, gli arruolati sono, in generale, rintracciabili tra i « poveri ». Scriveva il Pais-Serra : « È altrettanto vero che la forza bruta viene arruolata tra i miserabili. Se la volontà iniqua che li dirige non trovasse questo facile strumento di sua nequizie non potrebbe con tanta frequenza manifestarsi in orribili fatti » (12). Poiché per compiere la « bardana » occorre sempre qualcuno che conosca le persone da rapinare, le sue abitudini, i luoghi, in generale si deve ritenere che partecipano soprattutto ad essa i « servi », servi pastori o servi di casa.

Per quanto riguarda i rapporti generali interni dei componenti una « bardana », se si esclude il caso di quelle, e specialmente dei « poveri », nella quale tra tutti i membri esiste una uguaglianza, si deve ritenere che abitualmente esiste un capo con potere, qualche volta, di vita o di morte sui dipendenti. L’organizzazione, in generale, è strettamente gerarchica, quasi militare: in alcune «bardane » i componenti son indicati, persino, da un numero progressivo.

L’armamento della « bardana », sia quello rudimentale e improvvisato della « bardana » dei poveri, sia quello organizzato della « bardana » dei ricchi, è composto non solo di armi di fortuna (pugnali, schioppi, rivoltelle, fucili) ma di tutte le armi più moderne ed oggi, in generale, mitra. La provenienza dell’armamento è varia : frutto di « bardane » precedenti, di depositi abbandonati di munizioni (specie dopo le guerre), di armi riportate da reduci, di acquisto da militari (spesso sardi, parenti e amici) che incautamente o criminosamente le vendono. La frequenza di armi di dotazione regolare tra carabinieri, polizia, esercito, tra autori di « bardane » sono una prova di questo mercato.

La « bardana » si organizza, in generale, non con una partenza collettiva ma con convegno in un dato luogo. I mezzi di trasporto,

(11) Relazione d’inchiesta sulle condizioni economiche e della sicurezza pubblica in Sardegna promossa con Decreto ministerale del 12 dicembre 1894. Tip. della Camera <iei Deputati, Roma, 1896, pp. 51.

(12) Ib. p. 74.66

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oltre le gambe od il cavallo, come anticamente, sono tutti quelli moderni che si trovano di volta in volta: treno, auto, bicicletta, motocicletta. La capacità di spostamento dei predoni orgolesi a marce forzate, con tempi da corse a cronometro, è quasi incredibile.

I partecipanti alla « bardana » vanno da 2 a tutto il paese, con una media di 10-50 per volta.

Le « bardaqe » si fanno a viso aperto o mascherato.

I ripi di impresa che compie l’associazione della « bardana » sono divisibili in imprese contro individui ed in imprese contro collettività. Una seconda ripartizione si può fare per le imprese contro luoghi di dimora e per imprese sulle strade.

Le imprese contro individui sono rivolte, in generale, contro « ricchi » locali. Secondo una mentalità primitiva (che va sempre più scomparendo) sono rare le imprese contro uno « straniero ».

Il ricco colpito può essere orgolese ma, più generalmente, dei paesi vicini. È più facile, naturalmente, nel paese esser individuati come colpevoli, e, oltre a ciò, è più facile non essere riconosciuti e sparire dal territorio vicino. I reati contro individui condotti in luogo di dimora, sono, in generale, furto di pecore (il più diffuso e un vero flagello), di prodotti agricoli, di denaro, di valori, con assalto allo ovile o all’abitazione; ed il sequestro di persona a fine di ricatto. E ancora sgarrettamenti, e danni e incendi a colture ed alberi. I reati contro individui, condotti sulla strada, sono la gassazione del passante isolato, dal pastore al signore in auto con valori e denaro; e, preferito a quello in casa, il sequestro di persona.

Le imprese contro collettività sono (o erano) rivolte contro un comune vicino o contro enti privati o statali.

I reati contro un comune vicino sono (o erano) la lotta per il possesso di territorio di pascolo e il saccheggio di tutte le case.

Dal medioevo le lotte per il possesso di territorio di pascolo è stata, con continuità, una delle forme più gravi e più famose di « bardana ». Le lotte contro il comune di Locoe, ad es., sono vive tuttora nel ricordo dei vecchi orgolesi. L’intero paese, armato, a piedi e a cavallo, scendeva a torme per battersi ogni tanto con quello di Locoe in vere e proprie battaglie. Il territorio, a poco a poco conquistato dagli orgolesi, era militarmente presidiato, e si accendevanoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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continuamente conflitti con diecine e diecine di morti. Dopo tanto sangue, il 1845 Locoe veniva completamente spopolata e distrutta e la tradizione vuole che ciò sia avvenuto per avvelenamento di tutte le acque ad opera di orgolesi.

Il saccheggio di tutte le case di un vicino paese, è uno dei feno meni più impressionati della storia di Sardegna. Per darne un esempio vivo darò qui la descrizione di uno assai celebre compiuto in Tortoli il 13 novembre 1894, che contiene tutti gli elementi di questa forma classica di « bardana ».

A mezzanotte, da 100 a 500 grassatori orgolesi a cavallo, armati di moschetti, erano penetrati, silenziosi, in quel paese. Circondata la caserma dei carabinieri, e dispostisi nelle vie in modo da poter controllare tutte le case, avevano cominciato a sparare contro le finestre, cacciando urla acutissime per intimidazione. Dalla caserma de} carabinieri avevano risposto al fuoco con due o tre fucilate e, allora, un gruppo di orgolesi, entrato con la forza, aveva massacrato i pochi uomini di guarnigione. Numerosi grassatori e bande, sfondate con ascie e mazze tutte le porte, erano entrati in ogni casa svaligiando e compiendo ferimenti ed uccisioni. Solo le donne, non una esclusa, venivano rispettate.

Nella casa del proprietario Pau, fratello del vescovo di Lanusei, che era il principale obbiettivo della «bardana», si tenevano in oro 2500 lire, 1500 monete russe, 1250 monete di Venezia, 20 sterline, calici d’oro, oggetti di chiesa, gioielli, argenterie, orologi; e inoltre, fucili, pistole, munizioni. Nella casa, il proprietario, era assente e sua moglie e nove figli si erano salvati per un grande foro sopra il tetto, tenuto sempre pronto per qualsiasi eventualità. Era stato ucciso un servo, non si sa se perché aveva tentato di difendere i beni del padrone, o per eliminare un complice o testimoni pericolosi. Compiuto il furto, come per incanto i grassatori erano scomparsi dal paese. Il sindaco di Tortoli e altri 2 o 3 uomini usciti dalle case, erano usciti qualche ora dopo nelle campagne e qui avevano rinvenuto il cadavere di un grassatore, morto per ferite ricevute dalle fucilate dei carabinieri: aveva fattezze signorili, mani bianche e fini, era completamente spogliato, e con la testa staccata e asportata dal busto, che i suoi compagni avevano portato con loro per evitare il ri68

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conoscimento. Nessuno dei grassatori è stato poi mai identificato.

Diecine e diecine di simili « bardane » hanno subito dagli orgo-lesi quasi tutti i paesi vicini e, seppur in questa forma si possano dire scomparse, (ma da poco), il ricordo dei grandi predoni di Orgosolo rimane tra tutti quegli abitanti.

Da qualche anno rapine simili si-svolgono, di tanto in tanto, solo contro qualche casa o qualche gruppo isolato di case, e le grandi « bardane » contro i paesi vicini, si svolgono, e sempre meno in vero, soprattutto nelle campagne con furto di intere greggi, di torme di buoi, di mandrie di capre, di branchi di porci.

I reati contro enti pubblici, in generale statali, si svolgono tuttora in luogo di dimora e sulle strade.

In antico era celebre, ad esempio, la « calata » dei predoni di Orgosolo nelle saline di Oristano, dove essi si fornivano di sale per fabbricare i formaggi.

Non si ricordano assalti alle Banche, perché Banche non ve ne sono. Una rapina tradizionale, e tuttora frequente, è, invece, contro gli Uffici postali.

La più audace e frequente « bardana » è fatta contro caserme di carabinieri, di p. s., a fine di « vendette » e per svaligiarne gli stipendi.

Le « bardane » più frequenti sono oggi sulle strade.

L’assalto ai treni, al treno Cagliari-Arbatax, con svaligiamento di tutti i viaggiatori, è avvenuto ancora, l’ultima volta, il 1922.

L’assalto alle corriere è, ancor oggi, reato frequente. Negli ultimi anni, dopo la guerra, ciò era divenuto un flagello. Per rendersi conto ancor oggi basta viaggiare sotto la scorta, da Far-West, che fa la polizia. Non solo viaggiano carabinieri armati di mitra nelle corriere e staffette motocicliste armate di mitra che seguono a distanza, ma, lungo le strade, ci sono, da due o tre anni, posti radio che Comunicano il passaggio cronometrico delle corriere: ogni ritardo che venga segnalato è segno di rapina e motociclisti e geeps corrono incontro per soccorso. Ma anche ciò è sventato dai predoni, poiché basta fermare un istante la corriera, svaligiarla durante la corsa e quindi scendere senza provocare alcun ritardo.

L’assalto di macchine che conducono le paghe di operai è statoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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frequente dopo la guerra. L’ultima « strage » di Villagrande ne è un esempio grave.

Le stesse macchine di carabinieri e di p. s. se portano paghe vengono fermate e sono assaltate. L’ultima strage di « sa verula » ne è una prova.

L’abilità di scomparire dei predoni, senza lasciar traccia, in un territorio che totalmente li favorisce, la velocità con cui riescono, veri e propri fulmini, a ritornare a casa, è incredibile

E non vi è caso, o quasi alcuno, in cui trapeli qualche cosa.

Se non vi è spia, se non vi è conflitto accidentale, fortuito, si può tener fede a Lei-Spano, già capo della Magistratura in Sardegna che scrive : « per esperienza personale posso dire essere rarissimo il caso che un malfattore sia scoperto e assicurato alla Giustizia ».

Le cronache delle « bardane » (che richiederebbero una intera biblioteca), il loro sviluppo continuo non « straordinario » portano ad alcune conclusioni generali. Scrive, ad es., il Pais-Sera nella su citata inchiesta, a proposito della « bardana » : « Si avverta che nella sua esecuzione ha un colore di impresa guerresca che si riattacca alle tradizioni dei popoli primitivi della Sardegna » (13).

Se non si tiene presente questo carattere normale, (seppur per noi « straordinario ») si rischia di non comprendere una situazione locale che non può essere se non quella che è: non si può affrontare concretamente la soluzione del problema.

Un fenomeno singolare su cui bisogna rivolgere l’attenzione è che l’abitante di Orgosolo, il pastore, il componente della « grande famiglia », che, come tale, dovrebbe avere il carattere di uomo prudente, sospettoso, chiuso nella famiglia, proprio e quasi solo in queste imprese rischiose, pericolose quanto mai, può dirsi che esca dal proprio mondo, si fidi di « estranei ». « Gli arruolati — scrive il Pais-Serra — per lo più non conoscono né l’obbiettivo dell’impresa né molte volte si curano del bottino perché sono assoldati. Spesso provenienti da diverse contrade sono ignòti gli uni agli altri, e arrischiano la vita e la libertà per pochi soldi, sol fidandosi in quello spirito di fede reciproca, di solidarietà fra essi che ancora permane

(13) Ib. p. 50.70

FRANCO CAGNETTA

incorrotto, nelle rudi popolazioni montane » (14). Per delinquere l’orgolese esce dalla propria famiglia, dal proprio gruppo di « sangue », entra in un altro più largo, in uno Stato. E la « bardana », in vero, si può dire, in certo modo, il solo Stato di Orgosolo.

Ciò fa pensare che questo istituto, con questo istinto associativo, possa nascondere ancora un residuo di società, di organizzazione sociale precedente a quello attuale della « grande famiglia » : la organizzazione in «orda», che è la più propria e più frequente delle società di « cacciatori e raccoglitori ».

Dopo gli studi dello Elkin sopra le « orde » in Australia sappiamo esattamente che cosa si debba intendere per « orda » : questa è una piccola comunità di individui di ambo i sessi, distinti in nuclei famigliari, dimoranti in un proprio territorio, esercitanti gli uomini la caccia, le donne la raccolta; su ogni singola famiglia che si unisce in « orda » non esiste una comune autorità superiore se non in cerimonie dirette dai più anziani; su ogni singola « orda » non esiste una superiore autorità comune e ^'insieme delle orde, la tribù, riconducibile solo a una identità linguistica, non esiste perciò come unità attiva, che per es. fa la guerra, allarga il territorio ecc.

Ciò che distingue l’« orda » dalla famiglia — ed è il suo carattere specifico, determinante — è che mentre in quest’ultima gli individui si ritengono legati per il « sangue », nella prima gli individui si ritengono legati per « antenati comuni », per i « padri che occuparono il territorio ».

Non possiamo pertanto parlare di « orda » nello stadio culturale presente degli orgolesi né possiamo dire — mancando qualsiasi residuo di quell’elemento ideologico decisivo, determinante — che essi in antico, già « cacciatori e raccoglitori » costituissero anche « orde » vere e proprie. Ce lo fanno pensare però gli attributi secondari, le «forme strutturali» e, specialmente, nell’istituto della « bardana ».

L’orda dei razziatori, degli antichi cacciatori seminomadi, potrebbe essere stata la antica radice sociale oggi sparita e non ricostruibile — di questa popolazione singolarissima tra tutti i vicini

(14) lb. p. 51..INCHIESTA SU ORGOSOLO

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e consimili paesi di pastori, che, prima di Orgosolo hanno raggiunto un progresso superiore.

Quali siano le ragioni della conservazione in Orgosolo di questi residui di arcaici elementi strutturali e culturali che non discendono dalla struttura economica e dalla cultura presente vedremo chiaramente, nella seconda parte di questa inchiesta, analizzando i rapporti tra Orgosolo e lo Stato.

* * *

Alcune manifestazioni culturali ancor vivissime e diffusissime nel paese di Orgosolo, al punto che possono ritenersi tipiche e fondamentali, testimoniano l’arcaicità del paese.

Bisogna considerare, in primo luogo, le manifestazioni culturali che si svolgono in occasione della morte, ed in particolare lo attitu o lamento funebre. Nel corso della mia inchiesta ho avuto occasione di effettua re una documentazione su 1 ’attitu basata su alcune registrazioni con apparecchio a nastro magnetico e piccole riprese cinematografiche.

I documenti ed i dati da me raccolti sono stati qui cortesemente elaborati dall’amico prof. Ernesto De Martino, le cui importanti ricerche nel dominio dell’etnologia e della storia delle religioni sono ben note al pubblico italiano. Ecco la sua relazione:

« Il lamento funebre sardo (attitu) è una forma storicamente determinata di un istituto arcaico che si ritrova nelle civiltà primitive a tutti i livelli di organizzazione economica e sociale, che si mantiene a lungo anche per entro lo svolgimento di civiltà superiori (si pensi al lamento funebre in Grecia, in Roma e in Israele) e che solo per entro la civiltà cristiana è stato oggetto di una lotta decisiva, protrattasi per venti secoli. Appena alcuni secoli fa il lamento funebre era diffuso tra le plebi rustiche di tutto il continente europeo, e le nazioni e le regioni che prima l’hanno perduto sono quelle che prima hanno fatto il loro ingresso nella moderna civiltà industriale : così l’Inghilterra e la Germania occidentale fin dal 1600, più tardi l’Irlanda che arriva sino alle soglie dell’800 ; la Francia sembra averlo perduto nelle regioni più arretrate durante il secolo scorso, e così pure l’Italia settentrionale e centrale; il lamento persiste ancora nelle cosiddette aree depresse, cioè in quelle che non sono pie72

FRANCO CAGNETTA

namente entrate nel processo di industrializzazione, come l’Europa balcanica e danubiana, qualche zona della Spagna, e — per l’Italia

— la Puglia, la Lucania, la Calabria, qualche settore anche abbastanza a nord della catena appenninica (come la Sabina) e, infine, la Sardegna. Nella sua forma generale il lamento funebre è un sistema organico tradizionale e rituale di espressioni foniche (verbali e musicali) e mimiche, sistema che si inserisce nel cerimoniale funerario in momenti critici particolari, e che per il suo interno meccanismo deve essere interpretato come un modo di difesa dall’eccesso parossistico (o addirittura autolesionistico) che l’evento luttuoso scatena nei sopravvissuti, soprattutto le donne. Il lamento funebre è reso dalle parenti femminili del defunto, o dalle lamentatrici professionali in un ulteriore sviluppo dell’istituto, e si appoggia su moduli fissi verbali mimici e melodici che tendono a spersonalizzare il dolore e che inducono, attraverso la ripetizione stereotipa una sorta di leggera trance nella lamentatrice in azione. Nelle forme più arcaiche, che risalgono alla raccolta e alla caccia, il cordoglio comporta sempre un impulso alla vendetta, a uno spargimento di sangue che compensi e riequilibri lo choc che il gruppo umano ha subito in virtù della morte: e anche nel caso di morte per noi naturale si opera una inchiesta e si cerca il responsabile magico della morte, colui che ha ucciso per incantesimo o per fattura. Nella società in cui la morte violenta è frequente e nelle quali vige l’istituto della vendetta, il lamento acquista anche la funzione di attizzare la vendetta; l’etimologia di attitu, secondo il Wagner, sarebbe appunto questa.

La migliore descrizione etnografica del lamento funebre sardo resta pur sempre quella del Bresciani, per quanto anche il Lamar-mora ci abbia lasciato su questo istituto isolano un rapporto preciso. Dice il Bresciani:

« In sul primo entrare al defunto tengono il capo chino, le mani composte, il viso ristretto e procedono in silenzio quasi di conserva, come se per avventura non si fossero accorte che bara e morto ivi fossero. Indi alzati corne a caso gli occhi e visto il defunto a giacere, danno repente in un acutissimo strido, battono palma a palma e escono in lai dolorosi e strani. Imperocché levato un crudeINCHIESTA SU ORGOSOLO

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lissimo compianto altre si strappano i capelli, squarcian co’ i denti le bianche pezzuole ch’ha in mano ciascuna, si sgraffiano e sterminano le guance, si provocano a urli, a omei, a singhiozzi gemebondi e soffocati, si dissipano in larghissimo compianto. Altre si abbandonano sulla bara, altre si gittano ginocchioni, altre si stramazzan per terra, si rotolan sul pavimento, si spargon di polvere; altre per sommo dolor disperate, serran le pugna, strabuzzan gli occhi, stri-don i denti, e con faccia oltracotata sembran minacciare il cielo stesso. Poscia di tanto inordinato corrotto, le dolenti donne così sconfitte, livide e arruffate, qua e là per la stanza sedute in terra e sulle calcagna si riducon a un tratto in un profondo silenzio. Tacite, sospirose, chiuse dai raccolti mantelli, con le mani congiunte e con le dita conserte mettono il viso in seno e contemplano con gli occhi fissi nel cataletto. In quello stante, una infra loro quasi tocca ed accesa da un improvviso spirito prepotente, balza in pie’, si riscuote tutta nella persona, s’anima, si ravvisa, le s’imporpora il viso, le scintilla lo sguardo, e, voltasi ratta al defunto, un presentaneo cantico intuona. E in prima tesse onorato encomio di sua prosapia e canta i parenti più prossimi, ascendendo di padre in padre in sino a che montano le memorie fedeli di tutti i santi di suo lignaggio : appresso riesce alle virtù del defunto, e ne magnifica di somme laudi il senno, il valore e la pietà. Questi carmi funerali sono dalla prefica declamati quasi a guisa di canto con appoggiatura di ritmo, e intrecci di rima e calore d’affetti e robustezza d’immagini, sceltezza di frasi e voli di fantasia rapidissimi : termina ogni strofa in un guaio doloroso, gridando ahi, ahi, ahi, e tutto il coro delle altre donne, rinnovellando il pianto ripetono a guisa d’eco: ahi, ahi, ahi».

Il non veder il morto per quanto possa sembrare un comportamento strano trova la sua spiegazione nel quadro della ideologia funeraria arcaica. Il morto è una potenza dal quale occorre difendersi, una energia malefica che bisogna placare: la più elementare difesa è appunto il non veder il morto, il non accorgersi di lui, almeno fin quando non si entra nel rito, che ha appunto fra le sue molteplici valenze anche quella di placare il morto. Un’altra tecnica è quella di non farsi vedere dal morto, di celarsi al suo sguardo, il che si fa sia chiudendogli gli occhi, sia mascherandosi e dissimulan74

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dosi: che è una delle valenze più arcaiche dell’abbigliamento di lutto.

Oltre alle determinazioni del lamento funebre sardo stabilite da Padre Bresciani, altre furono aggiunte dai successivi studiosi come, per es. il Ferrerò, il Wagner, il Fara ecc. Fra queste determinazioni che, del resto, non sono proprie del lamento funebre sardo ma appartengono al lamento funebre in generale, sono da ricordare la insorgenza del lamento in momenti determinati del rituale funebre (veglia funebre, trasporto del morto, cerimonia in chiesa, inumazione) e la sua ripetizione in date ricorrenze (dopo 7, 9, 30 giorni, date in cui si svolgono anche banchetti). L’uso del banchetto funebre è ancora diffuso in alcune regioni come, appunto, la Barbagia.

In base alle informazioni fornitemi da Franco Cagnetta il lamento funebre di Orgosolo non differisce sostanzialmente dalla descrizione di Padre Bresciani, ma in aggiunta sono state raccolte alcune interessanti osservazioni. In genere le donne si dispongono in circolo intorno alla bara (faghere sa roda = fare la ruota). La lamentatrice è spesso una donna che sa piangere bene e che ha la funzione di essere la guida del lamento: ma anche le parenti che sappiano eseguire il lamento partecipano col canto al cordoglio. La funzione del coro sembra limitata ad alcune brevi interiezioni stereotipe come ‘fradi meu’, ‘fizu meu’, ‘ziu meu’, ‘tattaiu meu’ » e simili che o sono ripetute all’unisono con la lamentatrice o riempiono gli intervalli nei quali la lamentatrice si riposa. Vi sono moduli letterari, musicali e mimici : cioè delle forme stereotipe tradizionali che consistono in immagini, interi versi, melopea, gesti.

In particolare, secondo i dati elaborati da Diego Carpitella, gli « attitos » registrati in Orgosolo per la parte musicale hanno particolare importanza. Essi, infatti, si basano su tre sole note: la loro struttura, estremamente elementare, appartiene indubbiamente, alle forme musicali più arcaiche che si conoscano. È difficile dire se le tre note in cui gli attitu si articolano fanno parte di una scala « modale » o di un scala pentatonica ridotta. E, data la frequenza del lamento funebre pentatonico in Italia la cosa non si potrebbeINCHIESTA SU ORGOSOLO

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escludere. Il loro modo di esecuzione è un declamato sillabico libero ed asimmetrico.

È molto interessante il fatto che alcune donne si trascrivono in un quadernetto i lamenti che hanno occasione di ascoltare: questo quadernetto, gelosamente conservato, è utilizzato poi dalle donne pei attingere alla prima occasione il lamento da recitare, adattandolo con opportune modificazioni in analoghe situazioni (figlia al padre, moglie al marito, e così via). Così, p. es., tutti i lamenti della famosa lamentatrice Bannedda Corraine furono a suo tempo raccolti dalle nipoti Pauledda e Pippina. Gli uomini non partecipano al lamento,* anzi esistono forme parodistiche maschili del lamento femminile. In sostanza il cordoglio comporta una sorta di divisione dei compiti: le donne eseguono il cordoglio attraverso T attitu che in Orgosolo è molto spesso legato alla esortazione alla vendetta; gli uomini eseguono la vendetta che fa parte integrante del cordoglio ed è il modo maschile di esprimerlo. Un esempio caratteristico di attitu di vendetta può essere il seguente:

Ohi fizos meos caros pranghidelu ’e tottu leades s’iscupeta chi b’ana a babbu mortu

(O figli miei cari, piangetelo tutti, prendete il fucile, che vi hanno ucciso babbo). Oppure:

Sas lacrimas a nois lassade a bois su piantu non cumbenit.

Sa mancia chi hat fattu a s’eridade solu su sambene sou la trattenit

(Lasciate le lacrime a noi donne, a voi non si addice il pianto. La macchia che l’uccisore ha fatto alla famiglia solo il sangue la cancelli). Altra forma tipica di lamento in occasione di morte violenta è quella che contiene imprecazioni e propositi di vendetta contro i carabinieri : il che è comprensibile data la frequenza di ucci76

FRANCO CAGNETTA

sioni in conflitti a fuoco. Eccone un esempio molto noto in Orgosolo che si riferisce ad una sorella che piange il fratello ucciso:

Cantu nd’appo tastau ti vidas congedati Cantu nd’appo videu ti vidas su congeu Si tenes frades sorres a zittade non torres Si tenes sorre’ u frades non torres in zittade.

Si as pi ’au pinna non torres in Sardinna Si as pi ’au referma non torres a caserma Si as pi ’au tenteri non torres a quarteri Frade meu Micheli de lussu su paperi L’happo in su ’ampu ruttu su paperi de lussu.

(Come non ti ho toccato ti veda congedato. Come non ti ho veduto ti veda col congedo. Se hai fratelli o sorelle in città non possa tornare. Se hai sorelle e fratelli non possa tornare in città. Se hai preso penna non possa tornare in Sardegna. Se hai preso ferma non possa tornare in caserma. Se hai preso calamaio non possa tornare al quartiere. Fratello mio Michele, di lusso carta. La ho ora nel campo rotta, questa carta di lusso).

La chiesa in Sardegna ha combattuto il lamento, come ne fanno fede i canoni dei concili diocesani. Negli stessi lamenti si ritrova talora una eco di questa lòtta, poiché in dati casi la resistenza dei preti a seguire il loro ufficio ha dato argomento alla lamentatrice di esprimere il suo disappunto.

A Orgosolo qualche anno fa un corteo funebre aveva luogo, accompagnato dal lamento tradizionale: il parroco volle impedire alle lamentatrici di assolvere il loro compito e, allora, una di esseINCHIESTA SU ORGOSOLO

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conclusali suo lamento con questi quattro versi che sono ancora ricordati :

Si ischiada su dolore pranghiada su Rettore si su dolore ischiada su Rettore pranghiada.

(Se provasse dolore attiterebbe il parroco, se il dolore provasse, il parroco attiterebbe).

Il testo impiega il verbo pranghere per atti tare : prova evidente che nella coscienza comune non si fa nessuna differenza fra il cordoglio in generale e quella forma rituale di cordoglio che é il lamento.

Una seconda manifestazione di estremo interesse e così diffusa da costituire la forma tipica ed il principale mezzo di formazione e di colloquio culturale tra gli orgolesi, è costituita dalla produzione di poesie cantate, « poesia sarda » o « su tenore » nel quale è rintracciabile il carattere arcaico e classico di identità tra parole e suoni di tutta la poesia e musica propriamente popolare.

Nel corso della mia inchiesta ho avuto modo di effettuare numerose registrazioni di questa forma su apparecchio a nastro magnetico, integrate da piccole riprese cinematografiche. I testi e le notizie da me raccolte sono state qui cortesemente elaborati dall’amico prof. Diego Carpitella del Centro Studi di musica popolare, dell’Accademia di S. Cecilia, e ne dò qui la sua relazione:

« Improvvisando queste poesie gli Orgolesi sogliono (come, d’altronde, in quasi tutta la Barbagia) riunirsi abitualmente in quattro cantori che iniziano un dialogo poetico-musicale. Il primo di essi — detto Sa Boghe — ponendosi al lato degli altri tre in posizione rigida, in piedi o seduto, qualche volta con una mano attorno alla bocca, posta in forma di conchiglia e come cassa armonica, incomincia a cantare un primo verso con una voce acuta che svolge il canto scandendo le sillabe, con un tremolio continuo e singhiozzato

— un declamato-sillabico « rubato ». Il modo ritmico di dire questi

. . , . . /3+2 4+2+3

versi e sempre molto vario, irregolare ''Simmetrico I ^—r;

3+2 ,2 \ .
——|- — ecc.) caratterizzato da continue accelerazioni e rallenta-8 478

FRANCO CAGNETTA

menti, da ornamenti e improvvisazioni varie che l’abbelliscono.

Questa voce — tipica di tutto il bacino mediterraneo e con caratteri comuni, per tendenza alla tonalità acuta, alla musica primitiva asiatico-europea — assomiglia, sotto alcuni aspetti, alle voci pastorali di altre regioni italiane, ad esempio il Gargano e la Calabria.

Conclusa l’esposizione del canto, la cui durata è legata al testo, al suo significato ed all’emozione provata, questo cantore tace e quasi sulle sue ultime note entrano contemporaneamente le altre tre voci.

La prima di esse è quella del cantore detto — Su bassu —. Questo emette con voce di gola, rauca e cavernosa, di timbro metallico e ferrigno, un suono cupo, continuo, una successione di note rapide e violente, che fa da base agli altri due cantori. Questi, detti — Sa mesa boghe e Sa ’ontra — emettono un’altra serie di suoni che sta alla voce di Su bassu, in un rapporto approssimato di armonia (terza e quinta; quarta e sesta) tanto è vero che spesso si trovano degli « urti » di seconda che producono un continuo carattere di contrasto e di aspra angolosità. Oltre all’elementare contrasto tra la voce solista e le altre tre voci, un altro aspetto caratterizza le due parti di Su tenore-, mentre nella prima, la voce solista si svolge, come abbiamo detto, secondo un declamato-sillabico « rubato » dal ritmo asimmentrico e libero; nella seconda, invece, le tre voci entrano con un ritmo marcato, preciso e regolare (in genere prevale il ritmo ternario). Le tre voci non ripetono alcuna parola del testo esposto dalla voce solista, ma fondono il loro blocco ritmico sulla scansione di alcune sillabe tradizionali : Ba-ri-llà, Bim-ba-rà, Bim-bo-rò; ecc. Conclusosi questo inciso ritmico la voce solista riprende il canto, per essere poi nuovamente interrotta dalle tre voci, e così via di seguito. Questo insieme di voci rintracciabile anche in qualche altra zona musicale italiana si differenzia però essenzialmente da queste, soprattutto nella impostazione della voce bassa, la quale ha caratteri analoghi nella musica primitiva di Oceania e di Africa. Nel centro di quest’ultimo continente si possono infatti trovare forme ed esecuzioni affini a Su tenore. Non si può dimenticare, inoltre, che ad Orgosolo questi canti servivano quale eccitazione ed incitamento alla « bardana », come tuttora, servono larINCHIESTA SU ORGOSOLO

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gamente a popolazioni dell’Africa per intraprendere la guerra. Le voci di Su tenore sono caratterizzate da sedimentazioni e imitazioni naturalistiche: è rintracciabile infatti una affinità tra i comandi che

i pastori usano per gli armenti e la dimensione dei loro canti : la identità sia di forma che di struttura (voce strozzata e singhiozzata; in più, qualche volta, urla, fischi, strappi di voce o « glissando » che interrompono Su tenore). Un’altra identità può trovarsi nella imitazione di versi propri del mondo animale (belati, muggiti, campa-nacci, ecc.). I tre cantori, seduti o in piedi, cantano anch’essi come Sa boghe, in uno stato quasi di assoluta immobilità, se si eccettua, qualche volta, il portamento di una delle due mani sulla guancia, tra l’orecchio e la bocca, per cassa armonica, o, come essi dicono, per « sentire » meglio la voce.

L’altra musica pastorale italiana è caratterizzata invece da una continua e straziante deformazione della faccia e di tutto il tronco. Questi caratteri di immobilità sono comunque rintracciabili in diverse altre culture, tra le quali quelle celtiche e di derivazione africana ».

Rimane, infine, tra le manifestazioni culturali tipiche di Orgosolo anche il ballo detto « su ballu sardu » o « su ballu tondu » (il ballo sardo o il ballo tondo) che, diffuso in tutta la Sardegna, è stato da molto tempo e largamente studiato. Si tratta, come è noto, di un ballo in circolo tra uomini e donne (a volte centinaia) nelle case o sulla pubblica piazza, eseguito tenendosi per le braccia, con quasi immobilità della parte superiore del tronco e passi lenti e gravi, a volte accelerati e quasi frenetici, intramezzati da saltelli, ma mai deformanti e scomposti. I balli a circolo, diffusi in tutto il bacino mediterraneo (Kolo montenegrino ecc.) tradiscono la loro arcaica tradizione nella forma di circolo, sempre legata a ragioni di magia il cui significato è oggi difficile determinare e ricostruire. Altra caratteristica fondamentale di questo ballo è che esso non è danzato su musica strumentale ma su musica vocale, cioè sulla poesia cantata: « su tenore ». Gli scarti ritmici di questo nel caso specifico del ballo (secondo le osservazioni che mi fornisce l’amico Carpitella ascoltando le registrazioni da me effettuate) sono qui più evidenti e si passa, attraverso una vivace accelerazione, da un ritmo di80

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ottava ad un ritmo di quarta —t- — j. E il ritmo è sottolineato,

molto spesso, dal battito sincrono dei piedi, interrotto da grida, fischi, interiezioni. L’unione di poesia, musica e danza risale alle più antiche manifestazioni culturali che si conoscano, diffuso tra tutti

i popoli primitivi e, altrettanto, dell’antichità. Il ballo dell’antica Grecia, per es., non doveva essere dissimile come ci testimonia l’Iliade (cap. XVIII, scudo di Achille). E così era altrettanto il ballo dell’antica Roma se si tiene conto della testimonianza dell’Eneide (VI, 664):

Pars pedibus plaudunt choreas et carmina dicunt...

# * #

Chi ricerchi qualche notizia sulla origine, sulla storia antica, medioevale e moderna di Orgosolo si mette in una impresa quasi disperata. A somiglianza di quasi tutti i piccoli paesi di Sardegna e ancora più — quasi un caso limite — su di Orgosolo non si tramanda quasi nulla per iscritto. Bisogna andare a cercare qualche breve notizia contenuta in opere generali sulla Sardegna, in codici diplomatici, in rapporti di amministrazione e di polizia, in libri di viaggiatori, in opuscoli di folklore, in fogli di archivio — disseminati per ogni dove — sempre nascosta tra una selva di altre notizie, esterna alla vita del paese, riguardante affari generali, formali. In questo secolo il nome di Orgosolo è conosciuto attraverso cronache di giornali e di qualche rivista solo per truculenti fatti di sangue, per i « briganti ». Esiste, probabilmente, più letteratura per qualche paese africano.

Posso, intanto, qui fornire le notizie da me raccolte in 4 anni in biblioteche pubbliche e private, in archivi di quasi tutt’Italia.

Origini

L’origine delle popolazioni di Orgosolo (come, in generale, di quelle di tutta la Barbagia) si perde nella notte dei tempi. Si può ritenere ipoteticamente, sulla scorta delle notizie storiche generali eINCHIESTA SU ORGOSOLO

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sugli elementi su ricavati dalle ricerche di etnologia, che potrebbe trattarsi di popoli venuti dall’Asia attraverso l’Africa, e per terra, quando '"Cioè la Sardegna, nel paleolitico, con le Baleari ed il Marocco formava un solo continente: la Tirrenide.

Storia antica. (Epoca nuragica e romana)

L’estensione di tutto il territorio di Orgosolo è disseminata da monumenti primitivi, tipici della prima civiltà della Sardegna, e databili, di volta in volta, in un ciclo che va dall’VIII al II sec. a.C.

Si trovano 2 « Perdas fittas » (cioè blocchi di pietra monolitici eretti verticalmente) di destinazione ancora dubbia; di datazione incerta, in loc. : Galamòli e Orùlu.

■ Si trovano 5 gruppi di « Domus de janas » (cioè grotticelle scavate nel granito) di destinazione cemeteriale; di datazione incerta, in loc.: Oreharva, Guspine, Soràsi, sas Molas, sas Vaddes (al Supramonte).

Si trova una « Sepultura de Gigantes » (cioè un lungo corridoio circondato da muro basso e chiuso, in testa, ad abside) di destinazione cemeteriale; di datazione incerta, in loc. : Gorthine.

I « Nuraghi » di Orgosolo (cioè le classiche torri mozze e circolari di tutta la civiltà protosarda) di destinazione ad abitato-fortezza per famiglie e tribù di pastori; di datazione dall’VIII al

III sec. a.C., sono 22, in loc.: Ilole, Donori, Ruju, Dovilinò, Duli-vìli, Funtana fritta, Larthiò, Des’ena, Sirilò, Talasuniai, Manin-turtiò, Ilodèi, Lopàna, Olài, Delàcana, Su puthu, Orghe, Filihaì, Gortòthihe, Manurriè; e Mereu e Intro de patenti (al Supramonte). Sono, in generale, in stato di rovina ed abbattuti da pastori.

I meglio conservati sono i primi citati.

Non si sono trovati bronzetti.

Ruderi e oggetti preistorici imprecisati, e ora dispersi, si sono trovati in 14 località: Funtana bona, Isteòne, Pihisòne, Sònnoro, Donianìcaru, Intro ’e montes, Alasennora, Biduni, Susùni, Sgir-ghinnàri, Conca de furru, Luiliè, e Presèttu tortu e Mereu (al Supramonte).

II ritrovamento più importante di abitato primitivo — e il82

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solo studiato sino ad ora — è avvenuto invece il 1930 in loc. Urulu, e ne dà notizia il 1932 in regolare comunicazione sulla rivista « Notizie degli scavi » il defunto archeologo prof. Antonio Tara-melli. Qualche mese prima del giugno 1930, a metà strada tra Orgosolo e Mamojada, in posizione silvestre e solitaria, su uno scheggione granitico a picco, una rupe, il contadino Michele Lo-vicu — mentre attendeva a fare un terrazzamento per un proprio campicello — aveva rinvenuto resti di mura in disposizione rettangolare, frammenti di ceramica e cretaglie, vasi in pietra, vasetti in bronzo e in argento, monete varie, residui di ossami di animali e due classiche navicelle votive muragiche di bronzo. Informato il podestà il materiale era stato portato a Nuoro nel museo del Comune. Recatosi in Orgosolo il 1930 il prof. Taramelli, per ricerche sulla sua « Carta archeologica della Sardegna », saputo anche che sul luogo esistevano leggende di tesori sepolti, di fantasmi, ne aveva tratta la conclusione che doveva trattarsi di « un sacrario » per l’adorazione delle rupi — come nei culti Cananei — dotato di un altare per sacrifici animali, le cui ossa venivano gettate dall’alto. Riteneva che fosse stato frequentato dai primi abitatori della Sardegna, anche in epoca cartaginese, e poi romana, — come comprova il trovamento di 9 monete puniche e 16 monete romane (imperiali) di cui si dà descrizione (15).

Nel corso della mia gita al Supramonte ho avuto anch’io occasione di fare, come ho accennato, scoperta di un abitato neolitico che può essere di una certa importanza. Aggiungo qui che la località è vicino al pozzo di « su disterru » — secondo il classico culto degli antichi sardi presso le fonti —, ed ha alle spalle un complesso cemeteriale di <j Domus de janas ». Potrebbe, perciò, essere stato un altro luogo di culto.

Per l’epoca romana, alcuni oggetti e monete, oggi dispersi, si sono trovati solo, oltre che nella cit. località di Orulu, nella loc. Galanòli.

(15) Notizie degli scavi di antichità comunicate alla Regia Accademia Nazionale det Lincei, ecc.; 1932, voi. Vili f., pp. 528-36.INCHIESTA SU ORGOSOLO 83

V \ ....

Storia medioevale. (Epoca dei Giudicati e spagnola)

Il primo documento scritto in cui si ricordi Orgosolo — ed il solo per tutto il periodo del regno dei Giudici sardi, nell’alto medioevo, è l’atto di pace stipulato tra Eleonora, Giudichessa di Arborea e Don Giovanni, Re di Aragona, il 24 gennaio 1388, pubblicato nel « Codice Diplomatico di Sardegna » di Pasquale Tola. In questo documento, firmato da tutti i Comuni del Giudicato di Arborea, tra i firmatari risultano per la «villa» di Orgosolo tali Mariano Murgia, « Majore » (e cioè capo della polizia); Petto de Cori, Joanne de Ferrari, Petro Merguis, Mariano Pina « jurati » (suoi aiutanti); Petro de Oscheri, Oguitto de Martis, Petto Seche, Arcocho Lafra e Joanne Sio « habitantes » (abitanti), convenuti tutti in Orani il 12 gennaio 1388 davanti alla chiesa di San Pietro ed al notaio Arcocho Salari fu Nicolaus per accettare (16).

Le notizie su Orgosolo, nel medioevo, sono formali e concernono la sua dislocazione in una ripartizione amministrativa.

Con la conquista spagnola dell’ex Giudicato di Arborea (1428) e col regime feudale Orgosolo appare dapprima nella Curatoria Dorè.

Dal 1430 fa parte del Marchesato di Orani. « In questo Marchesato pagavasi il diritto fisso di feudo e, dopo questo, vari altri diritti per quello che seminavasi, per branchi che pascolavano e per

i formaggi che si estraevano » (17).

Altra notizia di questo periodo si deduce da una Transazione del 23 settembre 1726 pervenuta dal Municipio di Orgosolo all’Archivio di Cagliari, con la quale si annette « il salto della villa spogliata di Locoe » a quello di Orgosolo (18).

(16) Codice diplomatico di Sardegna con altri documenti storici raccolti, ordinati ed illustrati dal cav. Pasquale Tola. Chirio e Mina, Torino, 1845, pp. 128 sg. e ristampato in: Historiae patriae monumenta edita iussu Regis Caroli Alberti. Tomus X. Codex diplomaticus Sardiniae. - Tomus I. Codice diplomatico di Sardegna con altri documenti raccolto ordinato ed illustrato dal cav. P. Tola ecc. Augustae Taurinorum e Regio Typo-grapheo. MDCCCLXI. Diplomi e carte del sec. XIV. CL. L’originale è conservato nell’Ar-chivio di Stato di Cagliari. Voi. F, fol. 43 (5).

(17) Dizionario geografico storico statistico commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna compilato per cura del prof. Goffredo Casalis ècc. Presso G. Maspero, Torino, 1834. Voi. XII, pp. 678.

(18) Testi e documenti per la storia del diritto agrario di Sardegna. Pubblicati e coordinati con note illustrative da Gino Barbieri, Vittorio Devilla, Antonio Era, Damiano84

FRANCO CAGNETTA

Dal 1765 Orgosolo fa parte della lncontrada di Nuoro sino al 1849, fine del feudalesimo in Sardegna. « I diritti che si pagavano erano quello del feudo, che era fisso, quindi quello del montone per Orgosolo, una prestazione per i formaggi, il diritto del vino e un canone per gli ademprivi di Locoe » (19).

Soccorso alle notizie di storia medioevale ci viene da documenti ecclesiastici:

Anticamente Orgosolo faceva parte, di nome, della Diocesi di Suelli.

Il primo documento in cui si citi Orgosolo è una lettera scritta da papa Giulio III in data 22 agosto 1551 indirizzata al canonico Nicolaus Crinvellas residente in Suelli con la quale gli si concedeva « la prebenda di Orgosolo » (80 ducati) in quanto suo « famigliare » (20). Come si vede, il papa si ricorda di Orgosolo solo per cavargli denari!

La penetrazione della Chiesa in Orgosolo, ma formale, avviene verso il XVII sec. In questo secolo i capi della Diocesi creano la leggenda di due cristiani, i SS. Anania ed Egidio, orgolesi, che sarebbero stati trucidati dagli idolatri loro paesani nell’introdurre la fede di Cristo. La Chiesa edifica la prima cappella in Orgosolo a loro nome il 1600-32; il 1620 la cappella di S. Antonio da Padova; il 1633 POratorio di S. Croce; il 1634-35 il piccolo Santuario della B.V. Assunta (21).

Una certa opera di estrazione sacerdotale tra i pastori deve ritenersi avere avuto qualche successo tra i ricchi, se troviamo un prete Matteo Garipa « nato in Orgosolo negli ultimi anni del secolo XVII, morto prima del 1640 » (22) vissuto prima a Baunei e

Filia, Carlo Guido Mor, Aldo Perisi, Francesco Pilo Spada, Ginestra Zanetti. Sotto la direzione di Antonio Era. Con prefazione di Arrigo Solmi. Gallizzi, Sassari, 1938, pp. 502. L’originale era nel Municipio di Orgosolo, ora scomparso.

(19) Op. cit.y voi. XII, pp. 679.

(20) Pubblicazioni della R. Deputazione di storia patria per la Sardegna. Dionigi Scano, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna. Parte seconda: Da Gregorio XII a Clemente XIII. Giulio III. Doc. CDLIX, pp. 309-10.

(21) Novena della B. Assunta venerata in Orgosolo. Con spigolature storiche sul paese a cura del Parroco Sac. Don Francesco Lai. Tip. Ortobene, Nuoro, 1953, pp. 18-20.

(22) Storia letteraria di Sardegna del cav. D. Giovanni Siotto Pintor, ecc. Tip. Timon, Cagliari, 1844, voi. Ili, pp. 496, nota l.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Triei e poi « nella Corte Romana », autore di una traduzione dall’italiano al sardo di un libro apologetico di vite di 45 Sante Vergini e Martiri di autore anonimo e dei PP. Ant. Galloniu e Villegas (23), oltre che di « canzoni manoscritte » andate « perdute » (24).

Da quella traduzione si può supporre anche un certo lavorio di adeguamento della Chiesa al dialetto locale, secondo i principi prescritti nel Concilio di Trento per una maggiore penetrazione tra le plebi rustiche.

Il 1799 Orgosolo compare citata nella Bolla del papa Pio VI: « Eam inter ceteras » del 21 luglio, con la quale si istituiva la nuova Diocesi di Nuoro-Galtelly, di cui il paese faceva parte come Rettoria (25).

Dal padre Bresciani-Borsa S.J., nella celebre opera « Dei costumi dell’isola di Sardegna » si ha notizia su Orgosolo che : « I Gesuiti che avevan stanza in Oliena visitarono quel popolo in sullo scorcio del sec. XVII e con la santa parola il mansuefecero; ma, cessati i Padri, tornò all’antica rustichezza. Lasciaron essi tuttavia di sé orma indelebile, poiché, introdotti per opera loro i gelsi e i bachi da seta, in quella grossa terra le donne del villaggio vi tesson drappi » (26).

(23) Legendariu ( de Santas / Virgines, et Martires / de lesu Christu / hue fi contennen exemplos admirabiles, necessarios ad ogni forte de persones, qui pretenden falvare sas animas insoro / vogadas de Italianu in Sardu, par Joan Mattheu / Garipa Sacerdote Or gole su prò utile / dessos denoto s deffa natione fua / Andat dedicadu affas luuenes de Baonei, & Triei f vnu tempus Parrochianas fuas in fu Re gnu de Sardi gna / (fregio litografico con arcieri che frecciano le sante vergini e martiri) / In Roma / Per Lodouicu Grignanu M.DC.XXVII / Con liccnfia deffos Superiores / in-8°, pp. 504 n.n.). Alla Biblioteca Nazionale di Roma sotto la collocazione: 14, 35, A. 13.

(24) Op. cit., pp. 300 e 309

(25) Bullarii Romani continuatio Summorum Pontificum Benedicti XIV, Clementis XIII, Clementis XIV, Pii VI, Pii VII, Leonis XII, Pii XVIII. Constitutiones, Litteras in forma brevis, Epistolas ad Principes, Viros et alios atque Allocutiones complcctens. Tomus sextus. Pars I. Pii VI continens pontificatum ab anno primo usque ad octavum. Prati. In Typographia aldina. MDCCCXLVII. Doc. CCXIX. Revocatio unionis decre-tae ab Alexandro VI ecclesiae calaritanae et galtellinensis, cum declaratione, et ampliamone diocesum (Dat. die 21 junii 1779. Anno V). Paragrafi 3 e 6, pp. 594-95.

(26) Dei costumi dell'isola di Sardegna comparati cogli antichissimi popoli orientali per Antonio Bresciani d.C.d.G. All’Uffizio della Civiltà Cattolica, Napoli. Voi. II, pp. 113. Il Bresciani, Visitatore della C.d.G. in Sardegna, non fu però ad Orgosolo.86

FRANCO CAGNETTA

Storia moderna. (Epoca piemontese e italiana)

Solo dal principio del secolo scorso cominciano ad aversi su Orgosolo notizie meno estrinseche.

11 primo scrittore su cose del paese è il generale Alberto Fer rero della Marmora che, nel suo Itinéraire de l’tle de Sardaigne. cita un episodio avvenuto in Orgosolo, in data imprecisata — che può comprendersi tra il 1831 ed il 1844 :

« Sul Monte Novo si trova la cappella di San Giovanni e non lontano, ai suoi piedi, una regione detta Fontana bona, nella quale vi è qualche capanna di pastori quasi tutti banditi del villaggio di Orgosolo : così per raggiungerla bisogna prendere certe precauzioni e, soprattutto, avere guide che conoscano questi uomini. Ciò che

io feci e, malgrado ciò, fui ricevuto da loro con più di dodici fucili puntati sulla mia persona, con ingiunzione di non fare un passo verso tali uomini disposti in atteggiamento così poco ospitale e, ancor meno, bendisposto; infine, dopo molti discorsi ed una infinità di questioni sul vero scopo del mio viaggio tra di loro — che era solo quello di portarmi sulla cima del Monte Novo con i miei strumenti geodesici — fui ricevuto in modo più cortese; ciò che significa che le punte dei fucili diretti contro di me si abbassarono; ma questa cortesia non era scevra da un certo sentimento di sospetto sul vero oggetto della mia visita.

Bisogna dire che i banditi di Orgosolo sono, in generale, della peggiore specie; sono continuamente in guardia contro la forza armata che vorrebbe sorprenderli in quei ripari quasi inaccessibili, dove si rifugiano dopo aver fatto le loro rapine; queste rapine consistono quasi tutte in furti di bestiame e, qualche volta, rubano ai proprietari dei villaggi vicini — di cui sono il terrore — greggi intere e gli stessi buoi da lavoro » (27).

L’abate Vittorio Angius di Cagliari (1797-1862), nel Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, compilato dal prof. Goffredo Casalis, il 1843, voce:

(27) Itinéraire de Vile de Sardaigne pour faire suite au Voyage en cette contrèc par le Conte Albert de La Marmora, ci devant Commandant Militaire de Vile de Sardaigne, Làeutenant generai, Sénateur du Royaume etc. Chez les frères Bocca libraire du Roi. Turin, 1862, voi. I, pp. 419-20. La traduzione è mia.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Orgosolo, è il primo scrittore che dia ampie notizie sul paese, la popolazione, l’agricoltura, la pastorizia, il commercio, la religione e le antichità (28).

'Il 1848, voce: Nuoro provincia di Sardegna. Carattere morale di questi provinciali orgolesi, scrive:

« Gli orgolesi sono una popolazione assai sfavorevolmente conosciuta per lo spirito di vendetta, per le rapine e per l’animosità che spiegano i banditi contro i militari. Contrariamente alla pratica degli inquisiti che, quando si incontrano con la truppa si mettono solo in guardia e non osano alcuna offesa se vedano non essere assaliti o ricercati, gli orgolesi, che molto ancora conservano del carattere degli antichi barbaricini prendono l’offensiva. Uno che entri in quel territorio con merci od altro va sicuramente, perché in quel territorio non si commettono furti; ma sarà certo sua sorte se non si avviene in qualche compagnia di ladri usciti dal medesimo, e i ladri sono gli orgolesi o i loro confratelli. In fatto di furti altri non sono superiori agli orgolesi in astuzia ed audacia. Pieni d’animo, non temono i pericoli e non si arretrano agli schioppi inar cari, se siano trasportati d’ira o debbano vendicare un oltraggio ricevuto o voglian rispondere alle voci pericolanti che imploran la loro protezione contro l’assalto delle truppe.

Considerati nella maggior parte essi sono uomini di intelligenza, cortesissimi nell’ospitalità, delicati in certi rispetti d’onore: per esempio se ad un orgolese, anche in tempo di bisogno, si faccia una offerta per uno spergiuro, egli rigetterà la promessa con nobile indignazione; e se facciasi gran promessa per persuaderlo ad una perfidia, egli risponderà con ira. Tra molti prezzolati che servon di guida e di spia per gli arresti non credo che si possa nominare un solo orgolese.

A bene studiarli si conosce in essi un ottimo fondo e, quando sieno ben educati, diventeranno uno dei popoli più generosi.

Or sono in via di miglioramento e molti già cominciano a studiar sull’agricoltura » (29).

Un documento importante, che ci dà un quadro vivo e pittore
(28) Op. cit., voi. XIII, pp. 235-41.

(29) lb., voi. XII, pp. 658.88

FRANCO CAGNETTA

sco della situazione del paese di Orgosolo nel 1847, ci è dato dal padre Bresciani nella già cit. sua opera :

« Ecci nel più montagnoso ed aspro sito della Barbagia, nel popoloso villaggio d’Orgozzolo, ove le genti vivon sequestrate dalle circostanti ville, uomini selvatici e crudi, che campan di ratto, e stanno a guardia di sé medesimi, saldi a non volere guarnigione di soldati, o briglia di leggi. Costoro non ebber forse mai mescolanza straniera; né pellegrino, che non sia sacerdote, trova colà cortese accoglienza.

Ora, in fra gli usi paesani, è quello d’ugnersi i dì delle feste; e più la festa è grande e maggiore è il gaudio della cospersione.

Monsignor Varesini, arcivescovo di Sassari, facendo, ha circa tre anni, la visita Apostolica nella diocesi di Nuoro, si condusse ad Orgozzolo in fra i monti di Oliena. E come gli uomini di quel villaggio seppero della venuta di sì gran Prelato, che a memoria non avevan veduto il Vescovo in quella terra, fecero gli apparecchi grandi e, venuto il dì ordinato, molti scesero a’ confini di lor territorio ad incontrarlo. Egli era scortato da otto Cavalleggeri per onore di sua dignità; e, conoscendo il talento di que’ duri uomini, e sapendo che in fra essi erano di molti banditi che avean francato il confine per trovarsi alla festa, impose a’ Cavalleggeri che, come di sua brigata, la venuta loro fosse pacifica e cheta. Giunto in su quel
lo d’Orgozzolo, ogni uomo si mise a ginocchi e, avuta la benedizione, e gridato: Vivai sa Monsénori, d’ottant’uomini ch’erano in tutti, quaranta spararono a gioia gli archibusi e gli altri quaranta non ispararono i loro, sinché non videro i sozi aver già rimesso la carica e alzato il cane in resta, tant’era il sospetto in che gli aveva gittati la vista di Cavalleggeri.

Per su tutto il cammino insino al villaggio eran bande di loro masnade, e facevan tripudio di spari, e le donne s’eran tutte raccolte ad attendere l’Arcivescovo nella Chiesa, e i preti in sulla porta maggiore con la croce in asta.

L’Arcivescovo, fatte sue orazioni all’altare, e voltosi a quella gente, recitò una calda e forte Omelia, dicendo — in fra le altre gran cose — che ivi gli uomini non potevano aver nome di criINCHIESTA SU ORGOSOLO

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stiani, se non cessavano di ladroneggiare il paese, ch’essi così di frequente correano, rapinando il bestiame de’ pastori.

Uc*mini e donne piangeano a grosse lacrime e picchiavansi il petto e gridavano — sé volere essere cristiani, e vivere e morire nel seno di Santa Chiesa.

Ma terminato l’Arcivescovo di predicare, si spiccarono dalla turba quattro maggiorenti del popolo, e posti a ginocchi avanti il faldistorio, dissero: — Monsignore, insino ad ora noi non ci credemmo infrangere la legge di Dio, pigliando pecore, vacche, porci e montoni a sovvenimento di nostre necessità. Imperocché essendo la provvidenza del Signore Iddio pietosa a tutte le sue creature, come vorrebbe essa patire che i pastori della Gallura avesser possessione chi di cinquecento, e chi di ottocento e mille pecore, là dove noi abbiamo una greggiola di cento? Onde, se noi per insidia o per valore possiam rapirne alcun centinaio, soccorriamo almeno in parte alla giustizia distributiva.

L’Arcivescovo mostrò loro questa esser logica da Beduini di Arabia, e da corsali di mare, e non da cristiani.

Costoro potrebbero anzi tener cattedra di ComuniSmo in certe università d’Europa...

Ma, per venire al proposito nostro, Monsignore vide a sua gran meraviglia quel popolo così strabocchevolmente unto, che il grasso stillava loro dalle ciocche dei capelli e dai lucignoli della barba in guisa che scorreva giù per le spalle ed il petto. E le donne gocciolavano dalle trecce, e aveane sì unta la faccia, che il viso luccicava loro, e il grasso colava per gli orecchi e pel mento giù nel seno, di che la finissima camicia era tutta inzuppata; e i pepli ch’avean di seta bellissimi e grandi, eran conditi di grasso per modo che tra-spareano e brillavano al sole come oro. L’Arcivescovo richiese i preti del villaggio che nuova fosse questa; e gli venne risposto: essere immemorabile usanza di lor antenati, ché, nei dì delle sacre feste e nozze e di balli, gli uomini si ugnessero capelli, faccia e barba, e le donne colla faccia e le trecce ugnessero i pepli.

E che questa sia pratica vetustissima orientale, e poscia de’ Fenici e dai Pelasgi tradotta in ponente, noi il veggiamo dalle ghiande e dai vasetti unguentari babilonici, assiri, egiziani, ed anco etra90

FRANCO CAGNETTA

schi e tirrenii che si rinvengono nelle necropoli di Egitto e nei monumenti d’Etruria » (30).

Nell’Archivio di Stato di Cagliari, secondo le notìzie che traggo dall’inventario di Silvio Lippi devono essere conservati alcuni documenti che non ho potuto consultare e che risultano dalla indicazione : « Marchesato di Orani. Causa delimitazione territorio. Memorie 1708-1831 » (31). Ho potuto consultare, invece, i documenti su Orgosolo della Commissione parlamentare di Inchiesta Pais-Serra conservati nel Fondo Depretis delPArchivio di Stato di Roma, che contengono:

1) Una « Statistica degli oziosi, vagabondi e altre persone sospette » del 4 giugno 1869 (Tot. 123: 2 possidenti, 20 massai e agricoltori, 87 pastori, 1 artigiano, 2 esercenti pubblici, 11 senza esercizio e professione; di questi condannati: 3 per reato contro le persone e 5 contro la proprietà; 10 ammoniti, 2 sotto sorveglianza,

12 oziosi e vagabondi, 108 sospetti di furto, 23 sospetti di grassazione, ricetto a banditi e propensi a delitti).

2) Una « Nota intorno ai banditi arrestati o da arrestare » del 4 aprile 1869 (Vedele Antonio di anni 40, imputato di grassazione, arrestato il 12-5-69 su mandato di cattura del Giudice Istruttore di Nuoro).

3) Una « Statistica dei banditi che tuttora scorrazzano nel circondario » senza data (Moro Giovanni di anni 50, imputato di grassazioni, rivolte all’Arma, omicidi, bandito dal 1844; Succu Giuseppe di anni 44, imputato di grassazione e rivolta all’Arma, bandito dal 1853; e Pisanu Francesco di anni 55, imputato di un omicidio consumato, due mancati, due grassazioni e rivolta all’Arma, bandito dal 1838).

La storia di Orgosolo si chiude il secolo scorso con una rivalità di vendetta o « disamistade » tra le famiglie Mesina e Pisanu che oggi è impossibile ricostruire, come ho tentato di fare, per mancanza di ex-protagonisti e di tradizioni orali, e si apre, nel nostro

(30) Op. cit., voi. II, pp. 113-14.

(31) Inventano del R. Archivio di Stato di Cagliari e notizie delle carte conservate nei più notevoli Archivi Comunali, Vescovili e Capitolari della Sardegna. Pietro Vatdés, Cagliari, 1902, pp. 176.INCHIESTA SU ORGOSOLO 9!

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secolo, con l’altra rivalità di vendetta o « disamistade » tra i Gossu e i Corraine che ho analiticamente ricostruita nel già cit. saggio sulla rivista « Società ».

Esistono anche nel Museo storico dell’Arma dei Carabinieri in Roma (piazza Risorgimento) «verbali» di conflitto a fuoco, nel-l’Archivio, ed « Armi ed oggetti sequestrati a banditi » di Orgosolo, nelle vetrine. Sono un soccorso alla storia di Orgosolo.

Per l’intensissimo periodo di banditismo 1882-1899 si conserva

il Verbale del conflitto a fuoco avvenuto nella foresta di Murgugliai

il 10 luglio 1899, nel quale caddero i famosi fratelli Elias e Giacomo Serra-Sanna di Nuoro, e riuscì ad evadere il famoso Giuseppe Lovicu di Orgosolo.

Per il periodo della « disamistade » ho pubblicato nel cit. saggio il Verbale del conflitto avvenuto in loc. « sas Fossas », il 29 marzo 1927, nel quale cadde il celebre Onorato Succu.

Altri Verbali sono quello del conflitto avvenuto il 13 maggio 1928 in Orgosolo, nel quale cadde Succu Salvatore; e quello del 21 dicembre 1928 avvenuto in Orgosolo nel quale cadde Succu Santino (Santineddu).

Tra armi e oggetti (moschetti, cartuccere, bandoliere, coltelli, binocoli) si conservano quelli di Onorato e Giovanni Antonio Succu, Egidio Salis, Pietro Liandru, Salvatore Succu, Giuseppe Gangas (32).

* * #

Per dare un quadro vivo, immediato, dell’antica Orgosolo dò qui di seguito due biografie di vecchi viventi: ziu Marrosu Gangas

(32) A completare questi dati generali sulla storia del paese di Orgosolo si può qui, ancora, riportare l’indicazione di tutte le carte geografiche (mi limito a quelle classiche) in cui compare il toponimo: « Orgosolo ».

Eccone l’elenco dalla più antica:

1) Carta della Sardegna di Rocco Cappelline^ (1577). Originale Ms. nella Bibl. Vaticana in Roma cm. 33x73. Rocco Cappellino, ingegnere di fortificazioni di Carlo V, rimasto per 15 anni in Sardegna disloca Orgosolo nella « Barbaira Cevolo » tra « Bodusò » (Buddusò) e « Bynmana » (Biddamanna). Una buona riproduzione della carta è in : Istituto Geografico Militare. Monumenta Italiae Cartographica. Riproduzione di carte generali e regionali d’Italia dal sec. XIV al XVII, raccolte e illustrate da Roberto Al-magià, Firenze, coi tipi dell’istituto Geografico Militare, 1929, tav. LV.

Su di questa si attenne Egnazio Danti, sul cui disegno il fratello Antonio Danti dipingeva il 1589 la carta di :

2) Sardegna. Galleria delle Carte Geografiche dei Musei Vaticani in Roma.92

FRANCO CAGNETTA

e ziu Carlo Floris detto Anzelu Zudeu. Ho raccolto queste due biografie dalla viva voce dei protagonisti, trascrivendone fedelmente il racconto parola per parola. L’ho ricomposto, naturalmente, dall’iniziale disordine, e, trasportandolo in italiano, ho cercato di mantenermi ligio agli originali modi sintattici ed al gergo orgolese. Tra tutti i 15 o 20 vecchi che ho interpellato nel paese questi due principalmente mi sembra che riescano a dare un’idea larga, abbastanza completa, di quella che era la straordinaria vita in Orgosolo 40-50 anni fa.

Il primo di essi, il vecchio ziu Marrosu, ladro di pecore, quasi

La posizione di Orgosolo ha la stessa aberrazione che nella carta di Rocco Cappellino. Una riproduzione, ma illeggibile, di questa carta è nel cit. Mon. It. Cart., tav. LXI.

Su di questa si attenne Giovanni Antonio Magini per la carta di Sardegna nella sua celebre: L’Italia nuovamente più perfetta che mai per innanzi, posta in luce, scolpita e con le suoi figure uiuamente rappresentata. Amsterdam. Di questa una buona edizione è la:

3) Sardegna, il cui originale si conserva nelPIstituto Geografico Militare in Firenze cm. 111,5x89. Magini colloca Orgosolo nella « Barbagia Iolai » tra Siniscola e Bicyman (Biddamanna), sottoponendovi Lode e Posadal Una buona riproduzione di questa carta c nel cit. Mon. It. Cart., tav. LVII.

Altra edizione, analoga, di Amsterdam (Clement De Ionghe), senza data, è:

4) Nova description d’Italia: Sardegna; con originale in Londra, conservato nel British Museum, cm. 106x124. È riprodotta nel cit. Mon. It. Cart., tav. LIX.

All’opera di Magini si attenne anche la carta di Sardegna de:

5) L}ltalia di Matteo Greuter. Stampa veneta del 1657. Sardegna (foglio 10) cm. 208x114, riprodotta nel cit. Mon. It. Cart.

Pure al Magini si attiene Vincenzo Coronelli nel suo celebre: Ìsolario descrittivo geografico histonco sacro profano antico moderno politico naturale e pratico ecc. Tomo II delVAtlante veneto, opera e studio del P. Maestro Vincenzo Coronelli, Min. Conv. Cosmografo della Serenissima Repubblica di Venezia e Principe dei Geografi. A spese dell’Autore M.DC.LXXXX.VI. Nella carta:

6) Isola e Regno di Sardegna soggetta al Re di Spagna ecc. Alle pp. 102-103.

7) Le Royaume de Sardaigne dressé sur Ics cartes manu scripte s levées dans le Payt par les ingégnieurs piemontois a Paris. (A Messieurs de TAcademie Royale des Sciences). Colloca Orgosolo nell’cc Incontrada di Orani » a confine con il « Judicato di Ulliastro ».

8) Nuova Carta dell’isola e Regno di Sardegna. Opera del R. P. Tommaso Napoli delle Scuole pie colleggiate dell’Università di Cagliari e del cav. Rizzi Zannoni del Buro topografo della guerra presso S. M. il Re delle Due Sicilie.

9) Carta/ dell’isola e Regno / di Sardegna f dedicata f alla Maestà del Re f Carlo Alberto primoJ dal suo umilissimo e devotissimo suddito / Maggiore Generale Conte Alberto Ferrerò della Marmora / Comandante la R. Scuola di Marina di Genova / Membro della R. Accademia delle Scienze di Torino / già J Colonnello Aiutante-Generale J aiutato dal suo collaboratore / il cav. D. Carlo De Candia / Maggiore del R. Corpo suddetto / Parigi e Torino 1845 (incisori Desbruissons e Arnoul, dal 1838 al 1840) 1/250.000. I rami sono conservati negli archivi dell’istituto Geografico Militare di Firenze. Da questa Carta la posizione di Orgosolo è definita.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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sempre senza fisso mestiere, è un uomo ormai famoso, leggendario nel paese, per il suo modo vivace di raccontare, per la sua geniale vita di picaro. E ad un picaro spagnolo certamente si avvicina. La difficoltà maggiore che ho incontrato nel raccogliere la biografia stava nel fatto che mi era difficile tenergli dietro perché sempre agitato, indaffarato a cercare qualcuno che potesse fargli avere « per

il merito di non avere fatto niente» una pensione di vecchiaia. Riusciva a stare fermo soltanto davanti al vino, alla birra, ai sigari, ed il soddisfacimento, dopo lunga privazione, lo illuminava quasi in volto, lo metteva in uno stato di grazia nel racconto. La sua straordinaria intelligenza (e quali frutti avrebbe dato in altre condizioni!), risulterà, come il lettore potrà giudicare, dallo stesso racconto della vita. Il suo furbesco ammiccare, il suo pittoresco gestire,

i suoi pugni sul tavolo, le sue continue piroette mancano, purtroppo, ad illustrare la sua singolare figura. Per due giorni avevo corso

il rischio di lasciare a mezzo il lavoro, poiché ziu Marrosu era scomparso, e non si sapeva proprio dove. Era andato, forse, a Nuoro per postulare la pensione. Quando stavo per iniziarne le ricerche in tutti i paesi vicini ad Orgosolo era ricomparso all’improvviso facendomi un inchino e, con vivacità persino accresciuta, aveva ripreso il filo interrotto del racconto dall’ultima parola. Io mi auguro che, visti i suoi meriti e riconosciuta la sua grande fantasia, qualche Cavaliere di Sardegna, di Spagna e d’Italia, come egli dice, si convinca che, in qualche modo, si può coronare il suo sogno.

Il secondo vecchio, ziu Carlo Floris o ziu Anzelu Zudeu, è invece un uomo diverso da ziu Marrosu, un calmo, un riflessivo patriarca. Tutto il giorno stava solitario in campagna, sotto una quercia, e con voce grave, con gesti misurati. Se circondato dai figli, dai nipoti, dai pronipoti, lentamente raccontava. La sua piccola mania di andare a caccia di tesori è un quadro serio della grande miseria del paese. Nel suo parlare vi era, di tanto in tanto, un alito di antica poesia quando ricordava i suoi mestieri, i fatti concreti, ma lo prendeva una insolita animazione, una specie di furore, quando nel suo racconto spuntavano le oscure, le tristi ombre della superstizione del paese. Ed il quadro della magia in Orgosolo si può, in parte, trarre dalle sue parole. I fantasmi, gli spiriti, le maghe di cui94

FRANGO CAGNETTA

parla sono quasi scomparsi in Orgosolo ma, di tanto in tanto, altri nuovi ne compaiono e si agitano davanti alle donne, agli nomini, e persino ai giovani.

Io qui ringrazio ziu Marrosu e ziu Anzelu Zudeu, con riconoscenza, con amicizia, e mi auguro che queste vite, ora scritte, oltre a renderli ancor più famosi in Orgosolo, valgano a far conoscere largamente la loro grande, antica umanità.
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32268+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1954 Mese: 9 Giorno: 1
Numero 10
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10


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