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tipologia: Analitici; Id: 1471805


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Tipologia Periodico
Titolo Sergio Solmi, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Nota sul comunismo e la pittura
Responsabilità
Solmi, Sergio+++
  autore+++    
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Trascrizione Non markup - automatica:
NOTA SUL COMUNISMO E LA PITTURA
I rapporti tra arte e comunismo non possono non preoccupare chi, come il sottoscritto, ravvisa negli ideali socialistici e comunistici il grande mito dell'età moderna, e si ritrae sgomento di fronte alla cecità delle classi borghesi nella loro stolta difesa di privilegi e nella loro stupefacente incomprensione del senso attuale della storia. Eppure, é proprio alla comprensione e alla capacità di sacrificio e di rinnovamento della borghesia che sono affidate le prossime sorti della libertà del mondo, tra cui quella della cultura e dell'arte.
Che cosa si deve intendere per rapporti tra arte e comunismo? Non, evidentemente, quelli che potranno esistere in un'ipotetica società comunista di domani, che non sappiamo se ed in quale forma si realizzerà. Anche senza dircelo, sappiamo tutti benissimo che, parlando di quei rapporti, si vuol alludere all'esperienza sovietica e a quella che, sotto la guida della Russia, sta rapidamente compiendosi nei paesi delle cosiddette «democrazie popolari ». Né vale obbiettare che poco conosciamo della Russia e degli altri paesi: la logica del sistema é inflessibile, e del resto le testimonianze, pro e contro, concordano. Si vuol significare, cioè, una inserzione, imposta e guidata dall'alto, di particolari «contenuti» nello svolgimento delle espressioni della letteratura e dell'arte: contenuti che sono, nello stesso tempo, anche forma, tenute presenti le finalità educative e divulgative dei programmi culturali del comunismo.
Lo spirito formato, come il mio, alla scuola della spontaneità liberale, suole, a questo punto, senz'altro scandalizzarsi e rifiutare ogni ulteriore discussione. Forse a torto. Meglio vale intendere in che cosa effettivamente si concreti l'« imposizione» comunista e quale ne sia il reale senso; e cercar di vedere quali possano essere le conseguenze sulla libertà della cultura e dell'arte nell'ipo-
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tesi di un crollo, o di una profonda modifica, delle attuali strutture economico-sociali. E conviene prendere le mosse da una fondamentale antinomia, insita nel concetto stesso dell'arte, che, mentre da una parte si presenta come determinata espressione storico-sociale, condizionata da un dato ambiente di costume e di cultura, dall'altra reca inevitabilmente in sé un elemento anarchico, e per dir così, antisociale, tendendo spesso a fiorire al limite dei divieti, e implicando altrettanto spesso una palese e talara sotterranea opposizione alla « mentalità corrente ». E, in sostanza, il rapporta dialettico individuo-società che anche qui si riflette, e, mentre nelle grandi epoche attenua il contrasto sempre in esso latente, in quanto l'eccezionalità e lo scandalo finiscono con l'inserirsi con piena naturalezza e respiro in un mondo armonico di cultura, nelle epoche difficili e di crisi si accentua, talara fino alla dram maticità.
Naturalmente, i tentativi di pianificazione nel campo della cultura non possono che sacrificare questo secondo elemento o peculiarità dell'opera d'arte, che vi si sottrae addirittura per definizione; fanno leva invece sul primo, ossia sull'aspetto sociale, cercando anzi di infondere ad esso una finalità educativa e di contributo alla formazione di una nuova coscienza collettiva. Il contrasto con la necessaria spontaneità dell'arte è evidente, e la prevalenza della mediocrità dei risultati é fatale. Comunque, é giusto riconoscere che quei tentativi non vorrebbero completamente pre- scindere dalla spontaneità, bensì, anzi, intenderebbero coltivarla « in estensione », nel senso di un'arte facilmente intelligibile e gra- dita al pubblico.
I miei documenti sono scarsi, e spesso di seconda mano per quanto riguarda la letteratura. Posso invece rammentare alcune riflessioni che mi suscitò una « Mostra del bianco e nero sovieti-
co tenutasi presso la Casa della Cultura di Milano anni fa, riflessioni che mi furono confermate da quanta ebbi successivamente occasione di vedere in libri e riviste. Parve a molti che la mostra fosse stata organizzata « a sorpresa». Laddove il visitatore prevenuto si attendeva di assistere alle violenti manifestazioni di un'arte propagandistica di partito, una volta oltrepassata la prima
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sala, occupata da molto accademici ritratti di Stalin e degli altri membri del Politbüro, si imbatteva nelle altre sale nelle espressioni del tutto ovvie e mansuete di un'arte evocativa di aspetti della natura e della vita, di cui non si sarebbe certo potuto dire che fosse ispirata a imperativi dottrinali e a slogans di propaganda. Piuttosto, da quell'assieme di disegni e di stampe — di cui alcuni esemplari neppure mancavano di modesti pregi — si liberava, agli occhi di un «occidentale », una curiosa impressione di arretratezza e di démodé (un critico — se ben ricordo, Leonardo Borgese, — parlò in quell'occasione del bianco e nero europeo attorno al 1910). In una parola, nel vantato « realismo socialista » si manifestavano decisamente i caratteri di un'arte piccolo-borghese.
Sta di fatto che ogni « arte di massa » tende oggi a stabilizzarsi su un livello piccolo-borghese. Fu una generosa illusione quella del mio povero amico Raffaello Gialli, che, ravvisando in molte tendenze dell'espressione plastica moderna un accentuato carattere primitivo e popolaresco, sognò di una spontanea inserzione «popolare» nei moduli dell'arte (( d'avanguardia ». Laddove il gusto moderno per il primitivo é, al contrario, un evidente tentativo dell'intellettualismo che vuol liberarsi di sé medesimo in un va- gheggiato «ritorno alla natura », ossia, in questo senso, un estremo conato romantico. E il « pittore della domenica », caro ai raffinati,. non trova certo grazia presso il grosso pubblico. Lo stesso Gramsci, che aveva scritto molto acutamente dei rapporti tra arte e cultura popolare, prima del 1938, fece soverchio calcolo, in altro campo, sulla possibilità di « andare verso il popolo» risuscitando forme letterarie ad esso già care, come il teatro popolare, il romanzo d'appendice, ecc. Tali tentativi sarebbero ora anacronistici proprio perché l'arte di più diretta e spontanea ispirazione « popolare » é morta o sta morendo, l'industria si è impadronita delle originali invenzioni plastiche dell'artigianato e le ha congelate nelle sue produzioni in serie, il gusto del pubblico popolare é ormai révolu e tende a fissarsi sui prodotti standardizzati del cinematografo e della radio, i quali a loro volta, nella grossa media delle loro espres- sioni, si stabilizzano sul gusto piccolo-borghese. E, dunque, la cosiddetta « spontaneità » dell'espressione popolare che va estingueni-
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dosi, conforme in ciò alla legge per cui ogni conquista democratica porta con sé una crescita del livella culturale, se anche a spese di certa freschezza e ingenuità immediate, che non si possono non rimpiangere. Ed è lo sviluppo tecnico della nostra civiltà, soprattutto, che, mentre da una parte conduce alle elaborazioni collettive del cinematografo e dello spettacolo in genere, innalzando il regista e deprimendo l'autore, e trasforma l'artigianato n industria, dall'altra rende più solitaria, tormentata e difficile l'opera dell'artista u individuale », poeta o pittore o musicista, che non soltanto sopravvive alla generale standardizzazione e collettivizzazione, anzi, per quel rapporta dialettico che dicevamo, inevitabilmente trae forza dalla sua opposizione ad essa.
Nelle sale della mostra sovietica mi venne fatto di pensare che l'arte, di cui mi stavano sott'occhio alcuni esempi, aveva una stretta parentela con quella dei cosiddetti o ottocentisti» nostrani: nome col quale si sogliono comprendere quei pittori che, indifferenti ai movimenti susseguitisi dall'impressionismo fino ad oggi, continuano a dipingere secondo i canoni del verismo, aneddotismo e bozzettismo ottocenteschi. Noi sogliamo obiettare a quegli artisti la loro arretratezza, la loro inattualità: in altre parole, di essere dei passivi ripetitori, non dei creatori. Ciò non toglie il fatto che molti di essi, i cui nomi non compaiono né nelle storie dell'arte con-
temporanea, nei cataloghi delle biennali, abbiano ben più larghe clientele, nel pubblico media e piccolo borghese, di quelle che possano vantare gli artisti di più chiara fama fioriti nel periodo
<c fra le due guerre» e ormai pienamente affermatisi in ambienti culturalmente più scelti, ma quanta più ristretti. La loro forza é quella di poggiare appunto su quel verismo e aneddotismo Otto-
centeschi che hanno costituito l'ultima espressione dell'arte figurativa che sia stata veramente «popolare» in Italia e fuori. Qualcosa di analoga, a parte ogni determinazione di valore, a quello che é stato il teatro d'opera nel campo della musica. Soltanto, l'e spressione plastica si é prestata, successivamente, a una sorta di industrializzazione da parte di innumeri mestieranti, industrializzazione alla quale si é invece sottratta, per ragioni ovvie, l'opera mu~ sicale, col proprio suicidio.
Ì
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Si suole far risalire alla seconda metà dell'ottocento il netto divorzio, operatosi per la prima volta nella storia delle arti plastic che, fra un'arte delle masse e un'arte delle élites. Il fertile ricam- bio che sempre operò nella storia fra arte e prodotti dell'artigiar nato e dell'industria, appare oggi in buona parte ostruito. Dato ciò, il dirigismo sovietico viene ad acquistare un senso più complesso di quello a cui s'arrestava lo spazientito critico di spiriti liberali, ravvisandovi unicamente il fatto direttivo e coercitivo. Si tratta, in primo luogo, di un dirigismo o democratico ». Ove infatti si applicasse alle cose dell'arte un criterio di selezione sinceramente democratico, e si rimettesse a un pubblico « integrale » il giudizio su di esse, possiamo esser certi che la scelta della stragrande maggioranza non andrebbe già ai grandi pittori del giorno, consacrati dai giornali e dalle riviste, né, tanto meno, ai giovani campioni dell'avanguardia picassiana ed astrattista, e neppure a quelli del nuovo realismo socialista, che soltanto una stretta disciplina di partito potrebbe per qualche tempo favorire pressa le masse organizzate: ma proprio ai cultori dell'arte piccolo-borghese di stampo secondo ottocento, ai beniamini di quel pubblico che non s'impiccia di di- scussioni sull'arte, di programmi e di tendenze, ma aspira a far acquisto della veduta o del quadretto di genere per adornare la propria abitazione. Ed é d'uopo riconoscere che il governo il quale imponesse quest'arte come ufficiale, e, correlativamente, il neoclassicismo in architettura, commetterebbe, sul piano estensivo, un arbitrio assai meno tirannico di quello che imponesse un'arte di tipo astrattista in pittura o razionalista in architettura.
Ma si dirà che esso farebbe in questo caso appello al giudizio di una maggioranza non educata, mentre il compito della democrazia é, viceversa quello di educare la massa, e, tra l'altro, di elevarne il livello di gusto. Occorre però stare attenti. Bisogna convenire anzitutto che la massa, tendendo ad adeguarsi al gusto piccolo-borghese, e, per certe zone di essa, col solo scoprire l'esistenza e a modo suo cominciare ad apprezzare i loisirs dell'arte, viene ad elevare straordinariamente il proprio livello culturale, in paragone ai tempi in cui la stessa funzionalità dell'oggetto estetico poteva apparire oziosa o misteriosa, salvo, forse, per i suoi legami col
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culto religioso o con l'arredamento rustico. Inoltre, un'arte facilmente intelligibile, come quella industrializzata, sembra prestarsi a veicolo di contenuti educativi e didascalici ben meglio di quanto lo possa l'arte « individuale », con l'inevitabile resistenza dei suoi «mondi » particolari, ambigui, irreducibili. Per i fini che il politico vuole ottenere, sul piano educativo e formativo di una spiritualità comune, gli schemi fissati dal gusto piccolo-borghese si rivelerebbero senza dubbio i più adatti: si potrebbe forse pensare, in un certo senso, a una loro applicazione indeterminata nel tempo, così come avvenne per il cristianesimo dei primi secoli, quando esso assunse le forme della figurazione ellenistica fissandole nei moduli bizantini.
Se immaginiamo lo stato divenuto unico depositario dei valori di cultura e unica guida investita del compito educativo delle masse, si dovrebbe giungere alla conclusione che un'arte industrializzata, schematizzata, un'arte elementare, da alfabeto, da raccontino, dovrebbe essere la sola possibile per questo mondo in faticosa trasformazione. L'arte non «applicata », l'arte delle élites, non più sorretta dal suo necessario sostegno economico, rimarrebbe un solitario fatto individuale, non comunicato e non comunicabile. Occorre, infatti, riflettere all'esilità delle radici che reggono i valori efficienti dell'arte del nostro tempo: i quali poggiano essenzialmente sulla scelta di gruppi sociali differenziati, senza legami profondi col più vasto strato sottostante. Un riassorbimento economico di quei gruppi ci farebbe assistere a uno sprofondamento, a un livellamento culturale che, in pari tempo, comporterebbe una irreparabile perdita di valori di civiltà, ricuperabili soltanto attraverso una lunga depressione.
La distinzione di un'arte di massa e di un'arte di élites non sembra oggi tanto imposta da una divisione della società e dalla conseguente esistenza di una pluralità di linguaggi, e neppure tanto da un'asserita «decadenza» di una data cultura — il fenomeno é comunque troppo vasto e articolato per essere ricondotto a un fatto di conventicole alessandrine in seno a una society moribonda — quanto ad altre cause molto complesse, tra cui una modificar zione profonda nella funzionalità delle varie arti, causata da uno
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spostamento dei mezzi espressivi tradizionali, avvenuto per effetto del progresso tecnico. Come si sa, il mondo dell'espressione, poniamo, figurativa, era molto più omogeneo e universalmente partecipabile in epoche le quali conoscevano divisioni sociali ben più nette e profonde delle nostre. La crisi della comunicabilità ha altre e ben più dirette origini. Si pensi al grave e progressivo rétrécissement dell'oggetto della pittura in seguito alla scoperta della fotografia e del cinematografo. Oggi una pittura descrittiva o cele- brativa di uomini e di avvenimenti ci sembra superflua e incongrua, dal momenta che la fotografia batterà sempre per somiglianza il ritratto, e che un film documentario renderà gli aspetti oggettivi di una battaglia con un senso di verità ben piú stringente di quanto non possa farlo un pittore. E la rappresentazione esortativa e agitatoria, rivolgendosi a pubblici di massa, sarà sempre meglio destinata a esprimersi nei modi grossolanamente sommari ed emotivi del manifesto. Per riprendere la distinzione del Berenson fra elemento «decorativo» ed elemento «illustrativo» dell'arte, bisogna riconoscere che questa emorragia dei contenuti, degli oggetti, questa distorsione nelle finalità pratiche tradizionali della pittura, le impone fatalmente un forte squilibrio nel senso del « decorativo », dando luogo a un'arte in cui l'aspetto documentario può esser magari trasposto, suggerito, evocato o sottinteso, ma ben difficilmente «rappresentato D. Per captare l'oggetto che le é inalie-nabilmente proprio, la pittura moderna é stata costretta a sviluppare mostruosamente la forma, a farne una specie di complessa rete. Eppure, quest'arte travagliata e in crisi é la sola voce autentica, il solo filone verso l'avvenire ove si voglia che la pittura non diventi un semplice ozioso — e cattivo — surrogato della fotografia, o un'artificiale coltivazione sur commande, ma continui ad essere, come sempre è stata, un mezzo di scoperta dell'uomo e del mondo. La dimostrazione della insopprimibilità delle tendenze vive dell'arte e della poesia d'oggi è data dal fatto stesso del loro fatale risorgere, sia pure per bagliori ed accenni, negli stessi paesi soggetti a dirigismo culturale, non appena, sotto l'azione di fattori esterni, l'imposizione ideologica e il controllo politico mostrino di rilassarsi. E, per la pittura, basti il fatto che tali tendenze continuano ad
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imporsi agli stessi artisti che più energicamente mostrano di voler superare 1' impasse astrattistica, voglio dire i pittori di tendenza realistica e sociale. Mentre infatti la logica della loro posizione dovrebbe sospingerli verso una schematicità da manifesto, o verso un naturalismo fotografica o un neo-classicismo appena avvivati dallo scopo edificante, il loro sforzo si appunta invece sul tentativo di utilizzare le esperienze della pittura moderna in traduzione intellettualistica e polemica, tentando faticose sintesi fra colore impressionista e postimpressionista e monumentalità classica, tra stilizza-zione picassiana e documentarietà goyesca, interrogando f ebbril-mente tradizioni antiche e recenti da Giotto a Caravaggio, a Courbet, a Daumier. I risultati, scontati in anticipo, sono anche qui di un'arte travagliatissima, di ricerca e di transizione, piena di sottintesi culturali, di evasioni rettoriche, nei cui reali valori la scopo polemico o morale raramente s'incarna, ma rimane per lo più appiccicato come un'etichetta.
La verità è che anche in pittura, come in poesia, la reintegrazione di certi valori di emotività e di umana interezza e comunicazione non é raggiungibile per la scelta di contenuti astratti da una parte, e il ricorso a tecniche del passato lontano o recente, altrettanto astratte, dall'altra, ma per un libero approfondimento e superamento dell'esperienza d'oggi. Il paesaggio, che deve impegnare l'uomo intero, é troppo delicato perché possa semplicemente affidarsene la soluzione all'adesione ad ideologie politiche o religiose, e ad intenzioni lodevoli e sincere quanta si voglia, ma incommensurabili con lo specifico e determinato problema che l'artista deve affrontare. L'arte, come la natura, non fa salti, mentre la creazione di un linguaggio unitario, di una cultura organica e popolare, non è il fatto di una uniformità scolastica, né di programmi e di polemiche, ma di un'aperta dialettica di uniformità e di differenziazione, quale soltanto la varietà-unità della vita reale può dare.
Quale termine assegneremo a queste svagate considerazioni, di cui non mi nascondo le contraddizioni e le debolezze, se non una serie di interrogativi.? La questione si pone, mi pare, a questo modo: il libero gioco e sviluppo degli individui e delle tendenze
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può, ed in quale misura, sopravvivere in una società egualitaria, o più egualitaria delta nostra? In particolare, posta che le elaborazioni dell'arte cc di massa» (cinema, spettacolo in genere, letteratura scolastica e amena, prodotti industriali a fine artistica ecc.) soddisfano, nella loro grossa media, le esigenze del pubblico fino a un certo livello, potrà ammettersi un'arte di élites — ed élites saranno destinate a sopravvivere almeno finché durerà la divisione del lavoro — ove venga a mancare il suo attuale sostegno economico? Potrà un'economia pianificata mostrarsi compatibile con le espressioni di un'arte «di minoranze», sposando duttilmente, oltre alle esigenze della massa, quelle di pubblici differenziati e più ristretti e culturalmente affinati, in attesa che la spontaneità creatrice, operando su di una società più organica e più ricca culturalmente, sviluppi qualche sua nuova grande sintesi, oggi ancora imprevedibile? E, visto sotto il particolare angolo dell'arte e della letteratura, lo stesso problema centrale della libertà nell'epoca moderna, in cui il rapporto dialettica fra individuo e società, in un mando che tecnica e industrializzazione hanno reso sempre più chiuso, implica nuove e preoccupanti contraddizioni che devono essere esaminate fino in fondo.
SERGIO SOLMI
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32263+++
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Testata/Serie/Edizione Nuovi Argomenti | Prima serie diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci | Edizione unica
Riferimento ISBD Nuovi argomenti : Rivista bimestrale. - N.1 (1953)-. - Roma [distribuzione Torino] : [s.n., distribuzione Einaudi], 1953-. - v. ; 23 cm (( La periodicità è variata più volte: la prima serie esce con periodicità irregolare, dal 1976 trimestrale. La prima serie si conclude con il n.69/71 (Luglio-Dicembre 1964 ma pubblicato nel marzo 1965), nel 1966 inizia la nuova serie che termina con il n.67 68 (1980), nel 1982 la terza serie che termina con il n.50 (apr. giu. 1994) ed inizia la quarta serie con il n.1 ... {Nuovi argomenti [rivista, 1953-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1953 Mese: 3 Giorno: 1
Numero 1
Titolo KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1


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