→ modalità contenuto
modalità contesto
Modalità in atto filtro S.M.O.G+: CORPUS OGGETTO
ANTEPRIMA MULTIMEDIALI
ALBERO INVENTARIALE
Legenda
Nodo superiore Corpus autorizzato

Nodo relativo all'oggetto istanziato

NB: le impostazioni di visualizzazione modificabili nel pannello di preferenze utente hanno determinato un albero che comprende, limitatamente alle prime 100 relazioni, esclusivamente i nodi direttamente ascendenti ed eventuali nodi discendenti più prossimi. Click su + per l'intero contenuto di un nodo.


INVENTARICATALOGHIMULTIMEDIALIANALITICITHESAURIMULTI
guida generale
CERCA

tipologia: Analitici; Id: 1465150


Area del titolo e responsabilità
Tipologia da controllare
Titolo Renato Rovetta, Noterelle e schermaglie. Dalla scuola kafkiana alla rupe tarpea
Responsabilità
Rovetta, Renato+++
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
474 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
Morandi era divenuto, organizzativamente, l'arbitro del Partito, facendo il vuoto attorno a sé. Come si prospetterà la successione e quali conseguenze potrà avere? Anche se personalmente non condivido gran parte della linea di Morandi, si deve riconoscere che è una testa forte. Una disunione sarebbe assai piú dannosa al Partito del rigidismo morandiano (op. cit., p. 29).
Al di fuori delle passioni di allora, ma non certo per abbandonarsi ad altre mode, come quelle attuali, si può tentare un giudizio obbiettivo. Con tutti i suoi limiti di rigidismo, come dice Bosío, non di stalinismo, l'opera di Morandi permise al partito socialista di superare la grave crisi nella quale era caduto dopo le scissioni e la sconfitta del Fronte. Esso fu posto in grado di affrontare le lotte politiche e sociali cui era chiamato. Erano lotte dure, nelle quali occorreva coraggio e vigore unitario. Per un partito come quello, che anche Basso voleva e noi con lui, un partito rivoluzionario e classista, una struttura centralizzata era forse necessaria. Noi invece pensavamo che una maggiore democrazia interna lo avrebbe reso piú valido. Basso aspirava ad un partito nuovo, democratico, senza correnti, ma con un libero dibattito interno, capace di guidare una lotta unitaria delle masse e creare in esse la coscienza dei loro compiti. Il modello ideale era sugge-
stivo e pieno di fascino. Ma non ve ne sono convincenti esempi storici. Perciò il suo pensiero inquieto oscillava tra Lenin e Rosa Luxemburg. Morandi nel suo
travaglio profondo dalla critica ai modelli storici del socialismo e del comunismo era giunto alla fine ad accettare il leninismo. Entrambi questi uomini apparten-
gono ad un'epoca nella quale la lotta per il socialismo si concepiva come un'autentica lotta rivoluzionaria. Fu certo negativo che tra di essi, cosí simili per formazione ed ispirazione, non si sia creata una salda amicizia politica e che gli sforzi
per indurli a superare i contrasti siano stati resi vani dalla morte inattesa di Morandi.
FRANCESCO DE MARTINO
DALLA SCUOLA KAFKIANA ALLA RUPE TARPEA
Come nel castello kafkiano vaga un'onnipotente presenza padrona delle anime umane, cosí tra i corridoi delle scuole sperimentali s'aggirano fantasmi mitologici padroni delle anime professionali della categoria docente, e ne decretano il processo.
Una programmazione scolastica degli anni '80 non può non iniziare con una premessa polemica contro le nuove mitologie didattiche che hanno invaso la scuola media dell'obbligo, e in particolare le scuole sperimentali. Dieci anni fa, tanto per ricordare, l'editoria didattica cattolica sfornava i primi obiettivi e le prime verifiche sotto forma di quiz rudimentali e di definizioni implumi (il senso morale, il senso dell'amicizia ecc.) sui massimi sistemi etici e dottrinali debitamente volgarizzati. Dall'altra parte stavano il contenutismo selvaggio, l'insegnan-
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 47
te di sinistra come un orco dalla bocca mostruosa, questa funzione somatica iper-sviluppat t da un apparato vocale spropositato rispetto al resto delle funzioni didattiche: e attorno al mostro vociante in un altro comizio sul Vietnam, il gran casino della classe.
Oggi imperano le proposte « ordinate » della didattica cattolica ammodernata. Ammodernati e ammodo, civili, disinvolti, i giovani redattori delle ditte editoriali cattoliche civettano con grafiche accattivanti, divulgano e smerciano a tappeto le metodologie del modello anglo-sassone purché si salvino i contenuti ortodossi sotto il segno della programmazione. Nell'area laica e marxista il contenutismo, in quanto selvaggio, è stato rimosso, non ripensato: a scuola e fuori vige il principio generale dell'austerità nelle sue componenti tecniciste, efficientismo e produttivismo delle competenze quantitative di adulti e allievi. Ma nel frattempo si è dimenticato che la qualità politica umanistica e retorica di don Milani aveva pur provocato, in tutta la fisionomia della realtà scolastica italiana, la piú profonda riforma morale e intellettuale del dopoguerra, le grandi attese e i bisogni professionali che la produzione editoriale democratica non ha saputo sviluppare, almeno secondo chi scrive.
Si è pubblicato, si è tradotto, e moltissimo dall'inglese, si è prodotto e venduto sul mercato. L'induzione mercantile, i grafici profitti delle aziende hanno giocato sulla fame di conoscenze e di tecniche taumaturgiche e sul bisogno di sicurezza e di punti di riferimento certi da parte di una categoria professionale dall'identità distrutta. E, come sempre, dietro la mercatura, è salito un cicaleccio vertiginoso fino all'esaurimento di merci senza qualità, che mi auguro imminente. Ma entriamo piuttosto nel merito, sul come e cosa programmare.
Metodologicamente non condivido l'ansia, alimentata tra gli insegnanti da questa editoria, di programmare in ciclostile per non girare a vuoto, programmare tutto; e classificare tutto, classificare sul registro o il cartellone anche la vita; e definire tutto, definire anche il concetto di concetto secondo un concetto ancora da definire, che non è roba da poco a volerla risolvere quando si eccede.
L'ansia assume poi aspetti fetistici non appena si devono programmare gli obiettivi, quando in massa si va alla ricerca di ciuffi di obiettivi donde spulciare, previo dibattito, quelli generali e quelli specifici e, tra questi ultimi, continuare la caccia agli intermedi. In effetti in ogni orizzonte concettuale, in ogni operazione di conoscenza, sono presenti infiniti obiettivi, e concezioni e culture e temperamenti infinitamente diversi, plurimi e contrapposti. In ogni attimo culturale gli obiettivi si snodano in filigrana: quando si legge, quando si ascolta, quando ci si emoziona, bambino o adulto. L'esercizio mentale di indagarli tutti è improbo, dispotica la pretesa di uniformarli e imporli nel consiglio di classe o persino a livello di scuola magari in curriculum triennale. Ne conosciamo le seduzioni linguistiche, gli eufemismi della sindrome autoritaria: la « necessaria omogeneità », la « unitarietà di intenti ».
Ma chi ci rimette, in realtà, in questa speculazione della ragione che si auto-divora, sono il confronto tra ragioni diverse e la ragione stessa. Il master mind può continuare per l'eternità e girare sopra il pianeta con risultati atroci. Bontà
476 NOTERELLE E SCI-IERMAGLIE
sua, « Scuola e didattica » (gennaio '80, n. 9, p. 8) ammette che questo bisogno di misurare la millenaria riflessione sugli scopi dell'esistenza e del pensiero umano fa trasparire « divergenze », richiede « nei prossimi anni chiarificazione, integrazione, coordinamento » tra gli obiettivi di carattere intellettivo delle diverse tassonomie. Sicché, per rimediarvi, la rivista cattolica piú diffusa preannuncia già, in vista del decennio venturo, una nuova esplorazione « di maggiore rigore » e senza confini in mezzo agli obiettivi « di carattere affettivo », anche se (lo si concede) « questi sfuggono quasi sempre ad una misura rigorosa ». Chissà, forse un giorno potremo giungere al commercio export degli obiettivi dalla provincia periferica al centro dell'impero universitario americano. In fondo anche da noi, mediterranei, in linguistica, in una unità didattica sulla comunicazione, è possibile rintracciare senza sforzo nove obiettivi (multipli), ma l'indagine resta aperta. Cosí l'obiettivo 1) potrebbe essere la « capacità di incarnarsi in emittente », il 2) la « capacità di oggettivarsi in ricevente », il 3) la « capacità di classificare i codici », il 4) la « capacità di utilizzare i codici », il 5) la « capacità di decodifi- care i codici », il 6) la « capacità di individuare e classificare i decodificatori dei codici », il 7) la « capacità di decodificare i decodificatori dei codici », l'8) la « controcapacità di resistere alla decodificazione controperata dai decodificatori dei codici ». In progressione tassonomica, a questo punto si è in grado di 9) « riconoscere e classificare i sottocodici » e cosí via per ogni sottocodice . come ai punti 4-5-6-7-8. Tra simili rituali, un'unità di lavoro sul giornale diventa impagabile attraverso un metacurriculum sognato da ogni bimbo: si può balzare dalla capacità d'uso dell'occhiello alla funzione sintetica della vignetta sino alla conquista del premio Pulitzer.
Esercitazioni senza senso, dunque. Che hanno comunque fatto distrarre e dirottare enormi energie da scambi d'esperienze concrete e confronti culturali piú utili. Che hanno forse corrisposto ad una necessità di chiarezza teorica pro-gettuale, di maggior efficienza: ma questo lievito efficientista di competenze rischia talora di condurre l'intera comunità scolastica fortemente professionalizzata, tagliata fuori dalle altre dimensioni della vita, verso una schizofrenia spettrale, verso un immiserimento psichico generale dell'allievo in tutte le sue variabili circolari, fantasia, ilarità, creatività, gestualità, immaginazione, affettività, emozioni, inventività, e tutto l'immaginario e il caldo corporeo e il sensitivo impalpabile trasversali ai processi logici e mentali, e il quotidiano sperimentalismo esistenziale che ci serve a dire insomma che il buon pedagogo deve anche sapere giocare e litigare e comunicare come un piccolo istrione nel giardino dell'infanzia estetizzando la didattica in mezzo alle competenze e alla ragion critica che rendano il vissuto infantile meno gramo di consapevolezza. Tra mille pagine, in cento libri, non esiste per esempio l'uso funzionale del linguaggio ironico, anche se l'ironia, variante intelligente dell'allegria (e anche l'allegria è un obiettivo ludico generale escluso dagli austeri testi tassonomici), contiene in sé tanti processi mentali che solo una mente impazzita può pretendere di classificare nei cosiddetti schemi chiari, scientifici.
E inoltre la capacità di inventare, di inventare ciò che né l'insegnante né
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 477
le edizioni « Nuova Italia » impongono o prevedono, le energie fluviali della preadolescenza che resistono ancora ed escludono i riti degli adulti, le gabbie interpretative, le galere psicologiste, le macchine cataloganti sino a ossessione: Senza dire infine che tutta l'estensione dell'inconscio resta ignorata dalle nuove metodologie d'adattamento. E perché dunque non si dovrebbero elaborare obiettivi per bonificare l'inconscio già martoriato, culturalmente e storicamente determinato, dei bambini? Perché non proporsi di liberare quel loro corpicino benedetto, vigilato compresso mutilato dal diaframma in giú?
Torniamo ai testi d'importazione, piú tecnici, in apparenza meno politici, una grossa distrazione metodologica da ben altri compiti. Tuttavia, anche sotto il profilo ideologico, non c'è dubbio che la generalità dei loro obiettivi sia finalizzata al consenso di una organizzazione sociale che si immagina e si dà come immutabile e indiscutibile: come immutabili e indiscutibili vengono descritti, di riflesso, i processi cognitivi e i ritmi di apprendimento dei preadolescenti, diagnosticati da queste teorie come dati biologici, non come formazioni sociali
o prodotti storici, fissati come immobili nell'eterno fuori dalla loro storicità, puri primitivi senza terra e storia da studiare su test protoaziendali in un laboratorio ove programmarne il processo educativo (la medesima operazione d'adjustment soporifero, dolcificante, l'ha svolta la psicanalisi americana futiliz-zando Freud).
Impressioni apodittiche? Continuiamo ad esaminare. Tra quegli obiettivi, articolati tra tante varianti e linguaggi anche comici racchiusi in un unico dirigismo, non troviamo mai la funzione critica, oppure il senso della contraddizione,
o nemmeno il termine di trasgressione e superamento da convinzioni indotte. Esistono solo le capacità e le funzioni in tutte le salse e le discipline, esistono solo il come e il quanto funzionare proprio come si addice alla razionalità delle buone scuole della buona società tecnologicamente avanzata e appagata su se stessa. Ma, per parafrasare l'ultimo Enrico Berlinguer in fase di travaglio autocritico, uno può chiedersi: « perché » fare funzionare i bambini, in « che cosa » devono essere capaci? Per trasformare anche dentro l'istituzione scuola: come avevano scoperto il '68 e don Milani, appunto. Ma per trasformare sono necessari contenuti, obiettivi di conoscenza e categorie d'analisi disvelanti come punti di approccio e di orientamento elastici, e tecniche d'insegnamento agili quali le forze demo -ratiche interessate ritardano ancora ad elaborare limitandosi spesso all'acquisizione di impostazioni e linguaggi pensati in altre sedi ideologiche.
Non c'è ora lo spazio per analizzare in modo approfondito le ragioni di questi ritardi e limiti della sinistra culturale ed editoriale italiana sull'argomento scuola e, nello specifico, in scienze dell'educazione. Molto sommariamente si può dire che hanno pesato trenta anni di subordinazione culturale allo stalinismo, dopo che la vecchia guardia della pedagogia bolscevica era stata sconfitta dalla pedagogia autoritaria di Mackarenko, ripresa senza ripensamenti dalla sinistra italiana inerte nel vuoto teorico. Qui hanno trovato buon nutrimento i secolari vizi positivisti, deterministici della tradizione marxista nazionale: la scuola come problema sovrastrutturale da risolversi nel dopo rivoluzione. Intanto la
478 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
sinistra laica non trovava niente di meglio sul mercato culturale che la « progressiva » modernità delle tecniche attivizzanti americane (Dewey per primo) per bilanciare la produzione cattolica stratificata, egemonia d'organizzazione e di cultura che ha colonizzato gli istituti scolastici d'ogni livello.
Sta comunque di fatto che questi limiti si avvertono quotidianamente nell'assenza di una pedagogia teorica critica, a parte qualche valida eccezione che non poggia su un impianto culturale organico. L'insegnante democratico in sostanza deve ancor oggi arrangiarsi da solo facendo tesoro delle esperienze altrui concretamente scritte o descritte. D'altro canto quelle carenze dovrebbero perlomeno suggerire di valorizzare l'apporto e l'intervento di risorse fondamentali della realtà scolastica, come gli allievi, che le programmazioni rigide per forza di cose umiliano Che l'accumulazione culturale nella scuola proceda solamente attraverso le rigidità tecniciste e che ogni altra alternativa si risolva in sperimentalismo improvvisato, facilone, è tutto da dimostrare. Si può improvvisare ininterrottamente sempre pensando un principio, una precisa strategia educativa di movimento.
D'altronde nulla si può leggere, nessuna tecnica verifica valutazione, nessuna scheda e nessun capitolo è stato scritto, ad esempio, su « Come l'educato educa l'educatore », anche se è il concetto antropologico marxiano piú rivoluzionario. Eppure, in un solo momento, una critica o una proposta piú intelligente di un allievo può essere accolta, come stimolo educativo vincente, dal resto della classe, e fare crollare un nostro obiettivo chiaro lungamente meditato o una sistematica organicità pazientemente costruita sui libri dalla scientificità suggestionante. La stessa ricerca trasformativa — che è la tecnica didattica per eccellenza per dare agli allievi i mezzi egualitari e la coscienza di potere colmare il divario (di cultura e di potere) dal mondo separato degli adulti — oggi è relegata in un angolo remoto della didattica, confusa e indistinta nella memoria insieme al sociologismo immacolato della ricerca operativa e conoscitiva (americane pur queste), consumata nello spazio di una stagione senza nostalgie come una delle innumerevoli tecniche proposte, bruciata anche nelle sue potenzialità trasformative della realtà territoriale.
La quale realtà è, come sempre, piena di contraddizioni che vanno indagate e sottoposte a esame: per non dimenticare mai, se si vogliono mantenere i nervi saldi anche di questi tempi, che c'è un regime che non ha mai smesso di occupare l'etica e la società politica e civile e, tra gli avamposti diffusi del dominio, anche la scuola. Nonostante ciò, nessun testo di pedagogia teorica, nessuna « attivizzante » tecnica didattica promuove la capacità di riconoscere e cogliere il senso delle contraddizioni che attraversano le radici dell'intero vissuto dei bambini. Che si vive nella contraddizione, che il senso della contraddizione è la regola aurea della conoscenza e della dialettica l'aveva detto ragionevolmente il Presidente per ora demodée. E la prima contraddizione fondamentale resta quella tra capitale e lavoro, l'obiettivo piú urgente da insegnare e apprendere con l'uso di categorie d'indagine di base, piaccia o meno alla cupa cultura della crisi, o della lagna. Le altre grandi vecchie novità che
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 479
resisteranno ad ogni moda culturale — e si dovrebbero proporre come obiettivi didattici generali — sono pure la conoscenza delle altre contraddizioni primarie che riguardano ogni materia letteraria: quella tra governanti e governati, tra sviluppo tecno-produttivo ed equilibrio biologico, tra lavoro intellettuale e manuale, tra uomo e donna, e quella tra anziani e giovani di cui si è già detto. Non ci si sfugge. Se invece si pone l'astoricità come presupposto metodologico ad ogni approccio didattico teorico, può succedere che a proposito della contraddizione uomo/donna non si scriva neppure una riga sulle differenze specifiche di comportamento e apprendimento tra maschio e femmina, e sulle loro cause storiche: differenze, in media, molto profonde, come ogni insegnante è in grado di accorgersi in classe tutti i giorni. In fondo l'impeccabile Professore tecno-neutrale dell'American Association che ci reca da un simposio in Boston la buona nuova delle xYz in diagramma contorto, verticali orizzontali incrociate, a significare le dinamiche piú banali con le freccine attitudinali, tra lacune spaventose e « successi prodigiosi » (De Landscheere), si rivela, last but not least, irrimediabilmente maschietto.
In realtà, solo scavando e rendendo esplicite le contraddizioni, si possono realizzare i due grandi compiti a cui dovrebbe accingersi la scuola media riformata e democratica. In primo luogo dare al ragazzo la consapevolezza storica delle cause e del significato dell'essere sociale in cui vive e soffre, offrirgli le categorie di fondo per chiarirgli cos'è che determina in ultima analisi l'essenza
e l'esistenza sua e delle cose e dei rapporti che si vede sotto il naso e che non sono affatto naturali e immodificabili come gli hanno fatto credere fuori scuola
o alle elementari, e che cos'è che determina i rapporti tra gli uomini, e tra gli uomini e le cose di cui essi si appropriano, che costruiscono, vendono, modificano, per cui lottano. Che in questi spazi di conoscenza, i ritmi di apprendimento dei bambini di una i media siano ritardati è un fatto, sí, ma un fatto innaturale perché l'insieme delle istituzioni circostanti li hanno voluti proditoriamente ritardare in linea con la concezione tradizionale e conservatrice che pretendeva di difendere, repressione e regolamento in pugno, dai turbamenti esterni le religioni ingenue, l'infanzia delicata dei pupi innocenti, gentilianamente presupposti: concezione, questa, che capita d'incontrare, oggi, dentro un dubbio mammismo di sinistra che vorrebbe difendere da un gergo e da concetti complicati
e « astratti » e da ristrutturazioni traumatiche la fragile personalità convenzionale del bambino che andrebbe difesa grazie a interventi e priorità serie, chiare, organiche, grazie a un abito pedagogico preconfenzionato.
In secondo luogo la scolarità di massa dovrebbe attivare la presa di coscienza da parte degli allievi che comportamenti e opinioni non sono e non devono essere unidimensionali, omogenei e unitari; che, come la propria condizione, cosí il proprio comportamento e il pensiero ormai ben organizzati da una cultura totalitaria indotta, non sono affatto gli unici, e possibili, anche se dominanti. Per questo motivo, la loro ristrutturazione, invece che pericolosa, è salutare, e ci vorrebbero una due cento ristrutturazioni lungo quel pluralismo di metodi, di contenuti e di modelli di riferimento ininterrotti da confrontare e
480 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
spiegare per l'educazione della mente degli allievi secondo diversità e contrasti, valori positivi: a partire, sempre, dal reale e dall'unità della cultura in direzione del discorso conclusivo sul laboratorio didattico.
È vero che il laboratorio potrebbe diventare lo spazio scolastico ideale per superare storiche subalternità generazionali. Nel laboratorio gli studenti da fruitori (fase della scuola autoritaria) a produttori (scuola progressista) potrebbero crescere come dominatori di conoscenze quando tutti — in una scuola rinnovata dai bisogni del territorio, socialmente gestita — sono ricercatori, sperimentatori, soggetti partecipi dando, com'è ovvio, contributi diversi su di un asse didattico centrato sulla ricerca trasformativa e la redazione di strumenti di intervento. Ma questa è una via che, a quanto pare, troppi insegnanti hanno già percorso troppo dolorosamente per poterla ripetere. L'incontro con il territorio è spesso degenerato nello scontro con i genitori dei ceti sociali privilegiati, pronti a mobilitarsi. D'altronde le cause di questi fallimenti sono piú generali, risalgono a lontano, al '74 quando le forze democratiche avevano lanciato la proposta teorica di una scuola inserita nel tessuto del territorio senza minimamente sostenerla nei fatti e nell'organizzazione: una scommessa politica che oggi si è rivelata perdente. Oggi la prospettiva di una gestione sociale della scuola dell'obbligo non è in agonia; è morta. Anche se proprio ieri ho letto e di sicuro leggerò domani sulla stampa ufficiale del movimento operaio che la questione scolastica ha « una collocazione strategica... all'incrocio dei problemi piú drammatici dell'attuale crisi del capitalismo ».
Per concludere dal vivo: in prima A, a Rezzato. Una novità: le fasce di questa classe sono tre. Un'altra novità: la prima apprende bene, la seconda mica tanto, la terza poco o niente. A parte sta il caso di Diego Milani (che pone problemi da quarta fascia). I casi « ufficiali » segnalati di handicap da ritardo mentale sono due, in realtà almeno cinque. È senz'altro una classe che ha un suo specifico. Fuor d'ironia: in ogni caso la I A resta a mio avviso quella che di solito si definisce « una bella classettina », una classe di piccoli polinesiani in potenza quanto a rapporti interpersonali e a strutture caratteriali: spontanei, gentili, affabili, cordiali, potrebbero diventare splendidi amanti se nella scuola liberata per davvero si cominciasse a fare un po' di educazione del corpo in positivo. Ovviamente tutti hanno saputo creare l'ambiente ideale per l'inserimento degli handicappati.
L'analisi diventa piú problematica quando si devono affrontare questioni di apprendimento. Per rendere in modo vivo il quadro dei problemi presenti li incarneremo in quattro rappresentanti delle fasce. Ferrari, la 1' fascia, d'estrazione proletaria (come quasi tutta la classe), denota ritmi di apprendimento rapidi e una richiesta di cultura e di conoscenza inesausta. Appassionatamente critico e polemico, non riesce ad esprimersi e realizzarsi per carenze lessicali e linguistiche, per un handicap culturale di base che, mi sembra, è imputabile all'uso preponderante del dialetto nella zona (anche il paese di Rezzato ha un suo specifico). La 2a fascia apprende come tutte le 2e fasce dell'universo proletario. Rossetti, la 3a fascia, rappresenta il classico caso di handicap sociale: figlio di proletari, passato tra le violenze e le efferatezze degli istituti di assistenza clericale, ne è rimasto psichicamente e mentalmente bloccato. Diego Milani segue, in famiglia, l'handicap della sorella maggiore. Si può facilmente supporre, Seveso insegna, che sia il prodotto di una perfida ideologia da confessionale dove si incita a produrre e riprodurre la vita comunque nel nome della prolificità incontrollata e delle mistiche sacrificali.
Dopo l'incarnazione, passiamo a una scena d'animazione. Alle solite ore 11.30,
NOTERELLE E SCHERMAGLIE 481
di una delle solite mattinate stressanti, Milani, armato di forbici, in una crisi d'aggressività straccia a Rossetti il giornalino che era riuscito faticosamente a comporre in due mesi. Durante questo duello titanico, mi sono scoperto a parteggiare spudoratamente per Rossetti, mio Goldrake privo di alabarda spaziale, il Black Drechker di cui parlava la mamma. La scena illuminante si presta ad alcune considerazioni.
Primo: la teoria e la pratica di inserire gli handicappati gravi in classi normali per accompagnare processi di apprendimento a processi di socializzazione è dannosa e controproducente sotto qualsiasi profilo la si voglia sostenere. Controproducente per la classe dove, in un rapporto numerico pedagogicamente assurdo, vanno affrontate e si aggravano le cento contraddizioni di una scuola disastrata e di una società ineguale; controproducente per l'handicappato mentale che si carica di una aggressività e di una frustrazione peggiori di quelle accumulate in qualsiasi ghetto. L'alternativa non sta tra la ghettizzazione razzista e l'inserimento forzato in strutture tra l'altro inadeguate dietro le suggestioni di un confessionalismo integralista che non ha mai avuto fautori, sul versante laico opposto, neanche tra gli esponenti piú radicali dell'eliminazione delle istituzioni-ghetto. L'alternativa sta in istituzioni aperte e adeguatamente strutturate e competenti che, al loro interno, sviluppino un minimo di abilità degli handicappati e che siano sempre aperte verso l'esterno in una socializzazione ininterrotta.
Ma, nel frattempo, che fare? Chi, per propria scelta ideologica, ritiene di spostare addirittura i criteri didattici in funzione degli handicappati, lo faccia sulla scia di una legge improvvisata e superficiale. Ma, per civismo elementare, si dovrebbero perlomeno abolire le cattive abitudini pettegole di scaricare sulla persona dell'insegnante le responsabilità di ideologie e sistemi sociali, di cui si è magari í commessi piú o meno consapevoli. Ai commessi inconsapevoli andrebbe pur detto che non è íl caso di fare dell'autoterrorismo psicologico o proiettarlo sugli altri, negando la semplice realtà che, per questioni genetiche incontrovertibili, l'inserimento degli handicappati mentali è squilibrato, un modo per rendere gli infelici piú infelici, e crea in classe situazioni insostenibili per la possibile soluzione di altri casi umani e sociali, meno vistosi, ma drammatici e generalizzati, anche se cí siamo abituati tutti a giudicare la loro come una condizione normale (anche i cattolici hanno un cuore edonista, e un po' razzista).
Da parte mia detesto l'autoterrorismo, come detesto il sottile piacere autodistruttivo che dà l'espiazione estatica da non so quale colpa originaria attraverso le dinamiche dei pietismi sospetti: francamente preferisco altre consolazioni, altri piaceri interiori. Quando però sí vuole ricattare e convincere facendo leva su pietismi strumentali, distribuendo a piene mani discutibili mozioni degli affetti, allora, demagogia per demagogia, mozione per mozione, val la pena di ritornare all'esame della 1' fascia della I A, all'incarnazione Ferrari.
Era la vigilia di Natale, pour cause. Ferrari durante una discussione di laboratorio aveva in mente con chiarezza un intervento decisivo, non riusciva ad esprimerlo, soffriva con le lacrime agli occhi. Ferrari, emblema del grande potenziale che avrebbe dovuto scaturire dalla scolarità di massa sulla scena della cultura e della storia, dunque piangeva. Avrei voluto piangere con lui secondo autentica pietas sociale. Perché — questo dovrebbe essere chiaro — la scuola di Rezzato non è la Carducci di Porta Venezia. A Rezzato il famoso « resto della classe », puntualmente evocato dagli insegnanti conservatori per selezionare e abbandonare in solitudine gli allievi socialmente piú svantaggiati, non è composto dal figli dell'avvocato o del dottore. Qui semmai il problema è proprio quello di sanare la separazione di classe tra la maggioranza dei bambini d'educazione proletaria e paesana e i privilegiati dei quartieri residenziali urbanocentrici. In questa direzione si dovrebbe alzare l'asse didattico, secondo la mia formazione culturale e la mia sensibilità sociale (anche gli atei hanno un cuore).
Che queste siano tesi riducibili in sintesi all'immagine della Rupe Tarpea, potra
482 NOTERELLE E SCHERMAGLIE
forse dirmelo San Pietro alla resa dei conti, non certo i colleghi di una scuola pubblica e laica che devono oggi pagare i costi psicologici e potrebbero anche pagare — cose di un attimo — quelli economici morali per le colpe di una gestione confessionale che, nel passato, ha saputo costruirvi sopra cinicamente rendite colossali, salvo scaricare oggi l'intero problema, senza mediazioni, senza strutture adeguate, sulle spalle di una categoria sindacalmente sprovveduta.
RENATO ROVETTA
I CATTOLICI, LA POLITICA E LA MORALE ASSOLUTISTICA
Sentiamo dire (l'ha detto recentemente Andreotti) che la presenza dei cattolici nella società italiana è legata a una capacità reale di testimonianza, non a formule giuridiche. Sta di fatto che, legati o no alle formule, i cattolici italiani contestano assai poco, seppure non accettano con convinzione, quello strumento giuridico, il Concordato, che è espressione di una formula a cui la S. Sede non rinuncia; e la formula è quella della religione cattolica come religione dello Stato italiano (non denegata dalla quarta bozza di revisione), con quel che segue e seguirà.
Ma che cos'è la capacità di testimonianza? Testimoniare la fede è l'atto che il credente compie nel sentirsi in rapporto con l'assoluto, con la verità rivelata. La « dimensione sociale della fede », di cui parlano i cattolici, non è l'effetto di molteplici, libere interpretazioni della « volontà di Dio » da parte dei singoli credenti, ma è il presupposto stesso di quella mediazione ecclesiastica tra l'uomo e Dio che fa della Chiesa cattolica una istituzione chiusa, con la pretesa dell'universalità.
Per quanti sforzi facciano i cattolici per identificare la democrazia col pluralismo, esaltando la funzione della famiglia e della parrocchia come « società intermedie » tra l'individuo e lo Stato, ciò che resta irrisolto nella loro dottrina è il problema dell'educazione all'autonomia di giudizio e alla responsabilità personale di ciascuno, che è il problema della democrazia.
L facile capire perché la morale cattolica dia un contributo cosí scarso all'instaurarsi della democrazia, cosí come scarso è quello di tutte le altre concezioni assolutistiche e totalizzanti che pongono il fondamento della morale sulla base di verità e di valori non assoggettabili alla prova del dubbio, dell'opposizione e del controllo. Da questo punto di vista, il determinismo marxista può avere effetti non diversi dal provvidenzialismo cattolico (cosí come, sul versante del terrorismo, il mito leninista si intreccia con la palingenesi cristiana).
Il vecchio conflitto tra le due verità, quella della fede e quella della scienza, è oggi venuto meno, non perché, come sostengono alcuni, la scienza sia oggi conciliabile con la fede, ma perché la scienza non è piú concepita come un metodo per scoprire la verità, ma come un vaglio per eliminare gli errori in un progresso indefinito. Dopo Einstein (ci ha spiegato Popper), un'ipotesi o una teoria può
 
Trascrizione secondaria non visualizzabile dall'utente 


(0)
(0)






in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31352+++
+MAP IN RIQUADRO ANTEPRIMA


Area unica
Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 7 Giorno: 31
Numero 4
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4


(1)
(0)










MODULO MEDIAPLAYER: ENTITA' MULTIMEDIALI ED ANALITICI





Modalità in atto filtro S.M.O.G+: CORPUS OGGETTO

visualizza mappa Entità, Analitici e Records di catalogo del corpus selezionato/autorizzato (+MAP)




Interfaccia kSQL

passa a modalità Interfaccia kSQL