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tipologia: Analitici; Id: 1464882


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Tipologia Periodico
Titolo Roberto Pertici, Giovanni Amendola: l'esperienza socialista e teosofica (1898-1905)
Responsabilità
Pertici, Roberto+++
  autore+++    
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Amendola, Giovanni+++   Titolo:oggetto+++   
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VARIETÀ E DOCUMENTI
GIOVANNI AMENDOLA:
L'ESPERIENZA SOCIALISTA E TEOSOFICA (1898-1905)
I primi scritti di Giovanni Amendola, che ci rimangono, sono i tredici articoli che egli pubblicò diciottenne sul quotidiano romano « La Capitale » dal dicembre 1899 al febbraio 1900 1. In essi frequenti' sono, senza dubbio, le ingenuità e le contraddizioni, dovute sia alla giovane età dell'autore, sia soprattutto al carattere frammentario e, per certi versi, approssimativo della sua formazione culturale, priva di studi regolari in campo filosofico; tuttavia, dal loro esame e sulla base di alcuni riferimenti autobiografici dello stesso Amendola, possiamo individuare certi suoi primi punti di riferimento nel mondo della politica come in quello della cultura. Ne emerge un singolare intreccio di posizioni vagamente positivistiche e socialistiche con suggestioni mistiche e spiritualistiche; analogamente le poche osservazioni autobiografiche amendoliane riguardanti quegli anni serbano il ricordo di ambienti, situazioni ed uomini apparentemente lontani e diversi. In alcune, infatti, egli rievoca gli ambienti ed i gruppi di nuova religiosità che nacquero nella Roma degli anni '90, quei « circoli modernizzanti », noncuranti dell'ortodossia, privi di direzione ecclesiastica, fautori di un « grande irenismo verso posizioni religiose non necessariamente confessionalistiche » e di un impegno diretto nelle questioni sociali e nelle iniziative umanitarie, di cui ha parlato anche recentemente il Bedeschi 2. Nel 1909 Giovanni Amendola, ricordando che « fra il '90 ed il '900 accanto alla corrente dell'indifferenza ufficiale, sorsero in Italia vari centri di esperienza religiosa », esprimerà la convinzione che ad essi « lo storico della cultura italiana di quel periodo dovrà dare molto maggior importanza che non alle manifestazioni di quella scienza accademica, della filosofia ufficiale e della letteratura che trovò fortuna presso il grande pubblico »3. Piú precisamente due anni dopo, rievo-
1 Per un'efficace sintesi della storia de « La Capitale » è da vedere l'ottimo repertorio di V. O. MAJOLO MOLINARI, La stampa periodica romana dell'800, Roma, Istituto di Studi Romani, 1963, I, pp. 189-191. Su Edoardo Arbib, allora direttore del quotidiano, cfr. G. DI PEJO, Edoardo Arbib, in Dizionario biografico degli italiani, ad nomen.
2 LORENZO BEDESCHI, Circoli modernizzanti a Roma a cavallo del secolo, « Studi romani », aprile-giugno 1970, n. 2, pp. 189-215. Bedeschi si riferisce soprattutto ai gruppi che si riunivano nel mezzanino di via Arenula di Antonietta Giacomelli e successivamente in casa Molajoni in Piazza Rondanini. Sulle inquietudini religiose dell'ultimo decennio dell'800 e su questi ambienti, cfr. anche PIETRO SCOPPOLA, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1961, pp. 88 e ss.
3 Recensione a Uomini ed eroi di ALESSANDRO GHIGNONI, « La Cultura contemporanea », ottobre 1909, n. 10, p. 165.
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cando post mortem Antonio Fogazzaro, affermava di non poterne dissociare la figura
da un ambiente di moralità religiosa e di azione benefica che fiori qua e là in Italia, ma che io ricordo un po' solo a Roma, negli anni dopo il '95 — ambiente che s'era formato intorno ad uomini come Guglielmo (sic) Salvadori, don Brizio Casciola, Raffaele Salustri, ed altri. Sul fondo, discretamente calcato dal cristianesimo, si avvicendavano e si incontravano in esso influssi assai diversi — da quello di Leone Tolstoi a quello di Paul Desjardins; e la risultante, píú o meno precisa, di queste Stimmungen etico-letterarie trovò la sua espressione in una rivista intitolata L'Ora presente. In questo ambiente di « belle anime » e di « volontà buone », fervido di illusioni di rinnovamento cattolico e allucinato alquanto di conciliazioni ideali e pratiche, circolava certamente uno spirito religioso superiore a quello che ordinariamente s'incontra in Italia 4.
Non ci furono, quasi sicuramente, legami diretti fra il giovanissimo Amen-dola e questi gruppi portatori di interessi religiosi vivaci e di tipo nuovo. Ma egli fu, in qualche modo, assai sensibile alle tematiche di riforma religiosa che in essi si dibatterono, al fascino di una figura come quella di Tolstoi, ai problemi avanzati da un Fogazzaro. Inoltre egli fu in rapporti amichevoli con uomini che erano stati legati a quegli ambienti, come Arnaldo Cervesato, e la stessa futura simpatia per il movimento modernistico, che scaturí in Italia da questo milieu mistico e sincretistico di fine secolo, induce a credere che Amen-dola risenti di queste influenze nella sua prima giovinezza, influenze che contribuirono a renderlo sensibile alle varie manifestazioni dello « spirito nuovo », che ormai alitava nella cultura europea, ai vari sintomi di risorgente sentimento religioso che ormai apparivano anche in Italia.
In un'altra testimonianza autobiografica del 1911, Amendola a grandi pennellate rievoca un altro clima culturale, un altro sfondo politico nel quale parimenti si mosse nella sua adolescenza e che derivava soprattutto dall'eredità paterna. In tale memoria grandeggia la figura di Francesco Crispi:
Il nome di Crispi noi lo rievochiamo con le immagini della nostra infanzia. In me è associato, da principio, con un altro nome: quello di Giordano Bruno. Nel ricordo infantile li ponevo sullo stesso piano. (...) Poi, dopo Giordano Bruno, le guerre d'Africa. (Qui un salto indietro: i soldati che partono da Napoli nell'87, e insieme un clamore doloroso e indistinto: Dogali). Poi l'antagonismo con la Francia: Bismarck, la guerra. (...) Un vecchio (Crispi), un forte vecchio autoritario e terribile — i nostri padri che erano stati, poniamo, garibaldini, ne parlavano col rispetto, un po' confidenziale, che si ha per il vecchio compagno, quello della prima ora, e dell'ora culminante. In questo modo l'anima del vegliardo settantenne si comunicava a quella di un bambino italiano di dieci anni. (...) Bisognava arrivare al socialismo prima del '98 — e passare oltre la politica dopo il '900 — per trovarsi all'unisono col ritmo piú profondo della vita nazionale. E molti giovani sono passati per questo cammino: nel '98 andammo a deporre corone nella camera ardente di Cavallotti, come in pellegrinaggio 5.
4 Antonio Fogazzaro. Saggi e giudizi, numero unico, giugno 1911, Firenze, tip. E. Ducci, p. 13.
5 Francesco Crispi, « La Voce », 26 gennaio 1911; ora in Amendola e «La Voce », a cura di Giuseppe Prezzolini, Firenze, Sansoni, 1973, pp. 217-8.
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Dunque: garibaldinismo, il Crispi rivoluzionario del 1860, Giordano Bruno, Cavallotti. Come si vede, l'ambiente in cui l'Amendola crebbe era permeato anche di spiriti radicali, garibaldini, probabilmente massonici, che convivono con le venature mistiche e spiritualistiche di cui prima si è detto. Ciò non deve stupire: non bisogna dimenticare i fermenti di riforma cattolica che erano circolati in molti di questi ambienti, la vena protestante di certo mazziniane-simo risorgimentale, il significato per esso del mito della terza Roma prima, della presa di Roma poi, considerata come premessa indispensabile e segno significativo per l'attesa rivoluzione religiosa dell'Italia, con cui il Risorgimento sarebbe giunto al vero compimento. Come anche è nota l'adesione della maggior parte di questi elementi alla Massoneria, di cui costituí l'anima teistica e filo-anglosassone, e la formazione di una borghesia, specie meridionale, evangel-massonica, di mentalità spesso attivistica e filantropica, delusa dell'esito tutto amministrativo-statuale del processo risorgimentale, incapace, a suo giudizio, di una parallela, profonda riforma etico-religiosa: ne scaturivano spesso una insoddisfazione, magari non precisata, a sfondo democratico ed un ripensamento critico dei « limiti » della rivoluzione nazionale italiana. Infine va ricordata la grande popolarità che godette in questi ambienti la figura di Francesco Crispi di cui si ricordavano le glorie garibaldine del 1860, la battaglia da sinistra contro il trasformismo di Depretis, l'anticlericalismo ed al contempo la professione di fede in Dio, le esaltazioni dei valori morali, le sdegnose ripulse dell'ateismo materialistico 6. Insomma, nell'adolescenza di Amendola sembrano coesistere anticlericalismo e nuova religiosità, libero pensiero e suggestioni mistiche, azione politica e riforma morale: anche il suo socialismo giovanile è plasmato, in molti aspetti, da queste coordinate culturali.
Ci restano poche e generiche notizie di questa milizia socialista e le stesse testimonianze della moglie e del figlio Giorgio non concordano del tutto '. Tuttavia sembra indubitabile, anche sulla base del frammento autobiografico testé citato, che Amendola sia arrivato al socialismo prima del '98; da un accenno contenuto in una lettera inviatagli da Alfred Meebold nel 1904 (Kühn, p. 67), si coglie la notevole influenza che, in tutta questa fase, esercitò il pensiero di Napoleone Colajanni. In verità, a proposito dello studioso siciliano, si può parlare di socialismo solo in senso lato: anche se la sua posizione fu spesso vicina a quella dei socialisti, sul piano teorico egli non giunse mai ad accettare una concezione classista della società. In questo mazzinianesimo rivisitato, il giovane Amendola trovava un naturale sviluppo degli atteggiamenti radicali, ereditati dalla tradizione risorgimentale, tipici della sua famiglia, e soprattutto una
6 Sugli ambienti protestantico-mazziniani operanti nel Risorgimento sono ancora da leggere le pagine di GIORGIO SPINI, Risorgimento e protestanti, Napoli, E.S.I., 1956. Per le attese suscitate dalla presa di Roma in queste correnti, cfr. SPINI, L'evangelo e il berretto frigio. Storia della Chiesa cristiana libera 1870-1904, Torino, Claudiana, 1971, pp. 58 e segg. Notazioni acute sulla borghesia evangel-massonica meridionale ha fatto GIUSEPPE GANGALE, Revival. Saggio sulla storia del protestantesimo in Italia dal Risorgimento ai tempi nostri, Roma, Doxa, 1929, pp. 48-9.
7 Kün x , pp. 14-5; GIORGIO AMENDOLA, Una scelta di vita, Milano, Rizzoli, 1976, p. 82.
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forte accentuazione degli aspetti umanitari e morali dell'ideale socialistico, ai quali egli stesso era molto sensibile: « Colajanni non ha mai cessato di annettere importanza grandissima alle considerazioni morali — avvertiva Georges Sorel nella sua prefazione alla versione francese di Il Socialismo — e su questo punto essenziale si separava dai marxisti di quel tempo » a. Proprio nella seconda edizione di questo libro, avvenuta presso Sandron nel 1898, il Colajanni aveva dato prova della centralità di questi suoi interessi, aggiungendo un intero capitolo dedicato alla questione della Morale del socialismo ed eliminando i passi piú spiccatamente spenceriani della prima edizione. Nel nuovo capitolo, l'autore cercava, fra l'altro, di dimostrare che « il sentimento, l'elemento etico non contraddice, ma completa la critica materialistica della società presente » (p. 178), facendosi banditore di un socialismo inteso come lotta per rendere piú libera la spiritualità umana, di cui non a caso additava in John Ruskin l'apostolo piú caloroso e geniale.
Profondo interesse suscitò in Amendola anche l'ideale socialistico di Saverio Merlino. Nell'articolo Il misticismo contemporaneo (13 febbraio 1900), in polemica col « socialismo rivoluzionario » del Ferri, Amendola riporta una lunga citazione del « revisionista » napoletano in cui si afferma che « ... il socialismo non è una dottrina, ma è una tendenza, un complesso di sentimenti e di idee che agitano gli animi, mutano i costumi e tendono a mutare in meglio, cioè a rendere piú eque le relazioni fra gli uomini... Niente di ciò che appartiene al perfezionamento vuoi dell'individuo, vuoi della società, è estraneo al socialismo ». Questa definizione è tratta dall'articolo introduttivo della « Rivista critica del socialismo » 9, che il Merlino pubblicò per tutto il 1899; rivista eclettica, in cui il giovane Amendola poteva trovare una concezione di fondo ostile al marxismo cosí nel campo delle teorie economiche come in quello delle idee filosofiche, ferma nella convinzione che il socialismo sia in definitiva il portato di un'idea di giustizia in continua espansione, piú che di stringenti contraddizioni economiche e sociali.
Se si può parlare dunque di un socialismo giovanile di Giovanni Amen-dola, si trattò certamente di un socialismo lontano da Marx, dalla lotta di classe, dal materialismo; un socialismo inteso come elevazione morale, evoluzione delle coscienze, riforma delle intelligenze, che — come dice Amendola nello stesso articolo — « non è una dottrina, non è un sistema aprioristico, ma è un grande movimento di elevazione umana, che ha invaso e conquistato tutti gli uomini, coscienti od incoscienti ». Questo filone socialistico non si sente e non vuol essere espressione di una classe, ma diventa speranza, aspirazione di tutta l'umanità. Ciò che preme ad Amendola è di mostrare che un socialismo cosí inteso non è in contrapposizione alle emergenti correnti spiritualistiche. A suo
8 GEORGES SOREL, Prefazione al « Socialismo » di Colajanni, in Saggi di critica del marxismo, pubblicati per cura e con prefazione di Vittorio Racca, Milano-Palermo, Sandron Ed., 1903, p. 383.
9 LA RIVISTA (ma S. Merlino), Un po' di prefazione, «Rivista critica del socialismo », I, fasc. I, 1 gennaio 1899, pp. 3-4.
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giudizio, non dagli ambienti cattolici, che potrebbero essere in qualche modo sospetti di nostalgie oscurantistiche, scaturiscono quelle correnti: « il misticismo, ... il vero grande movimento spirituale rinascente negli uomini dopo la istaurazione del sistema positivo, ci viene dai socialisti e dagli anarchici », per cui esso « non potrà dire all'Ibsen e al Tolstoi: voi siete dei mistici reazionari », ma dovrà ammettere che « il misticismo non è un frutto della reazione borghese, ma un movimento essenzialmente moderno ». Da certi ambienti socialistici ed anarchici nasce, dunque, secondo Amendola, lo « spirito nuovo »: con tutta probabilità, egli alludeva non solo a Merlino, ma a Ruskin e William Morris, Edward Bellamy e Benoit Malon, Jean Jaurès ed Annie Besant, ed in Italia ad Ernesto Bignami e Giuseppe Rensi 10. Partendo da una nozione cosí generica di misticismo e di socialismo, è chiaro che il giovane Amendola poteva fondere in uno movimenti profondamente diversi, unificati in qualche modo soltanto da una netta avversione verso lo scientismo positivistico ed il materialismo marxistico, venati di non infrequenti nostalgie per società non « abbrutite » dal macchinismo e dall'espansione della tecnica.
Dagli articoli comparsi su « La Capitale » traluce anche l'impostazione filosofica del pensiero dell'Amendola diciottenne: contro il « positivismo aprioristico », egli simpatizzava per un « positivismo sano ed equilibrato ». Si tratta, di fatto, di un'adesione che comincia ad incrinarsi ed in cui affiorano sempre piú suggestioni mistiche e spiritualistiche; per lui, in definitiva, esser positivista vuol dire semplicemente muoversi all'interno del miglior pensiero europeo identificato nella « linea Comte-Spencer-Ardigò-Stuart Mill », far proprie le sue recenti acquisizioni, non tanto aderire ad un sistema chiuso, che pretenda di far « monopolio di scienza ». Amendola fa i conti anche col positivismo italiano. Non c'è dubbio, per esempio, che egli senta tutta la problematica della scuola positiva di diritto penale e del pensiero del Lombroso e che avverta l'esigenza, tipica della scuola, di privilegiare la prevenzione rispetto alla punizione: la vecchia giustizia punitiva non è riuscita a spezzare la spirale del delitto, dimostrando che « o la giustizia punitiva è un sistema errato, o essa non è piú adatta agli odierni bisogni della società (...). Tutti dovrebbero accorgersi che poiché la repressione non vale, la prevenzione è assolutamente necessaria » (Spigolature tristi, 30 gennaio 1900). Non si può parlare, tuttavia, di un Amen-dola lombrosiano; non solo perché in lui parlano piú ragioni umanitarie che moventi scientifici, ma anche perché egli non ignora il peso che fra i fattori criminogeni hanno i bisogni sociali, che, nello stesso articolo, pone sullo stesso piano delle « tendenze naturali » a delinquere.
Qua e là il giovane giornalista affronta anche i problemi concernenti la scienza, il suo metodo, il suo valore ed i suoi rapporti col « misticismo mo-
lo Il Bellamy, autore di un romanzo a sfondo utopistico Looking Backward 2000-1887, fondò i « Bellamy Clubs », organizzazioni indirettamente controllate dalla Società Teosofica. Annie Besant, prima di giungere al vertice della Società, era stata molto vicina agli ambienti femministi e socialisti dell'Inghilterra degli anni '80. Per le sue idee sociali, cfr. l'opuscolo Quistioni sociali. Conferenze tenute nell'estate 1909 alla St. James Hall di Londra, Genova, tip. A. Barisione, 1911.
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demo ». In questa categoria, egli pone fenomeni diversissimi, dalle manifestazioni di ipnotismo con cui si esibisce un certo dott. Pickman al teatro Valle di Roma alla « bancarotta della scienza » proclamata dal Brunetière, dalla crescente ammirazione anche in Italia per Tolstoi alla fortuna di Fogazzaro. Amendola mostra di conoscere e di condividere certe analisi allora correnti (si pensi soltanto all'interessante libro di Erminio Troilo Il misticismo moderno pubblicato da Bocca proprio nel 1899), secondo cui il misticismo sarebbe « uno stato transitorio fra due periodi lucidi di pensiero », « frutto della crisi morale che travaglia il mondo » e che « esso risponde ad un qualche bisogno sociale non ancora precisato » (Il misticismo contemporaneo, cit.). Ma a differenza del Troilo, che aveva sottolineato anche il carattere degenerativo e regressivo rispetto al pensiero positivo del fenomeno del misticismo, Amendola non esita a dichiarare che esso è « superiore alla scienza del passato, nello stesso modo che è inferiore alla scienza dell'avvenire di cui contiene i germi ». Questa « scienza dell'avvenire » sarà quella che avrà compreso la lezione che scaturisce dalla crisi del positivismo: essa dovrà rinunziare alla propria pretesa di monopolio dogmatico del sapere, al suo sorriso di sufficienza, che spesso diventa scherno, per tutta una serie di fenomeni che non riesce a spiegare. Tuttavia Amendola è anche molto lontano dalle posizioni antiscientifiche che stavano emergendo in alcuni esponenti della cultura europea: per lui la « bancarotta della scienza » di cui parlava Brunetière, è una frase che « ha fatto fortuna, ma non per questo è diventata meno antipatica e anti-moderna »: il problema del rapporto fra la conoscenza razionale e la religiosità mistica sarà uno dei rovelli di tutto il pensiero di Amendola. Il giovane giornalista de « La Capitale » vive insomma un dissidio, che, con dimensioni incomparabilmente maggiori, comincia a travagliare la coscienza europea: l'abbandono dello scientismo positivi-stico, la riscoperta, spesso emergente dal seno del positivismo migliore, dei valori dell'inconscio, dell' « irrazionale », del misticismo religioso. Lo sbocco traumatico di tale crisi sarà per Amendola l'ingresso nella Società Teosofica.
Egli aveva già preso in esame, nei primi due articoli comparsi sul quotidiano romano, i principi e l'organizzazione della Società; nel primo (La Società Teosofica, 16 dicembre 1899), Amendola dimostrava una conoscenza discreta delle dottrine teosofiche; nel secondo (27 dicembre) era riportata un'intervista concessa dal bramino Roy Chatterij, venuto a Roma per una serie di conferenze, ed in questa conversazione si manifestavano le molte perplessità del giovane Amendola di fronte alle idee dei teosofi. Eppure, a quanto sembra, proprio l'incontro con Chatterij, la familiarità che ben presto raggiunse con lui furono decisivi nella conversione di Amendola alla teosofia. Ma questa scelta aveva quel retroterra che abbiamo cercato fin qui di delineare: l'educazione spiritualistico-mazziniana, un profondo interesse per tutti i fenomeni del misticismo, la lunga consuetudine con Edoardo Arbib, direttore de « La Capitale », e con tutta la sua famiglia, tutti piú o meno impegnati nella loggia teosofica romana; senza dimenticare che, soprattutto nel Mezzogiorno, nel tronco della tradizione carbonaro-mazziniana, anticlericale e massonica, erano presenti vena-
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ture occultistiche e che, per esempio, a Sarno, patria degli Amendola, operava Filippo Abignente, attivo negli ambienti teosofici e spiritici, cugino di Giovanni Abignente cui Amendola successe nel 1919 come deputato del collegio di Mer-
cato S. Severino,
La Società Teosofica fu solo una delle numerose sette esoteriche che allora
prosperarono; la sua nascita (1875) ed il suo sviluppo vanno inseriti in quell'epidemia spiritica, misticheggiante ed occultistica, che costituisce uno degli aspetti meno conosciuti della seconda metà del secolo scorso. Le idee teosofiche avevano trovato una certa diffusione anche nel nostro paese: dopo i primi contatti col mondo della teosofia francese, che risalivano circa al 1880, nei primi anni Novanta era stata aperta una libreria ed una biblioteca teosofica in via del Corso a Roma, da cui prendeva avvio un certo lavoro di proselitismo. La teosofia, insomma, cominciava ad essere un fenomeno se non proprio alla moda, per lo meno discusso e studiato. Già nel 1896, in un saggio intitolato significativamente Lo « Spirito nuovo », Decio Cortesi, trattando della crisi del movi-
mento positivistico e della rinascita dello spiritualismo, discorreva delle sue diverse componenti: fra queste il Cortesi annoverava anche il « teosofismo »,
« forma di cristianesimo filosofico, d'origine protestante, che ha una certa vita
in America ed in Inghilterra », ne accennava alla diffusione in Italia, anche se mostrava di ritenere che essa, « lontana dal nostro carattere fantasioso meri-
dionale », avesse poca possibilità di attecchirvi 11. Negli anni successivi, invece, abbastanza grande fu la diffusione della Società Teosofica: la prima loggia italiana fu fondata a Roma il 22 gennaio 1897 (presidente l'ingegner Gualtiero Aureli) alla diretta dipendenza della Società Teosofica di Londra; il 1° gennaio 1898 cominciò ad essere pubblicata la rivista « Teosofia », mentre il 18 marzo dello stesso anno veniva a Roma Annie Besant, che tenne una conferenza all'Associazione della Stampa. Negli ultimi mesi del 1899, grazie all'attività di un'altra teosofessa, Isabella Cooper-Oakley, si fondava una società teosofica a Firenze, mentre nel 1900 si procedeva alla fondazione delle logge milanese e napoletana. Due anni dopo l'adesione di Amendola, il 1° e 2 febbraio 1902, sarebbe stata istituita la sezione italiana della Società Teosofica, che il 17 ottobre 1904 avrebbe inaugurato la sua sede a Roma con un nuovo intervento della Besant. Il discreto successo ottenuto dalla propaganda teosofica in Italia è dimostrato anche dal fatto che al congresso teosofico di Adyar, alla fine del dicembre 1906, la sezione italiana avrebbe presenziato con ben quindici gruppi.
Ma quali furono le motivazioni di fondo che spinsero Amendola sulla
strada della teosofia? Ne parla egli stesso in una lettera alla fidanzata Eva del 6 giugno 1904:
Toute ma vie a été une grande oscillation entre ces deux pois: l'intelligence et l'esprit, accompagnée par les souffrances d'une ame qui a toujours, toujours cherché. A un certain moment, j'ai acquis la connaissance absolue que mon salut était dans le pol de l'esprit. Comment j'en suis venu la? Par les souffrances ininterrompues et la solitude. Dans un milieu riche et joyeux, j'aurais pu développer la nature riche et harmo-
II DECID CORTESI, Lo « Spirito nuovo », in « Nuova Antologia », LXIII, serie Iv, 1 giugno 1896, p. 523.
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nieuse d'un esprit serein de la renaissance. Dans la solitude et la souffrance j'ai développé la vie religieuse... Je me suis refusé de mettre dans l'émotion la base de la vie spirituelle, car-hélas! — je sais que l'émotion change et j'ai cherché quelque chose qui ne change pas. Voilà pourquoi je suis devenu théosophe — la théosophie a signifié pour moi l'accord de toute la conscience intellectuelle, émotionelle et morale, dans l'affirmation de la vie de l'esprit ... La chose qui m'a toujours attiré la plus dans la théosophie a été la possibilité de s'opposer au matérialisme occidental — à ce triste materialisme qui produit tant d'égoisme, tant de violence et tant de doleur et d'injustice (Kühn, pp. 57-9).
La lunghezza della citazione ci pare giustificata dall'importanza della questione: Amendola parte dall'oscillation fra positivismo e spiritualismo, fra intelletto e spirito, in cui si era dibattuto negli ultimi anni e di cui gli articoli su « La Capitale » sono in qualche modo una testimonianza; è una crisi esistenziale fatta di disorientamento, di solitudine e di sofferenza, che lo spinge ad un senso religioso della vita, ad una viva esperienza del sacro. Ha rifiutato di dare a questa crisi una risposta basata sull'émotion, su un irrazionalismo estetizzante, prigioniero del divenire, perché egli andava cercando un ubi consistam sicuro, un fondamento assoluto. Ecco ciò che ha cercato e gli è parso di trovare nella teosofia: la prova inoppugnabile, la certezza indiscutibile dell'esistenza dello
spirito e dell'immortalità dell'anima: solo basandosi su questa sicurezza strenuamente antimaterialistica, è possibile sconfiggere l'egoismo, l'ingiustizia, la vio-
lenza, è possibile avere un ancoraggio morale. La Società Teosofica, con le leggi del karma e della reincarnazione, col suo cristianesimo esoterico e con la sua fede in un progresso spirituale infinito degli uomini, con l'atmosfera che si respirava nelle sue logge e con i voli poetici che si leggevano nelle sue riviste, poteva provvisoriamente, in guisa certamente fantastica, acquietare le ansie di un diciottenne in preda « alla piú pazza sfuriata di romanticismo che io conosca, dentro e fuori la letteratura che mi è nota », come avrebbe scritto a Papini nel 1906 (Kühn, p. 116).
Questa fase di « teosofia ingenua » durò fin verso la fine del 1901. Furono anni di fervido impegno per il giovane Amendola: fece voto di castità, di rinunzia alla carne, al vino ed al tabacco, studiò il sanscrito per conoscere direttamente le religioni e le filosofie orientali, dell'India in particolare, si interessò alle ricerche che il von Schrön svolgeva sulla vita dei cristalli, iniziò un intenso lavoro di apostolato che lo portò, come conferenziere, nelle logge teosofiche di mezza Italia. Ma i fantasmi della teosofia ortodossa non potevano accontentarlo
a lungo: in un saggio datato 10 gennaio 1902 ed apparso su « Teosofia », le sue inquietudini ed insoddisfazioni cominciavano già chiaramente ad affiorare 12
La cultura contemporanea gli appare afflitta da due piaghe apparentemente opposte, ma sotto sotto, complementari: il dilettantismo, cioè « il voler riempire di cose serie vite poco serie », l'abbandonarsi alle mode intellettuali, ai capricci del momento, ed il tecnicismo, ossia « il limitare la propria attenzione al piccolo, all'inutile, al transitorio, quando le grandi cose incombono e i problemi urgenti
iz Dilettantismo e tecnicismo, in « Teosofia », iv, n. 1-2, gennaio-febbraio 1902, pp. 17-25.
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del pensiero e della morale richiedono tutta la nostra energia... per affrontarli coraggiosamente e risolverli ». Ad Amendola non sfugge che il dilettantismo regnava ormai anche nelle logge teosofiche, che la teosofia per molti era diventata « un semplice riempitivo delle ore di ozio e di noia, una raffinatezza intellettuale da decadente, un calmante per l'irrequietezza nervosa ». Come uscire da questa degradazione? Una prima risposta potrebbe essere — a giudizio di Amen-dola — la « disposizione sistematica » delle verità teosofiche, cosi da scoraggiare il dilettante, che non sarebbe in grado di affrontare il lavorio e l'impegno intellettuale necessario per comprenderle. Ma questa via presenta anche un grosso rischio: il tecnicismo, appunto, che « consisterebbe in una specie di scolastica applicata alle dottrine teosofiche, accettate e propagate nella loro rigida precisione, nel loro gnosticismo scientificamente descrittivo ». Amendola non considera, dunque, questa ipotesi come una giusta soluzione: a suo giudizio, la vera soluzione consiste nell'abbandonare gli aspetti esotici, i simboli, i miti orientaleggianti di cui le « verità della teosofia » sono ammantate e per cui esse sono ostiche ai piú; si deve invece serbare il nucleo di tali credenze e confrontarlo con le correnti vitali del pensiero filosofico contemporaneo. La teosofia è dunque, per Amendola, « una dottrina ed un metodo tendenti a risolvere scientificamente i bisogni religiosi dell'umanità civile »; attraverso l'occultismo, cioè, si può giungere ad « un'esperienza personale del mondo non visto », che ci consente di parlarne come realtà quotidiana, in rapporto alla quale noi dobbiamo regolare la nostra esistenza. Solo cosí, abbandonando ogni unilateralità materialistica, si potrà giungere ad una visione armonica dell'universo. Tutta questa costruzione presuppone chiaramente un deciso anti-intellettualismo, la convin- zione, cioè, dell'« impotenza dell'intelletto ad illuminarci sui grandi problemi della morale e della vita » e la consapevolezza che solo « l'intuizione si trova all'altezza dei problemi filosofici e religiosi ». Come si vede, la teosofia di Amendola attinge ai temi della polemica antipositivistica, che cominciavano a diffondersi nella cultura filosofica di quegli anni; ma per un altro verso è un frutto caduco del tardo positivismo, soprattutto nella pretesa di voler estendere i metodi ed i procedimenti della scienza sperimentale a campi che le sono necessariamente preclusi. Pur nella loro contraddittorietà, queste posizioni mostrano un inizio di approfondimento della moderna filosofia europea: l'intuizione a cui il giovane teosofo riconosce il primato ha manifestamente nell'intuizione scho-penhaueriana la sua ispiratrice piú immediata. È proprio il filosofo di Parerga e Paralipomena, che influenza maggiormente l'Amendola di questi anni, ma anche Kant è già presente: del filosofo di Königsberg vengono sottolineati i meriti storici, ma ciò che Amendola non può accettare è la riduzione dell'uomo a pura attività intellettuale, che inibirebbe ogni dimostrazione scientifica dell'esistenza del mondo spirituale.
La ricerca teosofica rappresenta per Amendola anche « uno sforzo per introdurre nella storia del pensiero umano l'unica novità possibile; e cioè la conoscenza scientifica e sperimentale del mondo interno ». Essa gli apriva l'orizzonte multiforme della ricerca psichica, che aveva compiuto grandi progressi negli ultimi trent'anni del secolo xrx e che, in tutte le sue pur diverse articolazioni,
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prestava un'attenzione precipua alla parte piú interna della personalità umana, che alcuni cominciavano a chiamare « subconscio ». La « ricerca psichica » partiva, per lo piú, da presupposti non scientifici, e pseudoscientifiche erano gran parte delle sue conclusioni, ma essa contribuí a mettere insieme una vasta gamma di osservazioni e di casi clinici, su cui poi lavorarono i maggiori esponenti della psichiatria e della psicanalisi contemporanea.
Amendola affrontò questi temi nella sua collaborazione a « La Nuova Parola », la rivista diretta da Arnaldo Cervesato: pubblicazione teosofica, in cui però — come ebbe a dire poi il Papini — « la teosofia era mascherata da molta letteratura spiritualista » 13. Egli collaborò ad essa con una certa assiduità, dalla fondazione alla scomparsa (1908), talora con lo pseudonimo Reader; nel 1903 curò per alcuni mesi una rubrica, Il problema dell'anima nella vita moderna, assai eterogenea e disuguale, in cui informava delle piú recenti pubblicazioni nel campo della teosofia, della ricerca psichica ecc. Ed ecco, dalla sua penna, analisi spesso ingenue ed entusiastiche di libri dei vari Charcot, Flournoy, Figuier, Sidgwick; ma soprattutto egli guardava a coloro (William James, F. Myers) che non solo erano lontani da ogni scientismo, ma che mostravano piú chiaramente la consapevolezza dei risvolti filosofici e religiosi che sottostavano alle loro ricerche. In comune con questi studiosi, Amendola aveva innanzitutto una profonda ostilità verso i rappresentanti della psicologia materialistica e fisiologica, che, con James, egli considera « un verbalismo vuoto perché vorrebbe spiegare l'essenza dei fenomeni di ordine superiore, stabilendo una concomitanza con fenomeni d'ordine nervoso e fisico » 14. Certamente l'investigazione psicologica di James era stata determinante per l'avvicinamento di Amen-dola a questi problemi; soprattutto la lettura delle Varieties of Religious Experience, avvenuta durante il 1902, dovette aprirgli una nuova scena di pensiero. Essa infatti non solo gli confermò alcune sue convinzioni antiche sull'esperienza religiosa intesa come forma di coscienza che ci introduce in un mondo piú vasto di quello ordinario e che stabilisce un rapporto originario fra l'individuo e l'universo, ma anche gli mostrò la possibilità di un approccio scientifico, coerentemente empiristico-sperimentale, a tale esperienza, anche nelle sue forme piú eccentriche. Ma anche qui Amendola operava un'acrobazia logica, non del tutto estranea allo stesso James, volendo attribuire all'indagine psicologica non solo una finalità descrittiva e scientifica, ma soprattutto metafisica: essa poteva essere — a suo giudizio - il trampolino per « dimostrare scientificamente l'invisibile », poteva condurre « alla spiegazione finale del vero luogo dell'umanità nell'universo » 15
13 GIOVANNI PAPINI, Franche spiegazioni (a proposito di rinascenza spirituale e di occultismo), « Leonardo », v, aprile-giugno 1907, ora in La cultura italiana del '900 attraverso le riviste, vol. 1, « Leonardo » - « Hermes » - «Il Regno », Torino, Einaudi, 1960, p. 353.
14 Queste parole di William James sono riportate da Amendola nell'intervista Un colloquio con William James, «La Nuova Parola », Iv, n. 7, luglio 1905, p. 50.
15 GIOVANNI AMENDOLA, Il problema dell'anima nella vita moderna, ivi, Il, n. 3, marzo 1903, p. 209.
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Da molteplici ragioni scaturiva l'interesse di Amendola per Frederick Myers: lo psicologo anglosassone, che era stato fino alla morte presidente della Society f or psychical Research, aveva dato, con la sua celebre teoria del Sé subliminale, una risposta « scientifica » ai problemi del sonnambulismo, dell'ipnosi, dell'isteria, della doppia personalità, insomma di quei problemi che rivestivano il massimo interesse per il giovane Amendola; attraverso tale teoria, Myers era giunto a sostenere che tramite le cosiddette « funzioni superiori », la psiche umana poteva entrare occasionalmente in comunicazione con gli spiriti dei defunti: « se possiamo comunicare con i morti — concludeva Amendola — ogni controversia ed ogni malinteso (sull'immortalità dell'anima) deve necessariamente finire » 16. Amendola dunque oscillò continuamente fra le due accezioni della ricerca psicologica allora in voga: da un lato « un'indagine psicologica seria che ampliava i suoi confini e contribuiva a mettere in crisi certe troppo facili conclusioni intorno alla struttura della mente umana », dall'altro « lo sforzo di recuperare nel mondo magico e nell'esperienza mistica il patrimonio perduto della fede » 17.
Immerso in queste problematiche, vivendo anni di fervido impegno, Amen-dola era giunto alla fine del 1903: nei due anni successivi maturò il suo distacco dalla Società Teosofica. A tale svolta contribuí decisamente l'incontro, avvenuto verso la metà del dicembre 1903, con Eva Kühn, ragazza lituana che dopo aver soggiornato nelle piú importanti città europee, viveva allora a Roma, per apprendere l'italiano e giungere cosí alla laurea in letterature comparate. Fra i due immediatamente sbocciò un amore profondo, che esercitò un notevole influsso sulla personalità amendoliana. Il rapporto con Eva, decisamente avversa all'occultismo, contribuí a sottrarlo alle suggestioni esoteriche, ma soprattutto lo liberò da quella « solitude », da quella « souffrance », da quel « sentiment naturel d'isolement », che avevano fortemente condizionato la sua adesione alla teosofia. Questa vicenda personale si intrecciava con una mutazione intellettuale, che si andava lentamente compiendo nel corso del 1904: Amendola prende lentamente atto delle profonde aporie che sono alla base della sua scelta teosofica; non solo, ma l'occultismo gli comincia a sembrare pericoloso anche moralmente, in quanto rischia di ripiombare in quel soggettivismo assoluto, per vincere il quale egli era approdato appunto alla teosofia. Le sue idee teosofiche vanno, dunque, perdendo i loro risvolti pseudo-metafisici e si riducono sempre piú a semplici norme morali ed umanitarie. Tale mutamento sostanziale è incoraggiato dall'incontro con lo scrittore Alfred Meebold, legato strettamente al-l'antroposofia di Rudolph Steiner, che poneva l'accento sugli aspetti morali, di perfezionamento e di sviluppo della personalità umana, inerenti alle dottrine
16 Il problema dell'anima cit., p. 333. Sul concetto di Sé subliminale, cfr. HENRI F. HELLENBERGER, La scoperta dell'inconscio, Torino, Boringhieri, 19762, pp. 368-70. Ma è ancora da rileggere con profitto il saggio di PIERO MARTINETTI, Occultismo e divinazione, « Studi filosofici », n, 1941, pp. 235 e segg.
17 EUGENIO GARIN, Giovanni Vailati, in Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Ed. Riuniti, 1974, p. 82.
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esoteriche. Il 6 giugno 1904, poteva cosí scrivere ad Eva: « Cette empreinte morale de ma vie s'est faite toujours plus fort et a exercé une influence marquée sur la forme de mes idées théosophiques... A Padova ma tendence vers une simple vie morale s'est faite toujours plus marquée » (Kühn, p. 59), ed il 15 agosto ormai la consapevolezza di aver lasciato alle spalle l'esperienza teosofica era ancora phi lucida: « L'année prochaine doit être pour nous l'année de la delivrance — je me détacherai ... de la' théosophie de Mrs. Oakley, envers laquelle j'ai regagné l'équilibre et la justice que je savais d'avoir perdue, mais avec laquelle je n'aurai rien en commun. Ma théosophie reste, mais c'est bien different, elle sera la base d'une vie beaucoup plus forte » (Kühn, pp. 69-70). Ma se la teosofia era ormai il simbolo di un mero impegno morale, erano inutili le mitologie orientaleggianti, i fumosi misticismi, le dottrine dogmatiche; era senza senso l'affiliazione ad un'organizzazione, come la Società Teosofica italiana, in cui stavano scoppiando continui scandali, in cui si commettevano « azioni enormi, degne di codice penale », soprattutto da parte di quella sorta di « nume tutelare » che era la famigerata Mrs. Oakley. Contro i suoi imbrogli, Amendola insieme a Ferrando, Cervesato, i coniugi Bozzelli ed altri amici condussero nell'estate del 1905 una dura lotta, che sembrò avere un momentaneo successo; ma un intervento della « papessa » Annie Besant domò la ribellione ed allora
« i teosofi onesti che avevano un po' di sale in zucca uscirono disgustati dalla Società »18. Era l'autunno del 1905, ma già da alcuni mesi Amendola si era mosso al di fuori degli ambienti teosofici. Nell'aprile aveva preso parte al v Congresso di psicologia, tenutosi a Roma: vi aveva conosciuto William James, che gli concesse un'intervista per « La Nuova Parola », ed i giovani del « Leonardo », Papini in testa. Aveva scritto un saggio per « Il Regno », la cui direzione era da poco passata a Campodonico, strinse amicizia con Giuseppe Vannicola ed iniziò la collaborazione alla « Revue du Nord »: insomma era entrato nel variegato mondo delle riviste di idee.
Anni di pazze sfuriate romantiche quelli della teosofia, ma non anni inutili. In essi trovano una soluzione ingenua e mitologica problemi che restarono al centro della ricerca amendoliana: l'autonomia del sentimento religioso, le motivazioni di fondo dell'impegno morale, un forte interesse per i problemi della psicologia e dei loro rapporti con l'etica. Kant, James e Schopenhauer restarono costanti interlocutori delle riflessioni di Amendola, come pure non lo abbandonò l'interesse per le teorie di riforma sociale di un Ruskin, per le correnti di misticismo religioso, per i new thinkers americani 19 ecc. Ma se non c'era frattura nei temi di riflessione, ve n'era una, decisiva, nel metodo d'indagine. Alla fine del 1906, Amendola scriveva a Papini: « Conosco personalmente i fantasmi, sebbene ne parli meno di te — ma non ne voglio essere apostolo — piuttosto che vivere fra essi preferisco l'assoluta sterilità » (Kühn, p. 116).
ROBERTO PERTICI
18 GUIDO FERRANDO, La Società Teosofica, n, « La Voce », i, n. 17, 8 aprile 1909, p. 66.
19 Il new thought americano annoverava pensatori oggi dimenticati, allora molto noti come Ralph Waldo Trine, Horatio Dresser, Edward Carpenter, Prentice Mulford ecc.
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NOTA BIBLIOGRAFICA. — Gli anni dell'adolescenza e della prima giovinezza di Giovanni Amendola sono stati senza alcun dubbio i meno studiati dalla storiografia amendoliana. Questa lacuna si è verificata certamente per la difficile reperibilità dei suoi articoli e saggi giovanili, per la scarsezza delle fonti documentarie e per il fatto che l'attenzione precipua degli studiosi è stata rivolta agli anni delle battaglie antifasciste; ma indubbiamente ha pesato anche il carattere eccentrico, inconsueto dell'esperienza giovanile amendoliana, che si svolse per tanta parte, all'interno della Società Teosofica, tanto che, quando se n'è parlato, lo si è fatto con intenti più o meno sottilmente polemici, come da parte del PAPINI, in quello che è il primo, rapido profilo biografico di Amendola, pubblicato nel febbraio 1919 sulla « Vraie Italie, organe de Liaison Intellectuelle entre l'Italie et les autres Pays ». Anche nel bel saggio di PREZZOLINI, che apparve in edizione provvisoria e ridotta su « L'Italia che scrive », febbraio 1924, poi in volume presso l'editore Formiggini nel 1926, ora ristampato nel libro Amendola e «La Voce » (Firenze, Sansoni, 1973) non ci sono che pochi cenni ai problemi da noi affrontati in questo saggio. Poiché i due lavori pubblicati nel 1956, nel trentesimo della morte di Amendola, cioè GIAMPIERO CAROCCI, Giovanni Amendola nella crisi dello Stato liberale, Milano, Feltrinelli e FRANCO Rizzo, Giovanni Amendola e la crisi della democrazia, Roma, Centro ed. dell'Osservatore, ne prendono in esame prevalentemente l'attività politica, bisogna arrivare al libro di EVA AMENDOLA KÜHN, Vita con Giovanni Amendola, Firenze, Parenti, 1960 (nel testo sempre citato: Kühn), per avere una prima trattazione, seppure breve e basata sulla memoria più che su documenti, dei primi anni dell'attività culturale di Amendola. Recensendo quest'opera sul « Corriere della Sera », 23 dicembre 1960, EMILIO CECCHI faceva interessanti annotazioni sulla milizia teosofica amendo-liana, avvertendo che « in tali manifestazioni giovanilmente approssimative ed elementari non sarebbe stato difficile riconoscere, sia pure in confuso, le precoci preoccupazioni etiche e i segni di un carattere volitivo ed intransigente » (ora in Letteratura italiana del novecento, a cura di P. Citati, Milano, Mondadori, p. 1202). Comunque le pagine migliori dedicate ad Amendola teosofo, prima del recente fiorire di studi amendoliani, sono quelle, bellissime, di GIORGIO LEVI DELLA VIDA nel suo Fantasmi ritrovati, Venezia, Neri Pozza, 1966, p. 175 sgg. Infine, piú recentemente, ALFREDO CAPONE Si è accostato a questa materia e, avendo avuto la possibilità di attingere anche all'archivio della famiglia Amendola, ha potuto tracciare un profilo meno impreciso degli anni 1898-1905 nel libro Giovanni Amendola e la cultura italiana del Novecento (1899-1914), Roma, Ed. Elia, 1974. Interessanti precisazioni sono contenute anche in altri due saggi dello stesso CAPONE: Moderatismo e democrazia nel pensiero di Giovanni Amendola, nel volume collettaneo G. Amendola nel cinquantenario della morte 1926-1976, Roma, Fondazione Luigi Einaudi, pp. 93-144, in particolare a p. 94, e Etica e politica in Giovanni Amendola, in G. Amendola, una battaglia per la democrazia. Atti del convegno di studi con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, Bologna, Forni ed., pp. 41-60, in particolare 59-60. Si muovono sostanzialmente sullo stesso piano del Capone gli interventi a questo stesso convegno di SANDRO ROGARI, Formazione e pensiero religioso di Giovanni Amendola, pp. 79-106 e di ANTIMO NEGRI, Maine de Biran nel pensiero di Amen-dola, pp. 61-77. Recentemente infine è apparso l'articoletto di BEATRICE BISOGNI, Giovanni Amendola teosofo e massone, in AA.VV., La libera muratoria. Massoneria per problemi, Milano, Sugarco, 1978, pp. 109-112, opera sostanzialmente apologetica.
Sulle vicende le dottrine, le figure più rappresentative della Società Teosofica, cfr. RENÉ GUENON, Le théosophisme. Histoire d'une pseudo-religion, Paris, Nouvelle Librairie Nationale, 1921, opera di notevole interesse, fortemente ostile alla teosofia, anche se scritta in un'ottica interna al mondo ed ai problemi dell'esoterismo; MARIO MANLIO ROSSI, Spaccio dei maghi, Roma, Doxa, 1929, opera scritta con acume e ironia dal futuro storico e studioso di filosofia; EMILIO SERVADIO, La ricerca psichica, Roma, Paolo Cremonese ed., 1930, in cui le idee teosofiche sono esposte nel piú ampio quadro della parapsicologia; GIOVANNI Bu-SNELLI s.J., Manuale di Teosofia, Roma, La Civiltà Cattolica, 1932', in cui è netta .la condanna cattolica della teosofia; H. C. PUECH, Storia delle religioni, XII-Esoterismo, spiriti-
smo, massoneria, Bari, Laterza, 1978. Sulle vicende della teosofia italiana si possono vedere: DECIo CALVARI, La teosofia a Roma, « Teosofia » , rI, gennaio 1899, n. 1, pp. 1-4; GUIDO
FERRANDO, La Società Teosofica, I e n, « La Voce», I, n. 14 del 18 marzo 1909 e n. 17, 8 aprile 1909; ARNALDO DELLA TORRE, Il cristianesimo in Italia dai filosofisti ai modernisti, Palermo, Sandron, s.d., pp. 402-3.
 
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Data pubblicazione Anno: 1980 Mese: 3 Giorno: 31
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Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2


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