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Il segmento testuale Quale è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1161Analitici , di cui in selezione 32 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da [Gli interventi] Alberto Caracciolo in Studi gramsciani

Brano: [...]ella Rivoluzione, quello dello Stato e quello del Partito. In questo triplice ordine di problemi strettamente connessi ed interdipendenti, si deve effettivamente svolgere, mi pare, ogni ricerca per stabilire il leninismo di Gramsci, i suoi rapporti con l'esperienza rivoluzionaria ed il pensiero bolscevico.

Io qui desidero fermarmi, però, su di un solo aspetto: quello della teoria dei Consigli di fabbrica e più in generale dei Consigli operai, quale si presenta in Gramsci nel quadro della teoria dello Stato proletario. E non perché io creda, sia chiaro, che in questo solo aspetto si possa conchiudere tutto Gramsci, né perché mi muova qualche mito — per cosi dire — dei Consigli dappertutto ed in tutti i modi, ma perché credo che questo sia uno dei punti sui quali meglio si può misurare il reale leninismo di Gramsci o di chiunque altro su una delle tre grandi questioni prima indicate, cioè precisamente sulla questione dello Stato.

In che senso Gramsci traduce il leninismo o la esperienza rivoluzionaria russa, in rapporto a tale question[...]

[...]riato, come dittatura del partito o della burocrazia sindacale. « Il movimento dei Consigli di fabbrica — dice Gramsci — rimane nella storia del movimento operaio italiano il tenta564

Gli interventi

tivo più ardito compiuto dalla parte più avanzata del proletariato per realizzare ia propria egemonia nella lotta per rovesciare il potere delk borghesia ed instaurare la dittatura del proletariato ».

Per questo, grazie a questo impegno del quale ogni atto ed ogni pagina dell'azione sua sono testimoni, mi pare si possa parlare di un Gramsci e di un movimento dell’Ordine Nuovo che si inquadrano con le loro originalità e peculiarità nel grande filone leninista dei problemi dello Stato operaio. E non avrei bisogno di ripeterlo tanto la cosa appare ovvia se non mi avesse colpito, in verità, il fatto che nel testo a noi distribuito defila redazione Togliatti, mentre si parla molto di dittatura e di egemonia, di partito di avanguardia e di intellettuali organici, quesito argomento 'invece si accenna solo di sfuggita per dichiarare inaccetta[...]

[...] e peculiarità nel grande filone leninista dei problemi dello Stato operaio. E non avrei bisogno di ripeterlo tanto la cosa appare ovvia se non mi avesse colpito, in verità, il fatto che nel testo a noi distribuito defila redazione Togliatti, mentre si parla molto di dittatura e di egemonia, di partito di avanguardia e di intellettuali organici, quesito argomento 'invece si accenna solo di sfuggita per dichiarare inaccettabile la tesi secondo la quale il Consiglio conterrebbe in sé la soluzione del problema del potere, cioè la conquista di esso e la creazione di un nuovo Stato. Eppure questa è precisamente la tesi che ancora venti anni fa Togliatti sosteneva parlando di Gramsci, quando diceva : « Egli fu il capo del movimento dei Consigli di fabbrica e faceva dei Consigli di fabbrica l’asse della lotta per il potere ». Mi riferisco ad un volumetto che tutti conoscono, commemorativo di Gramsci, che è del 1938.

C’è anzi di più, perché nel discorso sviluppato ieri sono stato colpito, dal fatto che neppure una volta sia stata pronunziata la[...]

[...]ro il rinnegato Kautsky. Mi limiterò ad osservare come questa concezione dei Soviet come struttura democratica ed eminentemente caratteristica del nuovo Stato, era anche la direttiva essenziale della Internazionale Comunista nei suoi primi anni. Scriveva Radek, uno dei segretari dell’Internazionale comunista, in un suo opuscolo 'intitolato L’evoluzione del socialismo dalla scienza all’azione che fu tradotto in una rivista socialista italiana : « Quale forma avrà il dominio dittatoriale del proletariato in Europa? sono i Consigli, cioè la rappresentanza della classe operaia nella fabbrica, nella città e nella nazione; il governo dai Consigli operai non è una forma di governo democratica, ma è la forma del governo operaio, la forma del governo dei Consigli e dei delegati operai che possono essere sempre rieletti, che ritornano sempre al materno terreno, alla fabbrica, questa forma sarà quella nella quale il proletariato del mondo vincerà il capitalismo e sarà capace di realizzare e di eseguire il socialismo».566

Gli interventi

Nelle t[...]

[...]a avrà il dominio dittatoriale del proletariato in Europa? sono i Consigli, cioè la rappresentanza della classe operaia nella fabbrica, nella città e nella nazione; il governo dai Consigli operai non è una forma di governo democratica, ma è la forma del governo operaio, la forma del governo dei Consigli e dei delegati operai che possono essere sempre rieletti, che ritornano sempre al materno terreno, alla fabbrica, questa forma sarà quella nella quale il proletariato del mondo vincerà il capitalismo e sarà capace di realizzare e di eseguire il socialismo».566

Gli interventi

Nelle tesi al I Congresso mondiale deirinternazionale Comunista, che furono dettate da Lenin, si legge che in sostanza « la forma della dittatura del proletariato che è stata prontamente elaborata in concreto, si chiama: potere dei Soviet in Russia, sistema dei Consigli in Germania ed altre analoghe istituzioni consigliati in altri Paesi, che tutte ne sono le realizzazioni per la maggioranza della popolazione », ecc.

Lo stesso concetto si trova ribadito in più[...]

[...]a reggerà il potere della vita economica e civile come è già accaduto in Russia».

Ma non è solo nel ’19; prendiamo il Congresso successivo: queste tesi sono largamente ribadite con più chiarezza, con più organicità rispetto all'intera teoria del potere. « La Rivoluzione proletaria in Russia — si dice ad un certo punto — ha stabilito le basi della dittatura del proletariato: i Soviet. La nuova divisione fondamentale del movimento operaio, alla quale dappertutto noi andiamo «incontro, è 1) il Partito; 2) i Consigli operai, Soviet; 3) le associazioni di ;produttori sindacali».

L’importante è di osservare come Gramsci ed il gruppo dellYOrdine Nuovo e quindi successivamente il Partito comunista fossero decisamente >i più strenui difensori della tattica proposta dairinternaziomale Comunista in Italia e quindi non potessero che partecipare a questa concezione. « Aderire aliinternazionale comunista — scriveva Gramsci fin dal 1919 — significa ingranare le proprie istituzioni con quelle degli Stati proletari di Russia e di Ungheria. La Interna[...]



da p. t., [recensione a] Benedetto Croce, Per la storia del comunismo in quanto realtà politica, Bari, Laterza, 1943-XXI in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 1 - giugno

Brano: [...]smo in quanto
realtà politica. Bari, Laterza, 1943 XXI.
Premetto che recensire questo scrittarello è cosa alquanto
penosa; ma non ostante ciò sentiamo dovere di farlo pro
prio nel primo numero di questa nostra pubblicazione. E penoso che un uomo della fama di Benedetto Croce metta i lettori d'un suo lavoro nella condizione di dovergli ripetere le parole beffarde con le quali il massimo nostro poeta cavalleresco sentì accogliere l'opera sua. Quale altro giudizio ,però si può dare di questa raccolta di asserzioni esposte, sì, con molta boria e con molte pretese, ma cbe tuti al più inducono al sorriso chiunque abbia una conoscenza qualsiasi, non diciamo delle correnti moderne del pensiero politico e sociale, ma anche solo dei fatti principali della storia dell'ultimo cinquantennio? Non è possibile uña storia del comunismo 7 E perché ? Prima di tutto è possibilissimo, — anche se Bernstein e Kautski non ci riuscirono, il che non prova proprio niente, perchè il primo non fu un marxista e il secondo anche nei suoi tempi migliori fu un pedant[...]

[...]l'Unione sovietica fornisce precisamente la prova che il superamento non già di ogni contraddizione in un'assurds e impossibile uniformità di sentimenti, di concetti e di bisogni, ma semplicemente' il superamento delle contraddizioni interne che generano l'anarchia del mondo capitalistico e lo spingono allo sfacelo materiale e morale (e valga l'esempio di questa guerra e quello, fra tutti, della nostra. Italia disgraziata I), crea il terreno sul quale l'umanità fa un altro grandioso salto in avanti, differenziando e soddisfacendo in modo più adeguato i suoi bisogni, arricchendo di nuovi motivi la sua vita sentimentale, infondendo un contenuto più alto ai sentimenti eterni che legano l'uomo, per esempio, alla sua terra e alla civiltà di cui efiglio, alla famiglia che egli liberamente si forma, e ai suói compagni di lavoro, di sofferenze e di lotta per la costruzione di un mondo nuovo, — creando insomma, per concedere alla terminologia dell' autore, una forma più elevata di libertà. Il a conato nel vuoto s è quello di chi argomenta. fuori de[...]



da Massimo Mila, Guillaume Dufay, musicista franco-borgognone in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]oli rapporti con la corte dei Savoia, presso i quali Dufay afferma nel proprio testamento d'avere trascorso sette anni, forse tra il 1443 e il 1449. Gli ultimi contatti documentati sono del 1438 a Pinerolo, per tutto l'inverno a servizio di Ludovico di Savoia e Anna di Cipro, e nel 1450 a Torino, dal 26 maggio al 1 giugno. In quest'occasione, però, Dufay viene già registrato come cantor illustrissimus ducis Burgundiae.
Non si sa con certezza in quale università Dufay abbia compiuto gli studi di legge, conseguendo, non prima del 1441, non dopo il 1446, il titolo di baccalarius in decretis: forse a Parigi, forse a Torino o a Bologna. La formazione giuridica di Dufay potrebbe rispecchiarsi nel curioso mottetto profano Juvenis qui puellam, che è tutto una dissertazione di diritto canonico. Tuttavia, per il suo stile arcaico, Johannes Wolf, l'illustre autore della Geschichte der Mensural Notation von 12501460, voleva respingere questo mottetto addietro, negli anni della giovinezza di Dufay.
Gli ultimi ventiquattro anni della sua vita Duf ay, [...]

[...]attratto dalle innovazioni tecniche della grande polifonia fiamminga, in particolare di Ockeghem. Nel 1467 un Messire Gille Arpin, proveniente di Piccardia e diretto a Roma, ricevette 4 ducati dal tesoriere dei duchi di Savoia, per avere portato « de la part de Messire Guillaume Du Fay aucunes messes faites en l'art de musique nouvellement ». Pure nel 1467, il 1 maggio, l'organista fiorentino Antonio Squarcialupi, redattore del celebre codice al quale dobbiamo la conoscenza dell'Ars nova toscana, gli scriveva una lunga lettera per ringraziarlo di certi cantori ch'egli aveva mandato dalla chiesa di Cambrai su richiesta di Piero de' Medici. Questi lo teneva in altissima stima: « de vobis semper honorificentissime loquitur », assicura lo Squarcialupi. Anzi, lo considerava il più grande ornamento del secolo: « asserit, quod et ego libenter assentior, maxime esse vos ornamento nostrae aetati ». E gli allegava una canzone del giovane duca Lorenzo, che avrebbe desiderato fosse messa in musica dal sommo borgognone. (Purtroppo non si sa né di quale[...]

[...]a di Cambrai su richiesta di Piero de' Medici. Questi lo teneva in altissima stima: « de vobis semper honorificentissime loquitur », assicura lo Squarcialupi. Anzi, lo considerava il più grande ornamento del secolo: « asserit, quod et ego libenter assentior, maxime esse vos ornamento nostrae aetati ». E gli allegava una canzone del giovane duca Lorenzo, che avrebbe desiderato fosse messa in musica dal sommo borgognone. (Purtroppo non si sa né di quale canzone si trattasse, né quale fine abbia avuto questa pratica, ma dal 1450 Dufay aveva dimesso ogni composizione profana.)
Dufay mori serenamente, a Cambrai il 27 novembre 1474, dopo aver disposto dei propri beni in un minuzioso testamento. Si era fatto scolpire la pietra tombale (ora nel museo di Lilla). Volle che ai funerali fosse cantata la sua Messa da Requiem (oggi perduta). Per l'ora notturna del decesso non poté essere esaudito l'altro suo desiderio, che alla sua morte si cantasse il mottetto Ave regina coelorum, capolavoro dei suoi anni maturi, nel quale aveva inserito un patetico accenno a se stesso (« Miserere [...]

[...]rofana.)
Dufay mori serenamente, a Cambrai il 27 novembre 1474, dopo aver disposto dei propri beni in un minuzioso testamento. Si era fatto scolpire la pietra tombale (ora nel museo di Lilla). Volle che ai funerali fosse cantata la sua Messa da Requiem (oggi perduta). Per l'ora notturna del decesso non poté essere esaudito l'altro suo desiderio, che alla sua morte si cantasse il mottetto Ave regina coelorum, capolavoro dei suoi anni maturi, nel quale aveva inserito un patetico accenno a se stesso (« Miserere tui labentis Duf ay »), dal quale risulta senza possibilità di equivoco che il suo nome era da pronunciare in tre sillabe, con accento sull'ultima vocale.
3. L'arte di Dufay si colloca in quel clima tardogotico, connesso con la breve ma luminosa fioritura culturale del regno di Borgogna, che lo storico Huizinga ha definito « autunno del Medioevo ». Artista progressivo che evolve incessantemente nel corso della sua lunga carriera, Duf ay parte da tale situazione, dove molto sopravvive ancora della mentalità chimerica e combinatoria del Medioevo, ed approda alle soglie del Rinascimento. Uno spazio stilistico immenso separa le [...]

[...]gloria della lingua; e forse è nato
chi l'uno e l'altro caccerà dal nido.
Il succedersi delle generazioni artistiche è fertile di tali scavalcamenti. Bonagiunta da Lucca, in Purgatorio, quando udí Dante proclamare il proprio credo poetico (« Io mi son un che quando Amor mi spira, noto, ed a quel modo, Che ditta dentro, vo significando »), subito riconobbe « il nodo Che il Notaro e Guittone e me ritenne Di qua dal dolce stil nuovo ch'i' odo ».
Quale nodo riteneva Duf ay, Binchois e i minori maestrini della scuola borgognona, come Lantins, Grenon, Fontaine, di qua dalla maestosa solennità fiamminga? Non avevano la boria del contrappunto. Duf ay poteva scrivere per imitazione a piú voci tanto bene come Obrecht e Ockeghem, specialmente nella sua vecchiaia. Perché non lo faceva? Per educazione. Perché era uomo civile e garbato, e niente era piú alieno dai suoi gusti che tediare il prossimo con lo sfoggio della propria bravura. Le entrate a canone di Duf ay restano, per lo piú, degli incipit. Poi le voci si ritrovano, una aspetta l'altra per [...]

[...]torni, non c'è verso di scoprire due passi assolutamente uguali: sembra di voler afferrare acqua con le mani.
Questa regola della variazione perpetua è corretta ma non contraddetta dal forte desiderio di unità che guida Duf ay nelle opere maggiori: ognuna delle cinque sezioni di ogni Messa comincia con un « motivo di testa » sempre uguale (che non ha nulla da vedere col cantus firmus del Tenor). Si tratta d'una formula introduttiva, esaurita la quale la variabilità della melodia riprende i suoi diritti. Naturalmente fanno eccezione le canzoni in forma di ballata e piú ancora quelle in forma di rondeau, dove l'elaborata struttura metrica porta con sé la ripetizione strofica della melodia. Ma anche qui non è detto che la ripetizione sia proprio sempre testuale. Il genio di Dufay è quello della ripetizione variata.
4. Riflesso d'una mondana vita di corte, la vaghissima produzione profana di ballate e rondeaux resta per lo piú racchiusa entro i limiti dell'Ars nova, in un clima di gracile galanteria, pur aprendosi in qualche modo, misteriosa[...]

[...]à abbozzata nella Messa Se la face ay pale, limitatamente alla fanfara di triadi maggiori spezzate che conclude quella melodia).
Di un Tenor gregoriano si serve la penultima messa di Dufay, Ecce ancilla Domini, mentre l'ultima, Ave regina coelorum, trae il cantus firmus dall'omonimo mottetto che il compositore aveva scritto per invocare la protezione della Madonna nell'ora della propria morte. Si trattava infatti di un mottetto « tropato », nel quale, cioè, alle parole dell'antifona gregoriana Ecce ancilla Domini si associavano, alternamente o parallelamente, parole d'invenzione del compositore (tra cui il rivelatore e commovente « miserere tui labentis Dufay »).
L'ultima messa è il capolavoro di Dufay. Una distanza immensa la separa dalla giovanile Missa sine nomine e dalle altre gracili composizioni dei suoi anni italiani, sanzionando la caratteristica evolutiva della sua arte, in continuo progresso ed aggiornamento tecnico. In particolare quella pratica, già segnalata nella messa L'homme armé, ed eccezionalmente anche nella messa Se l[...]

[...]luppa ulteriormente. E poiché il cantus firmus Dufay lo deduce dal proprio mottetto Ave regina coelorum, si potrebbe tutto sommato additare nella messa omonima il primo esempio di missa parodia: di messa, cioè, dove non soltanto il Tenor viene desunto da una composizione già polifonica (anziché dal gregoriano o da una melodia popolare), ma tutta questa composizione viene impiegata e rimaneggiata nel corso della messa. In particolare risuona tale quale, nell'Agnus Dei, il patetico « miserere tui labentis Duf ay », in do minore. Non meno che il vivo interesse per gli avvenimenti storicopolitici del suo tempo, anche questa capacità d'inserire ele
GUILLAUME DUFAY, MUSICISTA FRANCOBORGOGNONE 169
menti soggettivi nelle proprie composizioni è un contrassegno della « modernità » di Duf ay, che tanto lo distingue dall'accademica impersonalità della polifonia sacra.
A Dufay toccò una sorte simile a quella di Bach: la sua fortuna fu, li per 11, sbarrata dall'affermazione della grande polifonia fiamminga, anche se la sua memoria non fu mai del tutt[...]



da Sergio Solmi, Inchiesta sull'arte e il comunismo. Nota sul comunismo e la pittura in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]oro stupefacente incomprensione del senso attuale della storia. Eppure, é proprio alla comprensione e alla capacità di sacrificio e di rinnovamento della borghesia che sono affidate le prossime sorti della libertà del mondo, tra cui quella della cultura e dell'arte.
Che cosa si deve intendere per rapporti tra arte e comunismo? Non, evidentemente, quelli che potranno esistere in un'ipotetica società comunista di domani, che non sappiamo se ed in quale forma si realizzerà. Anche senza dircelo, sappiamo tutti benissimo che, parlando di quei rapporti, si vuol alludere all'esperienza sovietica e a quella che, sotto la guida della Russia, sta rapidamente compiendosi nei paesi delle cosiddette «democrazie popolari ». Né vale obbiettare che poco conosciamo della Russia e degli altri paesi: la logica del sistema é inflessibile, e del resto le testimonianze, pro e contro, concordano. Si vuol significare, cioè, una inserzione, imposta e guidata dall'alto, di particolari «contenuti» nello svolgimento delle espressioni della letteratura e dell'arte: c[...]

[...]ssioni della letteratura e dell'arte: contenuti che sono, nello stesso tempo, anche forma, tenute presenti le finalità educative e divulgative dei programmi culturali del comunismo.
Lo spirito formato, come il mio, alla scuola della spontaneità liberale, suole, a questo punto, senz'altro scandalizzarsi e rifiutare ogni ulteriore discussione. Forse a torto. Meglio vale intendere in che cosa effettivamente si concreti l'« imposizione» comunista e quale ne sia il reale senso; e cercar di vedere quali possano essere le conseguenze sulla libertà della cultura e dell'arte nell'ipo
62 INCHIESTA SULL'ARTE E IL COMUNISMO
tesi di un crollo, o di una profonda modifica, delle attuali strutture economicosociali. E conviene prendere le mosse da una fondamentale antinomia, insita nel concetto stesso dell'arte, che, mentre da una parte si presenta come determinata espressione storicosociale, condizionata da un dato ambiente di costume e di cultura, dall'altra reca inevitabilmente in sé un elemento anarchico, e per dir così, antisociale, tendendo spesso[...]

[...]artista u individuale », poeta o pittore o musicista, che non soltanto sopravvive alla generale standardizzazione e collettivizzazione, anzi, per quel rapporta dialettico che dicevamo, inevitabilmente trae forza dalla sua opposizione ad essa.
Nelle sale della mostra sovietica mi venne fatto di pensare che l'arte, di cui mi stavano sott'occhio alcuni esempi, aveva una stretta parentela con quella dei cosiddetti o ottocentisti» nostrani: nome col quale si sogliono comprendere quei pittori che, indifferenti ai movimenti susseguitisi dall'impressionismo fino ad oggi, continuano a dipingere secondo i canoni del verismo, aneddotismo e bozzettismo ottocenteschi. Noi sogliamo obiettare a quegli artisti la loro arretratezza, la loro inattualità: in altre parole, di essere dei passivi ripetitori, non dei creatori. Ciò non toglie il fatto che molti di essi, i cui nomi non compaiono né nelle storie dell'arte con
temporanea, nei cataloghi delle biennali, abbiano ben più larghe clientele, nel pubblico media e piccolo borghese, di quelle che possano va[...]

[...]nto su quel verismo e aneddotismo Otto
centeschi che hanno costituito l'ultima espressione dell'arte figurativa che sia stata veramente «popolare» in Italia e fuori. Qualcosa di analoga, a parte ogni determinazione di valore, a quello che é stato il teatro d'opera nel campo della musica. Soltanto, l'e spressione plastica si é prestata, successivamente, a una sorta di industrializzazione da parte di innumeri mestieranti, industrializzazione alla quale si é invece sottratta, per ragioni ovvie, l'opera mu~ sicale, col proprio suicidio.
Ì
S. SOLMI NOTA SUL COMUNISMO E LA PITTURA 65
Si suole far risalire alla seconda metà dell'ottocento il netto divorzio, operatosi per la prima volta nella storia delle arti plastic che, fra un'arte delle masse e un'arte delle élites. Il fertile ricam bio che sempre operò nella storia fra arte e prodotti dell'artigiar nato e dell'industria, appare oggi in buona parte ostruito. Dato ciò, il dirigismo sovietico viene ad acquistare un senso più complesso di quello a cui s'arrestava lo spazientito critico di s[...]

[...]mo socialista, che soltanto una stretta disciplina di partito potrebbe per qualche tempo favorire pressa le masse organizzate: ma proprio ai cultori dell'arte piccoloborghese di stampo secondo ottocento, ai beniamini di quel pubblico che non s'impiccia di di scussioni sull'arte, di programmi e di tendenze, ma aspira a far acquisto della veduta o del quadretto di genere per adornare la propria abitazione. Ed é d'uopo riconoscere che il governo il quale imponesse quest'arte come ufficiale, e, correlativamente, il neoclassicismo in architettura, commetterebbe, sul piano estensivo, un arbitrio assai meno tirannico di quello che imponesse un'arte di tipo astrattista in pittura o razionalista in architettura.
Ma si dirà che esso farebbe in questo caso appello al giudizio di una maggioranza non educata, mentre il compito della democrazia é, viceversa quello di educare la massa, e, tra l'altro, di elevarne il livello di gusto. Occorre però stare attenti. Bisogna convenire anzitutto che la massa, tendendo ad adeguarsi al gusto piccoloborghese, e, [...]

[...]desione ad ideologie politiche o religiose, e ad intenzioni lodevoli e sincere quanta si voglia, ma incommensurabili con lo specifico e determinato problema che l'artista deve affrontare. L'arte, come la natura, non fa salti, mentre la creazione di un linguaggio unitario, di una cultura organica e popolare, non è il fatto di una uniformità scolastica, né di programmi e di polemiche, ma di un'aperta dialettica di uniformità e di differenziazione, quale soltanto la varietàunità della vita reale può dare.
Quale termine assegneremo a queste svagate considerazioni, di cui non mi nascondo le contraddizioni e le debolezze, se non una serie di interrogativi.? La questione si pone, mi pare, a questo modo: il libero gioco e sviluppo degli individui e delle tendenze
S. SOLMI NOTA SUL COMUNISMO E LA PITTURA 69
può, ed in quale misura, sopravvivere in una società egualitaria, o più egualitaria delta nostra? In particolare, posta che le elaborazioni dell'arte cc di massa» (cinema, spettacolo in genere, letteratura scolastica e amena, prodotti industriali a fine artistica ecc.) soddisfano, nella loro grossa media, le esigenze del pubblico fino a un certo livello, potrà ammettersi un'arte di élites — ed élites saranno destinate a sopravvivere almeno finché durerà la divisione del lavoro — ove venga a mancare il suo attuale sostegno economico? Potrà un'economia pianificata mostrarsi compatibile con le espressioni di un'[...]



da Arnaldo Pizzorusso, Lahontan e gli argomenti del selvaggio in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]la superficie de la Terre » (DL, 168), i lettori saranno indotti a protestare contro questo giudizio sprezzante, vi saranno anzi costretti da un qualsiasi confronto con le argomentazioni del selvaggio.
Come infatti Adario, che è dotato (anche il suo interlocutore più volte lo riconosce) di un'intelligenza viva e penetrante, potrebbe essere incapace di comprendere ragionamenti tutt'altro che peregrini? Si tratta in realtà di un procedimento, nel quale i lettori del Settecento, come hanno mostrato le ricerche di Maurice Roelens 3, videro quasi concordemente un espediente a cui ricorse l'autore per esprimere il suo proprio pensiero. Come scrisse Jacob
Cfr. M. RoELENs, Lahontan dans l"Encyclopédie' et ses suites, in J. PRousT (et al.), Recherches nouvelles sur quelques écrivains des lumières, Genève, 1972, pp. 163 ss. (questo studio presenta ed analizza interessanti testimonianze sul destino postumo di Lahontan).
LAHONTAN E GLI ARGOMENTI DEL SELVAGGIO 127
Brucker, semper enim succumbit Hontanus, triumphat Adario. E come trionfa? In primo l[...]

[...]. Si può dire anzi che tale rapporto sia come invertito: « [ ... ] je te parle sans passion, plus je réfléchis à la vie des Européans et moins je trouve de bonheur et de sagesse parmi eux. Il y a six ans que je ne fais que penser à leur état » (DL, 199). Il suo pensiero e le sue tesi sono, agli occhi del lettore, le tesi stesse del buon senso.
2. Nella tradizione secolare delle concezioni e dei miti relativi alla bontà e alla felicità naturale, quale sarà l'apporto di un singolo autore? Un apporto limitato, certo, nella prospettiva della storia delle idee. Ma si offrono a Lahontan, come a non pochi viaggiatori prima di lui, elementi o frammenti di realtà che sembrano confermare la tradizione ideale. Esistono luoghi dove la felicità primitiva è ancora in atto. Esistono uomini che trovano la piú completa soddisfazione nella sorte e nei beni offerti dalla natura. Secondo il detto di Alain de Lille: Exiguum natura desiderat, opinio immensum 4. Ora il concetto di natura, pur nella molteplicità delle sue accezioni 5, implica il riferimento a un[...]

[...]i questi stessi costumi senza una parola di severità o di condanna. Alla libertà sessuale va unita la libertà interiore: tranquillità d'animo, liberté du coeur. Gli affetti dei selvaggi non sono passioni, ma inclinazioni moderate come la benevolenza e l'amicizia: « [ ... ] ils n'ont jamais eu cette sorte de fureur aveugle que nous appellons amour » (MM, 116).
Questa comunità idillica comporta tuttavia l'istituzione e la pratica della schiavitú. Quale sarà la condizione e la vita degli schiavi in una società di liberi e di eguali? Il lettore moderno è probabilmente incline a pensare che ogni concezione di società ideale, anche se non propriamente utopistica, debba essere riferita all'universalità degli uomini. Ma le società selvagge sono società guerriere, anche se le loro guerre non mirano alla conquista e al possesso dei territori Z0. La schiavitú è legata alla guerra e all'esito della
Z0 Cfr. ad es. M. LESCARBOT, Histoire de la Nouvelle France, cit., p. 942: « Noz Sauvages n'ont point leurs guerres fondées sur la possession de la terre[...]



da Ariodante Marianni, Modelli arabi e joyciani di Ungaretti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - marzo - 31 - numero 2

Brano: [...]luce, acquisti ben altro rilievo; le parole crude del canto arabo, anziché interrompere — come a ironizzarlo — il flusso nostalgico, si sciolgono anch'esse in nostalgia, « attimo di gioia trattenuto » come le gocciole che « brillano sulla verdura rasserenata ».
appena da aggiungere che l'indicazione del De Robertis, proprio in virtú della sua autorità, ha non poco influenzato l'indagine successiva, da Rebay a Barberi Squarotti ad Aldo Rossi, il quale ultimo, in un saggio pubblicato sul1'« Approdo Letterario » (n. 57 del 1972; ma vedilo ora in La critica e Ungaretti, Bologna, Cappelli, 1977), pur contestandola, afferma: « Invero non si vede perché si dovrebbero restituire a Palazzeschi alcuni passi di Il paesaggio d'Alessandria d'Egitto apparsi su « Lacerba » del 7 febbraio 1915 (ora fra le Poesie Disperse), come suggeriva De Robertis (...) quando un riferimento alla comune ascendenza laforghiana può dirimere economicamente molte dispute... ».
2. James Joyce. — Di natura diversa, e questa sí letteraria, appare invece la fonte di alcuni pa[...]

[...]grey deserts of the north?
200 VARIETÀ E DOCUMENTI
La traduzione che segue è quella di Alfredo Giuliani (in James Joyce, Poesie, Milano, Mondadori, 1961) che Ungaretti ha probabilmente tenuto sott'occhio, come anche indicherebbero alcuni stilemi (« accostare » per to lean; « demente » per mad; « ora degli spettri » per ghosting hour):
Tu accosti un divinante orecchio, Mia signora, alla conchiglia della notte. In quel sommesso coro di delizie Quale suono spaurí il tuo cuore? Rassomigliava a fiumi scroscianti Dai grigi deserti del nord?
Ciò che tu senti, pensaci bene o timorosa,
Sentí pure colui che ci lasciò
Eredi d'una storia demente
Da evocare all'ora degli spettri.
E tutto per qualche strano nome che lesse
In Purchas o in Holinshed.
Della Conchiglia, Ungaretti ha dato due diverse versioni (vedile ora in Giuseppe Ungaretti, Vita d'un uomo, cit.):
1
A conchiglia del buio
Se tu, carissima, accostassi
Orecchio d'indovina,
Per forza ti dovresti domandare:
« Tra disperdersi d'echi,
Da quale dove a noi quel chiasso arriva? »
[...]

[...]pensaci bene o timorosa,
Sentí pure colui che ci lasciò
Eredi d'una storia demente
Da evocare all'ora degli spettri.
E tutto per qualche strano nome che lesse
In Purchas o in Holinshed.
Della Conchiglia, Ungaretti ha dato due diverse versioni (vedile ora in Giuseppe Ungaretti, Vita d'un uomo, cit.):
1
A conchiglia del buio
Se tu, carissima, accostassi
Orecchio d'indovina,
Per forza ti dovresti domandare:
« Tra disperdersi d'echi,
Da quale dove a noi quel chiasso arriva? »
D'un tremito il tuo cuore ammutirebbe Se poi quel chiasso,
Dagli echi generato, tu scrutassi
Insieme al tuo spavento nell'udirlo.
Dice la sua risposta a chi l'interroga: « Insopportabile quel chiasso arriva Dal racconto d'amore d'un demente; Ormai è unicamente percepibile Nell'ora degli spettri ».
2
Su conchiglia del buio
Se tu, carissima, premessi orecchio
D'indovina: « Da dove — mi
[domanderesti —
Si fa strada quel chiasso
Che, tra voci incantevoli,
D'un tremito improvviso agghiaccia
[il cuore? »
Se tu quella paura,
Se tu la scruti bene,
Mia[...]

[...]cuore...
Ora dormi, dormi in pace, Cuore inquieto!
La mia bocca al tuo cuore, stai dicendo,
Offre la pace,
Su, dormi, dormi in pace,
Ascolta, su, l'innamorata tua,
Per vincere la morte, cuore inquieto.
Nella falsariga di quel processo di drammatizzazione a cui si è sopra accennato, notiamo appena l'incalzare del « su » esortativo, ripetuto ben tre volte; il richiamo esplicito alla morte; l'uso dei verbi denotanti l'azione dell'inverno, il quale non piú « s'ode alla porta », com'è nel testo inglese, ma « invade », « minaccia », « grida », « uccide ».
In E' ora famelica tre soltanto sono i versi di Joyce che entrano in gioco; ma su di essi è impiantata tutta la poesia, bellissima tra le altre, costruita con ferocia autocannibalesca, al limite dell'ironia. I versi di Joyce, che chiudono
202 VARIETÀ E DOCUMENTI
A Memory of the Players in a Mirror at Midnight, dicono: « Dire hunger hold his hour. / Pluck forth your heart, saltblood, a fruit of tears. / Pluck and devour! » (Orrida fame ha la sua ora. / Stràppati il cuore, sangue salato[...]



da Franco Fido, Saggi e studi. Giacinta nel paese degli uomini: interpretazioni delle «villeggiature» in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]enza l'ultima pubblicazione.
374 FRANCO FIDO
testi diversi, che acquistano rilievo solo se passati in rassegna e valutati in funzione della trilogia. Cosí una percezione adeguata della straordinaria novità delle Smanie, delle Avventure e del Ritorno richiede un esame preliminare dei loro molteplici legami con la « tradizione » goldoniana anche piú minuto di quanto sia necessario alla comprensione delle altre commedie.
1. Il primo contesto nel quale vanno considerate le tre Villeggiature è quello della stagione creativa 17591762, anzi del momento esatto in cui cade la loro composizione, tra I rusteghi e La casa nova da una parte, Sior Todero e Le baruffe dall'altra.
L'accostamento che si impone subito è quello agli Innamorati del 1759; sia, in termini piú generali e ovvi, per l'intrecciarsi delle passioni — amore, gelosia, rabbia — e del raziocinio che cerca di canalizzarle; sia per analogie piú specifiche: padroni che « recitano » a piena voce il loro patema e servi che li osservano, li compatiscono o li criticano; clima di angustie ec[...]

[...]unichi ai cittadini » (Smanie, i, 10).
Ancora come la trilogia, La villeggiatura del 1756 è la storia di una signora sensibile ed esigente che torna dalla campagna sofferente e sconfitta. In villa la protagonista donna Lavinia ha cercato a lungo di ridestare l'affetto o almeno i sensi del marito don Gasparo, gran cacciatore di selvaggina e di giovani contadine, e al tempo stesso di ricondurre al suo onesto servizio don Paoluccio, il cicisbeo al quale si è mantenuta fedele durante i due anni trascorsi dal Cavaliere viaggiando per l'Europa. Alla fine, frustrata sia da Imene che da Amore, per impiegare una dicotomia pariniana del tutto pertinente, la signora deve incoraggiare la candidatura a suo cicisbeo dell'introverso don Mauro, servente appena licenziato dalla vivace donna Florida, se non vuole tornare sola in città.
Non meno evidenti e importanti sono le differenze tra La villeggiatura e le tre commedie di cinque anni dopo, riconducibili alla classe sociale cui appartengono i personaggi della prima, tutti nobili (il che spiega tra l'al[...]

[...]ellezze... » (III, 5); « cosí si fa in Inghilterra » (III, 8); « mi parete uno di quei superbi villani di Castiglia » (III, 17), ecc. ecc.
Come un'isola, dicevo, la villa di don Gasparo e donna Lavinia rappresenta per i suoi numerosi abitanti una provvisoria salvezza (qui, dalla noia,
o per uno scroccone senza mezzi come don Ciccio, dalla miseria), ma anche uno spazio coatto, in cui essi continuano a scontrarsi e a provocarsi. Vedremo tra poco quale forza metaforica stia per assumere l'alternativa città/campagna in quanto allusiva di un altro, e per i borghesi ben piú arduo dilemma, fra intimità e promiscuità, fra « privato » e « pubblico ». Per il momento mi preme osservare come nella Villeggiatura l'assenza di personaggi borghesi coi loro complessi e i loro tabú, e le continue frizioni prodotte da una stretta convivenza consentano all'autore un trattamento dei caratteri assai piú tagliente e crudele di quanto potrebbe aspettarsi chi crede ancora al buon papà Goldoni.
Questa « cattiveria » — non infrequente nelle commedie di questi ann[...]

[...]ra l'addio che non le ha dato questa mattina »: i, 4), che sembra confermata da quanto dice Lavinia a Gasparo nella scena seguente: « Fareste molto meglio a starvene a letto la mattina, come fanno gli altri mariti colle loro mogli ».
Nei dialoghi di Lavinia con Zerbino e don Gasparo (I, 45) la parola letto torna 11 volte, ma il marito è deciso a non capire le allusioni della moglie, cosí come nel III atto, quando Lavinia finge un'indisposizione quale « pretesto ragionevole » per « sciogliere la compagnia, troncar le scene per tempo, finir la villeggiatura » (9), don Gasparo si trincera dietro l'ironia di un'interpretazione letterale: « Voi altre donne avete sempre qualche cosa che duole ... Andate a letto, e domani si farà venire il chirurgo, e vi caverà sangue » (III, 10; e fra sé: « Queste donne si fanno venir male quando vogliono ... Don Paoluccio le avrà fatto venire le pulsazioni »: in, 11).
Il fatto è che i sintomi accusati da Lavinia (« Marito mio, ho del gran male intorno, mi sento una pulsazione interna, un'agitazione negli spir[...]

[...]vittoria assicurata; dall'altra la sequenza conferma il legame fra mariage e matrimonio, cioè fra moda e destino, involontariamente sottolineato dal servo Cecco fin dalle Smanie: « ... credo sia un vestito da sposa ... ho inteso una parola francese che ha detto il sarto, che mi par di capirla »: i, 7; e dr. Ferdinando nel Ritorno, i, 9: « A proposito di mariage, signore mie, quando si fanno le loro nozze? ». Talché il nome del vestito intorno al quale gareggiano le ambiziose Giacinta e Vittoria nella prima commedia viene ad annunciare la trappola del matrimonio senza amore che chiuderà la storia di entrambe nella terza, e lo scambio fra i due fratelli nelle Smanie:
(« VITTORIA: Io butterei volentieri ogni cosa dalla finestra. LEONARDO: Principiate a buttarvi il vostro mariage »: II, 2) acquista colore di presagio.
Strutturalmente rilevante in un altro senso è il fatto che la crisi sentimentale di Giacinta (« sono stata una pazza ... sono una pazza, e le mie pazzie mi voglion far sospirare ... sono innamorata, quanto può essere donna al m[...]

[...]ensione delle convenienze, un po' come
l'Agilulfo di Calvino in quella della cavalleria. Questa sua paradossale virtú gli acquista l'amore di Giacinta, e al tempo stesso lo rende inaccessibile a lei non meno che al pubblico, « personnage ... imparfait précisément dans la mesure où il n'existe pas en tant que personnagepersonne mais seulement comme prétexte à la passion de Giacinta » (Joly 1978, p. 211).
Rispetto a Guglielmo Leonardo, l'uomo al quale Giacinta si unirà in matrimonio, presenta una consistenza psicologica appena superiore. Nelle Smanie egli vive soprattutto, come la sorella, del puntiglio di « comparire » in villeggiatura. Piú tardi, quando sospetta il sentimento di Giacinta per Guglielmo, Leonardo reagisce con truculenza melodrammatica: « non soffrirò vilmente l'insulto ... A costo di perdermi, di precipitarmi ... Sí per
GIACINTA NEL PAESE DEGLI UOMINI: INTERPRETAZIONE DELLE « VILLEGGIATURE » 391
fida, sí amico traditore, mi vendicherò, me la pagherete » (Ritorno, i, 10), e insieme con verbosa irresolutezza: « (Dovunque m[...]

[...]nza scandalo un impegno matrimoniale a Venezia si veda quanto scrive il BARETTI nel suo Account of the Manners and Customs of Italy di certe nozze fra una Barbarigo e uno Zen disdette all'ultimo momento « for no other reason but because the bride took a disgust to the young man... » (London, T. Davies & L. Davis, 1768, I, 9495).
394 FRANCO FIDO

secolo dei lumi si trova nel capitolo Gli studi delle donne nel Settecento di Giulio Natali dal quale risulta tra l'altro la precocità e l'abbondanza degli interventi veneziani rispetto, poniamo, a quelli milanesi (che vanno dall'anonima e notevole Difesa delle donne nel i tomo del « Caffè » — 1765 — all'ode pariniana La laurea), o a quelli europei in genere, culminati in quell'Essai sur le caractère, les moeurs et l'esprit des femmes dans tous les siècles di AntoineLéonard Thomas che provocherà nel 1772 l'abate Galiani a buttar giú il suo breve e misogino Dialogue sur les f emmes 19.
Ma quel che colpisce a Venezia è la varietà e la veemenza delle opinioni, come se, per un effetto simile a q[...]

[...] » di Grimm, in Oeuvres a cura di André Billy, Paris, Gallimard, 1951, pp. 97788. Fra il cinismo di Galiani e il lirismo di Diderot spicca l'equilibrata posizione di GIUSEPPE MARIA GALANTI nelle Osservazioni sopra la nuova legge abolitiva de' delitti di stupro (appendice alla III ed. delle Osservazioni intorno a' romanzi... con un Saggio sulla condizione delle donne e sulle leggi coniugali, del 1786), in Illuministi italiani, 1962, pp. 102430: « Quale condizione piú misera delle donne! Esse non tanto sono da compiangere, per non poter vivere senza guardiani e protettori; per non aver altra regola che la volontà degli uomini, che per lo piú sono insolenti, brutali e ingiusti; quanto per dover soffrire la tirannia della decenza e dell'opinione, da che è piaciuto a cotesti padroni di riporre l'onor delle famiglie nella loro condotta, volendo essi nulladimeno ritenere i propri vizi » (p. 1024).
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Il moderato « femminismo » di un conservatore come Baretti, in cui le si[...]

[...]tanto piú illuminato del Baretti e sposato a Luisa Bergalli, la piú attiva e pugnace scrittrice veneziana prima della giornalista Elisabetta Caminer Turra.
Mentre la moglie non si stanca di rivendicare la parità intellettuale delle donne (pubblicando tra l'altro nel 1773 una importante raccolta di Rime di Donne illustri che meriterebbe una ristampa), Gasparo rimane profondamente convinto di una disuguaglianza fra i sessi voluta dalla natura, la quale — come egli scrive in una Diceria fatta paradossalmente in difesa delle donne — « non potea, verbigrazia, metter nell'uomo forza virile e dilicata bellezza, ed ella compose un uomo forte e una donna bella ... ella fa un uomo che studia, ed una donna che danza con leggiadria »2°.
Lo stesso ideale femminile tutto debolezza e frivola grazia torna nelle pagine della « Gazzetta veneta » (176061) e dell'« Osservatore » (176162) 21: mentre nel sermone a Pietro Fabri sulle villeggiature la moglie borghese smaniosa di imitare la nobiltà è paragonata a « ... debil rozza, che sdegnosa / L'animoso corsi[...]

[...]ofiche » del suo rivale Chiari costituiscono come dicevo le posizioni estreme di un dibattito che l'autore delle Villeggiature non poteva certo
23 La bella pellegrina, Venezia, Molinari, 1819, II, 116.
24 La Francese in Italia, Venezia, A. Rosa, 1806, i, 28, 42, 52.
25 La bella pellegrina, ii, 1012.
26 La Francese in Italia, i, 156, 175.
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ignorare, sullo sfondo del quale vanno considerate le riflessioni e le reazioni dei suoi personaggi femminili.
Pieno di simpatia per l'aspirazione delle fanciulle alla cultura e alla libertà, ma anche di rispetto per i prudenti valori e le strutture difensive della borghesia veneziana, Goldoni s'era dapprima limitato a celebrare in commedie diverse l'educazione liberale delle straniere (come nei Mercatanti già ricordati) e la vocazione casalinga delle sue concittadine, come nella Buona famiglia del 1755:
ISABELLA: Perché non fa insegnare anche a me, signor padre, che imparerei tanto volentieri le lettere?
FABRIZIO: Figliu[...]



da Giovanni Pirelli e Piero Malvezzi (a cura di), Lettere di condannati a morte della Resistenza europea in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]azioni di expartigiani, esponenti politici, excappellani di carceri, per i quali il nostro solo biglietto di presentazione è il lavoro da noi precedentemente compiuto in Italia. L'esito delle ricerche è percid ampiamente condizionato alla buona volontà e comprensione delle persone a cui ci rivolgiamo e che agiscono nelle situazioni storicopolitiche le più diverse. Talvolta interviene il caso che ci fa scoprire un titolo o un nominativo grazie al quale il problema di un intero settore giunge rapidamente ad una felice conclusione. Possiamo dire di essere attualmente, dopo un anno circa dall'inizio, a tre quarti del nostro lavoro. Restano da superare, tuttavia, i problemi più difficili.
1 documenti che presentiamo sono una scelta di quelli finora raccolti e tradotti. Solo una parte dei Paesi in cui vi fu Movimento di Liberazione vi sono rappresentati. Da altri attendiamo il materiale che si sta raccogliendo e per altri ancora, come per l'Olanda, "la Rumenia, la Bulgaria, non abbiamo ancora trovato il giusto canale. Un caso a sé è quello dell[...]

[...]peranze cadono silenziosamente e dolcemente, come foglie secche.
L'inverno sfronda l'uomo come un albero. Credetemi: nulla, proprio nulla di ciò che è successo ha potuto togliermi la gioia che è in me e che ogni giorno si annuncia con qualche motivo di Beethoven. L'uomo non diventa più piccolo anche se viene accorciato della testa. E vi prego caldamente, quando tutto sarà finito, di non ricordarvi di me con tristezza, ma con quella gioia con la quale io ho sempre vissuto. (Seguono alcune parole cancellate dalla censura) ...nasce. Queste sono idee così, lo so che fareste voi stessi tutto il possibile. Ma se anche non riuscirete a nulla, non disperatevi per questo, né siate infelici. Una volta o l'altra dietro ad ognuno si chiude la porta. E per quanto riguarda papà pensateci sopra, se sia il caso di non dirgli nulla o di fargli capire qualcosa.
8 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
Meglio sarebbe di non angustiare con niente la sua vecchiaia. Decidete voi, siete, ora, più vicini a lui e alla mamma.
Scrivetemi, vi preg[...]

[...] si sentivano canti di gioia e domani il dolore visiterà ancora mia madre, mia sorella, mio fratello.
Con le lacrime e con il pianto soffocato la tua mamma ti abbraccerà...
Amo la vita, il lavoro tranquillo, la tua mamma. Ma la lotta é lotta, il nemico é nemico.
L'ultima mia gioia, Rumjanco e Marusja, é questa, che vedo la piena disfatta del fascismo.
So che vivrai con difficoltà senza papà e che dovrai penare. Ma il socialismo, nel nome del quale io muoio, verrà e vi metterà in ottime condizioni di vita.
Sii un combattente anche tu e ama la giustizia. Ama tua madre, figliolo caro, essa sarà per te una difesa nella vita.
Bacio te, tua mamma, i fratelli, le sorelle e il nonno.
Tuo padre
Vanío
21 novembre 1943
L'unico desiderio che ho è di vivere.
Qualcosa ti soffoca, ti porta via, ti toglie lentamente la coscienza; lo spazio della cella diventa stretto, la cella sembra senza aria. Eppure, avere tanto desiderio di vivere!
14 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
E il bambino! Caro il mio figliolo, che fin da ade[...]

[...] tanto amato e di essere stati tanto premurosi per me.
Emike, sorellina mia, pensa, nella tua vita, che hai avuto un fratello che ti ha voluto tanto bene ed è morto per una idea: perché era degna che si morisse per lei.
E tu, Laci mio, cerca di mitigare agli altri il dolore che io ho causato con la mia morte.
Babbo, vecchio mio! So che mi hai voluto tanto bene e che tu soffri che io me ne vada. Ti consoli il sapere che hai una famiglia per la quale merita vivere e lavorare. Fa' per la famiglia, anche in avvenire, tutto quello che puoi. Vogliatevi bene, perché solo l'affetto dá senso alla vita.
Perdonatemi se sto filosofeggiando, ma credetemi, io sento così, mi fa bene dirvi questo per l'ultima volta e mi pare di essere tra voi e di conversare e parlare con voi.
Mi congedo da tutti: non mi sarebbe possibile nominarli uno a uno.
Mia adorata mamma, babbo, sorelle mie, vi abbraccio con caldo affetto.
Pista
17
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
ZOLTÁN SCHOENHERZ
Ungherese, nato a Ko"síce nel 1905. Segretario del[...]

[...] per avverarsi. Mi dispiace immensamente, dopo tutto, di non aver più visto P. che avevo atteso con molta certezza per oggi. D'altra parte é bene che sia a casa proprio in questi giorni, così potrete consolarvi a vicenda. Se mi chiedete come mi sento, posso soltanto rispondervi: sono serenamente commosso e pieno di una grande attesa. Con oggi ha termine per me ogni sofferenza, ogni miseria terrena, e «Dio detergerà ogni lacrima dai loro occhi ». Quale consolazione, quale mirabile forza emana dalla fede in Cristo che ci ha preceduto nella morte. In Lui ho creduto, in Lui credo oggi più fermamente e so che non sarò distrutto. Come tante volte, vorrei anche oggi citarvi San Paolo. Rileggete i seguenti versetti: 1 Cor. 15/43 e Romani 14/8. Ovunque ci si guardi attorno, ovunque troviamo giubilo per la grazia di essere figli di Dio. Cosa mai può capitare ad un figlio di Dio? Cosa avrei da temere? Al contrario: rallegratevi. Ancora vi ripeto: rallegratevi!...
Ora a voi! Io so il vostro stato d'animo. Se penso a voi, il cuore mi diventa greve. Era duro il peso che s[...]

[...]vanili comuniste. Arrestato dalla Gestapo a Urfahr i1 3 dicembre 1942, viene tradotto ed interrogato nella locale sede della Polizia, quindi inviato nel campo di concentramento di Mathausen ed ivi fucilato, senza processo, il 18 settembre 1944. (Lettera avuta dalla madre del caduto per il tramite del KZ. Verband di Vienna)
Landesgericht II, 7.III.1944
Miei amatissimi genitori,
a te, mia cara mamma, mio caro papà, così duramente provati! Sento quale dolore e quale pena state sopportando, non avevate meritato di dover essere caricati di un tale destino alla vostra grave eta! Dal vostro grembo io sono nato, dalle vostre mani patite sono stato allevato ed ora in galera debbo finire! Che questa sia una vergogna? No, no, cari genitori, non piangete, vostro figlio é hero di vivere in una tale scia, e all'occorrenza di morirvi. La vostra fierezza consista nel poter dire un giorno: mio figlio ha lottato per una vita più degna, ed é morto nella consapevolezza di aver sacrificato la sua vita al socialismo.
E se forse continuate a nutrire dei lievi dubbi: io son[...]

[...]dimenticarci. Venite a trovarci. Mammina e papà, vi abbracciamo e vi diciamo addio per l'ultima volta. Non vi amareggiate; date i nostri ultimi saluti ai parenti, agli amici e ai vicini. Iddio onnipotente ha voluto prenderci vicino a sé così giovani. Mammina e papa, vivete voi per vedere giorni migliori, se per noi era destino di non vedere questi giorni buoni.
Chiediamo per l'ultima volta la vostra benedizione. Perdonateci. Se potete sapere in quale cimitero ci seppelliranno, allora vi aspettiamo. Venite ad accendere la nostra piccola candela.
Vi mandiamo tutta la nostra roba e siamo certi che giungerà nelle vostre mani. Non vi agitate! Non é poi una gran cosa. Per l'umanità sono stati uccisi milioni di giovani. Forse loro non avevano una mamma ? Questo pensiamo e non sentiamo tanta pena. Non abbiamo altro da dirvi perché non ci viene in mente nulla_
Vi abbracciano i vostri figli
Marinos Anghelos
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 31
KIM MALTUEBRUN
Danese, nato ad Edmonton (Canada) l'8 luglio 1923. Nel 1944 inte[...]

[...]r il Belgio, per la nostra Patria. Mio caro fratello Jean, quando ritornerai io sarò già morto, ma è una morte difficile da guadagdarsi in tempo di pace, ma facile da guadagnarsi in tempo di guerra.
Jean, fatti coraggio e soprattutto tieni alto il morale, perché un giorno non ci si vedrà sulla terra, ma in cielo.
Mio caro Paul, la tua pipa l'ho regalata ad uno dei miei migliori amici, che mi ha dato da mangiare e me ne ha data un'altra, con la quale ho molto fumato, è molto buona, conservala come mio ricordo. Sebbene sia un tedesco mi ha abbracciato, aveva le lacrime agli occhi. Mio caro Paul, mi saluterai i compagni Adrien, Edgar, Paul Delise e sua moglie e Willy, Pauline e madrina, Arturo Jacques, mi saluterai pure il signor Jacques, Allaert, Laruelle, il signor Vicario ed il signor Curato. Pregate per noi, questo vi farà del bene.
Ecco un verso che abbiamo composto nell'ultima nostra ora:
35
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
« Il sole si alza all'orizzonte, ma la mia vita è al suo declino Perché lassù noi vi[...]

[...]di di Dia ». Miei cari fratelli, compagni, addio! Addio!
Sono nato olandese. Ho lavorato olandese. Ho pregato in olandese. Sono stato prigioniero olandese. Muoio olandese.
Viva Cristo! Viva il Belgio! Viva l'Olanda! Viva la libertà!
Charles Appelman
JACQUES GUY
Belga, nato a Veviers, fucilato alla cittadella di Liegi il 29 febbraio 1944. (Lettera avuta dall'Armée Belge des Partisans)
Caro papà e cara Mamy,
eccovi una seconda lettera nella quale vi racconto come tutto é andato. Siamo stati traditi. Arrivato alla Piazza Vieuxtemps, mi sono visto circondato di Feldgendarmes. Da quel momento ho capita che tutto era finito. Alla Kommandantur mi hanno interrogato, hanno voluto farmi parlare. Sono stato battuto, legato ad un tavolo, con fustigate che cadevano come la pioggia. Ma mai, davvero mai, ho fatto il nome di nessuno. Avrei potuto salvare la mia testa, ma ho preferito nulla fare e nulla dire che potesse tradire la patria.
Ti renderai conto che dopo tutto questo ho il coraggio sufficiente per essere fucilato. Che è una bagatella in [...]



da (Nove domande sullo stalinismo) Giuseppe Chiarante in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1956 - 5 - 1 - numero 20

Brano: [...] consolidamento. Su questa via, ovviamente, si giunge ben presto all'assurdo scientifico di considerare l'ultimo ventennio di politica sovietica una parentesi priva di significanza storica, se non per il fatto di aver in via pratica consolidato lo stato socialista e di averne salvaguardato l'esistenza; e si finisce col vagheggiare una sorta di scolastico e astratto « ritorno al leninismo ». Diviene quasi naturale, se questa fosse la strada sulla quale si procederà, rimpiangere gli inesatti ma coraggiosamente coerenti giudizi del passato.
Permetta quindi — caro Carocci che, temendo le secche del « buon .senso » e dei « distinguo », eviti di rispondere singolarmente alle numerose e interessanti questioni che lei pone; e cerchi invece, per comodità di metodo, di ridurle (riferendomi soprattutto a quelle indicate al terzo, al quarto, al quinto e al sesto punto), a questi tre essenziali quesiti, così da tentare un giudizio d'assieme sullo stalinismo:
1) Lo stalinismo, nel suo complesso, rappresenta un momento essenziale e necessario della ri[...]

[...] d'assieme sullo stalinismo:
1) Lo stalinismo, nel suo complesso, rappresenta un momento essenziale e necessario della rivoluzione socialista in Unione Sovietica ?
2) La rivoluzione sovietica e lo stalinismo in particolare rappresentano una esperienza politica collegata in modo esclusivo alle condizioni di arretratezza della società russa ovvero costituiscono un decisivo passo avanti teorico e pratico per lo sviluppo 'del sistema mondiale?
3) Quale significato ha e quali problemi investe l'attuale tentativo di superamento degli schemi staliniani ?
I
L ormai generale, fra gli uomini di cultura di ogni parte politica, l'accordo nell'individuare le caratteristiche distintive dell'opera di Stalin: da un lato la tesi della possibilità di una compiuta edificazione del socialismo in un solo paese; dall'altro la forma particolarmente rigida di direzione politica. Lo stalinismo, quindi, può essere considerato nel suo complesso un momento necessario della rivolu
18 9 DOMANDE SULLO STALINISMO

zione sovietica solo nella misura in cui si riesc[...]

[...]ge nuove ripartizioni del mondo già spartito, mediante conflitti militari, quando i conflitti e le guerre tra i gruppi imperialistici che sorgono su questo terreno indeboliscouo il fronte mondiale del capitalismo, lo rendono facilmente vulnerabile e creano la possibilità di aprire una breccia in singoli paesi » (2).
In altri termini, la dottrina leninista sul passaggio del capitalismo alla sua « fase suprema », mentre costituiva la teoria sulla quale si fondava la rivoluzione socialista in un paese arretrato (in quanto punto più debole del fronte imperialistico mondiale), era altresì sufficiente a superare il preconcetto della « simultaneità mondiale » della rivoluzione.
(1) MarxEngels, Carteggio, vol. III, pag. 241.
(2) Stalin, Opere, rol. IX, pag. 107108.
20 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
Pur tuttavia, ed è qui l'elemento decisivo, che significato veniva ad assure la tesi sulla rivoluzione socialista in un solo paese, oltretutto arretrato, all'interno del sistema concettuale leninista?
Essa rappresentava, è facile convenirne, il supera[...]

[...]vello da esse raggiunto nel 1917, il sicuro fondamento di ogni nuovo, futuro tentativo. Diveniva perciò necessario disporsi a costituire fino in fondo il socialismo poggiando sulle sole energie locali, senza cioè poter « giovare dell'aiuto economico del proletariato occidentale al potere » (Trotski) e sotto la pressione di uno schieramento imperialistico ricostituito nella sua unità e nella sua forza.
Da quel momento la tesi marxiana secondo la quale la rivolu' zione rappresentava il punto conclusivo del naturale sviluppo capitalistico e doveva quindi combattere la sua prima e decisiva battaglia entro l'ambito dei paesi economicamente progrediti veniva definitivamente superata. E, su questa base, è facile comprendere come l'innovazione staliniana, al di là del suo contenuto specifico, rappresentasse anche un importante e difficile passo in avanti del movimento operaio nel senso di liberare la sua dottrina così dalle eredità metafisicheggianti della sua origine hegeliana come dalle interpolazioni meccanicistiche che, in quando ideologia di[...]

[...] alla rivoluzione cinese) quelle condizioni obiettive necessarie alla rivoluzione, che già Lenin aveva con precisione indicato. Vediamo, brevemente, di verificarlo.
In primo luogo dopo la prima guerra mondiale, non si ripeté più una generale crisi politica del sistema borghese (e tale non fu certo neppure la crisi del '29, che ebbe caratteri essenzialmente economici e non giunse a scuotere le basi politiche dell'assetto statuale) di fronte alla quale il movimento proletario potesse assumere, come nella guerra '1418, una posizione di mera contrapposizione dialettica.
La nuova grande crisi bellica (che 'del resto sopravvenne solo dopo un ventennio di relativa « stabilizzazione ») doveva assumere caratteristiche del tutto nuove: lo sviluppo storico delle contraddizioni capitalistiche aveva ormai assunto un carattere catastrofico, così da minacciare e coinvolgere nel proprio meccanismo i destini della civiltà nel suo complesso e quindi dello stesso movimento proletario. Diveniva in tale situazione necessario alle forze rivoluzionarie inserir[...]

[...]tamente a porsi ii problema della rivoluzione nei paesi capitalistici avanzati. Già Stalin, nel suo ultimo scritto aveva notato: «Questa forza [la forza rivoluzionaria] si è

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trovata nel nostro paese sotto la forma di una alleanza della classe operaia e dei contadini. Questa forza non la si è ancora trovata per gli altri paesi, per i paesi capitalistici». (6). Il XX congresso del PCUS ha poi precisato su quale linea questa ricerca debba essere condotta: sulla linea di un progressivo allargamento delle forme del potere operaio così da permettere un più compiuto rispetto delle conquiste teoriche e istituzionali del liberalismo.
Simili affermazioni nel passato avrebbero dato immediatamente l'avvio a degenerazioni opportunistiche. Come possono rappresentare oggi la via corretta per lo sviluppo politico del proletariato occidentale ? Evidentemente per una decisiva novità intervenuta nella situazione storica: la rottura dell'egemonia mondiale capitalistica, la frattura ormai avviata fra tradizione liber[...]

[...]ammettere. Essa infatti pare fornire il primo accenno storico di un concetto del tutto nuovo per l'ideologia marxista: la rivoluzione occidentale, proprio nella misura in cui esigeva forme istituzionali e alleanze di potere più vaste e comprensive che non quelle sovietiche, proprio perché non poteva fondarsi su una mera contrapposizione dialettica alla cultura liberale, postulava il pieno compimento di una fase storica precedente nel corso della quale il proletariato, giunto in alcuni paesi arretrati a piena maturazione statuale, era chiamato a sollecitare la rottura dell'egemonia liberalborghese e insieme a correggere la logica catastrofica del processo capitalistico.
Da quanto sono venuto fin qui esponendo penso si possa, ragionevolmente, dedurre una spiegazione e una giustificazione storica delle stesse forme di direzione politica staliniana.
Quali erano, infatti, sul piano dei concreti problemi di politica
(6) Stalin, I problemi economici del socialismo in URSS, pag. 9.
GIUSEPPE CHIARANTE
26 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
interna le [...]

[...]capitalistico, ed anzi, prima o poi, una sicura aggressione bellica. Ciò evidentemente spingeva ad accelerare, con ogni mezzo, la costruzione e il consolidamento del sistema economico e politico, e quindi a battere l'opposizione di destra e di sinistra, ormai di fatto concorde nel frenare l'opera di edificazione. Ma c'è di piú: non si può infatti dimenticare l'affermazione, più volte fatta da Trotzki, della famosa « tesi Clemenceau », secondo la quale l'opposizione avrebbe atteso la guerra per rovesciare la macchina staliniana di potere. È pensabile che l'Unione Sovietica potesse avviarsi a subire l'aggressione capitalista minacciata al suo interno dalle forze dell'opposizione politica obiettivamente sovversiva ? Chi ha l'animo di sostenere che lo Stato sovietico avrebbe retto alle prime disfatte belliche, se non fosse stata con le tristi vicende dell'epurazione del '36 e del '38 del tutto eliminata l'opposizione interna ?
Troppi. dimenticano — a me pare — che senza il realismo e il coraggio con cui Stalin seppe affrontare scelte tanto dr[...]

[...] formulata da diverse correnti politiche e culturali,
e in particolare dalla socialdemocrazia di sinistra. Si può infatti obiettare: ammettiamo pure che l'opera di Stalin rappresenti la necessaria linea di sviluppo, nelle concrete condizioni in cui si trovava l'Unione Sovietica, della rivoluzione leninista del 1917. Ciò non toglie che essa rappresenti una via di edificazione del socialismo adeguata soltanto alla situazione di un paese arretrato quale era la Russia, e perciò di gran lunga inferiore alla via, gradualistica nei suoi metodi e rispettosa nella sua sostanza dei classici istituti dello Stato liberale, indicata già da tempo dall'interpretazione socialdemocratica del marxismo.
E chiaro qual è il corollario che discende da questa tesi: la rivoluzione sovietica non è in alcun modo un fatto di' valore mondiale
e perciò da essa ben poco ha da apprendere l'evoluto socialismo europeo; anzi la Russia stessa, colmato il distacco che la separava nel grado di sviluppo economico dalle più progredite nazioni dell'Occidente, è a sua volta de[...]

[...] liberazione che si vien svolgendo attraverso la storia, e con ciò giustificare tutti gli eventuali elementi di negatività che tale rivoluzione comporta: sarebbe questa infatti, indubbiamente, una soluzione troppo sbrigativa e al fondo insufficiente.
Si tratta invece — mi pare — di cercar di chiarire, muovendo non da generiche considerazioni di filosofia della storia ma da un'analisi di scienza politica il più possibilmente rigorosa, attraverso quale processo é possibile passare dal livello di libertà garantito dall'assetto borghese a un livello più ampio e comprensivo.
Sotto il profilo della libertà il grande merito storico dello Stato liberalborghese é, come é noto, essenzialmente quello di aver realizzato la « scoperta » scientifica di alcuni fondamentali istituti, destinati a costituire altrettante garanzie di libertà per i cittadini. Nello Stato borghese, però, tali istituti, (e le corrispondenti formulazioni scientifiche) sono viziati — e nel mettere in luce questa situazione sta l'aspetto di validità della dottrina leninista sul c[...]

[...]via pacifica di sviluppo sarà del tutto possibile per alcuni paesi capitalistici, in cui i capitalisti, di fronte a una situazione internazionale sfavorevole, giudicheranno opportuno fare essi stessi delle concessioni serie al proletariato» (10).
Ma ciò che anche nella nuova situazione rimane valido é il nucleo essenziale della dottrina della dittatura del proletariato: rimane cioè valido che, solo sotto la piena e stabile egemonia di una forza quale "quella proletaria, che ha conquistato una completa autonomia rispetto alla classe borghese e non è disposta ad alcun compromesso con l'assetto privatistico della proprietà, é possibile il superamento delle contraddizioni capitalistiche e dei progressivi sacrifici di libertà che queste fatalmente comportano. É vero che lo sviluppo dello assetto mondiale rende oggi non' più utopistico, nei
(10) Stalin, Opere, vol. VI pag. 147.
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36 9 DOMANDE SULLO STALINISMO
paesi d'occidente, cercare di far si che l'egemonia proletaria possa attuarsi in modo pieno senza comportare l'istituzionalizzazione [...]

[...]eve trovare la sua giustificazione nel fatto di esprimere gli interessi della grande maggioranza del popolo;
b) che la dittatura del proletariato non é il dominio esclusivo di una sola classe, ma é essenzialmente una formula di alleanza, in cui il proletariato é egemone, tra forze distinte (forze che possono essere semplicemente classi sociali diverse, come é stato il caso della Russia, ma che possono essere anche, in una situazione più evoluta quale quella occidentale, forze politiche che si differenziano per tradizioni, cultura e patrimonio ideale, e tuttavia convergono in una comune lotta per l'uscita dall'assetto borghese).
Non mi pare sia necessario sottolineare l'importanza di entrambi questi motivi ai fini di uno sviluppo non più rigorosamente dialettico, ma sempre più ampio e comprensivo della rivoluzione proletaria.
III
Mi rendo conto che quanto ho scritto sinora può suonare, sostanzialmente, come un panegirico quasi incondizionato dell'opera politica staliniana: e in effetti io sono convinto che l'analisi storica, una volta a[...]

[...]mente rispondere che ulteriori passi avanti sono evidentemente necessari. Così pure si può senza troppo azzardo ipotizzare che anche dei cambiamenti istituzionali si renderanno, in un futuro più o meno lontano, necessari in URSS.
Ma quando da queste indicazioni tendenziali si cerca di passare a fomulazioni più precise e concrete, non si possono dimenticare due avvertimenti che sono — io credo — fondamentali. Innanzitutto un processo di sviluppo quale quello che si vorrebbe delineare non può realizzarsi positivamente attraverso clamorosi e azzardati rovesciamenti di scena, ma richiede approfonditi ripensamenti e responsabile cautela: il che significa che sarebbe errato richiedere miracolistiche ed improvvise soluzioni agli attualidirigenti moscoviti. In secondo luogo — ed é questa l'avvertenza decisiva — una seria revisione dello stalinismo deve essere concepita, per quanto sin qui si é detto, come sviluppo (sia pure con profonde innovazioni) dell'opera staliniana, e non come una messa in soffitta di questa. Mentre alla messa in soffitta, [...]



da (Nove domande sullo stalinismo) Arturo Carlo Jemolo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1956 - 5 - 1 - numero 20

Brano: [...]di direzione della classe operaia che, attraverso di esso, instaura la sua dittatura impadronendosi dello Stato come strumento coercitivo sulle vecchie classi in dissoluzione. Corrisponde questo schema alla realtà sovietica di oggi ? Il XX Congresso critica in questo schema la degenerazione della direzione collegiale
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9 DOMANDE SULLO STALINISMO
in direzione personale. E sta bene. Ma il concetto di collegialità fin dove si deve estendere ? Quale é il grado di compartecipazione direzionale che si intende raggiungere ? In breve, come devono essere considerati i 193 milioni di sovietici che rientrano genericamente nel gruppo dei « senza partito » ? Se di fatto i termini dell'antagonismo di classe sono superati, quale senso ha la. preminenza partitica sullo Stato? Non deve tendere, viceversa, lo Stato ad oggettivare, appunto, questa assenza di suddivisione di classe in un « corpus » omogeneo ed egualitario di cittadini, i quali nei quaranta anni di socialismo si sono formati una coscienza ed una responsabilità sociale sulla cui esistenza non ci possono essere più dubbi ?
E qui le nostre domande vengono a confluire con quelle poste da Nenni nel suo saggio «Luci ed ombre del Congresso di Mosca » (« Avanti! », 2531956), domande che interamente sottoscriviamo. « E ancora il partito, nella sua struttura attual[...]

[...] formarsi di correnti interessate nel proprio « particulare » (ad esempio, questione dei contadini rispetto agli operai), nell'URSS si tenga così fermo il
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principio del Partito unico, come depositario di una solidarietà generale senza concessioni. In questo senso l'unicità del Partito supera appunto la pluralità esistente nella società borghese, che esprime una gamma di precisi interessi e li rappresenta. Caso nel quale non si può certo affermare che la volontà generale si possa esprimere perché esiste la pluralità dei partiti. Al contrario, la pluralità non esprime che la rottura delle volontà, degli interessi antagonistici e di classe. Sgomberato perciò il campo dalla trappola parlamentaristica con tutti i corollari della libertà apparente, rimane, in campo marxista, il problema di come rappresentare non già rinnovati particolarismi, pur in una società senza classi, ma autentiche e diverse alternative costruttive.
Qualche marxista ortodosso potrebbe, a questo punto, obiettare che il marxismo è scienza e q[...]

[...]ggendo questo saggio inI bozze l'amico Fortini mi ha dato la seguente nota che ottimamente contribuisce ad approfondire il punto in questione:
Invece di ripetere le tesi puerili di chi afferma la inevitabilità e la necessità di tutto quel che è accaduto nell'età stalinista come di chi, negan dole, non pub più arrestarsi sulla via delle ipotesi retroattive, è meglio domandarsi (come ha fatto recentemente un giovane filosofo marxista, A. Mazzone) quale sia oggi ii senso, alla luce delle esperienze sovietiche e nostre, del « fondamento obiettivo dell'accordo tendenzialmente unanime di un gruppo sociale omogeneo dal punto di vista di classe » e del « principio regolativo della produzione di decisioni universalmente valide ». Infatti lo stalinismo è meno un regime, un costume, una 'tirannia' che una accelerazione (parzialmente erronea: origine pratica dell'errore) della teoria della necessità
o meglio della 'tendenziale unanimità' che è di Marx e di Lenin. Anzi è probabilmente da spiegarsi, tale accelerazione, col non risolto meccanicismo sem[...]

[...]a di una sua 'infallibilità' relativa ad una situazione data. L'illusione (di carattere metafisico) che il margine di incontrollabilità (unio mystica) di tutti gli elementi del reale convogliati dall'esperienza del Partito fosse — paradossalmente — capace di assicurare in ogni momento un rendimentolimite; e il rifiuto di riconoscere che proprio quel margine doveva invece essere previsto per stabilire il rendimento reale della macchina, altre il quale cominciava l'errore
e l'usura; proprio quella illusione e quel rifiuto traspaiono ancora nelle dichiarazioni rese dallo scarcerato London ai giornalisti: essersi rassegnato a confessare colpe non commesse, per non diminuire nelle masse la persuasione della infallibilità del partito. L'errore stalinista è dunque di carattere a un tempo meccanicistico e metafisico; ma non tocca l'esigenza prima, quella della razionalità della scienza sociale. Dimenticarne la drammatica serietà, vuol dire precludersi la comprensione di un secolo di comunismo. Bisogna ripetere ancora l'irriducibilità della diffe[...]

[...]uire nelle masse la persuasione della infallibilità del partito. L'errore stalinista è dunque di carattere a un tempo meccanicistico e metafisico; ma non tocca l'esigenza prima, quella della razionalità della scienza sociale. Dimenticarne la drammatica serietà, vuol dire precludersi la comprensione di un secolo di comunismo. Bisogna ripetere ancora l'irriducibilità della differenza tra la dottrina liberale che, proprio perché nacque storicamente quale mediatrice fra conflitti insolubili, lì rese istituzionali, e quella marxista, che in nome della dialettica e del salto qualitativo, afferma la trasformabilità qualitativa dei conflitti dopo averli identificati, nelle società classiste, come conflitti di classe. Si che la 'volontà generale' liberale è sintesi astratta (le souverain) mentre quella marxista è, almeno tendenzialmente, concreta, cioè tendenzialmente unanime. Questa pretesa marxista sembra uscire sconfitta dall'età stalinista; l'unani
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4) Per un linguaggio (e un'ideologia) socialista.
Purtroppo gli Atti del X[...]

[...]à stalinista era infatti una caricatura e le elezioni al 99,99% una cerimonia mistificata; ma sembra soltanto, ché il dominio dell'uomo sulla natura e la società, o regno dell'uomo, esige la risoluzione dei conflitti alla radice, trasformandoli in conflitti prima quantitativamente poi qualitativamente diversi. La societa sovietica ed il movimento operaio internazionale hanno pagato con gli errori dell'età stalinista, ad esempio, la fretta con la quale si è dato per risolto il conflitto fra città e campagna; ma è confrontabile tale conflitto attuale con quello che opponeva contadini e cittadini russi durante la guerra civile o la liquidazione dei kulaki? Anche per questo è improprio impiegare termini eguali come 'partito', 'opposizione', 'parlamento' per indicare cose diverse (e, fra parentesi, che v'è di comune fra la nozione di partito in Francia o in Italia e quella in USA o in India?).
Si vuol dire che la società socialista non ha trovato o ha trovato imperfettamente le forme istituzionali per l'espressione dei suoi particolari conflit[...]

[...]Masaryk — si rimedia solo con un di più di democrazia, così agli errori della obiettività e razionalità (o scientificità) dello sviluppo socialumano si rimedia solo con un di più di obiettività e razionalità. Nella sua lotta per l'attuazione di una totalità umana (e quindi 'tendenziale unanimità' o unità del genere umano) il marxismo può scambiare la parte per il tutto, e quindi errare; ma questo non accadrà, mai alla concezione liberale, per la quale la parte ha da rimaner sempre tale e l'uomo e la società in se stessi spartiti e divisi, si che il rapporto maggioranzaminoranza sia appena un remedium concupiscientiae, un retaggio della colpa originale. E dunque le strumentazioni liberali che, giorno dopo giorno, paiono introdursi nel mondo socialista non si interpretino come riconoscimento che il libero gioco dei gruppi di interessi, fondati in ultima istanza sulla parte di appropriazione del prodotto sociale, sia utile e perciò necessario e infine universalmente e perennemente valido; ché prima s'ha da mutare il fondamento di quegli inter[...]

[...]petto del piano attraverso le forme di un « controllo operativo » anticipante forme complete di « autocon
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trollo tecnico » nel quadro dell'organizzazione scientifica generale. (E val la pena forse di aggiungere qui, a scanso di possibili equivoci, che quando parliamo di scienza o di tecnica o di organizzazione scientifica o di strumenti tecnici intendiamo questi termini all'interno del concetto marxista secondo il quale la scienza e la tecnica, come del resto tutta la cultura, non sono fatti « neutri » o « neutrali », ma sempre politicamente determinati, anche se aperti a diverse alternative).
2) L'autocontrollo ha la sua essenza e la sua intrinseca possibilità di funzionamento a patto che il cittadino si senta e sia oggettivamente corresponsabile del piano. Tale corresponsabilità nasce quando egli partecipa alla determinazione ed alla verifica del piano. Determinazione e verifica del piano possono essere infatti i due punti di partenza e di arrivo del grande cerchio della nuova ed originale democrazia soci[...]

[...]) non poteva non comportare un « processo storico » verso chi aveva creato, sostenuto, edificato precisamente quelle forme e quegli istituti che si andavano demolendo e ricostruendo in altro modo.
Il « processo a Stalin » era implicito nella revisione dei suoi modi di condurre la politica interna ed estera. E si potrebbe aggiungere che il « processo critico » era a sua volta basato su un «processo reale », di modifiche sostanziali, di fatto, il quale, dalla morte di Stalin, ormai si estendeva all'intera Unione Sovietica. Prima che dal Congresso, il processo al « culto della personalità » era stato condotto e verificato dall'attività del paese. Ma se il modo dell'annuncio del nuovo corso (ed il suo linguaggio) è an
cora un modo in certo senso « staliniano » come si può pensare che lo superi di fatto ? Occorre ricordare che una verità che cerca
di esprimersi d'un tratto, per la prima volta, tende a manifestarsi con il linguaggio della vecchia, e perciò non è ancora interamente la nuova verità, ma l'esplicazione della sua potenzialità, il [...]

[...]ormuli dalla collaborazione generale degli operai, dei contadini, dei tecnici e dei filosofi dell'Unione Sovietica.
Allora anche i modi e il linguaggio della nuova verità socialista saranno diversi e sarà stato un diverso costume a nutrirli, a coltivarli.
L'ipotesi della posizione del XX Congresso codificatrice di una nuova realtà in movimento positivo scarta sia l'ipotesi del perdurare sotto altra veste dello stalinismo, sia quella secondo la quale il XX Congresso rivelerebbe bruscamente ed esprimerebbe la presenza di una situazione conflittuale di fondo fra varie forze che nell'URSS si contenderebbero il potere. Siamo persuasi che nell'URSS sia veramente cessata la latta di classe e che quindi non esista materia economica per conflitti strutturali (le cause «oggettive» di cui parlava Stalin, nella citazione sopra riportata, riponendo le cause delle deficienze e degli errori « in noi stessi »). Ora proprio la scomparsa delle cause oggettive rende oggettiva la possibilità di una evoluzione lineare nell'URSS, cioè di una evoluzione storic[...]

[...]tento debba assumere le forme volontarie o involontarie (dettate dalla sfiducia o dalla impossibilità concreta) di una diminuzione dell'efficienza e della partecipazione attiva.
Siamo rimandati al grande e centrale problema delle forme di espressione dal basso non solo contro il culto della personalità, ma contro ogni errore o difetto o abuso direzionale anche piccolo, anche secondario. Ne derivano una diversa « teoria dell'errore », seconda la quale sono le somme dei piccoli errori non denunciati a ricreare le « cause oggettive » dei grandi, e una nuova « teoria della verità », secondo la quale é la somma delle piccole verità quotidiane a creare la linea generale della verità comune, e non viceversa.
Il grado di maturità del popolo sovietico pare ormai consentire questo rovesciamento strutturale, questo capovolgimento del potere. Ciò é del resto indispensabile per uscire dalle difficoltà di un'evoluzione a salti, indice di una società che non ha ancora superato le forme di un progresso contradditorio, pur avendo superato la contraddizione di classe.
Ma l'evoluzione lineare comporta una radicale realizzazione di una struttura sociale democratica non basata certamente su una generic[...]

[...]rivoluzioni negli altri paesi, ciò giova all'URSS più che un maggior livello economico ed una maggiore facilità diplomatica. E la politica delle « vie nazionali » al socialismo e lo scioglimento « tattico » del « Cominform », che, per un certo aspetto, la liberano di fronte all'Occidente da dirette responsabilità nelle rivoluzioni altrui, ancora una volta la vincolano ad una « internazionale socialista », oggettivamente reale e paritetica, dalla quale non avrebbe senso che si esentasse, perché tale esenzione sarebbe anche la negazione della sua forza interna e della sua stessa natura.
10) Critica e autocritica.
Per questo dobbiamo rispondere ad una decima domanda non prevista, una domanda supplementare. « A che titolo parliamo noi oggi, critichiamo, verifichiamo la posizione dell'URSS ? Con quali doveri ? Con quali diritti ? ».
La risposta è breve. Non potremmo criticare e verificare l'URSS senza cadere, qualunque sia il grado della nostra buona féde, in una posizione ad essa antitetica, cioè nelle vesti dei suoi avversari, se non ne pa[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Quale, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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