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Il segmento testuale Più è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1656Analitici , di cui in selezione 53 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Alberto Sobrero, Incontro con A.M. Cirese. Con «Intellettuali, folklore e istinti di classe», di prossima pubblicazione, l'antropologo ripropone le sue note su Verga, Deledda, Scotellaro, Gramsci in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - Edizione nazionale 1976 - - gennaio - 22

Brano: [...]a e Scotellaro del '55
e quelle su Grazia Deledda
e Gramsci del 1969'72, accompagnandole però con molte aggiunte critiche e autocritiche, legate anche ai dibattiti attuali in materia di folklore e di antropologia ed alle osservazioni che vari giovani studiosi marxisti hanno masso ad alcune mie posizioni.
Quali erano negli anni '50 le ragioni culturali e politiche che ti portavano ad occuparti di letterait come Verga e Scotellaro? E come riai, più tardi, ancora un letterato quale la Deledda?
Sono incursioni in terreno non mio, ma senza pretese letterarie. Di Verga e Grazia Deledda m è parsa interessante la ideologia verso il mondo subalterno siciliano o sardo; di Scotellaro poi mi sono occupato solo come raccoglitore di biografie contadine. Quanto agli anni '45'55, sarebbe lungo parlare del carattere di rottura che — a ragione o a torto — certi terni o autori assunsero nel clima delle lotte per la terra. di Melissa e Portella della Ginestra, di Scelba e del «culturame », della militanza nelle sezioni del PSI o del PCI praticata anche [...]

[...]rra. di Melissa e Portella della Ginestra, di Scelba e del «culturame », della militanza nelle sezioni del PSI o del PCI praticata anche come azione per il rinnovamento della cultura. Comunque, Verga fu riferimento emergente per chi da sinistra operava per uscire dagli s:hemi crociani, e attorno a Scotellaro si apri la politica meridionalistica e il problema del legame fra contadini e operai.
Dopo vent'anni, ora che il movimento operaio è tanto più forte sul terreno sociale e culturale, che senso ha per te riproporre queste tue esperienze di studio?
Potrei ricordare 1attualità del a caso Verga » o delle discussioni sul populismo o sulla regionalitil. risollecitate anche dagli anniversari della Deledda
e di Scotellaro. Ma più mi interessa la fortissima attualità di Gramsci che, rimeditato sull'ottima edizione critica curata da Gerratana, porta ad approfondire certe ipotesi sulle relazioni tra dislivelli di cultura e dislivelli di potere che anni fa avevo solo abbozzato. Non che ora io vada molto oltre: ma forse 11 libro, letto a partire dalle note su Gramsci. può contribuire ad un più vasto lavoro collegiale di rifondazione marxista de gli studi etnoantropologici in Italia.
Ma quale pensi possa essere il contributo di Gramsci a questa rifondazione?
E' un contributo essenziale. perché Gramsci fornisce categorie sistematiche che arricchiscono la patata scientifica del marxismo. Si tratta di combattere non solo le forme morbide o morbose di carità culturale o di partecipazionism3 soltanto affettivo cheWbordano ormai anche a sinistra, ma soprattutto l'eclettismo ideologico e la illusione che il rinnovamento scientifico nasca da giustapposizioni fra marxismo e ideologie borgh[...]

[...]rbide o morbose di carità culturale o di partecipazionism3 soltanto affettivo cheWbordano ormai anche a sinistra, ma soprattutto l'eclettismo ideologico e la illusione che il rinnovamento scientifico nasca da giustapposizioni fra marxismo e ideologie borghesi quali la culturologia e lo strutturalismo (non le analisi strutturali che sono altra cosa!). Gramsci Invece Insegna come lo spirito di scissione resti essenziale 'anche per la scienza; e in più ci fornisce molti strumenti per una motivata critica dall'interno delle ideologie etnoantropologiche nate in prospettive amarxiste o addirittura antImarxiste.
Nelle pagine su Gramsci del 196970 tratti un problema molto discusso: l'uso «politico del folklore e la sua valutazione come forma culturale almeno contrappositiva alla organizzazione della cultura uff'claie e dominante. Consideri ancora valide le tue osservazioni in materia, dopo l'edizione critica dei Quaderni? E in che senso parli di « istinto di classe »?
Per ragioni cronologiche, dell'edizione critica ho potuto tener conto solo i[...]

[...]sitiva alla organizzazione della cultura uff'claie e dominante. Consideri ancora valide le tue osservazioni in materia, dopo l'edizione critica dei Quaderni? E in che senso parli di « istinto di classe »?
Per ragioni cronologiche, dell'edizione critica ho potuto tener conto solo in una nota aggiuntiva in cui segnalo come questa confermi la continuità e la serietà con cui Gramsci si occupò dei rapporti fra cultura egemonica e culture subalterne. Più in generale mi pare anche confermato che, se è vero che Gramsci dedicò forte attenzione positiva ai Patti «spontanei ». anche in materia di prodotti culturali, tuttavia è sempre più ve, ro che non teorizzò assolutamente mai la spontaneità come forza dominante nella storia. Non fu cioè spontaneista, anche se al valore determinante della direzione consapevole associò quello della spontaneità. Resto dunque dell'avviso che le osservazioni di Gramsci non autorizzino l' idea sbrigativa che le forme culturali del mondo subalterno si pongano per sè come alternative. Cercando di non pasticciare. ho invece ritenuto che dai Quaderni si potesse ricavare la nozione di un a istinto di classe ». in qualche modo paragonabile a quelle « forme embrionali della coscienza » di cui paria Len[...]



da Omar Calabrese, Il canto e il teatro nella cultura popolare in KBD-Periodici: l'Unità - Nuova serie - edizione nazionale - 1976 - mese=1 - giorno=20

Brano: [...]zionale. L'ironia, senza essere troppo pungente, è rivolta garbatamente ai miti e ai fasti imperlali dell'Inghilterra vittoriana, terra di convenzioni e di imposture, e via via si allarga ad una concezione « burlesque » della storia e delle sue dinamiche, coinvolgendo indifferentemente il vero e il falso, il pusillanime Flashnlan e Otto Von Bismarck. la frigida duchessina Irma di Strackenz e Lola Montes, vampireschi dignitari e Luigi di Baviera. Più incline alle avventure galanti che alle imprese marziali, il trepido Flashman, scampato alle retate poliziesche nel bordelli d'epoque, s'invischia inconsapevolmente in una serie di intrighi e d'imbrogli che lo sballotteranno dalla Baviera al fantastico Strackenz in un inquieto girotondo di alcove. duelli, fu
Il concerto che il violinista Samuel Ashkenasi e il pianista Luis Battle Ibanez hanno tenuto alla Pergola nell'ambito delle manifestazioni promosse dagli « Amici della musica », ha suscitato un largo consenso da parte del pubblico ma, indubbiamente. non è stato ne emozionante, né interes[...]

[...]re In ogni situazione, sl troverà coinvolto in un abile e furfantesco complotto politico dello spletato Bismarck (che pensa già alla grande Germania). e fatto principe consorte di un succulento ducato, come fantoccio prussiano facile ad essere elIminato.
Negli episodi e nel colpi di scena grotteschi che caratterizzano lo scoppiettante film di Lester, si stempera ogni possibile allegoria politica, ogni allusività satirica; però emerge una sempre più sofisticata mimesi del cinema come spettacolo e come memoria storica, che ha tracce di Mel Brooks come di Polanski: una parodia divertita del generi che la fantasia dell'autore compendia e ricrea; un gusto smaliziato della finzione cinematografica che tutto travolge in una dimensione priva dl coordinate spaziali o temporali.
« Royal Flash », benché trattenuto da un Lester che non intende ancora strafare, è una sintesi di situazioni cinematografiche classiche (fughe rocambolesche, duelli impossibili, i trabocchetti e le segrete del castello di Jotunberg, congegni assurdi come le macchine celi[...]

[...]l'ingenuità della sperimentazione, l'ebbrezza dell'invenzione.
In un cinema che apparentemente sembra aver tutto detto e tutto visto, unica gioia, per Lester, è riscoprire le vecchie favole cinematografiche con la conoscenza di moderni, ritrascrivere tutto senza bisogno di strizzatine di occhio, convinto della complicità di un pubblico adulto che ha ormai assimilato i personaggi e la dinamica della narrazione cinematografica e non si meraviglia più di _ itrovare. come nel fumetti, nomi. eventi o invenzioni contemporanei accanto alla storia in costume di ieri.
Il viaggio del cinema nella sua mitologia è già iniziato.
Giovanni M. Rossi
troviamo di fronte a dissonanze che esprimono il dramma attraverso il mistero.
Dopo i u Quattro pezzi romantici» di Dvorak. opera dalla ingenua comunicabilità, è seguito « Nigun » di Bloch. brano che, grazie alla visione religiosa dell'autore. non presenta contristi drammatici, in quanto sono subito superati dalla presenza di
una forza rasserenat rice
superiore: caratteri questi che sono stati perfett[...]

[...]pubblico ha accolto i due interpreti con lun_bi ap plausi, ottenendo coli due b: s.
Riprende il 22 gennaio l'at tività del centro FLOG per la documentazione e la dif fuzione delle tradizioni popolari. E' stato approntato per il secondo ciclo di iniziative un cartellone di notevole interesse, e sostanzialmente complementare rispetto al primo ciclo. Il programma precedente, infatti, era stato dedicato per la stragrande maggioranza agli interpreti più qualificati e rappresentativi delle tendenze attuali del folkmusic revival e al confronto con esecutori che potrebbero essere definiti « originali », in quanto facenti narte di gruppi spontanei locali non professianisti.
Questa linea prosegue anche nel programma dell'attuale ciclo: il 29 gennaio Roberto Leydi presenta tin gruppo di mondine delle Langhe piemontesi.
II 5 febbrale sarà la volta del gruppo operaio di P.)migliano d'Arco, originale collettivo di lavoratori che porta in giro per l'Italia la testimonianza della tradizione campana popolare e di lotta. Originale, dicevamo, perché è [...]

[...]le collettivo di lavoratori che porta in giro per l'Italia la testimonianza della tradizione campana popolare e di lotta. Originale, dicevamo, perché è uno tra i pochi grippi soontanei nati in fahhi ca dal riconoscimento della propria matrice nopolare nella canzone tradizionale. che è sostanzialmente contadine. oltre che nella canzone 'il lotta, questa invece sastanzialmente operaia.
Ancora: il 12 tehbralo assisteremo al confronto fra una delle più straordinarie interpreti del folkmusic revival, Maria Carta, le cui dot! esecutive e di contenuto tutti conoscono, e il coro ni Angins, altro gruppo «spontaneo» portatore della più anti
ca tradizione popolare sat
da. II 19 febbraio, infine, ultimo confronto musicale: San dro Portelli e il Canzoniere stella Val Nerina testimonieranno della tradizione canora contadina umbro laziale.
Ma il programma del centro FLOG è stavolta dedicato in particolare, almeno queste paiono le indicazioni, Lilla presentazione di altri aspetti della tradizione popolare, che oggi sono forse in ombra rispetto al setture musicale. ma che non sono certamente meno importanti dl questo.
In particolare. il ciclo della FLOG tenta di offrire una panoramica di quel fenonteno complesso e varlegato[...]

[...]ranco Rimondl. Si tratta di un gruppo che opera in un quartiere di Bologna da alcuni anni, un gruppo, conic si suol dire, che si è « radicato » nella realtà di base del quartiere
e che ne porta sulla scelta la problematica. filtrata però attraverso un lavoro di ricer: a. .Assai diverso, strltttaralmente, è invece il « Sega
e la vecchia » presentato dal
« Col:estivo teatrale Fonte
Maggiore di Perugia » che vuol riproporre uno spettacolo fra i più caratteristici, insieme col hruscello, delta tradizione contadina. uno spet taco'o che ancora ozgi risulta attestata soprattutto nell'Italia centrale. e in particolare in Toscana nelle 7.0ne del Senese
Per l'occasiona interverrà D:ego Carpiteita, uno de: tnagg.ori e.perti italiani propr:o .ri materia di questi spet ,.i ori « (tirati i , C:ß:. Celtit i:Ulti (a una struttura scea.ica, curi te.,t: ha »apo:e paeanu e ser,,l,iicu, con canti e balli, cue lenivano recitati soprattutto in occasione ci: fcstc.
D: netesole i►iteec ee è poi !a preeenza .. 4 febbraio del < Teatro contadino di quelli di[...]

[...]b:e e di Napoli con x Padrone e sotto a, urla traspO:izione dialettale da e I! signor Puntila ^ il suo servo Mattie a di Ber:oli Brecht, per la regia d: Gennaro Vitiello, le ue:.n di Salvatore Emblema.
e i r, sturo: cii Mariea Bello.
L'operazione `n questo caso sopere abbast i'7i comnlesea, e tesa ad a;iarzare enortnemerte 11 concetto meder+ me di a teatro nonolare e. eia una visione ristretta della pura cultura tradizionale z,l punto di vista più amp1e del:a riappronriazione in
e forme e panr)lari di contenuti largamente condivisi dalle clas: subalterne, e ne:. e le quali queste M riconoscono( completamente. Il discor
,o può essere certamente
discutibile, ma merita di sicuro una verifica concreta.
Dal 16 al 25 marzo, infine,
e di scena « I1 teatro in
piazza » con « i vangeli de' beceri ». 11 « Teatro in piansa » è il gruppo di base della FLOG, nato dunque per l'iniziativa culturale di quella stessa fondazione operate. In un certo senso, benché con orientamenti diversi, ranpresenta il parallelo toscano del gruppo operaio di Pomig[...]

[...]uesto e un hlm rare cc ice.: I tre giorni del condor. Di Te:hn co or con Robe:t Redford, Ci.tt Robertson, Max Von Sidow. 23,10, 22.35).
METROPOLITAN
Piazza Beccaria Tel. 663.611
Uri.] s.ct:aco.o .nriment.cab::e p1 migl:a. La p.ù be:1a favola vire s+ tut:a i1 allo sp:enoore per 1a magie Cenerentola. Tecnn::o:or. Al fi:rn e pareggiabile Flic. Colori II grande :e feste d; Natale. (inizio ore 15
MODERNISSIMO
Via Cavour Tel. 273.954
La coppia più formidabile la prima volta insieme. Gene Wilde terorete di Frankenstein iunior, therland (il Casanova di Fellini) i per divertirsi: Fate la rivoluzione n Cinemascope. Technicolor. E' un (15.30, 17.30. 19,10. 20.50. 22
ODEON
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(Ap. 15) li caaolavoro del c gema tra all'arancia. Di Luciano Sa.ce. A nies Vitt:. Ugo Tognazzi, Barbara 17,55, 20.10, 22,35).
(Rid. AGIS)
PRINCIPE
Via Cavour Tel. 575.891
Un'arma sca.idalosa mette in crisi Dal bestteller letterario un giall livelli internazionale: La donna Con Marcello Mastroianni, Jacquet Louis Trintignsnt, Claudio Go[...]



da Orazio Barbieri, La leggendaria liberazione di Firenze ad opera del popolo fiorentino in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1954 - numero 7 - luglio

Brano: [...]ione della loro città, cercheranno sul calendario un segno che sottolinei quella data, e inutilmente i giovanissimi, che dai padri e dai fratelli maggiori hanno sentito narrare gli episodi di quell'evento, cercheranno a scuola nei libri di storia o di lettura un commento o un racconto sulla leggendaria liberazione di Firenze. Eppure quella fu e resta una bella pagina della nostra storia nazionale e della Resistenza europea; fu certamente uno dei più belli episodi vittoriosi di lotta armata popolare contro i tedeschi ed una delle più importanti esperienze politiche e militari di guerra partigiana.
Anche a Firenze dopo l'8 settembre si lavorava per mobilitare tutto il popolo nella lotta armata, secondo le direttive del P.C.I. Ma in quel tempo i dirigenti politici preparati erano pochi e la Federazione comunista fiorentina non aveva che scarsi e deboli legami con nuclei cittadini e delle campagne. Difficile appariva a molti di noi l'impresa di orientare larghe masse e mobilitarle nella lotta con così poche forze di partito, e ancor più deboli e male orientate erano le altre correnti politiche a Firenze e in Toscana. Ma un u[...]

[...]tigiana.
Anche a Firenze dopo l'8 settembre si lavorava per mobilitare tutto il popolo nella lotta armata, secondo le direttive del P.C.I. Ma in quel tempo i dirigenti politici preparati erano pochi e la Federazione comunista fiorentina non aveva che scarsi e deboli legami con nuclei cittadini e delle campagne. Difficile appariva a molti di noi l'impresa di orientare larghe masse e mobilitarle nella lotta con così poche forze di partito, e ancor più deboli e male orientate erano le altre correnti politiche a Firenze e in Toscana. Ma un uomo, un comunista, seppe prendere le fila del debole tessuto politico e comprendere la forza delle masse operaie, contadine e intellettuali che volevano lottare contro i traditori fascisti e i nazisti, i quali avevano occupato in breve tempo la città. Era Giuseppe Rossi quell'uomo. Lo ricordo quando, da poco liberato dal carcere, giunse a Firenze e ci chiese di procurargli un lavoro di manovale per giustificare la sua presenza in città. Timido e taciturno, penetrava con lo sguardo intelligente gli uomini [...]

[...]uando, da poco liberato dal carcere, giunse a Firenze e ci chiese di procurargli un lavoro di manovale per giustificare la sua presenza in città. Timido e taciturno, penetrava con lo sguardo intelligente gli uomini e con pronto intuito le situazioni. Egli seppe orientare noi comunisti, seppe, nel C.T.L.N., comprendere gli alleati politici, seppe proporre e fare accettare la linea politica giusta per lo sviluppo della lotta in Toscana nei momenti più difficili e decisivi, conquistando la stima dei vari Zoli, Piccioni, Ragghianti, Agnoletti, Dall'Oppio e Lombardi che componevano il Comitato di Liberazione. (Anche i compagni Renato Bitossi e Vittorio Bardini furono per un breve periodo a Firenze fra settembre e ottobre, ma poi dalla Direzione del P.C.I. ebbero serii incarichi in altre province).
Quando anche a Firenze fu lanciata la parola d'ordine della lotta armata, gli eserciti alleati non avevano ancora messo piede in Europa e l'eroico Esercito rosso, pur avendo iniziata la controffensiva, non era ancora giunto alle frontiere della Polo[...]

[...]pida liberazione per mezzo delle armate alleate. I fiorentini ne erano coscienti, volevano combattere e contribuire alla propria liberazione. E quando il Partito comunista italiano lanciò l'appello, in occasione della dichiarazione di guerra da parte del nuovo governo Badoglio alla Germania, i comunisti fiorentini gettarono tutte le loro forze nella lotta armata. «L'Italia ha dichiarato guerra alla Germania.» — diceva l'appello — «Mai guerra fu più sacrosanta, più giusta e necessaria. Negandoci il diritto alla pace e alla libertà, il nazismo ha preteso imporci la guerra al suo servizio e per i suoi interessi» — e l'appello così proseguiva: — « :.. Dinanzi a noi non c'è che una sola via: impugnare le armi e batterci contro i nuovi vandali. Questa via il popolo italiano l'ha già scelta; da tempo i suoi figli migliori si raccolgono nelle città, nelle campagne, sui monti e si preparano alla guerra partigiana contro i tedeschi e i fascisti loro alleati B. « ... Noi ci schieriamo oggi a fianco delle Nazioni Unite e di tutti i popoli che contro il nazismo lot[...]

[...]bertà. Noi prendiamo il nostro posto di lotta sullo stesso fronte sul quale si batte l'Unione Sovietica, le cui eroiche bandiere sono il simbolo della giustizia e della libertà...».
Quell'appello fu raccolto prima dai militanti comunisti, poi da molti soldati nelle caserme, dagli operai delle Officine Galileo, della Pignone, dalle donne della Manifattura Tabacchi, dai tessili di Prato, dai vecchi e giovani vetrai di Empoli; da cui erano usciti i più coraggiosi combattenti antifascisti. E l'eco delle prime fucilate sui monti Morello, di Greve e di Secchieta risuonò per le campagne toscane, scosse e mosse alla collaborazione coi partigiani e alla lotta contro i tedeschi i mezzadri toscani e le donne della nostra campagna.
Ma quella larga mobilitazione di popolo e la costituzione delle gloriose brigate «Lanciotto», «Caiani», «Sinigaglia», che resero possibile la liberazione di Firenze ad opera dei fiorentini stessi, non fu facile. La via della vittoria passò attraverso dolorose e sanguinose esperienze. Il primo importante colpo dei G.A.P. f[...]

[...]i reclute che i fascisti avevano obbligato ad assistere all'eccidio, i cinque giovani: Antonio Raddi di 20 anni, Guido Targetti di 21 anni, Alessandro Carona di 20 anni furono bersaglio prima dei moschetti, che le tremanti braccia dei soldati non riuscivano a sostenere, poi delle pistole dei fascisti, che li finirono mentre rotolavano in terra legati alle sedie.
Ma quei massacri non avevano altro potere che quello di accendere ed estendere ancor più la lotta. «... E' necessario che la protesta di tutta la cittadinanza si levi alta e potente perché gli assassini non ripetano altri massacri. Giovani fiorentini, nessun compromesso coi sanguinari fascisti» scriveva l'Azione Comunista il 24 marzo. E le azioni si moltiplicarono con maggiore audacia e con più esperienza. Il 15 aprile fu giustiziato
Giovanni Gentile, il filosofo che aveva avallato con la sua autorità le azioni, della repubblica di Salò. Il 29 aprile il console della milizia Ingarano fu freddato dai G.A.P. all'uscita dell'albergo mentre si dirigeva verso un'auto che l'attendeva: due gappisti portarono a compimento l'impresa uccidendo anche un maresciallo della milizia e il milite autista che tentava di opporsi, mentre cinque elementi di copertura provocarono lo scompiglio fra i fascisti che erano corsi in aiuto facendo scoppiare una bomba sotto l'auto.
Più vasta estensione aveva ass[...]

[...] della repubblica di Salò. Il 29 aprile il console della milizia Ingarano fu freddato dai G.A.P. all'uscita dell'albergo mentre si dirigeva verso un'auto che l'attendeva: due gappisti portarono a compimento l'impresa uccidendo anche un maresciallo della milizia e il milite autista che tentava di opporsi, mentre cinque elementi di copertura provocarono lo scompiglio fra i fascisti che erano corsi in aiuto facendo scoppiare una bomba sotto l'auto.
Più vasta estensione aveva assunto la lotta partigiana sui monti dell'Appennino toscoemiliano. Oramai non si trattava più di piccoli scontri e colpi di mano, ma di vere e cruente battaglie. Lanciotto Ballerini, Faliero Pucci, Alessandro Sinigaglia erano caduti combattendo nei primi scontri (anche Gino Menconi che aveva svolto un'intensa attività a Firenze cadde poi torturato dai fascisti nel Carrarino); col loro nome erano chiamate le brigate fiorentine che operavano in collaborazione con la Brigata Lavagnini, che agiva intorno a Siena. Dopo le prove di Vallibona e sulle colline di Greve, scendendo da Monte Giovi e da Gattaia, i partigiani della «Faliero Pucci» e della «C. Checcucci» con la collaborazione della [...]

[...]nto di Cetica, sostenuto da 1.200 uomini delle brigate «Caiani», «Lanciotto» e «Sinigaglia», i quali catturarono 120 quintali di zucchero, armi e prigionieri. Il combattimento, che si svolse accanito per tutto il giorno con azioni frontali e di aggiramento, si concluse con cinque morti civili e con l'incendio del paese ad opera dei tedeschi, con poche perdite partigiane e con la morte di 65 tedeschi.
Ma gli episodi di lotta armata non si possono più contare: è tutto un fiorire d'iniziative partigiane, dei G.A.P. e delle S.A.P. che estendono la loro opera con cento e cento piccole azioni di disturbo in città, sostenute da sempre più larghe masse. Oramai tutto il popolo, tutti gli operai entravano nella lotta, incitati all'unità anche dalle proposte di Togliatti per un governo nazionale. L'Azione Comunista usciva più frequentemente, così l'Unità e il Combattente. Si facevano bollettini straordinari per dare notizie delle numerose azioni militari.
Sui grandi fronti di guerra le armate delle Nazioni Unite avanzano; l'Esercito rosso si avvicina alla Germania, gli alleati sbarcano a sud di Roma, il 4 giugno liberano la capitale e il 6 giugno aprono il secondo fronte sbarcando in Francia. Intanto nell'Italia settentrionale aumentava l'opposizione delle masse operaie contro la repubblica di Salò e le brigate partigiane intensificavano le azioni di disturbo contro i tedeschi. Alla preparazione e alla direzione d[...]

[...]gni e di amici caduti, volti equivoci di fascisti rimasti in città per l'ultima bisogna, figure oscure di guastatori tedeschi, vie, piazze, giorni indimenticabili in ognuno dei quali c'è stato un dramma, un episodio di eroismo, un gesto di solidarietà, un atto di tradimento, si rianimano come cose presenti.
Il rombo dei cannoni degli alleati si udiva già in città. Le brigate partigiane che operavano sui monti circostanti erano scese nei dintorni più prossimi di Firenze con una rapida marcia di avvicinamento: la «Lanciotto» e la «Sinigaglia» dal Pratomagno e dal San Michele scesero alle pendici dell'Incontro a sud di Firenze, per attaccare alle spalle i tedeschi, mentre la «Caiani» e la «Fanciullacci» erano scese dal monte Morello e dal monte Giovi a Fiesole, a Settignano e a Cercina per prendere tra due fuochi i tedeschi in ritirata.
I colpi dei G.A.P. in città avevano causato serie perdite ai fascisti; Bernasconi, Nocentini, Manganello e Carità non si sentivano più sicuri perché i patrioti li attaccavano nelle loro stesse tane. Le squad[...]

[...]» e la «Sinigaglia» dal Pratomagno e dal San Michele scesero alle pendici dell'Incontro a sud di Firenze, per attaccare alle spalle i tedeschi, mentre la «Caiani» e la «Fanciullacci» erano scese dal monte Morello e dal monte Giovi a Fiesole, a Settignano e a Cercina per prendere tra due fuochi i tedeschi in ritirata.
I colpi dei G.A.P. in città avevano causato serie perdite ai fascisti; Bernasconi, Nocentini, Manganello e Carità non si sentivano più sicuri perché i patrioti li attaccavano nelle loro stesse tane. Le squadre di azione si moltiplicavano per la partecipazione alla lotta di larghe masse di popolo: comunicazioni interrotte, sentinelle sui ponti dell'Arno colpite, automezzi distrutti o sequestrati, ingenti quantità di macchine e materiale delle fabbriche sottratto alla distruzione dei tedeschi. Gli operai della Galileo, della Pignone, e di tante altre fabbriche incrociavano le braccia e si preparavano ad assumere il controllo delle aziende.
I fascisti, incapaci di combattere a viso aperto, compivano intanto le ultime atrocità: [...]

[...]ruzione dei tedeschi. Gli operai della Galileo, della Pignone, e di tante altre fabbriche incrociavano le braccia e si preparavano ad assumere il controllo delle aziende.
I fascisti, incapaci di combattere a viso aperto, compivano intanto le ultime atrocità: Elio Chianesi ucciso barbaramente il 13 giugno; la famiglia Romo e la prof.ssa Cox barbaramente assassinati; ai primi di luglio Bruno Fanciullacci viene torturato e ucciso; il 17 luglio è compiuta la strage di piazza Tasso con l'uccisione di Aldo Arditi, Igino Bercilli, Umberto Peri, Corrado Fritelli e del piccolo Ivo Poli, di 7 anni, oltre a molti feriti.
La rabbia dei fascisti si sfogava sugli inermi, sui prigionieri. Ci si abbandonava ad ogni sorta di violenze e di saccheggi. Oramai la vita della città era paralizzata, i tedeschi sparavano sui passanti, impedivano il seppellimento dei morti. La battaglia si svolgeva in un clima arroventato.
Il 20 luglio l'Azione Comunista scriveva: «Popolo fiorentino, se non prendi le armi, se son insorgi per cacciare i tuoi carnefici, per difende[...]

[...]ortati e uccisi, non ti illudere sul fatto che i tedeschi hanno detto essere, la tua, città aperta. E' una loro menzogna, una loro manovra. Non è aperta una città piena di truppe in completo assetto di guerra, di armi, di munizioni, di comandi, non è aperta una città attraverso la quale transitano colonne e colonne di militari; non è aperta una città esposta al saccheggio quotidiano, agli abusi di ogni genere, alle razzie continue, agli oltraggi più volgari.
Popolo fiorentino, non dare ascolto alle voci di pacificazione, di accordi, di tregue, che sono smentite di ora in ora dai fatti brutali che avvengono fra le tue mura, dal contegno dei soldati tedeschi, da quello provocatorio dei loro sicari in camicia nera che tentano di far nascere incidenti per sfogare la brama di sangue che li agita; chi tratta coi tedeschi, fa il giuoco loro e quello dei fascisti, li asseconda nella turpe manovra di addormentare la popolazione per portare a termine, indisturbati, i propri piani criminosi.
Le iene tedesche si avvicinano nella loro ritirata a Fir[...]

[...]e che chiunque si metterà al servizio di tali mestatori, sarà considerato un traditore e verrà, come tale, passato per le armi».
E' in questo clima di incubo e di terrore che il comando tedesco, con il consenso dei fascisti, emise il 29 luglio l'ordinanza che obbligava la cittadinanza ad abbandonare le proprie abitazioni sulla riva destra dell'Arno nel centro della città, entro le ore 12 del 30 luglio. Le ore crepuscolari del giorno 29 furono le più febbrili, le più angosciose: cittadini ignari e inermi correvano per ogni senso per cercare un parente, per mettere in salvo un oggetto (i tedeschi avevano ordinato di lasciare i mobili), famiglie intiere peregrinavano per trovare un luogo ove posare un materasso. Intanto gli uomini politici dirigenti il movimento patriottico prendevano gli ultimi accordi, stabilivano i contatti, davano le direttive sulla tattica da seguire per preparare l'attacco decisivo contro i tedeschi.
Il 3 agosto il comando germanico proclamava lo stato d'assedio e nessuno poteva più uscire dalla propria casa. Come era stato previsto e[...]

[...]ttere in salvo un oggetto (i tedeschi avevano ordinato di lasciare i mobili), famiglie intiere peregrinavano per trovare un luogo ove posare un materasso. Intanto gli uomini politici dirigenti il movimento patriottico prendevano gli ultimi accordi, stabilivano i contatti, davano le direttive sulla tattica da seguire per preparare l'attacco decisivo contro i tedeschi.
Il 3 agosto il comando germanico proclamava lo stato d'assedio e nessuno poteva più uscire dalla propria casa. Come era stato previsto e denunciato dal C.T.L.N., i tedeschi e i fascisti, nella notte fra il 3 e il 4, si ritirarono di qua dall'Arno e minarono i ponti di S. Niccolò, alle Grazie, S. Trinita, alla Carraia, della Vittoria e tutta la zona intorno al Ponte Vecchio, di qua e di là dal fiume. La notte si udirono i primi boati dello scoppio delle mine. La mattina alle 5, altre esplosioni scossero la città. I ponti e Por Santa Maria erano saltati in aria.
Di qua d'Arno si diffuse nella città un clima di squallore e di morte. Nessuno poteva uscire di casa, neanche per se[...]

[...] si diffuse nella città un clima di squallore e di morte. Nessuno poteva uscire di casa, neanche per seppellire i morti. Fin quando sarebbe durata quella agonia? Ancora un giornale clandestino, diffuso attraverso staffette sanitarie e vigili urbani l'8 agosto chiama il popolo alla lotta:
Senza pane, senza fuoco, senza luce, senza medicine, senza acqua; fra il boato delle mine, il rombo dei mortai, il sibilo dei proiettili, che cosa ci può oramai più spaventare? Braccati per le strade, colpiti nelle abitazioni, mitragliati sulle porte di casa, di che cosa dobbiamo aver più paura? Quando l'attinger l'acqua, il ricevere viveri, il camminare, il respirare è divenuto un rischio, che cosa ci può più trattenere? Basta con questa esistenza di angoscia e di terrore! Basta col sopportare, con l'attendere, col terrore. Basta con la criminalità dei tedeschi! Basta con la mostruosità dei nazisti! «Non dimenticherò mai quei momenti. Per incarico del movimento della Resistenza mi portai in Palazzo Vecchio, che era chiuso e presidiato dai vigili urbani. Accompagnato dal comandante, sfondai la porta e salii sulla prima ghirlanda della Torre di Arnolfo.
Uno spettacolo desolante apparve ai miei occhi: forse fui il primo a vedere i nostri ponti sull'Arno crollati, accasciati nell'acqua! Tutta l'antica[...]



da Roberto Guiducci, Pamphlet sul disgelo e sulla cultura di sinistra in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]si nell'avvio alla soluzione pratica del problema stesso, nell'inizio della sua realizzazione concreta. Nella zona incerta, ed alle volte diffidente, del trapasso, pensavamo però anche che riassumere e teorizzare i vecchi discorsi poteva costituire un aiuto al passaggio, una indicazione sui modi di esso, un contatto fecondo perché ultimo, un addio positivo.
Ognuno sa come i vecchi discorsi sul « problema della cultura » portassero con sé spesso più o meno inconsciamente una sorta di tradimento: mentre si sussurrava (o si gridava) sulle necessità della cultura, queste necessità non si concorreva poi ad avvicinarle, a farle, a oggettivarle. Spesso, quanta più il discorso dichiarava la pretesa di una presenza indispensabile, tanto più la realtà si riduceva al ripiegamento, alla chiusura, all'assenza.
Cominciare a farla, dunque, questa nuova cultura di sinistra, non. prospettarla, era l'unica possibile uscita da questa vite senza fine, da questo sterile accumulare prove da parte della cultura contro un politicismo eccessivo, che si ribaltava come segno inequivocabile dell'impotenza della cultura stessa. Per questo (per parecchi amici) l'accenno conclusivo ai vecchi discorsi fu un modo di trovarci subito d'accordo, una strizzata d'occhi.
Lo scritto « Sulla dialettica politicacultura » (Nuovi Argomenti, n. 1516, 1955) non e[...]

[...]i subito d'accordo, una strizzata d'occhi.
Lo scritto « Sulla dialettica politicacultura » (Nuovi Argomenti, n. 1516, 1955) non era dunque che un modo di abbreviare rapidamente la strada, di evitare, prevenendola, la presunzione di un manifesto, di fissare nella paradossalità di uno pseudomanifesto l'esperienza fatta, ed insieme la conferma che il frutto migliore di questa esperienza era la persuasione che la proposta individualistica non aveva più senso, e la
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protesta neppure, ma occorreva materializzare il problema della cultura in cultura di fatto, cominciare ad operare, anche in questo campo, la realizzazione del proprio pensiero.
Insomma, si trattava di gettar via la scala di cui (pur con la vecchia terminologia e con il vecchio modo individualistico) ci si era serviti per salire al piano superiore.
Se dunque si può dire che il primo passo é stato fatto, che le intenzioni si stanno avviando ad una traduzione in atto, che l'organizzazione della cultura di sinistra sta uscendo in qualche primo tentativo dalle [...]

[...]lavoro collettivo, facciamo attenzione. Non scambiamo ancora una volta il da farsi con il già fatto, la buona volontà con il risultato, lo stimolo con il conseguimento, l'allontanarsi o il rallentarsi di ostacoli con l'averli superati. Di qui appunto prendono le mosse le pagine che seguono, che non sono altro che un « collage » di tesi sostenute in discussione con amici comunisti, socialisti e indipendenti di sinistra, somma di discorsi nati non più sul « perché e se fare », ma sul « come fare facendo ». E in questo senso (e solo in questo) il continuare a parlare della cultura di sinistra ci sembra possa trovare ancora una giustificazione.
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Inutile dire che le sfumature delle varie posizioni sui criteri e sui modi del lavoro da compiere sono estremamente numerose e complesse, anche perché legate a problemi particolari, ad angoli di prospettiva derivanti dalle condizioni e dai caratteri della propria attività specifica.
Senza dubbio però un elemento piuttosto diffuso e comune a molti é la larghezza dell'interpretazione del disgelo,[...]

[...]o senso (e solo in questo) il continuare a parlare della cultura di sinistra ci sembra possa trovare ancora una giustificazione.
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Inutile dire che le sfumature delle varie posizioni sui criteri e sui modi del lavoro da compiere sono estremamente numerose e complesse, anche perché legate a problemi particolari, ad angoli di prospettiva derivanti dalle condizioni e dai caratteri della propria attività specifica.
Senza dubbio però un elemento piuttosto diffuso e comune a molti é la larghezza dell'interpretazione del disgelo, presentato a nostro avviso troppo spesso a maglie eccessivamente larghe. Così accade che la resistenza effettuata fino a poco tempo fa a questo stesso tipo di problemi, alle volte si rovesci all'improvviso nell'estremo opposto: si dà per scontata la questione del rinnovamento della cultura di sinistra ed in sostanza si afferma che le possibilità sono a portata di mano, che é, se mai, la lentezza degli intellettuali a non afferrarle.
Ma se si chiarisce con esattezza che la funzione dell'organizzazione della cultur[...]

[...]ad approfondire cause precise e tracciare prospettive rigorose si é ancora assai poco inclini.
Così il disgelo rischia di confondere e slabbrare una situazione tormentata, anziché risolverla a fondo; e non possiamo nascondere una certa preoccupazione proprio quando sentiamo affermare che, se è vero che la cultura di sinistra era ben al di sotto delle necessità della lotta, la risoluzione del problema è ormai estremamente facile e, nella nuova e più duttile situazione, consiste semplicemente nell'impegno degli intellettuali stessi, che si mettano finalmente a lavorare sul serio, che occupino il loro posto, che esplichino finalmente e con concretezza il loro compito, ottenendo così i risultati necessari.
Senza prendere qui le difese degli intellettuali (difesa che su piano generale non avrebbe neppure senso) e ricordando francamente i loro, (i nostri) torti, vorremmo solo obbiettare, anche a costo di passare per cacciatori di complicazioni, che la soluzione non pile, essere né così semplice né così facile. Né essere immediato e spontaneo[...]

[...] i risultati necessari.
Senza prendere qui le difese degli intellettuali (difesa che su piano generale non avrebbe neppure senso) e ricordando francamente i loro, (i nostri) torti, vorremmo solo obbiettare, anche a costo di passare per cacciatori di complicazioni, che la soluzione non pile, essere né così semplice né così facile. Né essere immediato e spontaneo atto quantitativo di buona volontà, né frutto passivo del disgelo (condizione se mai più
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favorevole, non, di per sé, raggiungimento di risultati). In breve, se in questi mesi si è aperta una nuova situazione politica, non pensiamo che la risoluzione del problema della cultura di sinistra ne possa costituire un semplice ed automatico corollario.
E questo perché, come vedremo, il problema non è di allargare o sbloccare qualcosa che già esiste, ma di costruire pazientemente dalle radici qualcosa di diverso.
Se facessimo rapidamente insieme un'analisi degli ultimi dieci anni di attività culturale di sinistra vedremmo che si é sempre andati dicendo nei nostri p[...]

[...]e facessimo rapidamente insieme un'analisi degli ultimi dieci anni di attività culturale di sinistra vedremmo che si é sempre andati dicendo nei nostri partiti che le vecchie forme della cultura dovevano essere abbandonate per altre nuove e (a differenza di quanto ora si comincia, come abbiamo visto sopra, a denunciare) che queste nuove forme erano state in definitiva realizzate, che il problema era ridotto, se mai, a rendere il lavoro culturale più efficiente, a trattare alcuni temi piuttosto che altri, ecc.
Il discorso è sempre stato dunque discorso sui contenuti particolari, ben raramente, e mai a fondo, discorso sulle forme, cioè sulla organizzazione della cultura, soprattutto nei confronti dell'organizzazione politica (1).
(1) Qui conviene forse ripetere che, nel corso dello scritto, per politica e cultura di sinistra non si intendono due fatti diversi, ma due aspetti diversi di quell'unità che è l'ideologia. La differenziazione non è per contenuto od oggetto che è sempre il medesimo: la realtà economicosociale, ma per dinamica di ricerca, per modo di procedere nel pro[...]

[...]cina » o citomania dei classici, ecc.
E certamente non accenniamo qui a, questa parte negativa per riportare a galla penose situazioni che riteniamo chiaramente abbandonate (2), ma per rendere esplicito come da un determinato tipo di orga
di tutti gli interventi a tutti i livelli, così per cultura marxista non s'intende solo l'aspetto dell'alta cultura, ma anche quello delle competenze specifiche e particolari a qualsiasi livello, come andremo più avanti meglio chiarendo.
L'accento del discorso cade sugli intellettuali solo e proprio in quanto strumenti responsabili di elaborazione della cultura, come i dirigenti di partito lo sono per l'elaborazione della politica, senza con ciò naturalmente negare la possibilità della compresenza delle due responsabilità quando questo positivamente accada.
(2) L'analisi di questi fatti va tuttavia, a nostro avviso, francamente effettuata, ma in sede opportuna. Due sono gli opposti pericoli di affrontare in modo errato la questione, modi che rapidamente potremmo definire: « idealistico » e « cristia[...]

[...]uesto tipo di interpretazione gli errori cadono in certo modo fuori della storia, sono scarti, rottami. Ma qui la concezione idealistica prende la mano: la storia si riduce ad una parte della storia, quella positiva, lineare, coerente e con tutti i documenti in regola; l'altra si elimina, si liquida. I panni sporchi si gettano via, non si lavano neppure in famiglia.
L'altro modo, quello « cristiano », pretende invece la confessione dei peccati. Più che l'indirizzare in modo nuovo il lavoro, ci si preoccupa della dichiarazione dei torti, si crede che sia doveroso ottenere questo esito per riscattare la storia. Poi, giudici e giudicati, salvatesi reciprocamente le anime, si possono quietare.
Ma la concezione marxista della storia è ben più drammatica: gli errori non si riparano trasponendoli fuori o al di sopra del corso storico, gli errori restano un fatto, sono, in quanto avvenuti, irriducibili.
Il loro superamento può essere, a questo punto, solo dialettico, cioè un andare oltre
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nizzazione della cultura non possono derivare che corrispondenti risultati.
E i risultati sono quelli che sono se dopo dieci anni l'interessantissima e seria inchiesta sulla cultura condotta da Cesarini e Onofri sul Contemporaneo approda a qualificarli quali: « tramonto dell'idealismo filosofico, attualità dell'antifascismo, b[...]

[...] notevolissimo ricupero per prendere in contropiede il netto passo in avanti della classe operaia e contadina effettuato nel` dopoguerra con un imponente sviluppo quantitativo.
Di fronte al non indifferente bagaglio delle nuove sociologie, delle nuove tecniche economiche, delle nuove estetiche, delle nuove filosofie, sfornate da un lavoro collettivo soprattutto americano che non aveva mai visto l'uguale, ci si ritrovò balbettanti (non potendosi piú dinanzi ad una situazione di fatto giocare la rozza carta di dichiararne la nullità e l'inesistenza), provinciali, impreparati. Si propose finalmente di studiare i principi primi delle armi dell'avversario quando esse già sparavano all'impazzata facendo vuoti nel proprio schieramento. I politici stretti, esecutivi, erano certamente in grado di presentare apparentemente le carte in regola. A loro si dovevano l'estensione su scala nazionale
che tenga conto delle maggiori difficoltà, della più onerosa pesantezza che viene ad opporre una realtà che contiene i solchi, le tracce degli errori stess[...]

[...]la rozza carta di dichiararne la nullità e l'inesistenza), provinciali, impreparati. Si propose finalmente di studiare i principi primi delle armi dell'avversario quando esse già sparavano all'impazzata facendo vuoti nel proprio schieramento. I politici stretti, esecutivi, erano certamente in grado di presentare apparentemente le carte in regola. A loro si dovevano l'estensione su scala nazionale
che tenga conto delle maggiori difficoltà, della più onerosa pesantezza che viene ad opporre una realtà che contiene i solchi, le tracce degli errori stessi.
Di qui la via, a nostro avviso, autentica: quella della ricostruzione storica del movimento operaio «fino al giorno prima » con i suoi successi, i suoi vantaggi, le sue difficoltà, i suoi errori.
Se davanti agli avversari occorrerà nonostante tutto dichiarare ancora sprezzantemente il nostro diritto di non accettare le loro critiche interessatamente stravolte, all'interno di noi stessi è indispensabile l'aggiornamento storiografico su piano strettamente scientifico. E del resto solo in q[...]

[...]travolte, all'interno di noi stessi è indispensabile l'aggiornamento storiografico su piano strettamente scientifico. E del resto solo in questa sede e con questo metodo che anche dagli errori si può cavare dialetticamente il succo dell'esperienza. E poiché i due piani (verso l'esterno, verso l'interno) dovranno essere probabilmente spesso distinti fra loro, non è detto che I'articolazione fra politica e cultura non possa giovare anche a rendere più semplice la risoluzione di questo così complesso problema.
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PAMPHLET SUL DISGELO E SULLA CULTURA DI SINISTRA
del Partito, la sua omogeneizzazione, la sua solida organizzazione, un ruolo giocato su piano internazionale. Essi avevano effettivamente sfruttata fino in fondo, diremmo all'ultima goccia, la forza ideologica che veniva dalla trádizione marxista. Ma avevano supposto un avversario pressoché immutabile e statico, anzi in continua involuzione, alla vigilia di una crisi. Improvvisamente se ne trovarono davanti uno diverso e rafforzato. Cioè anche una realtà economicosociale nuova d[...]

[...]avanti uno diverso e rafforzato. Cioè anche una realtà economicosociale nuova da studiare e da capire, da riafferrare e da dominare.
A questo punto su piano internazionale avvenne il disgelo. Fu una grossa vittoria della pace. Per un momento, anche all'interno la pressione dell'avversario comincia a diminuire, a mutare metodo.
Ed ora siamo a questo punto. Ma è inutile farsi delle tranquille illusioni: abbandonarsi ad una quieta attesa. La cosa più urgente da avvertire é che il disgelo deve avere una contropartita occidentale, e l'ha: la distanza, l'allontanamento delle speranze da un punto di soluzione radicale, il distendersi della tensione immediata, urgente, intransigente.
La borghesia ottusa morde il freno e sente freddo proprio ora, nel disgelo, e vorrebbe continuare la calda corsa che aveva cominciato cosl bene nella notte neomedioevale. Ma la borghesia intelligente si prepara a mettere ventimila lire nella prossima busta paga e l'operaio che le prende senza nausea è per il momento perduto.
Così mi pare valga la pena di ripeter[...]

[...]uppo di intellettuali marxisti che iniziassero questo lavoro. Individualmente qualcosa è stato fatto. Ma poco. Non è del resto possibile affrontare atomisticamente o a cerchio ristretto il lavoro necessario, nella sua vastità.
Poiché allora i Partiti di sinistra non sembravano accorgersi della urgenza di questo lavoro, pensavamo che l'iniziativa, purché fosse, potesse nascere all'esterno, benché accanto ad essi. Il « fuori » ci sembrava un modo più facile per aiutare il « dentro » ancora raggomitolato e incerto. Precisammo del resto fin da allora che il « dentrofuori » era solo una questione provvisoria. Oggi, il « dentro » ci sembra del tutto possibile. Ma la questione veramente importante, anzi ancor oggi essenziale, è il garantire istituzionalmente dentro il « blocco storico » di sinistra, partiti compresi, la formazione di un luogo di elaborazione culturale a servizio effettivo delle esigenze della base e liberamente dialettico nei confronti delle posizioni politiche nel loro svolgimento, soprattutto se costrette ai continui sbalzi [...]

[...]n diplomatico sulla cultura di sinistra, collocarsi una dialettica feconda fra l'aspetto d'intervento (politico) e quello di elaborazione (culturale) di quell'unico complesso che é l'ideologia marxista. Senza aver affrontato, anche per linee grandissime e problema tiche, questi quesiti di fondo, crediamo che non abbia certamente ormai senso parlare di una « questione » della cultura di sinistra.
Questi quesiti vanno dunque, come stiamo vedendo, più in là dei vizî di costume degli intellettuali di sinistra dentro e fuori il partito, vanno ben al di là della loro timidezza e della loro testardaggine a non occupare le sedie che la storia ha predisposto per loro. Il fatto é che portare avanti il marxismo non è cosa di poco conto: è portare avanti una civiltà in mezzo ad una civiltà contraria e vischiosa che pure vive, produce, si arrangia, che malgrado tutto ha sussulti, urti, scatti, invenzioni. In tutta questa vita che scompostamente pullula e contemporaneamente vermina occorre fare ordine, e per questo occorrono nervi saldi ed.. occhi be[...]

[...] un contrasto economicosociale diverso e complesso. Nessuno ci può conservare sottobanco i nostri valori. La conseguenza è che dobbiamo rifarceli pezzo per pezzo. Ciò significa che per le nostre lotte occorrono nuove armi pensate a fondo, preparate con pazienza, e nuovi slanci con cui rifare la nostra anima.
E poiché non sarà un bel cervello isolato a disegnare sul suo foglio di carta la nostra cattedrale gotica, bisogna mettersi insieme quanti più é possibile, con impegno preciso.
Abbiamo creduto tutti per un momento che camminare fosse già anche capire, anzi che il camminare francamente fosse l'unico modo di capire bene. Non disconosciamo questo fatto. Abbiamo soltanto scoperto che é più complicato. Ecco tutto.
Si continui dunque politicamente a camminare per capire bene, ma si riprenda anche culturalmente, moralmente, a capire per camminare bene.
Camminare con una civiltà nuova in mezzo ad una vecchia é certamente una grossa avventura. La nostra ideologia non era forse neppure completamente preparata per camminare con nuova civiltà in una pur nuova civiltà. Noi altri abbiamo una strada ancora più complessa, dunque. E può darsi il caso che la si debba percorrere senza traguardo per un tempo anche molto lungo. E ogni viaggio ha il suo rischio, ogni tentativo può culminare in una esperienza abortita. Che si arrivi non è detto. Non ci sono garanzie alle garanzie che la storia possa svol gersi, aprirsi in avanti. La forza delle cose non ci darà di più di quel che ci ha già dato. Ogni nuovo passo innanzi non potrà essere ottenuto che con precisa fatica e deliberazione.
Che gli uomini della cultura di sinistra si mettano insieme é un aspetto importante dell'« aver capito », è il punto preliminare, é la chiave. della scoperta del nuovo significato della cultura. La nuova cultura non può essere una cultura atomistica, individualistica, separata. La tradizione ci risucchierebbe. Le nostre parole si capovolgerebbero nello specchio delle parole dell'avversario. L'uomo é i suoi rapporti sociali. L'uomo nuovo sono nuovi rapporti sociali. La nuova [...]

[...]pensare, di vedere e di fare il mondo.
Quando qualche amico comunista o socialista, come abbiamo accennato in principio, ci dice ormai esplicitamente che, pur con tutta la loro buona volontà, con tutta la loro autentica rivolta morale, molti intellettuali di sinistra hanno conservato in questi anni una posizione che é tradizionale dell'uomo di cultura italiano, estraneo alla realtà, legato ad una cultura che é letteraria ed umanistica nel senso piú limitativo della definizione, non interessato e non impegnato in un dibattito vivo neppure di quelle strutture che condizionano, limitano ed impediscono la sua stessa attività, tocca il segno, fa centro. Ma spesso non ne deduce forse tutte le conseguenze. Se é vero che la cultura di sinistra non ha trovato una sua nuova forma di organizzazione, ció vuol dire che non è ancora una nuova cultura o, meglio, che lo é non in senso originale creativo, ma in senso prevalentemente didascalico e ripetitivo di una cultura originale precedente. Non tosi era nei tempi vivi del movimento operaio. Nel parti[...]

[...]pena di insistere molto. Se è vero che metà degli strumenti di ricerca é in mano alla borghesia che detiene le grandi biblioteche, gli istituti, i laboratori,
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ecc., l'altra meta é in mano ai partiti di sinistra, alle loro raccolte di dati, statistiche ecc., ed alla loro possibilità di effettuare indagini su larga scala valendosi di una organizzazione estesissima e capillare.
Ma per afferrare più a fondo la questione dell'organizzazione moderna della cultura di sinistra, occorre procedere anche da un altro lato. Il grosso problema di risolvere il dualismo fra universale e particolare, fra pianificazione e autonomia, fra orientamento generale e fatto speci
fico, porta in primo piano la questione della specializzazione.
Marx non attacca mai la specializzazione in sé, come ricorda con esattezza Galvano Della Volpe, « é lo spirito che sta dietro la specia lizzazione e la tecnica produttiva borghese che Marx intende colpire, è il suo carattere di tecnica estraniata dall'uomo, donde la o[...]

[...]a come uomo di cultura), la seconda che lo specialista non é, per il fatto di possedere le massime capacità nel suo particolare ramo, un dirigente politico, anche limitatamente al suo. settore. Deve esistere un punto di travaso, un luogo di confluenza di questi due aspetti, un piano dove l'accordo fra tutti . gli uomini che
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fanno ciascuno il proprio lavoro e costruiscono la loro propria vita si realizza democraticamente al più alto livello possibile.
Ma ciò non pue) avvenire per semplice buona volontà, buonsensismo, tranquilla tolleranza.
Le nuove prospettive vanno allontanando la primordiale figura del condottiero, sintesi della forza e dell'intelligenza. La sua monolitïcità si frammenta, si articola, assume proporzioni più modeste.
La grandezza in Stalin chiude definitivamente un'epoca. E il suo atteggiamento appare già quello di un epigono. Malenkov e Bulganin non sono « totali », non sono filosofi (e la filosofia sovietica riprende il suo ruolo specifico). Hanno bisogno di altri.. Si costruiscono tavole rotonde. Inizia il lavoro collettivo. Politica e cultura cominciano a dialettizzare. E dialettizzano come figure separate non perché siano due cose diverse, due provincie, due corporazioni, ma perché la cultura sta guadagnando il suo riconoscimento, sta conquistando la sua pariteticità.
E la lenta e faticosa[...]

[...]e é propria del lavoro singolo, condotto a fondo. Tagliarla dal generico, dalla presunzione urbanistica astratta, dai grandi schemi. Risentire la propria vita personale, il proprio peso d'uomo, la propria sensibilità morale, la propria coerenza come forze decisive, importanti, prime. Avere la certezza che la possibilità di capire il proprio pezzo di mondo é elemento insostituibile e indispensabile ad una visione del mondo. E per questo che non é piú possibile che la propria umanità venga portata su e giù per l'Europa nelle valigie diplomatiche. In questi ultimi dieci anni abbiamo tutti perfettamente capito che la politica internazionale non é che una parte di quella parte della politica che é la strategia. Quel che le é dovuto è in proporzione.
Un amico, che é stato recentemente in Unione Sovietica, fece una domanda di estrema acutezza ad un gruppo di giovani_ intellettuali :
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Voi credete ancora alle mete finali? Si crede in URSS al raggiungimento delle mete finali? ». Ci credevano, [...]

[...] parlano con serena chiarezza M. Cesarini e F. Onofri nel Contemporaneo (« Un'esigenza comune », n. 31, 681955), sarebbero inevitabili. Se invece la distinzione ha un senso di pariteticità, consente il discorso, lo ascolta, é pronta ad una dialettizzazione, allora c'é da sperare bene, si può chiedere che la timida espressione usata si faccia concetto esplicito, atteggiamento, si irrobustisca organizzativamente, serva per l'avvenire.
Accenneremo più avanti al contenuto della « risoluzione ». Prima di tutto vorremmo fare una osservazione, che è anche la premessa al discorso sul contenuto. In realtà i termini del problema dell'« ideologia dei monopoli » erano noti da anni anche in Italia.
Molti intellettuali di sinistra se ne erano occupati attivamente, tanto che fra gli studiosi più insigni della materia emergono alcuni professori universitari iscritti al Partita comunista. Ma ciò che più conta è il fatto che gli operai di diverse industrie italiane del Nord avevano cominciato nell'ultimo biennio ad avvertirne la pressione e a capirne il senso. Ma le vie di comunicazione per questo messaggio non erano aperte. Mentre già il fenomeno si sviluppava vigorosamente, non se ne prendeva ancora atto: una rigida visione attendistica di una crisi del capitalismo non permetteva di coglierne le riprese. La sottovalutazione del Problema portò alla perdita di tutto un tempo prezioso nel quale l'avversario poté tranquillamente annodare e stendere le reti. Quando queste furono tirate, precipit[...]

[...]ia di tutte le cose risapute e ovvie, e si rimasticava la tristezza dei ritardi.
Sui vari esami critici ci sarebbe invece molto da dire. Si può notare
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che vengono identificati fenomeni diversi senza vederne le distanze e quindi le caratteristiche: urbanistica con architettura, ricerche di logica pura con espedienti demagogici, correnti perlomeno laiche ed antimetafisiche con il clericalismo più deteriore; soprattutto che non si approfondisce la differenza essenziale fra risultato scientifico oggettivo e le svariatissime mistificazioni ideologiche possibili, quindi fra ciò che, malgrado le sovrapposizioni, é scienza e ciò che in ogni caso scienza non è e non sarà.
Si può rispondere naturalmente che questa critica è eccessiva per un programma a grandi tratti, steso per indicare un orientamento politico di massima. Ma è ben qui che i conti non tornano e che si ricade sempre nella stessa incertezza. Che degli specialisti delle varie materie non abbiano messo mano rigorosamente alla ste[...]

[...]tto Croce (e di Giovanni Gentile) aveva spezzato. Voi studiosi marxisti commettete un errore combattendo contro il nuovo indirizzo, che esprime invece, e realizza per quanto si è detto, una delle vostre esigenze. Io credo si debba rispondere, mettendo i punti sulle `i', che la deformazione machista, pragmatista, ecc., delle scienze naturali portate all'estremo dal neopositivismo non è, in realtá, in contrasto con l'idealismo italiano classico; è piuttosto, anzi!, un sistematico sviluppo della impostazione idealistica del Croce e del Gentile a. Dove si vede come si possa prendere una strada estremamente dubbia e probabilmente chiusa in un campo specialistico, non volendo curiosamente tener conto proprio dell'opinione di chi, appunto, ne ha competenza specifica. Abbiamo citato questo episodio non per se stesso, ma per i suoi sviluppi singolari e positivi. Alicata, con impostazione intelligente, lasciò il passo nella risposta ad uno specialista, Galvano della Volpe, che chiari facilmente i termini esatti del problema e, ciò che più conta, a[...]

[...]trada estremamente dubbia e probabilmente chiusa in un campo specialistico, non volendo curiosamente tener conto proprio dell'opinione di chi, appunto, ne ha competenza specifica. Abbiamo citato questo episodio non per se stesso, ma per i suoi sviluppi singolari e positivi. Alicata, con impostazione intelligente, lasciò il passo nella risposta ad uno specialista, Galvano della Volpe, che chiari facilmente i termini esatti del problema e, ciò che più conta, apri prospettive moderne di studio e di meditazione, pur rimanendo strettamente nel campo marxista.
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monopoli, ma non esattamente in questi termini, soprattutto se la proposta di un superamento degli attuali limiti della cultura di sinistra a appare necessario non soltanto per consolidare ed estendere lo schieramento unitario di tutte le forze che si battono per la libertà della cultura italiana, ma anche ai fini dello sviluppo del marxismo, della conquista dei nuovi intellettuali e soprattutto di tecnici al Partito e del rafforzamento ideologico della classe operaia[...]

[...]tenza, e a cui possano partecipare sul terreno rigorosamente scientifico. Per questa via si può far comprendere a questi tecnici che un processo storicistico di demistificazione delle scienze, cioè una operazione sottile di liberazione dalle incrostazioni reazionarie ad esse sovrapposte da zelanti interpreti, da politicanti astuti, o dagli scienziati stessi impreparati in campo economicosociale, è un vantaggio per la scienza, un modo di renderla più agile, più spregiudicata, più fecondamente libera, oltre che un modo di arrivare ad una più progressiva visione generale del mondo.
Appunto in questo ci sembra consistere il far « uso creativo e non dogmatico del marxismo », farne « l'unica corrente ideale capace di riprendere e portare avanti la migliore erediti della cultura nazionale, legandola in modo organico alla parte più viva del pensiero moderno, europeo e mondiale e arricchendola continuamente dei sempre nuovi apporti del progresso tecnico, scientifico e sociale », che sono poi profonde, antiche e chiare parole di Gramsci tradotte, il che ci fa piacere e ci dà speranza.
Ma oltre che uno sforzo di apertura ideologica, occorre farne uno anche in senso organizzativo (« misure pratiche dovranno essere fin d'ora predisposte per meglio consentire questa partecipazione» dice sempre la risoluzione).
La cultura è al bivio, chiarisce R. Bianchi Bandinelli su l'Unità del 2 settembre 1955, e siamo d'accordo con lui. [...]

[...]si dicesse che insistere oggi ancora sul problema della cultura è un po' rifare i Feuerbach verso la religione, mentre si tratta se mai di fare un discorso direttamente politico su piano economicosociale, non potremmo che ammettere che l'obbiezione contiene molte ragioni.
(6) Accanto al tipo tradizionale di intellettuale occupato nelle scuole, nelle università, nelle case editrici, nelle biblioteche, si è andato formando nel Nord un tipo sempre più diffuso di uomo di cultura che lavora nell'industria, nelle imprese, nei servizi. Assorbiti per la massima parte dell'attività nel lavoro professionale si pone a questi intellettualimanagers l'alternativa o di accettare l'alienazione della propria specializzazione o di reagirvi sul piano ideologico, conservando il carattere pragmatico della propria competenza specifica, ma riuscendo a trasporla in una diversa prospettiva póliticosociale. Ma se per questi intellettuali il loro stesso lavoro è per così dire un grande laboratorio, d'altra parte il tempo di libertà che rimane loro è così esiguo c[...]

[...]rimane loro è così esiguo che il passaggio dal mero campo tecnico a quello metodologico (in senso non astratto, ma storicistico) non è possibile se non attraverso uno scambio collegiale organizzato.
Come si vede, il problema dell'organizzazione della cultura raggiunge qui un aspetto di estrema immediatezza e chiarisce anche quale decisiva importanza avrebbe un risultato positivo in questo senso per la formazione di quella « nuova cultura a, non più soltanto umanisticoletteraria, ma organica in senso gramsciano, che ha ancora una vita tanto gracile e lenta in Italia.
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È ormai chiarissimo a tutti noi che nei dieci anni di guerra fredda. il problema essenziale era quello di resistere, ed é fuori di dubbio che la posizione di una cultura creativa, per sua natura costruttrice, era in contraddizione con una politica di « avant le déluge », a file serrate, sospettose, in agguato in arroccati caposaldi.
Fabbricare alcuni caposaldi già come case, cioè costruirli in modo che le strutture di guerra fossero già in nuce e nell[...]

[...]li. Per questo, come ognuno sa, discutere in certe congiunture poteva sembrare anche un po' tradire (anche se tradire poteva essere sotto altri aspetti il tacere). Ci limitammo a dire soltanto, ma continuamente che, se poteva sembrare un pericolo immediato il costruire i caposaldi come case, ad un certo punto tuttavia le sentinelle si sarebbero trovate esaurite e snervate da una così triste guarnigione senza prospettive e avrebbero potuto cedere più facilmente, al momento della lotta, davanti ad un nemico più abile e moderno, malgrado ìl loro cocciuto rimanere in posto. Ed a questo punto si può dire che si era giunti quando il grosso fatto nuovo, il disgelo, venne a interrompere un ciclo chiuso e precipitante.
Ora si aprono nuove possibilità, ci si rende conto che nei caposaldi gli uomini erano davvero spossati da una così lunga attesa, presi da una. incredibile stanchezza.
Ci puó risollevare il disgelo? Il disgelo, occorre vedere, sono in realtà più disgeli. Un disgelo fra Unione Sovietica. e Stati Socialisti, uno fra Unione Sovietica e partiti comunisti occidentali, e un disgelo fra Unione Sovietica e America e relativo mondo occidentale.
Il disgelo diplomatico orienteoccidente comporta la diminuzione del pericolo atomico, l'attenuarsi del logorio economico reciproco, il gioca complesso della coesistenza di due sistemi di vita diversi e contrapposti. La delegazione agricola sovietica ha cominciato ad affondare la faccia nelle angurie americane, la delegazione americana si é permessa di dare alcuni consigli sui colcoz, che sono stati di[...]

[...]ne spagnola, la quiete greca, l'impossibiità del riscatto tedesco?
È difficile che non sia così. Non ci sono grandi probabilità che l'America sopporti la perdita dell'Europa, senza rovesciare nuovamente la direzione della sua politica. Ancora una volta siamo legati al ricatto della pace, della sopravvivenza biologica. Ma i rapporti di disgelo fra sinistra europea e Unione Sovietica hanno una prospettiva diversa, aprono una porta.
L'URSS non ha più, in certo senso, bisogno della sinistra europea in senso strategico. Ha solo bisogno di amicizie, e quanto più alto sarà il livello del partito amico, tanto piú alto potrà essere il suo prestigio. La richiesta di fedeltà quantitativa può spostarsi in richiesta di appoggio qualitativo. Ciò corrisponderebbe per la prima volta anche ai nostri interessi più diretti.
Ma non c'è da sperare in una libera corsa. Il limite delle nostre possibilità rimane: la pace americana conta sulla nostra immobilità.
Per questo rientrano nell'ideologia reazionaria la facile euforia autonomistica, le prime voci sullo scioglimento del Cominform, l'allegria turistica dell'eventualità di una facile estensione del passaporto ai paesi
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orientali. Se c'è un vantaggio per noi é di poter essere oggettivamente, per la prima volta, in grado di stabilire rapporti paritetici con l'URSS, di poter non sciogliere, ma fare una Internazionale a tavola rotond[...]

[...] natura ». Ci vestiamo da civili e ci sembra di volare camminando con scarpe normali. Ma la tensione fra presente e avvenire rimane, ciononostante, irrimediabilmente contradditoria.
Se le dimensioni dell'attesa tendono ad allungarsi, se la speran
z deve farsi durissima pazienza, tentiamo la vita nuova nella vecchia, portiamo in profondità ciò che non ci é concesso in estensione. E abba
stanza chiaro che la politica immediata dovrà farsi ancor più diplomatica, tattica, calcolatrice di difficili e compromessi equilibri. Non è il caso che ancora una volta si giochino in questo senso tutte le carte. Se questo aspetto della politica, vediamo bene, non può coprire che
(7) È questa la tavola rotonda che veramente interessa: quella di sinistra. I dialoghi troppo aperti (aperti a tutti) per avere un senso devono necessariamente essere così generici da perdere precisamente molto di quel senso che si proponevano di avere. Per questo ad esempio la proposta di Sciolokhov per la creazione di « una tribuna di contatti creativi per tutti coloro ai q[...]

[...]i « una tribuna di contatti creativi per tutti coloro ai quali é cara la causa della letteratura contemporanea >t (riportata su Realtà sovietica, n. 1011, ottobrenovembre 1955) se (la un lato è senza dubbio un evidente segno positivo, e pub dare risultati sul piano distensivo, dall'altro, sul terreno dei contenuti, non copre tutte le necessità del problema. Fra i consensi italiani alla proposta (pubblicati sulla medesima rivista) senza dubbio il più esatto e centrato é quello di Franco Fortini che, pur convenendo sui vantaggi dell'iniziativa, Ione la pregiudiziale che « la creazione di un grande organismo internazionale e di un congresso dovrebbe seguire e non precedere una serie di contatti fra individui o piccoli gruppi qualificati ». Continuando un'idea, che pensiamo anche di Fortini, ci permettiamo di aggiungere che forse sarebbe opportuno che i responsabili della cultura di sinistra, prima ancora di aprire il discorso con tutti gli uomini di cultura, portassero avanti quello interno al « blocco storico » di sinistra, così che, dibat[...]

[...]ciamo scoperta l'altra, diamole corda.
Come un tempo si poteva dubitare che la politica degli avamposti esaurisse tutta la sinistra (e che, se mai, una forte costruzione culturale avrebbe consentito maggiore coscienza e resistenza a quella stessa politica e al di là di essa) si potrebbe ora considerare come una limitazione che la politica della coesistenza esaurisca tutta la sinistra (anche senza pensare che un rinnovato nutrimento di contenuti piú larghi la può meglio sostenere).
Oggi i rischi, del resto, sono anche maggiori. Il fantasma della pace è più modesto che il fantasma della rivoluzione. Lo spettro del comunismo può tornare nel vecchio castello. Il destino della sinistra europea è sempre più legato al capire la sua contraddizione ed a farla lievitare. Di qui un possibile accostare alla transigenza diplomatica il coraggio ideologico, un contrapporre alla perdita delle possibilità di radicali soluzioni di fondo la forza di un patrimonio morale. La resistenza al risucchio della vecchia vita è anticiparne nonostante tutto una nuova.
Per questo la questione dello sviluppo ideologico si fa in prima fila, diventa vicino ripensamento di una più gramsciana politica operaia. E ciò si innesta oggi in una situazione oggettiva più facile e rispondente. E si rendono attuali, come abbiamo vist[...]

[...]egato al capire la sua contraddizione ed a farla lievitare. Di qui un possibile accostare alla transigenza diplomatica il coraggio ideologico, un contrapporre alla perdita delle possibilità di radicali soluzioni di fondo la forza di un patrimonio morale. La resistenza al risucchio della vecchia vita è anticiparne nonostante tutto una nuova.
Per questo la questione dello sviluppo ideologico si fa in prima fila, diventa vicino ripensamento di una più gramsciana politica operaia. E ciò si innesta oggi in una situazione oggettiva più facile e rispondente. E si rendono attuali, come abbiamo visto, la distinzione fra politica tattica e politica operaia classista, l'articolazione fra politica nazionale e internazionale, il radicale modificarsi dei rapporti fra l'URSS e i partiti di sinistra occidentali verso un piano di pariteticità, il riconoscimento che l'avversario capitalistico ha raffinato i propri strumenti e che per controbatterlo ne occorrono nuovi e più approfonditi.
Matrice e garanzia di questo gioco più complesso: la dialettica fra politica e cultura all'interno del « blocco storico di sinistra n.
Tiriamo dunque pure le somme, annodiamo i capi del discorso. Se le prospettive sopra esposte hanno una qualche esattezza, la sinistra occidentale, nuovamente giocata sul piano della politica internazionale, ha una possibilità di guadagno nel capovolgersi della guerra fredda nella coesistenza. E la carta che la sua vecchia attesa le consente: contrapporre alla pace delle armi l'arma della critica, rifare il vecchio vestito tessendo dal di dentro la nuova tela, compiere il lavoro della talpa shakesp[...]

[...]vada in pezzi senza averlo pre
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visto, senza che si siano potute prendere le debite precauzioni. È:n questa piega il difficile segreto che l'empirismo politico americano non sa e non saprà cogliere, che la sociologia analitica non saprà rilevare, in cui le human relations si troveranno impigliate e stupefatte.
C'é forse dunque ancora una risorsa in Europa, coltivata e preparata in questi ultimi dieci anni nella sua parte piú sensibile: che la cultura di sinistra, fattasi forza ideologica di fondo come nuova organizzazione della cultura, possa essere il punto in cui si riesca a dissolvere la rigida contraddizione cui i tempi moderni paiono averci condannati.
È forse tenendo questo filo che é possibile pensare che passino eure: l'uomo di pensiero che avrà resistito alla seduzione di facili richiami dopo tanta solitudine e impotenza, l'operaio che avrà capito che la sua vocazione è ben oltre i referti di un test psicotecnico, il contadino che avrà sorriso del minuscolo campo sassoso concessogli dall'alto, sapendo c[...]



da Alan Lomax, Nuova ipotesi sul canto folcloristico italiano nel quadro della musica popolare mondiale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...] abitualmente partecipanti al concerto e il modo in cui esse cooperano fra di loro. Le circostanze in cui avviene il cantare, la funzione sociale e psicologica e il contenuto emotivo dei vari canti devono essere giudicati « in proprio » ma anche in rapporto alle parole del canto. Importantissimo è poi accertare come tali canti vengano appresi e da chi e come siano tramandati. La questione, certo, non si esaurisce qui, ma questi sono gli elementi più importanti dello stile musicale nel suo insieme.
Lo « stile musicale » si apprende come un tutto. Il membro di una cultura vi reagisce come ad una totalità. Togliete alla manifestazione uno dei suoi elementi costitutivi e la soddisfazione di cui essa è fonte per i1 partecipante declina. Inversamente la magia stessa della musica risiede nella virtù che possiedono i suoi elementi formali di rievocare l'esperienza musicale in tutta la ricca concretezza dei suoi particolari. È vero che un contadino andaluso, ad esempio, trarrà ben poca soddisfazione dal « cante hondo se non è all'osteria, seduto[...]

[...]tabilita. Il partecipante si sentiva allora tranquillo e felice. L'opera dei poeti e dei compositori locali si svolgeva strettamente entro i limiti di questa cornice stilistica, fonte di tranquillità e di sicurezza.
Un'arte così profondamente radicata nel bisogno di sicurezza di una comunità non dovrebbe, in teoria, essere soggetta a radicali mutamenti. E sembra che le cose stiano infatti così. Lo stile musicale ci appare come uno degli aspetti più costanti della cultura. se non pure il più costante. Religione, lingua, e persino molti aspetti dell'organismo sociale possono cambiare e tutta una nuova.. serie di motivi, ritmi di danza, disegni armonici pub essere adottata senza che lo stile musicale si trasformi essenzialmente. Sem brerebbe che soltanto i più profondi sconvolgimenti sociali, l'arrivo: di un altro popolo, l'adozione di un nuovo modo di vita oppure. l'emigrazione in una terra affatto diversa e una conseguente completa
assimilazione abbiano il potere di trasformare lo stile mu_. sicái, e anche in tal caso cib avviene attraverso un processo evolutivo Ohe rimane molto lento.
esempio istruttivo ci é dato dall'incrocio di stili musicali europei e africani nel nuovo, mondo. Ad onta dei secolari e profondi contatti nei vari ambienti delle colonie inglesi, francesi, .spa
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gnuole, olandesi e portoghesi, la musica folcloris[...]

[...]onie inglesi, francesi, .spa
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gnuole, olandesi e portoghesi, la musica folcloristica negra pub essere considerata come parte dello stile musicale africano, proprio a quel modo che i canti folcloristici dei bianchi in regioni di lingua diversa si possono ancora considerare connessi alle loro radici europee. Con ciò intendevamo dire che le diverse musiche af roamericane presentano tra di loro notevoli affinità e rassomigliano assai più alla musica africana che alle varie musiche delle culture dominanti.
Osservato da un punto di vista esclusivamente formale lo schiavo poteva sembrare musicalmente europeizzato. Aveva infatti adottato tra l'altro frammenti melodici, nuovi strumenti, una nuova serie di accordi; ma una tale analisi formale, condotta sulla base della notazione musicale europea, tradiva la realtà in quanto non teneva in debito conto gli importantissimi elementi stilistici.
La musica africana nei due continenti é in gran parte un prodotto di gruppo, quella europea in gran parte dell'individuo singolo. I negri fon[...]

[...]i aderisce. La musica negra é affatto poliritmica. L'europeo invece rispetta spesso un ritmo semplice e continuo oppure un ritmo rotto e vagante orientato verso la melodia. L'espressione facciale del negro quando canta é mute
NUOVA IPOTESI SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO 113
vole e drammatica; spesso il cantante ride mentre canta. Il volto dell'europeo invece si atteggia a malinconia, diventa una maschera o si irrigidisce, e quasi mai esprime più che una pacata serenità. I'l canto del negro manifesta apertamente l'attrazione per l'altro sesso, in forma ora scherzosa, ora ironica, spesso con un orgiastico abbandono. Il canto dell'europeo é solitamente nostalgico, malinconico, spesso profondamente tragico e deluso.
Sarebbe facile dilungarsi su queste antinomie; ma il concetto é ormai chiaro. Le generalizzazioni finora addotte dimostrano i rapporti di parentela che intercorrono fra le musiche afroamericane e quelle africane, e le ataviche differenze che le distinguono dalle varie espressioni del folclore musicale europeo con le quali es[...]

[...] in America.
Ambedue questi stili si sono modificati in seguito all'urto reciproco. Il negro, ad esempio, ha adottato l'armonia e molte melodie occidentali servendosene in maniera tipicamente africana. AIlorché divenne cristiano si convinse che il suo tradizionale atteggiamento di fronte al sesso era vile e peccaminoso. In America, come schiavo e anche dopo, fu costretto a mantenere una forma modificata di poligamia che, nello spirito dei negri più devoti, era fonte di profondi conflitti. Tutti i canti che non fossero religiosi erano sessuali e quindi peccaminosi e nessun cantante peccatore poteva appartenere all'unica stabile istituzione della comunità : la chiesa. I peccatori crearono i blues, uno stile di canto assolo simile al canto hondo e allo stornello ma più ironico e melanconico di questi due. Le parole dei blues genuini vertono sempre sull'impossibilità dell'amore ed esprimono l'odio cinico e la paura sorta fra i due sessi.
Questo canto lirico afroamericano tuttavia si conformava ai modelli africani. Era musica da ballo e nel decennio 193040 fu adottata dai bianchi che la diffusero in tutto il mondo.
Nell'epoca della crisi economica che sconvolse la vita rurale del Sud e provocò il tramonto del modo di vivere conforme alla tradizione puritana dei pionieri, fecero la loro apparizione i blues e il jazz considerevolmente segnati dall'influenza a[...]

[...]ALAN LOMAX
media nelle città rigettano totalmente la tradizione africana e anche i blues afroamericani. Ma si tratta soltanto delle famiglie completamente assimilate. Frattanto la tradizione dei blues è attivamente sostenuta da cantanti e suonatori bianchi nelle città che scorgono nel contenuto vagamente orgiastico di tale musica una via di scampo dal puritanesimo della classe media.
Questo che ho fornito è solo un frammento di un quadro assai più vasto, ma sufficiente ad illustrare diverse idee.
Ambedue gli, stili, africano ed europeo, sono entità dinamiche, connesse alle più profonde tradizioni emotive del rispettivo gruppo, entità che mutano col mutare di tali tradizioni, ma non senza opporre una grande resistenza. Mutando, esse danno origine ad un organismo musicale interamente nuovo, animato da una vita propria e fornito di una intima forza di resistenza ai cambiamenti.
Dopo aver ascoltato la massa di registrazioni giunte da ogni parte del mondo, ho steso una prima rozza lista delle famiglie musicali o meglio stilistiche esistenti nel mondo. Tale mia lista, in gran parte a motivo della scarsità di materiale relativo alla Unione Sovietica e all'Asia Orientale,[...]

[...], specialmente in oriente, equivale alla schiavitù.
2) Eurasatico Antico.
Quest'area comprende le Ebridi, il Galles, la Cornovaglia, regioni della Francia, la Spagna (a nord dei Pirenei), l'Italia (a:. nord degli Appennini), le Alpi, la Germania (?), la Cecoslovac
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chia, parte della Bulgaria e della Romania, la Russia meridionale ed il Caucaso, tribù primitive dell'India, parte del massiccio dell'Himalaya. Essa si estende anche più ad oriente; certamente anche nella Scandinavia e in Siberia ma non ho potuto ottenere materiale relativo a queste regioni.
In tutta questa zona il canto e la danza sono fondamentalmente corali. La voce viene emessa con la gola rilassata mentre la espressione del volto è vivace e mobile. Le melodie sono relativamente semplici e disadorne. L'unisono omogeneo é normale ed esistono molte forme di polifonia. Le primitive forme polifoniche sono frequentemente sommerse, ma la pronta accoglienza e l'adattamento dell'armonia moderna di queste regioni, indica la naturale inclinazione di tale gente ver[...]

[...]viene emessa con la gola rilassata mentre la espressione del volto è vivace e mobile. Le melodie sono relativamente semplici e disadorne. L'unisono omogeneo é normale ed esistono molte forme di polifonia. Le primitive forme polifoniche sono frequentemente sommerse, ma la pronta accoglienza e l'adattamento dell'armonia moderna di queste regioni, indica la naturale inclinazione di tale gente verso la pratica polifonica.
L'intonazione della voce è più bassa che nell'area eurasiatica, il tono spesso liquido, occasionalmente lo jodel e le voci di basso, rare in Eurasia, sono qui estremamente comuni. Lo stato d'animo espresso da questa musica, seppure spesso influenzato dal lungo contatto con lo stile eurasiatico e quindi tragico, raramente tocca il parossismo di dolore e di delusione presente in quest'area. Spesso, infatti, è allegro, teneramente sensuale e nobile.
L'area europea antica fu l'ultima conquistata dai grandi imperi del passato. In certe isolate zone di montagna, nelle isole ecc. é ancora presente una civiltà più antica, spesso [...]

[...]tremamente comuni. Lo stato d'animo espresso da questa musica, seppure spesso influenzato dal lungo contatto con lo stile eurasiatico e quindi tragico, raramente tocca il parossismo di dolore e di delusione presente in quest'area. Spesso, infatti, è allegro, teneramente sensuale e nobile.
L'area europea antica fu l'ultima conquistata dai grandi imperi del passato. In certe isolate zone di montagna, nelle isole ecc. é ancora presente una civiltà più antica, spesso comunale. La condizione della donna é di eguaglianza nel proprio campo e l'atteggiamento di fronte ai problemi del sesso é più liberale.
3) Americano Coloniale.
Oltre alle tribù indiane e alla popolazione afroamericana già descritta, quest'area comprende tutti i territori coloniali. Gli stati musicali in queste colonie corrispondono nell'insieme a quelli delle culture europee. In generale l'area ha carattere eurasiatico dato che l'influsso della Spagna e della Gran Bretagna vi predominano. In queste descrizioni bisogna sempre ricordare l'esistenza di svariate zone di frontiera e di speciali casi di assimilazione.
NUOVA IPOTESI SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO 117
4) Pigmoide.
Piccoli gruppi di tribù nell'Africa [...]

[...], nell'India centrale, nella regione centrale di Formosa e indubbiamente in altre aree di cui manca la documentazione.
Il concetto di cooperazione raggiunge qui la sua estrema espressione. Non solo il canto é concepito come attività di gruppo ma le melodie sono di frequente spezzettate in brevi frasi, ognuna cantata da un settore diverso del coro. Le melodie sono spesso in forma di canone. L'intonazione della voce è spesso alta, dolce e chiara, piuttosto puerile e le voci si fondono agevolmente sia nell'unisono che nella polifonia. In Africa il poliritmo è cosa normale.
5) Africano.
L'area comprende l'intera Africa negra, eccezion fatta per le isole di cultura pigmoide, le tribù convertite al Maomettismo o fortemente influenzate dalla cultura araba e la regione etiopica che appartiene al gruppo Eurasiatico antico. Tale area si estende anche a tutte le regioni del Nuovo Mondo dove esistono grosse comunità di negri. I'l reverendo Williams definisce quest'area col nome di « Bantù ».
La musica qui è prodotto di gruppo. Il coro si suddivi[...]

[...]mo volume dell'eccellente giornale della società musicale Africana, descrive lo stile musicale africano che, a suo parere, è affatto diverso dalla musica araba e rimane essenzialmente lo stesso malgrado le innumerevoli barriere linguistiche del mondo Bantu.
6) Australiano.
Le tribù primitive del continente con possibili tracce in Nuova Guinea. La musica è prodotta in comune ma tende ad alternare lunghi assodi aritmici a cori unisoni. La voce è piuttosto acuta e stridula e l'intonazione abbastanza bassa. Essa rimane nei limiti di un registro vocale e nel canto corale c'è la stessa fusione. Uno dei principali compiti di questa musica è di fare da accompagnamento ad elaborati balletti rituali. Ecco perché il controllo del tempo è particolarmente brillante, con raffinati passi di accelerazione e decelerazione. Canti spesso composti di brani di tempo contrastante. Gli strumenti sono rudimentali: bacchette ritmiche, un u bull roarer », cioè un bastone svuotato in cui l'esecutore canta un motivo ostinato in voce di basso. Lo stato d'animo esp[...]

[...]in forma drammatica. Gli strumenti hanno funzione principalmente ritmica. Molto ritmo è dato dal battere delle mani.
9) Amerindias.
Le regioni del Nord e del Sud America che sono sedi di tribú, escluse le aree di alta cultura nell'Altopiano delle Ande.
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Il canto può essere a solo o corale unisono. La voce di gola é spesso aspra, tende a conformarsi alla normale intonazione del cantante quando parla. Le voci maschili sono spesso piuttosto gravi. I cantanti manifestano la tendenza a muovere il capo avanti e indietro; la mandibola controllata senza rigidezza si apre per emettere le sillabe e si richiude leggermente di nuovo mentre la testa viene tirata indietro. Ciò produce l'impressione che il cantante mangi il motivo a brano a brano. I canti composti di sillabe prive di significato o di frasi rituali, durano spesso per delle ore e gli stessi esecutori sono capaci di continuare a cantare per notti e giornate intere. Il modo di cantare indiano sembra quello maggiormente orientato verso l'esercizio muscolare. La parola d'or[...]

[...]onseguire il maratoneta. I canti spesso comunicati nei sogni o in fase di stupore catalettico sono considerati come beni personali di grande valore ed hanno funzione rituale, magica e curativa. Gli spiriti degli antenati vengono evocati dal cantante nel corso di una « trance » in parte determinata dalla stessa monotonia dei motivi vocali ritmici e melodici. Polifonia e poliritmo s'incontrano di rado. I canti aritmici non sono rari. Gli strumenti piú importanti sono il tamburo a mano asiatico, le raganelle e i flauti primitivi. In certe regioni non. ci sono strumenti, i cantanti si attengono di solito ad un registro, ma alcune esecuzioni sono punteggiate da grida, mentre altre sembrano imitazioni di animali totemici.
Prima di concludere questa sbrigativa descrizione degli stili musicali folcloristici devo aggiungere qualche osservazione in merito agli strumenti. La tendenza primitiva è verso strumenti che si conformano al disegno della musica vocale. Ma vengono spesso adottati o inventati strumenti che sono in opposozione allo stile voca[...]

[...]
Gli strumenti sono parte della tecnologia della musica e possono diffondersi senza modificare in profondità lo stile musicale delle aree da essa invase. Lo stesso si può dire per quanto riguarda le melodie, la poesia, i sistemi di armonia e i ritmi. L'africano moderno ha adottato in anni recenti tutti questi elementi dall'Europa, ma ad onta di ciò, il carattere della sua musica rimane africano. Tale tesi sarà rafforzata quando saranno possibili più approfondite ricerche sugli incroci di culture musicali.
Veniamo quindi ai vari fattori dello stile musicale che .sembrano maggiormente fondamentali e attraverso i quali è più facile diagnosticare la musica di una certa area. In ordine di importanza, a mio modo di vedere, sono i seguenti:
1) Fino a che punto un canto costituisce un fenomeno di gruppo o individuale.
2) Il grado di fusione vocale nel canto corale e il grado di presenza o di assenza di polifonia.
3) Il carattere della voce e il modo in cui viene emessa.
4) La posizione e i movimenti del corpo del cantante, la tensione muscolare rivelata dalla gola e dall'espressione facciale.
5) La funzione della musica sia sociale che psicologica.
6) Lo stato d'animo rivelato dalla musica sia dal testo che dall[...]

[...]cale nel canto corale e il grado di presenza o di assenza di polifonia.
3) Il carattere della voce e il modo in cui viene emessa.
4) La posizione e i movimenti del corpo del cantante, la tensione muscolare rivelata dalla gola e dall'espressione facciale.
5) La funzione della musica sia sociale che psicologica.
6) Lo stato d'animo rivelato dalla musica sia dal testo che dalla melodia.
7) Fra tutti i fattori sociali ed emotivi di gran lunga i più importanti nelle regioni in cui ho condotto le mie ricerche sono: , la condizione della donna, il codice sessuale, il grado di tolleranza in merito al piacere sessuale e i rapporti di affetto fra genitori e figliuoli.
Queste idee erano in fase di sviluppo durante i sei mesi di
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studio dedicati ad una rassegna della musica folcloristica spagnola e furono integrate da osservazioni fatte nel corso delle registrazioni su nastro, in ogni parte del paese, dei diversi stili musicali. Cinquantacinque ore di registrazione e un anno di svariate indagini hanno contribuito a perfezionare[...]

[...]no inestricabilménte fusi. Gli strumenti sono il flauto, il tamburello, la chitarra, il tamburo arabo a sfregamento, le castagnette ed altri strumenti ritmici.
La Spagna Centrale, che comprende l'Estremadura, la Castiglia, il Leon e l'Aragona ha carattere eurasiatico con tracce Eurasiatico Antico, é stata profondamente influenzata dalla cultura del Medioevo.
Area monodica con qualche manifestazione di unisono eterogeneo. La voce castigliense è più aperta di quella meridionale, ma rimane tuttavia aspra, acuta e stridula. Essa viene emessa con la gola tesa mentre il corpo é rigidamente controllato e la faccia una maschera impassibile. Le melodie sono distese ma non prolungate come in Andalusia e relativamente scevre da motivi. ornamentali. Questa è per eccellenza l'area delle ballate, in Europa, e le parole hanno spesso maggiore importanza della musica. I canti di lavoro sono simili a quelli della Spagna Meridionale, lunghi e acuti lamenti di disperazione. Strumenti: la chitarra usata come strumento ritmico, il flauto, il tamburello, un [...]

[...]nza e sono meno spesso oggetto di castighi fisici.
11 Nord, che comprende le regioni a Nord dei Pirenei oltre alla Catalonia é Eurasiatico Antico, con tracce eurasiatiche. Il quadro é ulteriormente complicato dai vincoli celtici della Galizia e dal mistero dei Baschi. Benché ci siano molti tipi di canti assolo, alcuni, come ad esempio l'Asturianada, in un fiorito stile eurasiatico, la maggior parte dei canti e delle danze é corale. Le voci sono più aperte e più gravi che nella Spagna Centrale, più lim pide e occasionalmente squillanti. Molte ottime voci di basso.
Ci sono scarsi segni di tensione vocale; il corpo é rilassato,
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l'ugola distesa ma senza sforzo, l'espressione del volto studiata e vivace e, quantunque non particolarmente mobile, né malinconica né fissa. Le voci si fondono facilmente e il canto è spontaneo. Le antiche forme polifoniche sono rare, ma la tendenza alla polifonia è dimostrata dalla facilità con cui i settentrionali hanno adatta,o la moderna armonia alla melodia delle loro regioni. Le melodie sono brevi, disadorne. Breve è anche la maggior parte [...]

[...]momento di lasciare la Spagna avevo accettato l'ipotesi che potesse esistere una correlazione tra lo stile musicale da un lato e certi fattori sociali, soprattutto per quanto riguarda la condizione della donna, il grado di libertà nei rapporti sessuali e il trattamento riservato ai bambini. Avevo anche incominciato a scorgere l'importanza della storia politica e culturale, ma quest'elemento sembrava ancora di second'ordine in rapporto ai fattori più fondamentali della struttura sociale e del comportamento sessuale. Mi accinsi quindi a saggiare queste mie provvisorie ipotesi in Italia. Affermare che lo stridente falsetto d'Andalusia era una manifesta
NUOVA IPOTESI SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO 125
zione araba e la voce spiegata del Nord un'espressione di nordicità era uno scansare il problema, relegandolo ad una comoda distanza. Ma come mai gli Arabi ricorrono ad uno stridente falsetto mentre i Nordici cantano con voce aperta? Assai più interessante é chiedersi perché mai uno stile risulti accettabile e un altro no.
Le principali do[...]

[...]ortamento sessuale. Mi accinsi quindi a saggiare queste mie provvisorie ipotesi in Italia. Affermare che lo stridente falsetto d'Andalusia era una manifesta
NUOVA IPOTESI SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO 125
zione araba e la voce spiegata del Nord un'espressione di nordicità era uno scansare il problema, relegandolo ad una comoda distanza. Ma come mai gli Arabi ricorrono ad uno stridente falsetto mentre i Nordici cantano con voce aperta? Assai più interessante é chiedersi perché mai uno stile risulti accettabile e un altro no.
Le principali domande che rivolsi a me stesso nel corso della mia indagine italiana erano le seguenti:
1) Che ruolo ha svolto la storia nella formazione dello stile musicale. 2) Quali sono i processi sociali e psicologici che conducono all'adozione di un certo stile musicale da parte di tutti gli individui di una stessa regione?
PARTE II — ITALIA
L'Italia, ad eccezione della Sardegna, é suddivisa in regioni musicali geograficamente simili a quelle della Spagna, in Nord. Centro e Sud, con il Nord Eurasiatico A[...]

[...]i geograficamente simili a quelle della Spagna, in Nord. Centro e Sud, con il Nord Eurasiatico Antico, il Sud e il Centro eurasiatico con antiche tracce Eurasiatiche antiche. La Sardegna è EA al centro, eurasiatica alla periferia. Anche qui, come in Spagna, il Nord é una regione di voci aperte, di animata espressione, di canti e danze corali e di polifonia in diverse forme antiche e moderne; è anche una zona di proprietari terrieri indipendenti, più prosperi che a Sud, più tolleranti nei riguardi dell'amore verso le proprie donne le quali godono di una condizione di maggiore indipendenza e infine nettamente più tenera nel trattamento riservato ai bambini. A Sud della Via Emilia e all'interno della barriera Appenninica, da Oriente ad Occidente, si entra drammaticamente in una regione di canti assolo e di voci aspre e stridenti. Le donne sono gelosamente sorvegliate e inseguite dai maschi, i quali sono convinti che l'accondiscendenza amorosa squalifica la donna per il matrimonio.
A Sud di Roma il carattere eurasiatico cominciò ad essere molto più marcato; le melodie diventavano più lunghe e più malinconiche, mentre le voci si facevano più stridenti e acute. Intanto ..anche la gelosia sessuale e la relegazione delle donne in casa, ti
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pica degli arabi, diventavano più accentuate, fino al momento in cui, in Sicilia, divenne impossibile registrare il canto delle donne senza l'espressa autorizzazione del marito. Viaggiare nel Sud é un tormento per una persona sensibile tanto è brutale in certe manifestazioni il modo di trattare i bambini in questo mondo ispanoarabico.
In Italia, come, si direbbe, in Spagna, la storia e i sistemi sodali sembrano procedere di pari passo. Per più di 2000 anni il Sud é stato dominato dalla cultura classica e sfruttato da governi imperialistici. I principali invasori, dopo i Romani, provenivano tutti da aree musicali eurasiatiche: i Greci, i Bizantini, i Saraceni, i Normanni, gli Spagnuoli.
Il Centro, tra Roma e Firenze, era occupato dagli Etruschi, un popolo orientale di alta cultura che, a quanta sembra, portò seco il saltarello dall'Oriente. Più tardi la fioritura poetica rinascimentale rafforzò il Centro nel suo attaccamento per la poesia lirica assolo e per le opere liriche del Maggio nel Rinascimento.
Il Nord sembra essere stato abitato fin da tempi remoti dai Liguri che, per lo meno oggi, sono i più perfetti coristi polifonici dell'Europa Occidentale: nella regione di Genova i canti a sette parti sono comunissimi. Celti provenienti dal Nord irruppero nella Valle del Po nell'era romana, e i successivi invasori, Longobardi, Goti e Slavi, provenivano tutti da territori settentrionali e orientali. Attraversando l'Italia Settentrionale, da Ovest a Est, si passa dalla Liguria nel Piemonte, regione che serba forti tracce dell'influsso francese, il paese delle ballate italiane, che vengono invariabilmente eseguite in coro; quindi in un'area di canti tiro lesi e austriaci e finalmente nelle provi[...]

[...]ori, Longobardi, Goti e Slavi, provenivano tutti da territori settentrionali e orientali. Attraversando l'Italia Settentrionale, da Ovest a Est, si passa dalla Liguria nel Piemonte, regione che serba forti tracce dell'influsso francese, il paese delle ballate italiane, che vengono invariabilmente eseguite in coro; quindi in un'area di canti tiro lesi e austriaci e finalmente nelle provincie orientali dove troviamo canti di tipo slavo.
Una delle più importanti esperienze di questo viaggio é stato l'accertamento di una linea di influenza slava che taglia nettamente, da Nord a Sud, queste tre aree musicali italiane. Nelle montagne, nei pressi della frontiera austriaca, troviamo piccoli isolotti di lingua e di canto slavi. Tutta la provincia del Friuli possiede canti di tipo slavo. Nelle Marche, lungo la costa adriatica di fronte alla Jugoslavia, il tipo dominante di canto di lavoro si:
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NUOVA IPOTESI SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO

divide in due parti, armonizzate in seconde e in quarte, cantato con tono aperto e sono ed è m[...]

[...] Tutta la provincia del Friuli possiede canti di tipo slavo. Nelle Marche, lungo la costa adriatica di fronte alla Jugoslavia, il tipo dominante di canto di lavoro si:
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NUOVA IPOTESI SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO

divide in due parti, armonizzate in seconde e in quarte, cantato con tono aperto e sono ed è molto simile ai canti di Croazia.
Dovunque nelle montagne a sud di Roma si possono incontrare comunità che eseguiscono cori a più voci di stile slavo. La provincia degli Abruzzi, oggi un'isola di compite esecuzioni corali di tipo rurale moderno nel sud eurasiatico, ha un litorale più vicino alla Jugoslavia di ogni altra regione italiana e i suoi canti corali più antichi, reperibili nella pianura costiera (più che nelle montagne una volta monodiche) sono di colorazione slava. Io credo che sia appunto per questa via che la zampogna e la consuetudine di cantare in modo antimelodico, accompagnandosi con la zampogna giunse in Italia, giacché si ritrova questo strumento lungo una linea che dalla costa abruzzese finisce all'Etna. Dall'Abruzzo Meridionale, muovendo verso il sud all'interno della Calabria, s'incontrano molte colonie di Albanesi giunti in Italia come profughi sotto la spinta dei Turchi nel Duecento. Questi villaggi sono senza eccezione di tipo europeo antico : corali, ugola aperta. Villaggi[...]

[...]ia sessuale. Le ragazze da marito si rifiutano nettamente di cantarle e rimangono imbarazzate quando le odono cantare ad un estraneo di sesso maschile. La ragione di cib é evidente. La dottrina cattolica vieta formalmente il rapporto sessuale tranne che a scopo di procreazione e giacché, per lo meno in teoria, nessuna ragazza nubile possiede un'esperienza sessuale e nessuna donna permette il rapporto senza intenti procreativi, le ninnananne sono più intimamente connesse che nei paesi del Nord con i rapporti amorosi.
Ma qual è il carattere dell'esperienza sessuale della donna nell'Italia Meridionale? In primo luogo, da giovanetta, ha avuto timore del padre e dei fratelli che la proteggono gelosamente e la scaccerebbero di casa se solo la sospettassero di avere rapporti con un uomo. Nel periodo del corteggiamento ha paura di tutti gli uomini. Dei contadini della Lucania, Carlo Levi afferma :
La ragazza del meridione sa che non vi è trucco o inganno cui il suo vorace e predace ammiratore non scenderebbe pur di soddisfare il suo desiderio.[...]

[...]iuto non vede ragione di mutare la sua visione emotiva. La madre, costretta dai decreti della chiesa in un continuo stato di gravidanza ha sempre un bimbo tra le braccia e deve negare agli altri le sue cure. Quando il bimbo é indisciplinato viene severamente punito e schiaffeggiato da una madre che subito dopo lo copre di appassionate carezze giacché rappresenta per lei l'unica soddisfazione di tutta una vita. Non ho mai visto trattare i bambini più duramente che nella Calabria meridionale e in Sicilia, né ho mai incontrato bambine più timide e ragazzi più cattivi e insopportabili. Fin dall'inizio le bambine devono rimanere in casa ad aiutare la madre. Per esse la possibilità di giuocare in libertà e di frequentare a lungo la scuola non é nemmeno concepibile. Non appena cominciano a maturare esse sono segregate in casa e sorvegliate come altrettanti criminali in potenza. I bambini, d'altra parte, non hanno nessun gioco o sport organizzato, e passano il tempo per le strade e per le piazze con i ragazzi più grandi che li prendono a pugni e li tormentano come del resto essi medesimi fanno con i più piccoli. Nell'adolescenza ardono perché non hanno[...]

[...]ivi e insopportabili. Fin dall'inizio le bambine devono rimanere in casa ad aiutare la madre. Per esse la possibilità di giuocare in libertà e di frequentare a lungo la scuola non é nemmeno concepibile. Non appena cominciano a maturare esse sono segregate in casa e sorvegliate come altrettanti criminali in potenza. I bambini, d'altra parte, non hanno nessun gioco o sport organizzato, e passano il tempo per le strade e per le piazze con i ragazzi più grandi che li prendono a pugni e li tormentano come del resto essi medesimi fanno con i più piccoli. Nell'adolescenza ardono perché non hanno nessun contatto con le ragazze di cui desiderano la compagnia. Non ci sono né balli, né festicciuole e, tranne che non sia fidanzata, una ragazza non può nemmeno andare al cinema in compagnia di un giovane. E così il nostro gio
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vanotto, costantemente eccitato dal vino, dal sole e da una cultura il cui unico folclore tratta dell'amore nei termini più romantici e appassionati, è lasciato in piazza a sfogare con gli amici le sue deliranti fantasie.
In tal modo l'intera società dell'Italia Meri[...]

[...]iccoli. Nell'adolescenza ardono perché non hanno nessun contatto con le ragazze di cui desiderano la compagnia. Non ci sono né balli, né festicciuole e, tranne che non sia fidanzata, una ragazza non può nemmeno andare al cinema in compagnia di un giovane. E così il nostro gio
NUOVA IPOTESI SUL CANTO FOLCLORISTICO ITALIANO 131
vanotto, costantemente eccitato dal vino, dal sole e da una cultura il cui unico folclore tratta dell'amore nei termini più romantici e appassionati, è lasciato in piazza a sfogare con gli amici le sue deliranti fantasie.
In tal modo l'intera società dell'Italia Meridionale viene a condividere in vario grado i dolori e le frustrazioni delle sue donne.
E non c'è, si può dire, addirittura nient'altro nella poesia folcloristica di questa regione tranne la brama di un amore irraggiungibile, che si esprime in un canto d'amore che i maschi cantano in falsetto con voci quasi altrettanto acute di quelle delle loro madri.
Ma, si chiederà, é il cantare di intonazione acuta e di tono stridente necessariamente un simbolo m[...]

[...] la brama di un amore irraggiungibile, che si esprime in un canto d'amore che i maschi cantano in falsetto con voci quasi altrettanto acute di quelle delle loro madri.
Ma, si chiederà, é il cantare di intonazione acuta e di tono stridente necessariamente un simbolo musicale del dolore?
Quando sarà studiata la relazione tra i mezzi vocali fondamentali per l'espressione delle emozioni in rapporto allo stile canoro, un altro grande passo verrà compiuto nel campo .della musicologia scientifica. Ma in questo caso particolare poche osservazioni preliminari possono essere condivise da tutti quanti. Quando un essere umano, specialmente una donna, si abbandona a uno sfogo di intenso dolore esso emette una serie di note lamentose, sostenute, con voce acutissima. Anche gli uomini, come i bambini, urlano nel dolore. Per far ciò la testa è gettata all'indietro, la mandibola spinta in avanti, il palato molle si accosta alla gola, l'ugola è stretta cosicché una piccola colonna d'aria ad alta pressione esplode verso l'alto facendo vibrare il palato du[...]

[...] modo per urlare o gemere. Se in quel momento aprite leggermente gli occhi (perché se avete provato obbedendo alle mie istruzioni si saranno chiusi automaticamente) vedrete la fronte aggrottata, il volto e il collo arrossati, i muscoli facciali contratti sotto gli occhi e la gola distesa per lo sforzo.
Questo é un ritratto abbastanza fedele del cantante italiano e spagnolo delle regioni meridionali. Tutto ciò il bimbo apprende fin dalla culla e più tardi vi ricorre per scopi espressivi astratti; ricordando sentimenti infantili d'amore e di sicurezza. Ciò si può
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dimostrare in modo semplicissimo. Non soltanto le donne mature, ma anche gli uomini urlano quando cantano, particolarmente i migliori cantanti. Una voce profonda è cosa rara nell'Italia Meridionale; in generale si hanno voci tenorili' con intonazioni di falsetto.
Passo ora all'esempio finale a conclusione della mia tesi. Nelle montagne centrali della Sardegna c'è una piccola zona che non fu mai soggiogata dai Romani. La popolazione conduce una vita quasi selvag[...]

[...]de che si pensa subito al éanto degli Zulù, al ruggito dei leoni o al rumoreggiare del tuono. I canti sono tutti corali e i cori comprendono un baritono la cui voce ha funzione direttiva e da quattro ad otto bassi che cantano un motivo polifonico mentre il baritono narra la vicenda.
Il resto della Sardegna canta con voci tipicamente ispanoarabiche acute e stridenti, per la maggior parte assolo, anche se interviene spesso nell'accompagnamento il più elaborato strumento polifonico creato nel Mediterraneo, il greco Aulos, detto o Launeddas » in Sardegna: in realtà un triplice oboe.
Lo stile del canto profondo della Sardegna centrale é chiaramente connesso alla musica polifonica della Liguria e, in ambedue queste regioni, si riscontrano un atteggiamento più liberale nei riguardi del sesso, una maggiore eguaglianza per le donne, un sen
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timen to di tenerezza verso i bambini e molti ricordi di una comunità primitiva.
Tendo anzi a credere che queste aree appartengano ad una cultura anticoeuropea respinta nelle montagne e circondata dalla marea della civiltà orientale che travolse e rese schiava la maggior parte delle più vecchie civiltà di tribù, ridusse le donne allo stato di trastulli e portò nella sua scia una grande arte di stridula monodia.
La Chiesa Cattolica, pure di origine orientale, favorì questo sistema monodico resistendo anzi con tutte le sue forze, per secoli, agli influssi polifonici venuti dal Nord. Nelle montagne della Sardegna abbiamo forse una indicazione del genere di vita e di musica esistente in Europa prima dell'arrivo dell'alta cultura dell'Oriente.
Non so che risultati questa tecnica potrà dare in altre regioni del mondo. A me sembra che essa getti malta luce sulle regioni di cui so[...]

[...]tecnica potrà dare in altre regioni del mondo. A me sembra che essa getti malta luce sulle regioni di cui so qualche cosa : Italia, Spagna e Stati Uniti, e che fornisca indicazioni promettenti quando sia applicata ad altre aree. Pub darsi che il conflitto sessuale non risulti essere quell'area emotiva simboleggiata nella musica di molti popoli primitivi, ma sono convinto che lungo le direttive tracciate in questo studio troveremo una risposta ai più importanti interrogativi che l'etnologia musicale moderna è chiamata ad affrontare.
1) Come spiegare il fatto che gli stili musicali resistono per secoli e millenni mentre ogni altra arte si trasforma?
2) Come comprendere altrimenti le metamorfosi e le strane
sintesi nate dagli incroci delle colture musicali?
Ma ricapitoliamo ora i punti più salienti della nostra tesi.
1) La storia della musica non si può scrivere in termini di notazione dei soli elementi formali della musica, giacché si pub verificare un rapido scambio di questi elementi nel corso di un contatto culturale senza che mutino per questo le caratteristiche fondamentali della musica. Si propone quindi un nuovo concetto, quello di stile musicale, che comprende tali elementi formali ma li inquadra nella loro cornice di tecnica vocale, di tensione fisica ed emotiva, di partecipazione di gruppo e di consuetudini sessuali.
2) Osservate alla luce di questo principio si ra[...]

[...]nti nel corso di un contatto culturale senza che mutino per questo le caratteristiche fondamentali della musica. Si propone quindi un nuovo concetto, quello di stile musicale, che comprende tali elementi formali ma li inquadra nella loro cornice di tecnica vocale, di tensione fisica ed emotiva, di partecipazione di gruppo e di consuetudini sessuali.
2) Osservate alla luce di questo principio si ravvisano nel
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mondo nove e forse più famiglie di stili musicali. Il numero e la precisa definizione di tali famiglie subirà delle modifiche a mano a mano che sia possibile ottenere una maggiore quantità di materiale, ma tali categorie possono fungere da base: eurasiatico, eurasiatico antico, coloniale americana, pigmoide, africana, melanesiana, polinesiana e amerindiana. Sembra abbastanza chiaro che questi stili si sono diffusi su vaste regioni durante un periodo di tempo lunghissimo, possibilmente assieme alle trasmigrazioni delle razze. Sembra che la loro evoluzione sia più lenta di quella di qualsiasi altra arte umana.
3) Gl[...]

[...] modifiche a mano a mano che sia possibile ottenere una maggiore quantità di materiale, ma tali categorie possono fungere da base: eurasiatico, eurasiatico antico, coloniale americana, pigmoide, africana, melanesiana, polinesiana e amerindiana. Sembra abbastanza chiaro che questi stili si sono diffusi su vaste regioni durante un periodo di tempo lunghissimo, possibilmente assieme alle trasmigrazioni delle razze. Sembra che la loro evoluzione sia più lenta di quella di qualsiasi altra arte umana.
3) Gli elementi diagnostici dello stile musicale sembrerebbero consistere nel grado e nel genere della partecipazione di gruppo nel concreto, nell'intonazione e nel timbro della voce, nella tecnica vocale, nelle tensioni facciali e corporee e nelle sottostanti emozioni che determinano tali tensioni ed hanno in ultima analisi il loro simbolo negli stessi canti.
4) Nelle società che abbiamo esaminato, il codice di condotta sessuale, la condizione della donna, e il trattamento riservato ai fanciulli, sembrerebbero gli elementi determinanti. Dove l[...]



da Danilo Dolci, Pagine di un inchiesta a palermo, introduzione di Ernesto De Martino in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]o questo »: che è poi la obiezione di coloro che in fondo, per vari motivi, non sono disposti a riconoscere che Palermo e provincia sono ((anche» questo. D'altra parte nei documenti raccolti dal Dolci appare che oggi qualche cosa si muove persino in questi ambienti sociali così obbiettivamente compromessi, e che oltre le forme tradizionali della rassegnazione, della disperazione e della ribellione anarchica, comincia persino qui a farsi luce una più consapevole coscienza civica, mediata da quei partiti che laggiù stanno assolvendo una funzione ((liberale» fra questi oppressi, i partiti di sinistra. Le tre biografie che seguono la breve analisi delle condizioni dei cortili Cascino testimoniano appunto questi diversi livelli di coscienza civica, e relativamente alle prime due la biografia di Gino O. documenta certo il livello più alto. ll testo delle biografie è stato trascritto dal Dolci con
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tutta la scrupolosa fedeltà che é necessaria per documenti che non sono destinati ai letterati, ma unicamente ai politici di oggi affinché se ne giovino nella loro opera e agli storici di domani affinché sia piú concreto e individuato il loro giudizio. Abbiamo abbastanza fiducia nella intelligenza dei lettori per non temere che taluno possa scandalizzarsi di alcuni pochi particolari molto crudi della biografia di Gino O.: la rivista si svolge a un ristretto pubblico di studiosi e pertanto non é legittimo lo scrupolo che quei particolari, indebitamente fraintesi nel loro significato, possano turbare le candide anime di fanciulli e di fanciulle.
ERNESTO DE MART P%10
CORTILE CASCINO
È chiamata « Cortile Cascino » la zona — a 200 metri dalla Cattedrale — da via D'Ossuna a Cortile Grotta; e, in senso l[...]

[...]timo lo scrupolo che quei particolari, indebitamente fraintesi nel loro significato, possano turbare le candide anime di fanciulli e di fanciulle.
ERNESTO DE MART P%10
CORTILE CASCINO
È chiamata « Cortile Cascino » la zona — a 200 metri dalla Cattedrale — da via D'Ossuna a Cortile Grotta; e, in senso lato, anche l'altra, a nord, separata dalla prima dalla linea ferrata.
I nudi e sudici bambini che giocano sulla ferrovia e nel fango, è quanto più impressiona a prima vista. Cinque costruzioni scalcinate di due o tre piani, e baracche a sud; tre fabbricati a due otre piani a nord: tutti con umide mura brulicanti di cimici, scorpioni e scarafaggi.
Diverse donne nella strada, intente, spidocchiano la testa di un parente o di un vicino. Due o tre fontane. Qualche a maarla » sulla porta.
Gli scoli, nel cortile Cascino propriamente detto, si raccolgono in uno spiazzo fetido. Se d'estate grande è sempre il pericolo del tifo, d'inverno nelle case più basse c'é da morire annegati. Una decina di locali, i più sottoposti, hanno porte, e talvolt[...]

[...]ate di due o tre piani, e baracche a sud; tre fabbricati a due otre piani a nord: tutti con umide mura brulicanti di cimici, scorpioni e scarafaggi.
Diverse donne nella strada, intente, spidocchiano la testa di un parente o di un vicino. Due o tre fontane. Qualche a maarla » sulla porta.
Gli scoli, nel cortile Cascino propriamente detto, si raccolgono in uno spiazzo fetido. Se d'estate grande è sempre il pericolo del tifo, d'inverno nelle case più basse c'é da morire annegati. Una decina di locali, i più sottoposti, hanno porte, e talvolta finestre, protette da ripari in muratura alti circa settanta, ottanta centimetri, perché la fogna, quando piove, non inondi le case.
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Tutte le costruzioni sono assolutamente inabitabili; in alcune, dai muri sfatti, é troppo pericoloso starci. Alcune stanze sono più pulite, ordinate (queste, nelle tabelle seguenti sono state segnate con « m » : le migliori); ma il tutto deve essere rifatto di sana pianta o rinnovato.
In una stanza c'é un vecchio nudo, seduto su un letto senza lenzuola (c'è solo una coperta di tipo militare): non si capisce se sia paralitico da un lato, come dice lui, o immobilizzato per l'estrema magrezza e debolezza, come dicono i vicini. In un'altra stanza si arriva per un ballatoio pericolante. E in tutte le case, (panda passa il treno, uno deside rerebbe essere fuori, e coi piedi a terra. Un «mura» si sposta oscillando per centimetr[...]

[...]abinetto in una sola famiglia (« gli uomini puliti vanno sulla ferrovia »), in ogni stanza preparano da mangiare, mangiano, e fanno tanto « i bisogni corporali » che i figli; di media, persone 4,23.
Nessuna casa con acqua corrente. I pavimenti: 4 di terra, 7 di terra e piastrelle rotte, 37 di cemento rotto e di piastrelle rotte, 51 di piastrelle rotte, 4 di cemento, 15 di piastrelle.
Una quindicina di famiglie sono senza luce. Delle rimanenti, più della meta l'hanno dai vicini.
Una stanza (di 2,50 X 6,00; h = 3,20) con 11 persone; una stanza (di 4,00 X 4,30; h = 4,00) per 10 persone; 3 stanze, ciascuna per 9 persone; 6, ciascuna per 8 persone; 14, per 7 persone; 8, per 6 persone; 11, per 5 persone; 19, per 4 persone; e 54 per meno di 4 persone. Diciannove sono stati ammalati di tifo: 2 ne sono morti.
Il lavoro degli uomini: 39 «trafficanti », «accatta e vinni »; 18 cenciaiuoli; 4 manovali; 2 « portantini di fatica »; 2 netturbini; 2 ciabattini; 1 militare di leva; 1 ortolano; 1 aiuto fabbro; 1 usciere; 1 cromatore; 1 marmista; 1 aiut[...]

[...]i, intossicazioni, interocoliti, polmoniti »; di questi malanni, negli ultimi 10 anni, ne sono morti un'ottantina; anche per «mancanza di latte ».
Dei bambini da 3 a 6 anni, 2 soli vanno all'asilo: gli altri 43 no.
Da 6 a 13 anni, 33 ragazzi vanno a scuola (spesso a 12 o 13 anni frequentano la 2a o la 3a): ma 45 ragazzi, in obbligo di scuola, né vanno né ci sono mai andati, a scuola.
I figli, non trovando lavoro, crescendo, continuano, per lo più « trafficanti» e cenciaiuoli, l'attività dei padri: di cui 31 sono stati, anche diverse volte, in carcere: ma per lo piú, « per cose di poco conto ».
Essendo 386 le persone oltre i 6 anni, e 317 gli anni complessivi di scuola, ogni persona, di media, ha frequentato 8,2 decimi di prima elementare.
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Leggenda: L.P _ libretto povertà; I = larghezza o lunghezza
N. Farn. L. P. Stanze
N. 1. 1. h. 0 Ÿ
o
i F.G. 2 4,0 4,0 3,5 m
3,3 4,5 3,5 no
2 U.A. 1 2,5 2,3 2,4 no
3 F.A. 1 3,8 3,6 3,6 m
4 P.G. si 1 2,8 3,5 3,2 no
5 S.V. 1 2,2 7,0 3,2 no
6 P.V. 1 3,8 3,6 3,2 no
7 L.L. 1 3,5 3,2 3,6 no
8 P.A. si 1 3,5 3,2 3,6 no
9 P.M. 1 3,5 3,2 3,4 no
10 F.S. 1 3,2 4,8 3,8 no
11 C.[...]

[...] 1 3 D 5 — —
lava
scale 1 1 3a 3 — —
traff. casal. 2 2 — — — ? ? — 25 1
traff. casal. 1 — 2a 2 2a —
traff. casal. 1 — — — — —
146 DANILO DOLCI
Tre sole famiglie hanno padre e madre che sappiano leggere e scrivere. Dei loro genitori, solo due coppie sapevano leggere e scrivere. Andando di questo passo (calcolando 30 anni ogni generazione), solo tra 3000 anni tutti gli sposi di qui non saranno piú analfabeti.
ANTONIA R.
« Io, mia sorella e quattro picciriddi e lo zio mio dormiamo qua nella grotta. Stiamo testa e piedi. Se si sveglia uno, si svegliano tutti. Ci avemu un nutricheddu, certo scennemu se fa acqua. Se uno si curca, aggranca a dormire sempre cussi; aggranca e si stinnicchia e dice l'altro: — Aspetta che mi metto buono. — Chiddu in fondo dice: — Lassami mettere lu pede.
Quattro a li pedi e quattro al capizzo. D'estate fa caldo, si piglia la segatura dal mastro d'ascia e si mette in terra e si dorme anche in terra ».
Ridono intorno, con maliziosi sottintesi negli occhi, anc[...]

[...] ammuffirsi.
« Have un rinale d'oro, un rinale pieno d'oro. Le scarpe tutte d'oro. Che bella. Bastone d'oro. Sono promissioni che dipende come nescono di bocca. Se uno sta bono, ci porta le promissioni lá in capo: la vesta, orologi, piccioli, diecimila lire, collana, braccialetti.
Ci hanno venuto a scrivere tutti i partiti: democrazia cristiana, comunisti, repubblicani, monarchia, e tutti dicono: — Dobbiamo fare fognature a questo cortile. — E più di cento anni che é così. Ci fanno vedere che tutto il mondo é nostro, poi niente. Più vampa c'é, più disperazione. — Nun dubitasse signora, nun dubitasse. — Magari signorine sono venute. Assai. Quando fu delle votazioni. Ma niente dunanu. Avìanu a acchianare i comunisti e invece acchianaru i parrini. Ma niente dunanu, né chisti né chiddi.
Chissa nica ebbe lavaggi di sangu, febbre, intossicazione al sangue. U picciriddu puru, ci ficimu u vutu. Di Santa Rosalia, allu picciriddu. Se stava bono. E é misu lu votu ora a Santa Rosalia, siccome me soru lava in qualche cucinedda.
La più grande ha nove anni. Sprovvista, la picciridda, putemu mandarli mai a scola?
Me cugnatu e me ziu nesciunu matina[...]

[...]gnora, nun dubitasse. — Magari signorine sono venute. Assai. Quando fu delle votazioni. Ma niente dunanu. Avìanu a acchianare i comunisti e invece acchianaru i parrini. Ma niente dunanu, né chisti né chiddi.
Chissa nica ebbe lavaggi di sangu, febbre, intossicazione al sangue. U picciriddu puru, ci ficimu u vutu. Di Santa Rosalia, allu picciriddu. Se stava bono. E é misu lu votu ora a Santa Rosalia, siccome me soru lava in qualche cucinedda.
La più grande ha nove anni. Sprovvista, la picciridda, putemu mandarli mai a scola?
Me cugnatu e me ziu nesciunu matina matina, e vanno fora sulla ferrovia; per fare i bisogni, c'è la ferrovia. Invece noi sei, nel rinale tutte cose. E poi buttiamo fora.
Me cugnatu e me ziu, pezzantini. Nésciunu di notte con la cesta e raccogliono. Vedono un mucchio di immondizie e la scartano. C'è l'immondizia che la sera buttano fora i signori, le camerere che fanno la pulizia.
Vannu per le strade e dove ci sono le immondizie, cogliono stracci, ossa, vetro, buccie di arancio, buccie di limone, scarpe rotte, pane[...]

[...]icono loro. Di guardie ci sono che dicono: — Lascialo andare — e c'è quello che insiste, che fa l'arrugante.
Quando é già dentro la, ci stanno tre giorni per prendere informazioni. Tre giorni per chiedere in Palermo stesso. Se uno è delinquente, che tipo é una persona. A tempo che stiamo tre giorni chiusi, un pezzo di pane così. Quando uno deve fare due o tre mesi, al carcere, gli danno anche carne, una volta alla settimana, ora non lo so se di piú. Ci hanno ora anche la radio ogni stazione. Invece quando sono per tre giorni, c'è un pezzo di pane e un formaggino. Minestra niente; anche se la famiglia vuol fare entrare la minestra nella carta velina, non la fanno entrare.
Dopo tre giorni, posato su una tavola, le informazioni sono bene:
— Andate fuori. — E si busca il pane di nuovo un'altra volta. Succede dopo due o tre mesi la stessa canzone, in un'altra pattuglia, e si va a passare di nuovo questo capriccio: informazioni, carta d'identità. Se il padre di famiglia porta la cartella vuota, i bambini piangono:
— Papà u pane, voglio u p[...]

[...] pozzi neri; ci sono le donne che al mattino i rifiuti corporali li buttano sulla ferrovia vicina, ma certe donne buttano li davanti nello spiazzo che fa il posto di concentramento dell'acqua morta. (A tempo d'inverno vengono i pompieri, tanto si alza l'acqua e il fango: ma i pompieri dicono che non c'é niente da fare: tirano solo fuori un po' d'acqua, la succhiano dal fondo delle case e vanno via). Questo tifo pidocchiale che é venuto, é venuto più di una volta: un'altra volta sono morte due persone, di tifo, e ammalate diverse decine di bambini. Soprattutto i bambini, morivano di tifo.
Quando ci hanno esiliati i carabinieri, che nessuno poteva uscire fuori, ci portavano da mangiare nelle caldaie. Quando venivano i carabinieri ad avvisarci che portavano da mangiare, sonavano la tromba. E ci venivano centinaia di persone con le latte, queste che ci mettono la conserva, pentole e così, e ci mettevamo in coda, in riga come i militari. Ci davano da mangiare perché non potevamo uscire a andare a lavorare. Per i bisogni corporali andavamo se[...]

[...]er forza, nel cortile o, se c'era qualche carabiniere buono, ci lasciava andare sulla ferrovia.
150 DANILO DOLCI
Nel mangiare, poi, c'era una specie di medicinale per disinfettarci i corpi: e doveva essere purgativo perché tutti i millecinquecento, maschi
e donne, avevamo il corpo sciolto (diarrea).
Il tifo, per forza doveva venire: perché le sporchezze erano trappe, le case sono strette, senza l'acqua, e ci stanno anche otto, dieci, e anche più persone per stanza: piccole celle. Qualcuna con pavimento di terra,
e certe sono grotte. In tante case per sedersi usano pietre o latte di conserva. Pidocchi a quintali. Quando sono morti quelli là, erano pieni di pidocchi che facevano paura. Sono venuti a portare delle polveri disinfettanti e le buttavano dentro le abitazioni, sulle strade, e anche andavano gli uomini e le donne così, vestiti, e ci aprivano la camicia e quelli ci buttavano la polvere dentro.
Anche quest'inverno passato c'é stato la pioggia potente e si sono riempite parecchie case e sono venute delle autorità a guardare e,[...]

[...]attina, tutte le mattine, chissà da quando (mi ricordo, anche la buonanima di mio padre) andiamo a fare i nostri bisogni corporali sulla ferrovia. Certe volte vengono i Metropoli di servizio e ci danno la multa: 2500 lire. Dobbiamo pagare a caro prezzo pure fare i servizi corporali. Le donne fanno a casa sua nella stanzetta. I bambini fanno o in giro o sulla ferrovia: sei mesi fa c'è andato sotto il treno un piccolo di cinque anni di alcune case più sotto.
A duecento metri dalla Cattedrale, dal centro di Palermo.
Oltre i cenciaioli e le lavandaie, alcuni non fanno nulla, alcun i fanno le bandierine con l'immagine di Santa Rosalia, poche fanno le prostitute ma in altra parte di Palermo, perché li siamo troppo stretti: per non essere viste dal vicino di casa.
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La maggioranza dei bambini non va a scuola. Giocano nel cortile, nella puzza. Quando hanno dodici, tredici anni, le ragazze si cercano subito di sposare. Si sposano fra noi stessi del cortile, tra cenciaioli, tra piccoli cenciaioli e piccole [...]

[...]rrestato nella mia vita. Circa cinque mesi che ero io al carcere, mi hanno fatto la causa. E mi imputarono per tentato furto, e mi hanno condannato à dodici mesi: non ci avevo avvocato che non avevo da mangiare né per me né per la famiglia. Allora poi mi sono appellato. E mi hanno tolto sei mesi. Così io sono diventato delinquente per la legge. Così io mi sono macchiato le carte.
Quando sono uscito dal carcere, per fortuna non ci sono stato mai più. Ho sofferto molto, perché il mestiere che faccio non guadagno una somma da poter soddisfare la famiglia. Quindi è necessario che mia moglie deve andare a persona di servizio.
Ho avuto la febbre maltese per diciotto mesi. Sono analfabeta come quasi tutti quanti noi. Alla mattina mi alzo alle sette, sia d'inverno che di stagione. Piglio il mio carrettino, andando in giro gridando per la strada. Compro ferro vecchio e oggetti usati e stracci. Il ferro è poco di prezzo: tredici lire al chilo. Quindi nessuno vende a questo prezzo. I soldi per comprare me li da il padrone; anche la carrettina è s[...]

[...]mio carrettino, andando in giro gridando per la strada. Compro ferro vecchio e oggetti usati e stracci. Il ferro è poco di prezzo: tredici lire al chilo. Quindi nessuno vende a questo prezzo. I soldi per comprare me li da il padrone; anche la carrettina è sua: la paghiamo 50 lire al giorno. Ci sono giorni che si guadagna 300 lire, settimane intere che non si guadagna nulla. Qualche volta può capitare di guadagnare 1000 lire o, qualche colpo, di più. Questo mestiere, arrivato a mezzogiorno, non vende più nessuno. E finita la nostra pe
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ranza. Tutti nel cortile facemo lo stesso: in tutto saremo duecento. Il posto di concentramento di stracci e ferro e rame, a Palermo, éproprio questo.
Si comprano le bucce degli aranci, dei mandarini, dei limoni, a 10 lire al chilo. E si rivendono al magazzino. Il magazzino li rivende a 16, 18 lire, alle fabbriche di essenze.
Molti dei bambini vanno in giro a raccogliere cicche per la strada: le sbucciano e le vendono. Ma non li spendono loro: li danno in aiuto alla famiglia. Ci sono gente che lavorano nei cantieri, gente bisognosa che non p[...]

[...]o che sta per non far vedere alla gente che passa.
Nella strada dove io abitavo, quasi tutte le famiglie avevano un bambino avviato alla mia stessa strada. Via S. Agostino, Cortile Catarro, Cortile Salaro (Scalilla), e quasi in ogni strada intorno, vi era o un borsaiolo o un centro di insegnamento di borsaioli. E la cosa ancora continua, lì e a Ballar) e altrove, ma è meglio non essere troppo precisi se no li vanno ad arrestare tutti: gli fanno più male, invece di aiutarli e dargli lavoro. Che non si ripeta come alla calata del Mori: era suc cesso che per sanare il male, mettevano in galera pure Dio. Se c'era qualcuno che s'accorgeva dell'operazione, in questo rione,' nessuno parlava, anche i proprietari dei negozi: si poteva star sicuri di poter scappare, quando «s'attuzzolava », che significa: era scoperto.
Ci sono anche ora « le squadre » addette per il borsaioli, ci sono gli agenti cosiddetti specializzati, ma non hanno nessuna specializzazione. Allora ce n'erano famose, capitanate dal terribile Sciabbica che ora è in pensione e ch[...]

[...]nzato il quale ripete la prima operazione, allargando la giacca, mentre l'altro si passa la mano sotto l'ascella e acchiappa « u surci ».
Questo fatto avviene con una certa facilità quando l'uomo viene a trovarsi in mezzo a una certa confusione, che pue, essere una carrozza che lo scansa o una bicicletta, quattro persone. E spesso questa canfusione viene creata dagli stessi apparanzati: in questi casi quattro o cinque. La prostituta, diventando più vecchia, cerca di lavar scale, magari nello stesso locale dove per vent'anni ha venduto le proprie carni; cos' questa gente stanca della galera, cerca nell'operazione di prendere la parte meno rischiosa: e da li nascono i pali, gli intrammezzi, che è tutta la tresca. Poi c'è « a nona », che è quello che prende di petto l'uomo o lo prende dietro le spalle, facendo finta che vuol passare. Poi si fanno le parti tra tutti se il colpo riesce. Ognuno secondo l'opera prestata : « a nona » prende quello che vogliono dare gli altri. La parte uguale viene divisa tra il ragazzo e quello che ha preso il [...]

[...]iccioteddi, gli promettevano che li avrebbero portati ai casini. I ragazzini si facevano le seghe in comune, ognuno per conto
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suo, una specie di gara a chi godeva prima. « Calava u' duce »: che a quell'età non c'era ancora sperma. Una specie di estasi.
Una volta ci hanno portato in quattro in camera da una donna che dedicava le sue opere particolarmente a questi bambini: essa si gettò nel letto supina; il più grandicello, appunto perché tale, ci andò sopra proprio, e gli altri più piccoli, contemporaneamente, lei ne masturbava uno e gli altri due facevano da sé, incitati dalla scena, toccati da essa stessa. Facevano, tenendole un piede, palpandole le cosce, le natiche. Lasciamo stare queste cose che ripugnano, che altrimenti dovrei dire che certe volté a chi faceva la spia lo inculavano per sfregio, ecc. ecc.
A dodici anni (c'era una specie di mercato), uno sapeva che ero capace ormai di borseggiare: e quindi venne a parlare con la famiglia e si rimase d'accordo che giravo con lui. Le mie prime esperienze, di più alto livello, sono cominciate: siamo andati anche in co[...]

[...]i dalla scena, toccati da essa stessa. Facevano, tenendole un piede, palpandole le cosce, le natiche. Lasciamo stare queste cose che ripugnano, che altrimenti dovrei dire che certe volté a chi faceva la spia lo inculavano per sfregio, ecc. ecc.
A dodici anni (c'era una specie di mercato), uno sapeva che ero capace ormai di borseggiare: e quindi venne a parlare con la famiglia e si rimase d'accordo che giravo con lui. Le mie prime esperienze, di più alto livello, sono cominciate: siamo andati anche in continente. Che si faceva? La stessa cosa. Solo a ricordare fa male. Certe volte si faceva « l'appiccico ». Io fingevo di essere un bambino scappato di casa e l'altro, con una cinta in mano, fingeva di cercarmi da tre giorni: mi, vedeva, fingeva di volermi cinghiare, io mi ripavaro abbracciando i ginocchi di uno che prima ci eravamo assicurati che avesse « u surci » ne « la culatta ». Io gridavo, gli stringevo i ginocchi gridando — perdono —, e chiedendo aiuto a quell'uomo. Quello si impietosiva, si chinava cercando di proteggermi dalle bus[...]

[...]rienza « rivoluzionaria ». Ci davano botte, il Direttore faceva cose che é meglio non. dire; bastava che noi giocassimo a tamburello quando lui dormiva, durante il giorno, per buscarci due o tre giorni di cella. Andavamo in cucina di notte a scassinare per prendere del pane, o nell'orto per meIoni o pomodori. Abbiamo deciso di denunciarlo: scrissimo una lettera al Podestà del comune, nella quale denunciavamo i sopprusi ricevuti, sottoscritta dai piú grandicelli, e a sorte toccò proprio a me consegnarla.
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nelle mani del Podestà. È andata a finire che il Direttore, quando son tornato, mi ha puntato la rivoltella addosso, ma lui poi é stato costretto ad andarsene.
Tre anni sono stato 11: vita di recluso, si pub immaginare. Si sacrificava certe volte una parte del pane per cambiarlo, coi contadini che venivano 11, in sigarette fatte a mano. Strada lunghissima fino alla scuola e tutta la gente che diceva: — Povarin, povarin, daghe un pezo de pan, una gota de vino —. Che cosa ci avevano di educatori quel[...]

[...]endere in un giorno, si pagano con anni di galera. Invece di andare a letto col soprassalto se viene Sciabbica, si dorme tranquilli se u pane è buscatu —. Ma ancora non c'era una chiarezza della soluzione : era soprattutto stanchezza delle sofferenze passate.
Siccome sentivo il bisogno di crearmi una famiglia, e facendo il barbiere non riuscivo a mettere a parte qualche soldo pel corredo, una volta pregai un mio conoscente di trovarmi un lavoro più renditizio. Questo parlò con un pezzo di novanta, il malandrino, vecchio e paralitico, che comandava dal di fuori una fabbrica del cemento, disponendo a suo piacimento l'assunzione o il licenziamento degli operai. Come manuale, li lavoravo come una bestia da soma, ora alla fornace ora traspl,rtavo pietra rotta con una roncola di ferro. Io non ce la facevo; per sfuggire il lavoro andavo tre, quattro e anche cinque volte alla latrina; quando la cosa venne a conoscenza del pezzo di novanta, mi cacciarono fuori dicendo ch'ero lagnusu.
Sempre per guadagnare i soldi occorrenti per il matrimonio, h[...]

[...]i presi un salone in affitto. Certe volte si poteva perdere un cliente solo perché non lo si aiutava a mettersi il cappotto; o perché non gli si era tirata la giacca dietro, di sotto il cappotto. Quando veniva qualcuno per abbonamenti, li scrivevo in un apposito registro. Gli si dice: — Il
suo riverito nome —, oppure: — Vossia, come si chiama? Il cliente
lo si perde anche per delle piccole mosse, un pelo scordato o un altro barbiere che gli fa più salamelecchi. (Il barbiere romano mi faceva l'orario preciso; e invece quando lavoravo dal napoletano, più meridionale del romano, ci toccava stare a lavorare fin dopo che chiudeva il barbiere dirimpetto: e quello faceva lo stesso, e non si andava a casa che alle dieci).
In casa di mio padre avevo visto un giorno una fotografia di una giovane vestita per bene, e gli chiesi: — Chi è quella lì? — E lui disse:
È tua sorella, che sta in casa dello zio. Ero venuto poi .a conoscenza di dove abitava quella mia sorella, figlia della mia stessa madre, di sette anni più grande di me. E, per trovarla, ho dovuto fingermi uno che portava notizie di un suo zio da Roma. Per quella preoccupazione della società [...]

[...]ale del romano, ci toccava stare a lavorare fin dopo che chiudeva il barbiere dirimpetto: e quello faceva lo stesso, e non si andava a casa che alle dieci).
In casa di mio padre avevo visto un giorno una fotografia di una giovane vestita per bene, e gli chiesi: — Chi è quella lì? — E lui disse:
È tua sorella, che sta in casa dello zio. Ero venuto poi .a conoscenza di dove abitava quella mia sorella, figlia della mia stessa madre, di sette anni più grande di me. E, per trovarla, ho dovuto fingermi uno che portava notizie di un suo zio da Roma. Per quella preoccupazione della società borghese, la quale non trova la forza di assumere le proprie responsabilità, e quindi cerca di camuffare tutto, anche gli affetti della famiglia (se mio padre avesse avuto il coraggio di dire subito: — Questo é mio figlio —, cosi come fece mia madre, io non sarei stato eccetera e eccetera), ho dovuto avere un appuntamento con mia sorella in una altra casa e non in quella di mio zio, dove lei stava. Non appena entrato, mio cugino ci presentò. Ci sedemmo in un[...]

[...]rdo che ci saremmo rivisti.
Difatti ci siamo rincontrati: e una volta, mentre andava a rinnovarsi. la tessera del partita e volle essere da me accompagnata a piazza Bologni, alla sede del fascio. Mentre camminavamo mi avvertî che se avessimo incontrato un uomo bassetto, io mi sarei dovuto allontanare, essendo questo il fidanzato e avrebbe potuto sospettare (e anche non voleva che si sapesse che eravamo fratello e sorella).
E non ci siamo visti piú. Ci siamo rivisti finita la guerra, quando mori mio padre. E frequentavo casa sua. Io era già comunista, ora. Mi invitò poi, una volta, in occasione della festa di Natale, a cenare a casa sua. Mi presentai puntualmente; mentre si preparava il pranzo, sonarono alla porta: erano parenti di mio cognato (ché ormai lei s'era sposata). Mia sorella tutta preoccupata mi disse di mettermi in disparte per non farmi vedere. Io me ne sono andato e non ci sono tornato piú.
La prima ragione, perché ero diventato comunista, stava racchiusa nelle sofferenze che avevo passato: comunismo voleva dire, per me, [...]

[...]rivisti finita la guerra, quando mori mio padre. E frequentavo casa sua. Io era già comunista, ora. Mi invitò poi, una volta, in occasione della festa di Natale, a cenare a casa sua. Mi presentai puntualmente; mentre si preparava il pranzo, sonarono alla porta: erano parenti di mio cognato (ché ormai lei s'era sposata). Mia sorella tutta preoccupata mi disse di mettermi in disparte per non farmi vedere. Io me ne sono andato e non ci sono tornato piú.
La prima ragione, perché ero diventato comunista, stava racchiusa nelle sofferenze che avevo passato: comunismo voleva dire, per me, vita nuova e per tutti, lavoro per tutti e redenzione, quindi non più Sciabbica, perché se c'é lavora, non c'é ladri, tranne che per i cleptomani. Questo nell'idea, ora ti dico il contatto fisico come è stato. Io avevo il salone, si viveva d'intrallazzo, io vendevo le sigarette di contrabband che mi venivano fornite direttamente da una guardia di finanza. Io la cosa la facevo senza scrupoli perché si può dire che la facevano tutti i saloni. Mangiavo bene così, mentre intorno c'era fame. Un giorno volevo organizzare una dimostrazione contra l'affamamento: l'ho organizzata. Mi appartai nel retrobottega, scrissi MI manifesto nel quale finivo: — Viva Stalin, viva [...]

[...]e avevo fatto, ad andarlo a trovare dove avevano sede le riunioni dei socialisti. Perché ancora non avevano il permesso di organizzarsi pubblicamente. Ho frequentato alcune riunioni. Un giorno si doveva votare un ordine del giorno che non condividevo e sono stato rimproverato per il mio modo di esprimermi. Avevo presentato la domanda d'iscrizione, ma siccome mi ero stufato, perché si facevano sempre discussioni e io volevo agire, non sono andato più alle riunioni. Poi ci fu l'autorizzazione e aprirono la sede. E rifrequentai. Organizzai una dimostrazione dei barbieri e in questa occasione conobbi un comunista il quale mi disse che il mio posto era nel partito comunista. Io non trovai nessuna difficoltà e mi iscrissi al partito: 1943. Ho cominciato subito ad essere responsabile di una cellula di strada. Poi di una sezione. Leggevo con piacere, perché oltre ad apprendere la dottrina del partito, soddisfacevo una mia esigenza di studio che avevo avuto sempre. Organizzavo delle letture in collettivo, con degli operai: abbiamo incominciato co[...]

[...]non é tanto redditizio e io ormai ero padre di quattro bambini, cercavo di evadere, far qualche altra cosa. Un giorno parlai ad un compagno qualificato il quale mi propose di andare a fare il fattorino alla Federbraccianti. Ed io accettai. In questo periodo la direzione del partito aveva indetto un corso politico per corrispondenza, al quale io partecipai. So io quale sforzo facevo e quale impegno mettevo nello studio, perché avevo coscienza che più mi sarei educato politicamente, piú avrei dato al partito. E ` in questo studio, ricordavo ancora una volta un detto di Gramsci il quale in un suo libro dice: Istruitevi, perché la rivoluzione é rivoluzione di uomini. La società ha bisogno di uomini nuovi, consapevoli —. Studiavo alla luce di un lumina, per risparmiare Ila luce. E un giorno mi venne il dubbio che non sarei stato buono a niente, e che il mio studio non avrebbe approdato a niente, anche perché, per lo studio che facevo, incominciavo ad avere una forma di esaurimento nervosa. Scrissi alla direzione della scuola, a Roma al Partito, per chiedere un consiglio se val[...]

[...], salita sul podio, scusandosi di non sapere l'italiano ha detto: — Fino quando nun ci dannu la terra, fino a quando li picciriddi mie tengono li piedi scalzi, io non mi stancherò mai di lottare assieme alla mia compagna e non m'importano le bastonate della polizia —.
Poi sono tornato e subito andato a Marineo, dove c'era in corso la lotta per l'occupazione delle terre. Trovai li un compagno il quale aveva generato una confusione da non capirci piú niente, e l'indomani alla testa dei contadini mi portai sul fondo che occupammo. In quell'occasione ho ricevuto una lezione dura, dal punto di vista pratico: perché mentre io, con la lettura dei kolcos in Russia, invitavo i contadini alla coltivazione collettiva, essi invece procedevano allo spezzettamento e alla lavorazione individuale. Si preoccupavano di delimitare la loro porzione, con una cinta, delle pietre, le redini del mulo, come quando sul treno si precipita la gente all'occupazione dei posti, buttando cappelli, borse, giornali.
A me la cosa sembrava strana e chiamai un contadino, [...]

[...]dividuale. Si preoccupavano di delimitare la loro porzione, con una cinta, delle pietre, le redini del mulo, come quando sul treno si precipita la gente all'occupazione dei posti, buttando cappelli, borse, giornali.
A me la cosa sembrava strana e chiamai un contadino, dicendo che la cosa non era giusta; e questo mi rispose — Scusami compagno Gino: se io lavoro il terreno col mulo, e quello lo lavora solo, all'ora del prodotto io n'ho a pigliare più assai.
La sera prima, quando si decise di occupare la terra (noi cerchiamo di non dare la sensazione di essere noi che organizziamo, ma di andare sul posto per sentire quali sono le esigenze vive, e aiutarle a riuscire), i contadini ci dissero che dovevano essere tutti all'alba in un punto. Difatti ci trovammo li, noi per i primi i dirigenti, e via via venivano tutti gli altri contadini, con i muli, con le zappe, bambini, giovani.
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Quando arrivammo noi era quasi scuro, poi andava allalbando e man mano venivano i contadini. Camminando parlavano, chi pensava già al futuro rac[...]

[...]ppena finito. Vi andai, una ventina circa di contadini mi vollero accompagnare. Il maresciallo, che già mi aspettava, ostentando una certa calma, mi invitava a sedere — Mi scusi se I'ho disturbata. Sa, qui é una zona pe
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ricolosa ed è nostro compito sapere chi sono i forestieri. Scusi, ma lei che cosa è venuto a fare a Montelepre? Senta, non creda che io ce l'abbia con la camera del lavoro, anch'io sono operaio, anzi le dico di più: ho conosciuto personalmente a Torino la moglie di Togliatti... ». Quando me ne andai trovai i braccianti che erano rimasti fermi ad attendermi.
Durante quest'altra mia esperienza mi accorsi quanta fosse lontana, dalla mente della stragrande maggioranza dei contadini, la vera funzione del sindacato. Quasi che questa fosse per loro un'opera esclusivamente assistenziale. Pochi comprendevano che non era solo la lotta economica che bisognava fare, ma era necessario parallelamente condurre la lotta politica per dare all'Italia un governo veramente nuovo.
Sono tornato a Carini, dove c'era il coor[...]

[...] Arrisvegliati,
che emu a ghire alla terra. Nun ne vuoi terra? La terra!!!... E par
timmo, così a gruppi. Incontrammo una pattuglia di carabinieri ma questi s'ingannarono. Non ti posso dire quanto io abbia sofferto per la strada, per la montagna, con la gamba sciancata (mi son ferito quando sono andato volontario per la guerra di Liberazione). Tante volte mi reggevo alla coda del mulo, e una volta mi buttai per terra che credevo di non farcela piú.
Arrivammo verso le sette. Attendemmo. Via via venivano gli altri: trecento circa. Aprimmo le bandiere e partimmo verso Sagana. Appena
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arrivati vicino alle case, scorgemmo da lontano un altro gruppo di contadini con le bandiere: erano di Partinico.
Ci unimmo e ci baciammo. Ma intanto s'era schierata in un piazzale la C.F.R.B.: si fece avanti un ufficiale e ci disse cosa eravamo venuti a fare. Dicemmo la verità, eravamo venuti a occupare il feudo. Questo ci voleva distogliere, minacciandoci: — La legge, la galera... — Intanto un maresciallo s'era diret[...]

[...]endosi d'accordo che il terreno lo avrebbero dato senza bisogno di occuparlo.
Aspettavamo che venissero i contadini, di Montelepre, e ci mettemmo a giocare a « lignicedda ». Si attese, si attese, questi compagni non venivano. C'era qualcuno che diceva di cominciare ad andare a occupare il terreno. Si mandò uno incontro, a vedere cosa succedesse a Montelepre. Intanto che si attendeva, si vide da lontano sulla strada qualcosa che si faceva sempre più distinguere. Qualcuno diceva già: — Compagni, compagni che arrivano. — Invece era una massa di carabinieri che luccicavano da lontano per le armi e le mostrine. Altro che compagni: armati fino ai denti, mettici quattro erre. Che per loro eravamo tutti banditi. E forse i banditi intanto stavano guardandoci da qualche pizzo col binocolo, a godersi lo spettacolo.
Erano arrivati con degli autocarri. Poi ci presero tutti e ci fecero entrare in un cortile grande, dove c'era una vecchia galera dei Borboni. Il maresciallo si mise su un tavolino (che li avevano il loro comando), e ci fecero mettere i[...]

[...]sa stessi facendo in mezzo la folla. Anzi, mi disse apposta :
Nella folla mancano i portafogli. — Io mi sentivo come male, umiliato. Intorno a me, in un ambiente di gran lusso, sentivo i profumi di alcuni paltò posati sui divani di velluto e delle sigarette di lusso. Insiste, indicando il mio paltò che avevo comprato sulla bancarella della roba « americana)): — Come, lei porta questo cappotto di lusso?
Fui ammonito per due anni (non potevo far più attività politica perché non potevo più andare nei paesi, secondo il regolamento di polizia. Dovevo forse andare dai marescialli e dirgli: — Sono un ammonito che debbo fare una riunione ai contadini? — Anzi, in quel tempo ritengo che il partito mi tenesse a quel posto per un senso di solidarietà, perché non mi perdessi). Cercavo continuamente di sfuggire il passato
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e loro insistevano invece per inchiodarmici. Quando tu arrivi li, loro cercano di reclutare il loro cliente: spie, confidenti.
A me capitò che continuamente venivo chiamato al Mandamento, ora per una scusa, ora per l'altra. Una volta il Commissario mi[...]

[...]'affari tuoi. Tu non sei nato per la politica. Ognuno nasce per la sua strada. Cercati tin lavoro... — Me lu dicesse Vossia soccu avissi a fare. — Mettiti qualche posto di fichurinni, di... — Ma se mancu mi vulite dare la licenza perché sono pregiudicato! E m'ammunistivu. — Ma tu la vuoi l'ammonizione. Se fai una vita tranquilla, e mi porti qualche notizia... A me solo direttamente... Senza parlare con nuddu...
A Palermo dicono: — A tia pensu! piuttosto mi sarei ammazzato, piuttosto che fare il cioccolattaro.
A Palermo, per dire a uno « spia », ci si dice «cioccolattaro ».
I cioccolattari sono una specie di associazione, delle ganghe, costituite abitualmente da pregiudicati, quattro o cinque. Prendono un centinaio di cioccolatti, dentro ci mettono dei bigliettini con scritte delle cifre che vanno da 10 a 500, a 3000, a 4000, 5000. Questi cioccolattini numerati si aggiungono ad altri trecento circa normali.
I cioccolattini con dentro un bigliettino da 500 o 5000, hanno sulla carta fuori, segnati dei puntini impercettibili che solo i zaraffo (il compare) sa. I cio[...]

[...]io di cioccolatti, dentro ci mettono dei bigliettini con scritte delle cifre che vanno da 10 a 500, a 3000, a 4000, 5000. Questi cioccolattini numerati si aggiungono ad altri trecento circa normali.
I cioccolattini con dentro un bigliettino da 500 o 5000, hanno sulla carta fuori, segnati dei puntini impercettibili che solo i zaraffo (il compare) sa. I cioccolattari vendono i numeri come gli arriffatori. Prima, per attirare la gente, fannu u trippiu: i buffoni, come certi arriffatori in coppia: si danno schiaffi, fanno Bragalone, fanno nascere l'uovo dal cappello. Chi vince ha il diritto di pescare, a sorte. Quando la vendita fredda, interviene il compare; finisce sempre che la gente prende i cioccolattini o vuoti o con le cifre basse: 100 lire, 200. Le cifre alte le prendono i compari. Se per caso dovesse capitare che uno del pubblico prende il cioccolattino con il biglietto delle 5000 lire, il cioccolattaro fa uscire il numero dal doppio fondo.
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A Palermo saranno circa duecento cioccolattari. Sicc[...]

[...]i con le carte (« chistu perde e chistu vince »); e i ditali con la pallina.
Quasi ogni rione ha suoi cioccolattari. C'é qualche ex malandrino che era il terrore del Capo e dell'Albergheria che oggi é al servizio della Questura. Le autorità invece di aiutare questi uomini nel lavoro e nell'elevazione loro, approfittano del loro stato di soggezione, di quello — come lo chiami tu — complesso di colpa di quello che son stati nel passato, e buttano piú sotto. Almeno quando sono così detti « uomini d'onore », hanno un certo prestigio, sia pure nella malavita; dopo, divenuti pure dei traditori, perdono anche il legame con le vecchie amicizie, schifati da tutti.
Il rapporto fra le autorità e tutta la gente che campa e non campa, é l'elemosina, il paternalismo : quando c'é. Chi ci ha bisogno, per esempio i venditori di mussu o milza, di avere per forza la merce da uno, perché ce n'é poca, lo considerano come un loro piccolo Dio: che basta che questo gli levi la partita, per morire dalla fame. Questi poveracci poi votano dove dice questo piccol[...]

[...]quando passo con la borsa, e mette sulla strada una sedia e dell'acqua in un catino su uno scalino; e tiro a stento la vita.
Lo strazia é questo, che certe volte la mattina, quando esco di casa, mi faccio il conto che quel giorno dovrei guadagnare certi soldi. Vado da uno, gli faccio la barba, pensando già alle 50 lire e poi, finito, lui
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dice: — Domani ce li dugnu. — E capita spesso. E da quello che cade malato come li prendo piú? Dopo sedici anni, quasi, di matrimonio, non sono riuscito ancora ad avere il mobilio necessario. Fino a pochi giorni fa abitavo in un locale al terzo piano: in quattro metri per due e mezzo ci stavamo in otto persone. Poi la casa si é lesionata e ci hanno portato qui in queste scuole, con altre diciotto famiglie; le altre sono andate alla Feliciuzza. Adesso tra cinque giorni devono incominciare le scuole e non sappiamo dove andare a finire.
Mensilmente vado a revisionare il tesserino della disoccupazione: in nove anni precisi non sono mai stato chiamato da questo ufficio a fare un giorno di[...]

[...]rò penso che parte dei miei anni li sto spendendo per agevolare gli altri, perché altri non siano costretti a fare le mie esperienze. Poi, ritengo di vivere per un obbligo verso la mia famiglia, verso i miei figli, verso il partito, che ritengo sono state le lotte, le esperienze del partito che mi hanno reso uomo nuovo. Spesso la mattina, quando mi alzo prima di andare a lavorare, vado al lettino dove dor mono due dei miei bambini e, baciando il più piccolo, penso che almeno lui ha le carezze e i baci che io non ho avuto. — A qualcosa servo anch'io — mi viene da pensare anche se mi rimane...
Questa mia vita passata così e che a un certo momento mi dava una specie di complesso di inferiorità nei confronti degli altri, malgrado questa mia nuova concezione della vita, è affiorata qua e là in certe occasioni. Specie quando bisognava avere la forza politica e morale di fare trionfare alcuni princìpi di democrazia interna del partito.
Ad esempio. Ero responsabile provinciale degli Amici dell'Unità. Un giorno, durante la penultima campagna el[...]

[...]cie di complesso di inferiorità nei confronti degli altri, malgrado questa mia nuova concezione della vita, è affiorata qua e là in certe occasioni. Specie quando bisognava avere la forza politica e morale di fare trionfare alcuni princìpi di democrazia interna del partito.
Ad esempio. Ero responsabile provinciale degli Amici dell'Unità. Un giorno, durante la penultima campagna elettorale, entrando nella stanza adibita a mio ufficio, non trovai più né tutto il materiale del mio lavoro né il tavolo, niente. Andai a trovare tutto vicino al gabinetto, alla rinfusa. Cercai di sapere perché e non mi fu possibile saperlo. Seppi solo che cosí aveva disposto uno dei dirigenti. Ho avuto una specie di collasso e rimarginavo ancora... Avevo dei dubbi: ero o non ero? Poi in un'altra sezione lavoravo ma andavo di peggio in peggio fin che un giorno fui chiamato dal compagno B. Il quale con argomenti e con modi fraterni mi ha ridato fiducia nel lavoro e nella mia persona. Dopo aver sentito che lui ancora mi stimava, siccome é il maggiore responsabile,[...]

[...]on uso), ringraziarvi per la indimenticabile cena che mi avete offerta prima di venirmene via; ringraziarvi infine per tutte le gentilezze e le cortesie che avete usato per me e per i miei compagni militari. Non vi dimenticherò mai. E quando sarò vecchio e mi prenderò i miei nipotini sulle ginocchia, invece di raccontar loro delle meravigliose favole di fate e di maghi, racconterò loro dei bravi compagni palermitani che lottavano per una Sicilia più bella, più progredita e libera dagli sfruttatori che la dissanguano. Racconterò loro dell'accoglienza fraterna che avete fatto ad alcuni compagni che venimmo dalla lontana Emilia ».
DANILO DOLCI



da Ernesto De Martino, Perdita della presenza e crisi del cordoglio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]nte, e simili. Diceva un malato di P. Janet: « Io intendo, vedo, tocco, ma non sento come un tempo, gli oggetti non si identificano col mio essere, un velo spesso, una nuvola cambia il colore e l’aspetto dei corpi » (4). E un altro malato: « Voi non siete che un fantasma, come ce ne sono tanti: e non potete pretendere che si abbia obbedienza ed affetto per qualcuno di cui non si avverte la realtà » (5). Ancora un altro malato: « Le cose non sono più nel loro quadro e non indicano più la loro utilità (6). Infine ecco come una schizofrenica sottoposta a trattamento psicoanalitico da A. Sechehaye descrive nel suo diario la perdita del mondo: « Per me la follia era come un paese opposto alla realtà, un paese nel quale regnava una luce implacabile, che non lasciava posto per l’ombra, e che accecava. Era una immensità senza confini, illimitata, piatta, piatta, — un paese minerale, lunare, freddo... In questa estensione tutto era immutabile, immobile, fisso, cristallizzato. Gli oggetti sembravano figure di uno scenario. Le persone si muovevano bizzarramente, compiendo gesti e mo[...]

[...]tivante gli oggetti entrano in un rischioso travaglio di limiti, per cui appaiono accennare ad un oltre inautentico, vuoto, estraneo: in realtà questo oltre improprio è la potenza oltrepassante della presenza che in luogo di fondare l’oggettività sta diventando essa medesima un oggetto, si sta alienando con l’oggetto e nell’oggetto. Per questo starnarsi della potenza oggettivante, il mondo e i suoi oggetti sono sperimentati in atto di non essere più «nel loro quadro», cioè nella memoria di una determinata tradizione di significati e nella prospettiva di una possibile operazione formale della presenza. Il mondo diventa irrelativo, senza eco di memorie e di affetti, simile a uno scenario. Gli oggetti perdono rilievo e consistenza (la luce accecante e la mancanza di ombra), si pongono fuori della realtà storica (il paese lunare, minerale, immobile). Tale estraniazione e destorificazione del mondo si riflette nell’esperienza di una estraneità radicale, che chiede perentoriamente rapporto e che non può assolutamente trovarlo: una estraneità i[...]

[...]soltanto nelle esperienze di spersonalizzazione e di incompletezza di sé, e di fissità inconsistenza e artificialità del mondo, ma anche nella esperienza di una forza o tensione cieca in sé e nel mondo. Gli oggetti che non stanno in limiti oggettivi (riflettendo in tal modo l’alienarsi della stessa energia oggettivante della presenza) sono avvertiti qui come54

ERNESTO DE MARTINO

forze in atto di scaricarsi, come oscure tensioni spianti la più piccola occasione per frantumare le barriere che li trattengono, e per fondersi e confondersi in caotiche coinonie. Gli oggetti che « non sono più nel loro quadro » non si presentano più in questo caso con la valenza della artificialità e della lontananza, e come vulnerati da una perdita di prospettiva e di rapporto, ma si configurano piuttosto in atto di agire come potenze cieche ed estranee, che si scaricano disarticolando il reale, e incombendo minacciosamente sulla presenza: alla lontananza astrale si oppone, in una vicenda irrisolvente, la prossimità irrelativa degli oggetti fra di loro e del mondo oggettivo rispetto alla presenza, onde crolla la stessa possibilità di mantenere gli oggetti distinti gli uni dagli altri, e di contrapporre sé al mondo. Si ha allora la terrificante esperienza dell’universo in tensione, sul punto di annientarsi in una immane catastrofe. Racconta la malata di A. Sechehaye: « Chiamavo [la follia[...]

[...]ra la terrificante esperienza dell’universo in tensione, sul punto di annientarsi in una immane catastrofe. Racconta la malata di A. Sechehaye: « Chiamavo [la follia] il paese dell’illuminazione a causa della luce vivissima, abbagliante e fredda, astrale, e dello stato di tensione estrema in cui si trovavano tutte le cose, me compresa. Era come se una corrente elettrica d’una potenza straordinaria attraversasse tutte le cose, e aumentasse sempre più la sua tensione, finché tutto sarebbe saltato in aria in una esplosione terrificante... In questo silenzio infinito e in questa immobilità tesa, avevo l’impressione che qualche cosa di spaventoso sarebbe accaduto e avrebbe rotto questo silenzio, che qualche cosa di atroce, di sconvolgente stava per verificarsi. Restavo in attesa, trattenendo il respiro, smarrita nell’angoscia, e non accadeva nulla. L’immobilità si faceva ancora più immobile, il silenzio ancora più silenzioso, gli oggetti e le persone con i loro gesti e il loro rumore ancora più artificiali, staccati gli uni dagli altri, senza vita, irreali. E la mia paura aumentava, sino a diventare inaudita, indicibile, atroce» (8).

Il rischio dell’alienarsi della potenza oggettivante della presenza può essere avvertito o nel dominio del divenire oggettivo, o per singoli pensieri e affetti, ovvero in rapporto alla presenza in quanto tale. Il rischio di alienazione del dominio oggettivo com
(8) Sechehaye, op. cit., p. 21.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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porta l’esperienza di una disposizione maligna delle cose e degli eventi, di un « esseragitoda » che si s[...]

[...]ll’agire su » della oggettivazione. Si apre così una vicenda di oscuri disegni e di subdole macchinazioni, di rimproveri e di accuse, di insidie e di influenze: e le cose diventano cause, non già nel senso fisico del termine, ma propri in quello giuridico di cause intentate ai danni del malato. L’alienarsi di singoli pensieri o affetti dà luogo alla interpretazione che altri li manovrino, li influenzino, li rubino, o ne siano padroni: a un grado più profondo di alienazióne si avvertono i propri pensieri in atto di staccarsi dal flusso interno del pensare, per ripetersi per loro conto, a guisa di eco psichica, sino a risuonare pubblicamente anche se non comunicati con la parola. L’alienarsi della presenza e l’esperienza immediata della impotenza di qualsiasi scelta formale si rispecchia infine subiettivamente come colpa altrettanto mostruosa quanto immotivata: si tratta infatti della colpa di non potersi motivare, che è — per essenza — radicale e senza motivo. La depressione melancolica è pertanto da interpretare, considerata in questa pr[...]

[...]bilità stessa di dispiegare l’energia formale dell’esserci. L’angoscia segnala l’attentato alle radici stesse della presenza, denunzia l’alienazione di sé a sé, il precipitare della vita culturale nella vitalità56

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senza orizzonte formale. L’angoscia sottolinea il rischio di perdere la distinzione fra soggetto e oggetto, fra pensiero ed azione, tra forma e materia: e poiché nella sua crisi radicale la presenza non riesce più a farsi presente al divenire storico, e sta perdendo la potestà di esserne il senso e la norma, l’angoscia può essere interpretata come angoscia della storia, o meglio come angoscia di non poter esserci in una storia umana. Pertanto quando si afferma che l’angoscia non è mai di qualche cosa, ma di nulla, la proposizione è accettabile, ma soltanto nel senso che qui non è in gioco la perdita di questo o di quello, ma della stessa possibilità del quale come energia formale determinatrice di ogni questo o quello: e tale perdita non è il nonessere, ma il nonesserci, l’annientarsi della presenza, l[...]

[...]enza. I modi dell’assenza sono conati di destorificazione irrelativa, cioè di evasione totale dalla storicità dell’esistere: tali sono la reazione stuporosa, il ritualismo protettivo ed il simbolismo protettivo. Ostilità persecutoria del mondo, abiezione della presenza in crisi e terrore del fare possono spingere alla reazione, tipicamente contradditoria e irrisolvente, della ricerca dell’assenza totale. L’aggravarsi della crisi restringe sempre più il margine della possibile iniziativa, finché in un supremo conato di rinunzia a sè e al mondo la volontà entra in un blocco spasmodico, restando come sospesa al gioco di una assoluta ambivalenza, in cui ogni «sì» richiama perentoriamente e polarmente il «no». Nei casi più avanzati questo instabile equilibrio di stimoli si riduce a una polarità praticamente automatica, accompagnata da flessibilità cerea, da ecolalia e da ecomimia: ma nei casi meno gravi la presenza ha ancora un margine sufficiente per avvertire il profilarsi della crisi. Uno schizofrenico di Arieti si rendeva conto, con crescente ansietà, che insormontabili difficoltà si opponevano alla sua azione: ogni movimento che si apprestava a compiere gli si confi58

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gurava come rischiosa possibilità di compiere un atto nocivo o inefficace, e pertanto questo malato, dominato dall[...]

[...]dello stupore catatonico (10). Il carattere estremamente contradditorio e irrisolvente di tale reazione è che l’assenza delle esperienze estatiche connesse alla vita magicoreligiosa della storia culturale umana: l’assenza dello stupore è infatti sulla linea di quella stessa perdita della presenza che costituisce il rischio della malattia, e la clamorosa contradizione del «farsi assente per terrore dell’azione» può metter capo soltanto al nuovo e più grave sintomo morboso del blocco spasmodico della volontà. Il secondo modo della destorificazione irrelativa della crisi è costituito dal ritualismo dell’agire. Mentre nella reazione stuporosa il conato si dirige verso l’assenza totale dalla realtà storica attuale, nelle stereotipie e nei manierismi dell’agire soltanto determinati settori più o meno ampi e prolungati dell’agire vengono sottratti alla storicità, chiusi al dialogo con essa, e irrigiditi in una iterazione dell’identico che è la negazione del mobile divenire storico e della necessità di rispondere ad esso con iniziative formalmente determinate. Nei manierismi e nelle stereotipie dell’agire la presenza in crisi si chiude in un miserabile regime di risparmio vuoto di valore: chiusa nelle rigide barriere protettive del ritualismo in quanto tale, essa « sta nell’esistenza senza starci», poiché qualunque cosa accade essa contrappone all’accadere lo stare immobile nelle pro[...]

[...]stare nella storia senza starci», e un disperato tentativo di rischiudersi

— attraverso questa miserabile frode — all’azione. Un altro malato di Arieti quando usciva di casa era indotto a dare interpretazioni di qualsiasi cosa scorgesse per via, al fine di trarne indicazioni rassicuranti sulla non rischiosità della direzione da seguire. Se vedeva una luce rossa all’incrocio stradale la interpretava come un avvertimento occulto a non procedere più oltre nella direzione corrispondente, se invece gli cadeva sotto gli occhi una qualsiasi freccia stradale credeva trattarsi di un avvertimento del buon Dio per indurlo ad imboccare la direzione non rischiosa. Questa ricerca di simboli protettivi del fare non gli riusciva tuttavia di nessun giovamento, e al colmo dell’angoscia tornava a casa, dove cercava rifugio nella reazione stuporosa. Internato nell’ospedale psichiatrico il terrore dell’azione e l’ansiosa ricerca di simboli protettivi non lo abbandonarono: se un dottore gli poneva qualche domanda, egli si sentiva al tempo stesso spinto e b[...]

[...]nche non commestibili, allo sfrenato erotismo, al furore distruttivo e omicida. I momenti delFinnalzamento alla forma, cioè l’appropriazione, la conservazione ed il superamento formali, sono qui contraffatti sull’improprio piano materiale della vitalità in atto, chiusa in sé stessa e adialettica rispetto al destino formale dell’uomo: diabolus simia Dei. La egemonia del vitale che pretende di surrogare la risoluzione formale si manifesta nel modo più netto nella cosiddetta eccitazione maniaca. Qui la presenza in crisi si limita a prestare alla accelerazione vitale l’inerte contenuto di rappresentazioni e di sentimenti che simulano, ma non sono, valori reali. Lo psichiatra Giorgio Dumas riferisce di un tal Victor, capitano dell’esercito francese e appartenente a una famiglia tradizionalmente legata al culto della gioire e della patrie, il quale nei suoi eccessi maniaci si abbatteva al suolo, ventre a terra, gridando: «A me il granito! », alzandosi poi lentamente e guardando intorno a sè con aria di sfida. Interrogato successivamente dal Du[...]

[...]erito della psicanalisi aver richiamato l’attenzione) o l’insorgere delle grandi catastrofi naturali o delle malattie mortali; senza contare i momenti critici che sono connaturati alla civiltà capitalistica come tale (le crisi economiche e le forme spietate di sfruttamento), o alla atrocità delle guerre moderne, o al crudo dispotismo degli stati dittatoriali, capitalistici o socialistici che siano. Ma nel complesso il nostro incommensurabilmente più alto distacco dalle condizioni naturali e la ampiezza delle realizzazioni civili in tutti i domini, e gli abiti morali e le persuasioni razionali che ne abbiamo acquistato, ci fanno molto più preparati a superare i momenti critici dell’esistenza, patendo senza dubbio il rischio, ma non più nei modi così estremi che nelle civiltà primitive e nel mondo antico minacciano di continuo la vita dei singoli e quella della comunità. Infatti nelle civiltà primitive e nel mondo antico il rischio della presenza assume una gravità, una frequenza e una diffusione tali da obbligare la civiltà a fronteggiarlo per salvare se stessa. Nelle civiltà primitive e nel mondo antico una parte considerevole della coerenza tecnica dell’uomo non è impiegata nel dominio tecnico della natura (dove del resto trova applicazioni limitate), ma nella creazione di forme istituzionali atte a proteggere la presenza[...]

[...]o, il « radicalmente altro » e quindi il blinde Entsetzen, il dàmonische Scheu che in cospetto del nume si impadronisce della presenza, soggiogandola. Ora questo « radicalmente altro » che sgomenta chi ne fa esperienza è appunto il rischio radicale di non esserci, l’alienarsi della presenza. L’alterità profana è sempre relativa, inserita nel circuito formale, qualificata: ma quando comincia a diventare eccentrica, a isolarsi, e la presenza non è più capace di mantenerla come altra, e di conservare il proprio margine rispetto ad essa, allora comincia ad apparire quel carattere «radicale» dell’alterità che è da interpretare come segnale della crisi della presenza. Anche il blinde Entsetzen è eloquente: entsetzen ha il duplice significato di « spossessare » e di « inorridire » o « essere pieno di raccapriccio », il che significa che qui si sta a consumare la perdita della energia formale, e appunto da tale spossessamento radicale nasce l’orrore caratteristico che individua la crisi. Ma il carattere dialettico del rapporto crisiripresa della[...]

[...]tteristico che individua la crisi. Ma il carattere dialettico del rapporto crisiripresa della esperienza del sacro è illustrata altresì dalla espressione dàmonische Scheu: infatti se l’accento batte su Scheu si ha qualche cosa di praticamente identico a un puro stato ansioso, al blinde Entsetzen patologico, mentre se l’accento batte su dàmonische allora già la ripresa comincia a fare le sue prove, sia pure in modo elementare, e l’orrore non sarà più «cieco» se almeno riesce a scorgere un’immagine organicamente inserita nel mondo storico nel quale si vive, e aperta al valore.64

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Considerazioni analoghe possono farsi a proposito dell’altro momento polare del numinoso, il fascinans. La paradossia di questa polarità non costituisce affatto un nesso misterioso, da rivivere nella sua immediatezza, ma racchiude una trasparente dialettica: ciò che nella crisi repelle e soggioga, il tremendum dell’alienarsi e del perdersi della presenza, tuttavia attira e chiama al rapporto, alla ripresa, alla reintegrazione nell’umano, e[...]

[...] chiama è il nume, ma per il pensiero giudicante ciò che chiama è la alienazione della presenza che reclama reintegrazione in una storia umana. O anche: è il non deciso, l’ambivalente, che esige decisione nel valore. La differenza tra l’ambivalenza patologica e quella religiosa sta unicamente nel segno del movimento per entro il quale essa si manifesta: l’ambivalenza patologica è un sintomo di una disgregazione che va recedendo verso modi sempre più compromessi, onde sta in modo irrisolvente in un regresso che distacca sempre più la presenza dalla realtà storica e che sempre più si chiude al significato e al valore che in quella realtà possono essere riconosciuti; l’ambivalenza religiosa invece è inserita in un movimento di ripresa e di reintegrazione, che dalla crisi si solleva al valore, e che perciò va mediamente ristabilendo col mondo storico i rapporti in pericolo. O anche: nella malattia l’ambivalenza prospetta una destorificazione irrelativa in atto, un compito di decisione e di scelta al quale si abdica, un non esserci in nessuna possibile storia umana; nella vita religiosa l’ambivalenza è già il numinoso, immagine mitica aperta al valore, rapportabile all’um[...]

[...]

Il concetto di sacro come tecnica miticorituale che protegge la presenza dal rischio di non esserci nella storia e media il ridischiudersi di determinati orizzonti umanistici consente di considerare sotto una nuova luce la vexata quaestio del rapporto fra magia e religione. Senza dubbio ogni forma di vita religiosa, in quanto fondata sulla destorificazione miticorituale, comporta un momento tecnico insopprimibile, che ne costituisce la sfera più propriamente magica; d’altra parte la tecnica magica più rudimentale, quando sia dotata di vitalità storica e organicità culturale, non si esaurisce mai nel semplice tecnicismo, ma media e dischiude un determinato orizzonte umanistico, più o meno angusto. In tal guisa l’opportunità di considerare come magica o come religiosa una particolare forma storica del sacro dipende soltanto dal grado relativo di sviluppo e di complessità del processo di mediazione dei valori che in quella forma ha luogo: quando prevale il momento tecnico della destorificazione miticorituale e l’orizzonte umanistico che ne risulta è particolarmente angusto (ma non mai inesistente!) il termine magia può sembrare più appropriato, quando invece rito e mito sono profondamente permeati di valenze morali, speculative, estetiche etc. allora la designazione di re[...]

[...]eno angusto. In tal guisa l’opportunità di considerare come magica o come religiosa una particolare forma storica del sacro dipende soltanto dal grado relativo di sviluppo e di complessità del processo di mediazione dei valori che in quella forma ha luogo: quando prevale il momento tecnico della destorificazione miticorituale e l’orizzonte umanistico che ne risulta è particolarmente angusto (ma non mai inesistente!) il termine magia può sembrare più appropriato, quando invece rito e mito sono profondamente permeati di valenze morali, speculative, estetiche etc. allora la designazione di religione è certamente più opportuna. In sostanza il concetto di magia ha origine nella polemica culturale, allorché si tende a negare che una certa religione enuclei valori, e se ne avverte soltanto il momento meramente tecnico: nel discorso storiografico la qualifica di magia ritiene un66

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significato legittimo solo in senso comparativo, cioè per indicare una forma di vita religiosa in cui lo sviluppo del momento tecnico è relativamente grande e l’orizzonte umanistico dischiuso relativamente angusto: il che del resto è ampiamente confermato dall’uso linguistico corrente, malgrado gli elementi[...]

[...]n66

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significato legittimo solo in senso comparativo, cioè per indicare una forma di vita religiosa in cui lo sviluppo del momento tecnico è relativamente grande e l’orizzonte umanistico dischiuso relativamente angusto: il che del resto è ampiamente confermato dall’uso linguistico corrente, malgrado gli elementi di confusione che vi hanno introdotto alcuni falsi teorizzamenti della scienza e della storia delle religioni. Piuttosto è da mettere in guardia gli storici delle religioni da un altro uso linguistico, che poi racchiude a vari livelli di coscienza e di coerenza una determinata teoria della vita religiosa: alludiamo all’uso di estendere il nome di religione (o di «religiosità») a qualsiasi impegno etico fortemente sentito anche se accompagnato da un orizzonte esclusivamente umanistico e mondano. Per ricordare l’esempio più illustre del genere si pensi al capitolo che apre la Storia d’Europa del Croce, e che si intitola « La religione della Libertà », dove si ritrova anche la seguente giustificazione teorica dell’impiego della qualifica di « religione » a proposito dell’ideale liberale consustanziale al moderno pensiero dialettico e storico: « Ora chi raccolga e consideri (i tratti) dell’ideale liberale, non dubita di denominarlo, qual esso era, una ’ religione ’: denominarlo così, ben inteso, quando si attenda all’essenziale ed intrinseco di ogni religione, che risiede sempre in una concezione della realtà e in[...]

[...]ionalità, e che racchiuda un nucleo ' irrazionale ' irriducibile, tale da indurre il pen€8

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siero storico alla contradditoria fatica di uscire da se stesso e dalla storia umana (12).

3. La crisi del cordoglio.

La crisi del cordoglio si presenta, nel quadro delle precedenti considerazioni, come il rischio di non poter trascendere il momento critico della situazione luttuosa. La perdita della persona cara è, nel modo più sporgente, l’esperienza di ciò che passa senza e contro di noi: ed in corrispondenza a questo patire noi siamo chiamati nel modo più perentorio all’aspra fatica di farci coraggiosamente procuratori di morte, in noi e con noi, dei nostri morti, sollevandoci dallo strazio per cui « tutti piangono ad un modo » a quel saper piangere che, mediante l’oggettivazione, asciuga il pianto e ridischiude alla vita e al valore. Tuttavia questa aspra fatica può fallire: il cordoglio si manifesta allora come crisi irrisolvente, nella quale si patisce il rischio del progressivo restringersi di tutti i possibili orizzonti formali della presenza.

La crisi del cordoglio, come si è detto, appartiene alla condizione umana: tuttavia la civilt[...]

[...]ergia morale maturata nel vario operare civile, e — per i credenti — contenendola e lenendola mercè la prospettiva delle consolanti persuasioni della religione cristiana. Nel mondo antico (per tacere naturalmente delle civiltà primitive) la crisi del cordoglio assume invece ordinariamente, sia nell’individuo che nella collettività, modi estremi che hanno riscontro nella nostra civiltà solo in casi individuali eccezionali e palesemente morbosi, e più diffusamente appena in quelle poche aree folkloriche che per certi aspetti riproducono ancora condizioni di esistenza in qualche modo simili a quelle del mondo antico. Così ove prescindano dalla risoluzione poetica di Omero, la crisi di Achille per la morte di Patroclo si manifesta

(12) Sul concetto di sacro, vita religiosa, destorificazione miticorituale, e sui rapporti fra religione e magia, e fra religione e storiografia religiosa ci permettiamo rinviare alle nostre due monografie Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, in « AutAut », 1955, n. 31 e Irrazionalismo e storicismo n[...]

[...]afia religiosa ci permettiamo rinviare alle nostre due monografie Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, in « AutAut », 1955, n. 31 e Irrazionalismo e storicismo nella storia delle religioni in « Studi e Materiali di Storia delle Religioni», XXVIII, 1957, fase. I, pp. 89 sgg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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in modi « eccessivi » che noi oggi non saremmo disposti a concedere a un uomo « normale », e che possiamo al più tollerare con varia disposizione d’animo nelle contadine dell’Italia meridionale o della penisola balcanica. Tuttavia noi qui dobbiamo analizzare proprio i modi « eccessivi » della crisi del cordoglio, cioè il rischio che essa comporta quando tocca per così dire il fondo.

Quando la caduta della potenza oltrepassante consuma sino in fondo il suo rischio, la contradizione esistenziale in cui la presenza si irretisce assume il modo estremo della assenza totale e della degradazione dell’ethos della presenza nella scarica meramente meccanica di energia psichica. In generale la situazione luttuo[...]

[...]zione pronunzia analoghe parole di smarrimento: «Che debbo tacere? / Che cosa non tacere? / Su che lamentarmi...» (15).

Nella carenza della energia formale della presenza i tentativi di ripresa si risolvono in vani conati, in trascendimenti impropri, in cui la vitalità prevarica la funzione formale che non le può mai spettare: così il «far morire i morti in noi», che è un faticoso processo interiore e ideale, si può manifestare nella modalità più impropria, cioè nella aggressività contro il cadavere, o nel bisogno di vendicare il morto con una nuova uccisione operata su altri, o con l’insorgenza di un indiscriminato furore distruttivo; l’interiorizzazione del morto mercè dell’appropriarsi della sua opera per continuarla ed accrescerla si può degradare nella incorporazione materiale della necrofagia o della fame insaziabile; il compito di instaurare con colui che non è più un nuovo rapporto affettivo alimentato da una benefica memoria può cedere il luogo all’erotismo della necrofilia; e infine la esigenza di una ripresa formale in genere può dar luogo soltanto a modi meramente vitali di recuperare, con l’esaltazione di impulsi aggressivi, o alimentari o erotici. In tutti questi casi lo scacco del trascendimento è palese: si cerca la scelta oltrepassante secondo valore e si trova invece la contraffazione del compito formale sul piano improprio della vitalità, si tenta di svolgere l’ethos del trascendimento ed invece si mette in moto il furore, la fame e la libid[...]

[...]te vitali di recuperare, con l’esaltazione di impulsi aggressivi, o alimentari o erotici. In tutti questi casi lo scacco del trascendimento è palese: si cerca la scelta oltrepassante secondo valore e si trova invece la contraffazione del compito formale sul piano improprio della vitalità, si tenta di svolgere l’ethos del trascendimento ed invece si mette in moto il furore, la fame e la libidine.

Un’altra serie di sintomi di crisi si riferisce più particolarmente al centro della situazione luttuosa, cioè al cadavere. In effetti lo scandalo di tale situazione, la sua pietra d’inciampo e il suo segno di contradizione, è costituito dal cadavere, dalla spoglia corporea che, dopo il trapasso, sta davanti ai sopravvisuti. Nella misura in cui abdica la potenza oltrepassante della presenza il cadavere comincia ad « andar oltre » in modo irrelativo: e suo « oltre » irrelativo riflette il rischio della stessa potenza oltrepassante che invece di

(15) Eur., Troiane, vv. 110 sg. Nella ripresa istituzionale del lamento funebre questo momento di s[...]

[...]di determinazione, i suoi limiti sono entrati in travaglio, e vanno forzandoci rapporto senza trovarlo. Il cadavere è una forza «ostile»: infatti esso, come oggetto in crisi, rispecchia l’alienarsi della stessa energia oggettivante, il che è l’ostile ed il funesto per eccellenza. Il cadavere «contagia»: infatti, nel suo andar oltre irrelativo e senza soluzione, comunica caoticamente il proprio vuoto ad altri ambiti del reale, e al tempo stesso i più disparati ambiti del reale, con progressione minacciosa, spiano l’occasione più accidentale per farsi simbolici rispetto al cadavere, e per ripeterlo in una eco multipla senza fine. Il cadavere « torna come spettro » : infatti esso sta nella crisi dei sopravvissuti come contenuto in cui la presenza è rimasta impigliata e prigioniera, onde torna a riproporsi in modo inautentico nella estraneità e nella indominabilità della rappresentazione ossessiva o della allucinazione. Il cadavere è « ambivalente », si dibatte per i sopravvissuti nella infeconda polarità di repulsione e attrazione: infatti il suo scandalo respinge in quanto centro di crisi e di dispersione, ma al tempo[...]

[...] di interiorizzazione del morto e di trascendimento delPevento luttuoso la presenza malata cerca di instaurare un comportamento come se il morto fosse ancora in vita, concentrando magari su un qualsiasi surrogato l’organizzazione del proprio delirio. In una certa misura ciò può accadere anche nel normale lavoro del cordoglio, come provano gli infiniti espedienti cui talora si ricorre per cancellare o attenuare l’asprezza dell’inaccettabile « mai più » e per guadagnare il tempo necessario a compiere il distacco e la risoluzione degli affetti che il morto aveva mobilitato in noi quando era in vita. Ma se il lavoro del cordoglio riesce, questi espedienti stanno nella dinamica del periodo di lutto appunto come strumenti di distacco e di risoluzione, e quindi come tecniche di riadattamento alla realtà storica, che alla fine sarà accettata e riconosciuta con la rinuncia ad altro che non sia un dolce e benefico ricordo velato di mestizia. Al contrario nei patologici deliri di negazione ciò che dovrebbe funzionare come strumento tecnico di riada[...]

[...]due casi è opposto, e che i valori della vita umana nel primo caso si stanno drammaticamente ridischiudendo, e nel secondo si stanno dileguando. In un’ultima istanza in questi deliri di negazione si avverte che la presenza non ri
(16) Bue., Medea, 12051220.74

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solve la situazione luttuosa, ma semplicemente l’ha perduta, e non vi spende intorno nessun lavoro produttivo. Ciò appare particolarmente evidente in quelle ancor più gravi crisi in cui tutta la situazione luttuosa è colpita da un patologico oblio, e la presenza riemerge dalla rescissione in modo apparente, onde nasce una inautenticità esistenziale nella quale la presenza si dibatte divisa fra la perdita della attualità del reale e il ritorno irrelativo del passato rescisso, il quale torna nel modo più inautentico, cioè senza appartenere alla stessa presenza, e quindi senza poter essere ripreso nella dinamica del « far passare ». Ad illustrazione di questo stato morboso basterà ricordare una malata di Janet che dimenticò tutti i particolari relativi alla malattia, alla morte e alla inumazione della madre, e che dal momento della amnesia smarrì Fattualità del reale e la possibilità di inserirsi in esso con azioni adatte: al tempo stesso l’evento luttuoso rescisso tornava, con le memorie relative, nel corso di crisi periodiche in cui la malata minava le scene obliate come se ancora si trovass[...]

[...]erna psicologia non ha dedicato alla crisi del cordoglio tutta l’attenzione che sarebbe stata desiderabile, in parte perché nel mondo moderno la crisi del cordoglio non presenta aspetti così pericolosi come nel mondo antico (per tacere delle civiltà primitive), ed in parte perché è sembrato che l’evento luttuoso come tale non giustifichi una considerazione psicologicamente unitaria, potendo occasionare a seconda delle disposizioni individuali le più diverse nevrosi o psicosi. Tuttavia la moderna psicocologia ha talora toccato il problema del cordoglio e delle reazioni anormali alla morte della persona cara. Pierre Janet interpreta

(17) La descrizione del caso si trova in P. Janet, L’état meritai des hystérìques, 19233, pp. 55 sg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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la crisi del cordoglio come il prodotto della necessità di sopprimere un certo numero di condotte ormai non più impiegabili verso la persona morta, e di instaurare nuovi comportamenti che tengano conto del fatto della morte: ora questa soppressione e quest[...]

[...]iverse nevrosi o psicosi. Tuttavia la moderna psicocologia ha talora toccato il problema del cordoglio e delle reazioni anormali alla morte della persona cara. Pierre Janet interpreta

(17) La descrizione del caso si trova in P. Janet, L’état meritai des hystérìques, 19233, pp. 55 sg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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la crisi del cordoglio come il prodotto della necessità di sopprimere un certo numero di condotte ormai non più impiegabili verso la persona morta, e di instaurare nuovi comportamenti che tengano conto del fatto della morte: ora questa soppressione e questa instaurazione comporterebbero un lavoro, che può non riuscire, in quanto o si continua ad agire come se il morto fosse ancora in vita o si perde troppo presto la memoria dell’evento luttuoso, per improvvisa amnesia (18). Questa interpretazione della crisi del cordoglio non offre nessun criterio sicuro per distinguere il lavoro che riesce da quello che fallisce: è infatti vero che durante il periodo di lutto, e anche oltre, hanno luogo comportamenti [...]

[...] stanno a testimoniare non foss’altro i riti funerari di tutte le epoche, e i miti dell’al di là e del mondo dei morti, ma tale « ritardo » non costituisce in sé malattia se attraverso di esso si facilita il compito di «far morire i nostri morti in noi». D’altra parte l’amnesia improvvisa ddl’evento luttuoso non è patologica perché l’oblio si produce « troppo presto », e Parreste concerne un numero « eccessivo » di atti, ma perché non è stato compiuto il lavoro di interiorizzazione e di risoluzione che è proprio del cordoglio.

In ogni c^so il giudizio non è quantitativo, ma qualitativo, cioè concerne l’effettivo « passare nel valore » che si compie attraverso il cordoglio come lavoro: e qualsiasi ritardo non sarà mai eccessivo né qualsiasi anticipo prematuro (cioè non si tratterà né di ritardo né di anticipo, ma semplicemente del tempo giusto) se l’uno o l’altro ridischiuderanno gradualmente il vario operare culturale compromesso dalla crisi. D’altra parte proprio il Janet, a proposito della malata già precedentemente ricordata, e nel[...]

[...]cessivo né qualsiasi anticipo prematuro (cioè non si tratterà né di ritardo né di anticipo, ma semplicemente del tempo giusto) se l’uno o l’altro ridischiuderanno gradualmente il vario operare culturale compromesso dalla crisi. D’altra parte proprio il Janet, a proposito della malata già precedentemente ricordata, e nel tentativo di spiegarne il comportamento patologico che abbiamo sommariamente descritto, mette in rilievo come il tratto morboso più saliente fosse l’arresto della personalità alla situazione luttuosa, e la successiva incapacità di « accrescersi per raggiunzione e assimilazione di elementi nuovi » (19): il che significa che la crisi del cor
(18) P. Janet, De Vangoisse à Vextase, II, 1928, p. 350, 367; cfr. p. 281.

(19) P. Janet, L'état mentale des hystériques, 1931, p. 82.76

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doglio è tale nella misura in cui spezza la « durata » della vita spirituale, pietrificandola in un « atomo psichico » che compromette la fluidità stessa della presenza, e che è fonte di inautenticità esistenziale. Relativ[...]

[...]i nuovi » (19): il che significa che la crisi del cor
(18) P. Janet, De Vangoisse à Vextase, II, 1928, p. 350, 367; cfr. p. 281.

(19) P. Janet, L'état mentale des hystériques, 1931, p. 82.76

ERNESTO DE MARTINO

doglio è tale nella misura in cui spezza la « durata » della vita spirituale, pietrificandola in un « atomo psichico » che compromette la fluidità stessa della presenza, e che è fonte di inautenticità esistenziale. Relativamente più impegnata e complessa di quella del Janet è la teoria psicoanalitica del cordoglio, che fu inaugurala dal Freud nel suo scritto Tauer und Melancolìe. Il Freud volle scorgere un differenza fra il cordoglio e la melancolia per il fatto che « mentre nel cordoglio è il mondo ad essere povero e vuoto, nella melancolia lo è l’io stesso» (20). Una seconda differenza starebbe nel fatto che mentre il cordoglio si riferisce « alla perdita cosciente di un oggetto amato » la melancolia è in rapporto con una perdita «che si sottrae in qualche modo alla coscienza» (21). Ciò posto il lavoro compiuto dal lut[...]

[...]d Melancolìe. Il Freud volle scorgere un differenza fra il cordoglio e la melancolia per il fatto che « mentre nel cordoglio è il mondo ad essere povero e vuoto, nella melancolia lo è l’io stesso» (20). Una seconda differenza starebbe nel fatto che mentre il cordoglio si riferisce « alla perdita cosciente di un oggetto amato » la melancolia è in rapporto con una perdita «che si sottrae in qualche modo alla coscienza» (21). Ciò posto il lavoro compiuto dal lutto consisterebbe nel distacco della energia libidica dall’oggetto perduto, e nel reimpiego di tale energia per nuovi investimenti: ora il distacco e il reimpiego possono non riuscire, e la libido può restar legata al vecchio oggetto, che più non esiste, determinando una separazione della realtà e una psicosi allucinatoria del desiderio (22). Nella melancolia invece la perdita dell’oggetto amato (che non è necessariamente una morte fisica, ma in generale una impossibilità di fatto di continuare il rapporto con l’oggetto amato) costringe la libido ad abbandonare l’oggetto, e a ritirarsi nell’io: qui però, in mancanza di impiego, la libido toglie a suo oggetto l’io stesso, con la conseguenza che la perdita dell’oggetto si tramuta nella perdita nell’io, e che l’abbassamento e l’avvilimento dell’io sta in luogo dell’abbassamento e del[...]

[...]etto, e l’identificazione immediata col morto ritiene una importanza relativamente limitata (26). Un ulteriore sviluppo della teoria psicoanalitica del cordoglio fu determinata dalla considerazione dei rituali funerari delle cosiddette civiltà primitive, e anche di quelli del mondo antico (per tacere dei relitti folklorici che in generale restarono fuori dell’interesse dei psicoanalisti): qui la differenza fra cordoglio e melancolia sembra ancor più attenuarsi, perché quei rituali mostrano in larga misura le autoaccuse, le autoflagellazioni e le autopunizioni che caratterizzano il comportamento melancolico. D’altra parte le « vendette », le esplosioni di aggressività verso l’esterno, le orgie sessuali e alimentari che chiudono il periodo di lutto richia
(24) Freud, Op. cit., p. 552 sg.

(25) Freud, Ges. Schr., VI, p. 374. Cfr. K. Abraham, Obie\tsverlust und Introjek.' non in den normcden Trauer in abnormen psychischen Zustànden, in Versuch einer Entwicklungsgeschichte der Libido, 1924, pp. 22 sgg. e C. Musatti, Trattato di psicanalisi[...]

[...]roprio come nella psicosi maniacodepressiva: e i rituali funerari primitivi sembravano ad ogni morte ripetere questa vicenda, sia pure in forma abbreviata, poiché il periodo di lutto si chiudeva in essi molto spesso con una spedizione di « vendetta », o con un’orgia sessuale o alimentare. Allo stesso modo la zoofobia e il totemismo sarebbero stati un altro modo di proiettare all’esterno, in questo caso sull’animale, il conflitto interno (27).

Più recentemente Melarne Klein ha ripreso il problema del cordoglio al di fuori delle istanze prevalentemente etnologiche che

(27) Geza Roheim, Nach dem Tode des Urvarter, in « Imago », IX (1923), pp. 83 sgg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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avevano indotto il Roheim a formulare la sua interpretazione. Per la Klein ogni lutto rinnova in generale il bisogno di restaurare dentro di sé la persona amata e perduta, così come avevano già detto il Freud e l’Abraham: ma al tempo stesso ogni lutto mette in pericolo gli oggetti amati per primi — in ultima analisi i « buoni genitori [...]

[...] essere che non esiste. No: quella dimenticanza non è opera del tempo; è opera nostra, che vogliamo dimenticare e dimentichiamo... Nel suo primo stadio, il dolore è follia o quasi: si è in preda a impeti che, se perdurassero, si conformerebbero in azioni come quelle di Giovanna la Pazza. Si vuol revocare l'irrevocabile, chiamare chi non può rispondere, sentire il tocco della mano che ci è sfuggita per sempre', vedere il lampo di quegli occhi che più non ci sorrideranno e dei quali la morte ha velato di tristezza tutti i sorrisi che già lampeggiarono. E noi abbiamo rimorso dì vivere, ci sembra di rubare qualcosa che è di proprietà altrui, vorremmo morire con i nostri morti: codesti sentimenti, chi non li ha, purtroppo, sofferti o amaramentePERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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assaggiati? La diversità o la varia eccellenza del lavoro differenzia gli uomini: l’amore e il dolore li accomuna; e tutti piangono ad un modo. Ma con l’esprimere il dolore, nelle varie forme di celebrazione e culto dei morti, si supera lo strazio, [...]

[...]cominciamo a farli effettivamente morire in noi. Né diversamente accade nell’altro modo col quale ci proponiamo di farli vivere ancora, che è il continuare l’opera a cui essi lavorarono, e che è rimasta interrotta... (29).

In effetti questo passo del Croce racchiude una esattissima e umanissima verità: per grande che possa essere il dolore di una perdita subito si impone a noi, nella piena stessa del dolore e con tanto maggiore urgenza quanto più siamo prossimi alla disperazione, il compito di evitare la perdita più irreparabile e decisiva, quella di noi stessi nella situazione luttuosa. Il rischio di non poter oltrepassare tale situazione, di restare fissati e polarizzati in essa, senza orizzonti di scelta culturale e prigionieri di immaginazioni parassitane, costituisce la seconda decisiva morte che l’evento luttuoso può trascinarsi dietro; perciò nella morte della persona cara siamo perentoriamente chiamati a farci procuratori di morte di quella stessa morte, sia destinando ad una nuova riplasmazione formale la somma di affetti, di comportamenti, di gratitudini, di speranze e di certezze che l’estinto[...]

[...]e continuando e accrescendo nell’opera nostra la tradizione di valori che l’estinto rappresenta. Indipendentemente dalla situazione luttuosa come tale, è appunto questa la varia fatica che ci spetta in ogni momento critico dell’esistenza, che è sempre un attivo f ar passare nel valore, e quindi un rinunziare e un perdere, un distacco e una morte, e al tempo stesso una opzione per la vita: ma nella perdita di una persona cara noi sperimentiamo al più alto grado l’esprezza di questa fatica, sia perché ciò che si perde è una persona che era quasi noi stessi, sia perché la morte fisica della persona cara ci pone nel modo più crudo davanti al conflitto fra ciò che passa irrevocabilmente senza di noi (la morte come fatto della «natura») e ciò che dobbiamo fai passare nel valore (la

(29) Croce, frammenti di Etica, 1922, pp. 2224, cfr. p. 21 e 111.82

ERNESTO DE MARTINO

morte come condizione per l’esplicarsi della eterna forza rigenerante della « cultura). La fatica di « far passare » la persona cara che è passata in senso naturale, cioè senza il nostro sforzo culturale, costituisce appunto quel vario dinamismo di affetti e di pensieri che va sotto il nome di cordoglio o di lutto: ed è la « varia eccellenza»[...]

[...]to al pensiero dell’a/ di là dell’opera umana, da dispiegare senza sosta nella storia per vincere il nonessere perennemente risorgente, innegabilmente da quel mito si svolse questo pensiero, per filiazione diretta e secondo itinerari culturali dimostrabili. D’altra parte la interpretazione del Croce non vale soltanto per la civiltà cristiana, e per il cristiano culto dei morti, ma può essere estesa a tutte le possibili civiltà religiose. Anzi la più sicura conferma della sostanziale verità della formulazione del Croce sembra provenire addirittura dalle cosiddette civiltà primitive, ove i rituali funerari mostrano nel modo più crudo e diPERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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retto il momento dell’oblio dell’evento luttuoso, e l’espressione simbolica — nel rito come nel mito — della separazione del morto dai viventi e della difesa dei viventi dalle funeste insidie del morto. Presso i Feugini p. es. il tema dell’oblio trova espressione in numerosi tratti del rituale funerario. « Niente deve ricordarci più il nostro morto», dicono, gli indigeni (30): e in conformità a questo proposito immobilizzano il cadavere affinché non torni come spettro a tormentare i viventi, cercando in vario modo di dissimulare e di rendere irriconoscibile il luogo della inumazione, si inibiscono di pronunziare il nome del defunto, bruciano la sua capanna e gli oggetti che gli appartennero in vita, così, e così via (31). Fra i riti funerari dei gruppi Aranda osservati da Strehlow ve ne è uno particolarmente istruttivo a questo proposito: viene tessuto un cordone con i capelli del morto, e il fratello minore nel corso de[...]

[...]ti alle monografie etnografiche di cui dobbiamo avvalerci quando manchi la opportunità di una ricerca personale in loco, costituiscono altrettanti ostacoli per chi volesse direttamente appoggiarsi al materiale etnologico al fine di approfondire la formulazione del Croce oltre la cerchia della civiltà cristiana e della sensibilità moderna per entro la quale essa è nata e maturata. D’altra parte approfondimenti di questo genere male cominciano col più arcaico e con l’idealmente più remoto da noi, per giungere poi sino a noi in un vano conato di storia universale, ma — al contrario — debbono partire dal certo e dal vero della nostra attuale consapevolezza storiografica per allargarsi nella direzione di quel passato culturale più prossimo dal quale la civiltà alla quale apparteniamo è nata per filiazione diretta (34). L’approfondimento che ci proponiamo di eseguire si orienta così in modo del tutto naturale verso il mondo antico, e cioè verso le antiche civiltà che si affacciarono al Mediterraneo, o

California Publications in America Archeology and Ethnology », XXXIII (1932), n. 3, pp. 296 sgg.

(34) Una delle difficoltà che si oppongono alla storicizzazione della ricerca etnologica è da ricercarsi nel fatto che i popoli illetterati attualmente viventi non rappresentano allatto fasi culturali per le quali l’umani[...]

[...]ì in modo del tutto naturale verso il mondo antico, e cioè verso le antiche civiltà che si affacciarono al Mediterraneo, o

California Publications in America Archeology and Ethnology », XXXIII (1932), n. 3, pp. 296 sgg.

(34) Una delle difficoltà che si oppongono alla storicizzazione della ricerca etnologica è da ricercarsi nel fatto che i popoli illetterati attualmente viventi non rappresentano allatto fasi culturali per le quali l’umanità più progredita sarebbe un tempo passata, ma sviluppi di una storia che si è svolta a lungo indipendentemente dalla nostra, e che solo in lontanissimi punti di selezione e in antichissime scelte si diparte da un processo storico comune. Non vi è quindi fra noi e questi popoli un rapporto culturale di filiazione diretta, ma piuttosto di lontana cuginanza con paternità incerta. Per una completa storicizzazione delle civiltà dei popoli illetterati noi dovremmo quindi poter riportare alla memoria proprio l’antichissima scelta culturale nella quale ci dividemmo imboccando cammini diversi, e dovremmo successivamente risalire il processo indipendente che ne è seguito, sino alla situazione attuale, etnograficamente osservabile: il che è certamente possibile (ed oggi che sta tramontando il rapporto coloniale con quei popoli è anche augurabile che avvenga), ma comporta ad ogni modo una fatica « molesta e grave » — per dirla [...]

[...]riveste una importanza culturale di primo piano. In ciascuna di queste civiltà esso fu sottoposto ad elaborazioni diverse, sollevandosi in Egitto al lamento di Iside e Nephtys per Osiride, in Israele trasponendosi nella qulnà profetica, alimentando in Grecia l’epos, la tragedia e la Urica della morte, e da per tutto collegandosi con determinati valori politici e sociali (lamentazioni collettive per il re o per il signore o per l’eroe). Ma c’è di più: il lamento funebre rituale si collega saldamente, nel mondo antico, al mito del nume che muore e che risorge, cioè a uno dei temi più importanti delle antiche civiltà religiose del Mediterraneo: questo rapporto è così organico da impedire di considerare l’antico lamento per i morti al di fuori del grandioso orizzonte mitico del nume morto e risorto, sia esso Osiride o Tamùz o Baal o Adone o Dioniso o Kore, e quindi al di fuori del pianto rituale e86

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del giubilo che nel rito attualizzavano la vicenda mitica di questi numi. Nel che troviamo una conferma che il pianto rituale rappresenta nel mondo antico non soltanto un importante momento dei rituali funebri, ma proprio il tema centrale di quel partic[...]

[...]o e eredità del mondo antico, una lotta storica, avvenuta una sola volta, ed esattamente individuabile in senso storiografico, col risultato che il lamento cessò, per entro la civiltà cristiana, di far parte organica del rapporto fra morti e sopravvissuti, e di partecipare a un vario e importante processo di plasmazione, per scadere — anche se lentamente — a episodi relativamente secondari di circolazione culturale, e infine a relitti folklorici più o meno inerti e disgregati. D’altra parte vi è una seconda più particolare ragione che ci orienta verso il lamento funebre rituale del mondo antico, ed è il fatto che questo istituto si presenta nel quadro delle antiche civiltà mediterranee come il più adatto a consentire l’esplorazione di tutto l’arco che va dallo « strazio ■» alla oggettivazione del dolore, dalla crisi davanti al cadavere sino al riscatto culturale. Con una singolare ampiezza dinamica che ritrova continua eco nella nostra anima di uomini moderni il lamento antico ci permette di sorprendere il modo col quale, in un ambiente storico dal quale direttamente proveniamo o che ci siamo appena lasciati alle spalle, la dispersione e la follia che minacciano l’uomo colpito da lutto furono istituzionalmente moderate nel rito, ridischiuse alle figurazioni del mito, e drammaticamente [...]

[...]ti alle spalle, la dispersione e la follia che minacciano l’uomo colpito da lutto furono istituzionalmente moderate nel rito, ridischiuse alle figurazioni del mito, e drammaticamente redente nel vario operare umano, cioè nell’ethos delle memorie e degli effetti, nei significati sociali, politici e giuridici, nell’autonomia della poesia e dei gravi pensieri sulla vita e sulla morte:PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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finché, compiuto il suo ciclo storico, il pagano lamento cedette il luogo ad un nuovo e diverso modello culturale di comportamento davanti alla morte, il modello di Maria.

6. Maria come modello del cordoglio cristiano

In perfetta coerenza con la solenne affermazione della vittoria di Cristo sulla morte e con la polemica contro la lamentazione pagana, il Nuovo Testamento non conosce un pianto di Maria. In Giovanni 19. 2527 Maria appare alla croce come muta spettatrice, e l’evangelista non pone sulla sua bocca nessuna espressione di dolore: Maria madre di Gesù, Maria di Cleopha e Maria Maddalena vi sono[...]

[...] le forme esterne dell’antico lamento funebre rituale, con i suoi momenti dell’assenza, del planctus risolto in una mimica tradizionale e del discorso della lamentazione. Alla vista del figlio coronato di spine e con le mani legate, Maria perde coscienza e giace esamine a terra per lungo tempo, quindi tornata in sé entra nella vicenda della lamentazione, percuotendosi il petto e graffiandosi le guance con le unghie e innalzando un lamento che in più punti ricorda, per il suo contenuto, una comune lamentazione pagana resa da madre a figlio (37). Nella tragedia cristiana Christòs pàschon, attribuita a Gregorio di Nazianzo ma in realtà molto più tarda, Maria alterna lamenti di pagana ribellione con la coscienza di piangere non già il Cristo, ma il peccato di coloro che

lo conducono alla croce. Altrove essa proclama di star salda nella fede della risurrezione, e annunzia che i suoi lamenti avranno termine quando vedrà risorto colui che ora è in preda alla morte. Davanti al sepolcro del figlio, pur continuando il lamento Maria esorta le donne di Galilea a non lamentare la morte di Cristo, poiché nella prospettiva delle risurrezione è ormai compiuta l’epoca degli antichi lamenti funebri:

Come piangerò, come esprimerò il mio dolore[...]

[...]oscienza di piangere non già il Cristo, ma il peccato di coloro che

lo conducono alla croce. Altrove essa proclama di star salda nella fede della risurrezione, e annunzia che i suoi lamenti avranno termine quando vedrà risorto colui che ora è in preda alla morte. Davanti al sepolcro del figlio, pur continuando il lamento Maria esorta le donne di Galilea a non lamentare la morte di Cristo, poiché nella prospettiva delle risurrezione è ormai compiuta l’epoca degli antichi lamenti funebri:

Come piangerò, come esprimerò il mio dolore per la tua morte? O voi che lasciaste la terra di Galilea, o mie compagne cui, ignare dei misteri, attrasse Gesù che ora giace nella tomba, non intonate i soliti lamenti, ma pian
(37) Si vedano gli Acta Pilati nella edizione del Vannutelli, Roma 1938. Le lamentazioni sono più brevi in Acta Pilati A e B, più lunghe in C. Per alcune lamentazioni tralasciate dal Vannutelli, cfr. la edizione del Tischendorf, p. 306.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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getelo con un sommesso pianto: con lieti canti lo celebrerete quando tornerà, re della vita, affinchè si avveri la mia sicura speranza (38).

Come noto il Christòs pàschon è in parte un centone di versi di Eschilo, di Licofrone e di Euripide, ed ha un valore letterario scarsissimo: ma da punto di vista storicoreligioso è un documento notevole poiché ci mostra una Maria che pur assumendo i modi della lamentazione pagana appare in un [...]

[...]ratres!

(hic ad mulieres)

Et sorores!

(hic percutiat sibi pectus)

Ubi consolatio mea?

(hic manus ellevet)

Ubi tota salus?

(hic, inclinato capite, sternat se ad pedes Christi).

Maria Maior:

(hic percutiat manus)

O dolor!

Proh dolor!

Ergo quare,

(hic ostendat Christum apertis manibus) fili chare pendes ita cum sis vita

(hic pectus percutiat suum) manes ante secula?

.........(40)

Il rapporto è ancora più evidente nei compianti in volgare. In un testo cassinese della passione che risale alla metà del secolo decimosecondo (e che quindi è il più antico fra quelli conosciuti) la vicenda drammatica in latino si chiude con un frammento di planctus in volgare, corredato di note musicali, che sarà stato cantato in coro dai fedeli, specialmente dalle donne del popolo, e che riecheggia un tema del lamento funebre di madre a figlio, il ricordo dei nove mesi di gestazione:

.... te portai nillu meu ventre

.... quando te bejo... (lo) co presente

.... nillu teu regnu agirne ammette (a mmenteP) (41)

(40) Young, op. cit.t n, p. 506 sg.

(41) D. M. Inguanez, Un dramma della passione del secolo XII, Badia di Montecassino 1936, p. 38.P[...]

[...]ema del lamento funebre di madre a figlio, il ricordo dei nove mesi di gestazione:

.... te portai nillu meu ventre

.... quando te bejo... (lo) co presente

.... nillu teu regnu agirne ammette (a mmenteP) (41)

(40) Young, op. cit.t n, p. 506 sg.

(41) D. M. Inguanez, Un dramma della passione del secolo XII, Badia di Montecassino 1936, p. 38.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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Analogo rapporto può intravedersi nella più ampia ed elaborata drammatizzazione della passione inclusa nei Carmina Burana, dove alla remissione dei peccati fatta da Gesù segue — con poca coerenza, come nota lo Young — un lamento di Maria che si inizia con le disperate parole: awe, awe, daz ich ie wart geborn (42). A proposito della famosa lauda di Jacopone «Donna del Paradiso» il Toschi ha osservato come determinate espressioni del corrotto («Figlio, amoroso giglio», «Figlio, occhi giocondi», «Figlio di mamma scura», «Figlio de la sparita, figlio attossicato», «Figlio, a chi m’appiglio? Figlio pur m’hai lassato », « Figlio, perché t’as[...]

[...]ssione per i defunti l’invito: Amen, fiat ita, Dicat omnis ecclesia; e un planctus per il duca normanno Guglielmo morto nel 943 si apre con la seguente didascalia di esecuzione: Cuncti flètè prò Wilhelmo Innocente interfecto (cfr. H. Springer, Dos altporvenzalische Klagelied mit Beruc^sichtigung der verwandten Uteraturen, Berlin 1895, p. 16 sg.).92

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la morte, la figura di Maria si adattò persino ad accogliere gli aspetti più arcaici del cordoglio antico, come il cadere inanimata ed il percuotersi il petto e il graffiarsi le guance ed il lamentarsi, secondo che narrano gli Acta Pilati: ma la sua figura di madre in lutto resta sostanzialmente legata ad un’altra immagine pedagogicamente egemonica, al suo stare raccolto, immobile e muto del Vangelo giovanneo, o al contemplare velato di lacrime della sequenza dello Stabat. Ed il centro della cristiana religione non è nel cordoglio di Maria come tale, ma in quel « portare Christi mortem » che la Mater dolorosa aiuta a vivere come esperienza (fac ut portem mortem Christ[...]



da George Lukacs, La mia via al marxismo [traduzione di Ugo Gimelli] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]e la possibilità di « inserire » in una tale concezione del mondo quanta avevo assimilato di Marx in quel periodo. La Filosofia del denaro di Simmel e gli scritti sul protestantesimo di Weber furono i miei modelli per una « sociologia della letteratura » in cui gli elementi derivati da Marx erano bensì ancora presenti, ma tanto assottigliati e impalliditi da essere appena riconoscibili. Secondo l'esempio di Simmel io da un lato distaccavo quanto più era possibile la « sociologia » dal fondamento economico concepito in modo assai astratto, e dall'altro lato nell'analisi « sociologica » scorgevo soltanto lo stadio iniziale della vera e propria ricerca scientifica in materia di estetica (Storia dell'evoluzione del dramma moderno, 1909; Metodologia della storia letteraria, 1910, ambedue in ungherese). I miei saggi apparsi fra il 1907 e il 1911 oscillavano fra questo metodo e un soggettivismo mistico.
Era naturale che in un tale sviluppo della mia concezione del mondo le impressioni giovanili dalla lettura di Marx impallidissero sempre più e[...]

[...]vo soltanto lo stadio iniziale della vera e propria ricerca scientifica in materia di estetica (Storia dell'evoluzione del dramma moderno, 1909; Metodologia della storia letteraria, 1910, ambedue in ungherese). I miei saggi apparsi fra il 1907 e il 1911 oscillavano fra questo metodo e un soggettivismo mistico.
Era naturale che in un tale sviluppo della mia concezione del mondo le impressioni giovanili dalla lettura di Marx impallidissero sempre più e finissero per avere una parte sempre minore nella mia attività scientifica. Consideravo Marx non meno di prima l'economista e il « sociologo » più competente; ma economia e _« sociologia » avevano per allora una parte minore nella mia attività. I singoli problemi e le fasi dello sviluppo, nel quale questo idealismo soggettivo mi condusse a una crisi filosofica, non interessano il lettore. Ma questa crisi — invero a mia insaputa — era
LA MIA VIA AL MARXISMO 3
determinata_ oggettivamente da un più intenso manifestarsi dei contrasti imperialistici e fu accelerata dallo scoppio della guerra mc ñdiale Certamente questa crisi si manifestò dapprima solo nel passaggio dall'idealismo soggettivo all'idealismo oggettivo (Teoria del romanzò, scritta nel 191215), e naturalmente Hegel venne ad acquistare per me un'importanza sempre crescente, in particolare la Fenomenologia dello spirito. Col carattere imperialistico della guerra che mi diveniva sempre più chiaro, con l'approfondimento dei miei studi hegeliani, nel corso dei quali mi accostai anche e Feuerbach — comunque allora solo dalla parte de[...]

[...]tenso manifestarsi dei contrasti imperialistici e fu accelerata dallo scoppio della guerra mc ñdiale Certamente questa crisi si manifestò dapprima solo nel passaggio dall'idealismo soggettivo all'idealismo oggettivo (Teoria del romanzò, scritta nel 191215), e naturalmente Hegel venne ad acquistare per me un'importanza sempre crescente, in particolare la Fenomenologia dello spirito. Col carattere imperialistico della guerra che mi diveniva sempre più chiaro, con l'approfondimento dei miei studi hegeliani, nel corso dei quali mi accostai anche e Feuerbach — comunque allora solo dalla parte dell'antropologismo — comincia il mió secondo intenso studio di Marx. Questa volta stavano per me in prima piano gli scritti filosofici del periodo giovanile, sebbene studiassi anche con passione la grande Introduzione alla critica dell'economia politica. Questa volta però si trattava di un Marx non più guardato attraverso la lente di Simmel ma attraverso quella hegeliana. Non più Marx come « eminente specialista », come « economista e sociologo »; mi si cominciava già a delineare il filosofo dal largo pensiero, il grande dialettico. Tuttavia neanche allora vedevo il significato del materialismo per la con" cretizzazione e l'unificazione, per l'impostazione coerente dei problemi dialettici. Arrivai solo fino a una priorità — hegeliana — del contenuto rispetto alla forma e cercai di sintetizzare, su base essenzialmente hegeliana, Hegel e Marx in una «filosofia della storia ». Questo tentativo acquistò una particolare sfumatura dal fatto che nel mio paese, in Ungheria, l[...]

[...]ignificato del materialismo per la con" cretizzazione e l'unificazione, per l'impostazione coerente dei problemi dialettici. Arrivai solo fino a una priorità — hegeliana — del contenuto rispetto alla forma e cercai di sintetizzare, su base essenzialmente hegeliana, Hegel e Marx in una «filosofia della storia ». Questo tentativo acquistò una particolare sfumatura dal fatto che nel mio paese, in Ungheria, l'ideologia del « socialismo di sinistra » più influente era il sindacalismo di Erwin Szabos. I suoi scritti sindacalisti dettero ai miei « tentativi di filosofia della storia », accanto a più di un elemento positivo (ad esempio la conoscenza, fatta attraverso lui, della Critica del programma di Gotha), una nota accentuata di astratto soggettivismo e pertanto eticizzante. Tagliato fuori, in quanto intellettuale universitario, dal movimento operaio illegale, non potei prendere visione, durante il conflitto, né degli scritti spartachisti né di quelli di Lenin sulla guerra. Lessi invece, con effetti profondi e duraturi, le opere di prima della guerra di Rosa Luxemburg. Stato e rivoluzione di Lenin l'ho letto solo nel periodo rivoluzionario 19181919.
4 GEORG LUKACS
In tale fermento i[...]

[...]e opere di prima della guerra di Rosa Luxemburg. Stato e rivoluzione di Lenin l'ho letto solo nel periodo rivoluzionario 19181919.
4 GEORG LUKACS
In tale fermento ideologico mi colsero le rivoluzioni del '17 e del '18. Dopo breve esitazione mi iscrissi nel 1918 al Partito Comunista Ungherese e rimasi da allora nelle file del movimento rivoluzionario operaio. Il lavoro pratico mi costrinse subito a dedicarmi agli scritti economici di Marx, a un più profondo studio della storia, della storia economica, di quella del movimento operaio ecc., impegnandomi così in una revisione continua dei fondamenti filosofici. Tuttavia questa latta per impadronirsi della dialettica marxista durò molto a lungo. Le esperienze della rivoluzione ungherese mi mostrarono bensì molto chiaramente la fragilità di ogni teoria sindacaleggiante (funzione del partito nella rivoluzione), ma un soggettivismo ultrasinistro é sopravvissuto in me ancora a lungo (posizione nel dibattito sul parlamentarismo, 1920; atteggiamento nell'azione del marzo 1921). Questo mi impediva[...]

[...]oluzione ungherese mi mostrarono bensì molto chiaramente la fragilità di ogni teoria sindacaleggiante (funzione del partito nella rivoluzione), ma un soggettivismo ultrasinistro é sopravvissuto in me ancora a lungo (posizione nel dibattito sul parlamentarismo, 1920; atteggiamento nell'azione del marzo 1921). Questo mi impediva soprattutto di intendere veramente ed esattamente il lato materialistico della dialettica nel suo significato filosofico più comprensivo. Il mio libro Storia e coscienza di classe (1923) mostra molto chiaramente questo passaggio. Nonostante il tentativo, già consapevole, di superare ed « eliminare » Hegel con Marx, ,Rrpb1emi_ decisivi_.di dialettica venivano risolti idealisticamente (dialettica della natura, teoria del rispecchiamento ecc.). La teoria della Luxemburg sull'accumulazione, ancora da me mantenuta, si mescolava in modo non organico con un attivismo soggettivistico ultrasinistro.
Soltanto l'intima adesione al movimento operaio, dovuta ad una attività di molti anni, e la possibilità di studiare le opere[...]

[...]rne, poco a poco, la fondamentale importanza, avviarono il terzo periodo del mio interessamento per Marx. Solo ora, dopo quasi un decennio di lavoro pratico e dopo oltre un decennio di sforzo intellettuale per comprendere Marx, il carattere totale e unitario della dialettica materialistica mi é divenuto concretamente chiaro. Ma appunto questa chiarezza porta con sé il riconoscimento che il vero studio del marxismo comincia soltanto ora e non può piú fermarsi. Giacché, come Lenin dice tanto giusta
; ' mente, re il fenomeno é più ricco della legge... e perciò la legge, (qualsiasi legge, é angusta, incompleta, approssimativa >?. Chiunque si illuda di aver compreso una volta per tutte i fenomeni della
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natura e della sodrtà sulla, base di una conoscenza, vasta e profonda quanto si voglia, del materialismo dialettico, deve necessari i té`ricädere dalla viva dialettica nella rigidità meccanica,
1 ri äterialismo che tutto abbraccia nell'unilateralità idealistica.
Il materialismo dialettico, la dottrina di Marx, deve essere conquistata, assimilata giorno per giorno, ora per ora, partendo dalla pr[...]

[...]nto costitutivo (o anche soltanto lo trascuriamo) avremo di nuovo rigidezza e unilateralità. Basta che non si colga il rapporto dei momenti fra loro e si potrà perdere di nuovo di sotto i piedi il terreno della dialettica materialistica. « Giacché ogni verità » dice Lenin « puk se la si esagerai se si trapassano i confiñi della sua,_ vá tàs divenire un'assurdità, anzi in tali circo stanze e inevitabtic chc divenga un assurdità ».
Sono passati più di trent'anni da che io, ragazzo, lessi per la prima volta il Manifesto dei Comunisti. L'approfondimento progressivo — sia pure contradditorio e non rettilineo — degli scritti di Marx è divenuta la storia del mio sviluppo intellettuale e quindi addirittura la storia di tutta quanta la mia vita, nella misura in cui essa può avere un significato per la società. A me sembra che nell'epoca che segue a Marx la presa di posizione rispetto al suo pensiero debba rappresentare il problema centrale di ogni pensatore che prenda se stesso sul serio, e che il modo e il grado in cui egli acquisisce il meto[...]

[...]l serio, e che il modo e il grado in cui egli acquisisce il metodo e i risultati di Marx determini il suo posto nello sviluppo dell'umanità. Questo sviluppo si determina secondo la classe, ma anche questa determinazione non è rigida, bensì dialettica. La nostra posizione nella lotta delle classi determina largamente il modo e il grado della nostra acquisizione del marxismo; d'altra parte ogni progresso in questa acquisizione ci fa aderire sempre più alla vita e alla prassi del proletariato e ridonda beneficamente sull'approfondimento del nostro rapporto con la dottrina marxista.
GEORG LUKÁCS
(1933)
6 GEORG LUKÁCS
POSTSCRIPTUM 1957 (*)
Le righe precedenti sono state scritte, come ognuno può ben vedere, in uno stato di estrema tensione che non era dovuto solo al fatto che io dopo tante avventure intellettuali finalmente sentivo, quasi cinquantenne, il terreno fermo sotto i miei piedi: anche gli avvenimenti del quindicennio precedente contribuivano fortemente a tale stato d'animo. Dei primi anni della rivoluzione ho già parlato, non co[...]

[...]itto per il a Symposium on contemporary Thought » edito in Giappone col titolo a Isvanami Gendai Schiso ».
LA MIA VIA AL MARXISMO 7
misti) che si allontanavano dal modello imposto, si urtasse contro una resistenza sorda o aggressiva, riuscì solo poco a poco a fare im
pallidire queste speranze. Da principio credevo, e con me non
pochi altri, di trovarmi davanti agli avanzi di un passato non superato del tutto: Rappisti, sociologi volgari ecc. Più tardi capimmo
che tutte queste tendenze contrarie al progresso del pensiero avevano solidi appoggi burocratici. Tuttavia per un certo tempo credemmo a un carattere, dopo tutto, casuale di questo sistema difen sivo del dogmatismo; molti di noi talora sospiravano pensando a Stalin: « Ah, si le roi le savait ». Un tale stato di case non poteva. naturalmente durare indefinitamente. Si dové riconoscere che la fonte del contrasto fra le correnti progressive che arricchivano la cultura marxista e l'oppressione dogmatica di una burocrazia tirannica su ogni pensiero autonomo era da ricercarsi nel reg[...]

[...]che nella sua persona.
Tuttavia quando si trattava di prender posizione rispetto a questi fatti, ogni persona riflessiva doveva partire dalla situazione storica del momento, che era quella dell'ascesa di Hitler e della preparazione della sua guerra di annientamento contro il socialismo. Mi è sempre stato ovvio che ad ogni decisione che tale situazione imponeva dovesse subordinarsi incondizionatamente tutto, anche ciò che a. me personalmente era più caro, anche l'opera stessa della mia vita. Io ritenevo che il compito principale della mia vita consistesse nel bene impiegare la concezione marxistaleninista in quei campi che io conoscevo, nel farla progredire nella misura in cui ciò fosse imposto dalla scoperta di nuovi dati. Ma poiché al centro del periodo storico in cui . si svolgeva questa mia attività si trovava la latta per l'esistenza dell'unico stato socialista e quindi del socialismo stesso, io subordinavo ovviamente ogni mia presa di posizione, anche riguardo alla mia propria opera, alle necessità del momento. Questo tuttavia non [...]

[...]l'imperativo di tacere. E' noto per esempio, come durante la guerra fosse deciso di dichiarare Hegel ideologo della reazione feudale contro la rivoluzione francese; perciò io non potei allora naturalmente pubblicare il mio libro sul giovane Hegel. Si può certamente vincere la guerra, pensavo, anche senza ricorrere a simili sciocchezze senza basi scientifiche ma, una volta che la propaganda antihitleriana è andata a occuparsi proprio di questo, è più importante per il momento vincere la guerra che questionare sulla giusta concezione di Hegel. E' noto che questa tesi errata si è mantenuta a lungo anche dopo la guerra, ma è altrettanto noto che io ho poi pubblicato il libro su Hegel senza cambiarvi una riga.
Si trattava tuttavia anche di problemi sociali assai più gravi di questo, i quali mettevano allora sempre più in evidenza l'aspetto negativo dei metodi staliniani. Mi riferisco naturalmente ai grandi processi, la cui legalità io fin da principio giudicai con scetticismo, non molto diversamente per esempio da quella dei processi contro i girondini, i dantoniani ecc. nella grande rivolu zione francese, cioè io riconoscevo la loro necessità storica senza preoccuparmi troppo della questione della loro legalità. (Oggi ritengo che Krusciov abbia ragione quando ne rileva energicamente la superfluità politica). La mia posizione mutò radicalmente allorché fu diffusa la parola d'ordine di estirpare fin dalle r[...]

[...]e. Appunto perché io insistevo in questo sforzo che, come ritenevo e ritengo, era imposto dalla nuova situazione internazionale, volli aderire al congresso di Wroclaw (1948), al « Movimento per la pace » e ne sono rimasto fino ad oggi convinto seguace. E' sintomatico che l'argomento da me trattato a Wroclaw fu l'unità e la distinzione dialettica dell'avversario di ieri e di oggi, cioè la reazione imperialistica.
L'anno 1948 rappresentò forse la più importante svolta della storia a partire dal 1917: intendo la vittoria della rivoluzione proletaria in Cina. Appunto in seguito ad essa vennero in evidenza
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le contraddizioni decisive nella teoria e nella prassi di Stalin. Giacché oggettivamente questa vittoria significava che il periodo del socialismo in un solo paese — quale Stalin l'aveva difeso a ragione contro Trozki — apparteneva definitivamente al passato; il sorgere delle democrazie popolari nell'Europa Centrale aveva già rappresentato un passaggio alla nuova realtà. Ma soggettivamente fu evidente che Stalin e i suoi [...]

[...] mia complessa attività di funzionario e di concentrarmi esclusivamente nel lavoro intellettuale. Questa circostanza, l'esperienza della discussione, quella dei grandi avvenimenti di allora mi giovarono nel riesame approfondito che feci dei problemi del marxismoleninismo in relazione ai metodi di Stalin e dei suoi seguaci. La convinzione sempre crescente che Stalin non avesse capito quello che c'era di decisamente nuovo nella situazione era resa più larga e più generale da una più profonda coscienza del passato. Mi fu evidente come, mentre nella seconda metà degli anni venti la lotta contro il fascismo era divenuta il problema centrale, Stalin non ne avesse capito il significato se non circa un decennio più tardi. In una epoca in cui la formazione di un fronte unitario dei lavoratori, anzi di tutti gli elementi democratici, era divenuta una questione vitale per la civiltà umana, la tesi di Stalin della socialdemocrazia come « fratello gemello » del fascismo rese impossibile questo fronte. Egli rimase dunque attaccato a una strategia e a una tattica che erano giustificate nella tempesta rivoluzionaria del 1917 e subito dopo, ma che, col placarsi di quella, dopo lo spiegarsi della grande offensiva del capitalismo monopolistico più reazionario, erano oggettivamente del tutto invecchiate. Ciò che ac[...]

[...] anzi di tutti gli elementi democratici, era divenuta una questione vitale per la civiltà umana, la tesi di Stalin della socialdemocrazia come « fratello gemello » del fascismo rese impossibile questo fronte. Egli rimase dunque attaccato a una strategia e a una tattica che erano giustificate nella tempesta rivoluzionaria del 1917 e subito dopo, ma che, col placarsi di quella, dopo lo spiegarsi della grande offensiva del capitalismo monopolistico più reazionario, erano oggettivamente del tutto invecchiate. Ciò che accadde dopo il 1948 cominciai a considerarlo come ripetizione storica dell'errore fondamentale degli anni venti.
In questo scritto, ove l'argomento vero e proprio é formato. dall'intimo sviluppo delle mie idee, é impossibile anche solo accennare al sistema di pensiero che sta all'origine di tali concezioni errate; sia notato soltanto questo, che il tragico dissidio nel pensiero di Stalin mi divenne sempre più evidente. Lenin, all'inizio del periodo imperialistico, ha messo in luce, partendo dalla dottrina dei classici, l'impor[...]

[...]vamente del tutto invecchiate. Ciò che accadde dopo il 1948 cominciai a considerarlo come ripetizione storica dell'errore fondamentale degli anni venti.
In questo scritto, ove l'argomento vero e proprio é formato. dall'intimo sviluppo delle mie idee, é impossibile anche solo accennare al sistema di pensiero che sta all'origine di tali concezioni errate; sia notato soltanto questo, che il tragico dissidio nel pensiero di Stalin mi divenne sempre più evidente. Lenin, all'inizio del periodo imperialistico, ha messo in luce, partendo dalla dottrina dei classici, l'importanza del fattore soggettivo. Stalin ne ha fatto un sistema di dogmi soggettivistici. Il tragico dissidio
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consiste nel fatto che le sue grandi qualità di ingegno, le sue ricche esperienze, la sua notevole acutezza, lo condussero non di rado a rompere il cerchio magico del soggettivismo, anzi ad accorgersi chiaramente dell'erroneità di esso. Pertanto mi appare tragico che la sua ultima opera cominci con una giusta critica del soggettivismo economico senza [...]

[...]cienza. Avvenne dunque che, man mano che il predominio spirituale di Stalin si rafforzò e si irrigidì in culto della personalità, la ricerca marxistica degenerò largamente in un'esposizione, applicazione e diffusione di « verità definitive ». La .ris sta e
d lla vita e della scienza era, secondo l'insegnamento dominante, dep iitata nelle_ o eres dei classici, pr
soattútt& in qúéllé di RStalin. Da principio Marx ed Engels furono spinti sempre più energicamente in secondo piano da Lenin e poi Lenin da Stalin. Ricordo bene, per esempio, il caso di un filosofo che fu ripreso perché trattava le determinazioni della dialettica secondo i Quaderni filosofici di Lenin. Stalin, gli si fece presente, aveva enumerato nel quarto capitolo della Storia del partito meno distinzioni della dialettica e così aveva fissato definitivamente il loro numero e la loro natura. Perciò interessava soltanto trovare per ogni problema trattato la citazione da Stalin appropriata. « Che cos'è una idea ? » domandò una volta un compagno tedesco. « Un'idea è il collega[...]

[...]to negare il fatto che la porta per un ulteriore sviluppo del marxismoleninismo non era stata
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serrata del tutto. Stalin possedeva il privilegio di arricchire il tesoro delle verità eterne con verità nuove e di mettere fuori circolazione una verità considerata fino ad allora come inconfutabile.
Che con tale sistema la vita scientifica soffrisse gravemente non occorre che venga dimostrato. Basti solo accennare che le scienze più importanti dal punto di ,vista teoretico per lo sviluppo de"TA marxismo, l'economia politica e la filosofia, furono quasi completamente paralizzate. Lo sviluppo delle scienze naturali poteva essere ostacolato assai meno; sebbene anche qui vi siano stati conflitti o addirittura crisi il loro progresso pratico era una questione talmente vitale che non si poteva in alcun modo ostacolarlo, anzi, nel campo della mera applicazione, veniva perfino energicamente promosso. Per quelle discipline le pericolose conse guenze della sterile « citatologia », nei problemi di metodologia o nei concetti base, s[...]

[...]e scienze naturali poteva essere ostacolato assai meno; sebbene anche qui vi siano stati conflitti o addirittura crisi il loro progresso pratico era una questione talmente vitale che non si poteva in alcun modo ostacolarlo, anzi, nel campo della mera applicazione, veniva perfino energicamente promosso. Per quelle discipline le pericolose conse guenze della sterile « citatologia », nei problemi di metodologia o nei concetti base, si manifestavano più marginalmente.
Io non era affatto il solo che conducesse una lotta partigiana ininterrotta contro questo spirito di irrigidimento. Ma a partire dalla morte di Stalin e specialmente dal ventesimo congresso questo complesso di problemi entrò in uno stadio qualitativamente nuovo; finalmente tutti questi problemi furono discussi apertamente, l'opinione pubblica della scienza cominciò ad esprimersi più o meno chiaramente. Anche a questo proposito é impossibile, nel presente abbozzo di autobiografia intellettuale, anche solo accennare a quelle discussioni e alle tendenze che vi si manifestavano; devo perciò limitarmi a riassumere brevemente la mia propria opinione. Io credo che oggi ii pericolo più grande per il marxismo sia rappresentato dalle tendenze alla sua revisione. Poiché per decenni tutto quanta Stalin affermava veniva. idéritificato col marxismo e anzi veniva addirittura proclamato il coronamento di esso, gli ideologi borghesi si sono affannati a utilizzare l'erroneità, divenuta evidente, di alcune tesi di Stalin, di. momenti essenziali della sua metodologia, allo scopo di promuovere la revisione anche dei risultati dei classici del marxismo, messi alla pari con Stalin. E poiché questa direzione di pensiero trascina con sé più di un comunista, intellettualmente disarmato per
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[...]tutto quanta Stalin affermava veniva. idéritificato col marxismo e anzi veniva addirittura proclamato il coronamento di esso, gli ideologi borghesi si sono affannati a utilizzare l'erroneità, divenuta evidente, di alcune tesi di Stalin, di. momenti essenziali della sua metodologia, allo scopo di promuovere la revisione anche dei risultati dei classici del marxismo, messi alla pari con Stalin. E poiché questa direzione di pensiero trascina con sé più di un comunista, intellettualmente disarmato per
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la sua educazione schematica e dogmatica, é il caso di parlare di un pericolo molto serio. Fintanto però che i dogmatici rimangono attaccati all'identità sostanziale di Stalin coi classici del marxismo, si troveranno altrettanto disarmati intellettualmente davanti a quelle correnti (con segno contrario) quanto i revisionisti in buona fede. Per la conservazione e il progresso del marxismoleninismo deve trovarsi un « tertium datur » come uscita da questo vicolo cieco; si deve cioè estirpare il dogmatismo per combattere[...]

[...]ttutto di me, del mio lavoro — sono convinto che il serio sforzo in direzione di una scienza marxistica uni
versale può dare alla mia vita un contenuto indistruttibile. (Qua
le valore obbiettivo avrà il mio contributo a quest'opera giudicherà la storia. Io non sono autorizzato a pronunciare un giudi
zio su di esso). Esistono ancora oggi vari impedimenti su questa
via. Il movimento operaio rivoluzionario dovette superare fin dal suo sorgere i piú diversi smarrimenti ideologici; finora vi é
sempre riuscito e io sono profondamente convinto che vi riuscirà anche in avvenire. Perciò mi sia consentito chiudere con il detto di Zola, un po' modificato: « La verité est lentement en marche .et á la fin des fins rien ne l'arrêtera ».
GEORG LUKÁCS
(traduzione di Ugo Gimmelli)



da Dacia Maraini, La mia storia tornava sotto l'albero carrubo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO
Da diversi giorni udivo la stessa frase da Ulisse, « cara calmati, calmati, calmati cara, cara malati calmanti calati », non so più. Potevo prevedere già, quando lo vedevo, che avrebbe fatto saltare quella corda e non un'altra; ma ho avuto modo di notare che Ulisse mi considerava piuttosto lenta di riflessi, per non dir imbecille. E vero che gli ho chiesto più volte di ripetere quando ha detto « calmati » perché non afferravo il senso; ma non é come lui pensava, che io non capissi il significato materiale delle parole, quello non mi preoccupava, solo il significato particolare che ogni persona dà alle parole che pronuncia, questo mi appassionava e perciò più volte lasciavo passare degli interi minuti prima di rispondere ad una domanda; soprattutto se posta da Ulisse, perché io vivevo con lui ed ho avuto agio di notare quanto egli mutasse il significato originale delle parole. Così quando mi disse t calmati », la prima volta, credo di essermi concentrata molto sulla parola, sia per ché era rivolta direttamente a me, sia perché cercavo d'indovinare cosa esattamente intendesse Ulisse con quella parola, anzi con quel verbo.
Forse, se avessi fatto attenzione in quel momento alla mia faccia mentre mi concentravo per meditare, ecco forse avrei saputo p[...]

[...]Calmati cara; ecco che l'ha detto di nuovo, mentre versavo l'acqua nel mio bicchiere; l'acqua é andata tutta di fuori, per forza, non era mai successo che mi parlasse a tavola; il resto delle parole che disse non le ricordo. Posso indovinare che si riferisse all'acqua che continuavo a versare dalla brocca, sapevo che Ulisse detestava il disordine, ma realmente non mi venne in mente di smettere, così credo, continuai per un pezzo finché non ci fu più un goccio d'acqua nella brocca, solo allora mi accorsi che stavo ancora stringendo il manico di vetro verde e allentai la stretta. Ulisse urlava, ma anche volendo, non posso ricordare cosa dicesse perché stavo ancora meditando sulle due parole che avevo già sentito la mattina del giorno prima, le quali suonavano come t calmati cara »
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o e cara calmati », non importa. Credo che mi avrebbe anche picchiata, ma si trattenne; non era una sorpresa per me perché' tante volte aveva afferrato la prima cosa che gli capitasse sotto mano per tirarmela, però non l'aveva mai fatto; si tr[...]

[...]sto movimento delle mie spalle a fermarlo; é la prima volta che ci penso, ma in verità i fatti si collegano bene; del resto perché, Ulisse avrebbe dovuto trattenersi dal picchiarmi? Gli facevo pena, ecco, credo che fosse proprio così.
Pensai che ero stanca di meditare su quelle parole: volendo avrei avuto tutta la notte per ritornare sull'argomento; guardai la gamba di Ulisse, non so perché proprio quella gamba e non l'altra, immagino che fosse più comodo fissare lo sguardo su una cosa sola anziché su due. Ma guardando la gamba di Ulisse non pensavo ad essa, non ricordo nean che se portasse pantofole o scarpe, ma ora che ci penso mio fratello porta sempre pantofole quando siede a tavola per la colazione, quindi doveva avere ai piedi proprio quelle.
Pensavo che ero stanca di pensare, ma questo pensiero mi stancava ancora di piú; così decisi di dormire, perché avevo constatato che solo quando dormivo non pensavo piú.
Avevo cercato di abituare me stessa al sonno, ogni volta ne avessi sentito la necessità, non fisica s'intende ma mentale. Devo dire che i miei tentativi quasi sempre erano falliti, non so se per colpa del metodo
o per insonnia inguaribile e congenita. Decidendo di dormire, in qualun_ que momento della giornata, chinavo la testa sul collo e apparentemente poteva quasi sembrare che dormissi; ma non passava un'ora che aprivo gli occhi per accertarmi che non fosse trascorso troppo tempo, non che avessi niente dà fare, ma ecco che ero sveglia e sapevo di non avere dormito perché non provavo alc[...]

[...]iva vecchia e di chiuso. Pensai che non avevo altro da fare che aspettare; un poco alla volta avrei dormito veramente.
La mamma cominciò a lamentarsi non so dove, nella casa: ecco questo era strano, che la mamma non fosse sprofondata nella sua sedia a sdraio, come aveva fatto ad alzarsi da sola? Aprii gli occhi per curiosità, e capii che avevo inventato ogni cosa per non dormire: la mamma era morta.
Come se Ulisse non l'avesse detto e ripetuto più volte: « Ora che la mamma é morta... »; ma io non gli credevo perché avevo notato che spesso si divertiva a confondermi le idee. Così quando non sapevo distinguere la finzione dalla realtà, preferivo non credergli liberandomi in tal modo dalle sue parole che altrimenti mi avrebbero ossessionato per giorni e giorni. Bé ora mi aspettavo che dicesse un po' sempre e cara calmati o calmati cara », e non stavo più tranquilla perché ancora non capivo che diavolo intendesse dire con quelle parole.
Lo vidi pigliare il giornale e tenerlo piegato fra le mani, come una tazza di the caldo, senza spostare le mani né in su né in giù, quasi avesse temuto di versare il liquido sui pantaloni. Quando apri il giornale per leggerlo mi ero già stancata di guardarlo e voltai la testa verso il muro.
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Mi fermai al foro di un chiodo che probabilmente Ulisse aveva piantato per appendere una fotografia o un quadro, che so io; adesso era rimasto il foro nel centro del muro, e due metri da terra, o forse p[...]

[...]tazza di the caldo, senza spostare le mani né in su né in giù, quasi avesse temuto di versare il liquido sui pantaloni. Quando apri il giornale per leggerlo mi ero già stancata di guardarlo e voltai la testa verso il muro.
IZ6 DACIA MARAINI
Mi fermai al foro di un chiodo che probabilmente Ulisse aveva piantato per appendere una fotografia o un quadro, che so io; adesso era rimasto il foro nel centro del muro, e due metri da terra, o forse poco piú. Il chiodo sarà caduto per il peso eccessivo del quadro, pensai; ecco che avevo indovinato che era un quadro. I quadri hanno sempre una cornice, quei pochi che avevo visto io ne avevano; cornici d'oro, in genere, ecco che il quadro, con ogni probabilità aveva avuto la cornice d'oro. I quadri, quei pochi che conoscevo io, raffiguravano la madonna o il pastore in montagna, anzi avevo visto più pastori nelle montagne che madonne.
Il quadro rappresentava dunque certamente un pastore visto di spalle, non ricordo di avere mai visto un pastore ritratto di faccia, e questo pastore era intento a guardare il sole, oltre naturalmente a badare alle sue pecore. Il sole può esserci come no; in genere riempie quel triangolo in alto sul quadro, là dove all'orizzonte le colline si confondono con il cielo. Avevo già appeso con il pensiero il quadro al suo chiodo quando mi venne in mente che qualcuno, per esempio la mamma, poteva averlo staccato volontariamente dal muro, avendo bisogno del chiodo [...]

[...]sero me stessa, non m'importava gran ché, ma perché dopo tanti anni non sapevo ancora prevederli e quando mi imbattevo in uno di essi facevo un salto all'indietro. Mi prendeva alla sprovvi_ sta, ecco tutto, specie se la stanza non era illuminata, allora potevo anche spaventarmi di gridare e poi dovevo inghiottire un'intera bottiglia di sciroppo per calmarmi.
Gli specchi no, ma i libri, ecco i libri erano la mia compagnia; alle volte qualcosa di più alle volte qualcosa di meno della semplice compagnia, ne avevo due o tre nascosti in ogni stanza, spesso sotto il letto, spesso dentro il sacco della biancheria sporca o nel forno, in cucina. Non che li tenessi sempre li, Ulisse avrebbe fluito per trovarli, e questo era proprio ciò che non volevo che accadesse.
Credo che la mamma fosse stata maestra prima che io nascessi; dopo la mia nascita cominciò ad ingrassare e non la smise più finché mori seduta nella sua sedia a sdraio. Se si può dire che "la mamma stesse seduta; che io ricordi non si piegava mai né indietro né in avanti, era tutta curva e protesa lontano da quelle che dovevano essere le sue ossa,
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 127
ammesso che la mamma avesse delle ossa. Ë lei che me l'ha detto, anzi ricordo che lo ripeteva sempre. Fra gli altri lamenti accennava al fatto dell'insegnamento, come se smaniasse per la voglia di tornare a fare la maestra. Lei non permetteva che io toccassi i suoi libri, questo no; disse che prima di morire li avrebbe g[...]

[...] no; disse che prima di morire li avrebbe gettati tutti nel fuoco pur di non lasciarli a me, ma poi non ne fece nulla perché le sarebbe costata troppa fatica, ed io non l'avrei aiutata, no di certo, a bruciare i suoi libri.
Sapevo di potere contare sulla generosità di Ulisse: infatti lasciò che io prendessi i libri appena mori la mamma, perché, disse, non sapeva che farsene. Io li contai, prima di tutto, e constatai che erano dodici, non uno di più non uno di meno, di cui cinque neri e gli altri a colori: devo ammettere che fin dall'inizio preferii quelli a colori.
La mamma diceva che non valeva la pena, e così non mi aveva mai insegnato a leggere, ma scoprii che non era molto importante, perché i libri io capivo lo stesso e quasi li conoscevo a memoria. Soprattutto quando osservai che Ulisse non leggeva mai un libro, capii che non doveva essere molto importante saperlo fare oppure no. Per i giornali si; ecco, credo proprio che per leggere i giornali bisogna sapere leggere, perché io non li capivo e Ulisse si.
Una volta riuscii a deci[...]

[...]o, come tienilo forte per la coda, se davvero credi in lui; parlo del diavolo, s'intende. Per il resto mi bastava sentire i commenti che Ulisse faceva ad alta voce quando alzava gli occhi dal giornale, per capire che erano tutte cose che mi potevano interessare poco.
Ulisse diceva ad ogni occasione « cara calmati », o « calmati cara »; non so dove avesse pescato questa frase. Aspettavo che smettesse così come era cominciata, ormai non mi faceva più né caldo né freddo, solo che come tutte le cose ripetute era diventata un po' noiosa.
Del resto Ulisse si ripeteva anche la natte, quando miagolava con la sua donna; ero costretta a sentirli per via del muro che è sottile fra la mia stanza e la sua. Alle volte Ulisse ruggiva come se avesse scoperto sapore di carote sul collo della sua donna e volesse mangiarla, addentando la carne; alle volte piagnucolava sotto voce come un topo preso in trappola con la pancia piena di formaggio dolce. Oppure stavano zitti tutti e due, allora tentavo di dormire, ma ecco che si mettevano a ridere con tutte e [...]

[...] addentando la carne; alle volte piagnucolava sotto voce come un topo preso in trappola con la pancia piena di formaggio dolce. Oppure stavano zitti tutti e due, allora tentavo di dormire, ma ecco che si mettevano a ridere con tutte e due le bocche spalancate e il loro ridere era simile ad un urlo di bestie.
Per fortuna questo succedeva solo poche volte al mese, le altre notti sentivo il russare di Ulisse, ma a quello era abituata e non mi dava più
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fastidio: era un rumore monotono come il graffiare di un cane dietro la porta o l'acqua che passa a scatti attraverso il tubo di scarico.
Che Ulisse russasse non mi dava noia, era il rumore di sirena e di acqua che faceva la sua donna a non farmi dormire. Tanto che finivo per andare a prendere un libro in uno dei tanti nascondigli e lo portavo con me nel letto. Prendevo un libro colorato in questi casi perché lo preferivo, juesto l'ho già detto; inoltre i libri colorati si vedono meglio quando c'è poca luce e gli occhi sono velati per il sonno.
Questo mi ricorda quella v[...]

[...]esti casi perché lo preferivo, juesto l'ho già detto; inoltre i libri colorati si vedono meglio quando c'è poca luce e gli occhi sono velati per il sonno.
Questo mi ricorda quella volta che diventai completamente cieca e feci cadere tutto ciò che avevo fra le braccia; posso ricordare il rumore che fecero quei cartocci spaccandosi in terra, con le uova per la mamma e le patate e le cipolle. Mi proposi di raccogliere quella roba, ma non ci vedevo più e questo mi impensieriva, come se mi fossi infilate le dita negli occhi, o forse lo feci. Ma è certo che non vedevo più e cosí sedetti per aspettare di vedere ancora. Qualcuno chiamò Ulisse o fece qualcosa di simile perché quando ci vidi di nuovo mi trovai a casa con la pezza bagnata sulla fronte; la mamma disse qualcosa che continuò a ripetere a lungo, sulle uova e la verdura.
Aspettavo dunque che Ulisse uscisse per mettermi a girare da una stanza all'altra. Dovevo cambiare di posto ai miei libri; alcuni non avevano più la copertina, ma vorrei proprio sapere se la mancanza di una pagina su trecento, e per giunta quella che non ha numero, possa avere alcuna importanza oppure no. Io avevo progettato una cosa geniale, cioè di riunire tutte le copertine dei dodici libri, perché le copertine non hanno numero e quindi che ci siano o no, non ha alcuna importanza, e di fare così un tredicesimo libro. Avrei arricchito la mia biblioteca; era un'idea che mi piaceva molto e studiavo il modo di metterla in atto un giorno o l'altro; perché la cosa non era così semplice come sembra. Innanzi tutto le copertine sono fatte di[...]

[...]rtanza, e di fare così un tredicesimo libro. Avrei arricchito la mia biblioteca; era un'idea che mi piaceva molto e studiavo il modo di metterla in atto un giorno o l'altro; perché la cosa non era così semplice come sembra. Innanzi tutto le copertine sono fatte di cartone anziché di carta come le pagine solite dei libri; quindi il libro rischiava di non essere un libro come si deve; poi come metterle insieme? Devo dire che questo era il problema più grosso. Che il libro fosse un po' diverso dagli altri non mi preoccupava gran ché; ma un libro di pagine sparpagliate, non incollate insieme, questo si, mi preoccupava, perché allora non potevo proprio dire che fosse un libro, nessuno mi avrebbe creduto e io non avrei potuto dargli torto.
Tutti sappiamo infatti che i libri sono fatti in un dato modo e nessuno può negare che le pagine di un qualsiasi libro sono fra loro incollate in maniera che si possano sfogliare senza perderle; questa è la verità
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 129
e chiunque voglia negarla o é pazzo o lo fa[...]

[...] torto.
Tutti sappiamo infatti che i libri sono fatti in un dato modo e nessuno può negare che le pagine di un qualsiasi libro sono fra loro incollate in maniera che si possano sfogliare senza perderle; questa è la verità
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 129
e chiunque voglia negarla o é pazzo o lo fa perché ciò torna a suo vantaggio.
Ma io non volevo negare la verità, volevo soltanto che il mio tredicesimo libro assomigliasse il più possibile agli altri dodici. E questo non
secondo la mia sola opinione, ma secondo la verità conosciuta da tutti, senza lasciarmi influenzare dal fatto che un tredicesimo libro era assolutamente necessario alla mia biblioteca, e quindi farmi travisare la veriti per il mio tornaconto personale.
Era una cosa necessaria come la storia delle scarpe; dico così per dire che è assolutamente necessario che le due scarpe siano una destra e una sinistra, anche se non dovessimo fare lunghe camminate; io per esempio non ne facevo mai, perché qualunque calzolaio si metterebbe a ridere se gli chiedeste d[...]

[...]i a picchiare lei o viceversa. Si picchiavano sulla testa e dappertutto, potevo udire il rumore. Con la stessa rapidità con cui avevano cominciato a picchiarsi poi, finivano per baciarsi con suoni di vuoto e di pieno.
Erano i momenti in cui sapevo che mio fratello non mi avrebbe det to « calmati cara » o « cara calmati », cosi stavo tranquilla e aspettavo che tacessero per addormentarmi anch'io. Intanto leggevo il mio libro, quello colorato, o, più spesso, pensavo al progetto del mio tredicesimo libro da aggiungere agli altri dodici che già possedevo.
Da una frase di Ulisse avevo appreso la parola « giocoforza », l'avevo imparata perché trovavo che proprio suonava bene, e la ripetevo fra me. Non sapevo che cosa significasse ma era piacevole, infine credetti di poterla interpretare come una cosa che fa piacere, non un oggetto ma qualche cosa di astratto, come si direbbe felicità o vanagloria. Giocoforza insomma esprimeva una cosa piacevole e forse anche un po' aspra, come quando si soffre e si ha piacere nello stesso tempo.
Ma questo a[...]

[...]L'ALBERO CARRUBO 131
Trento mi fece dimenticare il pianoforte e anche un poco i libri, che adesso cominciavo a lasciare in giro nelle stanze per giorni e giorni senza cambiargli il nascondiglio. Per fortuna Ulisse si disenteressava di questo genere di cose, non credo che avrebbe raccattato un libro neanche se l'avesse pestato con un piede, voglio dire che se ne infischiava anche se lui sapeva leggere ed era perfino andato a scuola.
Non tentavo più di risolvere il problema del tredicesimo libro, non che me ne fossi dimenticata, ma mi premeva di meno, ecco tutto. Probabilmente perché avevo cominciato a pensare a tutt'altre cose, a cui prima non avevo dato alcuna importanza; per esempio a me stessa come persona, anzi come donna e credo di essere diventata molto furba e maliziosa. Si perché Ulisse non si accorse di niente ed io continuai a vedere Trento tutti i giorni. Non che fosse difficile ingannare Ulisse, a causa del suo disinteresse per tutto ciò che non lo riguardava, o almeno che non riguardava i suoi denari; non mi guardava mai pe[...]

[...]n'altra? Sarebbe stato come fare un capriccio e Ulisse detestava i capricci, per quello che ne so io, soprattutto in fatto di oggetti nuovi da comprare.
Trento era molto alto. A me dava l'impressione che fosse piccolo, e soprattutto leggero; lo sostenevo come un uccello ancora incapace di volare, e a dire la verità avevo bisogno di contare le sue dita per rendermi conto che fosse proprio li, nel mio letto. Il fatto che fossero dieci, mai una di più o una di meno, mi dava sicurezza, perché quando cominciavo a contare non ero mai del tutto certa di arrivare a dieci. Le contavo con emozione e traevo un sospiro quando arrivavo alla fine. Erano dieci, almeno tutte le volte che le contavo io; non avrei giurato però che lo fossero sempre e ciò mi spingeva a ricominciare da capo. Quando entrava dalla porta della cucina, ecco, allora era alto, come se non avessi mai potuto raggiungerlo a quell'altezza e ciò mi angustiava. Erano i momenti in cui rimpiangevo di non essermi nutrita abbastanza; la mamma diceva che le mie ossa non si erano sviluppate[...]

[...] a quell'altezza e ciò mi angustiava. Erano i momenti in cui rimpiangevo di non essermi nutrita abbastanza; la mamma diceva che le mie ossa non si erano sviluppate del tutto, e quando diceva ossa guardava la mia testa come per dire che non era colpa mia se ero scema: colpa delle ossa che non si erano sviluppate completamente.
Non lo diceva, ma so che lo pensava perché quando diceva ossa guardava la mia testa e non era uno sguardo allegro, bensì piuttosto di disgusto.
Qualunque cosa dicesse Trento da quell'altezza, ma in genere non diceva niente, ebbene io non lo capivo perché improvvisamente pensavo alle mie ossa poco sviluppate. « Bevi il latte », al massimo ripensavo a queste parole della mamma, « Bevi il latte »; ma io odiavo il latte, l'avevo detto anche a Trento, a lui non importava affatto, ma io glielo dicevo lo stesso perché avevo piacere di conversare con lui e gli parlavo anche dei miei libri che tenevo nascosti; a lui non importava, che io ricordi, ma a me faceva piacere lo stesso.
Avrei voluto che non puzzasse di latte, pe[...]

[...]ché Trento si metteva a fumare e l'odore del tabacco assorbiva un poco quello acido del latte.
Mi piaceva vedere il fumo viola che scappava fuori dalle sue narici,
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 133
dagli angoli della bocca semichiusa. Aspettavo che aspirasse di nuovo dal suo cartoccio bianco per vedere il fumo dondolare nell'aria e poi rotolare verso il soffitto.
Lasciavo che chiudesse le imposte anche se ciò non mi permetteva più di vederlo; forse non amava guardarmi, io pensavo, seppure non glielo abbia mai chiesto. Lo pensavo perché chiudeva le imposte con un colpo, piegando insieme i polsi verso il petto e poi si coricava sopra di me; per quanto aprissi gli occhi non riuscivo a vedere che viso avesse. Quello che mi dava noia era il non poter sapere di quale colore fossero i suoi occhi; perché un momento prima che chiudesse le imposte erano grigi, li avevo notati; ma ora potevano essere gialli come viola, e questa incertezza mi faceva stare inquieta. A volere vedere per forza nel buio non guadagnavo niente; me ne ac[...]

[...]rché un momento prima che chiudesse le imposte erano grigi, li avevo notati; ma ora potevano essere gialli come viola, e questa incertezza mi faceva stare inquieta. A volere vedere per forza nel buio non guadagnavo niente; me ne accorsi presto; i lineamenti di Trento mi sfuggivano e i suoi colori si annullavano tutti nel nero. In quel momento avrebbe potuto essere un negro ed io non l'avrei saputo; non che mi importasse se era nero o meno, tanto più che non avevo visto un uomo di colore nella mia vita; ma per me Trento era bianco, quasi colore del latte e nel buio non ero più tanto sicura che conservasse il suo colore, ecco tutto. I miei occhi finivano per empirsi di disegni, avrei detto di materia luminosa colorata, o anche bianchi e neri come ombre frettolose lungo un muro. Ricordo le dita gialle e rosa che s'intrecciavano e si snodavano moltiplicandosi all'infinito. Questa immagine mi turbava, ricordo, perché tutte le mie forze cercavano di fermare il movimento delle dita; volevo che per azione della mia volontà cessassero di moltiplicarsi, ma quelle sfuggivano al mio controllo e s'intrecciavano sempre più velocemente, finché non mi veniva da urlare, e allora m[...]

[...]di disegni, avrei detto di materia luminosa colorata, o anche bianchi e neri come ombre frettolose lungo un muro. Ricordo le dita gialle e rosa che s'intrecciavano e si snodavano moltiplicandosi all'infinito. Questa immagine mi turbava, ricordo, perché tutte le mie forze cercavano di fermare il movimento delle dita; volevo che per azione della mia volontà cessassero di moltiplicarsi, ma quelle sfuggivano al mio controllo e s'intrecciavano sempre più velocemente, finché non mi veniva da urlare, e allora mi mordevo un labbro e le dita svanivano del tutto per lasciare posto ad altri disegni e ombre lucide nel buio.
Trento si addormentava su di un fianco, potevo vedere la sua bocca aperta e la saliva che colava lungo il mento. Era il momento in cui la sveglia cominciava a farsi sentire; voglio dire che il suo ticchettio, che di solito non udivo, cresceva di volume, fino a riempire tutta la stanza, che pulsava con essa, dilatandosi e restringendosi, aspirando e soffiando come un largo corpo malato seduto sulle nostre persone distese.
Non te[...]

[...]hé la domenica non veniva mai ed io non mi sarei meravigliata della
sua assenza, era mercoledì o giovedì, non importa. Tre o quattro volte
andai alla porta perché Trento aveva suonato ma ogni volta scappava appena andavo ad aprire, o forse non aveva suonato affatto, ed era un
prodotto della mia immaginazione. Ma io andavo lo stesso ad aprire perché sapevo che Trento era dietro la porta e aspettava che gli aprissi. Non venne quel giorno né mai piú.
Il latte lo portava su un altro; mi pare che si chiamasse Trento. Ulisse cominciò a parlarmi, ma non diceva niente di nuovo, erano due parole che già conoscevo, .e non mi facevano più né caldo né freddo, ma solo noia: diceva a calmati cara » o « cara calmati », non so.
Lasciai che parlasse a vuoto, tutt'al più ridevo piano fra me perché mi divertiva il modo con cui Ulisse allungava i denti fuori della bocca per dirmi « cara calmati ». Ma Ulisse non sopportava assolutamente che io ridessi di lui; me lo fece capire, a modo suo, urlando come faceva di solito, ed io lo lasciavo urlare, al massimo ridevo piano fra me.
Lui allora faceva il gesto di tirarmi qualche oggetto ma anche questa era una cosa vecchia e continuavo a ridere fra me, perché tanto sapevo che non avrebbe tirato un bel niente.
Se mi fermavo a guardare la sua gamba, soprattutto quando vestiva quel suo abito a righe bianche distanti l'u[...]

[...]desso lo sapevo, naturalmente poteva anche non essere vero affatto, la mamma poteva guardarsi le mani per altri motivi, ma era un pensiero nuovo e feci finta che fosse vero, anche se non potevo provare che lo fosse.
Mio fratello tornò dal viaggio; si perché era andato in viaggio con la sirena, non so dove. Tornò totalmente mutato: mi aveva lasciato chiu. sa in casa e quando aprì la porta con la chiave che teneva solo lui, sapevo già che non era più Ulisse, come quando era partito, ma un altro, Gio
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 135
varani o Amedeo, faceva lo stesso. Aveva perso l'impiego, questo lo so, non perché me l'abbia detto, ma perché non usciva più la mattina né dopo colazione. Con questo non voglio dire che stesse sempre in casa, ma Usciva irregolarmente, con la barba lunga e senza cappello, per cui potevo dedurre senz'altro che la sua mèta non era l'ufficio.
La sirena non venne piú, anche lei come Trento.
Ulisse non metteva il vestito a righe, cosicché non avevo piú occasione di ricordare la mamma. Non osavo girare per la casa mentre c'era pure lui, ma alla fine, vedendo che non usciva quasi mai, mi tolsi le scarpe e vagai per casa come facevo prima quando Ulisse era uscito. Ora mi dicevo « Amedeo é di lá che beve »; non successe mai che mi scoprisse durante i miei giri per le stanze in quel periodo. Oppure mi dicevo « Giovanni è in cucina che beve », e potevo stare tranquilla perché lui sarebbe rimasto li per lungo tempo.
Mi domandavo alle volte come facesse .a bere tanto, una bottiglia dopo l'altra: le allineava tutte in camera sua, sopra la scrivania[...]

[...]ottiglia, su questo non avevo dubbi. Lo stesso, però, mi rendevo conto che qualcosa non andava. Non era una situazione, insomma che la mamma avrebbe sopportato senza piagnucolare come una gatta, e sbraitare contro di me, anche se io, questa volta, non avevo colpa.
Avrebbe proibito che io leggessi i suoi libri, ma infine la mamma era morta e i libri erano in mano mia.
Non so perché né quando cominciò a picchiarmi; forse lo fece perché non aveva più la sirena con cui sfogarsi, o forse perché gli feci notare che la casa era piena di bottiglie vuote.
La prima volta che alzò le mani gridai a voce altissima perché non me l'aspettavo; ma poi ricordai che quello che mi afferrava per i capelli
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non era Ulisse ma Amedeo o Giovanni; per cui smisi di piangere e lo guardai da sotto, per indovinare se avrebbe continuato a lungo.
Non riuscii ad indovinare perché i suoi occhi non erano più due occhi come tutti gli altri, ma due pozzetti senz'acqua, viscidi e privi di espressione, avrei potuto chiamarli scatole o boccette, senza mo[...]

[...] sirena con cui sfogarsi, o forse perché gli feci notare che la casa era piena di bottiglie vuote.
La prima volta che alzò le mani gridai a voce altissima perché non me l'aspettavo; ma poi ricordai che quello che mi afferrava per i capelli
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non era Ulisse ma Amedeo o Giovanni; per cui smisi di piangere e lo guardai da sotto, per indovinare se avrebbe continuato a lungo.
Non riuscii ad indovinare perché i suoi occhi non erano più due occhi come tutti gli altri, ma due pozzetti senz'acqua, viscidi e privi di espressione, avrei potuto chiamarli scatole o boccette, senza modificarne in nulla la qualità. La barba gli puzzava di alcol, insomma, tutto dimostrava che Ulisse era ben morto lasciando al suo posto un sacco pieno di vino, che io chiamavo Amedeo, ma dargli un nome era già troppo, era come renderlo vivo.
In seguito imparai a difendermi, cioé mi raggomitolavo su me stessa in modo che Amedeo non potesse farmi troppo male; ma all'inizio non conoscevo ancora questi trucchi. Infatti Amedeo mi ruppe un braccio e poi mi [...]

[...] ben morto lasciando al suo posto un sacco pieno di vino, che io chiamavo Amedeo, ma dargli un nome era già troppo, era come renderlo vivo.
In seguito imparai a difendermi, cioé mi raggomitolavo su me stessa in modo che Amedeo non potesse farmi troppo male; ma all'inizio non conoscevo ancora questi trucchi. Infatti Amedeo mi ruppe un braccio e poi mi fece sbattere la testa contro lo spigolo del tavolo della cucina. Dopo quella volta non ci vidi più tanto bene, come se una rete avesse avvolto il mio occhio; le immagini urtavano fra loro e si fondevano tutte in un solo cerchio, così che perdevo continuamente l'equilibrio.
In seguito imparai a difendermi bene, come ho già detto: di ogni stanza conoscevo gli angoli più protetti dove riparavo appena Ulisse, no, appena Amedeo si alzava, avendo posato la bottiglia sul tavolo. Anzi posso dire che già sapevo quando mi sarebbe saltato addosso, lo potevo prevedere dal livello della bottiglia, perché finché c'era del liquido dentro, potevo star certa che non si sarebbe mosso, ma appena finiva la bottiglia, appena la posava sul tavolo, ecco, potevo correre al mio angolo perché fra poco mi avrebbe picchiata.
Un'altra volta che voleva battermi, mi ero chiusa nella mia stanza, convinta che non avrebbe mai potuto sfondare la serratura; ma si sarebbe detto che Amedeo fo[...]

[...] scivolò in camera e mi trascinò per i capelli fino alla cucina. « Ho fame », disse e mi batté la testa contro il tavolo. Non credo di essere svenuta perché ricordo il braccio che andava per conto suo; io decidevo di voltarlo a sinistra e il gomito faceva perno a vuoto, mentre l'avambraccio slittava come spinto verso il lato opposto. Mi venne da ridere per questa novità, ma forse fu allora che svenni perché sentii sapore di sangue in bocca e poi più niente. Credo che rimasi li in terra per un pezzo; mio fratello si stancava di me dopo un po', in genere; anche quella volta mi lasciò stare.
Usci e stette fuori due giorni, non so dove andasse. Il secondo giorno
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 137
non mangiai perché in casa non c'era più niente e fuori non potevo andare perché Amedeo chiudeva a chiave la porta quando usciva. Pensai
che sarei morta di fame; preparai i miei dodici libri accanto al letto perché volevo che morissero con me, poi mi addormentai e mi svegliai la mattina dopo al rumore della porta che sbatteva.
Era tornato. « Amedeo », dissi, « sono contenta che tu sia tornato »; ero seduta, anzi sdraiata sul tavolo, nella cucina. Aspettavo che entrasse dalla porta per vederlo bene e reclinavo la testa sulla spalla, spostandomi un poco sul fianco.
Quando entrò, vidi che era Ulisse; aveva la barba rasa e gli occhi [...]

[...] fianco.
Quando entrò, vidi che era Ulisse; aveva la barba rasa e gli occhi rotondi e chiari come quando si svegliava al mattino di buon umore. « Ecco che è tornato Ulisse », pensai; ed ero contenta; gli domandai se avesse portato del caffè.
Ulisse si avvicinò al tavolo e mi mise una mano sotto la gonna. Improvvisamente capii che avevo sbagliato tutto, come al solito. Tentai di alzare la mano destra dimenticando che era quella che non obbediva piú, il braccio tremò un poco e poi si fermò. Ricordai che era rotto e mi faceva male; c'era anche l'altra mano, ora che ci penso, ma ero troppo confusa per ricordarlo e rimasi immobile. Amedeo mi prese in braccio e mi posò sul letto; poi si distese sopra di me senza spogliarsi.
La mamma piagnucolava nella sua sedia a sdraio, la sentivo appena perché mio fratello faceva molto rumore. Notai che non somigliava per niente a Trento; ecco che adesso conoscevo due uomini diversi, ed era strano che in tanti anni non avessi mai pensato ad Ulisse come uomo. Era più forte di Trento, questo si, e sorrisi r[...]

[...]o, ora che ci penso, ma ero troppo confusa per ricordarlo e rimasi immobile. Amedeo mi prese in braccio e mi posò sul letto; poi si distese sopra di me senza spogliarsi.
La mamma piagnucolava nella sua sedia a sdraio, la sentivo appena perché mio fratello faceva molto rumore. Notai che non somigliava per niente a Trento; ecco che adesso conoscevo due uomini diversi, ed era strano che in tanti anni non avessi mai pensato ad Ulisse come uomo. Era più forte di Trento, questo si, e sorrisi ricordando che questo lo sapevo giá da prima, da quando mi aveva picchiata per la prima volta ed avevo scoperto che si chiamava Amedeo o Giovanni, fa lo stesso.
Il braccio mi faceva male, molto; come se qualcuno me lo stesse torcendo e piegando fino a fare un nodo più su del gomito. Il treno nel braccio, ecco, c'era un treno che faceva manovre sui binari vivi delle mie vene. « Lascia stare la corda », gridavo. Capii che gridavo perché mio fratello mi tappava la bocca con la sua e mi cacciava le mani nel collo.
Quella notte venne nel mio letto; poi, il giorno dopo, avevo la febbre, questo lo so perché la mamma diceva che si hanno i brividi quando viene la febbre ed io sentivo brividi per tutta la schiena. Il mio braccio gonfiò in quei giorni, fino a tendere al massimo la pelle, poi cominciò a diminuire e un giorno cessò anche di farmi male; credo che fosse[...]

[...]a la bocca con la sua e mi cacciava le mani nel collo.
Quella notte venne nel mio letto; poi, il giorno dopo, avevo la febbre, questo lo so perché la mamma diceva che si hanno i brividi quando viene la febbre ed io sentivo brividi per tutta la schiena. Il mio braccio gonfiò in quei giorni, fino a tendere al massimo la pelle, poi cominciò a diminuire e un giorno cessò anche di farmi male; credo che fosse guarito. E mio fratello non mi _picchiava piú; di questo gli ero grata e aspettavo che tornasse a casa col pacco di verdura e carne. Faceva così, ogni giorno;
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e mi portava anche la colazione a letto, dato che io non potevo muovermi per via del braccio. Era diventato perfino gentile, per quello che
ne so io della gentilezza. Non diceva mai « calmati cara » o « cara cal
mati », o simili cose; mi porgeva il vassoio con garbo e poi aspettava seduto accanto alla finestra che io finissi. Quando vuotavo il bicchiere, andava a riempirlo di nuovo in cucina; bevevo tanto in quei tempi,
chissà perché. E di notte sognavo sempr[...]

[...] garbo e poi aspettava seduto accanto alla finestra che io finissi. Quando vuotavo il bicchiere, andava a riempirlo di nuovo in cucina; bevevo tanto in quei tempi,
chissà perché. E di notte sognavo sempre il mare che non avevo mai visto ma conoscevo attraverso i miei libri. « Una massa d'acqua vasta e sconfinata dal colore del cielo », cosi era descritto; ma in altri libri era presentato in altro modo, tanto che io mi chiedevo se non ci fossero più specie di mari.
I diversi autori non parevano d'accordo sul colore, uno diceva che é azzurro, un altro parlava del viola intenso, oppure del verde; io non so tuttora cosa pensare, ma ciò non mi impediva di sognare sempre il mare, come un misto di colori.
In fondo la qualità dei colori non mi interessava, perché il mare era II a farsi bere da me, e amavo il suo sapore, un sapore che non assomigliava a nessun altro.
Infine Ulisse riportava il vassaio in cucina e lasciava che mi addormentassi, con la coperta fin sopra la testa perché la luce mi dava noia. Non speravo di chiudere le persiane f[...]

[...]avo. Era sempre Ulisse che mi svegliava; lo sapevo appena sentivo il contatto freddo della sua gamba che scivolava accanto alla mia. Non piangevo perché Ulisse non voleva. Cercavo di tenere il mio braccio lontano dal suo corpo, perché non lo toccasse; ma finiva sempre per urtarlo col mento o con la spalla ed io mi trattenevo per non piangere. Un giorno che Ulisse era uscito provai a muovere il gomito e vidi che rispondeva come prima. Non sentivo più quel dolore lungo la schiena, i treni si erano fermati, forse ne erano usciti per sempre. Ero contenta e mi alzai per andare a chiudere le persiane; ma poi pensai che non avevo più voglia di stare a letto. Andai in cucina per bere dell'acqua e li trovai Ulisse che dormiva accanto alla sua bottiglia vuota, con la testa appoggiata al tavolo.
Era mezzo nudo e teneva le gambe divaricate sotto il tavolo; la pelle delle sue mani era chiazzata di nero. Notai che avevamo lo stesso colore di pelle, di un bianco quasi disgustoso. Osservai come dormissero im
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mobili quelle mani sudice accanto alla nuca reclinata sul tavolo; quelle mani bianche come le mie e chiazzate di nero. Ogni giorno mi toccava con quelle mani, sapevo come si [...]

[...]era chiazzata di nero. Notai che avevamo lo stesso colore di pelle, di un bianco quasi disgustoso. Osservai come dormissero im
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mobili quelle mani sudice accanto alla nuca reclinata sul tavolo; quelle mani bianche come le mie e chiazzate di nero. Ogni giorno mi toccava con quelle mani, sapevo come si muovevano, potevo indovinare il loro calore e il loro peso sui miei seni. Pensai che non le avrei più sopportate. Desiderai tagliarle e farle morire lì, senza sangue. In quel momento udii il respiro di mio fratello e con gli occhi seguii la linea delle sue gambe distese rigide sotto il tavolo.
Dal mio braccio ormai guarito sentii crescere in me una forza immensa. Sapevo che cosa dovessi fare perché Ulisse non entrasse più nel
mio letto e lo feci. Adesso mi rendo conto che adoperai il coltello ma allora non Io sapevo, perché presi la prima cosa che mi capitò fra le mani e colpii finché Ulisse non cadde dal tavolo e sbatté la testa contro il pavimento.
La mamma prese ad inseguirmi per la casa, credo che volesse schiaf_ feggiarmi, ma non mi avrebbe mai raggiunta perché era troppo grassa e si muoveva con difficoltà.
Mai come allora desiderai il mare, perché la mia sete cresceva col passare dei giorni e anche senza sognare, ormai, vedevo la massa d'acqua, viola o verde che fosse, precedermi sempre di pochi passi[...]

[...]uri imbottiti. Mentre cercavo di addormentrmi rotolando su me stessa, infagottata a quel modo, mi ricordai improvvisamente dei miei libri. Mi alzai a sedere e cercai di appoggiarmi in modo da non cadere all'indietro. Come avevo fatto a dimenticare i miei libri durante quei giorni? Me lo chiesi tante volte,
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ma non trovavo una risposta che potesse soddisfarmi. Infine rinunziai a capire perché mi fossero usciti di mente; la cosa più urgente a questa punto era di scoprire il mezzo di riaverli presso di me.
Per non abbandonare questo pensiero che mi appassionava, non tentai neppure di dormire quella notte. La mattina dopo avevo preso la decisione di tornare a casa subito, per prendere i libri. Se non mi avessero lasciato andare, sarei scappata, ancora non sapevo come, ma ero certa di trovare il modo: mi ero accorta che si occupavano poco di me. Ma era urgente che mi sciogliessero quelle bende, e mi togliessero la camicia. di forza, perché costretta a quel modo non c'era nemmeno da pensare ad una fuga, lo capivo bene.
Ven[...]

[...]iva in quel modo, aveva le sue ragioni: forse era venuto a liberarmi_ Cosi mi limitai a guardarlo, senza fissarlo troppo apertamente però„
LA MIA STORIA TORNAVA SOTTO L'ALBERO CARRUBO 141
e aspettavo che mi rivolgesse uno sguardo d'intesa, o una parola sottovoce, come « ci sono qua io », oppure « zitta per carità », « fai finta d~ non conoscermi ».
Le mie braccia erano di nuovo libere; notai che il polso rotto si era gonfiato ma non mi faceva più male, così finii per non pensarci piú. Trento recitava così bene la sua parte che la donna non si accorse di niente; quasi la dava a bere pure a me.
Mi fecero salire le scale e traversare corridoi. Vidi altre donne bianche come quella dal sorriso d'angelo, e tutte sorridevano come lei, verso Trento, verso me, o verso i muri. Camminavano sulla punta dei piedi
e passavano rasentandoci senza quasi farsi notare, non emettendo alcun
rumore.
Nella stanza in cui mi portarono c'erano già quattro ragazze più
meno giovani di me, come vidi subito alla prima occhiata; loro per) erano vestite di grigio, con i capelli tagliati o raccolti[...]

[...]così bene la sua parte che la donna non si accorse di niente; quasi la dava a bere pure a me.
Mi fecero salire le scale e traversare corridoi. Vidi altre donne bianche come quella dal sorriso d'angelo, e tutte sorridevano come lei, verso Trento, verso me, o verso i muri. Camminavano sulla punta dei piedi
e passavano rasentandoci senza quasi farsi notare, non emettendo alcun
rumore.
Nella stanza in cui mi portarono c'erano già quattro ragazze più
meno giovani di me, come vidi subito alla prima occhiata; loro per) erano vestite di grigio, con i capelli tagliati o raccolti dietro la testa. Subito capii che anch'io avrei vestito di grigio come loro e capii pure che fra noi ragazze e le donne bianche dal sorriso d'angelo c'era una grossa differenza : nessuno ci avrebbe chiesto di sorridere come loro.
Devo confessare che ancora una volta dimenticai i miei dodici libri per dedicarmi alle quattro ragazze che stavano nella stanza con me.
Adesso sentivo crescere in me una gioia profonda, e se da principio non avrei saputo dire da che cosa [...]

[...]idere come loro.
Devo confessare che ancora una volta dimenticai i miei dodici libri per dedicarmi alle quattro ragazze che stavano nella stanza con me.
Adesso sentivo crescere in me una gioia profonda, e se da principio non avrei saputo dire da che cosa derivasse, poi scoprii che ero felice proprio per via di quelle quattro ragazze, tanto da dimenticare improvvisamente i miei libri per i quali prima avevo desiderato di fuggire.
Allora la mia più grande paura fu che mi togliessero di li. Guardai la mia accompagnatrice cercando di indovinare i suoi progetti nei miei riguardi, avrei voluto pregarla che mi lasciasse in quella stanza con le quattro ragazze, ma poi decisi di stare zitta, perché avevo già imparato che nella mia situazione era più saggio tacere: qualunque cosa io dicessi mi guardavano allarmati e i loro visi non promettevano niente di buono. Strinsi con le dita la spalliera di ferro del letto che mi stava di fronte e attesi che qualcuno parlasse; strinsi tanto forte il ferro da sentirmi dolere fino alla cima delle palpebre, ma non dissi una parola, sebbene lo desiderassi. La donna bianca non mi parlò, ma dai suoi gesti compresi che quel letto mi era destinato e che quindi io sarei rimasta in quella stanza con le quattro ragazze vestite di grigio.
Quando ebbe finito di preparare il letto, prima di andarsene, mi prese l[...]

[...]tto il resto_ Mi ero incantata a seguire i movimenti di Coccoletta, che passava il tempo abbandonata sul letto a cantare, muovendo solo le mani nel folto dei capelli. Non avevo mai visto capelli così lunghi e biondi, li paragonavo mentalmente ai miei, neri e lisci, e pensavo che doveva essere piacevole passare le mani fra quei capelli sparsi sulla coperta, ciondolanti. sul bordo del letto.
Aveva il corpo piccolo e piccoli i tratti, ma i capelli più lunghi delle braccia. Cantava canzoni di cui inventava le parole mano a mano che svolgeva il motivo, ma non alzava mai troppo la voce. Non so perché fosse li né glielo chiesi mai, amavo pensare che fosse una regina e la guardavo con curiosità ma anche ammirazione. Lei non guardava mai nessuno in faccia e si voltava verso il muro ogni volta che qualcuno entrasse nella stanza.
Tutto il giorno giocava con i propri capelli e la notte si agitava nel letto come se avesse caldo; una volta ricordo di avere sentito il battito dei suoi denti.
Mi accorsi presto che qualcun altro la guardava così atten[...]

[...] a parlare ed io andavo al gabinetto per sfuggirle e vi rimanevo finché non sentivo la campana del pranzo o la voce della suora che chiamava dal corridoio.
La finestra del gabinetto era quasi sotto il soffitto ed io non avrei mai potuto raggiungerla, ma mi bastava sapere che era li a creare un contatto fra me e l'esterno. A volte potevo sentire il ruggito continuo dei tram, a volte lo scoppio di un'automobile come una pietra gettata nell'acqua; più spesso il grido sordo di un'altra, che poteva anche essere un pipistrello o anche la voce di una delle «malate». Io sapevo bene che erano pazze ma non l'avrei detto per nulla al mondo; seguivo l'esempio delle donne angelo e quando volevo alludere a quelle ragazze in grigio che si rotolavano sui letti, dicevo, « le ammalate »; al massimo lanciavo un'occhiata a Lode che era la sola con cui osavo parlare in termini chiari.
Fu Lode che mi raccontò che la Bambina dormiva con la cerata sotto le lenzuola, perché se la faceva addosso ogni notte; « Ha ventotto anni e piange come se ne avesse cinque »[...]

[...]re a quelle ragazze in grigio che si rotolavano sui letti, dicevo, « le ammalate »; al massimo lanciavo un'occhiata a Lode che era la sola con cui osavo parlare in termini chiari.
Fu Lode che mi raccontò che la Bambina dormiva con la cerata sotto le lenzuola, perché se la faceva addosso ogni notte; « Ha ventotto anni e piange come se ne avesse cinque », mi spiegò Lode; e la sentii anch'io, due notti dopo, che ingoiava lagrime affrettando sempre più il respiro, e piangeva senza forza, lamentosa, come una bambina assonnata. Di giorno giocava col cuscino, abbracciandolo e cullandolo come se fosse una bambola di pezza. Rideva per niente, ma se le si chiedeva qualcosa spalancava gli occhi spaurita e non riusciva ad aprire bocca. Ogni mattina Lode si sedeva accanto a lei per intrecciarle i capelli e poi sorrideva soddisfatta, guardando verso di me; « ecco pronta la Bambina » diceva, e le carezzava la fronte.
Non sapevo cosa pensare di Lode perché sembrava gentile e generosa con tutti, ma poi si divertiva a raccontarmi qualunque segreto di cu[...]

[...]a accanto a lei per intrecciarle i capelli e poi sorrideva soddisfatta, guardando verso di me; « ecco pronta la Bambina » diceva, e le carezzava la fronte.
Non sapevo cosa pensare di Lode perché sembrava gentile e generosa con tutti, ma poi si divertiva a raccontarmi qualunque segreto di cui per caso si trovasse in possesso, e quando raccontava mi guardava con la bocca piena di saliva, l'espressione estatica, non peritandosi di rivelare le cose più orribili su coloro che poi abbracciava in altri momenti.
Mi disse che la spia era lesbica: « Lo sai cosa vuol dire »? « No », dissi. Fu contenta di spiegarmelo con una gran quantità di parole inutili. « È innamorata di Coccoletta » disse ridendo, « la desidera perché
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é bella, e poi, quei capelli... un giorno o l'altro le salterà addosso » mi sussurrò. E credo che non aspettasse altro.
Ero stata così presa da questi fatti che non avevo pensato affatto a me; da allora mi abituai a scappare più spesso al gabinetto per liberarmi di Lode e li meditavo su tutte le novità della[...]

[...]e che la spia era lesbica: « Lo sai cosa vuol dire »? « No », dissi. Fu contenta di spiegarmelo con una gran quantità di parole inutili. « È innamorata di Coccoletta » disse ridendo, « la desidera perché
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é bella, e poi, quei capelli... un giorno o l'altro le salterà addosso » mi sussurrò. E credo che non aspettasse altro.
Ero stata così presa da questi fatti che non avevo pensato affatto a me; da allora mi abituai a scappare più spesso al gabinetto per liberarmi di Lode e li meditavo su tutte le novità della mia vita.
Evitavo di pensare ad Ulisse perché più di una donna angelo mi aveva spiegato la gravità di ciò che avevo fatto. E parole come fratello, figlio dei Signore, morte dell'innocente, erano entrate nella mia mente e la loro presenza mi dava fastidio.
A Trento avevo rinunciato: dopo il suo ultimo tradimento e abbandono, lo avevo dimenticato; o forse cercavo di farlo senza riuscirvi del tutto, ma pensavo a lui molto poco. Questo era bene perché altrimenti avrei sofferto di stare in quella casa, mentre in realtà non mi dispiaceva affatto, anzi avevo cominciato ad affezionarmi a Lode, e come lei, prendevo gusto a tormentare la Bambina, seg[...]

[...]to era bene perché altrimenti avrei sofferto di stare in quella casa, mentre in realtà non mi dispiaceva affatto, anzi avevo cominciato ad affezionarmi a Lode, e come lei, prendevo gusto a tormentare la Bambina, seguivo il movimento delle mani di Coccoletta e gli sviluppi dell'amore della spia per lei.
Nella buona stagione ci portarono fuori ed io conobbi per la prima volta un giardino. Dimenticai del tutto i miei libri e Trento; né mi sovvenni più di Ulisse.
Coccoletta si scopriva i seni con la scusa del caldo; si riparava all'ombra degli alberi con un . ciuffo di capelli in bocca e la gonna arrotolata sulle ginocchia. La spia si accovacciava non lontano da lei, giocava con le pietre é le buttava via con rabbia. Le suore la tenevano d'occhio perché non si avvicinasse troppo a nessuna di noi; ma di non poterci avvicinare poco importava alla spia; le sarebbe bastato potersi accostare solo a Coccoletta.
Io mi ero tanto abituata alle chiacchiere di Lode che potevo udirla parlare ininterrottamente senza percepire una frase.
Chissà perché[...]

[...]uto quale fosse quella del ba
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gno. Ma amavo pensare che fosse così come io volevo e, quando ero nel gabinetto, mi consolavo all'idea che la finestra sopra il mio capo, in cima al soffitto, dominasse il giardino, anzi osavo quasi immaginare, che una volta affacciati alla finestra, si potessero scorgere al di là di essa delle montagne, dei campi, e chissà, forse anche il mare. Il giardino era poco più grande del nostro refettorio, alcuni lo chiamavano cortile, ma naturalmente sbagliavano perché non ho mai visto né sentito che in un cortile crescessero degli alberi, come avveniva nel nostro. E poi, in certe giornate calde, spuntavano le violacciocche lungo i muri, ed io dico che il luogo dove crescono le violacciocche si può senz'altro chiamare giardino, e così lo chiamavo parlandone con Lode, sebbene lei tirasse fuori la lingua in segno di disprezzo.
Nel giardino c'erano tre alberi, ma i posti all'ombra erano regolarmente occupati dalle ragazze del secondo reparto che scendevano con l'ant[...]

[...] che scendevano con l'anticipo di pochi minuti rispetto a noi. Solo Coccoletta riusciva a mettersi al riparo dai rami, non so se fosse per merito della sua bellezza di regina che incuteva rispetto o per merito della spia, di cui tutte noi avevamo paura. Fatto sta che Coccoletta trovava sempre un posto libero sotto il suo albero preferito, il carrubo che cresceva nell'angolo a sud 'del giardino. E c'era da meravigliarsi perché quello era l'albero piú ricercato per la sua freschezza, dovuta ai folti rami che dondolavano sopra il muro e per la sua altezza che dava a chi vi stava sotto una sensazione di sicurezza e di forza, e forse anche alimentava i desideri di libertà elevandosi così in alto, fuori da tutte le regole della casa, quasi si ribellasse alla prigionia con la sua forza di legno.
Sia Lode che io avevamo rinunciato a quei posti privilegiati che ormai spettavano dì diritto alle ragazze del secondo reparto che scendevano prima di noi e si accovacciavano sotto i rami.
Noi potevamo usufruire delle panchine che erano sparse un po' d[...]

[...]in mezzo alle maglie arrugginite, e furono proprio quelle palline ad attirare la nostra attenzione. Lo adoperavamo per sederci sopra, appoggiando la schiena contro il muro di mattoni; da li potevamo vedere i quattro muri che si intersecavano, gli alberi non molto discosti fra loro, e un pezzo di cielo simile a un coperchio posato sui quattro muri di uguale altezza.
Quando le nuvole correvano basse, si aveva l'impressione che i muri non stessero più in equilibrio e crollassero addosso a noi. Lode aveva paura e diceva che non voleva guardare, io pure avevo paura ma ero affascinata da quel movimento e buttavo la testa indietro, fino a sentire con la nuca l'attaccatura delle spalle. Alle volte Lode approfittava di questa mia posizione per farmi il solletico al collo e allora non la potevo sopportare, anzi la odiavo e pensavo di ammazzarla come avevo ammazzato Ulisse; ma bastava che lei sorridesse con i suoi denti all'infuori, che cessavo immediatamente di odiarla. Rideva tirando fino a farle diventare pallide, le labbra sui denti troppo num[...]

[...] poi lei mi avrebbe fatto uscire di li. « Come farai? » le chiedevo, tanto per parlare, sapendo già che erano chiacchiere inutili; « Vedrai », mi sussurrava soffiando dentro l'orecchio, e prendeva ad aggiustarsi la gonna sopra le ginocchia aguzze, sporgenti dalle gambe magre e storte.
Quando aveva finito di parlarmi della vita e delle nostre compagne, inventando storie complicate ed inverosimili, di cui rendeva protagoniste le ragazze che aveva più in antipatia nel nostro reparto, decideva di insegnarmi dei giochi che era solita fare al suo paese.
Il gioco dei papaveri piaceva anche a me. Bisognava scommettere se il colore del fiore fosse rosso o bianco; poi si apriva il bocciolo, e se i petali si spiegavano polverosi e rossi, aveva vinto uno, se si mostravano bianchi, vinceva l'altro. Era appassionante.
Vinceva quasi sempre Lode ed io mi accanivo per prendere la rivincita, ma presto ci stancavamo per la completa mancanza di papaveri nel giardino. Lode diceva che al suo paese c'erano dei campi addirittura rossi, come macchie di sangue[...]

[...] addirittura rossi, come macchie di sangue, per la grande quantità di papaveri di quel colore. Io non sapevo se crederle o meno perche cono,scevo la sua capacità di inventare storie che non avevano niente di vero; ma per giocare a quel gioco sarebbe stato molto comodo un intero cam
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po di papaveri e, pur rimanendo diffidente, mi lasciavo sedurre da quell'immagine.
Il gioco della biscia era molto più complicato e non saprei mai ripeterne il meccanismo, sebbene Lode me l'abbia ripetuto tante volte; forse perché non avevo mai visto una biscia in vita mia e poi Lode conosceva la campagna per averci passato la vita, mentre io non sapevo neanche cosa immaginare quando lei parlava di campi, pecore, bisce, e altre cose del genere. Mi veniva in mente il quadro del pastore,
o il mercato vicino a casa; ma erano tutte cose ferme e prive di colori. Del resto non importava perché il gioco della biscia non si poteva fare
e quindi era una scusa di Lode per parlare difilato durante tutta l'ora di ricre[...]

[...] aveva detto di stare all'erta che ci sarebbero state delle novità. Infatti, quando ci svegliammo la mattina al suono della campana, la spia non era nel suo letto; ed io non mi meravigliai affatto di scoprire che neanche Lode era nel suo letto: era stata lei a salvare la spia che si era tagliuzzata i polsi nel tentativo di recidersi le vene.
La suora invocava Gesù e Maria, non sapeva cosa fare. Vidi entrare la donna angelo e poco dopo non ci fu più traccia di ciò che era successo: la spia fu portata in infermeria e con poche parole la donna. bianca ci rasserenò; sorridendo come solo lei sapeva fare..
La Bambina non aveva smesso di piangere, però; raggomitolata sotto le coperte ripeteva all'infinito un verso, con ritmo uguale e preciso. Solo Coccoletta non si era voltata per guardare e le sue mani disfacevano con grazia i nodi che si erano formati durante la notte fra i suoi capelli lunghi e fini, simili a ragnatele senza colore. Lode era agitata e rideva per ogni nonnulla; disse che non era successo niente,
quella scema! » ripeté più [...]

[...]va fare..
La Bambina non aveva smesso di piangere, però; raggomitolata sotto le coperte ripeteva all'infinito un verso, con ritmo uguale e preciso. Solo Coccoletta non si era voltata per guardare e le sue mani disfacevano con grazia i nodi che si erano formati durante la notte fra i suoi capelli lunghi e fini, simili a ragnatele senza colore. Lode era agitata e rideva per ogni nonnulla; disse che non era successo niente,
quella scema! » ripeté più volte, e indicava il letto ancora macchiato di sangue; ma io vedevo che era pallida e le sue risate continue mi innervosivano.
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Quel giorno in giardino mi park) di Coccoletta: disse che era più bestia di una bestia, disse cosí. « Non pensa che ai suoi capelli e al suo grasso corpo addormentato », disse. Mentre parlava guardava verso il carrubo con le sopraciglia aggrottate. Lontano potevo vedere Coccoletta che si appoggiava al tronco, con le braccia lungo i fianchi, le spalle zbbandonate su se stesse, e il collo piegato morbidamente sul cuscino dei capelli biondi. Pensai che non sapevo di che colore fossero i suoi occhi, non li avevo mai notati. «Infatti», disse Lode, «è come se non li avesse: Più che occhi sono buchi per vedere, e il colore dei buchi è indefinito, scuro e lontano »[...]

[...]apelli e al suo grasso corpo addormentato », disse. Mentre parlava guardava verso il carrubo con le sopraciglia aggrottate. Lontano potevo vedere Coccoletta che si appoggiava al tronco, con le braccia lungo i fianchi, le spalle zbbandonate su se stesse, e il collo piegato morbidamente sul cuscino dei capelli biondi. Pensai che non sapevo di che colore fossero i suoi occhi, non li avevo mai notati. «Infatti», disse Lode, «è come se non li avesse: Più che occhi sono buchi per vedere, e il colore dei buchi è indefinito, scuro e lontano ».
Mi informò che la spia era quasi guarita. «Non sono grandi ferite le sue », mi spiegò, « ma ha il cervello sconvolto, per lo shock ». Pronunciò questa parola con serietà, soffiando fra i denti; ed io non osai chiederle cosa significasse, sebbene potessi immaginarlo, più o meno.
La spia tornò a dormire nel suo letto dopo pochi giorni, ma se prima era scontrosa, adesso non le si poteva parlare affatto. Non sopportava di essere guardata, odiava tutte noi, eccetto Coccoletta, la quale pareva non si fosse neanche accorta di quei cambiamenti e continuava a pettinarsi i capelli con le dita, interamente voltata verso il muro.
Lode mi aveva detto che un giorno o l'altro sarebbero venuti a prendermi per il processo, ma io non le avevo creduto, e poi me ne ero completamente dimenticata, specialmente al tempo del suicidio della spia. Perciò mi meravigliai quando venne[...]

[...]quasi si toccassero e prese a farmi domande su domande. Credo che facesse apposta per confondermi le idee, si perché non mi lasciava il tempo di pensare e mi colpiva con le sue interrogazioni, quasi fossi una macchina che scatta appena si pigia un bottone.
Io guardavo le sue labbra per non perdere le parole che scappavano fuori come gatti infuriati, ma per quanti sforzi facessi rimanevo indietro rispetto alle sue domande e finivo per non capire più niente.
Vidi che la direttrice prendeva appunti su di un foglio che teneva aperto davanti a sé. Una goccia di sudore era sospesa poco sopra le mie orecchie, all'attaccatura dei capelli; aspettavo che scivolasse giù per la guancia, ma pareva che si fosse cristallizzata fra i capelli; così alzai una mano per cessare quella lieve sensazione di solletico; ma poi guardandomi le dita, vidi che erano macchiate di sangue. La direttrice disse che se avessi continuato mi avrebbe cacciato nella camera di sicurezza. « Ti sei rovinata una guancia », disse. Non sentivo dolore e mi meravigliai di quel sang[...]

[...]esta di cane dagli orecchi d'oro e dagli occhi verdi di pietra preziosa.
La direttrice continuò a fumare e scrivere per un pezzo. Quindi alzò la testa e fissandomi negli occhi prese a parlarmi della mamma. « Era una maestra la tua mamma, nevvero? » mi chiese, «E' morta tanto presto la tua mamma; te la ricordi? ». Io accennai di si e lei sorrise soffiando dolcemente il fumo dalle narici. « Ciascuno ha la sua mamma », disse, « Ed è la persona che più ci vuol bene. Chissà quanto ti amava la tua mamma! E adesso ti guarda dal cielo e piange per te ».
Non so che altro disse sul cielo, sui pianti della mamma e gli sguardi dal paradiso. Io chinavo la testa ad ogni affermazione, perché così mi avevano insegnato, ma avevo voglia di dormire: quell'avvocato mi aveva stancata. Pensai per un momento al corpo della mamma, come io ero solita vederla, dal lato opposto della stanza, sprofondata nella sua sedia a sdraio; ma pensare a lei non mi consolava affatto e cercai di trovare il metodo per abbreviare quel colloquio.
La direttrice però sembrava si [...]

[...]no delle proprie parole; e dalla mia mamma era passata a parlare della madre in generale. Forse anche della madonna che chiamava madre di tutte le donne, o vergine santa del cielo, protettrice delle anime nostre e così via.
Non volevo proprio addormentarmi, sapevo che sarebbe stato poco gentile verso la direttrice, non era mia intenzione, assolutamente no.
La mia testa cadde sulla spalla ed io sentii che la voce premurosa si allontanava sempre piú; faceva caldo dentro la mia gala e le mie dita riposavano le une contro le altre.
Fui subito svegliata dallo schiaffo della direttrice e mi meravigliai tanto di trovarla così vicina a me che feci un salto all'indietro, per cui il mio piede colpi con forza la sua gamba e questo fu l'inizio di tutto. Infatti dopo poco ero già legata e stretta tra quattro infermieri, mentre la direttrice gridava qualcosa e agitava la testa dai capelli ben pettinati; credo dicesse « Ingrata » o forse « Pazza! », non so.
Mentre mi portavano via per il corridoio, mi parve di vedere l'avvocato che camminava appogi[...]

[...]O 151
dalla testa di cane; cercai di avvicinarmi a lui per parlargli ancora della sirena, volevo raccontargli come Ulisse la battesse, perché prima non avevo avuto il tempo di dirglielo. Ma l'avvocato fuggi correndo e l'infermiere che stringeva il mio braccio allentò la stretta un attimo per prendere la mia testa con tutte e due le mani e sbatterla contro il muro due o tre volte. Può darsi che preso dall'entusiasmo giocasse con la mia testa per più di un quarto d'ora, ma io sentii solo tre colpi netti, come se assaggiassi il muro con la lingua; e un sapore di calce farinosa si diffuse nella mia bocca; quindi smisi di pensare perché avevo troppo sonno.
Nella camera di sicurezza trovai la spia; le chiesi che cosa facesse li ma lei non rispose. Ciò che mi colpi fu l'odore di gabbia che riempiva la stanza; un odore troppo dolce di bestie sudate e aspro di disinfettante. Cercai una finestra, ma, non trovandola, poggiai la testa contro le mie braccia e cercai di dormire.
Durante la notte vennero a prendermi; pensai che mi portassero nella m[...]

[...]ggiai la testa contro le mie braccia e cercai di dormire.
Durante la notte vennero a prendermi; pensai che mi portassero nella mia stanza, avevo voglia di vedere Lode per parlarle delle mie avventure di quella mattina. Mi alzai contenta e seguii i due infermieri che mi spingevano dolcemente verso la porta. Invece di salire al primo piano, capii dal freddo che eravamo giunti in giardino. Lode insisteva a dire che quello era un cortile, ma adesso più che mai avrei giurato che era un giardino per via del profumo; perché solo i giardini hanno profumo di foglie e di terra bagnata; ero contenta che mi portassero in giardino.
Uno degli infermieri mi legò all'albero di carrubo, pensai che era matto ma infine bisogna sempre ubbidire agli infermieri, ed io lo lasciai fare.
L'altro tirò fuori un fucile da dietro le spalle e prese la mira, da poco più di dieci passi di distanza.
Indovinai subito che era un fucile per averne sentito parlare da Lode, ed in quel momento pensai che le descrizioni della mia compagna erano molto precise.
Vidi i due buchi della canna che puntavano esattamente contro il mio viso.
Ebbi la coscienza per un attimo che tutta quella scena non fosse vera, fui sul punto di liberarmi di me stessa, ma ripiombai subito dopo nella realtà e recitai la mia parte sino all'ultimo.
Potei appena respirare ancora una volta, poi qualcuno bussò contro il mio ventre; due leggeri tocchi come punture; e mi trovai a terra
152 DACIA [...]

[...]o sentito prima, e allungai una mano per toccare la base dell'albero; ma non credo che vi arrivai perché tutto si fermò di colpo in me e il mio corpo era muto come di legno. Potevo pensare cd i pensieri salivano a galla come pesci vivi e mobili sotto la superficie limpida dell'acqua di un fiume.
Pensai che da diversi giorni Ulisse si rivolgeva a me con la stessa frase, « cara calmati » o « calmati cara », « cara malati calmati calanti », non so più; potevo prevedere già quando lo vedevo che avrebbe fatto saltare quella corda e non un'altra. La sirena muggiva sotto il braccio di lui, nella notte, ed io portavo il mio libro colorato dentro il letto perché non potevo dormire per via di quelle bestiole nella stanza accanto.
Lo lasciai parlare.
Era la mia storia che tornava e colava giù dai buchi del cervello perdendosi in mezzo all'erba e ai sassi; e la terra la succhiava con la stessa avidità con cui assorbiva la resina dell'albero.
DACIA MARAINI



da (Mito e civiltà moderna) Remo Cantoni, Mito e valori in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: MITO E VALORI
Che cosa significa mito e quale é la sua funzione nella vita culturale dell'uomo? si chiede il Cassirer nel suo libro Il mito dello stato. a Non appena solleviamo questo quesito — egli osserva — ci troviamo al centro di una grande battaglia fra opinioni contrastanti. In questo caso il fatto più sconcertante non é la mancanza, bensì l'abbondanza del materiale empirico a nostra disposizione. Il problema é stato affrontato da ogni punto di vista. Sono stati studiati con cura i fondamenti psicologici del pensiero mitico e il suo sviluppo storico. Filosofi, etnologi, antropologi, psicologi, sociologi, tutti hanno avuto la loro parte in questi studi. Sembra che ormai si sia in possesso di tutti i fatti: abbiamo una mitologia comparata che si riferisce a tutte le parti del mondo e che ci conduce dalle forme più elementari a concezioni altamente sviluppate ed elaborate. Per ciò che riguarda[...]

[...]mpirico a nostra disposizione. Il problema é stato affrontato da ogni punto di vista. Sono stati studiati con cura i fondamenti psicologici del pensiero mitico e il suo sviluppo storico. Filosofi, etnologi, antropologi, psicologi, sociologi, tutti hanno avuto la loro parte in questi studi. Sembra che ormai si sia in possesso di tutti i fatti: abbiamo una mitologia comparata che si riferisce a tutte le parti del mondo e che ci conduce dalle forme più elementari a concezioni altamente sviluppate ed elaborate. Per ciò che riguarda i nostri dati si direbbe che la catena sia ormai chiusa, non manca nessun anello essenziale. Ma la teoria del mito è ancora estremamente controversa. Ogni scuola ci dà una risposta diversa; e alcune di queste risposte sono in flagrante contraddizione fra loro. Una teoria filosofica del mito deve cominciare da questo punto ». (E. CASSIRER, Il mito dello Stato, tr. it. 1950, p. 20, 21).
Potremmo dire, in generale, che la controversia riguardante il mito si accende soprattutto su di un punto: quale sia il valore e i[...]

[...]Una teoria filosofica del mito deve cominciare da questo punto ». (E. CASSIRER, Il mito dello Stato, tr. it. 1950, p. 20, 21).
Potremmo dire, in generale, che la controversia riguardante il mito si accende soprattutto su di un punto: quale sia il valore e il significato che assume il mito per l'umanesimo moderno, nato in larga parte dallo sviluppo ammirevole delle tecniche scientifiche e razionali e affermatosi con l'acquisizione e l'uso sempre più frequenti di comportamenti volti a dominare con le arti dell'homo sapiens il mondo della natura. Il mito preesiste, nelle sue forme arcaiche, all'affermarsi vittorioso di quelle tecniche e di quei comportamenti, ma, come ci mostrano gli studi più recenti, il mito sopravvive, sia pure in forme trasfigurate e non sempre chiaramente riconoscibili, all'avvento dell'età della scienza e della tecnica. Esiste cioè un dilemma per l'uomo contemporaneo: squalificare la forma culturale del mito come un'età superata dell'intelligenza, una sopravvivenza indebita e rozza della mentalità primitiva e dell'homo magicus, o riconoscere piuttosto al mito uno statuto culturale che conserva pur sempre la sua dignità e il suo valore, non sgià in polemica can le scienze e con le tecniche, ma accanto, a, forse, al di là,
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REMO CANTONI
di esse? I due corni del dilemma, le due diverse risposte si ripresentano ogni volta che il problema viene sollevato. Ed é problema antico e recente. Già i Greci si tormentavano nell'antinomia µú oS e aóyoç che attraversa drammaticamente tutta la loro cultura. E quel problema riaffiora infinite volte in nuove edizioni nel corso della civiltà moderna e contemporanea, attestando così la propria vit[...]

[...]entali e superstiziosi comportamenti magici, con le loro arcaiche tecniche miticorituali, non possono che apparire comportamenti arretrati, sprovvisti di autentico valore culturale, connessi a tecniche storicamente inadeguate e divenute quindi retrive.
MITO E VALORI 95
Vi é per) da chiedersi se in questi studi la prospettiva metodologica e storica non potrebbe essere diversa, meno dogmatica e chiusa, e se la conquista di una nuova prospettiva, più dialettica, più aperta, meno viziata di ideologismo, non consentirebbe di scorgere anche nel mito la presenza di valori culturali che non vengono in luce fino a quando l'universitas dei valori culturali viene fatta coincidere unicamente con la struttura, le categorie e le tecniche desunte dal comportamento che chiamiamo scientifico e logico. In una visione più sensibile alla pluridimensionalità delle forme culturali si può affacciare l'ipotesi che vi sia stata, ancora vi sia, e vi possa in futuro essere, nella ricca fenomenologia del mito, una forza luminosa e chiarificatrice di cui l'uomo si giova nell'intendere e fondare i momenti più critici e significativi della propria esistenza. Si tratta cioè, in sede storica, di rintracciare il senso e il valore che il mito ha avuto per il cosiddetto uomo « precategoriale ». E tale senso e tale valore si dischiudono solo attraverso un'analisi non preconcetta dei mitologemi, rinunciando a proiettare ab initio nella mens dell'uomo che vive l'esperienza mitica le nostre preoccupazioni scientifiche e filosofiche più recenti. Solo rispettando la « scala » dei fenomeni mitici, non coartandoli ad essere o a significare altro da quel che sono e significano, si comprende l'intenzionalità che li genera e il significato che li attraversa. Se questa ipotesi di lavoro si dimostra feconda e valida nel capire l'universo di cultura dell'uomo « precategoriale », si può affacciare una seconda ipotesi, quella cioè di chiedersi se il mito non costituisca forse anche per l'uomo moderno una avventura ripetibile, o una esperienza, in certo modo, necessaria e feconda, quando le situazioni della sua esistenza, per il loro ca[...]

[...]acconto narrato, bens). una realtà vissuta. Esso non appartiene a quel genere d'invenzioni che ritroviamo nei nostri romanzi, bensì é una viva realtà che si crede sia accaduta all'inizio dei tempi e che da allora continua incessantemente ad esercitare la sua influenza sul mondo e sul destino degli uomini. Tali racconti non vengono mantenuti in vita per qualche vana curiosità, non sono considerati come storie inventate. Per gli indigeni essi sono piuttosto manifestazioni di una originaria realtà più grande e più importante che determina la vita, il destino e le attività attuali dell'umanità, mentre la loro conoscenza fornisce agli uomini sia i motivi per gli atti rituali e morali, sia le avvertenze sul come mettere questi in pratica ». I miti, ci ripete Mircea Eliade nella sua vasta produzione di storico delle religioni, hanno la funzione fondamentale di stabilire modelli esemplari per tutti i riti e tutte le azioni umane significative. Bisogna cioè dissociare la nozione di « mito », da quella di « parola », di « favola », e avvicinarlo, ci dice ancora Mircea Eliade (dr. Trattato di storia delle reli[...]

[...]al mondo di oggi. I miti sono cioè la storia sacra delle società « primitive ». « Se così è, per essi non si pone il problema di sapere se siano o no storie `vere'. L'aspetto per cui suscitano un appassionato interesse sta nel loro carattere sacro (simile a quello della storia sacra). Codesta, traendo dalla rivelazione la sua origine, trova in quella la garanzia della sua veridicità, qualora ve ne fosse bisogno: forse che potrebbe aversi un modo più perfetto, più saldo di quello contenuto nella parola di Dio? Mutatis mutandis, per i miti sarà la stessa cosa. Anche qui il carattere sacro, `soprannaturale' dei miti porta con sé come conseguenza immediata l'assoluta mancanza di dubbi circa quello che viene raccontato : non si ha neanche l'idea di un dubbio del genere. Si tratta dunque di storie vere, rivelazioni relative ad un periodo extratemporale, pieno di esseri ed avvenimenti che appartengono alla sopranatura, ma la natura attuale è ad essi solidale e ne è inseparabile. E precisamente questi rapporti che essi contengono ne attestano il carattere sac[...]

[...]l cosa può parimenti dirsi dei libri sacri ». (LévyBrühl, Carnets, tr. it. 1952, p. 114, 115).
Ci potremmo chiedere — in via preliminare se è legittimo parlare di mito come di un mondo unitario, se cioè esiste una realtà storicoculturale cui si possa, senza essere tacciati di arbitrio o di genericità, dare il name di mito. L'esistenza di questa realtà ci è comprovata dalle mitologie presenti in tutte le culture e in tutte le epoche, ai livelli più diversi di civiltà. Gli studi di Cassirer, Lévy Brühi, Kerény, Eliade, Jung, Gusdorf — per non citare che alcuni studiosi recenti — ci autorizzano a parlare di un « pensiero mitico » o di una « coscienza mitica », come ha fatto, ad esempio, Ernst Cassirer nel secondo volume della sua Filosofia delle forme simboliche. L'esistenza di una forma simbolica, chiamata mito e caratterizzata da una sua particolare struttura, che è possibile descrivere come un mondo unitario, non significa che i contenuti della coscienza mitica siano sempre i medesimi, né che sia possibile cristallizzare il significato[...]

[...]venti
e significati. Noi sappiamo bene che i miti australiani sono diversi dai miti greci, dai miti medioevali, dai miti moderni. Ma è pur sempre possibile riconoscere a tutti i livelli culturali la presenza di una funzione miticofabulatrice che di continuo genera prodotti diversi per contenuto, pur conservando costante l'universalità della sua funzione. Dalle ricerche di Lucien LévyBrühl sulla mentalità primitiva, che rimangono fino ad oggi le più importanti in argomento, nasce un problema analogo. Ciò che lo studioso francese ha chiamato partecipazione, ossia i1 complesso dei rapporti magicomitici, o « mistici » come li definisce il LévyBrühl, che collegano individuo e gruppo, gruppo e totem, gruppo
e antenati, gruppo e suolo, non sono una prerogativa esclusiva dei popoli primitivi. Il mondo della partecipazione che il primo LévyBrühl, ad esempio quello delle Fonctions mentales dans les sociétés inférieures del 1910, qualificava come un mondo « prelogico », nettamente distinto dal nostro universo dominato dalla logica e dall'uso dei [...]

[...] realtà che ci trascendono, siano essi la natura, la società, o un mondo diverso dall'esperienza attuale hic et nunc, sopravvivono in noi. Variano, cioè, i contenuti, i modi concreti e storici della partecipazione, ma sopravvive il fenomeno esistenziale della partecipazione, la sua funzione antropologica di creare fondamenti e radici, significati e valori. La partecipazione espressa e obiettivata mette in essere una specie di statuto metafisico, più o meno esplicito, più o meno consapevole, ma pur sempre esistente e necessario per vivere e orientarsi in una realtà che ci rifiutiamo di riconoscere come un regno assurdo e angoscioso nel quale saremmo scagliati per i decreti di un dio ostile e straniero.
Il LévyBrühi non ha voluto, se non con timidi cenni, sviluppare il problema della partecipazione fuori dall'ambito della mentalità primitiva. Questa scrupolo fa onore alla sua probità scientifica. Negli stessi Carnets il LévyBrühl si avventura molto raramente e con estrema cautela nella fenomenologia moderna della partecipazione. Egli afferma soltanto che l'esp[...]

[...] era allora, ed é tutt'ora, il termine rifugio in cui si racchiude tutto ciò che, nel comportamento umano, sfugge alla chiara analisi. Ha fatto fortuna oggi, anche se gli etnologi l'hanno abbandonato per usarlo, con cognizione di causa, solo quando si è in presenza di misticismo e di assorbimento nella divinità... LévyBrühl se ne è servito per qualificare la frangia affettiva che contorna ogni esperienza umana e può financo assorbirla » (p. 24). Più adatti sarebbero i termini « mitico » e talvolta « magico » per indicare in modo meno ambiguo la natura della partecipazione. Ma ciò che a noi importa soprattutto porre in rilievo, mettendo a frutto le ricerche del LévyBrühl, é l'universalità storica della partecipazione e la costante presenza in essa di un substrato mitico che ne costituisce il fondamento e quasi il principio di chiarificazione. Non si cerchi in una ricerca complessa e difficile come questa un insieme di definizioni precise e rigide. Lo stesso LévyBrühl, dopo una lunga vita tutta dedicata allo studio di tali problemi, confes[...]

[...] che rende l'uomo solidale al destino della natura e della società. Le categorie razionali distinguono, o tendono almeno a distinguere, l'io dal mondo, l'individuo dalla società il mondo vegetale dal mondo animale, il mondo animale dal mondo umano, i vari regni e le varie classi della natura, le varie sfere dell'esistenza. I piani, le dimensioni, le strutture, le regioni, i generi e le sped sano il frutto di un lavoro di analisi e distinzione compiuto da una ragione che ha, certo, poteri sintetici e unificanti, ma non sacrifica all'esigenza dell'unità la sua capacità di articolare e distinguere. Il pensiero mitico, come hanno veduto bene Durkheim e Cassirer, non é assenza totale di razionalità, ma razionalità fusa in un crogiuolo affettivo, sentimento di una Gemeinschaft alles Lebendigen per cui le varie distinzioni categoriali o recedono quasi annullate da una energia emozionale che le sovrasta e le sommerge, oppure ed è il caso dei miti piú arcaici — quelle categorie, quelle distinzioni, quelle classificazioni ancora non sono emerse st[...]

[...]e unificanti, ma non sacrifica all'esigenza dell'unità la sua capacità di articolare e distinguere. Il pensiero mitico, come hanno veduto bene Durkheim e Cassirer, non é assenza totale di razionalità, ma razionalità fusa in un crogiuolo affettivo, sentimento di una Gemeinschaft alles Lebendigen per cui le varie distinzioni categoriali o recedono quasi annullate da una energia emozionale che le sovrasta e le sommerge, oppure ed è il caso dei miti piú arcaici — quelle categorie, quelle distinzioni, quelle classificazioni ancora non sono emerse storicamente e giacciono latenti o debolmente operanti nel grembo indifferenziato, nella comune matrice di una mente « precategoriale ». La tentazione di considerare il mito come un prodotto della sancta simplicitas o della stupidità originaria generatrice di assurdità e contraddizioni è stata sempre forte tra gli avversari del mito, ed essa sembra rinnovarsi periodicamente, anche oggi, come vediamo ad esempio dallo studio di Kelsen intitolato Società e natura. Eppure noi sappiamo che in tutte le gra[...]

[...]e decidere questo conflitto tra le diverse scuole mediante criteri puramente logici. In un capitolo importante della sua Critica della ragion pura Kant tratta di un contrasto fondamentale nel metodo dell'interpretazione scientifica.
MITO E VALORI 103
Secondo lui, vi sono due gruppi di studiosi e di scienziati. Uno di essi segue.il principio della omogeneità; l'altro segue il principio della specificazione. I primi tentano di ridurre i fenomeni più disparad a un denominatore comune, mentre gli altri rifiutano questa presunta unità o similarità. Invece di accentuare i tratti comuni, questi vanno sempre a cercare le differenze. Secondo i principii della filosofia kantiana per se stessa, i due atteggiamenti non sono realmente in conflitto fra loro, perché non esprimono alcuna differenza ontologica fondamentale: una differenza nella natura ed essenza delle `cose in se stesse'. Essi rappresentano piuttosto un duplice interesse della ragione umana. La conoscenza umana può raggiungere il proprio fine seguendo entrambe le strade e soddisfacendo[...]

[...]sparad a un denominatore comune, mentre gli altri rifiutano questa presunta unità o similarità. Invece di accentuare i tratti comuni, questi vanno sempre a cercare le differenze. Secondo i principii della filosofia kantiana per se stessa, i due atteggiamenti non sono realmente in conflitto fra loro, perché non esprimono alcuna differenza ontologica fondamentale: una differenza nella natura ed essenza delle `cose in se stesse'. Essi rappresentano piuttosto un duplice interesse della ragione umana. La conoscenza umana può raggiungere il proprio fine seguendo entrambe le strade e soddisfacendo entrambi questi interessi. Essa deve agire secondo due diversi `principii regolatori': i principii della similarità e della dissimiglianza, dell'omogeneità e dell'eterogeneità. Per il funzionamento della ragione umana sono ugualmente indispensabili tutte e due le massime. II principio logico dei generi che postula l'identità é controbilanciato da un altro principio, ossia quello delle sped, che richiede molteplicità e diversità delle cose, e che presc[...]

[...]arietà delle forme fenomenologiche in cui la mente storicamente si obiettiva. Il LévyBrühl, Mircea Eliade, Rudolf Otto, Walter Otto, Carlo Kerény e molti altri, sono sensibili soprattutto all'elemento di eterogeneità e discontinuità esistente tra esperienza « primitiva », « sacrale », « mistica », da un lato, ed esperienza razionale, profana, logicoconcettuale dall'altro. Il problema di una fenomenologia della ragione si allarga qui nel problema più vasto, e in certo senso più drammatico, di una fenomenologia dell'esperienza. Esisterebbero cioè non solo vari tipi di ragionamento, ma addirittura vari modi di essere nel mondo. Da quest'ultimo punto di vista la ragione stessa e le sue varie tecniche logiche e scientifiche potrebbe essere considerata uno dei modi di essere nel mondo, una delle forme
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fondamentali di comportamento storico per fronteggiare la crisi esistenziale dell'uomo. I due metodi della omogeneità e della eterogeneità, rispondenti a un duplice interesse della ragione, vanno oggi, a proposito del mito, messi tra loro a confronto e in[...]

[...]icio razionale oppure a un evento metafisico inattaccabile dai processi razionali. Il senso di questa nota è appunto quello di garantire una miglior comprensione del mito, evitando di costruire un falso dilemma per cui dovremmo oggi compiere una ridicola scelta storica tra pensiero mitico e pensiero razionale, come pur continuano a proporre i troppo accesi avversari fautori del mito. Quella scelta sappiamo bene che la cultura moderna l'ha già compiuta da tempo, e in senso ben preciso. Già nella cultura greca la ragione era impegnata in una lotta tenace e coraggiosa contro le remore e l'oscurità di una tradizione dominata dal mito. I Sofisti, Socrate, Tucidide, Euripide vollero liberare il pensiero dall'abbraccio troppo soffocante del mito. La stessa filosofia di Platone può anche — sotto un certo profilo — essere considerata come un tentativo di salvaguardare i diritti della ragione e della scienza, della dialettica intesa come diàiresis e come episteme, contra gli attardamenti nel mondo della doxa e del mythos. In realtà filosofia e sci[...]

[...]iare allo stato puro l'elemento mito. Quando un uomo come Jacob Burkhardt afferma che « la vera, irraggiungibile grandezza dei Greci é il loro mito », noi avvertiamo che nel mito sono anche racchiusi valori, significati, simboli, immagini, che rivestono un senso particolare per l'uomo. Quasi diremmo che la condizione umana acquista chiarezza e trasparenza nella trascrizione immaginosa e simbolica dei mitologemi, così come l'acquista nei prodotti più alti dell'arte e della letteratura. Il mito maschile di Prometeo, o quello femminile di Niobe, non sono racconti qualsiasi bensì narrazioni nelle quali appare un modo di essere dell'uomo nel mondo, una situazione del suo esistere altamente significativa e chiarificatrice. Secondo Carl Gustav Jung, le cui ricerche stanno a fondamento dei lavori di Eliade e di Kerény, i miti sono archetipi che rappresentano una « esperienza primaria » dell'uomo in una forma simbolicoimmaginativa. Questi archetipi, limitati di numero, costituirebbero esperienze umane tipiche e fondamentali fin dall'origine dei t[...]

[...] una forma simbolicoimmaginativa. Questi archetipi, limitati di numero, costituirebbero esperienze umane tipiche e fondamentali fin dall'origine dei tempi. In tutte le culture umane é possibile, secondo Jung, ritrovare i medesimi motivi fissati in immagini archetipiche costitutive dell'esperienza umana. In tutte le mitologie, nei racconti di fiabe, nelle tradizioni, nei misteri religiosi, nella letteratura, nella stessa vita quotidiana, in forme più o meno pure, incontriamo, ad esempio, i motivi del viaggio notturno per mare, dell'eroe peregrinatore, del mostro marino, del rapitore di fuoco, dell'uccisore di draghi, della caduta dal paradiso, dell'eroe vittima del tradimento, ecc. Gli archetipi sarebbero pertanto « autoritratti degli istinti », trascorsi psichici esemplari e significativi divenuti immagini. Jolan Jacobi, nel suo libro intitolato La psicologia di Carl G. Jung (tr. it. 1949), dà questi chiarimenti circa i rapporti tra archetipi e metafisica classica: « L'uomo aristotelico direbbe : gli archetipi sono idee nate dall'esperie[...]

[...] le immagini prime, i modelli dei fenomeni. Gli archetipi esistono a priori per l'individuo, ineriscono all'inconscio collettivo e sono perciò sottratti al divenire e passare individuale ». Gli archetipi sarebbero, dunque, nel linguaggio metafisico e teologico di cui troppo spesso si compiace la psicologia del profondo, « presenze eterne » che la coscienza a volte percepisce e a volte no. Essi emergono in molti stadi e piani psichici nelle forme più varie, negli adattamenti e nelle metamorfosi più singolari, pur rimanendo i medesimi nella loro originaria struttura. Mircea Eliade e Carlo Kerény hanno ripreso questi motivi junghiani. Eliade li ha addirittura portati a una forma di esasperazione metafisica
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e teologica, adoperandoli, per così dire, in ' chiave antimoderna, come argomenti per una polemica a sfondo irrazionalisticodecadente contro l'empirismo e l'intellettualismo del mondo contemporaneo. Non seguiremo certo Eliade lungo questa strada che porta a contrapporre artificiosamente i valori religiosi del mito alle insidie presunte o reali dell'umanismo e dello st[...]

[...]qualcosa di obiettivato, K qualcosa — dirà Kerény — che é già diventato oggetto autonomo che parla da sé, qualcosa a cui non si rende giustizia con interpretazioni e spiegazioni, bensì tenendolo presente e lasciando che pronunci da sé il proprio senso»; (Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, 1948, p. 16). Questa metodologia diventa pericolosa quando i valori culturali del mito vengano proclamati (è il caso di Eliade!) storicamente più attuali e fecondi che non i valori del pensiero storico e scientifico. Ma il modo per neutralizzare tale pericolo consiste nell'evitare tali assurdi confronti nell'aprirsi liberamente alla pluridimensionalità e alla fenomenologia della vita culturale. Come non é possibile trascrivere il linguaggio dell'arte in linguaggio matematico, così non è possibile, se vogliamo continuare a intendere, trascrivere il linguaggio della mitologia, intessuto di immagini e simboli, in un altro linguaggio che parta dalla premessa di rinunciare alle immagini e ai simboli, e di volerli sostituire, ad esempio, con[...]

[...]e in linguaggio matematico, così non è possibile, se vogliamo continuare a intendere, trascrivere il linguaggio della mitologia, intessuto di immagini e simboli, in un altro linguaggio che parta dalla premessa di rinunciare alle immagini e ai simboli, e di volerli sostituire, ad esempio, con i concetti. In questo senso scrive giustamente Kerény: « La mitologia non è soltanto una maniera d'espressione al cui posto si potrebbe sceglierne un'altra, più semplice e più comprensibile che tutt'al più non si sarebbe potuta adottare in quella
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MITO E VALORI
data epoca perché in quella la mitologia sarebbe stata l'unica maniera d'espressione conforme ai tempi. Conforme o meno conforme ai tempi può essere la mitologia, esattamente come la musica. Vi sono forse epoche che solo in musica possono esprimere la loro più alta idea. Ma quella più alta idea è, in questo caso, qualcosa che non potrebbe essere espresso se non appunto in musica. Così è anche per la mitologia. Come la musica ha anche un aspetto pieno di significato, il quale soddisfa nello stesso modo in cui una totalità piena di significato può soddisfare, così succede per ogni mitologema autentico. Se tale significato si traduce così difficilmente nel linguaggio della scienza, è appunto perché esso non può venir espresso completamente se non in forma mitologica ». (Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, p. 1617). Il Kerény trattando il problema del caratter[...]

[...]completamente se non in forma mitologica ». (Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, p. 1617). Il Kerény trattando il problema del carattere eziologico della mitologia osserva che la mitologia « chiarisce se stessa e tutto quanto vi è nel mondo non perché essa sia stata inventata per spiegare bensì perché essa ha anche la facoltà di chiarire ». I mitologemi, cioè, non sono stati escogitati allo scopo di spiegare, ma rendono il mondo più trasparente, spandono chiarezza su ciò che è, ciò che avviene e deve avvenire. La mitologia non è una spiegazione scientifica o pseudoscientifica, bensì un tentativo di motivare, fondare, giustificare, una cosa riportandola al suo fondamento. La parola tedesca Begründen è appropriata per farci capire quale sia il tema, il motivo dominante dei mitologemi. La mitologia, se a una domanda risponde, non si chiede il « perché? » nel senso greco della parola «Ira (causa), ma ricerca l'origine, il « da dove? ». « La mitologia precisa Kerény — non dà mai «críce, "cause". Essa é "eziologica" solo se s[...]

[...]damento. La parola tedesca Begründen è appropriata per farci capire quale sia il tema, il motivo dominante dei mitologemi. La mitologia, se a una domanda risponde, non si chiede il « perché? » nel senso greco della parola «Ira (causa), ma ricerca l'origine, il « da dove? ». « La mitologia precisa Kerény — non dà mai «críce, "cause". Essa é "eziologica" solo se si capisce che le x íca — come dice Aristotele (Metaf. A 2,1013a) — sono «pXaí. Per i più antichi pensatori greci «pXxí erano, per esempio, l'acqua, il fuoco, o l' óítr pov l'illimitato. Non mere "cause", dunque, piuttosto materie o condizioni primordiali che non invecchiano, né vengono mai superate, bensì fanno sempre originare tutto da se stesse Simili a queste sono i fatti della mitologia. Essi costituiscono il fondamento del mondo che riposa tutto su di loro. Essi sono le «pX«í alle quali ogni singola cosa, anche se presa per se stessa, risale, per creare se stessa da esse, mentre esse rimangono vitali, inesauribili, insuperabili : in un primordiale tempo extratemporale, in un passato che, per mezzo di un continuo rinascere in ripetizioni, si dimostra eterno ». (Prolegomeni allo studio scientifico del[...]

[...]tra eterno ». (Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, p. 2021). Questo processo di ricerca dei fondamenti, delle origini, di eventi significativi e paradigmatici nei quali l'uomo trova trascritta e chiarita la sua con
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dizione esistenziale sembra ancor oggi vitale ed inesauribile, anche se variano storicamente i modi e le forme di quella ricerca. La preoccupazione costante da cui scaturisce il mito nelle sue forme più arcaiche é, per così dire, di tipo esistenziale. Il mito è una risposta culturale che emerge da una crisi antropologica, anche se la fenomenologia di queste risposte é di una ricchezza sconcertante e fa perfino dubitare della possibilità di conferire al mito un senso unitario. Ritroviamo, come elemento centrale del pensiero mitico, una ricerca di significati, di valori, di partecipazioni, nel senso che LévyBrühl ha dato a quest'ultima parola. La coscienza mitica vuole anche darsi ragione del mondo, capire i suoi fenomeni, ma più che spiegare concettualmente gli eventi della natura e della soc[...]

[...] che emerge da una crisi antropologica, anche se la fenomenologia di queste risposte é di una ricchezza sconcertante e fa perfino dubitare della possibilità di conferire al mito un senso unitario. Ritroviamo, come elemento centrale del pensiero mitico, una ricerca di significati, di valori, di partecipazioni, nel senso che LévyBrühl ha dato a quest'ultima parola. La coscienza mitica vuole anche darsi ragione del mondo, capire i suoi fenomeni, ma più che spiegare concettualmente gli eventi della natura e della società, essa cerca di giustificare il significato metafisico del mondo, il suo esser così (Sosein), la presenza attuale dell'esistere ricollegando la struttura storica del reale e dell'uomo stesso a un suo dover essere, a strutture paradigmatiche e originarie dalle quali si sprigiona senso e luce. La mitologia, ogni mitologia, anche nelle sue metamorfosi più recenti e non chiaramente individuate e consapevoli, chiarisce e giustifica la condizione umana, la trascrive in immagini ricche di significato. La crisi sempre risorgente dell'esistere viene risolta mediante un ricorso a ciò che Bergson avrebbe chiamato a funzione fabulatrice u, introducendo negli aspetti più ingenui della coscienza mitica potenze ausiliatrici e soteriologiche, eroi civilizzatori, forze sopranna turali, se avesse senso parlare di soprannaturale per un tipo d'uomo che ancora non opera le nostre nette distinzioni categoriali tra natura e soprannaturale. Possiamo, in senso lato, chiamare mondo della partecipazione, usando il linguaggio caro a LévyBrühl, il mondo delle connessioni vitali in cui si muove l'uomo primitivo e in cui torna a muoversi mutatis mutandis l'uomo categoriale quando riemerge in lui, in forme storicamente trasfigurate, l'esigenza del mito. La giustificazione mitic[...]

[...] forse l'avvento della ragione ma diano, caso mai, alla ragione stessa un valore metatecnico. Tra l'uomo e i suoi simili, l'uomo e la natura, l'uomo e la società, l'uomo e la storia — così come essa si profonda nelle dimensioni ricche e incognite del passato e del futuro — esistono nessi e rapporti diversi da' quella condizione di Geworfenheit descrittaci da Heidegger. La Geworfenheit é uno dei modi esistenziali di essere nel mondo, uno dei modi più angosciati e squallidi. Al di lá di questo essere scagliati o gettati in un mondo divenuto privo di senso, c'é il problema esistenziale di recuperare i significati, di ricreare una teleologia, di ritrovare una Sinngebung. Il recupero di una partecipazione consiste nel senso di essere nel mondo come in una realtà non più ostile ed estranea, bensì familiare e aperta all'investitura del senso. Alla condizione esistenziale della Geworfenheit generatrice di angoscia, il mito oppone la fede in una diversa condizione esistenziale, quella dell'uomo non scagliato nel mondo bensì fuso in esso, partecipe di un destino cosmico.
Le sorti del mito, in conclusione, non si riabilitano in un ritorno
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acritico verso un mondo indifferenziato e precategoriale. Ciò che riemerge nella vocazione mitica dell'uomo moderno non é l'uomo primitivo,
bensì la sua esigenza di fondamenti, di valori, di significati. Ques[...]

[...]genza indelebile coincide, per larga parte, con una esigenza di tipo metafisico e soteriologico. Anche l'uomo categoriale torna a chiedere i
suoi « perché? » e non si accontenta del dubbio metodico, della morale provvisoria, e della cauta epoché. L'avventura di vivere esige una scommessa ragionevole, ossia fondata su argomenti almeno probabili. E questa scommessa impegna l'uomo a scegliere per sé un mondo di valori, di modelli, di paradigmi non più posti arcaicamente in una Urzeit primitiva, bensì collocati in un orizzonte futuro, in una specie di autotrascendimento del vivere attuale. L'uomo categoriale non può non esplicitare i suoi ideali e riconoscerli come validi, come oggetto legittimo dei suoi sforzi. Ogni volta che torniamo a chiedere quale sia il senso della vita, non già il significato provvisorio dei nostri atti quotidiani, ma il significato globale dell'intera avventura di vivere, riemerge la tematica del destino, della salvezza, del « perché? », quella tematica insomma che non coincide semplicemente con il mondo delle cause[...]

[...]una dimensione per così dire escatologica e soteriologica, riguardante cioè il significato globale e conclusivo dell'avventura umana.
I valori li vediamo emergere dalla storia, costituirsi e fondarsi storicamente, anche se sembrano sovrastare al piano della storicità e librarsi. in una loro trascendenza, indenne dalle peripezie e dalle brusche tra
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smutazioni della moda, del gusto, della cronaca e, in genere, dalle variazioni più superficiali dello spirito obiettivo. Invano cercheremmo per i valori una garanzia della loro validità für ewig. Essi non sono essenze metafisiche collocate in un regno ideale immune alla processualità e al divenire, ma sappiamo che non sono neppure il prodotto di scelte gratuite, capricciose, meramente emozionali. I valori, cioè, non li riconosciamo come tali se ci risultano effimeri, transitori, arbitrari. Non avranno quell'universalità assoluta ed eterna che chiamiamo tradizionalmente universalità metafisica, ma all'interno di un orizzonte storicoculturale spetta ad essi quell'universalità[...]

[...] intenzionalità è rivolta appunto verso forme, idee, norme, valori, paradigmi assoluti e metastorici. Una descrizione obiettiva di questi fenomeni — si pensi soltanto al mito, alla metafisica, alla religione — se vuole rispettare la scala di tali fenomeni deve riconoscerne la direzione intenzionale, non ridurli cioè a manifestazioni secondarie e patologiche di altri fenomeni considerati, essi soltanto, primari e fisiologici.
Per quanto riguarda più propriamente i valori e il loro rapporto con il mito, potremmo parlare di un vero e proprio paradosso che presiede alla costituzione del valore. Il valore si genera storicamente, come abbiamo veduto, ma afferma il proprio diritto alla vita in un atto di ribellione contro la storia che l'ha generato. Traspare qui il rapporta di parentela tra valore e mito. I valori non potrebbero essere tali se il pensiero mitico non intraprendesse in modo sempre ricorrente il tentativo di universalizzarli, quasi proiettandoli fuori dalla storia, fuori cioè
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dalla loro stessa matrice. La storia dei valori[...]

[...]cato assiologico diversissimo e il mito non ha, in alcun modo, la proprietà del re Mida di convertire in oro tutto ciò che tocca. D'altra parte se mitica é la consacrazione dei valori, il processo per cui i valori fatalmente entrano in una magica atmosfera di destorificazione che li erige in modelli, paradigmi, archetipi, esemplari, norme che sovrastano la storia, non é a dire che sia l'investitura mitica per se stessa a creare i valori. Tutt'al più essa li fissa, li stabilizza, li consacra. Il mito è una celebrazione del valore, una specie di suggello metafisico, non il processo per cui il valore si genera. Afrodite, ad esempio, é la celebrazione mitica e sacrale dei valori della bellezza e dell'amore. Ma quella celebrazione non avrebbe potuto mai avere luogo se bellezza e amore non fossero stati avvertiti dagli uomini come valori esistenziali. L'esistenza precede il mito che trasforma gli eventi esistenziali iñ eventi esemplari ricchi di significato. Il primum, il concretum, la comune matrice dei miti e dei valori é sempre l'esistenza,[...]


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Più, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Storia <---siano <---Così <---Ciò <---Diritto <---italiano <---Del resto <---Pratica <---italiana <---Ecco <---Perché <---abbiano <---comunisti <---socialista <---ideologia <---Già <---comunista <---Logica <---Sulla <---fascismo <---ideologico <---italiani <---marxista <---socialismo <---Basta <---Come <---Dialettica <---Dinamica <---La sera <--- <---Però <---cristiana <---socialisti <---Stato <---Dio <---Francia <---d'Italia <---fascista <---marxisti <---Dei <---Filosofia <---Pochi <---Sei <---capitalismo <---comunismo <---cristiano <---ideologie <---psicologica <---realismo <---Cosa <---Davanti <---Fisica <---Il lavoro <---Lenin <---Poetica <---Quale <---fascisti <---italiane <---marxismo <---psicologico <---Andiamo <---Dogmatica <---Gli <---Russia <---Voglio <---colonialismo <---dell'Italia <---ideologica <---ideologiche <---ideologici <---individualismo <---socialiste <---Agraria <---Fenomenologia <---Gramsci <---La notte <---Meccanica <---Ministero <---NATO <---Niente <---Oltre <---Sociologia <---Stalin <---capitalisti <---cominciano <---cristiani <---dell'Europa <---diano <---dinamismo <---leninista <---nazionalista <---nazionalisti <---riconquista <---sociologia <---storicismo <---Adesso <---Bologna <---Certo <---Col <---Cominciò <---Diplomatica <---Entro <---Estetica <---Folklore <---Giappone <---Giunti <---Hai <---Lascio <---Le Monde <---Ma mi <---Non voglio <---Partito <---Psicologia <---Scienze <---Storiografia <---Turchia <---Va bene <---artigiani <---autista <---autonomismo <---capitalista <---cinismo <---d'Africa <---dell'Africa <---denunciano <---etnologico <---gramsciano <---idealismo <---imperialismo <---imperialista <---lasciano <---marxiste <---materialismo <---metodologia <---metodologico <---mitologia <---mutismo <---nazionalismo <---nell'Africa <---nell'Europa <---psicologiche <---psicologici <---revisionismo <---rischiano <---sappiano <---stiano <---testimoniano <---umanesimo <---ACLI <---Ahi <---Arrivò <---Basterà <---Berlino <---Bibliografia <---Bisogna <---Buenos Aires <---Chiesa <---Chimica <---Clinica <---Comunità <---Congo Belga <---Cosi <---D'Annunzio <---Dal <---Dico <---Fai <---Farmacia <---Forze <---Fuori <---Giustizia <---Grecia <---Hitler <---Infine <---La Chiesa <---La casa <---La guerra <---La lotta <---Linguistica <---MEC <---Medio Oriente <---Meglio <---Metafisica <---Mi pare <---Movimento <---Mugnone <---Murate <---Noi <---Non parlare <---Nord <---Nuova <---PCI <---Peggio <---Perchè <---Ponte Vecchio <---Povera <---Presidente <---Repubblica <---Resta <---S.S. <---SEATO <---Sarai <---Sarà <---Scienze naturali <---Segni <---Senato <---Spagna <---Statistica <---Stia <---The Hague <---Togliatti <---Tornò <---Troia <---U.S.A. <---USA <---Vado <---Viene <---anticomunismo <---anziane <---autonomista <---autonomisti <---biologica <---biologico <---bolscevismo <---burocratismo <---comuniste <---conservatorismo <---cristiane <---cristianesimo <---cubismo <---d'Oro <---dell'America <---dell'Asia 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