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Il segmento testuale Più è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da Vittorio Lanternari, Discorso sul messianismo in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]e le differenze concrete fra i vari tipi di manifestazioni «messianiche ». Del resto, lo stesso complesso messianico germogliato in ambiente giudaico e riconfermato in ambiente cristiano, con la figura di un futuro salvatore, non nasce dal nulla, né é frutto d'improvvisa, miracolosa intuizione ad opera di questo o quel profeta: esso bensì rivela radici profonde e lontane, che affondano certamente fino allo strato mosaico, e assai presumibilmente piú indietro: poiché lo stesso Mosaismo é sintesi nuova, (1) di elementi in gran parte piú antichi. Comunque, i profeti ebraici posteriori, a lor volta si riallacciano ad un tema d'attesa messianica già contenuto nell'arcaico messaggio mosaico (Deut. XVIII, 1522), rielaborandolo in forme adatte alle nuove esigenze di liberazione: o che il messia si denomini « Servo di Dio » (Isaia, XXXV, XLII), « Signore di giustizia » (Geremia, XXIII, 58), o « Figlio dell'uomo » (Ezechiele, XX, 33, 42, XXXIII), o « Capo dell'esercito » (Daniele, IX, 2327), ecc.
Come ipotesi di lavoro ci sembra dunque che per « messia » debba intendersi ogni ente — singolare o plurale, piú o meno antropomorfo — at[...]

[...] nell'arcaico messaggio mosaico (Deut. XVIII, 1522), rielaborandolo in forme adatte alle nuove esigenze di liberazione: o che il messia si denomini « Servo di Dio » (Isaia, XXXV, XLII), « Signore di giustizia » (Geremia, XXIII, 58), o « Figlio dell'uomo » (Ezechiele, XX, 33, 42, XXXIII), o « Capo dell'esercito » (Daniele, IX, 2327), ecc.
Come ipotesi di lavoro ci sembra dunque che per « messia » debba intendersi ogni ente — singolare o plurale, piú o meno antropomorfo — atteso da una collettività, nel quadro della vita religiosa, come futuro apportatore di salvezza.
Ora, nel quadro generale della storia religiosa, ci pare legittimo porre il problema, se l'atteggiamento messianico sia connaturato, peculiare, esclusivo del filone giudaicocristianoislamico (in ordine: Mosé e profeti, Apocalisse, Mahdismo): o se esso piuttosto trovi corrispondenza in religioni eterogenee d'ambiente primitivo, indipendentemente da influenze occidentali.
Già un altro grande filone messianico ricorre nel campo di certe religioni storiche fra le maggiormente progredite, Zoroastri
(:) Per il Mosaismo, come sintesi religiosa di componenti arcaiche, d'origine in parte pastorale e in parte agricola, v. LANTERNARI, La grande festa, Milano, 1959, pp. 44851.
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smo e Buddismo. Nel Zoroastrismo si attendeva la venuta del Saosyant, futuro Salvatore, per la decisiva lotta contro il dio del male Angramaniu e il [...]

[...](3).
Ma converrà meglio, per avvicinarci al problema di fondo, chiederci ancora: quali sono le forme concrete, fuori dalle « grandi religioni storiche », in cui si manifesta un corrispondente, o almeno embrionale atteggiamento messianico; e ancora: su quale terreno culturalesociale il messianismo alligna in misura tanto evidente da costituire veri e propri movimenti di attesa di salvezza?
Sarà bene brevemente riandare, in proposito, ad uno dei più
(2) E. ABEGG, Der Messiasglarnben ìn Indien und Iran, BerlinLeipzig 1928.
(3) Per quanto riguarda la nascita del Zoroastrismo in rapporto al conflitto di due correnti culturali eterogenee e contrapposte, cfr. il mio volume La grande festa, Milano, 1959, p. 448. Quanto alla nascita del Buddismo e del Cristianesimo in rapporto al conflitto fra sacerdotalismostatalismo e bisogni popolari, cfr., Le mie osservazioni, in « Nuovi argomenti » 4243, 1960, pp. 1001. Quanto al profetismo ebraico d'epoca preesilica (Amos, Isaia, ecc.), esso va posto in rapporto con le catastrofiche calamità in atto (sc[...]

[...] di ambiente colto e moderno — sono appena iniziati tentativi di sintesi morfologica e comparativa. Da pochi mesi é uscito il primo lavoro d'assieme, di orientamento tipologico, che raccoglie e riordina il materiale etnologico su scala universale (G. Guariglia, Prophetismus und Heilsertvartungsbeivegungen als völkerkundliches und religionsgeschichtliches Problem, HornWien 1959). Un secondo lavoro di sintesi universale, orientato in senso storico più che tipologico, é quello dello scrivente (V. Lanternari, Movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi, Milano, Feltrinelli, 1960) (4).
Nel quadro dei problemi che riguardano i movimenti profetici e che ne rendono vivo e attuale lo studio, lo storico delle religioni avrà un particolare interesse ad individuare la « struttura » dei vari movimenti in questione, ossia l'insieme dei temi mitici e rituali che via via li caratterizzano. Ma, per intendere la natura e la funzione di tali movimenti, egli dovrà scomporre tale struttura nelle differenti ed eterogenee componenti stori[...]

[...]spicato rinnovamento del mondo. L'avvento o il ritorno messianico di tali figure si presenta come sviluppo e rielaborazione di altrettanti temi mitici tradizio
(4) II materiale utilizzato in questo saggio, tranne nei casi differentemente indicati. è desunto dal mio volume.
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nali. Vediamo dunque, in primo luogo, di delineare in sintesi i principali di questi temi nelle rispettive rielaborazioni moderne.
Uno dei temi più frequenti é quello dell'eroe culturale scomparso, di cui alcuni miti originari annunciavano esplicitamente il. ritorno. Tale tema sta al fondo di numerosi movimenti profetici presso civiltà eterogenee: il movimento Koréri (is. Schouten, N. Guinea olandese) e dei Waropen (5) (N. Guinea olandese), i movimenti brasiliani degli uominidio, dei pagé e dei beatos, certe forme della Ghost Dance (Indiani delle praterie), varie manifestazioni religiose africane. In questi casi dunque sì rinnova l'attesa di un eroe fondatore, protagonista di miti arcaici, e che all'origine dei tempi instaurò gli element[...]

[...]. 1702.
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culturale non é solamente importante, ma addirittura insostituibile e insomma é una conditio sine qua non per la genesi degli stessi movimenti profetici. Secondo il Bastide l'assenza di profetismi fra
i negri brasiliani si giustificherebbe appunto con la mancanza di una adeguata mitologia di eroi culturali (10). In realtà, ogni movimento profetico, pur riallacciandosi a miti tradizionali, rielabora nei modi più vari e imprevedibili quei miti stessi, rinnovandoli, trasformandoli nel contenuto e nella funzione — in vista di nuove esigenze religiose —, fuori di ogni rigido schema. Si ha una grande varietà di casi, di combinazioni, di sincretismi, nelle rielaborazioni moderne del mitico eroe culturale: quest'ultimo può essere identificato coi bianchi, col profeta indigeno, con Gesù. Egli può tornare fra gli uomini, oppure possono gli uomini muoversi verso lui. Può trattarsi di un fondatore puro e semplice, o di un eroebuffone (o trickster, come Qat, Nanabhozo). Non sempre il mito originario ne annuncia [...]

[...]50, 15, pp. 3018.
(11) H. A. STAYT, The Batienda, London, 1931, p. 13.
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di Mutabazi viene ad abitare nel corpo di uno dei figli del re, che diviene così Mutabazi, e il paese é liberato dalle calamità (12). Quest'ultimo elemento del mito rivela una radice locale e precristiana.
Un altro esempio di eroe culturale del quale il mito originario annunciava il ritorno é Nanabhozo (= Manabhozo). Di lui, il mito dice che dopo compiute le innumerevoli gesta con cui salvò l'umanità da mostri, finita la sua opera di demiurgo e superate infinite peripezie, si ritirò su un isolotto di ghiaccio, nel mare settentrionale. Ivi egli avrebbe dovuto permanere, senza porre piede di nuovo in terra: quando egli fosse tornato fra gli uomini, una repentina conflagrazione avrebbe consumato e distrutto il mondo intero (13). Abbiamo detto testé, che Nanabhozo veniva identificato col profeta Tenkswatawa. Il mito apocalittico originario pagano si rielaborava e si maturava in un moderno mito di rinnovamento.
Ma gli eroi mitici o storici che n[...]

[...]i mitici o storici che nei movimenti profetici giavanesi rivissero reduci da un regno oltremondano, non erano destinati originariamente a rinascere. Dunque ogni volta che una rielaborazione recente annuncia il ritorno di eroi di cui il mito originario denunciava semplicemente la scomparsa o la morte, si attua uno svolgimento nuovo e spontaneo di un tema embrionale proprio della tradizione. Il messianismo moderno può si sviluppare eventuali germi più antichi di una religione di attesa e salvezza: ma esso é un prodotto nuovo, inconfondibile. Il messianismo moderno risponde, con la sua attesa di rinnovamento globale, una tantum, ad una irrepetibile situazione di rischio: l'urto coi bianchi con le sue drastiche conseguenze.
Le identificazioni operate nei messianismi moderni sono varie nei modi: i sincretismi sono pur essi vari, eterogenei, spontanei. Inoltre, numerose altre figure o enti mitici, oltre all'eroe culturale, primeggiano nelle nuove formazioni profetiche. I protagonisti del ritorno alle origini e i demiurghi del rinnovamento mes[...]

[...] del ritorno alle origini e i demiurghi del rinnovamento messianico possono di gran lunga variare.
(12) P. LOUPIAS, « Anthropos » 3, pp. 912: cit., in E. ANDERSSON, Messianic popular movements in the Lower Congo, Uppsala 1958, p. 262.
(13) Handbook of Amer. Indians, loc. cit., p. 21.
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Frequenti nelle mitologie dei popoli a livello etnologico, sono le figure di esseri supremi. L'essere supremo é fra i modelli mitici più frequentemente riplasmati nelle nuove formazioni profetiche. Seconda innumerevoli reinterpretazioni, l'essere supremo sta al centro delle nuove mitologie sincretiste. Certe mitologie arcaiche dell'essere supremo contengono a loro volta in sé germi di attesa messianica. Vediamone alcuni casi concreti. Fra i Lamba (Rhodesiá sett.) l'essere supremo, Lesa Luchyele (altrimenti Chuveane), secondo il mito spari dopo aver creato il mondo, e promise agli uomini che sarebbe tornato. In altra versione si narra che Lesa Luchyele si ritirò, ma il figlio Kusane sarebbe tornato, apportatore di benessere e p[...]

[...]nile dell'essere supremo, pur essa a sua volta cretrice (= restauratrice) del mondo e dell'ordine. Ma l'interessante si è che gli Europei stessi,
dall'epoca della loro comparsa, vennero identificato dai nativi con Lesa Mukulu, l'essere supremo o eroe culturale (20). Dunque, nel
modo in cui originariamente i sostegni del mondo sociale, cioè il re e la regina, erano identificati con i protagonisti dei miti della creazione, ora i protagonisti del più grande rivolgimento culturale
(18) B. H. THOMSON. The Fijians, London, 1908, pp. 1412.
(19) A. FORNANDER, Collection of Hawaiian antiquities and folklore, B.P.B. Mus. Memoris, Honolulu, VI, 1, 191920, p. 42.
(20) J. J. WILLIAMS, Africa's God, VIII, Rhodesia, Chestnut Hill, 1938, pp. 2503.
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introdotto fra i nativi, cioè i bianchi, vengono reinterpretati in chiave tradizionale, come esponenti di una mitica creazione o restaurazione del mondo. Ciò avviene anche se il mito non accennava necessariamente ad un futuro ritorno dell'essere supremo o dell'eroe culturale.[...]

[...]atori del mondo, e a loro modo di messia e salvatori, seppure in maniera meno personale che nei casi già sopra elencati. Infatti essi agiscono collettivamente e in modo anonimo. L'attesa dei morti che tornano, nei movimenti profetici, é sperimentata come attesa di una palingenesi cosmica. Il ritorno collettivo dei morti, corredo tradizionale della religione indigena, assume un ruolo equivalente a quello del messia individuale, ed é veicolo fra i più significativi e frequenti del nuovo sincretismo messianico. E' eloquente, fra gli altri, il caso degli Indiani delle praterie seguaci della Ghost Dance e dei Californiani Pomo, Wintun, Achomawi seguaci del culto della Casa Sotterranea. Verso il 1870 masse di proseliti si mossero in cammino verso una direzione assegnata dal mito, caso per caso variabile secondo i miti locali, da cui si attendeva, conformemente all'annuncio profetico, che i morti tornassero (22). Il caso equivale a quello delle migrazioni dei Tupiguarani verso la sede dell'eroe culturale. Nei CargoCults melanesiani, già menzion[...]

[...]dei Californiani Pomo, Wintun, Achomawi seguaci del culto della Casa Sotterranea. Verso il 1870 masse di proseliti si mossero in cammino verso una direzione assegnata dal mito, caso per caso variabile secondo i miti locali, da cui si attendeva, conformemente all'annuncio profetico, che i morti tornassero (22). Il caso equivale a quello delle migrazioni dei Tupiguarani verso la sede dell'eroe culturale. Nei CargoCults melanesiani, già menzionati, più volte
i nativi cosparsero di vessilli le spiagge e apprestarono idonei sentieri per gli spiriti, in attesa dei morti che col loro vascello avrebbero sbarcato nell'isola infinite ricchezze. A volte addirittura eressero speciali aeroporti, per accogliere i morti che sarebbero scesi dagli aeroplani messianicamente attesi (23). L'intero complesso del Cargo Cult si fonda proprio sull'attesa di un imminente rovesciamento delle condizioni attuali del vivere, di una rinascita del mondo indotta dai morti apportatori di merci e ricchezze. L'attesa dei morti come rinnovatori del mondo é fra i tratti pi[...]

[...]ro sbarcato nell'isola infinite ricchezze. A volte addirittura eressero speciali aeroporti, per accogliere i morti che sarebbero scesi dagli aeroplani messianicamente attesi (23). L'intero complesso del Cargo Cult si fonda proprio sull'attesa di un imminente rovesciamento delle condizioni attuali del vivere, di una rinascita del mondo indotta dai morti apportatori di merci e ricchezze. L'attesa dei morti come rinnovatori del mondo é fra i tratti più diffusi dei culti profetici anche d'Africa e America: dal Kimbangismo (Congo) alla Ghost Dance, ecc. I morti, più e oltre che autori della catastrofe cosmica, sono parte attiva nel processo di palingenesi. Essi volta a volta apporteranno infatti merci e ricchezze, riporteranno i
(22) C. Du Bars, The Ghost Dance of 1870, Univ. Calif. Records, 311939, p. 13.
(23) LANTERNARI, op. ct., cap. IV.
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bisonti già distrutti (Ghost Dance), attueranno l'era di libertà e di salvezza, e porranno fine alla situazione di rischio dal cui emergere i movimenti stessi sono stati promossi. Ciò che qui interessa notare è che il germe degli sviluppi messianici assunti dalla religione dei morti ent[...]

[...] salvezza, e porranno fine alla situazione di rischio dal cui emergere i movimenti stessi sono stati promossi. Ciò che qui interessa notare è che il germe degli sviluppi messianici assunti dalla religione dei morti entro i culti profetici, già esisteva nella tradizione precristiana. I morti hanno in generale, nelle religioni tradizionali « primitive », una funzione ambivalente, poiché essi sono apportatori di bene e di male; e ciò in rapporto al più o meno scrupoloso adempimento degli obblighi rituali loro dovuti. L'attesa dei morti che tornano è uno dei lineamenti essenziali di cerimonie religiose tradizionali, soprattutto della festa di Capodanno (fra popoli coltivatori). e dei riti iniziatici (24). La stessa mitologia tradizionale indica i morti come fondatori della civiltà e di feste (25). L'attesa per il ritorno dei morti è dunque un elemento di religione messianica, alla stregua del ritorno dell'eroe culturale o dell'essere supremo. Insomma, non si può limitare la possibilità di formazioni messianiche alla presenza di un certo, uni[...]

[...]l'età delle origini. A ben guardare, ogni mo
(24) LANTERNARI, La grande festa, Milano, 1959, passim.
(25) Cfr., il mito delle origini della festa milamala: op. cit., parte II, cap. I.
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vimento profetico dunque ha un suo aspetto messianico, perché vi si attende una salvezza portata da enti o da eventi mitici quali che siano.
Abbiamo detto « enti od eventi mitici ». Infatti, oltre ai casi suesposti nei quali esiste uno o più d'un demiurgo della rinascita del mondo (eroe culturale, essere , supremo, spiriti dei morti), vi sono casi in cui la religione del ritorno assume forme ancor differenti e più originali: essa si configura insomma come attesa di, un evento particolare e concreto, cioè il ripristino d'una determinata condizione storica antica, attualmente scaduta. Senza attendere l'avvento di enti mitici quali che siano, si attende il ritorno di un'epoca storica lontana nel tempo e nell'esperienza collettiva, mitizzata e proiettata nell'immediato futuro. Essa costituirà l'epoca paradisiaca della liberazione e della salvezza.
Fra le altre manifestazioni di questo genere v'è il recente movimento di Ras Tafari, tra i Negri di Giamaica. Il suo nucleo profetico si fonda sull'attesa di un[...]

[...]ssivo ritorno come redentore dei Negri. Nella religione popolare brasiliana moderna si ha il caso del profeta Joao Maria e di Padre Cicero: di costoro, i quali fondarono i movimenti profetici già menzionati, si attende tuttora vivamente il ritorno: essi ripristineranno il regno di pace e giustizia. Anche il grande filone dei movimenti mahdisti, in Africa ed Asia, esprime con periodicità ricorrente l'identica attesa di un ripristino di condizioni più antiche. In generale, lo stesso Cristo Negro così diffuso nelle religioni profetiche dell'Africa nera, rappresenta la reincarnazione messianica, proiettata in futuro,
(29) Op. cit., Cap. VI.
DISCORSO SUL MESSIANISMO 29
di altrettante, attuali figure di profeti nativi, dei quali si attende dunque il ritorno come liberatori. Alla morte di Isaiah Shembe, fondatore del movimento Sionista sudafricano, si diffuse l'opinione che sarebbe risorto (30). Altro caso è quello di Kanakuk, profeta dei Kikapu. Quando egli mori (1852) per una epidemia di vaiolo, si diffuse la voce che sarebbe risorto; ed a[...]

[...]nella S scritta sulle loro uniformi (32).
Si tratta di reinterpretazioni in chiave messianica di altrettante figure appartenenti autenticamente alla storia. La storia dunque sbocca insensibilmente nel mito.
Eppure é anche vero il contrario, che il mito tende decisamente verso la storia. Né si comprenderebbe il senso e la funzione dei movimenti profetici in genere, se sottovalutassimo sia le cause storiche che presiedono alla loro genesi, sia i piú immediati e drammatici sviluppi da essi assunti sul piano della storia sociale e poli tica oltreché religiosa. Si rischia di fraintendere il valore storico dei movimenti in questione, se non si considera che, dietro e a seguito dei movimenti profetici, erompono altrettanti movimenti di liberazione, spesso insurrezionali: si costituiscono le chiese separatiste e dissidenti: si fondano nuovi santuari e centri religiosi orientati in senso decisamente autonomista. Nascono, per effetto della predicazione profetica, le nuove « città sante » sul modello biblico (per es. il movimento sionista in Suda[...]

[...]la sola forma accessibile, in senso religioso, di un rinnovamento della vita.
D'altra parte anche l'attesa di un tempo futuro nel quale libertà, benessere, salvezza si attuino superando ogni angoscia, sfu
DISCORSO SUL MESSIANISMO 31
ma in un mito millenaristico: e tale mito rappresenta l'unica possibile soluzione religiosa del bisogno di evadere da un presente insostenibile. Il fatto si è che l'esperienza religiosa tende per sua
natura tanto più nelle società aventi scarsa organizzazione sa
cerdotale —, a uscire dalla dimensione della storicità e dal piano dell'iniziativa civile. Nella coscienza collettiva si attende dunque una scadenza immediata che urge alle porte, ma insieme — e contraddittoriamente — lontana e, per la sua stessa radicalità sconvolgente, sperimentata come paurosa.
Così, nel passato dei primordi e nel futuro escatologico, risulta mitizzata l'evasione da un presente penoso. E in tali forme mitiche si esprime un programma religioso di riordinamento del mondo secondo principi soddisfacenti.
In effetti, il programma[...]

[...]rascorse (33). V'è una dinamica storica, nei movimenti profetici, che non va dimenticata. Tale dinamica è volta energicamente al futuro. I modelli dell'età delle origini e della perfezione, proposti nei miti messianici, in tanto hanno valore, in quanto essi costituiscono altrettanti programmi di trasformazione: in quanto possono alimentare speranze di rinnovamento, e anzi rappresentano essi stessi l'inizio della rinascita. In definitiva, ciò che più conta nei movimenti profetici, al di là e contro il loro conservatorismo apparente, é l'avvio, che in essi si pone, al rinnovamento della vita religiosa, ed anche culturale, socia
(33) Mircea Eliade, il grande storico delle religioni, è fautore di un'interpretazione del tutto misticheggiante e conservatrice, di tali movimenti religiosi. Secondo l'E. la reintegrazione dello stato paradisiaco, che si esprime nei movimenti messianici (e così pure ugualmente nelle cerimonie religiose tradizionali, feste di Capodanno, Iniziazioni) ha un senso ed una funzione assolutamene autonoma; anzi essa dareb[...]

[...]erenza rispetto al cosmo, e non sotto la stretta di prementi esigenze esistenziali (M. ELIADE, Dimensions religieuses du renouvellement cosmique, Eranos Jahbuch 1960, pp. 2745). L'E., come sempre, separa la vita religiosa dalle distinte esperienze storiche ed esistenziali che ad essa presiedono.
32 VITTORIO LANTERNARI
le, politica: e tutto ciò, in risposta a bisogni esistenziali maturati attraverso la storia, per entro le civiltà in movimento. Più e al di là del passato nostalgico, é il futuro creativo che conta, per i seguaci di questi movimenti. Poiché tali movimenti sono in realtà altrettante sintesi nuove, e in ogni caso discordanti dalla tradizione corrente. La religione del ritorno si dispiega nella storia, in definitiva, come una creativa religione di rinnovamento.
Quanto si é venuto dicendo — in una prospettiva « fenomenologica » — sui movimenti profetici a livello etnologico, sui loro miti millenaristici, sull'attesa di salvezza e sul bisogno di rigenerazione che in essi si esprimono, vale indubbiamente in pari grado per i mo[...]

[...]armente il Mosaismo, il profetismo ebraico dell'esilio, il Cristianesimo stesso. Sotto tale profilo, essi hanno dato via via nuova vita a un nucleo religioso embrionalmente già vivo nel « paganesimo », cioè a miti e riti di attesa di salvezza (34). Infatti, al di là delle peculiarità legate ai differenti contesti storici e culturali da cui sorge ciascun movimento, in tutti può riconoscersi un nucleo genetico, comune ad essi anche nelle religioni più arretrate. In tal senso esiste a nostro avviso, e conviene sia qui ribadita, una ininterrotta continuità di sviluppo fra le religioni cosiddette primitive e le grandi religioni storiche, compreso il Cristianesimo: talché ad un attento e spregiudicato esame, in queste ultime possono riconoscersi ï vari complessi mitici e rituali di origine antica, ripresi, rielaborati e trasformati via via in rapporta ai diversi sviluppi storicoculturali, e alle differenti, sempre rinnovate esigenze culturali e religiose.
In realtà, se si ripensa all'obiezione mossa dallo studioso cattolico di cui sopra dicev[...]

[...]i di origine antica, ripresi, rielaborati e trasformati via via in rapporta ai diversi sviluppi storicoculturali, e alle differenti, sempre rinnovate esigenze culturali e religiose.
In realtà, se si ripensa all'obiezione mossa dallo studioso cattolico di cui sopra dicevasi, contro il tentativo da noi operato di unificare — in senso fenomenologico e comparativo — sotto un comune denominatore « messianico » fenomeni desunti da livelli culturali i più disparati, anche dal campo etnologico, si comprende che la preoccupazione soggiacente a quella significativa obiezione é di
(34) Il primo autore che riconosce metodicamente l'attesa di salvezza come nucleo centrale dei movimenti profetici C G. GUARIGLIA, op. cit., 1959.
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natura soggettiva, fideistica e confessionale, non propriamente scientifica. Tale preoccupazione rivela, secondo noi, una pericolosa, sottintesa tendenza antistorica. In sostanza, per chi pieghi la propria ragione, pur nello studio scientifico, a influssi di provenienza dottrinale, fideistica e c[...]

[...]: movimento che vuol dare inizio a un rinnovamento del mondo, attuabile in prospettiva escatologica come ritorno ad un'epoca primigenia, paradisiaca. In realtà altrettante ispirazioni misticoestatiche sono caratteristiche di tutti i profeti fondatori, a livello etnologico così come nelle grandi religioni storiche: da Kimbangu a Wowoka, John Wilson, Handsome Lake, TeUa ecc. ecc. Si tratta di esperienze fondamentali, fondate volta a volta su una o piú visioni, transe o « sogni » che dir si voglia. Su un piano fenomenologico, esse equivalgono in tutto e per tutto a fenomeni per noi piú familiari, quali l'« illuminazione » del Budda, l'« apocalisse » di San Giovanni, la « rivelazione » di Mosè o Gesù.
Per quanto riguarda lo sviluppo storico del messianismo, esso si adegua del tutto al differente grado di sviluppo sociale e culturale delle comunità portatrici. Presso civiltà religiose di tipo più arcaico, a struttura sociale poco o nulla differenziata, il « messia » assume forme più o meno impersonali ed anonime, come l'eroe culturale, l'essere supremo, i morti. A questo livello culturale, la sua funzione è indifferenziata serbando esso (od eventualmente essi, nel caso di una molteplicità anonima, come per i morti) un generico potere magicocreativo sancito dai miti delle origini. Al livello di religioni politeiste il « messia » s'identifica con una « figura divina » ben individuata nella forma, differenziata nella funzione: è il caso dei Polinesiani, con la figura di Lono, dio di carattere agrario, che scompare ed è atteso come colui che dovrà torna
DISCORSO SUL MESSIAN[...]

[...]a il messianismo cristiano affrontava ormai consapevolmente una crisi di nuovo ordine: la crisi morale,
36 VITTORIO LANTT;RNARI
intellettuale, individuale di una cultura autocosciente e in declino, posta di fronte al problema dell'esistenza: e sanciva una via di salvezza ormai trascendentale.
Tali in sintesi gli sviluppi storici concreti del messianismo, dai suoi germi embrionali nelle religioni a livello etnologico, fino alle manifestazioni più avanzate e complesse. Ma qui importa anche rispondere all'altra domanda già postaci: su quale terreno storicosocialeculturale il messianismo alligna così da dar luogo a nuovi, autentici movimenti di salvezza? Si pub affermare, sulla base di una documentazione amplissima, che l'annuncio di un c salvatore » imminente, o di un complesso di enti ed eventi attesi come apportatori di bene, accompagna e segue altrettante situazioni di alta tensione, crisi, precarietà esistenziale. Tali situazioni sono dovute via via ad eventi calamitosi come detribalizzazione, occupazione di terre, deculturazione (d[...]



da Natalia Ginzburg, Le piccole virtù in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]nza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l'astuzia, ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, ma l'amore al prossimo e l'abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere.
Di solito invece facciamo il contrario: ci affrettiamo a insegnare il rispetto per le piccole virtù, fondando su di esse tutto il nostro sistema educativo. Scegliamo, in questo modo, la via più comoda: perché le piccole virtù non racchiudono alcun pericolo materiale, e anzi tengono al riparo dai colpi della fortuna. Trascuriamo d'insegnare le grandi virtù, e tuttavia le amiamo, e vorremmo che i nostri figli le avessero: ma nutriamo fiducia che scaturiscano spontaneamente nel loro animo, un giorno avvenire, ritenendole di natura istintiva, mentre le altre, le piccole, ci sembrano il frutto d'una riflessione e di un calcolo e perciò noi pensiamo che debbano assolutamente essere insegnate.
In realtà la differenza é solo apparente. Anche le piccole virtù provengono dal profondo del nos[...]

[...]ndo dentro di noi e abbiamo visto in noi troppe cose. E poiché non abbiamo autorità, dobbiamo inventare un altro rapporto.
Oggi che il dialogo é diventato possibile fra genitori e figli — possibile benché sempre difficile, sempre carico di prevenzioni reciproche, di reciproche timidezze e inibizioni — é necessario che noi ci riveliamo, in questo dialogo, quali siamo: imperfetti; fiduciosi che loro, i nostri figli, non ci rassomiglino, che siano piú forti e migliori di noi.
Poiché siamo tutti assillati, in un modo o nell'altro, dal problema del danaro, la prima piccola virtù che ci viene in testa di insegnare ai nostri figli è il risparmio. Regaliamo loro un salvadanaio, spiegando com'è bello conservare il denaro invece di spenderlo, in modo che, dopo mesi, ce ne sia molto, un bel gruzzolo di denaro; e come sia bello resistere alla voglia di spendere, per poter comprare, alla fine, qualche oggetto di pregio. Ricordiamo d'aver ricevuto in regalo, nella nostra infanzia, un salvadanaio eguale; ma dimentichiamo che il denaro, e il gusto di [...]

[...] conservare il denaro invece di spenderlo, in modo che, dopo mesi, ce ne sia molto, un bel gruzzolo di denaro; e come sia bello resistere alla voglia di spendere, per poter comprare, alla fine, qualche oggetto di pregio. Ricordiamo d'aver ricevuto in regalo, nella nostra infanzia, un salvadanaio eguale; ma dimentichiamo che il denaro, e il gusto di conservarlo, era al tempo della nostra infanzia meno orribile e sudicio di oggi: perché il denaro, più passa il tempo, e più è sudicio. Il salvadanaio, dunque, è il nostro primo errore: abbiamo installato, nel nostro sistema educativo, una piccola virtù.
Quel salvadanaio di coccio dall'aspetto innocuo, a forma di pera o di mela, abita per mesi e mesi nella stanza dei nostri figli ed essi si abituano alla sua presenza; s'abituano al piacere di introdurre, giorno per giorno, il denaro nella fessura; s'abituano al denaro custodito là dentro, che là, nel segreto e nel buio, cresce come un seme nel grembo della terra; s'affezionano al denaro, dapprima con innocenza, come ci s'affeziona a tutte le cose che crescono graz[...]

[...]embo della terra; s'affezionano al denaro, dapprima con innocenza, come ci s'affeziona a tutte le cose che crescono grazie al nostro zelo, pianticelle o bestiole; e sempre vagheggiando quel costoso oggetto visto in una vetrina, e che sarà possibile comperare, come noi gli abbiamo detto, col denaro così risparmiato. Quando infine il salvadanaio viene infranto e il danaro speso, i ra
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4 NATALIA GINZBUI{G
gazzi si sentono soli e delusi: non c'è più il denaro nella stanza, custodito nel ventre della mela, e non c'è più nemmeno la rossa mela: c'è invece un oggetto a lungo vagheggiato in vetrina, e di cui noi gli abbiamo vantato l'importanza e il pregio: ma che ora, nella stanza, sembra grigio e disadorno, appassito dopo tanta attesa e dopo tanto denaro. Di questa delusione i ragazzi non incolperanno il denaro, ma l'oggetto stesso: perché il denaro perduto conserva, nella memoria, tutte le sue lusinghiere promesse. I ragazzi chiederanno un nuovo salvadanaio e nuovo denaro da custodire; e rivolgeranno al denaro dei pensieri e un'attenzione che è male gli siano rivolti. Preferiamo il denaro alle cose. Non è mal[...]

[...]a: e se abbiamo delle difficoltà economiche, è necessario che i nostri figli, non troppo presto e non troppo tardi, ne siano messi al corrente; così come è giusto che a un certo punto dividano con noi le nostre preoccupazioni, e le nostre ragioni di contentezza, e i nostri progetti, e tutto quanto concerne la vita famigliare. E abituandoli a considerare il denaro famigliare come una cosa che appartiene a noi e a loro in egual misura, e non a noi piuttosto che a loro, o al contrario, potremo anche invitarli ad essere sobri, a stare attenti al denaro che spendono: e in questo modo l'invito al risparmio non è piú rispetto per una piccola virtù, non è astratto invito a portare rispetto ad una cosa che non merita rispetto in se stessa, come il denaro; ma è un rièordare ai ragazzi che non è molto il denaro di casa, è un invito a sentirsi adulti e responsabili di fronte a una cosa che. appartiene a noi come a loro, una cosa non specialmente bella né amabile, ma seria, perché legata alle nostre necessità quotidiane. Ma non troppo presto e non troppo tardi: e il segreto dell'educazione sta nell'indovinare i tempi.
Essere sobri con se stessi e generosi con gli altri: questo vuol dire avere un rapporto giust[...]

[...] sempre vi appare quando entra in argomento il denaro; c'è l'oscuro spavento che tutto il denaro si dissolva nel nulla, e che anche quei pochi spiccioli possano significare le prime polveri d'un crollo subitaneo e mortale. I ragazzi di simili famiglie non di rado vanno a scuola con abiti consumati e scarpe logore e debbono sospirare a lungo, a volte invano, per una bicicletta o per una macchina fotografica, oggetti che alcuni loro compagni certo piú poveri posseggono da tempo. E quando poi gli viene regalata la bicicletta che desiderano, il regalo é però accompagnato dalla severa raccomandazione di non sciupare, di non prestare a nessuno un oggetto così di lusso, e che é costato tanto denaro. I richiami all'economia, in casa, sono perenni e insistenti: c'è l'ordine di comprare i libri di scuola usati, i quaderni allo Standard. Questo avviene in parte perché i ricchi spesso sono avari, e perché si credono poveri; ma soprattutto perché le madri, nelle famiglie ricche, piú o meno inconsapevolmente, hanno timore delle conseguenze del denaro [...]

[...] desiderano, il regalo é però accompagnato dalla severa raccomandazione di non sciupare, di non prestare a nessuno un oggetto così di lusso, e che é costato tanto denaro. I richiami all'economia, in casa, sono perenni e insistenti: c'è l'ordine di comprare i libri di scuola usati, i quaderni allo Standard. Questo avviene in parte perché i ricchi spesso sono avari, e perché si credono poveri; ma soprattutto perché le madri, nelle famiglie ricche, piú o meno inconsapevolmente, hanno timore delle conseguenze del denaro e cercano di proteggerne i figli foggiandogli attorno una finzione di abitudini semplici, perfino avvezzandoli a piccole privazioni. Ma non c'é sbaglio peggiore che far vivere un ragazzo in una simile contraddizione: il denaro parla ovunque, nella casa, il suo linguaggio inconfondibile: é presente nelle porcellane, nelle mobilia, nella pesante argenteria, é presente nei comodi viaggi, nelle sfarzose villeggiature, nei saluti del portinaio, nelle cerimonie dei servi; è presente nei discorsi dei genitori, è la ruga sulla fronte[...]

[...]a difesa dalla ricchezza non é la paura della ricchezza, della sua fragilità e delle viziose conseguenze che può portare: la vera difesa dalla ricchezza é l'indifferenza al denaro. Per educare un ragazzo a questa indifferenza, non c'é altro modo che dargli del denaro da spendere, quando esiste denaro: perché impari a separarsene senza cruccio e senza rimpianto. Mi si osserverà che così un ragazzo s'abitua ad avere denaro da spendere, e non potrà più farne senza; se domani non sarà più ricco, come farà? Ma é più facile non aver denaro quando abbiamo imparato a spenderlo, quando abbiamo imparato come vola via in fretta fra le mani; é più facile fare a meno del denaro quando l'abbiamo ben conosciuto, che non quando gli abbiamo tributato, nell'infanzia, reverenza e paura, abbiamo sentito la sua presenza all'intorno e non ci é stato permesso di alzare gli occhi a guardarlo in viso.
Appena i nostri figli cominciano ad andare a scuola, noi subito gli promettiamo denaro in premio, se studieranno bene. E un errore. Noi così mescoliamo il denaro, che é una cosa senza nobiltà, ad una cosa meritevole e degna, quale é lo studio e il piacere della conoscenza. Il denaro che diamo ai nostri figli, dovrebbe esser dato senza motivo; dovrebb[...]

[...]denaro, che é una cosa senza nobiltà, ad una cosa meritevole e degna, quale é lo studio e il piacere della conoscenza. Il denaro che diamo ai nostri figli, dovrebbe esser dato senza motivo; dovrebbe esser dato con indifferenza, perché imparino a riceverlo con indifferenza; e dev'esser dato non
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perché imparino ad amarlo, ma perché imparino a non amarlo, a intenderne il vero carattere, e la sua impotenza ad appagare i desideri più veri, che sono quelli dello spirito. Elevando il denaro alla funzione di premio, di punto d'arrivo, di obbiettivo da raggiungere, noi gli diamo un posto, un'importanza, una nobiltà, che non deve avere agli occhi dei nostri figli. Affermiamo implicitamente il principio — falso — che il denaro è il coronamento d'una fatica e il suo termine ultimo. Invece il denaro dovrebbe essere concepito come il salario d'una fatica: non il suo termine ultimo, ma il suo salario, cioè il suo legittimo credito: ed è evidente che le fatiche scolastiche dei ragazzi non possono avere un salario. E un errore minore[...]

[...]bile sceglierne uno di cui giovarsi domani.
Quello che deve starci a cuore, nell'educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l'amore alla vita. Esso può prendere diverse forme, e a volte un ragazzo svogliato, solitario e schivo non é senza amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato di attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos'è la vocazione d'un essere umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita? Noi dobbiamo allora aspettare, accanto a lui, che la sua vocazione si svegli, e prenda corpo. Il suo atteggiamento può assomigliare a quello della talpa o della lucertola, che se ne sta immobile, fingendosi morta: ma in realtà fiuta e spia la traccia dell'insetto, sul quale si getterà con un balzo. Accanto a lui, ma in silenzio e un poco in disparte, noi dobbiamo aspettare lo scatto del suo spirito. Non dobbiamo pretendere nulla: non dobbiamo chiedere o sperare che sia un genio, un artista, un eroe o un santo; eppure dobbiamo essere disposti a tutto[...]

[...]ne sta immobile, fingendosi morta: ma in realtà fiuta e spia la traccia dell'insetto, sul quale si getterà con un balzo. Accanto a lui, ma in silenzio e un poco in disparte, noi dobbiamo aspettare lo scatto del suo spirito. Non dobbiamo pretendere nulla: non dobbiamo chiedere o sperare che sia un genio, un artista, un eroe o un santo; eppure dobbiamo essere disposti a tutto; la nostra attesa e la nostra pazienza deve contenere la possibilità del più alto e del più modesto destino.
Una vocazione, una passione ardente ed esclusiva per qualcosa che non abbia nulla da vedere col denaro, la consapevolezza di poter fare una cosa meglio degli altri, e amare questa cosa al di sopra di tutto, é la sola e unica possibilità, per un ragazzo ricco, di non essere per nulla condizionato dal denaro, di essere libero di fronte al denaro: di non sentire, fra gli altri, né l'orgoglio della ricchezza né la sua vergogna. Egli non s'accorgerà neppure degli abiti che porta, dei costumi che lo circondano, e domani sarà capace di qualunque privazione, perché l'unica fame e l'[...]

[...]el salotto, ha riempito le coppe, piange e mi stringe un poco il collo; mia madre è seduta in un angolo, taciturna, e mi guarda; Giuseppina, che si è tolta il grembiule e la crestina, è in piedi, é. commossa e non riesce a bere).
Tutto procedeva tranquillamente in casa con mia madre, fra i piatti succulenti che lei mi preparava e i romanzi gialli inglesi che mi compravo, le telefonate ai parenti del povero papà che avrebbero voluto abbracciarmi più spesso, e le serate che passavo nei cinema eleganti, gratis per i biglietti che mi mandavano.
Anche al commissariato dove lavoravo, che è lo stesso nel quale lavoro presentemente, mi trovavo bene; né mi mancavano le lodi dei superiori, i quali avevano capito che mi applicavo con diligenza e che non pensavo a granché d'altro. Qualche volta i sottufficiali zotici mi facevano arrabbiare, ma mi bastava fargli il viso duro per impaurirli: era brava gente.
Avrei potuto essere un uomo contento, se mia madre non avesse cominciato, ad un certo momento, a volermi forzare al matrimonio. E stata questa[...]

[...] bene; né mi mancavano le lodi dei superiori, i quali avevano capito che mi applicavo con diligenza e che non pensavo a granché d'altro. Qualche volta i sottufficiali zotici mi facevano arrabbiare, ma mi bastava fargli il viso duro per impaurirli: era brava gente.
Avrei potuto essere un uomo contento, se mia madre non avesse cominciato, ad un certo momento, a volermi forzare al matrimonio. E stata questa sua ostinazione a farmi uscire di casa.
Più generalmente, debbo dire che la mia situazione presente viene da questo: che mia madre, forse a ragione, non mi riteneva maturo per la vita. Appena mio padre era morto, nonostante io avessi trent'anni, ne aveva subito preso il posto; ma sostituendo alla fermezza ragionevole di lui una sorta di acredine perenne. Io la comprendevo. Sapevo che mi voleva molto bene, e pensavo che quella bruschezza fosse per lei stessa fastidiosa, ma le fosse indispensabile per rivalersi del suo sesso: al fine di condurre bene la famiglia e di sostenere con assiduità me, che aveva
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capito div[...]

[...]nto alla ragazza. Poi finiva svelta la sua tazza e con un pretesto se ne andava.
Io cercavo argomenti; ma finivo sempre, balbettando un po', col parlare di cinematografo. La ragazza trinciava qualche giudizio su questa o quella attrice; poi passava a parlare del suo lavoro, o a farmi domande sul mio, eventualmente sugli omicidi che avessi risolto. Io dicevo che il mio é un mestieraccio, che dovevo sempre sporcarmi con la gentaccia, e che per di più guadagnavo poco. Poi, se mia madre non tornava presto in salotto, con un pretesto mi rifugiavo nella mia stanza; e in questo caso rivedevo la ragazza un attimo nell'ingresso, per salutarla quando se ne andava. Se invece mia madre tornava prima del tempo minimo che dovevo rispettare, mi toccava ballare. Perché mia madre mi diceva « met
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ti un disco », e poi ordinava « suvvia, ballate ». Io ero impacciato, e spesso il mio corpo pesante sbagliava il ritmo; ma la ragazza m'incoraggiava. Qualche volta poggiava la sua guancia alla mia e mi si addossava. Mamma fingeva di non ve[...]

[...] mio corpo pesante sbagliava il ritmo; ma la ragazza m'incoraggiava. Qualche volta poggiava la sua guancia alla mia e mi si addossava. Mamma fingeva di non vedere.
La sera, poi, mi domandava le mie impressioni. Io tacevo, o rispondevo con rade parole, ad abbandonare l'argomento. Giuseppina origliava, nascosta dietro la porta.
In due anni saranno sfilate in casa mia trenta ragazze: alcune una sola volta, altre — quelle che mia madre riteneva le più idonee — più volte. Ma ad un certo punto la ribellione s'è fatta strada in me, e non sono riuscito a reprimerla: sicché vivevo nel timore continuo che la stizza crescente mi facesse esplodere contro mia madre. Il sangue, infatti, adesso mi affluiva copioso alla faccia ogni volta che lei al mattino entrava nella mia stanza, si sedeva sul mio letto e diceva: «Oggi viene a trovarci una ragazza simpaticissima, la figlia di... », e nominava un amico di mio padre. Io dicevo di non ricordarlo, e lei incalzava : « Ma se ti ha tenuto tante volte sulle ginocchia »; oppure: « Ma se ti ha fatto da padrino alla cresim[...]

[...]er le scale. Io al pianterreno, dov'ero frattanto arrivato, ho aperto il cancello dell'ascensore e ho infilato di forza Giuseppina nella cabina, senza dire una parola.
Poi un giorno mia madre me ne ha fatto una grossa. Forse vedendo in pericolo la sua autorità, o imminente la mia rivolta, ha fatto venire a Roma zio Alfonso.
Zio Alfonso, fratello di mio padre, vive a Napoli, é scapolo e lavora in un'industria farmaceutica. Passa come la persona più autorevole della famiglia, certo per l'aspetto serio, ma soprattutto perché la sua passione é l'araldica (ha fatto tante ricerche sulla nostra famiglia e ne parla sempre). E affabile e misurato, ma confida troppo spesso ai parenti il suo pentimento di non essersi sposato.
E entrato nella mia stanza con un sorriso commosso e mi ha abbracciato. Poi mi ha detto che era venuto a Roma per alcune ricerche araldiche da compiere in Vaticano: si trattava di giustificare un «attacco» che ad un suo amico stava molto a cuore, a Napoli non gli sarebbe stato possibile. Ha continuato parlandomi del suo lav[...]

[...] sposato.
E entrato nella mia stanza con un sorriso commosso e mi ha abbracciato. Poi mi ha detto che era venuto a Roma per alcune ricerche araldiche da compiere in Vaticano: si trattava di giustificare un «attacco» che ad un suo amico stava molto a cuore, a Napoli non gli sarebbe stato possibile. Ha continuato parlandomi del suo lavoro in fabbrica,
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poi mi ha detto che avrei fatto bene ad interessarmi un po' di più del mio nome. « Tu che hai tempo » ha sussurrato, « faresti bene ad insistere nel distinguerti partendo proprio dall'araldica ».
Io ho tenuto a precisargli che la mia libertà è una favola. Mi è venuto naturale di alzare la voce. « Siccome dopo la laurea sono stato quattro anni senza lavorare » gli ho detto sulla faccia, «tutti mi credono un perdigiorno, un dilettante che si diverte a fare lo spauracchio dei ladri. Invece passo almeno dieci ore del giorno in ufficio ».
« Statti queto, Nicò » ha detto lo zio. « Chi la mette in dubbio, la tua diligenza? ». Ha arrotondato le labbra, e mi ha gua[...]

[...]affetto. Richiudendo la porta mi sono tornati tanti pomeriggi di festa lontani: mi portavano in giro per le case dei parenti, zio Alfonso era quello che m'incuteva la soggezione maggiore, fumava sempre ed aveva tutte le dita marroni per la nicotina.
Ho respinto ricordo e dolcezza e sono andato in cucina per redarguire mia madre. L'ho trovata che preparava un dolce con Giuseppina.
« Così non può andare, mamma » ho detto. « Adesso non ti bastano più le ragazze, adesso mi cacci in casa anche i parenti».
Mia madre non mi ha risposto; ha tratto dalla tasca un fazzoletto e si è messa a piangere. Giuseppina è andata via.
Io sono uscito e sono andato in ufficio, e quella sera ho conosciuto Wanda.
La stava interrogando il maresciallo Porzio, intorno ad una rissa assai violenta che era scoppiata la mattina su un tram. Io ero entrato da lui perché mi pareva di aver dimenticato un'agenda sul suo tavolo, e il grande corpo di Wanda mi aveva subito impressionato. Lei aveva volto di scatto il capo verso di me, e mi aveva guardato con diffidenza.
S[...]

[...]he chiunque al posto del fidanzato avrebbe reagito, anche il maresciallo. Porzio non ha risposto. Lei si è calmata, ha cavato dalla borsa uno specchio, si è guardata e mi ha sorriso. Dopo di avere firmato, ha cavato di nuovo dalla borsa lo specchio, e anche un pettine.
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Porzio ha avuto un momento d'imbarazzo: non sapeva se poteva permetterle di rassettarsi in mia presenza. Mentre si pettinava, Wanda mi ha sorriso più largamente che prima, e mi ha mandato uno sguardo lungo con gli occhi neri bellissimi. Poi si é alzata e ha detto « la prima volta che capita in un commissariato ». In piedi era goffa, e parlava impacciata. Pareva vergognarsi delle forme abbondanti.
L'ho accompagnata alla porta. Salutandola le ho tenuto la mano a lungo, lei me l'ha stretta forte.
Dopo un minuto é tornata, più goffa. « Scusi » ha chiesto a me, « questo fatto lo saprà il principale? ».
« No » ho risposto. « Perché dovrebbe saperlo ? ».
« Sa » ha spiegato, « sono preoccupata... Oggi non è facile trovare lavoro ».
« Dove lavora ? » le ho chiesto.
« Al bar Corallo, in via Po... Faccio la cassiera ».
« Stia tranquilla, signorina » le ha sorriso il maresciallo.
Se n'é andata lanciandomi un altro sguardo lungo. Io sono andato a guardare il verbale e ho letto l'età : ventisei anni. Porzio mi ha detto : « Vedesse che tipo, il fidanzato... ».
La sera sono andato al bar Corallo. Appena mi ha visto Wand[...]

[...]o saliti in macchina e mi sono diretto verso Ponte Milvio. Passato il ponte ho imboccato la Cassia, poi ho preso una strada che mena alla Flaminia e mi sono fermato in un anfratto. Durante il tragitto siamo stati in silenzio.
Appena ho spento il motore Wanda mi ha abbracciato stretto e mi ha baciato. Io mi sono sentito avvampare in faccia, e ho cercato di ordinare le idee; ma Wanda mi ha costretto contro l'angolo dello schienale e mi ha baciato più forte, addossandomisi tutta e comprimendo con la sua faccia la mia nuca contro il finestrino. Allora l'ho respinta fino a ricollocarla al suo posto, l'ho baciata anch'io con forza e l'ho toccata un po' dappertutto.
Poco dopo siamo andati in una trattoria della Cassia. Mangiando di lena i ravioli grassi, o giocando con le posate, Wanda mi ha detto che si sentiva tanto sola: il padre era morto, la madre s'era messa a vivere con un rigattiere, e lei viveva in una stanza ammobiliata. Adesso poi aveva perso anche il fidanzato, per la rissa. Costui, che si chiamava Lucio, sosteneva che lei s'era a[...]

[...]o sola: il padre era morto, la madre s'era messa a vivere con un rigattiere, e lei viveva in una stanza ammobiliata. Adesso poi aveva perso anche il fidanzato, per la rissa. Costui, che si chiamava Lucio, sosteneva che lei s'era accorta di quei toccamenti e aveva lasciato correre. « Ho capito che donna sei » le aveva detto appena erano scesi dal tram, poco prima che lo arrestassero; le aveva dato due schiaffi e le aveva strillato « non ti voglio più vedere ». « Io invece non me n'ero accorta » ha continuato Wanda; «credevo che quello non lo facesse apposta, il tram era pieno e stavamo stretti ». Lei gli voleva bene ma era stanca. Lui faceva una brutta vita e non dava affidamento: una condanna a tre mesi per un'altra rissa, una condanna a sei mesi per atti osceni in un giardino pubblico, un'assoluzione per insufficienza di prove in un processo per truffa. Faceva il commesso in un negozio di pezzi di ricambio per automobili.
L'ho interrotta per chiederle perché non avesse detto la veritá al maresciallo.
« Non riesco a volergli male dopo [...]

[...]via Famagosta. È scesa appena io mi sono fermato e senza salutarmi s'è avviata verso il portone. Dopo qualche passo è tornata indietro, mi ha dato la mano di sfuggita e se n'è andata senza parlare.
Nei giorni successivi sono andato a prenderla tutte le sere. Andavamo in strade solitarie, e restavamo nella macchina. Generalmente parlavamo poco. Mentre eravamo fermi una luce temperata passava per i finestrini, la pelle del viso di Wanda si faceva piú scura, mi prendevano desideri pazzi che ora non so dire, ma anche pensavo che mi sarebbe piaciuto proteggerla.
Una sera che il temporale batteva sul tetto della macchina, e Wanda era più che mai abbandonata per tutto il sedile, obliqua e distorta, il suo corpo da statua mi ha emozionato. Aveva la bocca piú rossa del solito, la lingua smagliante spesso si affacciava tra le labbra per inumidirle, i tratti del viso le si erano induriti. Le ho detto: « Scendiamo, allontaniamoci un po' ».
« Tu sei matto » ha ribattuto lei, fra incredula e canzonatoria. « Con questo tempo! ».
Siamo andati qualche volta a mangiare nelle trattorie fuori mano, una volta siamo andati a Rieti. Non siamo potuti andare nella sua stanza perché a Wanda non era permesso portarci uomini: mi aveva già detto, i primi giorni, che la padrona su quel punto era irremovibile. Io mi sforzavo di trovare soluzioni, ma le possibilità ch[...]

[...] oscena mi é uscita. Mia madre ha pianto, e mi é sembrata pentita. Ma ad un tratto é corsa al telefono, e ha chiesto un'« urgentissima » con Napoli per parlare con zio Alfonso. Io le ho strappato di mano il microfono, e l'ho sbattuto in terra proprio mentre lo zio rispondeva; dal pavimento losentivo che. strillava « pronto ». Poi ho pestato con rabbia il microfono che s'è frantumato, e la voce dello zio ha taciuto. Mia madre s'è messa a piangere più forte. Giuseppina é arrivata con la valeriana e s'è messa a piangere anche lei. Le ho strillato « vattene, serva scema », e lei è corsa di là. Poi mi sono messo a passeggiare per il corridoio. Frattanto s'era fatta notte, nessuno aveva acceso le luci, e il duplice pianto risuonava per tutta la casa. Ho pensato che la cosa migliore era uscire, prendere aria. Ma quando sono arrivato al portone ho capito che non avrei potuto continuare a vivere in quel modo. Sono tornato a casa. Mia madre era distesa su un divano. Le ho detto subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stess[...]

[...]potuto continuare a vivere in quel modo. Sono tornato a casa. Mia madre era distesa su un divano. Le ho detto subito di far preparare da Giuseppina la mia roba, e che la sera stessa me ne sarei andato via. Mia madre non mi ha risposto, io sono uscito. Sapevo che quella sera Wanda cominciava a lavorare alle sei, e alle sei meno dieci ero davanti al bar.
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Poco dopo l'ho vista arrivare, col passo stanco e un vestito più corto. Non aveva l'aria di disappunto che mi aspettavo. Mi ha detto che era rimasta male, ma sorridendo, come se parlasse di un'altra. Le ho fatto le mie scuse. « Tu non c'entri » ha detto lei, « tua madre vuole che tu frequenti le signore... e poi deve avermi giudicata male ». Io le ho detto che mia madre era nevrotica, lei forse non ha capito la parola e mi ha detto « non parliamone più ». Poi é entrata nel bar.
Dall'ufficio ho telefonato ad un albergo secondario del centro ed ho prenotato una stanza. Poi ho mandato un agente a casa a prendere la mia roba. Gli ho ordinato di portarmi le valigie ad un bar prossimo all'ufficio, per evitare che mia madre potesse strappargli il mio indirizzo. Alle nove sono andato in albergo. Quella sera non ho avuto voglia di vedere Wanda, e sono andato al cinema.
Nei giorni successivi ho continuato a vederla, ma non ho potuto portarla in albergo: anche a voler vincere la prevenzione, avevo già mostrato la mia tessera di funzionario quando c'[...]

[...]i. Una volta l'ho trovata che chiacchierava con Porzio, nell'anticamera. Lei era addossata al muro, Porzio le stava assai vicino e le parlava in una maniera ad un tempo ammiccante e languida, da corridoio di treno. Appena mi ha visto si é fatto serio e si é scostato.
Quelle visite mi seccavano, perché non mi pareva conveniente che in un commissariato venissero donne come Wanda a prendere i funzionari. Sicché un giorno l'ho pregata di non venire più; lei mi ha sorriso e mi ha detto « va bene ». Allora ha cominciato ad aspettarmi in un bar vicino, e presto ha fatto amicizia con la cassiera. Quando io arrivavo mi pareva che parlassero di me, con una certa complicità. Una sera ho spiegato a Wanda la necessità di una riservatezza assoluta, in un rapporto come il nostro. « Non parlare mai dei fatti nostri » le ho detto.
Abbiamo continuato a girare con la macchina, a fermarci in posti solitari, ad amarci come potevamo. Intanto, l'albergo mi disturbava sempre di più. Mi pareva di vivere in uno stabilimento industriale, per l'andirivieni contin[...]

[...]ad aspettarmi in un bar vicino, e presto ha fatto amicizia con la cassiera. Quando io arrivavo mi pareva che parlassero di me, con una certa complicità. Una sera ho spiegato a Wanda la necessità di una riservatezza assoluta, in un rapporto come il nostro. « Non parlare mai dei fatti nostri » le ho detto.
Abbiamo continuato a girare con la macchina, a fermarci in posti solitari, ad amarci come potevamo. Intanto, l'albergo mi disturbava sempre di più. Mi pareva di vivere in uno stabilimento industriale, per l'andirivieni continuo, il personale numeroso davanti al quale dovevo passare, il rumore delle macchine che la mattina pulivano i pavimenti. In più, dovevo scegliere fra lo stare nella sala in mezzo agli altri, e il ridurmi nella mia camera, dove non potevo fare nient'altro che non fosse il dormire. Sicché una sera, lungo l'Appia Antica, ho detto a Wanda: « Adesso cerchiamo un appartamento e andiamo a vivere insieme, se ti va ». Wanda
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mi ha guardato incredula, ma vedendo che non scherzavo, si é prodotta in una pantomima gioiosa: ha battuto le mani, ha saltellato coi fianchi sul sedile, mi ha baciato con foga. Poi mi ha voluto aggiustare il nodo della cravatta.
Abbiamo visto insieme diversi appartamenti ammobiliati[...]

[...] e da una stanza per il soggiorno. Wanda ha disdetto subito la stanza di via Famagosta; e quando ha portato la sua roba nell'appartamento ha pianto. Ha spiegato che quella per lei era una gioia nuova. Quando poi le ho detto che avrebbe fatto la donna di casa, e che poteva lasciare il lavoro, il pianto le si è fatto dirotto. Mi ha abbracciato a lungo appoggiandomisi, mi ha bagnato tutta la faccia e mi ha appannato gli occhiali.
Mi sentivo adesso più libero e pieno, più affondato nella vita; mi pareva di esistere come una persona nuova. Quando la mattina mi alzavo Wanda dormiva ancora, Giuseppina era lontana ed io dovevo badarmi da me. Mi alzavo in una maniera svelta, quasi sportiva. Durante la toilette non pensavo; i particolari impiccianti del corso della vita non mi pungevano piú. Anche le parole che dicevo erano diverse, come se avessi buttato via tutto il vecchio repertorio. In ufficio ero allegro, e tutto dell'ambiente mi pareva accettabile: i mobili vecchi e scalfiti, la luce blanda e triste che filtrava attraverso i vetri opachi delle finestre, l'odore delle pratiche e dell'inchiostro per timbri. Analizzavo poco le cose, mettevo meno veleno nel comando, comprendevo di piú.
Ogni giorno, adesso, telefonavo a mia madre. Lei si limitava a chiedermi notizie sulla salute, e a domandarmi se il riscaldamento, dove mi trovavo, era sufficiente; al massimo accennava a qualche novità, che per solito riguardava i parenti: sua cugina s'era aggravata, zio Alfonso era stato fatto commendatore. Per la sicurezza che le traspariva dalla vo
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ce, e per l'astensione da qualsiasi tentativo di carpirmi l'indirizzo, mi pareva che stesse ordendo fiduciosa una qualche insidia per riavermi. Ma non me ne curavo.
La sera, adesso, dall'ufficio uscivo un po[...]

[...]i e Roma era ancora occupata. L'aveva fatta salire nella sua stanza del « Plaza », adducendo che la moglie aveva bisogno di uno shampoing. Ma la moglie non c'era, forse non esisteva, e lui le aveva strappato una gonna proprio bella, comprata il giorno prima.
La maniera tranquilla nella quale Wanda ricordava il suo passato, che mi si offriva esatto e senza veli, mi aiutava a svincolarmi dal passato mio. Ne risultava una grande libertà: sempre di più si dileguava la paura di vivere. Non avevo più il gusto affannato di scandagliare le miserie delle donne, come quando dovevo accontentarmi di conoscerle nell'intuizione, in virtù degl'interrogatorî fatti a quelle che incappavano nel mio mestiere; non era più necessario che io fantasticassi sulla rovina di donne e di uomini, e me ne alimentassi per rabbonirmi. Adesso i racconti sereni che Wanda mi faceva, di stenti e di brutture, mi cancellavano ogni residuo di una giovinezza solitaria, e mi rendevano l'ansia passata accettabile come una cronaca.
Inoltre, se è vero che a sentirmi senza mia madre, così solo con Wanda di fronte alla vita, provavo qualche brivido di disperazione, tuttavia la voce di Wanda, o il suo lavarsi veloce, o il suo farsi scattare addosso le giarrettiere, o il suo girare discinta nello stesso spazio dove an
AVVENTURA DI UN C[...]

[...]o una faccia tragica: cercava di non guardare le cosce di Wanda ma non ci riusciva. Io ho portato il discorso ad una conclusione, e l'ho congedato.
Subito dopo avergli chiuso dietro la porta, ho schiaffeggiato Wanda con violenza. Lei s'è riparata la faccia, e ha negato di aver voluto mostrare alcunché. « Troia » le ho detto. « Sarai sempre una troia ». Lei si è messa a piangere. Ho guardato le lacrime che le percorrevano la faccia, ho alzato di più la voce e l'ho ingiuriata ancora. Poi un pensiero preciso mi ha attraversato il cervello: « Col maresciallo... » ho detto, e le ho tirato un altro schiaffo. Lei ha minacciato di lasciarmi; ma poi s'è messa
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a piangere più forte, e mi ha chiesto perdono. Io ho taciuto. Lei mi è venuta vicino e mi ha voluto in fretta, sul divano.
Dopo l'amore mi ha supplicato di portarla fuori. « Andiamo al luna park, fammi questo favore... Ci sono tutti quei biglietti » ha piagnucolato. (Aveva visto il giorno prima dei buoni che mi avevano mandato in omaggio, per giostre ed autopiste).
Al luna park, ha voluto innanzi tutto sparare al tiro a segno. Poi sia mo andati sulle montagne russe. Quando il vagoncino pareva che preci pitasse, rideva in una maniera brutale. Ha anche strillato, e le é uscita un po' di bava.
Qualche giorn[...]

[...]desso la lascio, scusi... ». Chi parlava con lui deve aver insistito per trattenerlo, perché Porzio ha detto .« abbia pazienza, signora, la devo proprio salutare ». Detto « signora » mi ha guardato con timore evidente, forse simultaneo al pentimento di aver pronunziato la parola superflua; poi rapido ha collocato il microfono al suo posto. Io dovevo parlargli dei lavori murari da farsi, ma il sospetto mi ha assalito, e gli ho detto « vieni da me più tardi ».
Sono tornato nella mia stanza. L'atteggiamento di Porzio mi faceva certo che chi parlava al telefono con lui era mia madre, o era Wanda. Ho fatto spazio sul tavolo perché le carte non mi distraessero.
Una tresca di Porzio con Wanda era nell'ordine del possibile, ma mi sembrava poco probabile: Porzio, se scoperto, si sarebbe rovinato; Wanda avrebbe perso cose preziose, difficili per lei a raggiungersi al di fuori di me. Era più probabile che ci fosse mia madre, all'altro capo del filo. Forse si era messa in contatto con Porzio, e da lui si aspettava notizie sul mio conto, suggerimenti sul da farsi. (Porzio conosceva bene il mondo, e tutti se ne avvedevano; tanto che talvolta mi pareva che il ruolo reciproco che svolgevamo nel nostro rapporto fosse casuale e non logico: in ispecie quando dalle sue parole traspariva una sorta di scienza sofferta ed incisiva, o quando con garbo mi moderava nell'intransigenza, e mi pareva assai più adulto di me, nonostante i soli cinque anni che fra noi passavano). Si, era più probabile[...]

[...]o. Forse si era messa in contatto con Porzio, e da lui si aspettava notizie sul mio conto, suggerimenti sul da farsi. (Porzio conosceva bene il mondo, e tutti se ne avvedevano; tanto che talvolta mi pareva che il ruolo reciproco che svolgevamo nel nostro rapporto fosse casuale e non logico: in ispecie quando dalle sue parole traspariva una sorta di scienza sofferta ed incisiva, o quando con garbo mi moderava nell'intransigenza, e mi pareva assai più adulto di me, nonostante i soli cinque anni che fra noi passavano). Si, era più probabile che la donna fosse mia madre; per quanto, se c'erano contatti fra lei e Porzio, era strano che lui il giorno prima si fosse tanto meravigliato di vedere Wanda vivere con me: giacché mia madre sapeva ormai di questa convivenza. Certo, Wan
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AVVENTURA DI UN COMMISSARIO

da aveva mostrato le cosce a Porzio con intenzione, quel giorno, e una telefonata non sarebbe stata poi tanto strana; ma era da stabilire, in questo caso, quale convenienza Wanda potesse trovare nella tresca: Porzio, sposato e con tre figli, non poteva offrirle niente; quindi bisognava ammettere che Wanda r[...]

[...]na marionetta; mi pareva che il baratro mi richiamasse. Non ho distinto due che incontrandomi si sono disgiunti per cedermi il passo, e mi hanno detto « ossequi, dottore ». Dalle stanze con la pörta aperta, insieme al rumore di macchine che battevano verbali, mi veniva un si
r
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lenzio insostenibile. Se quella era la vita, quando sarei riuscito a starci dentro? Quando sarei stato anch'io come Porzio? A cinquant'anni? O, non piuttosto, mai?
Porzio mi ha informato con garbo e competenza, assai concreto nella definizione dei lavori, del tutto scevro dal timore di poco prima. Ed io sono riuscito a parlargli serenamente, reprimendo bene il fondo tempestoso; gli ho offerto una sigaretta, e forse ho ecceduto nella cordialità : come il maestro che a scuola interroga il ragazzo che giudica malvagio, e si sforza di essere imparziale, e magari gli alza il voto perché non si sospetti prevenzione.
In uno dei giorni successivi ho ricevuto in ufficio una lettera di mia madre. Riconoscendo sulla busta la sua calligrafia, ho pensa[...]

[...]a) era scritto: «Quanti anni credi che possa vivere ancora tua madre? Lo sai come vivi? Pensa a tuo padre che é morto, e torna ». Non c'era firma.
Mi sono messo a pensare. Certo, regalando un po' di soldi a Wanda e tornando da mia madre, potevo liberarmi dall'impiccio che mi aveva fatto passare un'intera serata ad analizzare le mosse possibili di Porzio. Del resto, avevo ormai capito che quella specie di gioia continuata era stata da me decisa, piú che raggiunta. Era infatti bastata quella telefonata per farmi ricadere nel pozzo. Ma il ritorno avrebbe dovuto essere di specie morale: voglio dire che in questo caso avrei dovuto lasciar decidere a mia madre tutta la mia vita. Avrei dovuto scegliere una moglie fra le scimmie sue amiche, imbarcarmi in un viaggio di nozze. disporre un apparato domestico acconcio alla nuova condizione, sostenere lugubri visite domenicali, rispettare obblighi e doveri. Tanto valeva, allora, continuare a far perno sulla vita con Wanda, restare al cimento del concubinaggio, per tentare ancora una qualche riscossa[...]

[...] gli occhi languidi e non reagiva. II tonfo della sua testa che batteva contro la parete ha fatto disperato il pianto di Wanda. « È Lucio » è riuscita a dire. Poi s'è tirata i capelli. Ho lasciato la presa dell'uomo, ho tolto da una sedia la sua giacca e gliel'ho cacciata nelle mani. « Esci subito » ho balbettato. L'ho sospinto verso la porta e gli ho sferrato un calcio. Lui s'è voltato e m'ha guardato sott'occhi, per vedere se stessi per fargli più male. Aveva un profilo viscido, bruno. Sul pianerottolo gli ho dato un altro calcio, e una
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spinta. È stato per cadere a faccia avanti sugli scalini, ma ha ripreso equilibrio ed è scappato.
Sono tornato in casa avendo già deciso, nell'attimo in cui Lucio si riprendeva per fuggire, di spezzare a Wanda tutt'e due le braccia. Nel soggiorno una nebbia fitta mi ha offuscato la vista: vedevo Wanda come una lunga macchia scura. L'ho raggiunta. Si era rimessa il vestito e non piangeva piú. L'ho afferrata ai polsi. Lei s'è divincolata, s'è voltata e rapida ha aperto la finestra.[...]

[...] gli ho dato un altro calcio, e una
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spinta. È stato per cadere a faccia avanti sugli scalini, ma ha ripreso equilibrio ed è scappato.
Sono tornato in casa avendo già deciso, nell'attimo in cui Lucio si riprendeva per fuggire, di spezzare a Wanda tutt'e due le braccia. Nel soggiorno una nebbia fitta mi ha offuscato la vista: vedevo Wanda come una lunga macchia scura. L'ho raggiunta. Si era rimessa il vestito e non piangeva piú. L'ho afferrata ai polsi. Lei s'è divincolata, s'è voltata e rapida ha aperto la finestra. Con uno strattone l'ho allontanata, e sono riuscito a chiudere la finestra prima che lei strillasse. Poi mi sono lasciato andare su una sedia. Wanda è corsa nel bagno, e vi si è chiusa. Con la voce roca per la gola secca le ho strillato: « Ti dò un quarto d'ora di tempo per farti la valigia e andartene ». Poi sono uscito.
Con un tassi ho raggiunto l'ufficio. Ne ho guardato le finestre, ma nessuno vi era affacciato. Ho preso la mia macchina e sono andato poco lontano, in una strada solitaria. Mi sono fe[...]

[...]che non avrebbe potuto non tradirmi, e proprio in casa mia. E l'esecutore era stato certamente Porzio. Porzio conosceva Lucio, ed era bravo. Così, tutti mi avevano giocato poche settimane dopo la mia ribellione. La ribellione non mi era congeniale. Non aveva senso dire « mi sono mosso tardi ». Per le mie mosse doveva essere così: o troppo tardi o troppo presto, sempre. Ho sputato nella strada. Poi sono sceso dalla macchina, e ho raggiunto il bar più vicino. Ho bevuto un aperitivo, e subito dopo un cognac. Ho telefonato a casa mia, ma non mi ha risposto nessuno. Wanda aveva sloggiato, oppure preferiva non rispondere. Sono tornato alla macchina, e ho fatto un paio di giri in quei pressi. Se quelli della questura centrale fossero venuti a conoscenza del fatto, lo avrebbero deformato, ingigantito.
Sono andato in un restaurant di via Frattina. Alla frutta il cameriere, che mi conosceva, mi ha chiesto se potevo interessarmi presso la prefettura per il ricovero di un bambino suo nipote. Gli ho detto di si, e lui mi ha dato un foglio con gli es[...]

[...] signore distinto, magro; un fratello di suo padre, mi pare... Il piano l'ha fatto lui ».
« Quindi mia madre ti telefonava spesso, qui ».
« Sissignore ».
« E la signorina, non ti ha telefonato mai? ».
«No... Ma scusi, perché mi avrebbe dovuto telefonare? ».
È un mese che vivo solo. Non ne ho motivi fondati, giacché sono certo che se tornassi a casa mia madre verrebbe ormai a patti: la persuaderei a non ostinarsi a volermi vedere sposato. In più, questa condizione di scapolo solitario mi pare ingiustificata, per qualche verso eccessiva.
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Qualche volta mi prende un'ansia carezzevole di tornare da mia madre (che non mi ha più cercato), di ricomparire di sorpresa davanti a Giuseppina. Ma poi succede che debbo correre in ufficio, o che ho sonno, o che debbo lamentarmi con la serva perché le camicie sono stirate male.
Adesso, mi trattengo in ufficio più del solito e cerco di allargare i miei interessi, perché se ne giovi la carriera. Pare che nessuno sia venuto a conoscenza dei miei casi, e questo è assai importante. Con Porzio, corrono i rapporti di sempre; sebbene, una tal quale maggiore rigidità, da parte mia, stia agevolando lo svolgimento del lavoro.
La sera, vado spesso al cinema. Se non esco, mi faccio cocktails di frutta col frullatore, e leggo romanzi gialli. Ho anche comprato un fonografo, e alcuni dischi di canzoni. Ogni tanto li ascolto, mi prende uno struggimento breve e penso a Wanda, che fa all'amore chissà con chi.
RAFFAELE[...]



da Renzo Rosso, Gli apologhi della medusa in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]in alto. Uno strido che gli giunse da dietro l'iceberg gli fece mutar rotta: su un branco di foche la femmina stava compiendo evoluzioni bizzarre, cioè impennate improvvise e corse radenti, finquando, emerse che quelle furono due volte con le loro teste ingrugnite, non scomparvero; la femmina allora si ricongiunse al maschio che aveva proseguito attento la posta. Ora sul mare il riverbero del sole toccava la piastra inferiore delle ali, e tra le piume la pelle sentiva esili punte di calore.
Ad un tratto un boato lacerante frantumò il loro volo. Risalirono concordemente un ampio tratto di cielo, fin dove non sentirono le palpebre trafitte dal freddo. Da lassù scorsero la nave, grigia, che vomitava fumo e fiamme dal ventre squarciato. La visione si ripercosse nelle ali che essi sbatterono disordinatamente, e, poco dopo, intraviste sotto il pelo dell'acqua le gigantesche ombre di due squali lanciati in quella
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direzione, si gettarono anch'essi nell'aria rapida alla volta della nave.
Volteggiarono a lungo, in attesa degli e[...]

[...]l'imbrunire sembrava una collina viola, di vera terra.
« A CUERTA, A. D. 158... »
A Cuerta, quell'inizio di sera estiva, l'aria aveva limpide trasparenze, dopo la pioggia rinfrescante del pomeriggio. Sopra il nastro vermiglio dell'orizzonte le nuvole disegnavano figure polpose, grassi cavalli brucanti, gravidi ventri, e allo sguardo di fra' Luis de Sotomayor che lo mirava in preda a una negligente stupefazione, perfino una gonfia medusa, tanto più marina quanto più margine d'azzurro le si faceva d'intorno. Sul selciato brillante, la dove le pietre lavate della piazza si affossavano in scoli, scorreva ancora dell'acqua, cui il sole uscito da poco dava aspetto di polle sorgive più che di retroguardia piovana.
Fra' Luis riportò gli occhi sulla piazza, al palco che nell'ombra bigia del crepuscolo avanzante appariva di dimensioni enormi: il vertice del palo, dal punto in cui egli si trovava, toccava il centro del rosone della facciata della cattedrale. Dal brulicante rumore dietro le sue spalle, che gli diceva che dietro le transenne c'era tutta Cuerta in attesa, la sua mente fu spinta con disappunto prima al vicario che lo aveva fatto accompagnare cola con notevole anticipo sull'ora della cerimonia, poi al lungo viaggio di trasferimento che lo attendeva l'indomani attra[...]

[...]nto in cui egli si trovava, toccava il centro del rosone della facciata della cattedrale. Dal brulicante rumore dietro le sue spalle, che gli diceva che dietro le transenne c'era tutta Cuerta in attesa, la sua mente fu spinta con disappunto prima al vicario che lo aveva fatto accompagnare cola con notevole anticipo sull'ora della cerimonia, poi al lungo viaggio di trasferimento che lo attendeva l'indomani attraverso la Sierra. Quando un mormorio più intenso di quello generale, sorto alla sua destra, gli fece capire che la squadra era uscita dalle prigioni e stava per arrivare, fra' Luis si segnò tre volte. (L'esame era durato due anni, ed egli aveva dovuto farsi non meno di una ventina di viaggi, a
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Cuerta; ma a nulla erano approdati i suoi consigli e i suoi amorosi suggerimenti).
Dopo che le guardie ebbero sistemato ogni cosa secondo le consuetudini del cerimoniale, il frate con un cenno fece attaccare il coro del capitolo che intonò: « Gloria per il mondo intero al Signore degli umili », e, afferrato con [...]

[...] che rendeva intensamente azzurra l'aria circostante e tutta la scena, fra' Luis cadde in ginocchio e chiuse gli occhi, nell'atteggiamento cioè in cui meglio gli pareva di attenuare il dolore e di aumentarne il decoro edificante. Lo sfrigolio scoppiettante degli arbusti secchi che la fiamma aveva cominciato a divorare gli diede il primo barlume delle fantasticherie soprannaturali che l'ardente momento sollecitava al suo spirito. Rotonde e sempre più nere fumate avvolgevano e nascondevano ormai il palo e il suo ospite, e dal loro centro si levò un lamento nasale acuto, che solo colpi di tosse interrompevano, e fu allora che, fra' Luis entrò nella visione e vi si insediò stabilmente.
Il giardino era verde e oro, ,e le parole che lo incorniciavano e lo intersecavano in tutte le direzioni, sfiorando l'immagine beatifica del Cristo che stava coagulandosi a uno dei lati, erano aeree e solenni, quali: « Il signore è il mio dio », « Egli redimerà i nostri peccati », e così via. Vi erano uccelli variopinti nel giardino, e da una roccia levigata [...]

[...]mi disperda nei sensi e abbia la forza di essere giusto. Fa' Signore che il tuo amore perdoni questo peccatore ».
Fra' Luis adesso si sentiva davvero come morto e le grida bestiali e i sibili che sfuggivano al legno degli arbusti gli giungevano soffocati
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come se oltre il fumo che si sprigionava dalla catasta, tra lui e quel palco infuocato, tra lui e la piazza golosa, ci fosse una immensa distanza.
In Luis la visione si spense più lentamente del fuoco, e quando, compiuto il sacrificio ed espletate le ultime formalità, egli si incamminò verso il convento che lo ospitava, nella cavità sonora del suo cervello si susseguivano in un evanescente disordine frasi come « Cenere e terra », « Io mi rivolgo alla misericordia », e confondendo leggermente sé stesso col dio, e il dio colla propria situazione, egli disse tra i denti: «Io sono la vita », dopodiché, restituito che si senti agli altri e alle cose, pensò che per il viaggio del giorno dopo gli sarebbero occorsi almeno due cavalli.
Stava per uscire dalla piazza allorché, alzati gli occhi, scorse sul davanzale d[...]

[...]Una contrazione dello stomaco assestò meglio il cibo e una bolla d'aria, sfuggita attraverso l'esofago, gli fece fare un. piacevole rutto.
« LE FORMICHE »
C'era qualcosa di nuovo nel formicaio. Non che questo apparisse manifestamente, ché la vita continuava come sempre; ma l'incessante. ripetizione, vale a dire il fermo contenuto del tempo che si rinnovava. identico ad ogni viaggio fino ai dintorni dello stagno, ritorno compreso,, non esauriva più tutta l'energia delle formiche, e i residui non adoperati. si spargevano nel loro organismo senza però che nulla o quasi trapelasse al di fuori. L'unico segno che si sarebbe potuto cogliere (se le proporzioni dell'osservatore fossero state analoghe al campo d'osservazione) era un riflesso della parte estrema dell'addome, che lo faceva Marcare e lo raddrizzava di colpo, simile esteriormente a quello della
GLI APOLOGHI DELLA MEDUSA 47
defecazione, e che provocava un senso di prurito in alcune, e in altre di una puntuta pressione. In tutte poi questo riflesso lasciava una vaga sensazione come [...]

[...]so della parte estrema dell'addome, che lo faceva Marcare e lo raddrizzava di colpo, simile esteriormente a quello della
GLI APOLOGHI DELLA MEDUSA 47
defecazione, e che provocava un senso di prurito in alcune, e in altre di una puntuta pressione. In tutte poi questo riflesso lasciava una vaga sensazione come di una preparazione indistinta, o meglio, come di un presentimento di una preparazione alla possibilità di svolgimenti diversi, che nelle più sensibili si confondeva col cambiamento dell'atmosfera o col modificarsi delle condizioni del terreno.
Certo é che alcune stagioni prima, ai limiti della zona dello stagno, erano comparse delle formiche rosa, dotate di un corpo più lungo e di una testa fornita di mandibole molto più vigorose. Ma a considerare con attenzione i fatti accaduti nel passato più prossimo — anche se non si può affermare che quella apparizione fosse passata senza lasciar tracce —, l'atto irriflesso dell'addome era forse da collegarsi con un avvenimento verificatosi alcune generazioni prima di quella attuale: un gruppo di provveditrici, probabilmente sotto lo schok di un eccidio perpetrato ai loro danni da un grande uccello, o forse per lo stato dell'ambiente, con una temperatura calata di colpo al di sotto del normale limite inferiore della stagione e un vento che intontiva e accecava tanto era violento, o forse anche perché in concomitanza con questi disagi e a causa [...]

[...]rono a terra e dopo una meticolosa esplorazione stabilirono di fermarsi vicino allo stagno, al riparo delle radici di una vecchia quercia.
Lo spavento provato e la catastrofe le aveva scosse gravemente, nondimeno quando si rimisero al lavoro, venne loro spontaneo di impostare tutte le celle dello stesso volume allargato di quelle che erano state costruite dopo il crollo, e di considerare naturale che due tra di esse avessero l'addome e la testa più grandi delle altre.
« L'ETIOPE »
Nel periodo delle piogge il giovane A. si immalinconiva a tal punto che si faceva del tutto muto. Si sedeva allora dove capitava, anche all'aperto e, incurante della pioggia, restava immobile lunghe ore a guardare l'acqua che scorreva attorno alle natiche e ai calcagni e andava a ingrossare i rigagnoli che, formatisi al centro del sentiero, fluivano via rapidi verso il Nilo in piena. In quei periodi trascurava ogni rapporto con gli altri, perché da quando era stato preso al cantiere non gli piaceva più nulla al di fuori del suo lavoro, e perfino il cibo avev[...]

[...]a a tal punto che si faceva del tutto muto. Si sedeva allora dove capitava, anche all'aperto e, incurante della pioggia, restava immobile lunghe ore a guardare l'acqua che scorreva attorno alle natiche e ai calcagni e andava a ingrossare i rigagnoli che, formatisi al centro del sentiero, fluivano via rapidi verso il Nilo in piena. In quei periodi trascurava ogni rapporto con gli altri, perché da quando era stato preso al cantiere non gli piaceva più nulla al di fuori del suo lavoro, e perfino il cibo aveva sapore per lui solo se mangiato nell'intervallo del lavoro e la sera, nella capanna, al ritorno dal cantiere. Alzare il piccone, sentirne il peso trasformarsi in un movimento leggero sotto la spinta dei muscoli, o inarcare íl corpo nello sforzo della fune al ritmico ringhio del caposquadra, quando veniva messo al traino delle impalcature mobili; tutto e solo
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questo gli piaceva, anche perché il sonno alla fine della giornata gli girava per le membra con un dolce sussurro come di premio, prima di ghermirlo.[...]

[...] della giornata gli girava per le membra con un dolce sussurro come di premio, prima di ghermirlo.
A. era nato là, al cantiere, venti anni prima, e dal cantiere non si era mai mosso. Al massimo, da bambino, si era spinto fin sulle sponde del fiume a osservare i bassi e silenziosi velieri, e a giocare con coetanei sulla sabbia della riva. Ma da quando sua madre lo aveva incaricato di portare il paniere al padre e ai fratelli maggiori, non si era più staccato dalla porta del recinto, calamitato come si sentiva dal meraviglioso lavoro degli adulti, finché un giorno il caposquadra lo chiamó e lo fece entrare.
Il padre di suo padre era stato un prigioniero di guerra, e la sua famiglia e lui stesso erano ancora considerati tali. La cosa per A. non aveva alcuna importanza, anche per il fatto che l'unico elemento che li faceva distinguere in pratica dagli altri operai, era che quando essi morivano venivano inumati in una fossa comune. Quegli altri avevano bensì la possibilità di cambiar cantiere e di trasferirsi in un'altra provincia, ma senza[...]

[...]eri non lo avrebbero permesso finquando almeno la fabbrica non fosse stata completata, A. non aveva motivi di desiderare di trovarsi in un altro posto di lavoro.
La vecchiaia e la malattia erano gli unici punti oscuri perché l'amministrazione non tollerava né vecchi né malati, e alle prime denunce di debolezza, i prigionieri venivano esclusi dal cantiere e quindi dalla riscossione delle vettovaglie. Suo padre, ad esempio, da tre anni non usciva più dalla capanna, languendo sul suo letto e per le ferite riportate nelle bastonature e per l'umiliazione di farsi nutrire dai figli. Ma il giovane A. era sano e robusto e gli era impossibile vedere se stesso nei panni del padre, nemmeno quando i lamenti di costui lo impietosivano; e, del resto, anch'egli si sarebbe procurato coll'aiuto di una delle tante giovani donne del campo una nidiata di figli, che, da vecchio, lo avrebbero nutrito e consolato.
Al suo futuro personale tuttavia il giovane non dedicava che scarse e imprecise immaginazioni: egli dormiva, lavorava di lena, mangiava con appeti[...]

[...]una naturale avversione per i discorsi che non riguardassero il lavoro vero e proprio o la vita della sua famiglia.
La seconda piramide stava per essere completata, e tra poco avrebbero cominciato le sfingi: questo era il vero mondo per lui, e questo solo gli prendeva i pensieri. E poi quell'etiope, le guardie del re lo avevano scuoiato vivo.
K IL CAMPO »
Nella sua tessitura prevaleva di gran lunga lo scheletro; il resto era costituito per lo più da sabbia di grana grossa, e poco e rado era il limo. Per l'inclinazione dello zoccolo calcareo su cui esso poggiava, quasi nessun punto della sua massa godeva di completa immobilità : quale in fretta, quale con lentezza, tutte infatti le sue membra slittavano, e poiché così era prescritto dalla disposizione della valle, il movimento avveniva in direzione del fiume. Soprattutto per ciò, il carattere peculiare del campo era l'incoerenza.
Molto tempo prima un affluente del fiume lo aveva avuto a suo letto; poi, un giorno, all'inizio di una torrenziale primavera, una massiccia precipitazione di[...]

[...]membra slittavano, e poiché così era prescritto dalla disposizione della valle, il movimento avveniva in direzione del fiume. Soprattutto per ciò, il carattere peculiare del campo era l'incoerenza.
Molto tempo prima un affluente del fiume lo aveva avuto a suo letto; poi, un giorno, all'inizio di una torrenziale primavera, una massiccia precipitazione di detriti, contro i quali nulla aveva potuto la sua baldanza, aveva deviato la sua corrente su più comodi scorrimenti. II campo era nato allora; le materne rocce della montagna che lo sovrastava lo nutrirono con le loro arenarie che, pioggia dopo pioggia, si depositarono sfaldate sul fondo, aggiungendosi al fango ghiaioso abbandonato dalle acque.
Difficile fu il suo sviluppo, ostacolato com'era dai tormentosi venti d'autunno e d'inverno, che strappavano al campo quanto erano andati cedendogli la costante scrematura del monte e il pulviscolo delle folate estive. Non tutto ovviamente, se dopo molte stagioni qualcosa si era fissato, e il campo raggiunse quella che sarebbe rimasta la sua fisi[...]

[...]tta la sua zona orientale era coperta da una fitta vegetazione di ortiche, di loglio e di papaveri. Purtroppo l'epoca di grazia dura un solo anno; nell'inverno le piogge si abbatterono con violenza sul campo, imbevendo tutti i pori del suo terriccio e soffocando ogni forma di vita. Quei pochi ceppi di batteri che grazie alla loro natura riuscirono a sopravvivere, portarono definitivamente a termine la scomposizione dei tessuti cadaverici, ma non più a vantaggio del campo. Tanto è vero che se un osservatore non disattento si fosse trovato all'alba di uno dei giorni di quel gennaio in prossimità degli ontani, avrebbe visto aleggiare per vasto raggio attorno ai due alberi, bassa e stagnante nel suo denso respiro, una insoluta nube di ammoniaca.
«LA DIGA
Pietre severe delle ormai arrendevoli mura dell'elettore Guglielmo, che tramontane e paure dell'improvviso svedese avevanó eretto a difesa degli industriosi e ruminanti antenati della sua gente e di lui, Adalberto Vulpius, il filosofo che si stimava amico di Federico di Prussia! Pietre cor[...]

[...]fosse trovato all'alba di uno dei giorni di quel gennaio in prossimità degli ontani, avrebbe visto aleggiare per vasto raggio attorno ai due alberi, bassa e stagnante nel suo denso respiro, una insoluta nube di ammoniaca.
«LA DIGA
Pietre severe delle ormai arrendevoli mura dell'elettore Guglielmo, che tramontane e paure dell'improvviso svedese avevanó eretto a difesa degli industriosi e ruminanti antenati della sua gente e di lui, Adalberto Vulpius, il filosofo che si stimava amico di Federico di Prussia! Pietre corrose dal salso, specie nel lato di nordest, davanti allo squero grande e al mercato del pesce, dove si apriva il varco della porta di S. Brigida sotto il cui arco tetro e umido egli transitava di frequente, sia per recarsi alle trisettimanali lezioni di logica del regio ginnasio nella zona nuova oltre il porto, sia per compiere le passeggiate vespertine « della tranquillità », come egli le chiamava, sul molo del sale, o quelle più rare « della riflessione » sulla diga settentrionale.
Più rare perché piú intense qui, le sue [...]

[...]Prussia! Pietre corrose dal salso, specie nel lato di nordest, davanti allo squero grande e al mercato del pesce, dove si apriva il varco della porta di S. Brigida sotto il cui arco tetro e umido egli transitava di frequente, sia per recarsi alle trisettimanali lezioni di logica del regio ginnasio nella zona nuova oltre il porto, sia per compiere le passeggiate vespertine « della tranquillità », come egli le chiamava, sul molo del sale, o quelle più rare « della riflessione » sulla diga settentrionale.
Più rare perché piú intense qui, le sue gite, e più intense perché per giungervi c'era bisogno di una buona camminata e per restarvi di una disposizione d'animo piuttosto forte, dato che il posto era deserto e a causa della sua conformazione ad angolo acuto, che faceva della diga un gomito spinto dentro il mare, di aspetto tra audace e sinistro. Inoltre, il coraggio stesso di cui gli pareva di dar prova ponendosi solo, in fondo, contro il mare, colà sempre inquieto, e i venti del Baltico, lo metteva in uno stato di abbrivo mentale che se era stato sovente fertile di chiarificazioni razionali, d'altra parte enormemente lo sfibrava. Per andarci in
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somma, Vulpius aveva bisogno di caricarsi per giorni e giorni della noia della [...]

[...]angolo acuto, che faceva della diga un gomito spinto dentro il mare, di aspetto tra audace e sinistro. Inoltre, il coraggio stesso di cui gli pareva di dar prova ponendosi solo, in fondo, contro il mare, colà sempre inquieto, e i venti del Baltico, lo metteva in uno stato di abbrivo mentale che se era stato sovente fertile di chiarificazioni razionali, d'altra parte enormemente lo sfibrava. Per andarci in
GLI APOLOGHI DELLA MEDUSA 53
somma, Vulpius aveva bisogno di caricarsi per giorni e giorni della noia della scuola e della famiglia; allora si che la diga lo attirava irresistibilmente, e quel frastuono marino col suo misterioso slancio di pietre testarde e di furibonda acqua gli appariva come il regno del silenzio, della libertà e della grazia.
Tardo pomeriggio del 10 gennaio 1754, duro e aggressivo ma tanto isolante, freddo ma pieno di caldi fermenti interiori, di intraviste perfezioni! Vulpius provava una tale sensazione di pienezza che la gioia della promettente solitudine trasformava gli ululati del vento e il cupo brontolio del[...]

[...]a bisogno di caricarsi per giorni e giorni della noia della scuola e della famiglia; allora si che la diga lo attirava irresistibilmente, e quel frastuono marino col suo misterioso slancio di pietre testarde e di furibonda acqua gli appariva come il regno del silenzio, della libertà e della grazia.
Tardo pomeriggio del 10 gennaio 1754, duro e aggressivo ma tanto isolante, freddo ma pieno di caldi fermenti interiori, di intraviste perfezioni! Vulpius provava una tale sensazione di pienezza che la gioia della promettente solitudine trasformava gli ululati del vento e il cupo brontolio della risacca in fenomeni cordiali, dolci al suo orecchio come per anime comuni il frinire delle cicale durante i sereni giorni d'estate nelle brughiere dietro la città. Un insignificante episodio occorsogli quella mattina, aveva dato l'avvio a una catena di ragionamenti che lo avevano colpito in maniera straordinaria : nel raccogliere una matita cadutagli dallo scrittoio, si era fissato per un istante sulle leggi dei gravi, e riflettendo sull'astrattezza de[...]

[...]llo scrittoio, si era fissato per un istante sulle leggi dei gravi, e riflettendo sull'astrattezza della norma e sulla sua invasione nel campo di ogni possibile verificazione concreta, gli sembrò di intravedere come conseguenza di ciel una sottrazione al fatto dell'aspetto storico del suo reale accadimento, e quindi la preclusione della possibilità di riconoscere in quel fatto il suo probabile valore finalistico. La « meccanica teleologica »: Vulpius aveva avuto l'impressione che una raggera di deduzioni fondamentali si celasse in quest'ultima parte dei suoi pensieri, ma poiché dalla stanza accanto gli si era sovrapposto il fracasso dei bambini e poi subito dopo l'entrata della moglie nello studio e quindi l'arrivo di uno scolaro, egli aveva serrata quella interrotta visione dentro di sé nel timore che gli sfuggisse con tutto l'etereo carico, e, per ripararla dalle contaminazioni esterne, se l'era covata fino al momento in cui era giunto a metà della diga.
Aperte le valve della mente, mentre la pupilla dilatata passava alla retina l'imm[...]

[...]dopo l'entrata della moglie nello studio e quindi l'arrivo di uno scolaro, egli aveva serrata quella interrotta visione dentro di sé nel timore che gli sfuggisse con tutto l'etereo carico, e, per ripararla dalle contaminazioni esterne, se l'era covata fino al momento in cui era giunto a metà della diga.
Aperte le valve della mente, mentre la pupilla dilatata passava alla retina l'immagine di un sole grosso e scialbo circondato da veli grigi, Vulpius cominciò a farsi strada tra i relitti concettuali che gli ingombravano la mente, fissando in un disciplinato elenco i termini e le proprietà dell'assoluto, vale a dire le verità geometriche e logiche riconducibili per necessità incondizionata alle cause prime, e il cui contenute complessivo doveva corrispondere a una legge universale identica a sé stessa e perciò a una verità eterna, esistente necessariamente perché necessariamente pensabile alla luce dell'impossibilità del suo contrario. Non fu un lavoro da poco; quando gli sembrò di aver dato una sistemazione sufficiente alla premessa che [...]

[...] partecipare al banchetto. La sua colpa sarebbe di essere costituito da fatti che all'analisi rivelano la loro sussistenza solo in altri fatti, ciò che darebbe alle leggi del loro comportamento l'aspetto di stesure astrattive di rapporti meccanici e il valore di verità empiriche. Ma mio caro Leibnitz, senza contare la considerazione che la possibilità dell'esser pensato può benissimo venire postdatata rispetto alle realtà esistenti », — e qui Vulpius, per quanto divertito, passò oltre rapidamente perché una simile proposizione avrebbe fatto sorridere i suoi corretti colleghi wolfiani —, « per un fatto pensato con tutti i suoi accidenti non esiste possibilità che non venga contemplata dalle sue leggi regolatrici ». A questo punto Vulpius si imbatté nella tesi contrastante della limitatezza della capacità induttiva della mente umana, determinata a sua volta dalla impossibilità di esaurire gnoseologicamente tutte le componenti finite del fatto concreto. Il sole che aveva cominciato a fondere íl suo pallido oro con dei vapori violacei, ne era stato alla fine soffocato; la sua luce si era distribuita dappertutto, nel chiarore biancastro della ormai compatta pianura di nubi, che aveva coperto interamente il cielo e che un vento sostenuto spostava lentamente.
« Giusto », riprese Vulpius, « ma guardiamo al valore logico di queste [...]

[...]erminata a sua volta dalla impossibilità di esaurire gnoseologicamente tutte le componenti finite del fatto concreto. Il sole che aveva cominciato a fondere íl suo pallido oro con dei vapori violacei, ne era stato alla fine soffocato; la sua luce si era distribuita dappertutto, nel chiarore biancastro della ormai compatta pianura di nubi, che aveva coperto interamente il cielo e che un vento sostenuto spostava lentamente.
« Giusto », riprese Vulpius, « ma guardiamo al valore logico di queste leggi: prima di tutto esse tengono ben fermo nel loro esercizio il carattere limitato della loro estensione; in secondo luogo nulla vieta di pensare che tra due leggi di diritto limitato non se ne possa formare una sola, più ampia e che le abbracci ambedue, (come avviene normalmente del resto), e così di seguito, sino a raggiungere la legge unica, eterna e immutabile della meccanica dei fenomeni. Non vedo signori quale possibilità avrebbe una simile legge di venir pensata diversamente, se non ci fosse, come in realtà non ci sarebbe, un solo fatto capace di smentirla. La sua necessità sarebbe assicurata quindi dalla impossibilità fisica del suo contrario ».
Vulpius si sentiva come un prestigiatore in procinto di compiere il suo gioco finale e più sorprendente; respirò a pieni polmoni l'aria umida e salsa e così facendo si lasciò fuorviare per alcuni attimi dal disegno orgoglioso della diga alla cui estremità la linea superiore continuava senza soluzione nel segno già un po' sfumato dell'orizzonte. Qualche raffica violenta si era insinuata tra le saltuarie folate e aveva già attaccato la diga, e il loro sibilo preannunciava una grave tormenta. Vulpius riprese ancora più convinto: « Ebbene di questa legge generale e suprema non so che farmene. Servendomi però dell'obiezione che le
GLI APOLOGHI DELLA MEDUSA 55
verrebbe mossa di non possedere l'attributo dell'impossibilità logica del suo contrario, io mi accontento di dimostrarvi l'assoluto nominalismo della logica metafisica ». Malgrado egli avesse la sensazione che dell'abbacinante soluzione intrasognata quella mattina attorno al significato storico dei fenomeni, fosse riuscito a salvare appena una esigua scheggia, e per quanto in quel momento gli sfilassero davanti alla mente i numerosi studi da lui compiu[...]

[...]rebbe mossa di non possedere l'attributo dell'impossibilità logica del suo contrario, io mi accontento di dimostrarvi l'assoluto nominalismo della logica metafisica ». Malgrado egli avesse la sensazione che dell'abbacinante soluzione intrasognata quella mattina attorno al significato storico dei fenomeni, fosse riuscito a salvare appena una esigua scheggia, e per quanto in quel momento gli sfilassero davanti alla mente i numerosi studi da lui compiuti e che mai aveva avuto il coraggio di presentare o di pubblicare, si figurò con intensa soddisfazione l'effetto indubbiamente straordinario che avrebbe avuto sui membri dell'Accademia di Berlino la lettura di quella sua memoria, per la quale « Nova de legibus inquisitio » gli pareva un titolo assai indovinato. Un minimo di notorietà era proprio quello che gli ci voleva: con essa sarebbero forse venuti i viaggi, e con questi la possibilità di staccarsi almeno per qualche periodo dalla casa e dalla famiglia, e di conoscere visi nuovi, nuovi caratteri, e fors'anche una donna diversa. E poiché e[...]

[...]'anche una donna diversa. E poiché era stanco, felice e disposto a ricompensarsi, lasciò che una immagine femminile si sovrapponesse a quelle spirituali vanità: gli accadde di inventarsela appoggiata al muro della diga, e poi di credere di vederla addirittura avvolta in uno scialle azzurro, punti neri in bianche focose occhiaie, un rosso acceso sulle labbra, e mani che lo chiamavano. « Mi chiamo Welda, si può sapere cosa vuoi da me, allora vieni più vicino, ancora, ancora più vicino; ti piace il seno, ma adesso cosa fai, sei intraprendente (rideva, dolcemente sguaiata), vuoi proprio che allarghi le gambe, così? così ti piace? ».
Vulpius aveva gli occhi imbambolati sulla visione, pieni di passeggera febbre, il membro ritto, le mani irrigidite sotto la sognata sensazione della pelle spennata di pollastra e dei peli ricciuti della offerta apertura, quando una ondata, più delle altre vigorosa, si spezzò con forza contro la diga e gettando gelidi schizzi sui suoi calzoni e sul collo, lo svegliò di soprassalto. Rimase stranito, preda di uno di quegli sbalzi di livello cui va soggetta la mente usa a fantasticare allorché, esaurito o troncato il materiale dell'illusione, e creatasi per tal modo una rarefazione degli spiriti interni, la realtà si precipita con fracasso a riempire il posto vuoto.
Vulpius si guardò in giro; sbirciò il cielo che si andava facendo scuro, una poltiglia di neri frastagliati come cocci di bottiglia intorno a fessure filiformi che lasciavano passare l'estenuato chiarore crepuscolare. Il quadro complessivo era però un lago dalla aggrovigliata superficie capovolta, fosco e pesante, e questo perché immensi banchi di nuvole
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si erano addensati sulle pianure polacche e una differenza di pressione che andava aumentando gradatamente li stava scagliando a nord verso il mare. Coinvolti nell'ampia fuga, compressi dalle correnti superiori, i corpi bassi del ve[...]

[...]nto via via ingrossavano, si gettavano in apparente disordine per ogni dove, sfiorando tra l'altro con furore la diga, abbattendo sul suo contrafforte esterno in un ventaglio frantumato di gocce gli spruzzi che le ondate portavano oltre la barriera degli scogli. Il risucchio vorticoso che tra questi si svolgeva, era l'inspirazione stessa del mare, prima dell'ulteriore assalto; e tale era il fragore generale che tutto il volume liquido, fin nelle più riposte profondità, sembrava partecipe del furioso movimento migratorio. In realtà, sotto la coltre di spumosa rabbia vi era il nero immobile inchiostro degli abissi, dove una vita tumultuosa continuava in silenzio a scandirsi in miliardi di esseri e di ottenebrate, elementari avventure.
IX LA MEDUSA»
All'altezza delle ultime, fievoli lingue giallastre, alle porte dell'inchiostro, si librava felice una medusa. Aderiva placida alla vasta sua madre, nella flaccida certezza della campana trasparente, dei torbidi peduncoli, dell'esangue fame, del silenzio vibrato che le era dentro e d'intorno. [...]

[...]mmasso gelatinoso, ci fosse la somma e la sottrazione di infinite altre creature, l'eterno e progressivo non essere, ossia per lei il soffio del vortice che l'avrebbe stordita e dissolta — lei che le sue uova aveva ormai sparso un po' dovunque lungo il libero e cieco vagabondaggio — nell'abisso materno. Nella medusa insomma l'acqua sentiva tutta se stessa; e dall'acqua infine la medusa non avrebbe avuto altro che una prossima, indifferente, incompiuta definizione.
RENZO Rosso



da Armanda Guiducci, La morte grande in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]acce, quelle dei nomadi polòvcy gettati all'assalto, delle orde tartare. Terrore, saccheggio, desolazione e difesa, il mondo impressionato dalle antiche cronache, dal Canto delle schiere di Igor, il mondo dell'infanzia selvaggia della vetusta 'Rus.
Il colore del sangue e del ramarro sono rappresi per l'intera piazza. Il chiarore del cielo li esalta, un falò che brucia da secoli. In lontananza, ardono mitemente i bulbi metallici delle tre chiese più antiche del Cremlino. La luce ne cava uno sfavillio di miele, il sole dischi e aureole.
58 ARMANDA .GUIDUCCI
Fra fortezze e chiese, l'ibrida potenza del medioevo russo può ancora scatenare il fiato vivente dei suoi spazi, intatto e robusto.
Ma ecco che dall'ammattonato delle mura di cinta del Cremlino distinguete la scalea di granito rossastro che squadra il Mausoleo di Lenin. L'intera parete che lo fronteggia dal lato opposto della spianata, e che aguzza suoi tetti dietro un filare di platani, dà nel liberty,
un grande magazzino. L'edificio di un mattone cupo, a torrette e pinnacoli, che[...]

[...]palle, a spartiacqua fra il traffico delle piazze Manejnaïa e della Rivoluzione é, vi rendete conto, non meno recente, il Museo di Storia. Là hanno imbalsamato il sonno mortale di Lenin. Là, giacciono nelle teche delle vetrine pesci e aringhe disseccati e affumicati e s'accatasta, a piramidi, lo scatolame dell'emporio di Stato. Là, sotto vetro, sfidano il tempo libri e ritratti, armi, arnesi e vessilli. Le austere sale un poco ombrose allineano, più o meno ingiallite, c le appartenenze » di quella che fu la vita di Lenin: i suoi stivali, la sua vettura scoperta, le sue fotografie, i brandelli mistici della Rivoluzione. (« Tutto ciò é cucito alla storia, / schedato e archiviato / e lo dipingono ormai / i Brodskij e i Repin ») (1).
Prende consistenza alfine, sopra la fascia delle mura, il Gran Palazzo, con la sua fisionomia ottocentesca, il doppio rango di finestre.
È vero : a volte più ti avvicini alla realtà, più l'hai a portata di mano, più ti sembra irreale. Il Grande Palazzo é sotto i tuoi occhi. Guardalo, da tutte le parti; arriva fin sul ponte che attraversa la Moskva, dietro il Beato Basilio, per scoprirne la lunga ordinata facciata giallina che affaccia al fiume; osservane tutti i particolari — é vertiginosamente lontano. Qui Stalin si adirava contro i suoi « gattini ». Qui, si raduna il Soviet Supremo delle repubbliche socialiste sovietiche.
Dentro le mura di cinta del Cremlino sono state calcinate le ceneri dei grandi comunisti caduti per la Rivoluzione. Nonostante il loro carico umano, intorno al Gran Palazzo le mura s[...]

[...]sessioni precise: della vita, della morte.
Dalla parte dei grandi magazzini, il formicolio é intenso. Donne e uomini marciano incessantemente verso gli ingressi, con reti strette nei grossi pugni. Questa rete che vedete pendere in mano a ogni cittadino moscovita, nella quale v'imbattete continuamente (non solo all'entrata e all'uscita dei magazzini, ma lungo ogni percorso cittadino) — flaccida, o gonfiata di pacchi di ogni sorta — é qualcosa di più di un oggetto standardizzato e d'uso normale. Diventa un simbolo della ricerca e della conquista del cibo, degli oggetti.
Per quanto odiosa, l'immagine del formicaio si impone: la vastità brulicante del moto, la frettolosità del va e vieni, la muta e dominante preoccupazione che le governa.
Mentre l'esistenza pratica incalza su questo lato della piazza, sull'altro, opposto, si svolge un pellegrinaggio alla morte.
Dal mattino inoltrato alle cinque della sera, ora in cui la morte vien restituita alla morte, si snoda, risalendo dalla Piazza Manejnaïa, sottostante, la serpentina ininterrotta d[...]

[...]le cinque della sera, ora in cui la morte vien restituita alla morte, si snoda, risalendo dalla Piazza Manejnaïa, sottostante, la serpentina ininterrotta di coloro che attendono pazientemente di accedere alla visione dei due grandi corpi: Lenin e Stalin.
Se la folla che si riversa al Gum non conosce altro rituale all'infuori dell'urto, della pressione, altra regola all'infuori di quella dello scambio immediato fra denaro e merce, la folla ancor più composita dei pellegrini al Mausoleo sottostà a un rituale prestabilito, a una vera e propria regia della morte.
Lo scopo é quello — alquanto mistico — dell'esaltazione e consacrazione della grandezza sovietica. La suggestione drammatica, infinita, che la morte esercita sui viventi, viene spesso sfruttata per questo fine sottilmente deviante. Il fascino delle «grandi tombe » é equivoco, quando intorno ad esse non cresca l'inesorabile erba, ma la pietra progettata.
Il Grand Tombeau di Napoleone a Parigi, calato alla maniera fa
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raonica in un immenso pozzo scolpito (così [...]

[...]na sostanziale mancanza di terrore e di pieta rende i mausolei moderni imparagonabili con la reale grandezza faraonica. Chi ha visitato le grandi tombe millenarie dell'Egitto, ha provato a inoltrarsi, vivo, nel cunicolo e nelle segrete della morte. L'ossessione del destino d'oltretomba, l'orrore della profanazione danno una cupa, ma solenne ragione all'accortezza degli inganni che dominano interamente queste costruzioni. La potenza della morte é più forte, insomma, della potenza e della fama del morto colà sepolto.
Nei mausolei moderni, il gioco degli inganni é rovesciato: non si tratta più di stornare i vivi, di indurli a rispettare una solitudine senza scampo, bensì di attirarli alla fama del defunto, usando dell'atroce prestigio della sua passività per colpire e per marcare le coscienze in un senso voluto.
Se il Grand Tombeau parigino deve la propria maestà mostruosa al calcolo di effetti del genere, (raggiunti dilatando non soltanto le dimensioni della cripta, ma dalla tomba che rinserra il corto scheletro del condottiero), il mausoleo sovietico (umanissimo invece nelle dimensioni, e ammirevole per la semplicità architettonica) deve il suo fascino sinistro al fatto di poter[...]

[...]ocessioni / ed i mausolei / il regolamento fisso / dell'amministrazione / anneghino / nell'incenso dolciastro / la semplicità / di Lenin. / Per lui tremo, come per la pupilla dell'occhio, / che non sia / falsato / dall'ideale dei pasticceri »).
Non so quanto questo fascino, che é quello arcaico ed irresistibile di una rivincita ingannevole sulla distruzione dell'essere umano, possa giocare molti dei pellegrini che giungono fin dalle repubbliche più lontane per sfilare davanti alle salme, sostare dinanzi a loro un attimo
LA MORTE GRANDE 61
solo, e uscire con quella visione impressa negli occhi per tutta la vita. Dubito che possa mancare la sua presa; anche una coscienza preparata può difficilmente esorcizzarlo. Osservando nel corteo molte facce fisse e ottuse, arrivate chissà da quali campagne, vien fatto di pensare che, inevitabilmente, quel fascino si fisserà nella venerazione, nella superstizione, in un culto mistico della potenza dei propri capi e del proprio paese.
Che la regia del corteo miri a questo, é indubbio. La gente si as[...]

[...]unte due persone per volta. Subito, con passi lentissimi, esse si adeguano, diventano processione.
È rigidamente proibito camminare per tre. Un poliziotto interverrà a redarguire l'inosservante, ad assegnargli il posto che gli compete. Affiancarsi, camminare per due. Lo vogliono la lunghezza, il ritmo.
La regolarità con cui al corteo, continuamente mozzato della testa, viene rinnovata la coda, fa si che la serpentina non appaia un solo momento più breve, più rada. L'effetto è schiacciante; francamente — senza paragone. Tutti i visitatori dell'Urss non hanno esitato a definirlo
grandioso ». Con quest'aggettivo si liquida l'impressione soggiogante del numero che si moltiplica all'infinito. Un'impressione che sulla Piazza Rossa diventa un'esperienza visiva, un'emozione tanto più forte se, estendendo al tempo quella moltiplicazione nello spazio, si pensa che é da più di trenta anni che attraverso la piazza il gran serpe si snoda, si segmenta, e ricresce.
Altra cosa intollerata: che si parli. Ho veduto un vecchio dall'aspetto pezzente cacciato brutalmente fuori dalla fila per questa ragione, e rinserito solo dopo una contestazione concitata con un gruppo di poliziotti. II silenzio aiuta la lentezza, è un elemento indispensabile del rituale. In silenzio procedono giovani, vecchi, uomini, ragazzi, giovanette e vecchie, ragazze e donne, ucraini, kazakistani, usbechi, armeni, cittadini d'ogni repubblica, contadini, operai e militari, sovietici e cinesi, stran[...]

[...]iovanette e vecchie, ragazze e donne, ucraini, kazakistani, usbechi, armeni, cittadini d'ogni repubblica, contadini, operai e militari, sovietici e cinesi, stranieri. Molti cinesi nel corteo, militari e intere famigliole, le donne con in collo i loro bimbi dagli occhi di mandorla immensi.
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A passi brevi e in silenzio, in un funerale eterno, finalmente si raggiunge la facciata del Mausoleo.
Quasi sotto la torre Spasskaïa, la più grande e la più bella sulla cinta del Cremlino, il Mausoleo discende per forti gradienti di granito rosa intenso dal tempietto, che lo corona, fino al livello della piazza. Benché opera dello Schoussev, un professore d'accademia, le sue proporzioni rifuggono dalla statura retorica. Certamente, gli giova il rapporto con l'alto muro del Cremlino che lo sovrasta alle spalle. Allorché Lenin vi fu ospitato, nel 1924, era di legno. (Lo Schoussev si era ispirato ai monumenti funerari dell'età preistorica). Cinque anni dopo, fu tradotto nella fastosità regale del marmo.
La rigida angolatura della scalea che balza v[...]

[...]to da Maiakowski, quando sulla Piazza Rossa sembrò che nuovamente la Russia fosse diventata nomade. (« La diga delle strade / si spacca in mezzo / e cantando / gli uomini / si precipitano alla morte »).
Silenziosi, ordinati, a pascetti, gli uomini guadagnano il Mausoleo. Oltre il basso portale e il presentat'arm pietrificato delle sentinelle, la scalinata esterna del monumento si fa naturalmente scala interna, per la discesa alla cella. I marmi più preziosi che l'Unione Sovietica possegga sono stati impiegati per la facciata: il granito rosa proviene dall'Ucraina, dalla Carelia il porfido rosso che mensola il tempietto;. eppure si fondono senza sontuosità, con un effetto di colore caldo e tranquillo. Ignoro da quale regione sia stato cavato il marmo che riveste la sala di ingresso, che corre lungo le scale: è un marmo mai veduto in Europa, azzurro piombo, vibrante di scaglie e di riflessi argentei. Gelido e ardente, pulito e ricco — si intona benissimo a tutto, il clima del Mausoleo.
Mentre scendete, il silenzio che da tempo vi accompa[...]

[...]er passarvi davanti occorrerà salire una breve scala, discenderne una uguale per guadagnare l'uscita. Nella stanza, di proporzioni rispettose, una penombra rossa, una luce che vi gela le dita. Vi rendete conto che siete in una cella frigorifera.
« Fine; / fine, / fine. / Chi / convincere? / Un vetro, / e sotto vedete...» fino al petto, parallele a pochi metri di distanza, le statue di carne in cui abitarono gli uomini Stalin e Lenin. Due busti, piú precisamente. Dal ventre in giù, una coltre di bronzo copre, con pieghe pietose, le loro figure spezzate.
La luce rossa li lambisce e, sfiorando con un raggio rosato la testa e le mani scolpite in quella cera opaca in cui si blocca, con la morte, la nostra materia organica, trucca il pallore cadaverico.
La mano sinistra di Lenin poggia tesa sul massiccio lenzuolo. La destra è serrata a pugno, all'altezza del cuore, su una giacca simile a camiciotto, con il colletto alto chiuso e due tasche ai lati del petto.
Sono due mani piccole ma affusolate, con le nocche lunghe come hanno gli intellett[...]

[...]ellato per sempre sul volto dell'uomo che muore.
È come se, allorché sopraggiunge la fine, la tensione provocata dall'uomo, con la sua problematica presenza, nel mondo della natura, precipiti, per forza d'inerzia. E l'antagonismo fra la vita biologica e
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l'esistenza umana, nel momento stesso in cui culmina, si contenda per sempre le fattezze dell'individuo.
Il viso bloccato dalla morte non è mai, se non nei tratti somatici più grossolani o evidenti, il medesimo viso che l'uomo condusse in giro da vivo. E qualcosa di meno, e di più: è un volto, compiuto e rivelatore come una parola scritta; tragico, nella misura che gli spetta. Intanto, evade stranamente dal tempo: nonostante ogni segno, ogni piega dell'età, la propria stessa età non lo riguarda piú. A quale eta risale questa paralisi che colpisce tutto il corpo visibile di Lenin e tutto quello di Stalin? Lenin sembra vagamente più giovane, perché i capelli folti di Stalin sono brizzolati. Ma il viso di Stalin non è perciò più vecchio. In una maschera, é semplicemente assente l'angoscia del volto umano, di essere macinato dalla mola del tempo. E anche i volti di Stalin e di Lenin danno nella maschera — voi potreste semplicemente dire: un intellettuale russo, ricordandovi improvvisamente di qualche effigie di Dostoevsky tosi tipicamente slavo e somigliante, negli zigomi alti, nella fronte convessa, nelle mascelle che intenagliano il mento appuntito; un uomo da esercito e da cannoni, un generale, balenandovi irresistibilmente una qualche analogia visiva, chissà quando e dove afferrata, con un Pancho Villa o con un vi[...]

[...] occhi dal taglio esotico leggermente asiatico, che imprimono alla sua maschera di rude lavoratore un'aria ironica. C'è qualche cosa nello sguardo e nella espressione del viso che lo fanno apparire sempre sorridente. O meglio, si direbbe che egli stia sempre per sorridere. Così pure Lenin ».
Eppure, con la sua giustizia ironica, la metamorfosi irrimediabile ha cancellato ogni ricordo di sorriso dal piccolo volto d'avorio di Lenin, infinitamente più asiatico e più ironico nel taglio; lo ha mantenuto — una traccia beffarda e sconvolgente — su quello grezzo e sanguigno di Stalin.
L,
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Un sorriso impercettibile, chissà come fissatosi agli angoli delle labbra, che riesce peri a diffondersi, per tutta la faccia; un sorriso dominatore, di chi ce l'ha fatta, e che impone la presenza del terribile. La tenace indefettibilitá di tutti i dolori sofferti nei luoghi di esecuzione, nelle camere di tortura, urta contro quel sorriso — uno scontro silenzioso e pauroso di masse di energie invisibili.
« Basterà che io muova il mignolo ed egli non esi[...]

[...]ercettibile, chissà come fissatosi agli angoli delle labbra, che riesce peri a diffondersi, per tutta la faccia; un sorriso dominatore, di chi ce l'ha fatta, e che impone la presenza del terribile. La tenace indefettibilitá di tutti i dolori sofferti nei luoghi di esecuzione, nelle camere di tortura, urta contro quel sorriso — uno scontro silenzioso e pauroso di masse di energie invisibili.
« Basterà che io muova il mignolo ed egli non esisterà più ». « Basterà che io muova il mignolo e Tito non esisterà più. Egli cadrà ». « Muoverò il mignolo e Kossior non esisterà più; muoverò ancora una volta il mignolo e Postisciev e Ciubar non esisteranno più; muoverò ancora il mignolo e Voznesenski, Kuznezov e molti altri spariranno ».
Per quanto stranamente la morte si sia alleata alla propaganda, riproducendo quello stesso viso forte, ottimistico e sorridente che fu innalzato su migliaia e migliaia di cartelloni, é possibile dimenticare?
Disperata é la forza di sussistenza del dolore. La nostra medicina é la dimenticanza, la giustificazione. Riascoltatele solo un momento, davanti al letto bronzeo di Stalin, le parole che uno dei molti, a nome Eiche, scrisse per sé e per tutti gli altri:
« Le cose stanno nel modo seguente: non essendo in grad[...]

[...]ttare, ma di morte.
Passando la sua spugna nera sopra un volto umano, la morte, allorché sopraggiunge, sembra preoccuparsi della sua eccessiva indivi
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dualità. Mira a distruggere, con calma furia, la propria principale nemica — l'espressione, questa immensa e millenaria creazione e vendetta della civiltà umana.
Sforzandosi di cancellarla, e stravolgendola, cerca di ristabilire nell'individuo la specie, di rodere i segni più trionfanti della ribellione. Nei minuti in cui, passando e ripassando, preparando in silenzio il viso dell'uomo al distacco, la spugna lo lava nel nulla, la metamorfosi é in atto. Alcuni muscoli vengono tesi, altri rilassati. Il viso, giacendo in una solitudine insostenibile, é contratto a metà. Per metà l'uómo dà sulla vita, per metà sull'ombra. È un processo che avviene per strappi insensibili ma rapidi. Nel tempo dell'agonia, questa plastica oscura ha modo di esercitarsi liberamente, di sbizzarrirsi. Viene alterato, sciupato, tutto ciò in cui abitò il meglio dell'uomo — il meglio senza più[...]

[...] nulla, la metamorfosi é in atto. Alcuni muscoli vengono tesi, altri rilassati. Il viso, giacendo in una solitudine insostenibile, é contratto a metà. Per metà l'uómo dà sulla vita, per metà sull'ombra. È un processo che avviene per strappi insensibili ma rapidi. Nel tempo dell'agonia, questa plastica oscura ha modo di esercitarsi liberamente, di sbizzarrirsi. Viene alterato, sciupato, tutto ciò in cui abitò il meglio dell'uomo — il meglio senza più aggettivi morali: la fiammata unica della sua esistenza. I suoi occhi per primi, e quella zona palpitante di significati che li circonda — luogo prediletto di scavo; e quell'altra area di palpito alla radice del naso, vicino alla bocca; e la bocca stessa, pozzo misterioso e superbo dell'articolazione; e quella plaga intorno alle labbra, dove l'accento di un intero modo di esistere si incontra con i significati che calano dagli occhi, e li fermano.
Finita l'operazione, il viso — quali ne siano stati i tratti volitivi — é conformato a una maschera. Ma a una maschera tragica. Mentre rimangono r[...]

[...]tra area di palpito alla radice del naso, vicino alla bocca; e la bocca stessa, pozzo misterioso e superbo dell'articolazione; e quella plaga intorno alle labbra, dove l'accento di un intero modo di esistere si incontra con i significati che calano dagli occhi, e li fermano.
Finita l'operazione, il viso — quali ne siano stati i tratti volitivi — é conformato a una maschera. Ma a una maschera tragica. Mentre rimangono rispettate proprio le parti più anonime, più disabitate dall'intelligenza (« La morte / non sa chiedere scusa »), la deformazione di ogni altro tratto tradisce il grado della lotta avvenuta: l'accanimento dell'uomo a rimanere uomo; della morte a disfarlo.
Ora, fissando le maschere a cui sono ridotti Lenin e Stalin, due lottatori di tempra, colpisce l'assenza di conflitto. Somigliano troppo a un'iconografia, con una pretesa anticipata di eternità. Si penserebbe quasi a un intervento della mano dell'uomo, perché soltanto l'uomo cerca, in una maschera, di conservare la somiglianza con la vita.
Mi sovviene il dubbio terribile espresso da [...]

[...]conflitto. Somigliano troppo a un'iconografia, con una pretesa anticipata di eternità. Si penserebbe quasi a un intervento della mano dell'uomo, perché soltanto l'uomo cerca, in una maschera, di conservare la somiglianza con la vita.
Mi sovviene il dubbio terribile espresso da Emanuelli quando rivide, sette anni or sono, il corpo di Lenin, che aveva già veduto imbalsamato diciotto anni prima. A Emanuelli venne il sospetto che il volto non fosse più quello vero, ma una maschera di cera dipinta alla perfezione. Espresse questo suo timore, e gli dissero che poteva anche essere verità. Durante la guerra, quando Mosca sembra minacciata dall'invasione, il corpo di Lenin venne segretamente murato in una stazione della metropolitana. Più tardi, trovarono che si era incenerito.
LA MORTE GRANDE 67
« La sostituzione con la maschera di cera colorata é particolare che, riferisco senza dargli nessuna importanza, e infatti non ne ha dal momento che i suoi fedeli lo ignorano ».
Fosse pur vero, il particolare, infatti, non ha nessuna importanza. Stalin, non incenerito, appare colato nella stessa cera sonnolenta, non tormentata, in cui sono modellati i tratti di Lenin.
La mano dell'uomo é certamente passata su di loro — non fosse altro che per il macabro rito assurdo dell'imbalsamazione. E vi ha lasciato la sua traccia illusoria e [...]

[...]« diminuzione della v. Gli uomini non amano parlarne.
Allorché il tardo pomeriggio spegne gli ultimi fuochi d'oro sulle cattedrali del Cremlino, il Mausoleo chiude i suoi battenti. La sera, sopra di esso, splendono verticali le stelle elettriche accese nelle guglie delle torri. Nella piazza quasi silenziosa, l'anacronismo fra la grande giornata umana dell'Urss, che naturalmente finisce, e la mole che si squadra granitica, si accentua. Prosegue, piú in ombra, il baratto fra la potenza della morte e la potenza dello Stato.
ARMANDA GUIDUCCI



da r. l., Visita a Magnelli [e.v. asis] in KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1

Brano: [...]a l’altro giorno, in via Strozzi. Era stato intercettato da un concittadino, vecchio conoscente che, sul punto del commiato e forse per arrotondare l’incontro : — E scusami, sai —* gli diceva — caro Alberto, ma

o che fai sempre quella pittura nel genere, se sbaglio correggimi, di coso, lì, come si chiama, di Picasso? — Peggio! ha risposto Magnelli svicolando sùbito.

E non che, discorrendo con lui, professionalmente, sia da cavarne molto di più. Gli astrattisti sono di poco discorso. Quel ‘peggio’ di tono sarcastico, va con l’insistenza, solita a questa schiera, nel negare ogni comunicazione anche iniziale col cubismo. E questo è più difficile da intendere. Perchè mai il desiderio della ‘irriconoscibilità’, le ‘disiecta membra’ della realtà cubistica, gli acrostici e gli indovinelli proposti nell’accozzo di oggetti già poco figurali di per sè stessi e per ciò deformabili a piacere; perchè non dovrebbero essere stati la prima spinta sulla china dell’‘astratto’?

E i motivi orfici, magici, esoterici di certe parti del cubismo, non si riflettono anch’essi, pure rinforzando, nei vari moti più astrattivi che seguono sùbito dopo l’epoca eroica del cubismo, e cioè dal ’i4 al ’2o: ‘suprematismo’, ‘nonobbiettivismo‘, ‘costruttiv[...]

[...] intendere. Perchè mai il desiderio della ‘irriconoscibilità’, le ‘disiecta membra’ della realtà cubistica, gli acrostici e gli indovinelli proposti nell’accozzo di oggetti già poco figurali di per sè stessi e per ciò deformabili a piacere; perchè non dovrebbero essere stati la prima spinta sulla china dell’‘astratto’?

E i motivi orfici, magici, esoterici di certe parti del cubismo, non si riflettono anch’essi, pure rinforzando, nei vari moti più astrattivi che seguono sùbito dopo l’epoca eroica del cubismo, e cioè dal ’i4 al ’2o: ‘suprematismo’, ‘nonobbiettivismo‘, ‘costruttivismo’, ‘neoplasticismo’?

Ho poi sentito dire che, di fronte ad altri della stessa tendenza, Magnelli risulti sùbito schiettamente ‘mediterraneo’. Lasciamo stare quest’altra impresa di dubbio gusto, tipica anch’essa dell’altro^dopoguerra immediato, quando ci fu fino un c Poeta del Mediterraneo ’ di razza tedesca. Che Magnelli conservi, in confronto, mettiamo, a Kandinsky o ‘a Mondrian, personali ricordi della stesura vasta, murale, decorante degli antichi ital[...]

[...]ltro^dopoguerra immediato, quando ci fu fino un c Poeta del Mediterraneo ’ di razza tedesca. Che Magnelli conservi, in confronto, mettiamo, a Kandinsky o ‘a Mondrian, personali ricordi della stesura vasta, murale, decorante degli antichi italiani (l’ho rivisto anche a Santa Croce dinnanzi agli affreschi di Giotto e dei suoi, dove, oltre le figurazioni, sono pure margini squisitamente ‘astratti’) è cosa certa, ma da non infirmare la constatazione più vasta che il caso appartiene alla cultura parigina del decennio ’i0’20.

Che sia stato un caso significativo e precoce, basta guardare le sue cose più antiche per convincersene. La ‘Donna seduta’ del ’ 14 /tavola 20/ prevede certo Matisse e certo Modigliani; la ‘Peinture’ del ’i5 /tavola 21/ (da notare il titolo non più figurativo, ‘Peinture’ soltanto) è più avanti di tutti, aMOSTRE 59

quella data: piani a staglio e chiaroscuri quasi drammatici Magnelli su squadre, gherigli e plastiche ellissi. Venne dopo, una sosta c neofigurativa5 in Italia tra il *30 e il '35 alPincirca, e a quegli anni si incontrò Magnelli qualche volta nelle mostre di Venezia e di Roma. Ma, d5allora in poi, e senza più deflettere, il nuovo percorso, sempre più convinto, sulla via dell5castratto5.

Di questa ultima fase /tavole 22, 23/ molto si vide nella esposizione organizzata più di un anno fa da René Drouin a Place Vendòme, ed è utile guardarne il catalogo che, a guisa di prefazione, reca un delicato e breve cpoème en prose5 delPamico e collega Jean Arp. La conclusione vi suona che cun monde fabuleux roule aisément à travers le tunnel de la matière5; che ci pare di sapore romanticoesoterico.

Ma cerchiamo ancora in quel testo. Brani come : 6 Sur des plaines en marche des cubes violets échangent leurs échos5; oppure: cdes pyramides abstraites, épèlent PA.B.C. de Page d5or5 e gli accenni alla luna di Anassimandro o alle teorie cosmiche di Petronio d5Imera (?), non ci[...]

[...] e collega Jean Arp. La conclusione vi suona che cun monde fabuleux roule aisément à travers le tunnel de la matière5; che ci pare di sapore romanticoesoterico.

Ma cerchiamo ancora in quel testo. Brani come : 6 Sur des plaines en marche des cubes violets échangent leurs échos5; oppure: cdes pyramides abstraites, épèlent PA.B.C. de Page d5or5 e gli accenni alla luna di Anassimandro o alle teorie cosmiche di Petronio d5Imera (?), non ci portano più addentro. O, ancora, la domanda: cun carré ne coiffetil pas làbas un triangle?5 non fa che alonare poeticamente il motto, di Kandinsky credo, giusta il quale cil contatto delPangolo acuto di un triangolo con un cerchio non ha un effetto minore di quello del dito del Padre Eterno contro il dito dell5Adamo in Michelangelo5. Che potrebbe restare indimostrabile.

Più interessante dove il commento, che a Magnelli piace, diventa, sia pur vagamente, più figurativo. cN5estce pas une tour chevauchant une autre tour qui s5en va làbas d5une allure chevaleresque et solennelle, à un bai d5armes, vers ime ville rose au bout du monde?5 Oppure: cParfois un blanc inconnu, comme monte sur des échasses, arrive sans savoir ni pourquoi, ni comment, la poitrine couverte d5incrustations ruisselantes et d5ornements chantournés. Des surfaces planes griffues et armées de dents saluent avec platitude ce blanc inconnu5.

Ad onta di questa apparizione, nel genere del cavaliere di Monsalvato, qui sembra d5intender qualcosa di più. Chi non è entrato una volta nel[...]

[...]nnelle, à un bai d5armes, vers ime ville rose au bout du monde?5 Oppure: cParfois un blanc inconnu, comme monte sur des échasses, arrive sans savoir ni pourquoi, ni comment, la poitrine couverte d5incrustations ruisselantes et d5ornements chantournés. Des surfaces planes griffues et armées de dents saluent avec platitude ce blanc inconnu5.

Ad onta di questa apparizione, nel genere del cavaliere di Monsalvato, qui sembra d5intender qualcosa di più. Chi non è entrato una volta nel cortile d5un palazzo comunale gotico dove, sui muri nudi sta aggrappata la folla degli stemmi di podestà, signori e famiglie di quei secoli? Torri, alberi, navi, zampe di leone, castelli merlati, ogni epoca ha trovato

i suoi simboli più scarniti. L5effetto è magico per ognuno, il linguaggio esoterico. E se il più alto torneo intellettuale delPEuropa di questi ultimi cinquantanni, iniziatosi col cubismo, esigeva i suoi emblemi, Pemblematica richiesta nonsarebbe per caso stata trovata dagli astrattisti ? Giacché figuratività sia pure incondita è ancora al fondo dell’as smo, di ogni astrattismo. E se mi attengo a certe intitolazioni, volute, sup dal pittore stesso, perchè non rilevare che ‘ Comme une ce’ e ‘Sans crainte5 sono addirittura imprese, motti d neo? E che l’aspetto stesso di ‘Sans crainte5 23/, anch /tavola se in modo non ortodosso per i puntigliosi dell’araldic qualcosa di uno stemma nitidam[...]

[...]nte5 sono addirittura imprese, motti d neo? E che l’aspetto stesso di ‘Sans crainte5 23/, anch /tavola se in modo non ortodosso per i puntigliosi dell’araldic qualcosa di uno stemma nitidamente inquartato? Qiui potrebbe essere almeno un abbozzo di spiegazi L’astrattismo avrebbe provveduto ai magici emblemi l’intellettualismo figurativo moderno. Soltanto, ci sarebb chiedere, per il gusto di quante famiglie di uman ‘duecento famiglie’ o molto di più? Questo è un altro importante per il futuro dell’astrattismo e la sua uman municabilità. Che gli astrattisti abbiano ragione nel d’essere, più degli altri, arrivati all’‘oggetto’, non è c bile. Ma da servire? Può darsi, del resto, che il mondo in gestazione ab sogno di queste ‘allusions perpétuelles ’ (altro titolo d gnelli), di certi simboli semplificati, all’osso, siano sp agricoli, sociali o che altro. Nel mondo a venire i chiameranno ‘emblematisti’ (sindacato degli), o qualcos simile. Per il principio della eterogenesi dei fini non insomma neppure da escludere che l’astrattismo, sorto tutt’altro segno, trovasse sbocco e applicazioni più cor dove meno si aspetterebbe. Questo principio di spiega andrà rifiutato o perfezionato. [...]

[...]a servire? Può darsi, del resto, che il mondo in gestazione ab sogno di queste ‘allusions perpétuelles ’ (altro titolo d gnelli), di certi simboli semplificati, all’osso, siano sp agricoli, sociali o che altro. Nel mondo a venire i chiameranno ‘emblematisti’ (sindacato degli), o qualcos simile. Per il principio della eterogenesi dei fini non insomma neppure da escludere che l’astrattismo, sorto tutt’altro segno, trovasse sbocco e applicazioni più cor dove meno si aspetterebbe. Questo principio di spiega andrà rifiutato o perfezionato. Ma è difficile che la discus possa partire da altri che da Magnelli che in codesti suoi boli pone spesso una così lucida coerenza, un nitore, un catura a fuoco non facili a dimenticare. E c’è da spe per maggiore utilità il discorso possa riaprirsi a Venezia una mostra ciclica di Magnelli, accanto a quella, già di Kandinsky, tornerebbe, storicamente, opportuna.



da Recensione di Giuseppe Grilli a Joaquim Molas, La literatura catalana d'avantguarda. 1916-1938 in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]sivo di appartenenza alla serie di lingua catalana. Questa impostazione selettiva, di impianto nazionale, impone anche il taglio cronologico, che va dal 1916 al 1938. Anche se le motivazioni non sono tutte esplicite, non è difficile capire quali siano i criteri adottati da Molas. La data terminale è del tutto esterna: indica la fine della guerra dei Tre anni (19361939) e l’anticipazione al 1938, cioè agli accordi di Monaco, è di ovvia necessità. Più ambigua è la data 1916. Alcuni indizi tenderebbero a identificarla con una predilezione dadaista da intendersi come interesse di dada per la Catalogna, e in particolare per Barcellona, e dei catalani per dada. Altri, più banalmente, fanno pensare che si registri, attorno al marchant Dalmau, una piccola concentrazione di esiliati e fuggiaschi dalle calamità della guerra; tra essi fu decisivo Picabia. Altri ancora tenderebbero a indicare, in coincidenza con la guerra, nella crisi di identità degli intellettuali (filotedeschi o filofrancesi?), i primi sintomi della crisi del noucentisme. E sarebbe ipotesi suggestiva leggere nelle Lettere a Tina (1915) di Eugeni d’Ors le radici della rivolta dei suoi seguaci che non intendevano seguirlo in un neutralismo che poteva parere loro abbandono della causa parigina. Una [...]

[...]gruppi del dopoguerra, sospesi tra legami utopici con la tradizione delle avanguardie storiche e la prefigurazione della neoavanguardia. Tutto sommato, però, le difficoltà che scaturiscono dalla fissazione della cronologia proposta da Molas non credo che possano diminuire il vantaggio rappresentato da una definizione del quadro di riferimento. Questo alla fine risulta capiente e unitario insieme; è infatti capace di comprendere le manifestazioni più significative: dalla pubblicazione nel 1916 della prima rivista catalana d’avanguardia, il primo quaderno di Trogos di Junoy, fino a quella dell’ultimo libro relazionato con la sommossa surrealista, Imitació del foc di Bartolomeu RossellóPòrcel, proprio nel 1938.

Scontati i problemi di datazione, altri affascinanti fenomeni si presentano all’attenzione dello studioso della cultura contemporanea. I catalani, consapevoli dell’ambito ridotto e precario offerto dalla propria condizione nazionale, puntarono decisamente sull’avanguardia come un mezzo di comunicazione internazionale e antiprovinc[...]

[...] Max Aub sia opera di un valenciano di adozione, scrittore di lingua spagnola ma apolide. Il suo romanzo, che è tra le poche cose di rilievo nate dall’esilio dei repubblicani spagnoli dopo il 1939, è infatti espostissimo nei confronti della tematica che stiamo trattando, solo che questa volta il paradosso è reale. Una biografia apocrifa di un pittorescrittore catalano amico di Picasso riproduce le ossessioni delle avanguardie storiche catalane a più di trent’anni di distanza, inseguendone le tracce sino nelle sue appendici sudamericane e populiste, in una242

RECENSIONI

forma della scrittura che ricorda la singolare identificazione linguistica del ciclo valenciano di Blasco Ibanez.

In realtà la preoccupazione per la lingua, una lingua che ha vissuto in pieno secolo xx la sua riforma classica, o neoclassica, sembra infatti che avrebbe dovuto bloccare ogni congrua manifestazione testuale di sovversione (cfr. al riguardo il saggio di J. V. Foix, Algunes consideracions sobre la literatura d’avantguarda, del 1925, riprodotto alle pp.[...]

[...]dovuto bloccare ogni congrua manifestazione testuale di sovversione (cfr. al riguardo il saggio di J. V. Foix, Algunes consideracions sobre la literatura d’avantguarda, del 1925, riprodotto alle pp. 193198). Oppure provocare sensi di colpa e regressioni. In parte ciò accadde, anche se con eccezioni, alcune delle quali furono programmatiche e rumorose, come nel caso di Dall che si scatenò in trasgressioni adolescenziali: dagli errori d’ortografia più incredibili, alla denigrazione degli idoli del Parnaso catalano rinascente. Probabilmente proprio a questa condizione nazionale o provinciale della letteratura catalana, una condizione che Maragall all’inizio del secolo (1906) aveva sintetizzato nell’immagine del « crit de renaixen^a entre perills », è da ascrivere il mancato ingresso dei catalani nei gruppi organizzati internazionalmente, con la sola eccezione appunto di Dall. Ma anche in questo caso fu un’adesione con molte riserve, mediazioni e coperture: Gala, Bunuel, Garda Lorca, ecc. Un’adesione che culminò, per altro, nel 1934 nella ri[...]

[...]
In fondo, però, il problema catalano resta quello indicato all’inizio, come coniugare le poetiche proprie del Novecento, modernismo e novecentismo, con i tre grandi filoni dell’avanguardia: futurismo, dada, surrealismo. Molas dedica al problema i primi due capitoli del suo studio, ma forse la questione non si esaurisce in una spartizione quantitativa. In vero tutti, o quasi tutti i gruppi e i gruppetti catalani hanno finito per rendere omaggio, più o meno sentito, alla simbologia di questo o quel movimento d’avanguardia, persino gli oppositori più accaniti, come il pittorescrittore Santiago Russinyol, modernista, localista e colorista. C’è una sua bella tavola parolibera, ad esempio, nel giornale satirico « L’Equella della Torratxa » del 13.4.1917 che si intitola Retrat futurista', in essa le parole, disposte secondo la tecnica calligrammatica, disegnano il volto di un uomorobot. È il fantoccio filo tedesco contro il quale si rivolge lo strale satiricogrottesco del poeta, del pittore e del polemista politico. D’altra parte, in termini generali, proprio il capitolo della poesia visiva per l’ampiezza dell’arco temporale occupato, il nume[...]

[...]duce l’incedere incerto dell’ubriaco. Analogamente è all’autore del primo saggio di critica militante novecentista, Joaquim Folguera (il suo Les noves valors de la poesia catalana è del 1919), che si devono esempi di poesia macchinista (Ambició), calligrammatica (Mùsics cecs al carrer), parolibere (VetUa de desembre plujós) e, infine, tavolecalligrammi (En avió) in una esperienza di sintesi che fu anche di Junoy e che, invece, non sedusse mai il più puro Salvat, fedele alle formule futuriste ortodosse della parolibera e della tavola parolibera.

Naturalmente la quantità della letteratura prodotta non è garanzia di qualità, essa è infatti semmai indicativa della provvisorietà, della superficialità e del provincialismo con cui vengono recepite le nuove mode. Ma ci sono almeno due poeti, due grandi poeti, che tra una prosa di Dall e un dramma minimo di SànchezJuan meritano un posto a sé: sono Josep SalvatPapasseit e Josep Vicens Foix. E sono autori che hanno prodotto un’opera che fuori dal contesto dell’avanguardismo risulterebbe quasi de[...]

[...]e. Ma ci sono almeno due poeti, due grandi poeti, che tra una prosa di Dall e un dramma minimo di SànchezJuan meritano un posto a sé: sono Josep SalvatPapasseit e Josep Vicens Foix. E sono autori che hanno prodotto un’opera che fuori dal contesto dell’avanguardismo risulterebbe quasi del tutto inintellegibile. Aver fornito il background di questi autori è un altro dei meriti del libro di J. Molas. A SalvatPapasseit si devono infatti alcune delle più belle tavole del futurismo (una di esse è tradotta in italiano: Poesia sperimentale in Catalogna, « Carte segrete», 36, 1977, pp. 3879). Ma la sua maggiore originalità è nel tentativo di costruire un vero e proprio poemetto neoclassico, una forma che Salvat riprende da Joan Maragall, integrandovi le innovazioni metricotipografiche e i contenuti della poesia futurista: è lo straordinario Poema de la rosa als llavis del 1924.

Foix è autore di una delle più belle composizioni dada (il Poema de Sitges); è l’inventore del realismo magico (Gertrudis, 1927 e KTRU, 1932), che egli introduce separa[...]

[...]vole del futurismo (una di esse è tradotta in italiano: Poesia sperimentale in Catalogna, « Carte segrete», 36, 1977, pp. 3879). Ma la sua maggiore originalità è nel tentativo di costruire un vero e proprio poemetto neoclassico, una forma che Salvat riprende da Joan Maragall, integrandovi le innovazioni metricotipografiche e i contenuti della poesia futurista: è lo straordinario Poema de la rosa als llavis del 1924.

Foix è autore di una delle più belle composizioni dada (il Poema de Sitges); è l’inventore del realismo magico (Gertrudis, 1927 e KTRU, 1932), che egli introduce separandolo dalla scrittura automatica surrealista (per un confronto si vedano le prose di Dall e Planellas riprodotte da Molas); è il solo poeta d’avanguardia in Europa che riesca a mettere insieme nei sonetti di Sol, i de dol (1936) il sessismo postfreudiano, il medievalismo alla Maurras e il neoumanesimo della poesia pura postsimbolista. La sua influenza sulla letteratura futurista, dada o surrealista, è stata nulla, ma il prezzo pagato per il mancato successo [...]

[...]un confronto si vedano le prose di Dall e Planellas riprodotte da Molas); è il solo poeta d’avanguardia in Europa che riesca a mettere insieme nei sonetti di Sol, i de dol (1936) il sessismo postfreudiano, il medievalismo alla Maurras e il neoumanesimo della poesia pura postsimbolista. La sua influenza sulla letteratura futurista, dada o surrealista, è stata nulla, ma il prezzo pagato per il mancato successo internazionale gli è valso il bottino più ricco in patria. Dal gruppo di Sabadell, che fu la sola 4 avanguardia ’ autoctona e stravagante (Molas ne parla alle pp. 9899), emerge la prosa narrativa di un Francese Trabai, o di un Cesar August Jordana, che già nei primi anni Trenta rendevano il giusto tributo al realismo foixano: più tardi verranno Calders e Perucho e gli epigoni. Intanto tutta la poesia catalana postribiana è sotto il segno, diretto o indiretto, di Foix: da Pere Quart a Ferrater, da Brossa a Gimferrer. Ma l’opera di Foix è244

RECENSIONI

emblematica anche per un altro motivo: essa infatti con ogni probabilità si svolge al riparo di una dominanza dada, eppure ottiene i suoi massimi risultati laddove sono futurismo e surrealismo a dirigere il programma della scrittura. E questo stesso è anche il più generale destino di tutta l’avventura dei movimenti di avanguardia catalani.

In conclusione si può [...]

[...]oni. Intanto tutta la poesia catalana postribiana è sotto il segno, diretto o indiretto, di Foix: da Pere Quart a Ferrater, da Brossa a Gimferrer. Ma l’opera di Foix è244

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emblematica anche per un altro motivo: essa infatti con ogni probabilità si svolge al riparo di una dominanza dada, eppure ottiene i suoi massimi risultati laddove sono futurismo e surrealismo a dirigere il programma della scrittura. E questo stesso è anche il più generale destino di tutta l’avventura dei movimenti di avanguardia catalani.

In conclusione si può affermare che la contraddizione tra il notevole complesso testuale accumulato e la marginalità del ruolo internazionale rende l’avanguardia catalana particolarmente interessante per una comprensione non superficiale del fenomeno delle avanguardie storiche in Europa, della autoemarginazione in cui hanno sospinto tanta parte di sé, come della sopravvalutazione che hanno indotto. Conoscere l’avanguardia catalana, ora che ne abbiamo una sintesi precisa e globale, servirà perciò anche a capire asp[...]

[...] che anche don Eugenio in quegli anni Quaranta indulse al fascino indiscreto del voyeurismo poetico, edificando tavole di incerta filiazione, e di dubbio gusto calligrammatico, che fanno rimpiangere il classicismo tardo barocco dell’Academia Desconfiada di cui sono una, probabilmente involontaria, caricatura (cfr. V. BozalT. Llorens, Espaha. Vanguardia artistica y realidad social. 19361976. Barcelona 1976, p. 84).

Naturalmente il libro tratta più tematiche di quante io non ne abbia qui segnalato, come è poi giusto che sia in un’opera del genere che, pur senza essere esaustiva, offre senz’altro un’approssimazione sufficiente al fenomeno esaminato, e anche qualcosa in più. Nel volume La literatura catalana d’avantguarda il modernista, sia esso specialista (catalanista o ispanista), oppure comparativista, troverà infatti ampia soddisfazione, ma la lettura del libro risulterà estremamente utile anche allo storico dell’arte e, persino, allo storico dei movimenti politici e sociali. L’avanguarRECENSIONI

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dia, l’avanguardia catalana in questo caso, tra i non pochi risultati innovativi che ottenne può infatti annoverare l’utopica riunificazione della letterarietà squisita, elitista e raffinata, e della pratica paraletteraria, spesso dialettale e consolator[...]

[...]o, allo storico dei movimenti politici e sociali. L’avanguarRECENSIONI

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dia, l’avanguardia catalana in questo caso, tra i non pochi risultati innovativi che ottenne può infatti annoverare l’utopica riunificazione della letterarietà squisita, elitista e raffinata, e della pratica paraletteraria, spesso dialettale e consolatoria. Cultura urbana e frustrazione contadina si misero insieme allora per la prima volta e, da allora, non si sono più separate.

Giuseppe Grilli

Daniela Coli, Croce, Laterza e la cultura europea, Bologna, il Mulino, 1983, pp. 237.

Orgoglio e timore sembrano essere alla base di mostre e convegni, di studi e celebrazioni che si addensano con crescente frequenza per sottolineare il ruolo dell’editoria novecentesca. Orgoglio per un lavoro culturale prima che economico; timore per un futuro fatto di forme nuove di trasmissione e fruizione del sapere. Tuttavia, non manca un effetto positivo, anche se, forse, non quello principalmente sperato. Lo studio dei cataloghi, gli scavi negli archivi degli editori n[...]

[...]re è venuta trasformandosi per l’esigenza di trovare un difficile equilibrio tra scelte culturali e necessità di bilancio.

Daniela Coli con questo libro è andata all’origine della nuova funzione dell’editoria. Certo, non è nuova l’attenzione per il rilievo culturale della casa barese, sottolineato in diverse circostanze da Russo, Garin, Gregory e oggetto di un recente libro di Claudia Patuzzi (Laterza, Napoli, Liguori, 1982) ispirato comunque più da intenti informativi che di indagine storica. Nuova è invece l’angolazione scelta dalla Coli per studiare il rapporto tra Croce e Laterza. L’aver basato lo studio sui materiali dell’archivio Laterza (con riscontri in quelli di Croce, Russo e De Ruggiero) ha permesso non solo di incrinare o sfatare consolidate opinioni, ma anche di tracciare un quadro più mosso e ricco degli interessi e delle relazioni intellettuali di Croce; per altro verso ha permesso di dare giusta collocazione alla figura di Giuseppe Laterza, che nel rapporto con un Croce spesso invadente e pignolo volle fin dall’inizio rivendicare la specificità del proprio ruolo. Divenendo « editore di roba grave », secondo il consiglio del filosofo, Laterza si mostrava consapevole che la sua volontà di essere editore di tipo nuovo, moralmente e civilmente impegnato, doveva procedere parallelamente a un’opera di profondo rinnovamento intellettuale.

Da parte sua Croce arrivava a quell’[...]



da Maria Teresa Mandalari, Confini tempo esistenza in Ingeborg Bachmann in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]oesie II tempo dilazionato (1953) e Invocazione alVOrsa Maggiore (1956) che ne segnarono l’esordio. Da questi prende le mosse un non vasto ma preciso ventaglio di temi, d’indirizzi e di atteggiamenti che costituiscono la struttura portante, lo scheletro essenziale di tutta la produzione e contrassegnano il ‘ gesto ’ che distingue Ingeborg Bachmann nel panorama letterario postbellico di lingua tedesca. È opportuno estrapolarne subito i due nuclei più importanti e vitali: tempo e linguaggio.

Poiché ormai si sa che Heidegger da un lato e Wittgenstein dall’altro costituiscono i poli sostanziali entro cui si muove la riflessione conoscitivospeculativa della scrittrice, si può anche dire che la « denkende Dichterin » (come venne chiamata) ne ha fatto i pilastri della propria visione ed espressività poetica. Tempo e linguaggio, dunque; ma per quanto connessi e interdipendenti tra loro, diverso è l’atteggiamento della scrittrice nei loro confronti: di ricerca, di rispetto indagante e adorante fino a sfiorare il misticismo di fronte alCONFINI[...]

[...]rimentali. Si delineava la tendenza, divenuta poi onnivora, all’alienazione e all’incomunicabilità, favorita dagli equivoci della situazione sociopolitica. È quindi spiegabile la grande sorpresa quando dalla piattaforma di lettura del Gruppo 47 a Magonza, fu udita nel ’53 la voce perentoria e indignata di una ragazza di 27 anni proveniente da una estrema provincia orientale di lingua tedesca: i riflettori che di colpo si accesero, non lasciarono più la poetessa di Klagenfurt. E aveva inizio, per Ingeborg Bachmann, il combattimento col suo tempo.

Tempo di mercato e di esibizionismo, tempo di mercificazione e di mistificazione, tempo infine di brutale competizione dentro un preciso ‘ sistema ’: lei lo sapeva bene. Tempo di « Gaunersprache », di linguaggio cialtronesco (un’espressione coniata da lei, come ha osservato Hans Bender); tempo in cui la letteratura è « una borsavalori » (come lei dichiarerà qualche anno dopo pubblicamente e avrà nella penna il ben noto verso che scriverà poi negli anni Sessanta: « Col mio assassino, il Tempo, [...]

[...]un preciso ‘ sistema ’: lei lo sapeva bene. Tempo di « Gaunersprache », di linguaggio cialtronesco (un’espressione coniata da lei, come ha osservato Hans Bender); tempo in cui la letteratura è « una borsavalori » (come lei dichiarerà qualche anno dopo pubblicamente e avrà nella penna il ben noto verso che scriverà poi negli anni Sessanta: « Col mio assassino, il Tempo, io sono sola »). Qui, è ovvio, non si tratta tanto del tempo biologico quanto piuttosto del tempo epocale ch’è il suo, e del tempo cosmico cui spesso farà appello; e infine del tempostoria, che lei paventa, che esita ad affrontare soprattutto nel passato prossimo e che rifiuta con amara indignazione globalmente (« La nostra / divinità, la Storia, ci ha riservato un sepolcro / da cui non vi è risurrezione »: così nella lirica Messaggio).

È importante a questo punto, io credo, vagliare bene le varie prospettive temporali della Bachmann, la cui lirica è addirittura intrisa di riferimenti al tempo, fin dalle primissime prove giovanili. All’inizio degli anni Cinquanta, è206[...]

[...]tek, un Bobrowski, in parte anche un Peter Huchel) e poi a modo loro i surrealisti, tra cui il conterraneo della Bachmann, Paul Celan. Anche le due poetesse austriache contemporanee, Christine Lavant e Christine Busta, da lei certo conosciute, trattavano quel tema. Ma l’approccio, la prospettiva, il ‘gesto ’ impetuoso e talora sconvolgente di affrontare il tempo, nella Bachmann, si distacca tuttavia dai modelli correnti. È il suo un modulo assai più complesso, un modulo di ‘ battaglia ’ oltretutto, che contrassegna con protervia la sua scrittura. Esiste una lirica giovanile, del periodo 1948/53, non contenuta nel volumetto premiato dal Gruppo 47, dal titolo Entfremdung (Estraneità); due versi di questa lirica dicono: « Ich bin satt vor der Zeit / und hungre nach ihr », che tradurrei: « Sono sazia prima del tempo / eppure ho fame (sono assetata) di esso » (dove quel vor ha un intraducibile valore di deciso fronteggiamento). In un’altra lirica giovanile di questo periodo è detto: « Wir, in die Zeit verbannt / und aus dem Raum gestossen », [...]

[...] « Ich bin satt vor der Zeit / und hungre nach ihr », che tradurrei: « Sono sazia prima del tempo / eppure ho fame (sono assetata) di esso » (dove quel vor ha un intraducibile valore di deciso fronteggiamento). In un’altra lirica giovanile di questo periodo è detto: « Wir, in die Zeit verbannt / und aus dem Raum gestossen », cioè: «nói, esiliati nel tempo / e scacciati dallo spazio » (si tratta della lirica intitolata Menschenlos [Sorte umana]). Più tardi, nel contesto delle lezioni francofortesi, esaminando la posizione e la giustificazione esistenziale del poeta nel proprio tempo, formula distesamente questo pensiero: « Le realtà di spazio e tempo si sono dissolte, il reale è in continua attesa di una definizione, perché la scienza

lo ha totalmente ridotto in formule »: verformelt, il che significa anche che lo ha sconsacrato, travisato, distorto, e quindi vanificato. Si precisa così entro quali termini di riflessione speculativa e di sensibilità emozionale insieme abbia preso sostanza l’avvìo, la partenza, « der Aufbruch » (un voca[...]

[...]melt, il che significa anche che lo ha sconsacrato, travisato, distorto, e quindi vanificato. Si precisa così entro quali termini di riflessione speculativa e di sensibilità emozionale insieme abbia preso sostanza l’avvìo, la partenza, « der Aufbruch » (un vocabolo caro all’espressionismo e ben frequentato nella sua lirica) di Ingeborg Bachmann.

Il volumetto iniziale, del resto, è dedicato al tempo, e prende il titolo da una delle sue liriche più note e citate, II tempo dilazionato (Die gestundete Zeit): un tempo espropriato, concesso a ore (gestundet), a stille, si direbbe in prova o a credito, come sospeso, malcerto e malfido nella sua immagine, consistenza ma soprattutto evoluzione. È un tempo che incalza e minaccia (« S’avanzano giorni più duri», è il verso d’inizio e di chiusura), è il tempostoria ristretto alla veste epocale che fa spavento e orrore, che insieme attrae e respinge la Bachmann e contro cui fin dagli inizi si rivolta, si inalbera, protesta. Nella incertezza buia e nel sofferto rovello di tale visione ontologicotemporale sta forse racchiusa la principale motivazione dell’esordio sorprendente, con sapore di novità e originalità, di Ingeborg Bachmann: in un ambiente ove tra lo squisitamente letterario e lo snobistico si coltivavano, in prevalenza, esiti di semplice ‘ facciata ’ e di rivalsa da (pur comprensibili) f[...]

[...]olemicamente, non si fronteggiano né si riconciliano. La loro estraneità è radicale ». Mi sembra qui còlta la qualità del rapporto bachmanniano tra se stessa e la storia, o meglio il tempostoria in genere, il quale aggiunge Berardinelli è in lei « una piaga aperta cui nessuna scelta ideologica riesce a rimediare ». Ora, è chiaro che il poeta, come lo scrittore in genere, opera sempre dentro una situazione storica, che gli riesce di esorcizzare più o meno tramite una istanza verticale, quella della propria potenza e consistenza fantasticocreativa; altra cosa è, tuttavia, se il poeta, o lo scrittore, abbia per suo conto risolto intellettivamente il problema del passato storico, ch’è poi tutt’uno con quello ontologico della propria identità individuale, nel senso di matura elaborazione conoscitiva della situazione storica entro cui si trova ad operare. Il tempo storico, in altri termini, è una categoria, una dimensione di incidenza necessariamente < interiore ’, è un’orma trasformatrice della coscienza attraverso il giudizio ed implica un[...]

[...] Qui il passato come concatenazione di eventi, come ‘ costruzione 9 da cui lei proviene, è per la Bachmann solo ‘ lamento ’, allo208

MARIA TERESA MANDALARI

stesso modo come il suo passato personale attraverso la vicenda recente dei paesi tedeschi è soltanto un incubo emotivo, da lei palesemente concentrato tutto nel ricordo del trauma adolescenziale subito all’entrata dei nazisti in Austria (uno dei pochissimi dati autobiografici rivelati più tardi).

Il rifiuto del passato prossimo come di una malattia immonda abbattutasi dall’alto o scaturita dal profondo per generazione anomala, che si constata incombere nei suoi esiti ma che non va analizzata, è netto nella Bachmann: come lo è stato allora e per molti anni in tutto l’Occidente tedesco, non soltanto letterario. È la unbewàltigte Vergangenheit, il passato rimosso e non superato. Di tale caratteristica specifica, la Bachmann al di là e al di sopra del suo ‘ impegno ’ è buon portavoce poetico, per gli anni Cinquanta e Sessanta. Il drammatico passato tedesco trova spazio solo n[...]

[...] risultato nell’oggi, denuncia e condanna il presente, ch’è tuttavia precisa conseguenza di un passato, ma non giunge a indagarlo, questo passato, nelle sue cause. Dagli inizi poetici, che sono trampolino di lancio per la Bachmann, tale atteggiamento si propaga e perdura lungo tutta la produzione successiva: i radiodrammi, i racconti, le sparse e rade liriche degli « anni di piombo », fino al macabro ciclo Todesarten (Modi di morire) di cui è compiuto solo il romanzo Malina (1971), che decreta la sparizione dell’io lirico. Dei tre volti inscindibili della storia, passato presente futuro, è solo il presente in atto, mostro misterioso e cangiante, di origine oscura e sinistra (come l’Orsa Maggiore, der Grosse Bar, della lirica omonima), a scatenare con l’orrore la ribellione della Bachmann: una ribellione ‘ sospesa ’, aggrappata ad un’unica risorsa, il linguaggio, la parola, arma e scudo insieme:

lo dimostra ancora una volta nella lirica (degli anni Sessanta) Ihr Worte, certo la sua più drammatica, in cui con disperata speranza e non do[...]

[...]dibili della storia, passato presente futuro, è solo il presente in atto, mostro misterioso e cangiante, di origine oscura e sinistra (come l’Orsa Maggiore, der Grosse Bar, della lirica omonima), a scatenare con l’orrore la ribellione della Bachmann: una ribellione ‘ sospesa ’, aggrappata ad un’unica risorsa, il linguaggio, la parola, arma e scudo insieme:

lo dimostra ancora una volta nella lirica (degli anni Sessanta) Ihr Worte, certo la sua più drammatica, in cui con disperata speranza e non domato orgoglio, mentre anela al silenzio, incita alla lotta, vietandosi ogni parola di morte (« Kein Sterbenswort, / Ihr Worte! »).

La ‘ sospensione ’ nel tempo presente potrebbe o dovrebbe — trovar sbocco nella terza faccia della storia, il futuro. Ma cosi non è, o lo è assai debolmente, il che trova conferma nella produzione successiva, radiodrammi e narrativa, che « ricordano le poesie » (Bender) e dove con crescente incidenza prende forma il problema dell’io liricamente inteso. E qui s’inserisce il discorso sulla dimensione utopica nell[...]

[...]so risulti ampiamente rappresentato nell’area asburgicomitteleuropea cui la Bachmann appartiene e cui, specie nella narrativa, dimostrerà di essere molto legata. Inoltre, Mechtenberg trascura il fatto che il carattere dell’utopia in Bloch racchiude una forte carica storica positiva, che non può certo accordarsi né col pessimismo esistenziale della Bachmann né con la sua come si è visto

riluttanza sostanziale ad una visione storica positiva. Piuttosto, le indagini di Mechtenberg aiutano non solo a illuminare meglio l’esistenza (anche debole) di una spinta utopica nella concezione del tempo da parte della Bachmann, ma sottolineano altresì l’indubbia tendenza ad una 4 fuga nel futuro ’, che a me sembra direttamente proporzionale alla sua tendenza di ‘ fuga dal passato ’ (in quanto storia e quindi memoria) con l’insistente metafora della « notte », cioè di una catastrofe da lasciare oscura alle spalle. Ecco che, in definitiva, si viene sempre meglio a delineare la consistenza della sua condizione ‘ assiale ’, * verticale ’, oltre che 4 [...]

[...] in definitiva, si viene sempre meglio a delineare la consistenza della sua condizione ‘ assiale ’, * verticale ’, oltre che 4 sospesa ’, in quel tempo epocale che le è destinato e che tanto le fa orrore. Tale condizione esistenziale appare inesorabilmente legata ad una interiore sensazione di 4 confini ’ da infrangere, di ‘ limiti ’ costrittivi (così anche nei radiodrammi II buon Dio di Manhattan e Le cicale, da Bender designati come « poesie a più voci »), ai quali di continuo ella s’adopera a sfuggire, spostandosi anche geograficamente ora al nord ora (assai più spesso) al sud. Gran parte delle sue liriche hanno, del resto, per contenuto la descrizione di luoghi visitati o di viaggi compiuti. Il suo ubi consistami in cui molte volte le riesce di focalizzare visioni equilibrate, lucide, sovrastanti, con immagini e accostamenti davvero felici, si trova appunto nello spazio atemporale, fiabesco o mitologico. Assai frequentemente, poi, è chiara in lei la ricerca delPillimitato,210

MARIA TERESA MANDALARI

del senzamisura, e in tali casi si rivela la sua grande passione di vivere, da cui trae un orgoglio dell’io che arriva alla sentenziosità e talora alla veggenza (tutte le molte allusioni al « fuoco » di cui e per cui morirà, alla sua purezza e ineluttabilità, ad esempio).

[...]

[...] romanus, rintracciato durante quello che potrebbe dirsi uno sconsolato pellegrinaggio storico; ma anche una esplicita testimonianza di ciò ch’è il ‘ tempo storico ’, la Storia, per la Bachmann: desolazione, maceria, tragico sconforto. Viene alla mente l’Angelo benjaminiano della Storia, con gli occhi rivolti alla catasta di macerie, nella nona Tesi: ma quell’angelo ha le ali gonfie di futuro, di un futuro che spira dal paradiso, mentre qui poco più in là la Bachmann dichiara apertamente di volersi separare, distaccare dal tempostoria, che rinnega (« sag ich mich los / von der Zeit »).

L’impressione del ritrovamento del limes è, però, di « ebbrezza »: ebbrezza di appartenere a un antico paese di confine, consacrato tante volte nei secoli come baluardo di civiltà, ma anche orgoglio di trovarsi al posto cui aspira, che le compete, ad un ‘ confine ’ importante, non solo storicogeografico, un ‘ confine ’ che la responsabilizza personalmente. Di lei è stato detto da più parti (si veda anche Christa Wolf, nel saggio dedicatole in Lesen und [...]

[...]tempostoria, che rinnega (« sag ich mich los / von der Zeit »).

L’impressione del ritrovamento del limes è, però, di « ebbrezza »: ebbrezza di appartenere a un antico paese di confine, consacrato tante volte nei secoli come baluardo di civiltà, ma anche orgoglio di trovarsi al posto cui aspira, che le compete, ad un ‘ confine ’ importante, non solo storicogeografico, un ‘ confine ’ che la responsabilizza personalmente. Di lei è stato detto da più parti (si veda anche Christa Wolf, nel saggio dedicatole in Lesen und Schreiben, Berlin 1971) che occupa « una posizione di frontiera », con riferimento al suo ‘ gesto ’ di impegno morale e civile. Ma qui emerge chiaramente anche un lato emozionale (da quel momento iniziale in continuo sviluppo) che, per ribaltamento conseguente, evidenzia una sensazione di * cesura ’, di trovarsi stretta fra precisi 4 confini ’, fra ‘ limiti ’ sempre crescenti, da cui chiaramente deriva la sua ricerca dell’illimitato e il perenne impulso di ‘ fuga (È questa come ben si sa una condizione che, da Rilke in poi[...]

[...]li limiti che l’angustia. Se negli anni Sessanta ‘ inventa ’ il mare come apertura infinita per la cara Boemia (nella lirica La Boemia è sul mare) e lei stessa intraprende spostamenti in lungo e in largo nell’Est europeo, ciò avviene forse anche nel tentativo di abbattere * confini ’ (geografici e ideologicoculturali). La dinamica iniziale del suo viaggio esistenziale con la ‘ partenza ’ (der Aufbruch, die Ausfahrt), le navi, gli approdi, sempre più va assumendo negli anni Sessanta l’aspetto di una vera e propria fuga interiore. È un moto che tende ad accelerarsi.

Sarebbe certo interessante estendere una tale indagine alla narrativa, genere in cui la Bachmann a partire appunto dagli anni Sessanta ha indubbiamenteCONFINI TEMPO ESISTENZA IN INGEBORG BACHMANN

211

riversato tutti gli atteggiamenti e i nodi esistenziali della produzione liricopoetica (per cui mi sembra improprio ciò che si è tentato nel Convegno commemorativo di Roma di cui si è detto all’inizio, che si possa parlare cioè di una Bachmann epica). Qui si può solo far[...]

[...]ta lirica Corrente nel cui ultimo verso, a proposito del tempo assassino, è annunciato un avvoltolarsi in se stessa insieme col suo tempo (« Ebbrezza e azzurro ci imbozzolano insieme »). Le sparse liriche degli anni Sessanta nella loro secchezza o elaborazione letteraria sono segnate da definitiva sfiducia e progressivo silenzio emotivo (la lirica Enigma conclude: « Sonst/sagt/niemand/etwas »). Nel 1971 esce Malina, il primo e l’unico romanzo compiuto del ciclo Todesarten; ma precedono nella composizione (quantunque usciti nel 1972) i racconti Tre sentieri per il lago: cinque episodi, o meglio esemplificazioni, di solitudine femminile e progrediente vuoto emozionale che, pur nella loro concretezza, possono definirsi ‘ resoconti lirici ’. In Malina, il problema dell’io che l’assiduo studio dei suoi « padri » austriaci (soprattutto del concittadino Musil) propone alla scrittrice letterariamente agguerrita e avvertita, non appare obiettivamente sovrastante alla disposizione interiore, squisitamente soggettiva, della Bachmann: piuttosto, inv[...]

[...]i, o meglio esemplificazioni, di solitudine femminile e progrediente vuoto emozionale che, pur nella loro concretezza, possono definirsi ‘ resoconti lirici ’. In Malina, il problema dell’io che l’assiduo studio dei suoi « padri » austriaci (soprattutto del concittadino Musil) propone alla scrittrice letterariamente agguerrita e avvertita, non appare obiettivamente sovrastante alla disposizione interiore, squisitamente soggettiva, della Bachmann: piuttosto, invece, sembra soverchiarla e condurla naturaliter all’esplicitazione espressiva di una sintomatica schizofrenia ontologica, in cui come sappiamo l’io lirico, l’io femminile soccombe, addirittura scompare. E la narrazione si conclude con un « Es war Mord » (è stato un assassinio) che, date le circostanze ultime della sua vita, può anche sembrare un testamento.

È difficile negare che la parte più valida della produzione poetica di Ingeborg Bachmann nasca dalla estrema conflittualità tra esistenza e storia, tra la sua condizione ontologicoesistenziale e il tempo storico da cui è posseduta, di cui sembra quasi la preda e da cui ha sempre mostrato di cercare nuove vie di scampo. Se alla sua morte, cosi atroce e quasi 4 prevista ’, Heinrich Boll ha creduto come si sa lapidariamente definirne la sorte dicendo di lei ch’era stata « intrappolata dal suo mito », la definizione andrebbe, forse, corretta con « intrappolata dal suo tempo ».

Maria Teresa Mandalari

Scritti di Ingeborg Bach[...]



da [Gli interventi] Alberto Caracciolo in Studi gramsciani

Brano: [...]tre principali punti nodali: quello della Rivoluzione, quello dello Stato e quello del Partito. In questo triplice ordine di problemi strettamente connessi ed interdipendenti, si deve effettivamente svolgere, mi pare, ogni ricerca per stabilire il leninismo di Gramsci, i suoi rapporti con l'esperienza rivoluzionaria ed il pensiero bolscevico.

Io qui desidero fermarmi, però, su di un solo aspetto: quello della teoria dei Consigli di fabbrica e più in generale dei Consigli operai, quale si presenta in Gramsci nel quadro della teoria dello Stato proletario. E non perché io creda, sia chiaro, che in questo solo aspetto si possa conchiudere tutto Gramsci, né perché mi muova qualche mito — per cosi dire — dei Consigli dappertutto ed in tutti i modi, ma perché credo che questo sia uno dei punti sui quali meglio si può misurare il reale leninismo di Gramsci o di chiunque altro su una delle tre grandi questioni prima indicate, cioè precisamente sulla questione dello Stato.

In che senso Gramsci traduce il leninismo o la esperienza rivoluzion[...]

[...]o dei produttori, come palestra di autogoverno, come luogo che rivaluta e torna a far riemergere progressivamente dalla società politica la società civile.

Si tratta comunque, mi pare, di una inclinazione inconfondibile del pensiero gramsciano, che lo distingue per certi aspetti dal pensiero di Lenin e che a sua volta distingue il movimento dell’Ordine Nuovo, tutto generato dal basso, articolato, autogovernato, dal movimento dei Soviet russi, più tendente a forme di centralizzazione.

Ber Gramsci il Consiglio di fabbrica è autentico ed essenziale organo del poterle che non può in alcun modo essere sostituito dal partito politico o dagli organismi eletti con suffragio universale, cioè dagli organismi di tipo parlamentare. « La soluzione effettiva — scrive nella primavera del 1920 — può essere effettuata solo dalla massa stessa e solo attraverso il Consiglio di fabbrica. La massa non si lascerà più lusingare dalle promesse mirabolanti dei capi sindacalisti, quando si abituerà nella pratica dei Consigli, a pensare che non esistono dive[...]

[...]e a forme di centralizzazione.

Ber Gramsci il Consiglio di fabbrica è autentico ed essenziale organo del poterle che non può in alcun modo essere sostituito dal partito politico o dagli organismi eletti con suffragio universale, cioè dagli organismi di tipo parlamentare. « La soluzione effettiva — scrive nella primavera del 1920 — può essere effettuata solo dalla massa stessa e solo attraverso il Consiglio di fabbrica. La massa non si lascerà più lusingare dalle promesse mirabolanti dei capi sindacalisti, quando si abituerà nella pratica dei Consigli, a pensare che non esistono diversi metodi di lotta di classe, ma uno solo: il metodo che la massa stessa è capace di attuare con i suoi uomini di fiducia revocabili ad ogni istante, quando si convincerà che i tecnici deirorganizzazione, appunto perché tecnici, specialisti, non possono essere revocàbili e sostituibili, ma devono essereAlberto Caracciolo

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limitati a funzioni puramente amministrative, non devono avere nessun potere politico. Tutto il potere della massa, i1 potere [...]

[...]nascenti dalTesperiienza di classe e dalle necessità delk produzione ad istituti nuovi di potere operaio. Chi non faccia questo si può ben qualificare, per lui, velleitario, inconcludente o pericoloso interprete della dittatura del proletariato, come dittatura del partito o della burocrazia sindacale. « Il movimento dei Consigli di fabbrica — dice Gramsci — rimane nella storia del movimento operaio italiano il tenta564

Gli interventi

tivo più ardito compiuto dalla parte più avanzata del proletariato per realizzare ia propria egemonia nella lotta per rovesciare il potere delk borghesia ed instaurare la dittatura del proletariato ».

Per questo, grazie a questo impegno del quale ogni atto ed ogni pagina dell'azione sua sono testimoni, mi pare si possa parlare di un Gramsci e di un movimento dell’Ordine Nuovo che si inquadrano con le loro originalità e peculiarità nel grande filone leninista dei problemi dello Stato operaio. E non avrei bisogno di ripeterlo tanto la cosa appare ovvia se non mi avesse colpito, in verità, il fatto che nel testo a noi distribuito de[...]

[...]a soluzione del problema del potere, cioè la conquista di esso e la creazione di un nuovo Stato. Eppure questa è precisamente la tesi che ancora venti anni fa Togliatti sosteneva parlando di Gramsci, quando diceva : « Egli fu il capo del movimento dei Consigli di fabbrica e faceva dei Consigli di fabbrica l’asse della lotta per il potere ». Mi riferisco ad un volumetto che tutti conoscono, commemorativo di Gramsci, che è del 1938.

C’è anzi di più, perché nel discorso sviluppato ieri sono stato colpito, dal fatto che neppure una volta sia stata pronunziata la parola « Consigli di fabbrica », neppure una volta la parola od il concetto dei Soviet, il concetto dei Consigli operai e contadini, ed è mancato quell’accenno che troviamo invece in uno scritto assai noto di Togliatti aH’indomani del XX Congresso sovietico sull'originale significato democratico di un sistema fondato sui Soviet e sui Consigli.

Io mi chiedo, perciò: che cosa è Gramsci senza i Consigli di fabbrica, senza io sforzo suo di comprensione dei Soviet russi, che cosa, s[...]

[...] nel movimento operaio italiano, inella stessa Unione Sovietica, che sembrano avere allontanato di attualità questo ordine di problemi. Ma noi siamo qui per sforzarci di conoscere Gramsci per quello che è stato, e Gramsci anche su questo punto, io credo, fu leninista, secondo quello che era il leninismo nelAlberto Caracciolo

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suo tempo, naturalmente, non il leninismo di oggi od il leninismo dell’epoca di Stalin.

Allora io accetterei piuttosto l’interpretazione fatta da Togliatti appunto nel lontano 1938, quando dedicava un lungo capitolo di quel suo scritto a giudicare Gramsci « primo leninista italiano anche precisamente perché interprete nel movimento e nella concezione dei Consigli di fabbrica di una forma italiana della idea dei Soviet, della idea del governo operaio». Vorrei che fossero ricordati ancora, come Togliatti li. ricordava in quello scritto, alcuni acutissimi passi nei quali Gramsci ribadisce che « il Soviet non è un istituto solamente russo, è una forma universale, il Soviet è la forma in cui, dappertutto dov[...]

[...]I Congresso mondiale deirinternazionale Comunista, che furono dettate da Lenin, si legge che in sostanza « la forma della dittatura del proletariato che è stata prontamente elaborata in concreto, si chiama: potere dei Soviet in Russia, sistema dei Consigli in Germania ed altre analoghe istituzioni consigliati in altri Paesi, che tutte ne sono le realizzazioni per la maggioranza della popolazione », ecc.

Lo stesso concetto si trova ribadito in più punti nella successiva risoluzione sulla tattica della I Internazionale al primo Congresso, che fu la direttiva per tutti i partiti comunisti, laddove si diceva, per esempio, che « Il sistema dei Consigli realizza ila vera democrazia proletaria,, la democrazia per e del proletariato contro ila borghesia; il proletariato industriale viene, in questo sistema, portato avanti come la classe dirigente più organizzata », ecc. E nel « manifesto » di quello stesso Congresso trovo quest altra chiarissima frase : « Senza un sistema dei consigli niente dittatura proletaria, niente potere socialista. In tutti i Paesi dove le masse si sano risvegliate alila icoscienza vengono formati Consigli di operai, soldati e contadini; rafforzare i Consigli, elevare la loro autorità, contrapporli all apparato statale della borghesia, questo è oggi dii compito essenziale dei lavoratori coscienti ed onesti di ogni Paese. Attraverso i Consigli la dllasse operaia lanciata nella lotta reggerà il potere della vita econ[...]

[...]ldati e contadini; rafforzare i Consigli, elevare la loro autorità, contrapporli all apparato statale della borghesia, questo è oggi dii compito essenziale dei lavoratori coscienti ed onesti di ogni Paese. Attraverso i Consigli la dllasse operaia lanciata nella lotta reggerà il potere della vita economica e civile come è già accaduto in Russia».

Ma non è solo nel ’19; prendiamo il Congresso successivo: queste tesi sono largamente ribadite con più chiarezza, con più organicità rispetto all'intera teoria del potere. « La Rivoluzione proletaria in Russia — si dice ad un certo punto — ha stabilito le basi della dittatura del proletariato: i Soviet. La nuova divisione fondamentale del movimento operaio, alla quale dappertutto noi andiamo «incontro, è 1) il Partito; 2) i Consigli operai, Soviet; 3) le associazioni di ;produttori sindacali».

L’importante è di osservare come Gramsci ed il gruppo dellYOrdine Nuovo e quindi successivamente il Partito comunista fossero decisamente >i più strenui difensori della tattica proposta dairinternaziomale Comunista in I[...]

[...]etaria in Russia — si dice ad un certo punto — ha stabilito le basi della dittatura del proletariato: i Soviet. La nuova divisione fondamentale del movimento operaio, alla quale dappertutto noi andiamo «incontro, è 1) il Partito; 2) i Consigli operai, Soviet; 3) le associazioni di ;produttori sindacali».

L’importante è di osservare come Gramsci ed il gruppo dellYOrdine Nuovo e quindi successivamente il Partito comunista fossero decisamente >i più strenui difensori della tattica proposta dairinternaziomale Comunista in Italia e quindi non potessero che partecipare a questa concezione. « Aderire aliinternazionale comunista — scriveva Gramsci fin dal 1919 — significa ingranare le proprie istituzioni con quelle degli Stati proletari di Russia e di Ungheria. La Internazionale comunista deve essere una rete di istituzioni proletarie che dal loro seno stesso esprimono una gerarchia complessa e bene articolata ».Alberto Caracciolo

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Ed ancora in queirarticolo in polemica con Mondolfo, già citato da Togliatti, si dice che « ... l’esse[...]

[...]nista deve essere una rete di istituzioni proletarie che dal loro seno stesso esprimono una gerarchia complessa e bene articolata ».Alberto Caracciolo

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Ed ancora in queirarticolo in polemica con Mondolfo, già citato da Togliatti, si dice che « ... l’essenziale fatto della Rivoluzione russa è l'instaurazione di un tipo nuovo di Stato, lo Stato dei Consigli, ed a esso deve rivolgersi la critica storica. Tutto il resto è contingenza ».

Più cerco di 'esaminare questa questione e meno riesco a capire come un simile aspetto del leninismo di Gramsci, e direi, del leninismo tout court, possa essere dimenticato. La questione era allora di cosi grande importanza che rappresentava una vera e propria condizione per partecipare al movimento comunista internazionale, e una decisiya discriminante rispetto ad ogni sorta di posizione socialdemocratica.

E si pensi che sia pure a parole e sia pure confusamente e senza nessun principio di applicazione reale l’intero movimento socialista italiano ripeteva allora con maggiore o minore consapev[...]

[...] quello di Gramsci, ho creduto però anche che fosse opportuno preliminarmente ribadire che queste differenze si svolgono pur sempre meH’ambito di una .generale concordanza, di una generale partecipazione alla esperienza, airinsegnamento, alle linee maestre che da Lenin venivano in quel momento portate, e che cosi si deve rileggere, reinterpretare Gramsci quando si voglia farne un raffronto con il leninismo e con Lenin.

Non voglio insistere di più su questa questione; c’è solamente da osservare, forse con una certa amarezza, come sia difficile per tutti noi ritornare a personaggi molto vivi, come Gramsci, nella polemica politica attuale, senza darne involontariamente una immagine adattata a sviluppi diversi che sono venuti poi. E come quindi sia ancora lungo il cammino per ricostruire la figura ed il pensiero di Antonio Gramsci* secondo uno sforzo non per trovarvi una conferma a quanto si fa oggi, ma per dare il più possibile, con autentico approfondimento di critica storica, l’unica ricostruzione che può anche oggi essere ricca di mot[...]

[...] solamente da osservare, forse con una certa amarezza, come sia difficile per tutti noi ritornare a personaggi molto vivi, come Gramsci, nella polemica politica attuale, senza darne involontariamente una immagine adattata a sviluppi diversi che sono venuti poi. E come quindi sia ancora lungo il cammino per ricostruire la figura ed il pensiero di Antonio Gramsci* secondo uno sforzo non per trovarvi una conferma a quanto si fa oggi, ma per dare il più possibile, con autentico approfondimento di critica storica, l’unica ricostruzione che può anche oggi essere ricca di motivi vitali, la ricostruzione di quello che, nel suo tempo, egli fu veramente;



da [Gli interventi] Giorgio Candeloro in Studi gramsciani

Brano: Giorgio Candeloro

Penso che il dibattito potrà riuscire più proficuo se si concentrerà su quegli aspetti dell’interpretazione gramsciana della storia d’Italia che hanno sollevato negli ultimi tempi vivaci discussioni tra gli studiosi. Mi soffermerò pertanto su di un problema soltanto, tra i molti toccati dal prof. Cessi nella sua relazione.

Le osservazioni di Gramsci sull’assenza di un movimento giacobino nel Risorgimento e in particolare sul carattere non giacobino del movimento democratico italiano sono tra quelle che hanno sollevato critiche *da parte di molti studiosi di storia. Si è detto che Gramsci, sotto lo stimolo di preoccupazioni politic[...]

[...]terminate e tra loro contrastanti interpretazioni della Rivoluzione francese; per non parlare del pensiero reazionario che fu per molti decenni addirittura ossessionato dall’esempio della Rivoluzione. Non si può dire dunque che l’esempio della Rivoluzione sia un paradigma estraneo al Risorgimento, quale esso fu effettivamente; è evidente tuttavia che l’uso di questo paradigma fatto dai pensatori e dagli uomini politici del secolo passato non può più coincidere con l’uso che ne può fare lo storico nel nostro secolo.

Premesso questo, prima di vedere in che consista questo paragone gramsciano e fino a che punto esso possa dirsi propriamente un paragone, è neoessairio soffermarci sulla definizione che Gramsci stesso dàGiorgio Candeloro

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del giacobinimo. « Il termine di66 giacobino ” — egli dice — ha finito per assumere due significati: uno è quello proprio, storicamente caratterizzato, di un determinato partito della Rivoluzione francese, che concepiva lo svolgimento della vita francese in un modo determinato, con un programma d[...]

[...]one e risolutezza, dipendenti dalla credenza fanatica nella bontà e di quel programma e di quel metodo. Nel linguaggio politico i due aspetti del giacobinismo furono scissi e si chiamò “giacobino” l’uomo politico energico, risoluto e fanatico, perché fanaticamente persuaso delle virtù taumaturgiche delle sue idee, qualunque esse fossero: in questa definizione prevalsero gli elementi distruttivi derivati dall’odio contro gli avversari e i nemici, più che quelli costruttivi, derivati dalTaver fatto proprie le rivendicazioni delle masse popolari; l’elemento settario, di conventicola, di piccolo gruppo, di sfrenato individualismo, più che l’elemento politico nazionale » 1.

È evidente che Gramsci, quando parla di assenza di giacobinismo nel Risorgimento, si riferisce alla concezione positiva e comprensiva del giacobinismo, che egli analizza quando si sofferma in vari punti dei Quaderni del carcere suH’azione dei giacobini nella Rivoluzione francese stessa. Secondo lui, i giacobini francesi spinsero avanti in modo violento la stessa borghesia, che inizialmente era su posizioni moderate, ma rimasero sempre nell’ambito di una rivoluzione boghese. Il giudizio gramsciano si avvicina qui a quello dato in modo più ampio e docum[...]

[...]isce alla concezione positiva e comprensiva del giacobinismo, che egli analizza quando si sofferma in vari punti dei Quaderni del carcere suH’azione dei giacobini nella Rivoluzione francese stessa. Secondo lui, i giacobini francesi spinsero avanti in modo violento la stessa borghesia, che inizialmente era su posizioni moderate, ma rimasero sempre nell’ambito di una rivoluzione boghese. Il giudizio gramsciano si avvicina qui a quello dato in modo più ampio e documentato da alcuni storici della Rivoluzione francese, principalmente dal Mathiez. È impossibile però stabilire fino a che punto la concezione gramsciana sia stata influenzata dall’opera del Mathiez che Gramsci mi pare citi due sole volte nei Quaderni2.

Ora, secondo Gramsci, non ce stato nel Risorgimento un movimento giacobino, inteso in questo senso, perché nessun partito politico risorgimentale volle far leva sulle masse popolari e trascinarle nel movimento nazionale in vista di una trasformazione radicale della situazione

1 R., p. 75.

2 Mach., pp. 44 n. 2, 48.518

Gl[...]

[...], pp. 44 n. 2, 48.518

Gli interventi

esistente. Questa trasformazione avrebbe dovuto consistere essenzialmente (ma non esclusivamente) in una rivoluzione agraria. In Francia i giacobini, che avevano nella capitale la loro base principale, poterono assicurarsi con la loro politica agraria l’appoggio delle masse contadine. Essi perciò non solo « organizzarono un governo borghese, cioè fecero della borghesia la classe dominante, ma fecero di più, crearono lo Stato borghese, fecero della borghesia la classe nazionale dirigente, egemone, cioè dettero allo Stato nuovo una base permanente, crearono la compatta nazione moderna francese» \ La loro caduta si dovette essenzialmente alla necessità in cui si trovarono, per restare sul terreno della rivoluzione borghese, di rompere il fronte urbano di Parigi e di perdere l’appoggio delle masse popolari, sicché il Termidoro li travolse. In Italia invece mancò una forza democratica che sapesse essere giacobina e svolgere una politica agraria rivoluzionaria, sicché nei momenti decisivi del Risorgi[...]

[...]comunale, sulla storia degli intellettuali italiani e sullo sviluppo della tradizione culturale italiana, da secoli ondeggiante tra il particolarismo corporativo e il cosmopolitismo di tipo cattolico. Al tempo stesso egli nota che il Risorgimento si attuò in una fase storica in cui il movimento

1 R.} p. 86.Giorgio Candeloro

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politico ascendente della borghesia, sviluppatosi dalla Rivoluzione francese, tendeva ad arrestarsi nei paesi più progrediti e a trasformarsi in una posizione difensiva di fronte al sorgente movimento del proletariato. Perciò l’Italia, che pure era in una situazione nel complesso più arretrata della Francia e degli altri paesi dell’Oocidente, risenti delle ripercussioni della situazione nuova che andava formandosi in questi paesi, e questo fu un freno potente per tutte le correnti politiche del Risorgimento.

Queste circostanze interne ed esterne fecero si che il Risorgimento si concentrasse sui problemi dell’indipendenza, dell’unità e del regime costituzionale, sicché su questo terreno il partito d’Azione fu abbastanza facilmente rimorchiato dai moderati e in particolare dai gruppi che si strinsero attorno alla monarchia sabauda.

A questo punto però sorge un problem[...]

[...]ella 'borghesia italiana e nel clima storico diverso dell’Europa dopo il 1815. Il limite trovato dai giacobini, nella loro politica di forzato risveglio delle energie popolari francesi da alleare alla borghesia, con la legge Le Chapelier e quella sul maximum, si presentava inel ’48 come uno “ spettro ” già minaccioso sapientemente utilizzato dall’Austria, dai vecchi governi e anche dal Cavour (oltre che dal Papa). La borghesia non poteva (forse) più estendere la sua egemonia sui vasti strati popolari che invece potè abbracciare in Francia (non poteva per ragioni soggettive, non oggettive), ma l’azione sui contadini era certamente sempre possibile» \

È chiaro che su questo punto si sente la necessità di un approfondimento, non tanto sui terreno filosofico (poiché la possibilità riferita al passato non va intesa come una costruzione astratta, ma come un’ipotesi di lavoro, come un punto di riferimento per chiarire meglio i caratteri delil’effiettivo processo storico), quanto sul terreno storiografico : è necessario infatti studiare a fon[...]

[...]rivoluzioni borghesi c’è sempre un certo limite rappresentato dalla maggiore o minore sopravvivenza di residui del passato), senza l’alleanza con i contadini e in genere con le masse popolari, ma coll’alleanza di vecchie forze preesistenti; invece una rivoluzione proletaria non è possibile senza l’alleanza con le masse contadine ed eventualmente con altri ceti e strati sociali. Insomma la rivoluzione borghese può, anzi deve, fermarsi ad un punto più o meno avanzato del suo sviluppo per far fronte alla nuova classe rivoluzionaria, mentre la rivoluzione proletaria non può fermarsi prima di essere giunta ad una trasformazione completa e definitiva della società. Essa perciò ha una linea di sviluppo complessa che fu sommariamente ma vivacemente delineata da Marx in un famoso passo dello scritto sul Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte.

Ma il concetto gramsciano del giacobinismo può essere chiarito anche dai giudizi che Gramsci dà su tre uomini del Risorgimento, nei quali egli trova degli spunti giacobini: Giuseppe Ferrari, Carlo Pisacane e[...]

[...]ari fu indebolita dal federalismo e dal fatto che era troppo « infranciosato », cioè troppo

influenzato da certe tendenze caratteristiche della politica francese. Sfuggi imsomma al Ferrari l'importanza dei due problemi dell'unità e dell’in
diipendenza, sicché la sua azione politica rimase praticamente sterile. L’errore di Ferrari fu essenzialmente quello di applicare alla realtà italiana « schemi francesi » che rappresentavano una situazione più avanzata di quella italiana. «Il Ferrari — dice Gramsci — non vedeva che tra la situazione italiana e quella francese mancava un anello intermedio' e che proprio questo anello importava saldare per passare a quello successivo. Il Ferrari non seppe “ tradurre ” il francese in italiano e perciò la sua stessa 64 acutezza ” diventava un elemento di confusione, suscitava nuove sette e scolette ma non incideva nel movimento reale » 1. Mi sembra che queste parole chiariscano bene in che senso Gramsci intende il valore della comparazione tra situazioni diverse.

Gli elementi giacobini del pensiero [...]

[...]ondo Gramsci, il problema militare, cioè il problema della mobilitazione delle masse popolari per la guerra nazionale rivoluzionaria; a questo spunto .iniziale si sarebbe poi aggiunto un elemento di tipo populista: Gramsci avanza (infatti l’ipotesi di un’influenza diretta o indiretta su Pisacane da parte di Herzen o di altri rivoluzionari russi; comunque nota una somiglianza tra l’impostazione del problema agrario in Pisacane e nei populisti.

Più interessante, complesso, anche se in una certa misura contraddittorio è il giudizio di Gramsci sul Gioberti, che si può ricavare da parecchi passi dei Quaderni. Nelle opere gioberti'ane, soprattutto nel Rinnovamento civile d’Italia, Gramsci nota due importanti spunti di giacobinismo. Uno riguarda la funzione del Piemonte, che è vista dal Gioberti in relazione al problema della « radunata rivoluzionaria », cioè come una

1 R, p. 75.Giorgio Candeloro

523

specie di surrogato della funzione che nella Rivoluzione francese ebbe Parigi, come centro di raccòlta e di direzione delle forze rin[...]

[...]ella complessità deHopera del Gioberti, politica e filosofica, e comprese che il Gioberti non può essere considerato semplicemente come un rappresentante del moderatismo, poiché presenta degli aspetti radicalmente innovatori accanto a spunti conservatori e quasi reazionari.

Ho indicato questi giudizi gramsciani su uomini del Risorgimento come esempi di problemi che meriterebbero di essere affrontati in modo nuovo allo scopo di raggiungere una più chiara conoscenza del Risorgimento e in generale di tutta la storia d’Italia. Quegli studiosi di storia, che non si appagano del problemismo minuto o delle interpretazioni tradizionali o dell’astratto ideologismo, possono trovare neiropera di Gramsci un insegnamento di grande valore per condurre una ricerca storica animata da uno spirito rigorosamente scientifico e al tempo stesso da una chiara prospettiva di rinnovamento e di progresso politico e sociale.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] C. Luporini, La metodologia filosofica del marxismo nel pensiero di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Cesare Leporini
LA METODOLOGIA FILOSOFICA DEL MARXISMO
NEL PENSIERO DI A. GRAMSCI
(Appunti)
1. Negli scritti di Gramsci s'incontrano molti temi che si possono dire « filosofici » nel senso che appartengono all'ambito tradizionalmente riconosciuto alla filosofia (gnoseologia, morale, logica ecc.). Ma l'importanza filosofica di Gramsci non è connessa a questi temi particolari piú che ad altri che si collegano a vari settori di ricerca (economia, storiografia, politica, linguistica, folklore, ecc.) o piú specificamente propri del marxismo (strutturasovrastruttura, ideologia, egemonia ecc.). Essa è piuttosto da ricercarsi nel livello in cui le diverse questioni s'incontrano e tendono ad articolarsi, nell'indirizzo e contenuto d'insieme e nel metodo del suo pensiero.
Il pensiero di Gramsci non è fatto per chi cerchi una sistemazione di formule, un'esposizione dogmatica del marxismo; esso è una ricerca in movimento, orientata su alcuni temi fondamentali, ma che individua e suscita una grande ricchezza di problemi in direzioni e su piani diversi. La sua fecondità e attualità è legata a questo carattere. Questa attualità ha un significato preciso: Gramsci non ha bisogno (o ha bisogno in misura[...]

[...]ndità e attualità è legata a questo carattere. Questa attualità ha un significato preciso: Gramsci non ha bisogno (o ha bisogno in misura minima) di una traduzione in nuovi termini dei problemi da lui investigad, per esser compreso e divenire intellettualmente utile. Si tratta nelle sue pagine di questioni tuttavia aperte, anche dove siano consunte le circostanze storicoculturali in cui si generarono, una parte delle quali appaiono anzi divenute piú attuali e chiare nel loro significato, attraverso lo svolgimento storico successivo sia della cultura (non solo
38 I documenti del convegno
italiana), sia della realtà politicosociale. Sotto questo aspetto potremmo dirlo un pensiero ancora immediatamente carico di futuro, per lo sviluppo del marxismo in un orizzonte universale. D'altra parte il pensiero di Gramsci è articolato nella cultura italiana e profondamente radicato nella realtà italiana. Sotto questo riguardo, che non tocca a noi svolgere, Gramsci succede ad A. Labriola nell'aver fatto del marxismo; in una fase storica diversa e pi[...]

[...]ana), sia della realtà politicosociale. Sotto questo aspetto potremmo dirlo un pensiero ancora immediatamente carico di futuro, per lo sviluppo del marxismo in un orizzonte universale. D'altra parte il pensiero di Gramsci è articolato nella cultura italiana e profondamente radicato nella realtà italiana. Sotto questo riguardo, che non tocca a noi svolgere, Gramsci succede ad A. Labriola nell'aver fatto del marxismo; in una fase storica diversa e piú matura, una corrente fondamentale del pensiero italiano.
2. Lo stato di elaborazione, forzatamente non definitiva, in cui si è fissato e ci è rimasto il suo pensiero, sembra legittimare un criterio d'interpretazione per cui si attribuisca una relativa preponderanza alla proposizione determinata dei problemi, rispetto alle particolari soluzioni, alcune delle quali sono evidentemente rimaste ancora fluide (eventualmente provvisorie), o si presentano esse stesse piuttosto come ulteriori orientamenti di ricerca. (Per « proposizione determinata » s'intende un problema posto con quella precisione[...]

[...]ente fondamentale del pensiero italiano.
2. Lo stato di elaborazione, forzatamente non definitiva, in cui si è fissato e ci è rimasto il suo pensiero, sembra legittimare un criterio d'interpretazione per cui si attribuisca una relativa preponderanza alla proposizione determinata dei problemi, rispetto alle particolari soluzioni, alcune delle quali sono evidentemente rimaste ancora fluide (eventualmente provvisorie), o si presentano esse stesse piuttosto come ulteriori orientamenti di ricerca. (Per « proposizione determinata » s'intende un problema posto con quella precisione che ne determina o include una linea di svolgimento, e una serie di articolazioni con altri problemi). E ciò :anche a prescindere dalla questione della forma attuale di pubblicazione dei testi. Tale criterio vale, naturalmente, entro certi limiti: quelli che ci consentano di non perdere nulla della ricchezza di indicazioni positive e nuove che si trovano in Gramsci, e insieme di porre in evidenza, attraverso la grande varietà di argomenti da lui affrontati, gli asp[...]

[...]ndirizzo dell'agire (ideologiapolitica). Il momento metodico e .il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente; non sono separabili
Cesare Luporini 39
senza grave deformazione. La metodologia del marxismo, come si presenta in Gramsci, va rilevata non solo dagli elementi espliciti di carattere metodologico (spunti, osservazioni, ecc.) di cui egli è ricco, anche se essi sono indicativi di alcuni tra i suoi interessi piú originali, ma, innanzi tutto, dal procedimento effettivo con cui egli elabora i problemi. L'espressione «filosofia della prassi », usata da Gramsci per ragioni carcerarie in luogo di « marxismo » (tuttavia non sempre), non è una scelta arbitraria o convenzionale, essa è significativa dell'orientamento fondamentale del suo pensiero.
I punti di riferimento essenziali, le costanti, del pensiero di Gramsci rispetto ai classici del marxismo, sono da trovarsi nelle Tesi su Feuerbach (specialmente, per il suo carattere conclusivo, nella XI) e nella Prefazione al Per la critica dell'economia politic[...]

[...]na filosofia « per mutare il mondo » (fondata sulla prassi umana sensibile) e nel nesso strutturasovrastrutture. Il concetto leniniano di « egemonia » (direzione politica e culturale; Stato) segna la via di svolgimento attuale di questi punti di partenza. Esso porta in primo piano il problema della situazione di coscienza delle grandi masse, in seno alla lotta economica e politica, il problema della loro unificazione culturale e, in un orizzonte piú ampio o remoto, quello della unificazione culturale di tutti gli uomini. Il marxismo si presenta cosí come riforma intellettuale e morale di massa dei tempi moderni. La parte forse piú nuova della problematica gramsciana si svolge da questa concezione. L'esigenza di far coincidere storicamente tale aspetto con la soluzione dei compiti teorici, scientifici ecc., piú alti e complessi, cioè l'esigenza di una « culturaintegrale » , che, sulla base della classe rivoluzionaria, possieda un'espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò essenziale alla dinamica del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità irriducibile a tutte le precedenti « filosofie ». L'identificazione dialettica operata da Gramsci di filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato o proiettata verso il futuro — non è comprensibile senza questa nuova dimensione della considerazione filo[...]

[...]o come filosofia si fa astratta (soprattutto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto il problema dell'ege
4.
40 I documenti del convegno
monia) se è svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali (tipizzate ai loro estremi in idealismo e materialismo metafisico) e non coinvolge 1a discussione col « senso comune ». La nozione di « senso comune » diventa perciò centrale.
Essa nel contesto gramsciano è ben piú complessa del consueto riferimento di comodo che sotto tale denominazione serve in generale ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento mentale staticamente contrapposto alla « criticità » della filosofia o alla metodologia scientifica (anche se, eventualmente, lo si consideri, in ultima analisi, con esse conciliabile). Il « senso comune » non è in Gramsci univocamente riducibile, nei suoi contenuti: esso è sempre « prodotto storico » che contiene e cristallizza contraddittoriamente le piú varie eredità passive del passato, oltre, naturalmente, gli elementi attivi da liberare e elabora[...]

[...] sotto tale denominazione serve in generale ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento mentale staticamente contrapposto alla « criticità » della filosofia o alla metodologia scientifica (anche se, eventualmente, lo si consideri, in ultima analisi, con esse conciliabile). Il « senso comune » non è in Gramsci univocamente riducibile, nei suoi contenuti: esso è sempre « prodotto storico » che contiene e cristallizza contraddittoriamente le piú varie eredità passive del passato, oltre, naturalmente, gli elementi attivi da liberare e elaborare. $ il terreno su cui esercitano la loro azione e la loro presa le ideologie dominanti di gruppo e di classe che contrastano ad ogni spinta unificatrice della coscienza umana e realizzatrice della integrale umanità dell'uomo. L'assunto implicito (o in parte implicito, in parte esplicito) reperibile ile in molte esposizioni dogmatiche, piú o meno volgarizzatrici, del marxismo di una sua conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che comporta la mancanza di approfondimento di questa nozione nelle sue effettive implicazioni storicosociali) si presenta cosí come inaccettabile al pensiero di Gramsci, tale da frenare lo sviluppo della « filosofia della prassi » e della sua capacità concretamente riformatrice (in senso intellettuale e morale), rivolta alle grandi masse umane, anche se esso è spiegabile (come altri compromessi teorici impliciti nel settarismo e dogmatismo) con una fase ancora egemonicamente[...]

[...]tecnici, specialistici ecc.), che hanno forte rilievo nel pensiero di Gramsci e risonanze filosofiche particolarmente attuali (e si connettono al riconoscimento della varietà delle metodologie
Cesare Luporini 41
scientificorazionali, secondo i diversi settori di ricerca, e insieme alla questione dei criteri generali di cid che è « scienza »); e inoltre i problemi relativi alla religione e alla ideologia in generale; quelli pedagogici nel senso piú lato (dalla scuola e istruzione al rapporto governantigovernati, dirigentidiretti) e temi piú particolari come folklore, tradizione culturale ecc. L'insieme di tali questioni e dell'atteggiamento mentale che le sottende ed unifica contiene, riteniamo, la verifica meglio motivata e particolareggiata che si sia avuta fin qui in campo marxista della asserzione della fine storica della filosofia « nel senso che finora si è dato a questa parola » (Engels), della fine (ossia, cessata funzionalità sociale e fecondità spirituale) della figura tradizionale del « filosofo individuale », e insieme caratterizza la nascita, in seno al movimento di elaborazione collettiva, del « filosofo democratic[...]

[...]caratterizza la nascita, in seno al movimento di elaborazione collettiva, del « filosofo democratico » (che concepisce la propria « personalità » come « rapporto sociale attivo di modificazione dell'ambiente culturale »).
È da mettere in rilievo il fatto che l'impostazione gramsciana di tale complesso di problemi non ha solo valore attivo e programmatico (come teoria dell'azione politicorivoluzionaria della classe operaia nelle sue implicazioni più vaste e rinnovatrici), ma si riflette sul corso storico passato della società, approfondendo e allargando le categorie storiografiche del marxismo. Per es., nella critica alla concezione volgare o tendenziosa delle sovrastrutture come « apparenze », concezione inverata nel concetto della loro specifica storicità all'interno del « blocco storico » reale, ossia del sistema strutturasovrastruttura. Per es., nell'implicita applicazione che Gramsci fa dell'XI Tesi su Feuerbach (fondamento della sua identificazione di filosofia e politica), onde essa, mediatamente, diviene criterio di giudizio stor[...]

[...]una presenza operante del marxismo in Gramsci conforme a quella che è stata la sua effettiva genesi storica e a quello che, anche nella prassi sociale politica, è il suo fondamentale elemento propulsore. Non sembra conciliabile con il pensiero di Gramsci una esposizione del marxismo (anche a scopi meramente didascalici) in cui il materialismo storico appaia (secondo un'implicita logica classificatoria) come caso particolare di applicazione di un piú generale « materialismo dialettico » la cui « descrizione » possa, sia pur momentaneamente, prescindere dalla presenza dell'uomo nel mondo. Si ritiene che questa non sia una questione scolastica, bensí sostanziale. Ciò non va frainteso nel senso che Gramsci operi una riduzione della dialettica al solo mondo storicoumano, il che viene escluso, per la stessa integrale dialetticità, dal nesso uomonatura, che implica tanto l'opposizione e contraddizione, da cui si svolge la storia umana, quanto la identità e continuità I. Ma il fondamento rimane per Gramsci appunto in quel nesso, ossia nella nozi[...]

[...] rimane per Gramsci appunto in quel nesso, ossia nella nozione di prassi umana sensibile (anche relativamente alla considerazione delle scienze naturali, dei loro metodi e risultati), senza di che si ricade o nell'idealismo o nel materialismo metafisico. Se è vero che il
Cfr., ad esempio, M. S., p. 145, nota riguardante Lukàcs.
Cesare Luporini 43
marxismo come rivoluzione filosofica è coincidenza di naturalismo e umanesimo (che nella loro «compiutezza» si convertano l'uno nell'altro) può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nei marxismo, che gli sottraggono l'autonomia filosofica e ne diminuiscono la capacità egemonicoriformatrice), un'attenuazione dell'istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo senso (il relatore lo ritiene). Del resto è Gramsci stesso, vedremo, ad indicare il punto di ulteriore indagine. Ma cid non va affatto confuso con la questione della validità, o meno, dell'impostazione che si è ce[...]

[...]tere in luce (se esatta è la presente interpretazione): questione capitale per lo svolgimento della filosofia marxista e innanzi tutto della sua gnoseologia e epistemologia. Alcune ricorrenti, assai suggestive, considerazioni gramsciane di natura categoriale (per es. relativamente alle nozioni di necessità, di possibilità reale) paiono anch'esse riallacciarsi a tale impostazione di fondo, che è quella poi che consente in gnoseologia l'affermarsi piú conseguente del « criterio della prassi » come criterio fondamentale 1. Ciò, che invece non trova posto, ci sembra, almeno direttamente nel quadro della problematica gramsciana, è la dottrina gnoseologica nota sotto il nome di « teoria del riflesso ».
5. Le questioni ora toccate ricevono luce nel pensiero di Gramsci dalla sua concezione del marxismo come assoluto o integrale storicismo. La energia critica del metodo marxista si manifesta nelle pagine di Gramsci attraverso lo sforzo continuo di discriminare i problemi « reali », liberandoli dagli inganni verbali e dagli ideologismi astratti.[...]

[...]i dagli inganni verbali e dagli ideologismi astratti. Ma la possibilità di identificare i problemi reali non ubbidisce a nessun astratto o estrinseco criterio di « realtà », si presenta bensí sempre come possibilità storicamente data nella prassi sociale. Sorge cioè come giudizio storico inserito e operante nell'azione storicosocialepolitica consapevole. Qui ha la sua radice ultima la complessa, articolata, identificazione gramsciana, a cui si è piú volte fatto cenno, di filosofia e politica. Il
1 Cfr. la II Tesi su Feuerbach, e Lenin, Materialismo e empiriocriticismo, ed. it., pp. 130131.
44 I documenti dei convegno
metodo di Gramsci è il metodo di tale giudicare storico connesso alla azione, quindi alla lotta, che richiede sempre di porsi in condizioni di comprendere (storicamente) le ragioni d'essere, le radici nella realtà (passatopresente), delle posizioni combattute (e in ciò manifesta la propria superiorità). Tale metodo di storicismo integrale (radicalmente opposto allo storicismo speculativo idealistico, fondato genericamente[...]

[...]ta la propria superiorità). Tale metodo di storicismo integrale (radicalmente opposto allo storicismo speculativo idealistico, fondato genericamente sulla nozione metafisica di divenire, e tendente a sovrapporre la sintesi ideale al movimento storico reale, cioè a mistificare la dialettica, a metter le « brache al mondo » ...) Gramsci lo estende, almeno tendenzialmente, fino alle estreme posizioni teoretiche, indirizzando l'indagine verso una compiuta applicazione ed elaborazione della dottrina delle sovrastrutture, che è uno degli aspetti piú originali del suo pensiero. Di qui la sua conseguente radicale storicizzazione del marxismo stesso (quale « coscienza piena delle contraddizioni » che si pone non al di là di esse ma come elemento del loro sviluppo, « principio di conoscenza e quindi di azione »); di qui la sua concezione praticoumanistica della « oggettività » (identità di oggettivo e « universalmente soggettivo ») e la sua interpretazione storicizzata del significato di questo problema (« lotta per l'oggettività » come momento del processo storicoreale di unificazione umana), la quale contiene il nesso tra marxismo e scienz[...]

[...]si di Engels che « l'unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e questa è dimostrata da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e delle scienze naturali » (ove Gramsci intanto accentuava e invitava a considerare il carattere storico della prova).
6. L'importanza d'insieme di' questo aspetto della problematica gramsciana è da collegarsi alla lotta contro le intrusioni di materialismo metafisico nel marxismo (svolta da Gramsci piú specificamente nella discussione del « manuale popolare » del Bukharin). Queste intrusioni costituiscono per Gramsci anch'esse una forma di revisionismo, cui è stato sottoposto il marxismo, sebbene con caratteri e radici di classe (relativi a una fase storica ancora immatura del movimento reale della
Cesare Luporini 45
classe d'avanguardia nella sua capacità di esprimere una autonoma elaborazione e direzione culturale) profondamente diversi da quelli che si trovano alla origine del revisionismo idealistico (influenza della direzione ideologica borghese).
La battaglia di Gramsci contro l'id[...]

[...]na fase storica ancora immatura del movimento reale della
Cesare Luporini 45
classe d'avanguardia nella sua capacità di esprimere una autonoma elaborazione e direzione culturale) profondamente diversi da quelli che si trovano alla origine del revisionismo idealistico (influenza della direzione ideologica borghese).
La battaglia di Gramsci contro l'idealismo e il revisionismo idealistico ha un posto importante nei suoi scritti e penetra, ancor piú della precedente, in una serie di problemi determinati (storiografici, economici, letterari, di metodologia critica ecc.), una parte dei quali esula dall'ambito della presente relazione. Essa si svolge fondamentalmente nella discussione dello storicismo crociano e rimane esemplare anche se oggi sono in gran parte esaurite le ragioni di quell'Anticroce che Gramsci auspicava. È una battaglia interna alla cultura italiana, ma che ne oltrepassa i limiti per i suoi risultati e il significato metodologico. Essa conduce, per un lato, a ridurre il crocianesimo « alla sua reale portata di ideologia po[...]

[...]e oltrepassa i limiti per i suoi risultati e il significato metodologico. Essa conduce, per un lato, a ridurre il crocianesimo « alla sua reale portata di ideologia politica immediata » illuminandone il carattere conservatorereazionario e liberaleriformistico (legami con « la tradizione moderata del Risorgimento », « col pensiero reazionario della Restaurazione », corrispondente « snervamento della dialettica hegeliana » sul piano teorico ecc.). Più in generale vien messa in luce « l'impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo », nel senso di una illimitata espansività socialeeducativa, come caratteristico limite di classe. Ma per un altro lato la discussione con l'idealismo è ritraduzione in termini « realisticamente storicistici » (ossia marxisti) del suo « linguaggio speculativo », ogni volta che esso copra o investa problemi reali; ed è recupero o inveramento di tutti i « valori strumentali concreti » (in senso intellettuale) in esso incorporati, siano questi per origine precedenti al marxismo[...]

[...] o inveramento di tutti i « valori strumentali concreti » (in senso intellettuale) in esso incorporati, siano questi per origine precedenti al marxismo, o derivati da esso, o svoltisi parallelamente. (Assai nota, ad es., è la riduzione operata da Gramsci del concetto crociano di « storia eticopolitica » a quello leniniano di
« egemonia », che giova all'approfondimento di questo e insieme mette in Luce i limiti del primo. Altro esempio, ricco di piú ampie suggestioni
sia in senso teoretico che storiografico, è la concezione della « teoria delle sovrastrutture » come « soluzione filosofica e storica dell'idealismo soggettivistico » 1).
1 M. S., pp. 230, 191, e passim.
46 I documenti del convegno
Qwesto atteggiamento metodico di Gramsci, che proviene dai classici, è da ritenersi, in generale, essenziale a una concezione non chiusa o dogmatica (settaria) del marxismo, ed essenziale al suo svolgersi e procedere per quella « strada maestra della civiltà mondiale » (Lenin), sulla quale storicamente è sorto.
Del pensiero di Gramsci nella p[...]

[...]le, essenziale a una concezione non chiusa o dogmatica (settaria) del marxismo, ed essenziale al suo svolgersi e procedere per quella « strada maestra della civiltà mondiale » (Lenin), sulla quale storicamente è sorto.
Del pensiero di Gramsci nella presente relazione si è cercato perciò non tanto una collocazione storica (compito eventualmente di altri) quanto di mettere in evidenza, almeno in parte, quegli elementi fondamentali che ci sembrano piú attuali e attivi in tale senso.


precedenti successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Più, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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