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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 359

Brano: Brescia

stituì ufficialmente il C.L.N., in una riunione tenuta nella villa del ragioniere Venturelli a Gussago, presenti Riccardo Testa per la Democrazia cristiana, Casimiro Lonati a Giuseppe Ghetti per i comunisti, Bigio Savoldi per i socialisti, il professor Vasa per «Giustizia e Libertà », Leonardi per il Partito d’Azione e il colonnello Pizzuto.

Sin dall’inizio fu particolarmente attivo a Brescia il « Fronte della Gioventù », al quale aderirono gruppi di ogni corrente antifascista; Eugenio Curie! (che si faceva chiamare Giorgio Sebastiani) fu più volte sul posto ed è ricordato come uno che « non parlava molto, e nemmeno si accalorava; era indulgente, avvicinava tutti, preti, monarchici, liberali », pur di spingere all’azione. Dalla metà di settembre, la Federazione comunista fu affidata alla direzione di Giovanni Grilli, appositamente inviato da Milano, dai Centro del partito, che si collegò subito con gli esponenti dei diversi partiti antifascisti. Il Grilli, dotato di lunga esperienza di lotta cospirativa, costituì un apporto prezioso, che ebbe riconoscimento unanime, e seppe imprimere slancio aH’organizzazione politica e militare bresciana. « Insieme con i giovani operai — egli testimonierà — entravano in lotta studenti e intellettuali; un ingegnere della Breda si collegò col Partito per mezzo degli operai del suo reparto e lottò sino agli ultimi giorni [...]

[...]ntifascisti. Il Grilli, dotato di lunga esperienza di lotta cospirativa, costituì un apporto prezioso, che ebbe riconoscimento unanime, e seppe imprimere slancio aH’organizzazione politica e militare bresciana. « Insieme con i giovani operai — egli testimonierà — entravano in lotta studenti e intellettuali; un ingegnere della Breda si collegò col Partito per mezzo degli operai del suo reparto e lottò sino agli ultimi giorni nella Resistenza; un commerciante benestante: Lottieri, più tardi fucilato, forniva mezzi all’organizzazione. Larghi ì nostri rapporti soprattutto col clero e con la D.C.. La loro vecchia diffidenza antisocialista e anticomunista pareva avere ceduto il posto, in parte, al desiderio di sapere e intendere quel che eravamo, ed impararono a conoscerci in quei mesi di battaglia. Noi avevamo allora in città due G.A.P., otto uomini in tutto. In città cominciarono a scoppiar bombe nelle caserme della milizia, nei Comandi tedeschi, nei pressi degli improvvisati ministeri della repubblica di Salò. Da otto, i gappisti salirono a venti e poi a trenta. Nel C.L.N., dopo le prime azioni vi fu qualche opposizione, si temevano le rappresaglie, poi le perplessità vennero appianate. A Natale la polizia era sulle nostre tracce, Abbiati fu arrestato, io — avvertito in tempo — riuscii a mettermi in salvo e fui trasferito a Parma ».

Tra i più attivi organizzatori delle prime formazioni partigiane furono: Astolfo Lunardi, presidente dell’Unione Uomini dell’Azione cattolica,

fucilato dai tedeschi il 6.2.1944 insieme[...]

[...]lò. Da otto, i gappisti salirono a venti e poi a trenta. Nel C.L.N., dopo le prime azioni vi fu qualche opposizione, si temevano le rappresaglie, poi le perplessità vennero appianate. A Natale la polizia era sulle nostre tracce, Abbiati fu arrestato, io — avvertito in tempo — riuscii a mettermi in salvo e fui trasferito a Parma ».

Tra i più attivi organizzatori delle prime formazioni partigiane furono: Astolfo Lunardi, presidente dell’Unione Uomini dell’Azione cattolica,

fucilato dai tedeschi il 6.2.1944 insieme a Ermanno Margheriti; Teresio Olivelli (v.), deportato e morto in campo di concentramento in Germania nel gennaio 1945; i comunisti Casimiro Lonati, Gheda, Giuseppe Verginella e altri; i socialisti Costante Bianchi e Leonida Tedoldi; Gastone Franchetti, organizzatore delle « Fiamme verdi » e il generale Masini, che ne divenne il comandante; Guido Mazzon e Giacomo Cappellini.

Nel primo eccidio avvenuto a Brescia, consumato per rappresaglia in seguito a un attentato gappista nella notte del 22.11.1943, furono fucilati per strada gli antifascisti Arnaldo Dall'Angelo, operaio della Radiatori già confinato a Ponza, Gaetano Perinelli, operaio della O.M. e Rolando Pezzagno, già confinato a Ustica. Mario Donegani, ferito e ritenuto morto dai fascisti, dopo qualche ora rinvenne e si salvò. Ancor più doloroso fu l’eccidio compiuto a Lovere (v.) il 22.12.1943, che costò la vita a 13 patrioti.

Allo sciopero del marzo 1943 parteciparono compatti gli operai della O.M., della Breda, della A.T.B., della Tempin e di altre fabbriche bresciane.

La lotta armata

Sin dai primi mesi del 1944, unitamente aH’importante movimento partigiano delle « Fiamme verdi » (v. Brigate cattoliche), operava in Valsaviore la 54a Brigata Garibaldi comandata da Antonio Parisi [Nino), commissario politico Giuseppe Verginella [Alberto), vicecomandanti Luigi Romelli [Bigio) e Leonida Bogarelli [Léo), capo di stato maggiore Bartolomeo Bazzana (il Maestro).

Essa si articolava su 6 battaglioni, rispettivamente detti di: valle di Malga, comandato da Luigi Romei

li, commissario Giorgio Martinelli; Cevo, comandato da Bernardo Regazzoli [Culicchio), commissario Domenico Monella; Pra, comandato da Donato Della Porta, commissario il sovietico Miscia; Valle, comandato da Giovanni Pavarini [Barba), commissario Piero; Sellerò, comandato da Lino Corbelli, commissario Renato; Temù, comandato da Firmo Ballardini, commissario Gino Serini. Erano inoltre aggregati 3 distaccamenti: uno a Bienno, l’altro a Borno e il terzo a Paspardo, comandati rispettivamente da Daniele Franzoni, da Severo e da Benedetto Macuìotti. Col legatrice col Comando generale delle Brigate Garibaldi era Elsa Sacononi [Piera,

Anita) ; ispettore regionale, il valoroso Gabriele Invernizzi.

Nella seconda metà del 1944 sorsero in Valtrompia la 7a Brigata Matteotti e, nell’alta Valcamonica e sui monti di Lovere, alcune formazioni di « Giustizia e Libertà » comandate da Giorgio Predella e dal capitano Camplani.

Il clero del Bresciano partecipò largamente alla Resistenza, tanto nelle opere assistenziaji quanto nelle formazioni partigiane. Il Vescovado, l’istituto Razzetti, Palazzo San Paolo, la Canonica del duomo e altri edifici ecclesiastici furono sedi di Comandi partigiani, di C.L.N., depositi e centri informatori. Numerosi sacerdoti vennero arrestati; tra gli altri, i seguenti parroci: don Francesco Bottoncelli (parroco di San Gervasio), don Agostino Cane si, don Ernesto Casti gl ioni, (Treviglio), don Fernando Collio (Pradauglio), don Carlo Comensoli (arciprete di Cividate), don Vincenzo D'Acunzo (cancelliere vescovile), don Garosio (San Colombano), don Guarnieri (Navazzo), don Achille Lombardi (Cellatica), don Carlo Manziana, don Giulio Pini (Gardone V.T.), don Giuseppe Pot* tieri (Calcinato), don Angelo Pozzi (Sarezzo), don Rondiani (Calcinato), don Rondoni (Malonno), don Lorenzo Salice (Odeno), don Giuseppi Tedeschi, don Remo Tonoli, jdon Riccardo Vecchia (Bedizzole), don Giacomo Vender.

Malgrado che le principali località della provincia fossero state scelte come sede degli uffici e dei ministeri della fantomatica repubblica di Salò, e fossero pertanto presidiate da forti reparti nazifascisti, l’attività partigiana si dispiegò sempre più intensamente. I partigiani sostennero numerose e memorabili battaglie, tra cui quelle del Mortirolo (v.), del Sanclino e di Breno. Alla vigilia della Liberazione erano schierate nel Bresciano le seguenti formazioni partigiane:

a) I Divisione Fiamme verdi « Tito Speri », sulle 6 brigate « C. Tosetti », « A. Schivardi » (alta valle Camonica), « G. Cappellini » e « F. Lorenzini » (media valle Camonica), « A. Lorenzetti » (bassa valle Camonica), « G. Perlasca » (va[...]

[...]ero numerose e memorabili battaglie, tra cui quelle del Mortirolo (v.), del Sanclino e di Breno. Alla vigilia della Liberazione erano schierate nel Bresciano le seguenti formazioni partigiane:

a) I Divisione Fiamme verdi « Tito Speri », sulle 6 brigate « C. Tosetti », « A. Schivardi » (alta valle Camonica), « G. Cappellini » e « F. Lorenzini » (media valle Camonica), « A. Lorenzetti » (bassa valle Camonica), « G. Perlasca » (vai Sabbia, vai Trompia e lago di Garda), per una forza complessiva di circa 1.400 uomini.

b) Il Divisione Fiamme verdi « Astolfo Lunardi », sulle 3 brigate « E. Margheriti» (Val Trompia), «X Giornate » (in città) e « T. Secchi » (bassa bresciana), per una forza complessiva di circa 1.400 uomini.

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 30

Brano: Alexander, Proclama di

la posizione del Comando generale era delicata. Non potevamo opporci apertamente a un proclama del Comando supremo alleato in Italia, e per le conseguenze che una simile opposizione avrebbe avuto sui rapporti tra la Resistenza italiana e detto Comando, e per le ripercussioni che questa opposizione avrebbe avuto nel seno stesso della Resistenza e dei suoi organi dirigenti » (Sulla via dell'insurrezione nazionale di Luigi Longo, Roma, 1954).

Reazione del C.V.L ai proclama

Su proposta di Luigi Longo, il Comando generale del C.V.L. emanò il 2.12.1944 « a tutti i Comandi regionali, al Comando della Valsesia, al Comando della Val d’Ossola, al Comando piazza di Milano » una direttiva la quale, pur accettando formalmente il proclama di A., ne dava un’interpretazione addirittura capovolta: « È opinione di questo Comando — dice tra l’altro la direttiva — che si debba reagire nel modo più fermo alle interpretazioni pessimistiche e disfattiste che da alcuni sono state date alle istruzioni del generale Alexander. Esse non significano affatto un rinvio di ogni prospettiva insurrezionale a dopo l'inverno; esse non significano che si debba passare alla smobilitazione delle forze partigiane. Le istruzioni dicono testualmente: ” La campagna estiva è finita: ha inizio la campagna invernale ”, dove ” campagna invernale ” non può certamente significare "stasi invernale”. Basta questo rilievo per persuaderci che è fu[...]

[...]a questo rilievo per persuaderci che è fuori posto ogni interpretazione la quale significhi che non sono da attendersi avvenimenti militari decisivi prima di tre o quattro mesi ». E più avanti: « Sul piano tattico, poi, le istruzioni di Alexander, constatato che ” il sopravvenire della pioggia e del fango inevitabilmente significa un rallentamento del ritmo della battaglia ” per le forze alleate in Italia, dicono ai patrioti: ” Cesserete per il momento operazioni organizzate su larga scala Anche qui non si afferma, né per gli eserciti alleati né per le forze partigiane, che si deve cessare la battaglia; si dice soltanto che per gli eserciti alleati si avrà un rallentamento e che, per il momento, i partigiani devono cessare non ogni operazione ma solamente operazioni organizzate su larga scala, il cui successo cioè fosse necessariamente legato al rapido sviluppo della battaglia alleata ».

C.D.S.

Alfa Romeo

La Società Ing. Nicola Romeo & C. fu costituita a Milano il 3.2.1918 (solo nel marzo 1939 assumerà il nome e il marchio di « Alfa Romeo »), con un capitale di 30.000.000 di lire, pochi mesi dopo aumentato a 50.000.000. Sviluppatasi rapidamente con la produzione bellica, senza tener conto del fatto che il conflitto sarebbe terminato a breve scadenza, fin daH'inizio del 1919 venne a trovarsi, come altre industrie italiane, in una situazione delicata, per la crisi dovuta al passaggio dell’economia nazionale dalla

produzione di guerra a quella di pa* ce.

Gli stabilimenti, originariamente attrezzati per produzione di costruzioni meccaniche di alta qualità e di leghe leggere di grande resistenza, e rapidamente trasformati per la costruzione di autocarri, motori di aviazione, eliche e materiale bellico vario, vennero a trovarsi improvvisamente in gravi difficoltà. Alla crisi congiunturale si aggiunsero le agitazioni provocate dal notevole aumento del costo della vita (triplicato dal 1913 al 1919), che spingeva gli operai reduci dal fronte a battersi per un adeguato aumento dei sala[...]

[...]o aumento dei salari contro i grandi industriali i quali, durante la guerra, avevano realizzato enormi profitti.

L’occupazione delle fabbriche

Le lotte e le agitazioni susseguitesi nel corso del 1919 sfociarono, tra l’aprile e il settembre 1920, nella occupazione delle fabbriche (v.), in risposta al rifiuto da parte industriale di prendere in considerazione le richieste operaie.

Nei giorni 16 e 17 agosto il Congresso nazionale della F.I.O.M. aveva deciso all’unanimità di ricorrere all’ostruzionismo, anziché allo sciopero. Era convinzione generale che gli industriali sarebbero stati in grado di opporre una lunga resistenza, mentre gli operai non avrebbero avuto i mezzi per sostenere un’agitazione che si fosse prolungata per alcuni mesi. L’applicazione dell’ostruzionismo, accolto dapprima senza allarme dagli industriali, in breve tempo finì per suscitare le loro

preoccupazioni e una controffensiva: la scintilla partì da Milano, e precisamente dalla « Officine Nicola Romeo & C. ». La Società, che allora occupava 2.000 operai, in [...]

[...]onvinzione generale che gli industriali sarebbero stati in grado di opporre una lunga resistenza, mentre gli operai non avrebbero avuto i mezzi per sostenere un’agitazione che si fosse prolungata per alcuni mesi. L’applicazione dell’ostruzionismo, accolto dapprima senza allarme dagli industriali, in breve tempo finì per suscitare le loro

preoccupazioni e una controffensiva: la scintilla partì da Milano, e precisamente dalla « Officine Nicola Romeo & C. ». La Società, che allora occupava 2.000 operai, in risposta all’ostruzionismo proclamò la serrata. Il Comitato centrale della F.l. O.M. dispose l’immediata occupazione dello stabilimento e, contemporaneamente, quella di 300 altre officine metallurgiche di Milano, invitando gli operai di tutta Italia a estendere l’occupazione a ogni fabbrica.

L’Alfa Romeo e il fascismo

Dopo la fine dell’occupazione delle fabbriche, seguita dall’ascesa al potere del fascismo, gli operai dell’A.R., pur restando tra le avanguardie più combattive, seguirono la sorte degli altri lavoratori italiani; mentre l'azienda, generosamente sostenuta da finanziamenti statali, assunse dimensioni crescenti nella produzione di trattori, carri armati, automobili e aereoplani. All’inizio del 1933, con la creazione dell’I.R.I. (v.), l’A.R. entrò nel novero delle industrie controllate dallo Stato; allargò i suoi stabilimenti e ne creò dei nuovi, tra cui particolarmente importante quello di Pomigliano d’Arco, che sarà poi quasi completamente distrutto dai bombardamenti aerei nel corso della seconda guerra mondiale.

In concomitanza con le avventure militari del fascismo, l’azienda, che all’inizio del 1940 giunse a occupare

13.000 operai e 1.500 impiegati, fu adibita quasi esclusivamente alla produzione bellica, in particolare di

Partigiani dell'Alfa Romeo nei giorni della Liberazione

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol VI (T-Z e appendice), p. 424

Brano: Walter, Riccardo

a Brescia, dove trovò lavoro presso la O.M., ma verso la fine del 1942 dovette darsi alla latitanza per sfuggire a un nuovo arresto. Fu poi attivo nella Resistenza bresciana e il

30.4.1945 rientrò a Schio, dove divenne presidente del locale C.L.N.. Nel dopoguerra ricoprì vari incarichi politici e pubblici, compreso quello di deputato alla Camera dal

1948 al 1958. La Sezione comunista di Magré porta il suo nome.

E.Si.

Wehrmacht

Letteralmente: Forze armate. Nome complessivo assunto dalle forze armate della Germania (v.) dal 1935 al 1946.

Origini

L'esercito rappresentò fin dalla formazione del Reich tedesco nel 1870 uno dei pilastri fondamentali dell’apparato istituzionale, grazie soprattutto alla predominante tradizione prussiana, fondata sull’etica aristocratica. Fin da allora l’esercito funse non solo quale insostituibile strumento per mantenere l’equilibrio interno, proponendo come esemplari per tutta la società i suoi meccanismi gerarchici, ma anche come fautore di un ruolo politicomilitare attivo da parte del Reich in campo internazionale. Quest'ultimo aspetto, frenato dalla prudente politica di Bismarck, potè svilupparsi appieno dopo la caduta del cancelliere, concretizzandosi in un massiccio riarmo accelerato, sia in terra che in mare, che fu tra le concause dello scoppio della Prima guerra mondiale. Entrato nel conflitto nel 1914 con l’orgogliosa consapevolezza di essere imbattibile, l’esercito prese ben presto in mano le redini non solo della conduzione strategica, ma anche di quella politica del conflitto. Il governo militareombra guidato da Paul von Hindenburg (v.)[...]

[...]ica di Bismarck, potè svilupparsi appieno dopo la caduta del cancelliere, concretizzandosi in un massiccio riarmo accelerato, sia in terra che in mare, che fu tra le concause dello scoppio della Prima guerra mondiale. Entrato nel conflitto nel 1914 con l’orgogliosa consapevolezza di essere imbattibile, l’esercito prese ben presto in mano le redini non solo della conduzione strategica, ma anche di quella politica del conflitto. Il governo militareombra guidato da Paul von Hindenburg (v.) ed Erich Ludendorff (v.) esautorò di fatto l'imperatore e i partiti politici tradizionali dalla gestione del paese.

Nella Repubblica di Weimar

Con l’avvicinarsi della sconfitta, con abile mossa il vertice militare cedette nuovamente ai partiti i poteri straordinari, consegnando loro un paese sconfitto e nel caos. In questo modo l’esercito poteva allontanare da sé le responsabilità della sconfitta, inventando e alimentando la leggenda della « pugnalata alle

spalle » che sarebbe stata inferta dai “politici” corrotti ai valorosi “militari” e respin[...]

[...]a Gustav Noske (v.) e Groener), che era l’unica forza organizzata mantenutasi intatta grazie alla ferrea e consolidata tradizione gerarchica, per sconfiggere e reprimere gli inconsulti attacchi provenienti dall'estrema sinistra (rivoluzione spartachista del novembre 1918) e dall’estrema destra (putsch di Kapp del marzo 1920). Sotto l’accorta gestione di Wilhelm Groener e di Hans von Seeckt l’esercito riuscì a conquistare un ruo

lo essenziale come perno delle istituzioni repubblicane, verso le quali pur non nutriva alcuna fiducia. Intimamente monarchici com'erano, i vertici dell'esercito attuarono fino al 192728 una strategia di equidistanza dalle lotte politiche e sociali che dilaniavano la repubblica (anche se in fondo colpivano più duramente il nemico a sinistra), ergendosi a custodi non di quella forma istituzionale, ma di un concetto idealizzato di Stato, del quale l’esercito si riteneva addirittura un “surrogato”.

Secondo le parole di Groener, compito primario del l'esercito era quello di « servire l’idea di Stato al di là di tutte le politiche di partito ».

Ma, in cuor loro, ben pochi ufficiali credevano nella durevolezza delle istituzioni repubblicane; e tale sfiducia contribuì a minare fin dalla nascita la democrazia parlamentare weimariana.

Questo ruolo di “Stato nello Stato” divenne ancor più evidente con l’elezione a suffragio universale (1925) dell'anziano feldmaresciallo Hindenburg a presidente del Reich e capo supremo delle forze armate: a lui personalmente, quale simbolo della continuità con il passato imperiale, presta[...]

[...]evidente con l’elezione a suffragio universale (1925) dell'anziano feldmaresciallo Hindenburg a presidente del Reich e capo supremo delle forze armate: a lui personalmente, quale simbolo della continuità con il passato imperiale, prestavano giuramento gli ufficiali tedeschi.

Il trattato di Versailles aveva peraltro imposto alla Germania un'umiliante riduzione del suo potenziale

militare, che la rendeva facile preda degli attacchi esterni, come si vide in occasione dell’occupazione militare francese della Ruhr nel 1923. Di fronte a queste minacce, a cui si aggiungeva il pericoloso revanscismo polacco alle frontiere orientali, l’esercito avviò ben presto un riarmo segreto, prima molto modesto e poi via via più ambizioso, che però non era molto ben visto dalla socialdemocrazia. Nacque in tal modo la cosiddetta Reichswehr nera, parallela e segreta, che si addestrava e armava in Unione Sovietica.

La frustrazione di dover far parte dì un esercito minuscolo e del tutto inferiore alle pretese da grande potenza continentale, che storica[...]

[...]i via via più ambizioso, che però non era molto ben visto dalla socialdemocrazia. Nacque in tal modo la cosiddetta Reichswehr nera, parallela e segreta, che si addestrava e armava in Unione Sovietica.

La frustrazione di dover far parte dì un esercito minuscolo e del tutto inferiore alle pretese da grande potenza continentale, che storicamente la Germania e l'esercito tedesco avevano sempre nutrito, è uno degli elementi da tenere presenti per comprendere le ragioni deHavvicinamento crescente fra ufficiali (soprattutto giovani) e nazionalsocialismo (v.). Quest’ultimo propugnava con toni accattivanti un nuovo dinamismo radicalmente revisionistico da parte del Reich in campo internazionale, facendo aleggiare traguardi di fronte ai quali doveva apparire estremamente modesto il paziente, eppur non infruttuoso lavorìo che uomini politici « repubblicani della ragione » [Vernunftrepublikaner) come Gustav Stresemann compivano per ridare alla Germania una dignità sul palcoscenico internazionale. Il vertice militare d’altra parte non aveva mai abbandonato la visione strategica tradizionale, che collocava la Germania come potenza egemone al centro di una Mitteleuropa più o meno estesa.

L’abbandono del corso “non politico” voluto da Hans von Seeckt, che su questa olimpica equidistanza fondava il potere dell'esercito, fu realizzato dall'ambizioso generale Kurt von Schleicher (v.), il quale a partire dai 1929 svolse, sullo sfondo della grave crisi economica e istituzionale che lacerava la repubblica e che ne avrebbe infine provocato la caduta, un ruolo che si sarebbe rivelato nefasto. Schleicher entrò infatti in tutte le trame e i progetti accarezzati e realizzati in quegli anni nel senso di una svolta autoritaria che si imperniasse sulla figura del presidente Hindenburg, tagliando fuori così le istituzioni parlamentari e i partiti. Con molta abilità egli cercò di conquistare a questo progetto una base di massa, indispensabile, flirtando con i sindacati socialdemocratici e cat

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 406

Brano: Savona

generale! » si chiuse invece, nel settembre 1903, un grande comizio di solidarietà, cui parteciparono oltre

6.000 persone per protestare contro l’eccidio di 6 contadini avvenuto a Torre Annunziata: era allora segretario della Camera del lavoro di Savona Alceste De Ambris (v.) e, per la prima volta dopo trentanni di predominio del liberale di destra Paolo Boselli, era deputato del collegio savonese un esponente della sinistra: il radicale E. Pessano, eletto nell’aprile con i voti dei repubblicani e dei socialisti.

Ma quando nel settembre 1904 fu proclamato lo sciopero generale in tutta Italia per l'eccidio di Buggerru (v. Cagliari), e a Savona le agitazioni durarono vari giorni, pervasi da tumultuose dimostrazioni suscitate anche dalla notizia di altri uccisi nella vicina Sestri Ponente, (v. Eccidi in Italia) i partiti popolari si divisero nuovamente e l'on. Pessano, sostenuto elettoralmente soltanto da radi[...]

[...] divisero nuovamente e l'on. Pessano, sostenuto elettoralmente soltanto da radicali e repubblicani, dovette lasciare il seggio al liberale

G. Astengo. Solo nel marzo 1909 la formazione di un blocco dei tre partiti darà in Savona (senza riuscire a eleggerlo per il voto avverso dei paesi del circondario) 2.241 voti al candidato socialista G. Garibaldi contro i 1.719 dell’on. Astengo; nel giugno 1910 lo stesso blocco permetterà la conquista del Comune. Nel maggio 1906 la classe operaia savonese partecipò compatta allo sciopero generale di protesta per gli eccidi di Berrà (Ferrara) e Calimera (Lecce). Nell’aprile 1908 gli operai della Siderurgica (che avevano raggiunto il numero di 2.800) ingaggiarono uno sciopero di tre giorni, rivendicativo di migliori salari e più umane condizioni di lavoro: si trovò a guidarlo l’allora sindacalista Michele Bianchi (v.) che, in dicembre, si dimetterà da segretario della Camera del lavoro di Savona, in crisi per la lotta tra sindacalisti e riformisti.

Nella locale Sezione socialista le tesi per l’XI Congresso Nazionale del P.S.I., tenuto a Milano nell'ottobre[...]

[...]n crisi per la lotta tra sindacalisti e riformisti.

Nella locale Sezione socialista le tesi per l’XI Congresso Nazionale del P.S.I., tenuto a Milano nell'ottobre del 1910, furono dibattute con asprezza e alla fine prevalse la tendenza del genovese Giovanni Lerda « intransigente, rivoluzionaria », contraria alle alleanze, ai blocchi coi radicali e repubblicani. Da qui, una conseguente irresoluta partecipazione alle responsabilità della giunta comunale che costrinse l’amministrazione popolare a una stentata esistenza. La situazione venne risolta alla vigilia della Prima guerra mondiale dalla vittoria elettorale di

una lista detta « costituzionalista ». Nello stesso tempo la crisi della Camera del lavoro fu risolta con la nomina a segretario del socialista Giuseppe Scotti.

Prima guerra mondiale e dopoguerra

Nel 1914 i socialisti savonesi si schierarono nella loro maggioranza contro la guerra e, al congresso delle Camere del lavoro svoltosi a Milano, quella di Savona si pronunciò a favore dello sciopero generale, da proclamarsi nel caso in cui l’Italia fosse intervenuta nel conflitto.

La guerra mutò profondamente la struttura sociale del circondario, specie nel comprensorio di SavonaVado, dove oltre 12.000 lavoratori furono impegnati neH’industria bellica. Nello stesso tempo si avvantaggiarono le Compagnie[...]

[...]a segretario del socialista Giuseppe Scotti.

Prima guerra mondiale e dopoguerra

Nel 1914 i socialisti savonesi si schierarono nella loro maggioranza contro la guerra e, al congresso delle Camere del lavoro svoltosi a Milano, quella di Savona si pronunciò a favore dello sciopero generale, da proclamarsi nel caso in cui l’Italia fosse intervenuta nel conflitto.

La guerra mutò profondamente la struttura sociale del circondario, specie nel comprensorio di SavonaVado, dove oltre 12.000 lavoratori furono impegnati neH’industria bellica. Nello stesso tempo si avvantaggiarono le Compagnie portuarie che, nel 1914, avevano costituito una Federazione e stabilito tariffe di scarico molto vantaggiose con negozianti e industriali. Benché il traffico del porto, dopo avere raggiunto i suoi massimi storici nel 191516 registrasse alla fine un calo, durante l’intero periodo le Compagnie poterono elargire oltre 1.600.000 lire ai soci chiamati alle armi e alle loro famiglie, accantonando inoltre (sempre mantenendosi autonome dall’organizzazione camerale) tanto capitale da poter far fronte da sole a una Cassa Pensioni di vecchiaia, nonché alla concessione di sussidi ai soci reduci dal servizio militare, in attesa di riprendere lavoro sulle calate.

Ma già nei primi mesi del 1919, soprattutto negli stabilimenti metallurgici e chimici costretti alla riconversione postbellica, circa 3.000 operai furono espulsi dalla produzione e le leghe di resistenza dovettero impegnare lotte contro il carovita e con sempre più aperto carattere politico.

Nel maggio 1919 la Camera del lavoro di Savona contava 64 leghe organizza[...]

[...] tutta Italia per solidarietà con le repubbliche socialiste di Russia e di Ungheria, minacciate dall'intervento militare dei governi dell’Intesa, ebbe uno sviluppo potente e ordinato. Nelle elezioni politiche del 16.11.

1919 il Partito socialista ottenne nel circondario savonese la maggioranza relativa (41,1%) con 10.732 voti su 26.102, seguito dal Partito Popolare con 5.759 voti (22,1%). I socialisti ebbero la maggioranza assoluta (57%) nel Comune di Savona con 6.094 voti su 10.691 espressi. Tale superiorità fu mantenuta nelle elezioni amministrative dell’ottobre 1920, permettendo ai socialisti di conquistare 32 seggi del Consiglio comunale di Savona contro gli 8 toccati ai Popolari e, nel circondario, di conquistare i 4 seggi in pa

lio del Consiglio provinciale di Genova, oltre che i Comuni di Albissola Superiore, Albissola Marina, Cairo Montenotte, Quiliano e Vado Ligure.

Nel 1920 la Camera del lavoro di Savona raggiunse i 20.000 iscritti, organizzati in 96 leghe. In quello stesso anno si inasprì la vertenza nazionale dei metallurgici che sarebbe sboccata nell’occupazione delle fabbriche (settembre 1920).

Il 3 agosto, mentre a Millesimo si svolgeva il funerale dell’operaio socialista Giovanni lori (ex combattente, ucciso da un carabiniere) e in tutto il Circondario era stato proclamato uno sciopero di protesta, a Savona, finiti i rituali discorsi in piazza i manifestanti si scontrarono nei pressi dello stabilimento balneare Wanda con un gruppo di ufficiali dell’esercito, che spararono sulla folla uccidendo altri due operai (Giuseppe Ruffinoni e Secondo Cavaliere)). Gli uccisori non furono nemmeno portati a giudizio.

A Savona e a Vado l’occupazione delle fabbriche terminò il 23 settembre dopo che gli operai metallurgici ebbero approvato, con 2.662 voti contro 1.443, la proposta dei capi rifo[...]

[...]perai (Giuseppe Ruffinoni e Secondo Cavaliere)). Gli uccisori non furono nemmeno portati a giudizio.

A Savona e a Vado l’occupazione delle fabbriche terminò il 23 settembre dopo che gli operai metallurgici ebbero approvato, con 2.662 voti contro 1.443, la proposta dei capi riformisti della C.G.L. favorevole alle trattative per un nuovo concordato. In realtà, nel congresso straordinario di Milano i delegati della Camera del lavoro e della F.l. O.M. savonesi avevano sostenuto la mozione contraria che chiedeva l’espropriazione delle fabbriche e una svolta politica della vertenza, secondo i dettami della Direzione del P.S.I..

I socialisti savonesi stavano intanto discutendo sul loro giornale Bandiera Rossa le diverse tesi in vista del Congresso nazionale del P.S.I. da

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 78

Brano: Reggio nell’Emilia

cilazione per gli « istigatori di disordini ».

Alla O.M. Landini di Fabbrico e alle “Reggiane”, nonostante lo stato di assedio, il 18 agosto fu effettuato uno sciopero per la pace, al quale parteciparono circa 4.000 lavoratori. Immediata fu la reazione dei militari, che revocarono a 34 operai l’esonero dal richiamo alle armi di cui godevano, dandone poi notizia pubblica attraverso un manifesto. Facendo pressioni sulle autorità governative, i lavoratori ottennero di poter nominare le Commissioni interne nelle fabbriche. Ai primi di settembre si cominciò a organizzare le elezioni delle C.l. presso le “Reggiane” e in qualche stabilimento minore, ma questa attività venne interrotta, all’indomani dell’8 settembre, dall’occupazione tedesca della provincia.

Guerra di Liberazione

Nella notte tra I’8 e il 9.9.1943 truppe corazzate tedesche stanziate alla periferia di Reggio (Divisione SS Leibstandarte “Adolf Hitler”), occuparono le caserme e i depositi militari della città. Tra i nostri militari gli ordini erano confusi, sicché non fu opposta ai tedeschi una seria resistenza, ma si ebbero soltanto sporadici episodi di reazione alla tracotanza tedesca, nel corso dei quali vi furono tra gli italiani 5 morti e 11 feriti. Caddero in questi scontri gli artiglieri Antonio Giannone da P[...]

[...]dai tedeschi e deportati in Germania, ma molti altri, la parte maggiore, riuscirono a sottrarsi alla cattura con l’aiuto della popolazione.

Nei primi giorni di occupazione furono effettuati, da piccoli gruppi di resistenti, sabotaggi alle linee telefoniche tedesche. Queste iniziative vennero pubblicamente deplorate da manifesti della Prefettura che, per decisione del reggente dottor Guerriero, si era subito posta agli ordini del nemico.

I comunisti tennero subito alcune riunioni, costituirono un proprio Comitato militare e diedero inizio all’organizzazione della lotta armata.

II C.L.N. provinciale venne fondato il 28 settembre nei locali della canonica di S. Francesco. Alla riunione parteciparono rappresentanti del P.C.I., del P.S.I.U.P., del P. d’A. e della D.C.. Fecero poi parte del C.L.N. provinciale, per periodi più o

meno lunghi: i comunisti Cesare Campioli e Aldo Magnani (v.) ; i socialisti ingegnere Camillo Ferrari, Gino Prandi e Ivano Curti; gli azionisti avvocato Vittorio Pellizzi (v.) e ragionier Virgilio Camparada; il sacerdote monsignor Prospero Simonelli; i democristiani ingegner Domenico Piani e Giuseppe Dossetti (v.).

In ottobre cominciarono in città le prime azioni dei G.A.P., mentre nelle campagne andava costituendosi una rete di appoggio ai combattenti e agli ex prigionieri di guerra alleati che vennero assistiti, fatti rifugiare in montagna e, da qui, avviati verso l’Italia liberata. In questa attività si distinse il clero delle località montane e, in particolare, don Domenico Orlandini (v.), parroco di Poiano, che diverrà poi comandante di una Brigata “Fiamme Verdi”.

li primo grave atto di rappresaglia compiuto a Reggio dal rinato fascismo repubblicano consistette nella fucilazione dei sette fratelli Cervi (v.) e di Quarto Camurri, avvenuta il 28.12.1943. Altro non meno grave episodio sarà la fucilazione di don Pasquale Borghi (v.), avvenuta il 30.1.1944, trucidato insieme ad altri 8 patrioti: Destino Giovannetti, Romeo Benassi, Umberto Dodi e Dario Gaiti, tutti da Correggio; Ferruccio Batti ni, Enrico Menozzi e Contardo Trentini da Rio Saliceto; Enrico Zamboni ni da Villa Minozzo, anarchico e già combattente antifranchista in Spagna.

Il 78.1.1944 le Officine “Reggiane” furono pressoché distrutte da un terrificante bombardamento aereo alleato che provocò 266 morti e 261 feriti tra la popolazione. All’indomani di questa distruzione, le maestranze della fabbrica vennero disperse in varie località e ciò impedirà una partecipazione operaia in forma massiccia allo sciopero che verrà indetto per l’1 marzo dalle organizzazioni clandestine. Significativo fu invece, in questo stesso giorno, lo sciopero di Montecavolo (v.), a carattere insurrezionale.

Il primo scontro in campo aperto tra i partigiani e nazifascisti si ebbe, il 15.3.1944, a Cerré Sologno (v.). Nel fatto d’arme, di cui furono protagonisti combattenti modenesi e reggiani, caddero 7 partigiani, mentre gli avversari ebbero 10 morti.

Il [...]

[...]ica vennero disperse in varie località e ciò impedirà una partecipazione operaia in forma massiccia allo sciopero che verrà indetto per l’1 marzo dalle organizzazioni clandestine. Significativo fu invece, in questo stesso giorno, lo sciopero di Montecavolo (v.), a carattere insurrezionale.

Il primo scontro in campo aperto tra i partigiani e nazifascisti si ebbe, il 15.3.1944, a Cerré Sologno (v.). Nel fatto d’arme, di cui furono protagonisti combattenti modenesi e reggiani, caddero 7 partigiani, mentre gli avversari ebbero 10 morti.

Il 1° maggio scioperarono al 100 per cento le maestranze delle Officine Lombardini. Seguì un immediato intervento della G.N.R. e della polizia che effettuò qualche arresto.

Lo sviluppo dell’attività partigiana nel Reggiano raggiunse il culmine nell’estate 1944, quando in poco tempo venne creata dalle formazioni partigiane una “zona libera” sugli Appennini, cacciandone tutti i presidi fascisti, per un’estensione pari a un quinto dell’intero territorio provinciale. Le cose procedettero allo stesso modo nella limitrofa provincia di Modena (v.), per cui, date le molte affinità esistenti tra le formazioni partigiane delle due province, il 7 luglio si pervenne alla loro[...]

[...]ll’estate 1944, quando in poco tempo venne creata dalle formazioni partigiane una “zona libera” sugli Appennini, cacciandone tutti i presidi fascisti, per un’estensione pari a un quinto dell’intero territorio provinciale. Le cose procedettero allo stesso modo nella limitrofa provincia di Modena (v.), per cui, date le molte affinità esistenti tra le formazioni partigiane delle due province, il 7 luglio si pervenne alla loro unificazione sotto il comando del Corpo d’armata Centro Emilia. Tali forze presidiarono 4 Comuni modenesi (Prignano, Polinago, Frassinoro, Montefiorino) e 3 reggiani (Toano, Villa Minozzo, Ligonchio), costituendo quella che sarà chiamata la “repubblica di Montefiorino” (v.). All’interno di questa vasta zona, sottratta al potere fascista, la vita civile venne organizzata democraticamente e, per quanto era possibile dato lo stato di guerra, fu controllata da amministrazioni comunali elette con libere consultazioni popolari.

Nel settembre 1944, quando raggiunse la sua massima estensione, la “zona libera” di Montefiorino comprese i Comuni reggiani di Toano, Villa Minozzo, Ligonchio, Collagna, Busana, Ramiseto e Vetto. Altri Comuni, come Castelnovo ne’ Monti, Carpineti e Ciano d’Enza, erano parzialmente liberati. Nell 'ultima fase della lotta saranno completamente liberati anche Ciano d’Enza, Baiso, Viano e, parzialmente, Casina.

Nella zona di pianura stabilmente occupata dal nemico, la lotta si svolse invece in forma clandestina: qui operarono due importanti Brigate

S.A.P. e una Brigata G.A.P.. In questa zona, particolarmente ricca di prodotti agricoli, i nazifascisti compivano sistematici saccheggi per trasferire il bestiame e le derrate oltre il Po. Di conseguenza, compito principale dei partigiani era quello di ostacolare le razzie e la rapina dei prodotti che, appena ricuperati, venivano inviati alle formazioni della montagna o distribuiti alla popolazione locale. L'aiuto dei sappisti, che fecero affluire in montagna anche i materiali raccolti durante la “Settimana del Partigiano” (organizzata con l’impegno dei Gruppi di difesa della Donna e del Fronte della Gioventù), continuerà fino alla Liberazione, consentendo alle Brigate partigiane di sopravvivere nei mesi invernali e di continuare senza interruzioni la lotta.

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 523

Brano: Pertini, Alessandro

Raffaele Cadorna. Pertini, pur fermissimo nel rivendicare ogni autonomia di decisione alle forze antifasciste, per non venir meno alle esigenze unitarie della lotta di resistenza accettò la soluzione di nominare Cadorna comandante generale del C.V.L., con Ferruccio Parri e Luigi Longo vicecomandanti.

Sul piano organizzativo, in una riunione generale dei delegati socialisti di tutte le provincie dell'Italia occupata, Pertini svolse la relazione introduttiva e contribuì in modo decisivo a gettare le basi politicoprogrammatiche per quella che era definita la fase finale della lotta per la liberazione e per la successiva ricostruzione del Paese.

La riunione sarà menzionata nelIAvanti! » clandestino (n. 44 del 30.11.1944) come « un miracolo di organizzazione e una giornata di fervore ».

Tuttavia si era appena alle soglie del secondo inverno di occupazione e, proprio in quel mese, era stato diramato il noto proclama del generale Alexander, al quale il Comando del C.V.L. si sforzò di dare una interpretazione restrittiva per non compromettere la lotta in corso e per non esporre gli appartenenti alle formazioni partigiane a pericoli maggiori. Pertini fu tra coloro che più contribuirono a rafforzare l’azione contro il nemico nei centri cittadini, a collegare le formazioni di montagna e a rendere sempre più stretti i rapporti tra forze antifasciste e popolazione.

Nei duri mesi deH’inverno milanese Pertini e la sua compagna soffrirono e combatterono come tanti altri, senza protezioni né privilegi di sorta. Nell'attesa dell’insurrezione Pertini perseguiva intenti profondamente unitari, repubblicani e resistenziali. Si doleva di ogni contatto con gli Alleati che venisse preso al di fuori del C.L.N.A.I., del quale voleva fosse riconosciuta in ogni circostanza l’autorità. Voleva fosse chiaro che, attraverso la Resistenza, al di là della lotta armata si perseguiva un proposito di rinnovamento istituzionale, politico e sociale. Pur aperto a tutti gli altri movimenti antifascisti e alle diverse formazioni partigiane, non si stancava di sottolineare[...]

[...]so al di fuori del C.L.N.A.I., del quale voleva fosse riconosciuta in ogni circostanza l’autorità. Voleva fosse chiaro che, attraverso la Resistenza, al di là della lotta armata si perseguiva un proposito di rinnovamento istituzionale, politico e sociale. Pur aperto a tutti gli altri movimenti antifascisti e alle diverse formazioni partigiane, non si stancava di sottolineare l’unità delle direttive, scartando sdegnosamente ogni idea di equivoca compromissione politica al momento di quella che sarebbe stata l’immancabile resa fascista. Nello stesso tempo perseguiva in tutti quei mesi l’idea del potenziamento delle formazioni socialiste che, anche sul piano del

la Resistenza armata, non avrebbero dovuto essere seconde a nessuno.

L'insurrezione

Nel marzo 1945 fu costituito il Comitato insurrezionale, del quale Pertini fece parte per il P.S.I.U.P., accanto a Emilio Ser&ni per il P.C.I. e a Leo Valiani per il P.d’A.. In questa fase decisiva Pertini non solo fu un dirigente operativo della lotta, ma anche uno stratega e un animatore instancabile; rivolse ai socialisti una serie di direttive, tra cui particolarmente significativa quella dell’1.4.1945 per la preparazione dello sciopero generale insurrezionale e per i nuovi compiti che si sarebbero immediatamente presentati con la liberazione del Nord: epurazione, tribunali del popolo, partecipazione politica alla ricostruzione del Paese, lotta per la forma repubblicana del nuovo Stato.

Nel pomeriggio del 24 aprile egli convocò i quadri regionali del P.S.I.U.P. per impartire le direttive finali. Con Valiani e Sereni firmò poi l'ordine dello sciopero insurrezionale, a cui la città reagì positivamente. Il 25 aprile, alle 7, seguì l’ordine dell’insurrezione.

Nei combattimenti svoltisi a Milano nel corso di quella giornata, Pertini fu personalmente partecipe. (Solo più tardi si apprenderà che, in quegli stessi giorni, suo fratello Eugenio (v.), deportato nel campo di Flossenburg, era caduto insieme ad altri sotto il piombo dei nazisti in fuga). Il 25 pomeriggio Pertini tenne un comizio nello stabilimento della O.M., sollevando enorme entusiasmo tra gli operai insorti. Subito dopo egli partecipò agli incontri, passati alla storia, nell’Arcivescovado di Milano.

Nel pomeriggio del 26 aprile, mentre in città ancora si sparava, Pertini insediò la Giunta comunale della Liberazione con il sindaco socialista Antonio Greppi. Nelle giornate immediatamente seguenti condivise le decisioni del C.L.N.A.I, sulla resa incondizionata e sulla sorte dei gerarchi fascisti. Reagirà peraltro con sdegno contro la macabra esposizione di Piazzale Loreto.

Secondo dopoguerra

Vicesegretario dall’agosto 1943 e per tutto il periodo della Guerra di liberazione al Nord, Pertini divenne segretario del P.S.I.U.P. nell’aprile

1945. Si dimise da questa carica

il 22.12.1945, insieme ai vicesegretari Basso e Cacciatore, per esprimere il proprio dissenso contro il mo[...]

[...] Piazzale Loreto.

Secondo dopoguerra

Vicesegretario dall’agosto 1943 e per tutto il periodo della Guerra di liberazione al Nord, Pertini divenne segretario del P.S.I.U.P. nell’aprile

1945. Si dimise da questa carica

il 22.12.1945, insieme ai vicesegretari Basso e Cacciatore, per esprimere il proprio dissenso contro il modo in cui, dopo le dimissioni del Governo Parri (4.12.1945), il nuovo governo capeggiato da Alcide De Gasperi, pur comprendente socialisti e comunisti, combatteva le insidiose iniziative della destra interna e dei fascisti.

Con il XXIV Congresso del Partito (Firenze, aprile 1946), Pertini fu eletto membro della Direzione. Nel congresso successivo (Roma, gennaio 1947), in cui avvenne la scissione socialdemocratica di Saragat, Pertini si prodigò per impedirla e fu l’unico, tra i massimi dirigenti del P.S.I., a recarsi a Palazzo Barberini per esortare gli scissionisti a desistere; dopodiché non fec@ più parte della Direzione fino al XXVIll Congresso (maggio 1949). Tornerà in Direzione a questo momento e vi resterà fino al XXXII Congresso (febbraio 1957).

Per alcuni anni Pertini svolse anche una intensa attività giornalistica quale direttore deH’« Avanti! » dal

1945 al 1946 q, nuovamente, dal

1950 al 1952. Dal 1947 al 1950 diresse Il Lavoro Nuovo, l’antico quotidiano socialista di Genova.

La linea di Pertini dirigente del P.S.I. fu sempre ispirata a un coerente antifascismo, alla difesa del patrimonip acquisito dai lavoratori italiani con la Guerra di liberazione e a un dichiarato spirito di classe, nel quadro di una visione unitaria degli interessi nazionali. Linea che rifu[...]

[...]1947 al 1950 diresse Il Lavoro Nuovo, l’antico quotidiano socialista di Genova.

La linea di Pertini dirigente del P.S.I. fu sempre ispirata a un coerente antifascismo, alla difesa del patrimonip acquisito dai lavoratori italiani con la Guerra di liberazione e a un dichiarato spirito di classe, nel quadro di una visione unitaria degli interessi nazionali. Linea che rifuggirà costantemente da posizioni poco chiare, rivalità interne, pericolosi compromessi. Non a caso Pertini, pur costituendo sempre un alto punto di riferimento airinterno del suo Partito, non fu

Sandro Pertini nei primi anni del dopoguerra

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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 706

Brano: Milano

legarsi con la classe operaia milanese e, per il Primo Maggio 1929, fece stampare presso la tipografia Antelami un opuscolo che invitava i lavoratori democratici a riprendere la lotta contro il fascismo. Grazie a questa opera di penetrazione, il comitato unitario giunse a creare all’Alfa Romeo (v.) una cellula di operai anarchici e repubblicani.

Presto l’azione dei giellisti si indirizzò tuttavia verso gesti spettacolari: l’11.7.1930 Giovanni Bassanesi (v.) volteggiò a lungo con un piccolo aereo su Milano, lanciò sul centro cittadino migliaia di manifestini antifascisti e volò poi rapidamente in Svizzera. La riuscita azione galvanizzò talmente i giellisti, da condizionarne le scelte successive: venne così progettata da Ernesto Rossi e dai suoi compagni una serie di attentati dimostrativi con bombe incendiarie da far esplodere in varie località italiane il 28 ottobre, nell’otta[...]

[...]ula di operai anarchici e repubblicani.

Presto l’azione dei giellisti si indirizzò tuttavia verso gesti spettacolari: l’11.7.1930 Giovanni Bassanesi (v.) volteggiò a lungo con un piccolo aereo su Milano, lanciò sul centro cittadino migliaia di manifestini antifascisti e volò poi rapidamente in Svizzera. La riuscita azione galvanizzò talmente i giellisti, da condizionarne le scelte successive: venne così progettata da Ernesto Rossi e dai suoi compagni una serie di attentati dimostrativi con bombe incendiarie da far esplodere in varie località italiane il 28 ottobre, nell’ottavo anniversario della marcia su Roma, ma questo piano fu stroncato sul nascere dalla polizia che, nell’ottobre 1930, arrestò il Bauer, il Rossi e altri, individuando per di più la cellula operaia creata all’Alfa Romeo.

Ricostituitosi ai primi del 1931, il comitato unitario si trovò a essere composto esclusivamente da socialisti (Faravelli, Veratti, R. Mondolfo, Bruno Matti, Vittorio Albasini Scrosati). La polizia, messa nuovamente sulla pista grazie a un’intercettazione di materiale propagandistico, arrestò Maffi e Albasini, mentre Faravelli riuscì a riparare in Svizzera.

Gli anni Trenta

Nonostante la repressione e gli arresti particolarmente massicci del 1928, che ne avevano sconvolto il sistema organizzativo, il P.C.d’I. riuscì a garantire la sopravvivenza di una forma di attività politica all’interno delle masse lavoratrici milanesi. Di fronte alla grande crisi economica de[...]

[...]lla pista grazie a un’intercettazione di materiale propagandistico, arrestò Maffi e Albasini, mentre Faravelli riuscì a riparare in Svizzera.

Gli anni Trenta

Nonostante la repressione e gli arresti particolarmente massicci del 1928, che ne avevano sconvolto il sistema organizzativo, il P.C.d’I. riuscì a garantire la sopravvivenza di una forma di attività politica all’interno delle masse lavoratrici milanesi. Di fronte alla grande crisi economica del 1929, parve necessario al Centro estero del partito fare il massimo sforzo per riprendere l’agitazione in tutta Italia, anche in vista di un nuovo attacco ai livelli salariali, a cui il padronato sarebbe senza dubbio ricorso per limitare i danni della sfavorevole congiuntura.

Le condizioni di vita della classe operaia andavano continuamente peggiorando e si verificarono decine di dimostrazioni spontanee: a Milano, 500 operai della Withert scesero in lotta contro la minaccia di licenziamento, mentre i contribuenti protestavano contro l'aumento

delle tasse e una folla di disoccupat[...]

[...]ali, a cui il padronato sarebbe senza dubbio ricorso per limitare i danni della sfavorevole congiuntura.

Le condizioni di vita della classe operaia andavano continuamente peggiorando e si verificarono decine di dimostrazioni spontanee: a Milano, 500 operai della Withert scesero in lotta contro la minaccia di licenziamento, mentre i contribuenti protestavano contro l'aumento

delle tasse e una folla di disoccupati manifestava in piazza del Duomo. Il Primo Maggio fu ricordato, seppure in modo semiclandestino, davanti alle principali fabbriche della città: scritte antifasciste apparvero sui muri e si ebbero anche diffusioni di copie dell’« Unità » e di Battaglie sindacali.

Queste testimonianze di lotta spinsero il Centro estero del P.C.d’I. ad accelerare la riorganizzazione del partito. Inoltre, l’attiva presenza dei giellisti riproponeva ai comunisti il problema di intensificare i contatti con la classe operaia per dare alla lotta antifascista un sicuro contenuto di classe.

Nel giugno 1930 venne decisa la riorganizzazione del Centro interno del P.C.d’I. ed Eros Vecchi ne fu designato responsabile per la Lombardia. Ma il Centro non durò a lungo: neppure un mese dopo, il 10 luglio, Camilla R aver a che era venuta a dirigerlo fu arrestata ad Arona insieme a Bruno Tosin e a Ergenite Gilli. Il Vecchi risultò essere un pericoloso provocatore.

Nonostante queste difficoltà, la volontà di lotta antifascista conquistava la coscienza della classe lavoratrice, determinando massicce ondate di arresti. Tra gli arrestati di quel periodo, si ricordano un gruppo di tassisti comunisti che avevano come loro organo il giornale clandestino La Riscossa, nonché un gruppo di tranvieri che faceva propaganda antifasci[...]

[...]Centro non durò a lungo: neppure un mese dopo, il 10 luglio, Camilla R aver a che era venuta a dirigerlo fu arrestata ad Arona insieme a Bruno Tosin e a Ergenite Gilli. Il Vecchi risultò essere un pericoloso provocatore.

Nonostante queste difficoltà, la volontà di lotta antifascista conquistava la coscienza della classe lavoratrice, determinando massicce ondate di arresti. Tra gli arrestati di quel periodo, si ricordano un gruppo di tassisti comunisti che avevano come loro organo il giornale clandestino La Riscossa, nonché un gruppo di tranvieri che faceva propaganda antifascista attraverso un foglio intitolato II Tranviere. Nell’ottobre 1930 caddero numerosi altri comunisti, tra cui l’operaio Romano Bessi, nuovo responsabile dell’organizzazione milanese, dopo di che non fu più possibile, per lungo tempo, avere un Centro interno. Nell’aprile 1931 Pietro Secchia ebbe l’incarico di riorganizzare l’attività clandestina, ma anche questa volta la polizia fascista intervenne, arrestando lo stesso Secchia e altri dirigenti comunisti. L’organizzazione rimase tuttavia parzialmente in piedi e Vincenzo Angelino, inviato poco dopo da Parigi, potè riprendere i contatti, dando vita a una larga diffusione di materiale di propaganda antifascista nelle fabbriche milanesi. Quando la polizia riuscì a mettere le mani anche su questa organizzazione, risultavano funzionanti cellule nelle officine Radaelli, Motomeccanica Bianchi, Alfa Romeo, O.M., Pirelli, Marei li, Bori etti, Velox. Tra il materiale sequestrato vi erano anche tessere fasciste (in effetti il IV Congresso del P.C.d’I., svoltosi a Colonia, aveva impartito ai militanti comunisti in Italia direttive di infiltrazione nei sindacati fa

scisti e nelle altre organizzazioni del regime).

Esito negativo ebbero nuovi tentativi e, dopo l’arresto di Luigi Frausin (marzo 1932), il Partito decise di rinunciare ad avere un Centro interno milanese per non mettere a repentaglio l’intera organizzazione clandestina esistente nella capitale lombarda. Si andò invece rafforzando, soprattutto da parte dei socialisti, la tendenza a favorire una linea politica che permettesse una fattiva collaborazione tra tutte le forze antifasciste operanti a Milano.

Nel gennaio 1932 Rodolfo Morandi, Lucio Luzzatto e altri si distaccarono da « Giustizia e Libertà » denunciandone la carenza di ogni contenuto ideologico socialista e operarono una scissione che rappresentò il primo passo di riavvicinamento dei socialisti alle posizioni comuniste. D’altra parte, in alcune fabbriche milanesi (Acciaierie Lombarde, Marelli, Alfa Romeo, Breda) gli operai co[...]

[...], soprattutto da parte dei socialisti, la tendenza a favorire una linea politica che permettesse una fattiva collaborazione tra tutte le forze antifasciste operanti a Milano.

Nel gennaio 1932 Rodolfo Morandi, Lucio Luzzatto e altri si distaccarono da « Giustizia e Libertà » denunciandone la carenza di ogni contenuto ideologico socialista e operarono una scissione che rappresentò il primo passo di riavvicinamento dei socialisti alle posizioni comuniste. D’altra parte, in alcune fabbriche milanesi (Acciaierie Lombarde, Marelli, Alfa Romeo, Breda) gli operai comunisti già da tempo svolgevano la loro attività sindacale insieme ai socialisti.

Mentre a Milano il gruppo giellista era in declino, tanto che Rosselli decise di spostare a Torino il Centro interno del movimento, l’iniziativa di Morandi vi rilanciò la presenza socialista senza però coinvolgere i socialdemocratici, che preferirono collaborare con i giellisti, e il movimento cattolico detto dei « guelfi » che comparve verso la fine del 1932 (v. Guelfo, Movimento). Questo nuovo gruppo, che si riallacciava alla tradizione di sinistra del disciolto Partito Popolare, ed era diretto da Piero Malvestiti e

Manifestazione in piazza del Duomo a Milano, per la celebrazione dell’anno XI dell'era fascista (28.10.1933)


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine O.M., nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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